Italiano - ESE File Server - European School of Economics

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Italiano - ESE File Server - European School of Economics
Elio D’Anna
Questo Libro è per sempre
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Elio D’Anna
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La Scuola degli Dei
Proprietà letteraria riservata
Copyright © by European School of Economics
(International Ltd)
ISBN13: : 978-88-8494-000-3
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Al Dreamer che è in me
che spinge il mio Sogno
ad altezze oltre il mio intelletto
e ad abissi oltre le mie emozioni
che mi chiama e mi comanda
per rendermi libero
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INDICE
Capitolo I
L‟incontro con il Dreamer
1 L‟incontro con il Dreamer 2 Il lavoro è schiavitù
3 “Sono una donna…” 4 Una specie in estinzione 5 Il risveglio
6 Cambiare il passato 7 Perdonarsi dentro
8 “Self-observation is self-correction
9 La morte non è mai una soluzione
10 La guarigione procede dall‟interno 11 I Padroni di casa
12 Judith, „la signorina‟ 13 Grazie Luisa!
Capitolo II
Lupelius
1 Incontrare la Scuola 2 Il mondo ci è stato raccontato
3 La Scuola del capovolgimento 4 Lupelius
5 L‟incontro con Padre S. 6 La dottrina di Lupelius
7 Offri un gallo ad Asclepio 8 Vietato uccidersi dentro
9 The School for Gods 10 Mea Culpa 11 Stati ed eventi I
12 Stati ed eventi II 13 Metti Dio al lavoro! 14 L‟arte di vegliare
15 Le cattive abitudini 16 Non ce la farai!
17 Capovolgi le tue convinzioni 18 La sindrome di Narciso
19 Un uomo non può nascondersi
Capitolo III
Il Corpo
1 Il mondo sei tu 2 I nani psicologici 3 Il canto di dolore
4 Il corpo non può mentire 5 Sii frugale! 6 Un mondo senza fame
7 Il mondo è come tu lo sogni 8 No war within, no war without
9 Thinking is Destiny
Capitolo IV
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La Legge dell‟Antagonista
1 La Corsa 2 I custodi di Main Street 3 I muri
4 La Legge dell‟Antagonista 5 Ama il tuo nemico
6 Impara a sorriderti dentro 7 La suite al St James
8 Prima che il gallo canti 9 A cena con il Dreamer
10 L‟amministratore disonesto 11 La vittima è sempre colpevole
Capitolo V
Addio a New York
1 Per le strade di Manhattan 2 Gli strumenti del Sogno
3 La menzogna 4 Addio New York 5 Chi ama non può dipendere
6 Non si può sognare e dipendere7 Un futuro di seconda mano
8 A cena con lo Sceicco 9 Fuga nella malattia
10 Il ragno e la preda 11 Il cucù dell‟esistenza
12 La bottiglia 13 I veri poveri 14 La paura è amore degradato
15 The solution comes from above
Capitolo VI
A Kuwait City
1 Questa è economia! 2 Dimenticare il Sogno
3 Preoccuparsi è animalesco 4 La fuga è per pochi
5 Programmare senza crederci 6 L‟Agenda 7 Pronto, chi sono?
8 Sgambetto alla meccanicità 9 Vincere se stessi
10 Il Sogno è la cosa più reale che ci sia 11 Heleonore
12 L‟adozione
Capitolo VII
Ritorno in Italia
1 La clausola 2 Un brusco risveglio
3 L‟ignoranza è sempre a un palmo di distanza 4 Ritorno al passato
5 L‟inquinamento psicologico 6 Nella pancia della balena
7 L‟incidente 8 La lettera. Un Re Mida al rovescio
9 Danza, perdio, danzaaa!
10 Sei vivo e sincero solo sotto minaccia!
11 La guarigione può avvenire solo dall‟interno
12 Elogio dell‟ingiustizia 13 Il mondo è creato dai nostri pensieri
14 Il passato è polvere 15 Volontà e Accidentalità
Capitolo VIII
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A Shanghai con il Dreamer
1 La perfezione non si ripete mai 2 La ragione dell'uomo è armata
3 L‟animale che mente 4 Diventa un uomo libero!
5 Il papà del Budda 6 Ciò che dipende non è reale
7 Vision and reality are one 8 La razza da impiego
9 Fai solo ciò che ami 10 La direzione terribile e meravigliosa…
11 To fall in love 12 Io sono tu!
13 Uni-verso. Verso l‟uno 14 Il Re è la terra, la terra è il Re
15 La Realtà è il Sogno più il tempo 16 Essere toccati dal Sogno
Capitolo IX
Il Gioco
1 Credere per vedere 2 Cambia la tua vitaaa! 3 Il Pagamento
4 Noi siamo l‟arco, la freccia e il bersaglio
5 Sono venuto a liberarti! 6 Recitare i ruoli 7 Il cammino a ritroso
8 Non sei pronto! 9 La scorciatoia
10 Comprimere il tempo 11 Gli altri ti rivelano
12 Recitare intenzionalmente. The Art of Acting
13 Il „Gioco degli Incontri‟ 14 Il nuovo paradigma
15 Il Replay 16 Aspettarsi dal mondo
17 Questo libro è per sempre!
Capitolo X
La Scuola
1 La Visione verticale 2 Una Scuola per sognatori pragmatici
3 Il sogno del Sogno 4 Il paradiso portatile
5 La verità economica più grande 6 Avere è Essere
7 Università significa „verso l‟uno‟ 8 La nascita della Scuola
9 La Missione della Scuola 10 Credere senza credere
11 Il Segreto del fare 12 The past is a lie
13 State is place 14 Diventa un Re, un Regno ti sarà dato
15 La Banca 16 Money is not real
17 Il Digiuno prima della Battaglia 18 L‟Asta
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La Scuola degli Dei
Questo Libro
Questo libro è una mappa, un piano di fuga.
Il suo scopo è mostrarvi il percorso che un uomo comune ha
seguito per sfuggire al racconto ipnotico del mondo, alla descrizione
lamentosa ed accusatoria dell‟esistenza, per deragliare dai solchi di
un destino già tracciato.
Questo libro non sarebbe mai esistito, né avrei potuto
scriverne un solo rigo, se non avessi incontrato il Dreamer e il Suo
insegnamento.
Al Dreamer va la mia infinita gratitudine per avermi
accompagnato per mano nel mondo del Sogno, nel mondo del
coraggio e dell‟impeccabilità, dove il tempo e la morte non esistono
e dove la ricchezza non conosce „né ladri né crimini‟.
In questo viaggio di ritorno all‟essenza ho dovuto abbandonare tanta
zavorra: pensieri mediocri, emozioni negative, convinzioni ed idee
di seconda mano. Ho dovuto riconoscere le mie incomprensioni
ed affrontare la parte più oscura di me.
Tutto ciò che vediamo, tocchiamo e sentiamo, la realtà in
tutta la sua varietà, non è altro che la proiezione di un universo
invisibile che esiste al di sopra del nostro mondo e ne è la vera
causa. Difficilmente siamo consapevoli di essere circondati
dall‟invisibile, di vivere in un mondo prodotto dal Sogno, dove tutto
ciò che conta ed è reale in un uomo è invisibile.
Tutti i nostri pensieri, sentimenti e fantasie, sono invisibili.
Le nostre speranze, ambizioni, segreti, memorie e immaginazioni,
paure e incertezze e tutte le nostre sensazioni, attrazioni, desideri,
avversioni, amori ed odi, appartengono all‟impalpabile, ma reale
mondo dell‟Essere.
L‟invisibile non è qualcosa di metafisico, di poetico o mitico,
e neanche di misterioso, segreto o soprannaturale; non è una
porzione stabile del mondo dei fenomeni e degli eventi, delle
categorie del reale. In ogni epoca il cambiamento del momento
storico, del clima intellettuale, l‟uso di strumenti più sofisticati, ne
modificano continuamente i confini facendo rientrare porzioni
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sempre più vaste dell‟invisibile di ieri, tra i legittimi soggetti della
ricerca scientifica di oggi.
Questo libro è la storia della „rinascita‟ di un uomo comune,
epitome di una umanità decaduta, sconfitta. Il suo viaggio di ritorno
all‟essenza è un nuovo esodo alla ricerca dell‟integrità perduta.
La prima condizione per intraprendere questo viaggio è la
consapevolezza del proprio stato di schiavitù.
La radice, la causa prima di tutti i problemi del mondo, dalla
povertà endemica di intere regioni del pianeta alla criminalità ed alle
guerre, è che l'umanità pensa e sente negativamente.
Le emozioni negative governano il mondo che conosciamo.
Esse sono irreali eppure occupano ogni angolo della nostra vita. Per
cambiare il destino dell'uomo bisogna cambiarne la psicologia, il suo
sistema di convinzioni e di credenze. Bisogna estirpare dal profondo
la tirannia di una mentalità conflittuale, fragile, mortale. La malattia
più temibile del pianeta non è il cancro né l'Aids, ma il pensiero
conflittuale dell‟uomo. È questo l‟architrave su cui poggia la visione
ordinaria del mondo, il vero killer planetario.
La direzione indicata dal Dreamer è terribile e meravigliosa,
sofferta e gioiosa, assurda e necessaria come il corso di un salmone
che risale il fiume controcorrente.
La Sua filosofia mi apparve inizialmente come una
trasgressione alle leggi naturali cui è soggetta l'intera umanità; essa è
invece prevista e voluta dall'ordine universale delle cose e ne è la
visione più alta.
Il libro è il racconto degli anni di studio e di preparazione
vissuti accanto a un „Essere straordinario‟, da Lui ho ricevuto in
dono il più incredibile dei compiti: la creazione di una „Scuola‟
planetaria, un‟Università senza frontiere.
Ho sognato una Rivoluzione Individuale
capace di capovolgere i paradigmi mentali della vecchia umanità
e liberarla per sempre dalla sua conflittualità,
dal dubbio, dalla paura, dal dolore.
Ho sognato una Scuola che educhi
una nuova generazione di leader
ad armonizzare gli apparenti antagonismi di sempre:
economia ed etica, azione e contemplazione,
potere finanziario e amore.
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La Scuola degli Dei
Crescendo e mutando sotto i miei occhi, come un essere in
gestazione, giorno dopo giorno, „La Scuola degli Dei‟ si costruiva,
ed io mi costruivo. Apparentemente ero io a scriverlo, in realtà il
libro era già scritto da sempre.
Le leggi del Dreamer, le Sue idee, stanno ancora scavandomi
dentro e tuttora, per la maggior parte, esse restano incomprese.
Come Prometeo, ho carpito una scintilla dal mondo del
Dreamer e l‟ho tenuta stretta per poterla un giorno donare a uomini e
donne che, come me, vorranno abbandonare i gironi infernali
dell‟ordinarietà.
Una volta credevo che scrivere, e soprattutto insegnare, fosse
il vero dare. Ora so che insegnare è solo uno stratagemma per
conoscersi, per scoprire la propria incompletezza e guarirla.
“Si può insegnare solo se non si sa – dice il Dreamer – Chi
realmente sa non insegna!
Quello che abbiamo „compreso‟, ciò che „realmente‟
possediamo, non si può trasferire.
La felicità, la ricchezza, la conoscenza, la volontà, l‟amore
non possono essere acquisiti dall‟esterno, non possono essere „dati‟
ma soltanto… „ricor-dati‟. Sono beni inalienabili dell‟Essere, e per
questo, patrimonio naturale di ogni uomo.
Nessuna politica, religione o sistema filosofico può
trasformare la società dall‟esterno. Solo una rivoluzione
individuale, una rinascita psicologica, una guarigione dell‟Essere,
uomo per uomo, cellula per cellula, potrà condurci verso un
benessere planetario, verso una civiltà più intelligente, più vera, più
felice.”
Nel raccontare quanto ho appreso accanto al Dreamer ho
evitato intenzionalmente di includere episodi, avvenimenti e
rivelazioni che potevano eccedere la capacità di accettazione del
lettore, riferendo solo quelli che, benché „rivoluzionari‟, mi sono
sembrati puntuali con lo stato attuale dell‟umanità.
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La Scuola degli Dei
CAPITOLO I
L‟incontro
con il Dreamer
1 L‟incontro con il Dreamer
A quel tempo vivevo a New York in un appartamento di
Roosevelt Island, la piccola isola nel mezzo dell‟East River, tra
Manahattan e Queens. L‟isolotto, come una nave all‟ancora,
sembrava sul punto di sciogliere gli ormeggi per scivolare con la
corrente verso la libertà dell‟oceano; ma giorno dopo giorno restava
immobile nell‟oscurità ondosa del fiume. Entrai in camera per dare
la buonanotte ai bambini, ma già dormivano. In punta di piedi
ritornai nel soggiorno. Il silenzio della notte mi fasciava e mi
nascondeva. Un senso di estraneità vicino alla repulsione mi faceva
sentire un ladro penetrato nella vita di uno sconosciuto. Restai ad
osservare il profilo punteggiato di luci del Queensborough Bridge. Il
ponte sembrava sospeso sul vuoto immenso dei suoi atomi di
metallo. Era freddo, incombente come una minaccia.
Jennifer si era da poco ritirata in camera, nello stile
americano che conclude un litigio. Ero tornato tardi quella sera. Ero
stato al J. F. Kennedy Airport a prendere un amico che non
vedevo da tempo. Dall‟incontro ricavai l‟impressione che la sua vita
fosse più agiata, più felice della mia. Sentimenti di invidia, di
gelosia e una rivalità cieca, rigurgiti di un passato non risolto,
scattarono insieme ad una loquacità meccanica, ad un impulso a
parlare senza freno. In macchina, una bugia dietro l‟altra, venne
fuori una storia romanzata dei miei anni a New York. Gli raccontai
dell‟impossibilità di partecipare a tutti i party cui ero invitato, dei
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L‟Incontro con il Dreamer
vernissage, delle prime teatrali, dei miei successi professionali, dei
miei hobbies, e soprattutto di quanto ero felice con Jennifer. Le
parole mi arrivavano in gola morte e un pianto mi montava dentro.
La nausea per quel fiume di insincerità che scorreva denso,
inarrestabile, il senso di impotenza a governare quella sequela di
menzogne, divenne insopportabile. Avrei „voluto‟ interrompere
quell‟assurda esibizione; ma più tentavo di arrestare quel disastro e
più sentivo l‟impossibilità di porvi rimedio.
Eravamo in due nello stesso corpo. Il pensiero di essere
intrappolato in una entità bifronte, siamese, centauro, androgino,
prigioniero per sempre di una simbiosi grottesca e feroce, mi atterrì.
L‟aria si oscurò. Mi accorsi di aver sbagliato strada. Ci stavamo
addentrando in un labirinto desolato di vie male illuminate e sempre
più sporche. Le parole si smorzarono e a poco a poco un silenzio
freddo si impossessò dell‟auto. Procedevo ormai a passo d‟uomo
sotto scrosci di pioggia torrenziale, quando notai i fari di una
macchina tallonarci ed intravidi alcune ombre fare capolino dai
pilastri di una soprelevata. Mi voltai a guardare il mio amico e
raggelai. Tremava senza controllo, la sua faccia era una maschera di
paura. Accelerai. I battiti del cuore si erano fatti così forti da
squassarmi il petto. Svoltai d‟istinto nella prima strada che trovai.
Con una brusca sterzata evitai un gruppo di vagabondi stretti intorno
ad un bidone in fiamme. Le ombre dei palazzi erano fauci
mostruose, la gorgia di un inferno che ci stava fagocitando.
Un suono di sirene spiegate lacerò l‟aria e urtò
quell‟atmosfera angosciosa spezzandola. Nel retrovisore, da cui
lanciavo di continuo occhiate disperate sulla macchina che ci
inseguiva, vidi i fari allontanarsi fino a sparire, ingoiati dal buio.
Riconobbi i segni di un quartiere più umano ed alcuni cartelli
indicatori che finalmente ci riportarono a casa.
Non rividi mai più quel vecchio amico.
Feci il breve tratto in ascensore in compagnia di un gigante
nero, un „idiota‟ che con il suo farfugliare mi accompagnò fino al
sedicesimo piano. Roosevelt Island era a quel tempo un esperimento
di integrazione e non era raro l‟incontro con portatori di handicap
che risiedevano sull‟isola con i loro accompagnatori.
L‟accoglienza che mi riservò Jennifer, i suoi capelli arricciati
nei bigodini ondeggianti come serpi di medusa, la sigaretta tra le dita
mentre sbraitava e misurava a passi nervosi il soggiorno, furono gli
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La Scuola degli Dei
ultimi suoi riflessi nello specchio della mia vita. Sentii la vacuità
della nostra relazione e tutta la dolorosità della mia esistenza, come
se il lento anestetico che mi aveva intorpidito per anni stesse
d‟improvviso cessando il suo effetto. Quell‟appartamento, il
rapporto con quella donna e qualunque oggetto su cui ora poggiavo
lo sguardo mostravano una mediocrità insanabile. Quelle scelte che
credevo espressioni della mia personalità si stavano rivelando
trappole senza vie d‟uscita.
Non era così che avevo sognato la mia vita! Avvertii la mia
impotenza con ripugnanza. Una disperazione muta mi travolse. Un
fiume gelido e denso abbatté ogni argine, ogni bugia, ogni
compromesso e mi gettò come un naufrago su una sponda desolata
dell‟Essere. Reclinai la fronte sulle braccia. Poi la tristezza si fece
sonno.
L‟interno della villa era immerso in un buio profondo appena
stemperato da un presagio d‟alba. Un‟antica tela occupava la parete
di fondo della grande sala. Alla fioca luce disponibile vi indovinai
uno scenario silvestre con al centro una figura sognante. Come il
dipinto, ogni dettaglio di quell‟ambiente, dall‟architettura agli arredi,
trasmetteva un intenso messaggio di bellezza. Trovarmi in quella
villa, a quell‟ora incerta tra la notte e l‟alba, era molto strano, eppure
non sembravo sorpreso. Tutto mi appariva familiare, anche se ero
certo di non esserci mai stato prima.
La villa restava silenziosa, come assorta in un pensiero. Salii
le antiche scale di pietra fino alla massiccia porta di una camera.
Osservai che ero accuratamente vestito, come se dovessi incontrare
un‟autorità sconosciuta. Non ricordo cosa agitasse il mio animo, ma
ero ansioso e di cattivo umore. Una ridda di sentimenti alimentava il
mio monologo interno come sterpi in una fornace. Mi slacciai le
scarpe e le deposi sulla soglia. Anche questa operazione mi sembrò
naturale. Per certo, quei movimenti, noti e necessari, erano parte di
un rituale eseguito già altre volte. Mi sembrava perfino di sapere che
cosa mi attendesse oltre quella porta, senza però averne la minima
idea. Nel bussare avvertii un‟improvvisa inquietudine che sostituì
d‟un colpo il flusso dei miei pensieri; una specie di timore
riverenziale. Qualcosa dentro di me sapeva. Senza attendere risposta
ai miei leggeri colpi, poggiai il mio peso sulla maniglia di ferro
battuto e spinsi abbastanza da creare un varco.
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L‟Incontro con il Dreamer
Diedi un‟occhiata al camino. Il bagliore della fiamma mi fece
male agli occhi, tanto che dovetti distogliere lo sguardo e chiudere le
palpebre per non lacrimare. „Lui‟ era accanto al fuoco. Mi volgeva le
spalle. Vidi proiettata sulla parete l‟ombra della Sua sagoma. La
stanza, che il fuoco remoto lasciava in penombra, era per due lati
percorsa da archi imponenti che incorniciavano finestre antiche,
occhiaie di pietra aperte sul buio. Attraverso quelle a est vedevo una
porzione di cielo intenerirsi dei colori dell‟alba.
Stavo avanzando cautamente di qualche passo sul bianco
lago del pavimento, quando la Sua voce risuonò alta e terribile
raggelando ogni mio movimento e pensiero.
«Sei in condizioni disastrose! – disse, senza voltarsi – Lo
sento da come entri, dai tuoi passi e soprattutto dal tanfo delle tue
emozioni. Sei una moltitudine, una folla di pensieri. Dove vai in
questo stato? Ridotto in mille pezzi come sei, a stento riesci a vivere
la tua esistenza da impiegato.»
«Io non sono un impiegato» rintuzzai con forza, come a
difendermi da un attacco fisico, improvviso. Chiunque egli fosse, era
opportuno stabilire subito le giuste distanze tra noi. Ma l‟impeto
delle mie parole si spense contro pareti di ovatta. Assalito da un
timore sconosciuto, trovai a stento la voce per ribattere:
«Io sono un manager!»
Il silenzio che seguì si allargò nell‟Essere a dismisura; una
risata beffarda mi echeggiò dentro per un tempo infinito. Poi da
quell‟eternità la voce emerse di nuovo.
«Come ti permetti di dire „io‟? – disse con un tono
sprezzante che mi colpì come uno schiaffo in piena faccia – Nel mio
mondo pronunciare „io‟ è una bestemmia. „Io‟ è la divisione che ti
porti dentro… „io‟ è la tua folla di bugie… Ogni volta che affermi
uno dei tuoi „piccoli io‟ stai mentendo. „Io‟ può dirlo solo chi
conosce se stesso, chi è padrone della propria vita… chi possiede
una volontà.»
Ci fu una pausa. Quando riprese a parlare le Sue parole
suonarono ancora più minacciose.
«Non pronunciare mai più „io‟ o qui non potrai più tornare!
Osservati… Scopri chi sei!…
To be a multitude means to be trapped in an unreal,
inescapable, self-created system of false beliefs and lies. That you
yourself created. Lack of unity leaves man in the prison of
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La Scuola degli Dei
ignorance, fear and self- destructiveness, and causes illness,
degradation, violence, cruelty and wars in the outer world.
Il mondo è come tu lo sogni… è uno specchio. Fuori trovi il
tuo mondo, il mondo che hai costruito, che hai sognato. Fuori trovi
te! Vai a vedere chi sei. Scoprirai che gli altri sono l‟immagine
riflessa della bugia che ti porti dentro, del compromesso, della tua
ignoranza…
Cambia!… e il mondo cambierà.
Crei un mondo malato e poi hai paura della tua stessa
creatura, della violenza che tu stesso hai generato. Credi che il
mondo sia oggettivo… ma il mondo è come tu lo sogni. Vai nel
mondo e accettali… Incontra i poveri, i violenti, i lebbrosi che ti
porti dentro. Accettali… Non evitarli, non accusarli… Arrenditi al
tuo mondo. Vai e accetta consapevolmente quello che hai creato: un
mondo rigido, ignorante… senza vita.
Il potere di un uomo è nel possedere se stesso e nello stesso tempo,
arrendersi a se stesso.»
Bruscamente, la voce assunse il tono ruvido di un ordine:
«In Mia presenza… carta e penna! – comandò – Non lo
dimenticare mai.»
Il tono perentorio, quell‟improvviso cambiamento di
soggetto, mi sconcertarono. Poi lo sconcerto si trasformò
rapidamente in paura e questa in panico.
Mi sentii sovrastato da una minaccia mortale. Ogni senso era
teso allo spasimo quando sentii la Sua voce diventare un sibilo
potente:
«Questa volta dovrai scrivere. Carta e penna saranno la tua
sola salvezza – disse – Scrivere le Mie parole è il solo modo che hai
per non dimenticare… Scrivi! Solo così potrai racimolare i brandelli
sparsi della tua esistenza.»
Poi, come se non si fosse mai interrotto, si riallacciò alla mia
ultima affermazione e rimbeccò:
«Un manager è un impiegato che si sforza di credere in
quello che fa; si impone una fede… è il sacerdote di un culto che,
per quanto mediocre, gli dà un‟appartenenza, l‟illusione di avere
una direzione. Ma tu non hai neppure questo! Pensieri, sensazioni e
desideri in assenza della volontà sono schegge impazzite nell‟Essere
e tu, un frammento in balia nell‟universo… »
Quelle parole mi si rovesciarono addosso come una doccia
fredda ed improvvisa che mi lasciò boccheggiante. La temperatura
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L‟Incontro con il Dreamer
sembrò abbassarsi di parecchi gradi e mi sentii gelare. Uno
sconfinato imbarazzo, come non lo avevo ancora provato in tutta la
vita, mi pervase con crudele lentezza. Il tono era un sussurro rauco,
senza dolcezza.
«Nelle tribù indiane d‟America c‟era una casta degli ultimi:
uomini che non erano né sciamani né guerrieri; non cacciavano,
non competevano né per il rango né per le donne… Erano adibiti ai
lavori più umili e gravosi. Erano quelli che indietreggiavano
davanti alle prove di coraggio, di incorruttibilità.»
Qui si fermò. Poi, rapido, lanciò la sua stoccata. Ero
paralizzato e non potei fare nulla per pararla o fermarla.
«In qualunque tribù, primitiva o moderna – sussurrò con
ferocia – tu saresti messo lì, a quel punto della scala… »
Il colpo mi raggiunse in pieno petto. Esplosi di vergogna.
Adesso non volevo neppure più che smettesse. Volevo soltanto
fuggire; trovare la forza di girare le spalle, semplicemente, e sparire.
Se solo uno squillo di telefono o il suono di una sveglia mi avesse
tirato fuori di lì. Ma non potevo muovere un muscolo né fare un
movimento. Una legge implacabile, lì, nel mondo del Dreamer, non
consentiva un solo gesto né un sospiro che non avesse dignità.
«Lo so, vorresti uscire dal Sogno – incalzò – Ma Io sono la
realtà. La tua vita, il mondo in cui credi di poter scegliere e
decidere, sono irreali… sono un orribile incubo. Sposarti, avere
figli, far carriera, avere una casa, essere stimato e riconosciuto
dagli altri… e tutto quello in cui hai creduto, sono feticci senza
senso che hai idolatrato e messo avanti a tutto.»
«Solo il Sogno è reale – affermò – Il Sogno è la cosa più
reale che ci sia. Impara a muoverti nel mondo del reale. Qui le tue
abitudini e convinzioni, i tuoi vecchi codici non hanno più valore...
Quella che tu chiami realtà è solo apparenza, va totalmente
capovolta e non c‟è nulla del vecchio che puoi portarti dietro...
Dovrai imparare un nuovo modo di pensare, di respirare, di agire e
di amare… »
«Hai vissuto un‟esistenza senza scopo… dolorosa. Nascosto
dietro un impiego, dietro la protezione illusoria di uno stipendio,
stai perpetuando la povertà, la sofferenza del mondo – diagnosticò
con voce dolce e severa, come alla constatazione di un danno grave
– La vita è troppo preziosa per dipendere ed è troppo ricca per
perdere! È ora di cambiare!»
Una pausa moltiplicò la forza delle parole che seguirono.
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La Scuola degli Dei
«È tempo di abbandonare la tua visione conflittuale del
mondo. È tempo di morire a tutto ciò che non ha vita. È tempo di
una rinascita. È tempo di un nuovo esodo, di una nuova libertà. È la
più grande avventura che un uomo possa immaginare: la
riconquista della propria integrità.»
Gli occhi si erano quasi abituati a quella penombra quando
l‟aurora cominciò a dissipare il buio della notte. Un raggio di sole
colpì la grande trave di mogano su cui poggiava la cappa di pietra.
Incise e dipinte in oro, a grandi lettere gotiche, apparvero le parole:
Visibilia ex Invisibilibus.
2 Il lavoro è schiavitù
«Chi sei?» ebbi appena la forza di chiedere.
«Io sono il Dreamer – disse – Io sono il sognatore e tu il
sognato. Un attimo di sincerità, una breccia nel muro delle tue
bugie, ti ha permesso di arrivare a Me.»
Il silenzio che seguì allargò i suoi cerchi all‟infinito. La Sua
voce divenne un fruscìo.
«Io sono la libertà! – annunciò – Dopo avermi incontrato
non potrai più vivere un‟esistenza così insignificante.»
Le parole che seguirono sarebbero rimaste per sempre incise
nella memoria.
«Dipendere è sempre una scelta personale, anche se
involontaria. Niente e nessuno può costringerti a dipendere, solo tu
puoi farlo.»
Fissandomi di proposito, affermò che l‟attitudine ad accusare
il mondo e a lamentarsi era la prova più certa della incomprensione
di questi princìpi. Un uomo non dipende da un‟impresa, non è
limitato da una gerarchia o da un boss, ma dalla sua paura. La
dipendenza è paura.
«Dipendere non è l‟effetto di un contratto, non è legato a un
ruolo né nasce dall‟appartenenza ad una classe sociale… Dipendere
è la conseguenza di un abbassamento della propria dignità. È il
risultato di uno spappolamento dell‟Essere.
Questa condizione interna, questa degradazione, nel mondo
prende la forma di un impiego, assume l‟aspetto di un ruolo
subordinato. Dipendere è l‟effetto di una mente resa schiava da
timori immaginari, dalla propria paura…
23
L‟Incontro con il Dreamer
La dipendenza è l‟effetto visibile della capitolazione del Sogno.»
Questa conclusione, il modo in cui aveva pronunciato ogni
volta la parola „dipendere‟, la lenta scansione delle sillabe, stavano
rivelandone il vero significato nascosto dalla banalità dell‟uso
comune.
«La dipendenza è una malattia dell‟Essere!… Nasce dalla
propria incompletezza – denunciò il Dreamer – Dipendere significa
smettere di credere in se stesso. Dipendere significa smettere di
sognare.»
Più rimuginavo quelle Sue parole e più le sentivo scavarmi
dentro. Il mio risentimento si acuì fino a diventare collera. Quel Suo
modo di tranciare giudizi su una categoria così vasta di persone era
intollerabile. Cos‟aveva a che fare la vita, il lavoro di un uomo, con i
suoi sentimenti o con le sue paure? Per me questi due mondi, interno
ed esterno, erano sempre stati separati e tali dovevano restare.
Credevo fermamente che si potesse dipendere fuori ed essere liberi
dentro. Questa certezza alimentava la mia indignazione.
«Come milioni di uomini, hai vissuto l‟esistenza nascosto
tra le pieghe di organizzazioni senza vita – mi accusò − Hai
barattato la tua libertà per un pugno di certezze illusorie. È tempo
di uscire dal tuo sonno ipnotico… dalla tua visione infernale
dell‟esistenza!»
Nessuno mai mi aveva trattato così.
«Chi ti dà l‟autorità di parlarmi in questo modo?» sbottai in
tono di sfida.
«Tu»
Quella risposta, inaspettata, mi recluse in uno stato di
impotenza. Provavo uno schiacciante senso di colpa. Avrei voluto
nascondermi. Un‟inspiegabile sensazione di vergogna mi faceva
sentire nudo di fronte a quell‟Essere che ancora non aveva un volto.
Sentii l‟impulso di fuggire. Con le ultime forze tentai di recuperare
quella situazione che mi stava catapultando fuori dai confini del
mondo.
«Ma come potrebbero le organizzazioni funzionare senza
dipendenti?» dissi con pacatezza nel tentativo di ricondurre quel
dialogo nei termini della coerenza e della ragione.
Il Dreamer taceva. Incoraggiato dal Suo silenzio che
scambiai per perplessità, o incapacità a rispondermi, incalzai:
«Se non ci fossero loro… si fermerebbe il mondo… »
24
La Scuola degli Dei
«Al contrario! – ribatté seccamente – Il mondo è fermo
perché esistono uomini che dipendono, uomini spaventati a morte.
L‟umanità così com‟è non può concepire una società libera dalla
dipendenza.»
Accorgendosi che il limite delle mie capacità di
comprensione era stato raggiunto e superato, alleggerì il tono che
diventò quasi incoraggiante.
«Non temere! – disse con sarcastica sollecitudine – Finché ci
saranno uomini come te il mondo della dipendenza ci sarà sempre e
continuerà ad essere densamente abitato.»
La pausa che seguì raggelò l‟aria tra noi. Il Suo tono da
leggero ed ironico diventò duro come l‟acciaio.
« Tu!… non potrai più farne parte… perché hai incontrato
Me .»
Sentii un bisturi di luce perforare dolorosamente strati
calcificati di pensieri e ciarpame emozionale.
«La dipendenza è la negazione del Sogno – continuò – La
dipendenza è la maschera che gli uomini indossano per nascondere
l‟assenza di libertà, la rinuncia alla vita .»
Quella parola, „dipendente‟, l‟avevo ascoltata e pronunciata
tante volte, ma solo da quel primo incontro con il Dreamer ne
realizzai tutta la dolorosità. La condizione impiegatizia si rivelava
una moderna trasposizione dell‟antica schiavitù. Uno stato di
immaturità interiore, di soggezione. Attraverso uno squarcio nella
coscienza, vidi masse umane condannate al destino di Sisifo,
incatenate alla ripetitività senza fine di un lavoro-fatica, di un lavoro
non scelto, di un lavoro senza creatività.
In un flashback, rividi la facciata dell‟edificio della Rusconi
a Milano, in Viale Sarca, con l‟insegna „Ingresso Dipendenti‟
torreggiante sulla lunga teoria di varchi riservati agli impiegati.
Attraverso quelle strettoie immaginai uno sterminato esercito di
esseri curvi, sconfitti, passare come i romani nel Sannio sotto le
Forche caudine, una processione planetaria di uomini e donne che
avevano smesso di credere nella propria unicità. Un presagio di
morte dell‟individuo oscurò l‟aria e tutta la tristezza di quella sorte
mi strinse l‟anima in una morsa d‟acciaio.
Il Dreamer penetrò in questa visione con la delicatezza di chi
sta avvicinando i lembi di una ferita mortale. Le Sue parole avevano
un‟intonazione ieratica quando annunciò:
25
L‟Incontro con il Dreamer
«Un giorno una società sognante non lavorerà più.
Un‟umanità che ama sarà abbastanza ricca per sognare e sarà
infinitamente ricca perché sogna.
L‟universo è totalmente abbondante, è una cornucopia
traboccante di tutto quello che il cuore di un uomo può desiderare...
In un tale universo è impossibile temere la scarsità. Solo uomini
come te, intrappolati nella paura e nel dubbio, possono essere
poveri e perpetuare la dipendenza e la miseria nel mondo.»
«Ma io non sono povero!» gridai con voce strozzata
dall‟indignazione.
«Perché dici questo?»
Dentro di me giustificavo, ed affastellavo tutte le possibili
ragioni per dimostrare l‟assurdità di quell‟accusa. Il Dreamer
restava silenzioso.
«Io non sono povero! – gridai di nuovo – Ho una bella casa,
ho un lavoro da dirigente, ho amici che mi stimano… ho due figli ai
quali faccio da padre e madre… »
Qui mi fermai, sopraffatto da quell‟intollerabile ingiustizia e
da quell‟offesa senza fondamento.
«Povertà significa non vedere i propri limiti… – precisò il
Dreamer – Essere povero significa aver ceduto il proprio diritto di
artefice in cambio di un lavoro che non ami, che non hai scelto.»
«Tu! – aggiunse quando già speravo che avesse finito – sei il
più povero tra i poveri. Perché ancora non sai chi sei… Hai
„dimenticato‟! A nessun altro ho dato tante opportunità per farcela.
Questa è l‟ultima volta.»
D‟un tratto, quel sentimento di offesa, di ingiustizia, che
aveva invaso ogni angolo del mio Essere svanì, ed ogni mia difesa
cedette sotto quel decisivo colpo d‟ariete. Sentii gemere i vecchi
cardini su cui poggiava la mia esistenza. Le convinzioni più radicate,
come templi scossi dalle fondamenta, stavano crollando.
«Apri gli occhi sulla tua condizione e saprai quanto l‟uomo
si sia allontanato dalla sua regalità. Siamo qui apparentemente
nella stessa stanza, eppure ci separano eoni infiniti di tempo.»
A quelle parole, come al bagliore di un lampo che lacera il
buio della notte, ebbi la percezione della distanza da quell‟Essere.
Realizzai la falsità della mia dignità offesa e l‟insignificanza di
quell‟„io‟ che, come uno squittio all‟universo, avevo pronunciato
davanti al Dreamer. Come il sipario su un‟opera buffa, cadde la mia
26
La Scuola degli Dei
illusione di appartenere ad una classe decisionale, a una élite di
uomini responsabili, dotati di volontà, indipendenti, padroni della
propria vita. Avevo gli occhi lucidi. Senza accorgermene stavo
scivolando nelle sabbie mobili dell‟autocommiserazione.
Provvidenzialmente, il Dreamer intervenne con un ruvido
massaggio all‟Essere:
«Ora svegliati! Fai la tua rivoluzione… Insorgi contro te
stesso!» mi ordinò scuotendomi ed offrendomi una via d‟uscita
dall‟angolo di contrizione in cui mi stavo rinserrando.
«Sogna la libertà… la libertà da ogni limite… Tu sei il solo
ostacolo a tutto quello che puoi desiderare. Sogna… Sogna… Sogna
senza posa! Il Sogno è la cosa più reale che ci sia.»
3 “Sono una donna…”
Poi la Sua intonazione cambiò e la voce, da profonda e
risoluta, si trasformò in quella di una donna. Quel cambiamento mi
gelò il sangue nelle vene. Non era possibile! Quella voce... era...
era... Il pensiero cadde in una voragine… Le parole che pronunciò,
anche se non più violente, divennero insostenibili.
«Sono una donna in fin di vita» disse quella voce.
La pausa che seguì mi diede tutto il tempo di assaporare la
nausea dolciastra di un terrore sconosciuto. Ero paralizzato,
impotente a sollevare lo sguardo. Un occhio impietoso, grande come
l‟intero orizzonte, si stava aprendo sul mio passato.
«Sono una donna ammalata di cancro che ti maledice per il
tuo abbandono, per l‟incapacità di sostenere la sua morte
annunciata.»
Proteso nell‟ascolto, il corpo percorso da brividi, sentivo che
ogni parola stava sospingendomi verso la bocca di un baratro. Era
Luisella che mi stava parlando, raggiungendomi oltre il tempo, oltre
i confini della vita, con la sua dolcezza indifesa. Le terribili
circostanze della sua morte, a ventisette anni, stavano ora
ripresentandosi alla coscienza. La grettezza di tanti episodi della
nostra vita insieme, l‟egoismo che mi aveva fatto barattare tutto e
tutti contro un briciolo di sicurezza, le preoccupazioni legate al
denaro, alla carriera e l‟incapacità di amarla, mi esplosero dentro in
un‟unica percezione di dolore. Una vergogna infinita, quasi un
27
L‟Incontro con il Dreamer
ribrezzo, mi inondò l‟anima. Cercai di staccarmi dall‟uomo che ero
stato.
«Questa è la „tua‟ morte – mi disse – è la morte di tutto
quello che sei stato, la morte del vecchiume che ti porti dentro…
Non sfuggirla… Affrontala una volta per sempre! Un uomo per
„rinascere‟ deve prima „morire‟.»
«Cosa significa “morire”?» chiesi. La sottomissione della
mia voce sorprese me per primo e capii quanto fosse cambiato il mio
atteggiamento.
«Morire significa scomparire da un mondo grossolano
governato dalla sofferenza per riapparire ad un livello più alto.»
disse enigmaticamente. Ancora non riuscivo a capire. Una parte di
me resisteva ancora.
Quelle idee, quelle parole mai ascoltate prima, mi stavano
dilaniando. Poi un fiume in piena travolse ogni argine e m‟inondò
l‟Essere trascinando con sé i ricordi, gli amici, le mie convinzioni
più radicate. Per anni avevo disperatamente studiato per essere il
primo. Avevo lavorato instancabilmente per affermarmi, spinto
dall‟ambizione di diventare qualcuno. Vincere, vincere… superare
qualsiasi ostacolo si frapponesse tra me ed il mio obiettivo.
Competere e vincere nel mondo, vincere sugli altri, era questo il
principio che aveva guidato la mia vita, l‟unico in cui avevo
veramente creduto... Ed ora, avrei dovuto rinnegare, annullare tutto
questo? Mi sembrava ingiusto che il Dreamer condannasse i miei
sforzi. Travolto dai flutti, ancora mi aggrappavo a quella voglia di
emergere, a quel relitto della volontà che credevo la parte più sana,
più vitale di me.
«Qualunque cosa accada fuori di te deve avere la tua
approvazione per manifestarsi. Questo significa che qualunque
evento della tua vita è il riflesso fedele della tua volontà» disse, ed
io ingoiai queste parole come boccate di ossigeno dopo una lunga
apnea. Il tentativo di razionalizzare quello che stava accadendo mi
fece perdere quell‟attimo di lucidità. Un‟angoscia mortale prese il
suo posto.
Ero quindi responsabile della morte di Luisella, ero stato io a
volerla, a chiederla?
«Il mondo ti muore intorno perché tu muori dentro… Una
persona cara sparisce per farti realizzare la tua visione mortale
dell‟esistenza che é la vera causa di tutte le tue difficoltà… Non
permettere che la tua incomprensione e autocommiserazione
28
La Scuola degli Dei
rendano inutile il suo sacrificio. Qualunque circostanza o evento ti
permetta di capire e conoscere te stesso, anche se insopportabile, è
sempre bene.»
«Come posso rimediare, cambiare questa tragedia?... Darei la
mia vita per questo…»
«Sei un bugiardo e il tuo passato è il riflesso della tua
ipocrisia e della tua immaginazione malata. The slightest change in
your Being projects an entire different past history. The „now‟
moment is in fact the only point of physical experience where you
can really change your personal history. With each change of your
Being, you are a different person living in a different world. The
illusion that you are still the same person with the same past, is
because you believe yourself to still be the same person having the
same past.»
«With the slightest change of your inner states, the memory
of your past, your future and the entire universe will simultaneously
change. Your past, which you believe to have really lived, and feel to
be so familiar, is just an imaginary experience that you produce in
this precise instant.
Remember! All possibilities lie in Now!»
4 Una specie in estinzione
«Nessuno mai può prevalere sugli altri! – disse il Dreamer
penetrando tra i miei pensieri sparsi come rottami – L‟idea di
prevalere sugli altri è un‟illusione… un pregiudizio della vecchia
umanità, conflittuale, predatoria… perdente.»
La pausa che seguì mi diede per qualche istante l‟illusione di
una tregua. Ma era solo il sollevarsi di un maglio pronto ad
abbattersi con ancora più peso.
«Tu sei l‟emblema di questa specie in estinzione – sentenziò
sferrando il colpo – una specie che sta lasciando il posto ad un
Essere più evoluto.»
Le Sue parole stavano scavando un tunnel attraverso strati e
strati di vecchiume. Sentii gli spasimi di una creatura nello sforzo
supremo di nascere e disperai di farcela. Poi l‟universo si fece
malleabile, fluido, fino a diventare liquido. Stavo ora nuotando in
acque profonde.
29
L‟Incontro con il Dreamer
«Quello che senti come un senso di morte è l‟asfissia di
un‟umanità che sta cambiando pelle, di una specie sul ciglio
dell‟abisso costretta ad abbandonare le sue superstizioni, i vecchi
trucchi che ormai non funzionano più.»
Quelle parole si scolpirono nell‟aria come un‟epigrafe
universale della condizione umana. Mi vidi annaspare tra una distesa
sterminata di teste altalenanti, naufraghi già rassegnati ad annegare,
a lasciarsi morire.
«Gli uomini, fin dai primi anni, sono educati a vivere nelle
zone più desolate dell‟Essere… Messi di fronte ad un‟idea troppo
grande, o a qualunque cosa che esorbiti dai limiti della loro visione,
l‟avversano e tentano di rimpicciolirla pur di farla rientrare nel
minuscolo contenitore della loro coscienza.» Associai a queste
parole le immagini dei selvaggi del Borneo che rinsecchiscono le
teste dei loro nemici per esorcizzarne la forza. La Sua voce mi
sottrasse bruscamente a questi pensieri.
«Per te è tempo di affrontare il „viaggio‟» annunciò con
paterna gravità.
C‟erano nelle Sue parole la tenerezza, l‟accoramento, ed
insieme, l‟autorità di chi sa. Notai che il Suo tono si adeguava
perfettamente alla mia attitudine nell‟ascoltarlo, come se mi
riflettessi in uno specchio sonoro. Aspra e terribile contro le mie
resistenze, violenta quanto la mia disposizione, riposante e dolce
come la mia resa, la Sua voce aveva ora preso a parlarmi in tono
diverso. Con un gesto teatrale, accostò la mano all‟angolo della
bocca, come per farmi una comunicazione confidenziale, e sussurrò:
«Di fronte ai test della vita finora non hai trovato di meglio
che stordirti di lavoro o cercare rifugio nel sesso, nel sonno o in
qualche letto d‟ospedale.»
Poi con intenzionale rudezza, per scuotermi dalla
autocommiserazione in cui stavo scivolando, disse:
«Curvarsi sotto il peso di situazioni spiacevoli, di sciagure,
prenderle terribilmente sul serio, significa rafforzare la descrizione
luttuosa del mondo, e perpetuarne gli eventi.»
«E allora, cosa avrei dovuto fare?» chiesi con la voce rotta
dalla disperazione.
«Se un uomo cambia la sua attitudine verso ciò che gli
accade, questo nel corso del tempo modificherà la natura stessa
degli eventi che incontra.»
30
La Scuola degli Dei
«Our Being creates our Life» completò avvicinandosi
impercettibilmente. Si trattò in tutto di pochi centimetri, ma quel
movimento mi inquietò. Entrai in uno stato di allerta, di angosciosa
vigilanza. Non sapevo cosa aspettarmi. Non ero mai stato così
attento; come se le cellule, bruscamente destate da un sonno
ancestrale, fossero ora ad orecchi ed occhi sbarrati, protese
nell‟ascolto. Il Dreamer attese che la mia attenzione fosse allo
spasimo, poi pronunciò le parole più insostenibili.
«La morte di tua moglie è la materializzazione, la
rappresentazione drammatica del canto di dolore che da sempre ti
porti dentro. Stati ed eventi sono le due facce di un‟unica realtà.»
Stavo venendo meno. Provai la nausea di un insostenibile
senso di colpa. Una voragine senza fondo mi si allargò davanti
pronta ad ingoiarmi. Stavo resistendo con tutte le mie forze alla più
semplice ed insieme alla più insostenibile delle verità: ero io l‟unico
responsabile di ogni evento della mia vita, ero io la sola causa di
ogni sofferenza, di ogni sventura.
Le luci del mondo impallidirono; stavano per spegnersi. Ero
sul limite di un limbo. Lentamente vi scivolai arrendendomi ad un
torpore irresistibile…
5 Il risveglio
Appena sveglio non potei pensare ad altro. Fuori era ancora
notte. Il traffico di Manhattan scorreva in fiumi sottili, bave
luminose alimentate dalla bocca di un vulcano invisibile. Restai per
qualche tempo immobile ad osservare il „mondo‟ galleggiare sulla
mia coscienza col pallore di un fantasma. Una lucidità nuova,
spietata, stava setacciando ogni angolo della mia vita e di
quell‟appartamento. A quella velocità, mobili, libri, arredi,
riflettevano la sofferenza di una vita insignificante e senza gioia. Mi
strinse il cuore quella mestizia speciale che emana dagli oggetti
senza più padrone. Sentii lo sforzo immane di esistere,
l‟impossibilità di cambiare. Uno spasmo si associò al pensiero di
incontrare i bambini, di vedere nei loro occhi la stessa morte che
impregnava ogni cosa intorno. Temevo che potessero sbiadire e
svanire con tutto il resto.
Lavorai per ore a trascrivere quanto era accaduto
nell‟incontro col Dreamer e tutto quello che avevo ascoltato da Lui
31
L‟Incontro con il Dreamer
in quella villa misteriosa, nell‟appartamento dal pavimento bianco.
Quell‟Essere era ormai parte della mia vita. Riportai fedelmente le
Sue parole e ogni dettaglio di quell‟incontro. Non fu difficile. Mi
bastava socchiudere gli occhi per vedere affiorare alla memoria ogni
particolare con assoluta nitidezza. Non ero mai stato così lucido
come nel tempo senza tempo trascorso accanto a Lui. Ora sapevo di
appartenere al mare buio di un‟umanità divisa, inconsapevole, a una
folla planetaria di sonnambuli incapaci di amare. Non avrei più
potuto fingere o ignorarlo.
Nelle settimane che seguirono lessi e rilessi scrupolosamente
gli appunti alla ricerca di qualche traccia che potesse ricondurmi da
Lui, nel Suo mondo.
Dalla terrazza del Café de la France osservavo i turisti
occidentali addentrarsi nel Souk. Li vedevo circolare nel dedalo
delle sue strade, globuli bianchi nelle vene di El Fna. Avanzavano
con difficoltà, assediati da indigeni vocianti, da una selva di mani
mendiche cotte dal sole, da venditori d‟acqua bardati di otri lanuti.
Giovani venditrici di monili blandivano gli stranieri di passaggio, li
strofinavano come talismani cui chiedere la magia di pochi dirham.
Conoscevo i loro sguardi − lame di fuoco nero − ed i sorrisi
imploranti, come in un gioco d‟amanti.
Da tre giorni ritornavo in quel caffè circondato dalla vita
pulsante di Marrakech. Attendevo leggendo e sorseggiando tè. Mi
teneva compagnia una coppia di camaleonti comprata al mio arrivo.
Ogni tanto abbandonavo la lettura ed osservavo il caleidoscopico
spettacolo della vita di strada, il brulicame dei commerci, il lavorìo
intenso degli indigeni. Poi tornavo al mio tavolo. Cominciavo a
scoraggiarmi! Il pensiero di tornarmene a New York, di prendere il
primo volo e non pensarci più, ricorreva frequentemente man mano
che passavano le ore ed i giorni. Stavo ancora tentando di
raccapezzarmi, di trovare il bandolo di quanto mi stava accadendo.
Ero partito per incontrarLo senza altra indicazione che il nome di
quella città, una manciata di palme e di case rannicchiate tra le
labbra infuocate del Sahara.
Dopo aver ricevuto il Suo messaggio, avevo esitato a lungo
prima di partire. Mi sembrava una pazzia attraversare l‟oceano per
andare ad incontrare un Essere fantastico di cui neppure sapevo il
nome. Mille difficoltà erano insorte ed avevano congiurato ad
avversare quel viaggio. Soprattutto mi era apparso impossibile
32
La Scuola degli Dei
trovare il modo di giustificarlo a Jennifer. Giorno dopo giorno avevo
rimandato la decisione. Poi il bisogno di riprovare quel senso di
guarigione che avevo sentito solo accanto a Lui, il timore di perdere
quell‟unica possibilità di ritrovarLo, ebbero il sopravvento e decisi
di partire. Mi aiutò a prendere questa decisione la mia confidente,
l‟unico essere umano al quale avevo parlato del Dreamer e del mio
incontro con Lui: Giuseppona.
«Vai, figlio» mi incoraggiò nel suo linguaggio essenziale, dal
forte accento napoletano, quando andai a parlargliene nella sua
cameretta «Trovalo! Questo Dreamer mi sembra una brava
persona.»
Giuseppona mi aveva visto nascere. Era da sempre parte
della famiglia, ed aveva aiutato Carmela a partorirmi. Con lei avevo
mosso i primi passi, con lei accanto avevo affrontato i primi giorni
di scuola. Ogni mattina, accompagnandomi, ascoltavo da lei la storia
sempre nuova dei vicoli e della gente di Napoli. Da lei suggevo ed
assimilavo gli umori, le leggende e gli eroi di quella città dal cuore
antico, propaggine immemore di civiltà indossate l‟una sull‟altra,
come il costume a sbuffi di pulcinella, diventate poi strati della sua
pelle. Con Giuseppona, le sentivo ancora vive e pulsanti; sotto toppe
e sbrindelli vedevo trapelare bagliori di ori e sete preziose. Ancora
ricordo il mio imbarazzo quando, nei giorni di pioggia, irrompeva in
aula a metà mattinata, dopo aver travolto custodi e bidelli, per
cambiarmi le calze e le scarpe bagnate. Crescendo non volli più che
mi tenesse per mano e, per qualche tempo, ancora mi accompagnò,
seguendomi a distanza. Da adolescente, fu la mia confidente in tutte
le questioni di cuore. Il suo laconico giudizio: “Tanto chella non
faceva per te!”, per anni concluse consolatoriamente le mie
delusioni d‟amore. Adorò Luisella dal primo giorno, e quando ci
sposammo ed avemmo la prima bambina venne a stare con noi. Fu la
migliore governante che avremmo potuto desiderare per Giorgia e
Luca cui fu sempre legata da un affetto e una devozione senza limiti.
Autodidatta, decisa e combattiva, dal carattere ruvido e un
po‟ dispotico, Giuseppona era bassa e tarchiata. La struttura fisica ed
i tratti decisi le davano un aspetto da amerinda, a metà tra una
vecchia squaw ed un capo indiano. E di un capo aveva la dignità e il
coraggio. Era lenta, pesante, ma dovunque arrivasse metteva ordine.
Con lei non mancava mai nulla. Il suo giudizio, cui in tanti momenti
della mia vita avevo attinto, era una miscela irripetibile di buon
33
L‟Incontro con il Dreamer
senso e di saggezza popolare. La sua presenza ha portato gioia e
buonumore dovunque mi abbia seguito, in ogni parte del mondo, ed
è stata un riferimento costante per tutta la mia vita.
Quando Luisa si ammalò e poi mancò, fece da mamma ai
miei figli, senza venir meno un giorno. Non potrò mai ripagare il
debito di gratitudine, né esprimere che cosa quest‟Essere ha
rappresentato per quattro generazioni della mia famiglia.
Cara Giuseppona, ti porterò nel cuore, per sempre.
Giunto a Marrakech, ogni mia ricerca del Dreamer era
risultata vana. Arrivato al terzo giorno, non ero neanche più certo
che il sibillino biglietto che mi aveva portato fin lì fosse Suo.
Avevo occupato le lunghe ore di attesa girovagando per la
città alla ricerca di qualche indizio. Per due notti, di ritorno all‟Hotel
dopo un‟intensa giornata di ricerche risultate infruttuose, avevo
ripassato mentalmente ogni dettaglio del nostro incontro alla ricerca
della più piccola traccia che potesse portarmi da Lui.
Quella mattina stavo attraversando ancora una volta il cuore
del Souk, quel dedalo ombroso di stradine odorose di spezie, i sorrisi
levantini di cento mercanti mi invitavano ad entrare nei loro empori,
in botteghe e negozi sovraccarichi di mercanzia improbabile. Si
trattava per lo più di cianfrusaglie arrivate lì e disposte in ordine
sparso, come relitti dopo un naufragio. La teoria interminabile di
questi antri commerciali, spesso inospitali, bui come celle di arnie,
faceva da ripa ad un fiume umano che scorreva trascinando con sé
nazionalità, etnie, colori e lingue del mondo.
Un uomo dall‟abbigliamento pittoresco, un mustafà
corpacciuto uscito dalla matita di Disney, seppe attirarmi nella sua
bottega, tra la delusione e l‟invidia dei vicini. Aveva un viso bonario
ed intelligente, gli occhi furbi e maliziosi. L‟interno del negozio si
rivelò insospettabilmente spazioso. Assistito da due aiutanti, lo mise
letteralmente all‟aria per trovare qualcosa che potesse interessarmi,
un oggetto da vendermi. Srotolò cento tappeti e lucidò sulla manica,
prima di darmeli da esaminare, un bazar di oggetti di ottone e
d‟argento. Dopo lunghi tentativi e un numero incalcolabile di tè, che
gli usi locali non permettono di rifiutare, avevo ormai deciso di
uscire.
Da un ultimo scaffale, estratto da una montagna di
cianfrusaglie, venne fuori uno scrigno di legno e di avorio. Era così
finemente intarsiato, le sue proporzioni così perfette, che non
34
La Scuola degli Dei
riuscivo a staccarne gli occhi mentre il mercante, capito il mio
interesse, ne accresceva le lodi e, mentalmente, il prezzo. Sul
coperchio dello scrigno, incisa a caratteri gotici, lessi la scritta:
Visibilia ex Invisibilibus. Tutto ciò che vediamo e tocchiamo nasce
dall‟invisibile.
6 Cambiare il passato
Dal Souk ero tornato al Café de la France a ricuperare i miei
piccoli compagni verdi e squamosi e ora, affacciato alla ringhiera,
stavo riflettendo su quanto era accaduto.
«La prima regola per affrontare il deserto è viaggiare
leggeri» qualcuno disse alle mie spalle. Sobbalzai al suono di quella
voce. Per quanto avessi atteso quel momento e per quanto avessi
desiderato rivederLo non potei trattenere un moto di spavento. Sentii
con raccapriccio l‟ignoto, il miracoloso alitarmi sul collo. Solo a
fatica e voltandomi molto lentamente, trovai il coraggio di
guardarLo.
Il Dreamer mi sorrideva. Il Suo look era quello di un ricco
aristocratico viaggiatore d‟altri tempi. Aveva l‟aria annoiata ed i
modi pigri di uno snob, ma la Sua voce tradiva una inesauribile
energia. Quando cominciò a parlare riconobbi il Suo tono deciso,
apparentemente ruvido.
«Alleggerire l‟Essere richiede un enorme lavoro – mi
premunì entrando in argomento senza preamboli – Richiede
l‟abbandono di tutto quello che genitori, educatori, maestri di
sventura, profeti del disastro, ti hanno imposto. From them we have
learned how to get into victim consciousness; how to get into misery,
poverty and sickness… »
Poi, avvicinando lentamente il Suo viso al mio, aggiunse:
«Da loro abbiamo imparato i mille modi per morire. Dagli
albori della civiltà, attraverso un „contagio generazionale‟, milioni
di uomini, sigillati in un sonno ipnotico, hanno imparato a credere
ciecamente nella scarsità e nel limite.»
«Perché? – chiesi – Perché non dovremmo scegliere la
vastità, l‟assenza di ogni limite… Perché non dovremmo scegliere la
vita? »
35
L‟Incontro con il Dreamer
«Perché l‟uomo è irrimediabilmente ipnotizzato. Dietro
ogni sua sventura, c‟è il male dei mali: la fede incrollabile nella
ineluttabilità della morte…
Il primo passo verso la libertà, il più difficile, è realizzare
che questa paura governa tirannicamente tutta la sua vita.»
Queste parole, la gravità del tono accentuata da quel Suo
movimento di avvicinamento, mi misero in uno stato di agitazione.
Come nei culti e negli spettacoli sacri delle antiche civiltà, la Sua
teatralità trasformava il più semplice atto in un gesto magico, in un
evento cosmico dal forte potere creativo.
«Il tuo passato è un castigo di Dio!» denunciò il Dreamer
con voce roca. E si fermò. Quella pausa fu particolarmente lunga,
come se, per poter andare oltre, attendesse un segnale che tardava ad
arrivare. Poi disse:
«Occorre riscattarlo… redimerlo… Occorre cambiarlo!»
«Cambiare… il passato?» chiesi.
«Nel tuo passato ci sono ancora troppi buchi… conti in
sospeso, debiti interiori mai pagati, sensi di colpa, vittimismo, e
soprattutto angoli oscuri dove regnano ruggine e polvere» elencò,
rovistandomi come un cassetto ingombro di cianfrusaglie.
«Il tuo Essere è un negozio mal gestito, con i prezzi messi a
casaccio – commentò – ciò che ha valore si svende e la
chincaglieria ha prezzi elevati. Andare avanti in queste condizioni
significa fallire…»
Avrei voluto porre un argine alla forza dirompente di quelle
parole che mi incalzavano senza darmi un attimo di tregua.
«Ma com‟è possibile modificare il passato, situazioni ed
eventi già accaduti?» chiesi per difendermi, per deviare quel fiume
che mi investiva di una responsabilità insostenibile.
«Esiste un luogo dove pensieri, sensazioni, emozioni, azioni
ed eventi, sono registrati per sempre e anche dopo anni possiamo
ritrovarli come oggetti accantonati in soffitta, apparentemente
inattivi, inermi. In realtà essi continuano ad agire e a condizionare
tutta la nostra esistenza. È lì che devi ritornare!» Aggiunse che
questo avrebbe richiesto una lunga preparazione.
«Quanto lunga?» chiesi con l‟eccitazione ed il timore di chi
ha davanti un viaggio avventuroso.
«Ci vorranno almeno tanti anni quanti sono stati quelli di
cattiva gestione» fu la lapidaria risposta che bacchettò allo stesso
tempo la mia condotta di vita e la presunzione della mia domanda.
36
La Scuola degli Dei
Un bruciante sentimento di offesa scattò come un
riflesso psicologico condizionato e pervase ogni angolo dell‟Essere.
Poi, rapidamente com‟era insorto, si ridusse ad un brontolio e sparì.
Il Dreamer si era seduto ad uno dei tavolini. Con un cenno mi
indicò un posto accanto a Lui. Il silenzio che seguì durò a lungo e
divenne più profondo a mano a mano che la sera smorzava i mille
suoni che animano El Fna.
7 Perdonarsi dentro
Il tramonto lanciava i suoi ultimi bagliori. Nel cobalto
digradante del cielo Orione era già visibile. La temperatura si era
abbassata improvvisamente ma il Dreamer non diede segno di
risentirne né di voler rientrare. Tutto indicava che stava per aprirsi
un nuovo, importante capitolo del mio apprendistato. Tirai fuori
penna e taccuino, deciso a prendere nota di ogni Sua parola
nonostante il buio incipiente in cui il terrazzo stava rapidamente
sprofondando. Quel gesto mi fece sentire immediatamente a mio
agio. Capii l‟importanza di avere sempre con me carta e penna.
Carta e penna significava ri-cordare, recuperare, raccogliere parti di
me disperse nel mondo, lontano da Lui. Scrivere mentre Gli ero
davanti, annotare le Sue parole, significava entrare in punta di piedi
in zone inaccessibili dell‟Essere. La Sua voce mi colse in flagrante.
«Per conquistare quella speciale condizione dell‟Essere fatta
di libertà, di conoscenza, di potere… occorrono anni di lavoro su se
stessi… occorre „perdonarsi dentro‟» disse, sottolineando con una
particolare inflessione della voce questa espressione che subito mi
sembrò estranea al carattere guerriero ed al linguaggio inesorabile
del Dreamer.
Con uno sguardo si accertò che stessi annotando fedelmente
le Sue parole. Attese che completassi, poi continuò:
«„Perdonarsi dentro‟ non è l‟esame di coscienza di un santo
stupido, ma il vero fare di un uomo d‟azione, il risultato di un lungo
processo di attenzione… di autosservazione. Significa entrare nelle
pieghe della propria esistenza là dove è ancora lacerata… Significa
lavare e curare le ferite ancora aperte… saldare tutti i conti in
sospeso… »
Poi, assumendo un atteggiamento teatralmente guardingo e
abbassando la voce, come per cautelare un segreto, mi confidò:
37
L‟Incontro con il Dreamer
«Perdonarsi dentro ha il potere di trasformare il passato con
tutta la sua zavorra.»
Infinite volte rimestai tra me queste parole dal significato
incomprensibile.
«Tutto è qui, adesso! Passato e futuro stanno agendo insieme
in questo istante nella vita di ogni uomo.»
Queste parole mi riempirono di un‟inspiegabile,
irragionevole felicità. Ero di fronte ad una visione senza limiti.
Passato e futuro non erano mondi divisi ma connessi ed inseparabili.
Una sola realtà. „Perdonarsi dentro‟ era una macchina del tempo...
per poter accedere a un tempo passato che nella visione ordinaria
non c‟era più, e a un tempo futuro che era ancora da venire…
«Capisco che il passato possa agire sulla nostra vita, ma il
futuro?…» chiesi.
«Il futuro, come il passato, è sotto i tuoi occhi, ma tu ancora
non puoi vederlo.»
Fu allora che mi parlò di un „tempo verticale‟, di un „corpotempo‟ che comprimeva passato e futuro in un solo istante. Un
tempo senza tempo la cui porta di accesso è quest‟attimo. Il segreto
è non distrarsi, non allontanarsene mai. Accedere a questo „corpotempo‟ significava poter cambiare il passato e disegnare un nuovo
destino.
Provai un irrefrenabile entusiasmo. Avrei voluto che
quell‟avventura cominciasse subito... Lo volevo con tutte le mie
forze… Ma il mio slancio non ebbe il tempo di abbozzarsi che già lo
sentii spegnersi sotto le severe parole del Dreamer.
«Per uomini come te è impossibile perdonarsi dentro!»
Il tono era quello di un giudizio senza appello.
«Per entrare nel proprio passato e guarirlo, occorre una
lunga preparazione. Solo un lavoro di Scuola può renderlo
possibile.»
«„Perdonarsi dentro‟ è un ritorno a se stessi, è la vera
ragione per cui siamo nati – affermò in tono conclusivo il Dreamer
– Gli uomini non dovrebbero mai interrompere questo processo di
guarigione.»
Il Dreamer mi premunì avvertendomi che questo mi avrebbe
richiesto grandi sforzi e, prima di ogni altra cosa, un lungo lavoro di
autosservazione.
38
La Scuola degli Dei
8 “Self-observation is self-correction”
«Self-observation is self-correction… Un uomo può guarire
qualunque cosa del suo passato se ha la capacità di „osservare se
stesso‟» affermò il Dreamer e proseguì rimarcando come la
condizione dell‟uomo non fosse che un effetto della sua incapacità
di conoscersi, e prima ancora, di osservarsi.
«L‟autosservazione è uno sguardo dall‟alto sulla propria
vita! − la definì il Dreamer e precisò − È come far passare eventi,
circostanze, relazioni del passato, sotto un raggio di luce.»
Per quello che potei capire, „conditio sine qua non‟
dell‟autosservazione è la capacità di condurla in modo imparziale e
senza moralismi. Auto-osservarsi per il Dreamer significava far
scorrere la propria vita non davanti ad un tribunale giudicante, ma
sotto i raggi X di un‟intelligenza distaccata, di un testimone neutrale
che doveva limitarsi ad osservare, astenendosi rigorosamente
dall‟emettere qualsiasi giudizio o dal formulare critiche.
Lontanamente, questo mi fece pensare ad alcuni esperimenti di
psicologia dell‟organizzazione di cui avevo appreso quando ancora
studiavo alla London Business School. Alcune grandi imprese
avevano ottenuto miglioramenti eccezionali della produttività
attraverso il wondering management (come era stato battezzato dai
ricercatori). Questo si fondava sull‟attenzione e propugnava la
funzione di un management errante. Il compito di un wondering
manager consisteva appunto nel „vagare‟, nel far sentire la sua
presenza in tutti gli angoli dell‟impresa, anche i più remoti.
La Sua voce mi distolse bruscamente da quei ricordi e dalle
mie riflessioni, prelevandomi di peso dalle aule londinesi della LBS.
«Self-observation is self-correction» ripeté il Dreamer.
«L‟autosservazione è guarigione… una conseguenza naturale del
distacco che si crea tra osservatore e osservato.
L‟autosservazione permette ad un uomo di vedere tutto
quello che lo tiene incollato al tapis roulant del mondo: pensieri
obsoleti, sensi di colpa, pregiudizi, emozioni negative, profezie del
disastro... È una operazione di distacco, di de-ipnotizzazione, di
risveglio…
La più piccola sospensione dell‟azione ipnotica del mondo,
sgretolerebbe tutto quello in cui ha creduto, farebbe cadere gli
apparenti equilibri e le certezze illusorie affastellate nel corso di
una vita.»
39
L‟Incontro con il Dreamer
«Per questo la maggior parte degli uomini non potrà mai
accedere all‟autosservazione − sentenziò − Distaccarsi dalla
descrizione del mondo, sia pure per un attimo… è un‟impresa al di
là dei limiti ordinari.»
Mi fissò intensamente, a lungo. Stava spostando il mirino del
discorso nella mia direzione. Un nodo allo stomaco anticipò la
dolorosità di quello che stava per accadere.
«Metti in funzione l‟osservatore che è in te!
L‟autosservazione è la morte di quella moltitudine di pensieri ed
emozioni negative che governano da sempre la tua vita. Se ti osservi
dentro, ciò che è giusto comincia ad accadere e ciò che non lo è
comincia a dissolversi.»
In uno sguardo colse la mia espressione di sgomento e
aggiunse:
«Nessuno potrebbe farcela da solo. Incontrarti con te
stesso, con la tua menzogna, avventurarti nei labirinti dell‟Essere
senza una preparazione impeccabile, ti ucciderebbe all‟istante.»
Quelle Sue parole risuonarono come una condanna. Temetti
che mi abbandonasse, che giudicasse il mio caso disperato e ogni
ulteriore impegno a mio favore inutile. Insorse in me una
determinazione disperata, eroica. La mia prontezza lo lasciò
riflessivo. Lentamente assunse una delle Sue posture originali.
Distese l‟indice ed il medio della mano destra e li tenne uniti,
premuti contro la guancia. Poi appoggiò il mento sul cavo del
pollice, mantenendo la testa leggermente inclinata. Restò così,
assorto, per un tempo interminabile. Non sembrava guardarmi, ma
ero certo che neppure uno dei miei pensieri Gli stava sfuggendo.
Stavo giocando il finale di una partita decisiva, forse l‟ultima. Tutto
dipendeva da me. Attesi.
Finalmente il Dreamer uscì dalla Sua immobilità.
«Guarda... è luna piena – disse, puntando l‟astro con un
lieve cenno del mento – Un uomo potrà vederne al massimo mille in
tutti i suoi anni, ma con ogni probabilità alla fine della sua vita non
avrà trovato il tempo di osservarne nemmeno una... Eppure è
esterna. Immagina quanto è più difficile per un uomo osservarsi,
invertire la direzione della propria attenzione. L‟autosservazione è
solo l‟inizio dell‟arte del sognare.»
Restammo silenziosi a lungo. Il terrazzo del Café de la
France, proteso nel buio, era la prua di una starship pronta a fendere
40
La Scuola degli Dei
il cielo stellato. A bordo non c‟eravamo che noi... solitari argonauti
dell‟Essere.
«Preparati – mi avvisò nel tono deciso di un uomo d‟azione
– non sarà una passeggiata.»
Ascoltai attentamente le Sue ultime raccomandazioni. Il
Dreamer sarebbe stato ancora al mio fianco. Freddamente mi espose
il rischio di restare intrappolato in una specie di limbo mentale dove
il passato non è ancora compreso, abbandonato, ed il nuovo non si è
ancora formato. Da quella fascia spazio-tempo non avrei avuto
alcuna possibilità di ritornare nel mondo del Dreamer. Evidenziò che
quello poteva quindi essere il nostro ultimo incontro.
«Il passato di un uomo comune... di un uomo che non ha
ancora avviato neppure i primi passi verso l‟unità dell‟Essere, è
disseminato di uncini – disse – Essi lo artigliano al minimo tentativo
di entrarvi e di portare cambiamento…»
Furono queste le ultime parole che potei ascoltare. Come
un‟imbarcazione che scioglie gli ormeggi, ebbi la sensazione che la
terrazza beccheggiasse e che gli oggetti intorno cominciassero ad
allontanarsi.
“Ci siamo” pensai, facendomi coraggio.
Sentivo con difficoltà quello che il Dreamer mi stava
dicendo, come se la Sua voce fosse coperta per lunghi tratti dal
rumore di invisibili motori. Il terrazzo si trasformò in una macchina
del tempo. L‟universo si sospese, il nastro del tempo si riavvolse e
null‟altro al mondo sembrò essere più importante di quel nostro
viaggio, a ritroso nella coscienza e nel mio passato. Ebbi
l‟impressione di scivolare nel buio impenetrabile di un tunnel, come
se la nostra „macchina‟ stesse attraversando una geologia interiore:
strati e strati calcificati di esistenza.
Dall‟oscurità, un primo frammento della mia vita affiorò,
come un‟isola. Seguii il suo avvicinarsi ed ingrandirsi con la
sensazione di entrare in un mondo familiare e al tempo stesso
arcano, misterioso, ai limiti dell‟ignoto. Nel tempo lineare erano
trascorsi solo pochi anni dagli eventi che con il Dreamer stavo
rivisitando, eppure quella parte del mio passato mi appariva
incredibilmente remota.
41
L‟Incontro con il Dreamer
9 “La morte non è mai una soluzione”
Luisella era morta a ventisette anni. Un melanoma le aveva
lentamente scavato un buco in una gamba come un bambino che
gioca a bucacieca sulla spiaggia. I contorni del mondo si fecero
ancora più confusi, come se vedessi attraverso gli occhi pesti di un
pugile. Per mesi provai solo rancore: un risentimento sordo a metà
tra rabbia e paura.
Stordimento,
dolore...
Buio!...
Criminale complicità di pensieri ed emozioni...
Schegge impazzite dell‟Essere…
Una lama di luce trafigge
il buio della mia esistenza.
Dolore,
stordimento…
Buio! …
Uno squarcio…
Dietro: buio... e dolore…ancora! …
Gli volo incontro, si avvicina, grandeggia,
il pianeta opaco dei miei anni passati…
Atterrare…ma dove?
Non c‟è uno spazio, non un varco,
non un solo millimetro quadrato di sincerità…
nel deserto roccioso dei miei pensieri.
Un budello mi ingoia…
Buio…
Dolore...
Stordimento! …
La cameretta di un ospedale di provincia…
odore di creolina… puzza di malattia e di impotenza.
Una figura affranta, è inginocchiata davanti ad un essere
disteso, immobile…
Mi avvicino…
quell‟uomo spaventato…
sono io!
42
La Scuola degli Dei
Questa è la scena che stavo osservando col Dreamer.
L‟austerità di quella presenza marmorea, già estranea, gettava una
luce spietata su quel piccolo uomo avvilito, ne denunciava
l‟anacronismo. Ascoltai la moltitudine confusa che affannava il suo
Essere; la folla tumultuante dei pensieri, dei desideri piccoli, delle
emozioni che gli si agitavano dentro con una parvenza d‟anima.
Attraverso gli occhi del Dreamer, come sotto l‟effetto di un
allucinogeno, „vedevo‟ oltre le sembianze, il grumo di egoismo e di
paura cui quell‟uomo si era ridotto.
«È un fantasma che piange la propria morte» commentò con
spietatezza il Dreamer indicandolo con un cenno del mento.
«La paura, la sofferenza, l‟angoscia, non sono l‟effetto ma la
causa vera di tutti i suoi guai.»
Il Dreamer mi stava rivelando il male dei mali, la fonte di
ogni sventura, individuale e sociale, locale o planetaria!
«Il caos che ogni uomo si porta dentro, il suo inferno, si
proietta nel mondo materializzandosi in faide, discriminazioni e
guerre tra razze, ideologie, credenze, religioni.»
L‟emozione di quella scoperta si intrecciò all‟orrore, alla
pietà, alla vergogna, quando notai in quell‟uomo i segni marcati di
un precoce invecchiamento.
«Quell‟uomo soffre non perché è davanti ad un evento
luttuoso, doloroso, ma è davanti a quell‟evento perché ha scelto la
sofferenza come sua condizione naturale» denunciò lapidariamente
il Dreamer.
Realizzai che tutto quello che era stato e tutto quello che
sarebbe avvenuto nella mia vita era già lì, compresso in
quell‟istante, come la secolarità di una quercia è racchiusa nel suo
seme. Ogni dettaglio denunciava l‟incuria, l‟abbandono, il
vecchiume della sua vita. Avrei voluto fare qualcosa, avvertire
l‟uomo che ero stato della nostra presenza. Avrei voluto entrargli
dentro per mettere le cose a posto; infondergli un po‟ di dignità,
fargli raddrizzare la schiena curva, cancellare quella smorfia di
dolore dal viso…
«È impossibile intervenire! Non puoi farci nulla!» mi
prevenne il Dreamer. La Sua intonazione era diventata
impercettibilmente più dolce.
«Quell‟uomo ama soffrire!… Potrebbe giurare il contrario,
ma in realtà non uscirebbe dal suo inferno per nulla al mondo.»
43
L‟Incontro con il Dreamer
Ero attonito, incapace di credere a una tale mostruosità. Il
Dreamer colse quella smorfia d‟incredulità nel mio viso e aggiunse:
«Indulgere in quello stato gli permette di restare aggrappato
al mondo, lo fa sentire sicuro. Pur nella dolorosità della sua
condizione, è cullato dall‟illusione che un aiuto possa arrivargli
dall‟esterno…
Se potesse osservarsi… se potesse modificare di un solo
atomo la sua attitudine, le sue reazioni… se avesse la capacità di
innalzare di un solo millimetro un pensiero,un‟emozione, tutta la
sua vita sarebbe trasformata…»
Qui, teatralmente, modificò la Sua voce in un sussurro
potente. Quel repentino cambiamento di tono acuì allo spasimo la
mia capacità di ascolto.
«A man cannot change the events of his life but only his way
to take them.»
«Mi avevi detto che il passato si può cambiare… » obiettai in
tono d‟accusa. Uno struggente senso di delusione, un‟onda di
disperazione mi stava montando agli occhi, come un pianto.
«Questo che vedi, questo frammento della tua esistenza su
cui vorresti intervenire, non è il tuo passato − ribatté seccamente il
Dreamer − È il tuo futuro!»
«Tutto si ripete nella tua vita… Gli eventi ricorrono, sempre
gli stessi, perché tu non vuoi cambiare… Ancora ti lamenti, ancora
accusi il mondo, convinto che qualcuno dall‟esterno possa nuocerti
o essere la causa delle tue sventure…
L‟uomo ordinario imprigionato nella circolarità del tempo non ha
un vero futuro ma solo un passato che ricorre e ricorre…
Ora stai „vedendo‟ attraverso i Miei occhi! Un giorno, quando
ne avrai la responsabilità, saprai che il tuo vittimismo non è una
conseguenza ma l‟origine di tutte le tue sventure… che tu, solo tu,
sei la causa di tutto questo… Solo allora potrai portare luce nel tuo
passato e potrai guarirlo.»
Eravamo nella camera ardente. Accanto a quello di mia
moglie, altri corpi giacevano immobili. Nessuno era giovane come
Luisa. In quel silenzio echeggiarono parole che non avrei più
dimenticato.
«La morte di questa donna è l‟immagine speculare dei tuoi
stati d‟Essere, delle tue morti interne.»
Per quanto il Dreamer mi avesse predetto le difficoltà che
avrei incontrato ripercorrendo i solchi della mia storia, rivivendola
44
La Scuola degli Dei
con Lui accanto, mi sentii schiacciare dal peso della Sua visione. La
responsabilità che ne germinava era insostenibile. Come potevo
accettare di essere l‟ideatore, il regista di quel film dell‟orrore che
chiamavo la mia vita?
«La morte è immorale – annunciò con voce ferma – è
innaturale… La morte fisica è solo la materializzazione di milioni di
morti che ogni giorno avvengono dentro di noi; è la cristallizzazione
di una fede presa in prestito da un‟umanità che indugia nel dolore e
che ama soffrire.»
«Gli uomini hanno fatto della morte la loro via di fuga –
incalzò implacabile, noncurante del mio annaspare – Sanno
perfettamente cosa fare per sopprimersi... conoscono tutte le
tecniche… Il corpo è indistruttibile!… Eppure hanno reso
inevitabile l‟impossibile… Un uomo non può morire, può solo
uccidersi!
Per riuscirci deve mettercela tutta e fare
dell'autosabotaggio, dell'impegno a nuocersi, un lavoro…»
Qui si fermò per cercare le parole che potessero superare le
mie resistenze, la rudimentalità del mio ascolto e aggirare il muro
ipnotico che opponevo a quelle idee rivoluzionarie dal potere
sconosciuto.
«La morte è sempre un suicidio – affermò imprimendo a
quell‟aforisma la forza di un grido di battaglia – Quando questo
modo di pensare diventerà carne della tua carne, capovolgerà la tua
visione e con essa la tua realtà.»
Il Dreamer stava attaccando convinzioni millenarie, la fede
incrollabile condivisa dalla totalità degli esseri umani affratellati
dalla comune condizione di morituri, dalla universale convinzione
che la morte è naturale e inevitabile. Quelle parole mi resero
violento, cattivissimo, come se qualcuno mi stesse strappando d‟un
colpo quanto avevo di più prezioso. Qualcosa mi squarciò l‟Essere.
Un grido muto, incontrollabile, mi echeggiò dentro e permase nel
sottofondo come un brontolio di rancore.
«In questo attimo miliardi di uomini pensano e sentono
negativamente, intrappolati come te, nel tuo stesso risentimento»
disse. Sentendolo penetrare nei recessi dell‟Essere che credevo più
segreti ed inaccessibili, provai una vergogna infinita, come se mi
avesse sorpreso a rubare.
«È questo lo stato d‟Essere che impedisce all‟umanità ogni
possibilità di fuga dai gironi più dolorosi dell‟esistenza» annunciò
con una vena di amarezza.
45
L‟Incontro con il Dreamer
Poi, in tono conclusivo, tirando le fila di quella memorabile
lezione, disse:
«Gli uomini venerano la morte e non la abrogherebbero mai,
neppure se potessero, perché la considerano la soluzione di ogni
loro problema, la fine delle sofferenze e delle mille morti
psicologiche che essi stessi si infliggono… ma la morte non è mai
una soluzione!»
La nebbia ipnotica si diradò, la visione si fece chiara. E
mentre le parole del Dreamer divenivano reali, la morte di Luisella,
in quella stanza parata di nero, con le altre salme allineate nei
lettucci circondate da ceri, mi appariva irreale, come una macabra
messa in scena.
10 La guarigione procede dall‟interno
Proseguendo quel viaggio a ritroso nel passato, approdammo
al periodo degli ultimi mesi di vita di Luisa. Mi rividi nell‟ottusa,
inconsapevole recita del marito addolorato, del capo famiglia non
ancora trentenne, già curvo sotto il peso di una disgrazia troppo
grande. Osservai quel piccolo uomo autocommiserarsi, accusare,
recriminare, rimpiangere. Lo vidi astioso, in preda a livori, a rancori;
perso in immaginazioni malate; palpitante d‟ansia, il cuore stretto tra
gli artigli implacabili dei suoi sensi di colpa. Ascoltai il suo canto di
dolore, quell‟incessante atto d‟accusa verso il mondo e gli altri.
Finché non potei reggere oltre.
«Perché tutto questo? Che cosa ci faccio qui?» gridai al
Dreamer, sentendomi schiacciare dalla vergogna di quella visione.
Avrei voluto girare le spalle e fuggire, ma non potei muovere un
muscolo.
Con inaspettata gentilezza il Dreamer mi rinnovò lo scopo di
quel viaggio: portare luce nel passato, ritornarci con una nuova
comprensione. Era un‟opportunità irripetibile.
«Come in ogni vera guarigione, il processo deve avvenire
dall‟interno» disse distogliendomi provvidenzialmente da quello
stato di vittimismo che rischiava di sopraffarmi ad ogni istante.
«È il nostro Essere che crea il mondo e non viceversa!
Come tutti gli uomini hai sempre creduto che fossero gli eventi a
creare i tuoi stati, che fossero le circostanze esterne a renderti
46
La Scuola degli Dei
infelice, insicuro. Ora sai che questa è una descrizione capovolta
della realtà.»
Stavo riprendendomi. Attesi ancora qualche secondo, poi feci
segno al Dreamer che ero pronto a proseguire.
La tappa successiva fu via Bolognese a Firenze, dove a quel
tempo mi occupavo di formazione manageriale. In quei mesi, con i
colleghi, si era stabilita una sorta di simbiosi emozionale che
combinava la mia attitudine ad auto-commiserarmi con la loro
solidarietà a buon mercato. Senza esserne consapevoli, la mia
„disgrazia‟ li faceva sentire meglio. Attraverso un salutare spavento,
messi di fronte alla precarietà della vita, per un po‟ riuscivano ad
apprezzare la loro mediocre razione di esistenza. Mi trattavano con
la gentilezza e la premura che si ostenta per un malato, per un ferito,
per chi è sconfitto. „Vidi‟ tutto l‟orrore di quel baratto e provai un
profondo sconforto. Da qualunque parte lo osservassi, il mio passato
era intessuto di ombre. Non c‟era il più piccolo brandello da salvare.
Mi aggiravo come un disperato sul luogo di un disastro, alla ricerca
di qualcosa da recuperare: una persona cara, un rapporto, qualsiasi
cosa che avesse utilità o valore. Inutilmente. Avevo il fiato mozzo
per l‟orrore. Senza la presenza del Dreamer non avrei trovato la
forza di andare oltre.
«Non dare colpa agli eventi – disse, vedendomi vacillare
sotto il peso di quelle emozioni – Restare vedovo a ventinove anni
con due bambini non è una maledizione. Un evento non è né bello né
brutto. È soltanto un‟opportunità. Se avessi avuto una disciplina
avresti potuto trasformare quella circostanza in un evento luminoso,
trasferirla ad un ordine superiore… Se avessi avuto il coraggio di
conoscerti non sarebbe stato necessario che Luisa morisse… non
sarebbe stato necessario andare attraverso tante sventure.
Our level of Being attracts our Life… Tutto quello che vedi e
tocchi è l‟immagine riflessa del tuo Essere, di quella incompletezza,
di quel gap che ti porti dentro. Nell‟esistenza non ci sono spazi
vuoti. Se non li colmi intenzionalmente, imponendoti un nuovo modo
di pensare, di agire, dovrà intervenire il mondo con la sua
spietatezza.
Se non vedi, o non vuoi vedere, la malattia si acutizza e la
commedia della tua vita si farà sempre più dolorosa. Tutto avviene
per rivelarti la causa di quella tragedia, per riportarti alla fonte di
tutto questo… e permetterti un giorno di trasformare la visione
mortale dell‟esistenza.»
47
L‟Incontro con il Dreamer
11 I Padroni di casa
Altri frammenti del film della mia vita, immagini del passato,
come fotogrammi in speed motion, si avvicendarono a velocità
prodigiosa. Riconobbi nei visi della gente e nelle strade, le cento
città in cui avevo vissuto, le cento case che avevo abitato. Finché la
intravidi... l‟ombra!... Quella oscura presenza che mi aveva sempre
seguito nella scelta di ogni nuova casa, ad ogni trasloco. Sentii
l‟apprensione strozzarmi lo stomaco in una morsa d‟acciaio.
In ognuna di quelle case avevo trovato un cerbero: proprietari
intrattabili, esseri litigiosi con i quali una sorte ironica, un destino
ricorrente, una mirabile pedagogia aveva voluto che fossero miei
vicini e mi abitassero accanto.
«Guarda attentamente… osservali bene! – mi ordinò il
Dreamer con ferma dolcezza, anticipando la dolorosità di quello che
stava per mostrarmi – Quei padroni di casa sono in realtà una sola
persona. Sempre la stessa. Non cambia mai… Tu non hai mai voluto
„vedere‟ che dietro la maschera, camuffato da padrone di casa, c‟eri
sempre tu. Tu che incontravi te stesso!»
Qualcosa si spezzò dentro. Una porta si chiuse pesantemente
alle spalle e sentii lo scatto metallico delle mandate. Ebbi la certezza
che una volta ascoltate queste parole nulla sarebbe stato più come
prima. Ruppi in un pianto disperato, interno, senza lacrime: la mia
vita era stata quella di un fantasma, un riflesso che ora vedevo
impallidire nello specchio del mondo e sparire senza lasciare tracce.
Le parole del Dreamer vennero a soccorrermi sul ciglio di
quell‟abisso.
«Essi sono i guardiani, i carcerieri che tu stesso hai
assoldato per perpetuare la tua dipendenza. Finché non avrai
eliminato dal tuo Essere quel canto di dolore che da sempre governa
la tua vita, quei fantasmi ritorneranno.»
Il silenzio che seguì durò così a lungo che temetti che il filo
d‟oro che mi legava a Lui si spezzasse. Un‟angoscia mortale mi
assalì al pensiero che mi avesse tagliato fuori dal Suo Sogno.
Fu una sensazione terribile. Per il tempo infinito in cui
sperimentai quel vuoto, quell‟assenza, smisi di esistere. Capii allora
quanto il Dreamer fosse ormai parte integrante della mia esistenza.
Un prezioso funicolo mi connetteva a Lui come ad un organo da cui
succhiavo vita, un terzo polmone da cui aspiravo „aria pura‟.
48
La Scuola degli Dei
Poi nuove immagini del mio passato cominciarono a scorrere
come su una moviola. In qualche modo imparai a gestirle. Ora
potevo fermarle, ingrandirle, avvicinarle o guadagnare prospettiva,
inserirmi o escludermi dalla scena. Rividi la villa di via Fortini,
troppo grande e silenziosa ora che Luisa era nell‟Istituto di via
Venezian a Milano, e Luca e Giorgia vivevano con i nonni in
Piemonte. Rividi quei giorni che si inseguivano rapidi, accendendosi
e spegnendosi come battiti di ciglia. Al tramonto le ombre dei pini
prendevano possesso della vecchia casa insinuandosi come dita
sottili nelle parti più interne del mio Essere.
Non sapevo il motivo per cui il Dreamer mi aveva condotto
proprio lì, ma un tremore incontrollabile si impadronì del corpo.
«Stiamo per entrare nella soffitta della tua vita – disse il
Dreamer rincuorandomi – Negli angoli bui della tua esistenza… C‟è
tanto da eliminare.»
«Liberati di quell‟uomo!− ordinò, indurendo il tono –
scaccialo dalla tua vita una volta per tutte.»
Presi coraggio e ripercorsi la strada in salita, fino al grande
cancello di ingresso. Riconobbi il vento che rotolava giù per la
collina trovando impeto proprio in quel punto. Come un torrente,
scorreva nell‟alveo di quella stradina tortuosa, ne lambiva i ruvidi
muri a secco, screziati del verde e bianco dei capperi selvatici. Entrai
dalla piccola porta di metallo. In fondo vidi parcheggiata la Citroën
di allora.
La villa mi comparve davanti inaspettatamente, tanto era
breve il vialetto interno. Altrettanto improvviso fu l‟incontro con la
sua scalinata di pietra e cotto. Accingendomi a salire, volsi lo
sguardo verso il fondo del giardino, oltre la casa. Indugiai ad
osservare le finestre illuminate della piccola dépendance. Lì abitava
la nostra unica vicina.
I ricordi affluirono alla mente accalcandosi. Sentii il respiro
accelerare mentre cominciavano a scorrere i primi fotogrammi della
mia storia con Judith.
12 Judith, „la signorina‟
Giorgia e Luca la chiamavano „la signorina‟. Appena di
qualche anno più vecchia di me, alta, attraente, Judith era una
persona riservata. Viveva da sola nella casetta in fondo al nostro
49
L‟Incontro con il Dreamer
giardino. Nulla la stupiva veramente e niente sembrava interessarla
oltre i suoi libri e la musica. La sua espressione di imperturbabile
distacco era animata da un battito intenso delle ciglia, agitate come
per uno stupore continuo.
Mi accertai che il Dreamer fosse ancora al mio fianco e mi
avvicinai ad una delle finestre del piccolo soggiorno. Mi
sentivo in tumulto, come allora, quando di notte venivo a cercarla
per sfogare sul suo corpo la mia paura per l‟incapacità di sostenere
quello che mi stava accadendo.
Rividi quel piccolo ambiente, le pareti ricoperte di libri, il
divano centrale tappezzato di un tessuto a fiori, e Judith che faceva
scorrere le lunghe dita sulla tastiera mentre le raccontavo della
malattia di Luisa e dell‟aggravarsi delle sue condizioni. La sua
musica invadeva la stanza facendone vibrare ogni atomo in un
crescendo fino a che copriva quelle parole intrise di menzogna.
Ora potevo sentire tutto l‟orrore dei pensieri di quell‟uomo,
l‟odore nauseante delle sue intenzioni. Per la prima volta vedevo con
chiarezza quale lotta mi straziasse le viscere: combattuto tra il dolore
per quella morte annunciata e la gioia segreta e selvaggia di
liberarmi di mia moglie, del peso di quel matrimonio immaturo,
squilibrato.
un livello oscuro di me stesso, avevo incolpato lei per la mia
infelicità e le mie frustrazioni, per i limiti e gli ostacoli che avevo
incontrato nella mia vita professionale.
«La morte non è mai un fatto accidentale – irruppe la voce
del Dreamer – come non lo sono la malattia, la infelicità e la
povertà. Per anni hai implorato che questo accadesse… senza
ammetterlo nemmeno con te stesso, lo hai intensamente desiderato e
invocato. I sogni si realizzano sempre, anche quelli più oscuri.»
La cortina della finzione si sollevò. Non potevo più
nascondermi. Non sarebbe più stato possibile. Dietro i pianti e la
disperazione di quel piccolo uomo, tra la pelle e la maschera, vidi il
ghigno della mia criminalità. Il fiato si sospese per l‟orrore. Una
forza inoppugnabile mi impedì di fuggire e mi tenne immobile
davanti alla finestra di Judith.
Rividi la scena del nostro incontro. Luisa moriva ed io mi
aggrappavo a quella donna, chiedendo un po‟ di compagnia, la sua
compassione, il suo corpo. Quando Judith capì le mie intenzioni, non
cambiò attitudine, non si turbò. Mi prese per mano e mi accompagnò
in camera dandomi quello che stavo elemosinando: del sesso… per
50
La Scuola degli Dei
dimenticare, per fuggire, per trovare sollievo dalla paura che mi
attanagliava l‟anima. Da allora ci incontrammo spesso. Tra noi non
c‟erano discorsi, e non erano necessari i convenevoli. Di notte la
cercavo per placare la mia angoscia, ma i nostri amplessi si
esaurivano in orgasmi insignificanti come starnuti.
Il Dreamer non me ne risparmiò una di quelle scene e restai
lì, a consumare quello spettacolo, ad assaporare fino in fondo il fiele
del loro squallore.
Luisa era in casa, a pochi metri da noi, oltre il giardino. Non
potevo essere io quell‟uomo... Il ribrezzo divenne insostenibile. Mi
sentii venir meno nel riconoscermi capace di qualunque bassezza pur
di salvare me stesso. Così, crudelmente, si stavano cauterizzando le
ferite ancora aperte del mio passato.
Judith affrontava il rapporto sessuale come un compito da
eseguire scrupolosamente, con impegno e serietà, ma non
permetteva che un solo atomo della mia esistenza si aggrappasse alla
sua vita. La nostra relazione le scivolava addosso senza lasciare
traccia e senza che la sua vita ne fosse minimamente influenzata. Era
frustrante non riuscire veramente a possederla, mi faceva sentire
insicuro quella sua indipendenza. Giunsi alla conclusione che Judith
non viveva per nessun altro che per sé. Mi convinsi che il suo amore
per i libri e per la musica fosse solo un paravento del suo egoismo. E
così, sigillata sottovetro ed etichettata con questo giudizio, la relegai
tra i ricordi del passato. Solo ora, attraverso gli occhi del Dreamer,
vedevo veramente cosa aveva rappresentato per me Judith. Solo
adesso riconoscevo nella sua indole, riservata e schiva di ogni
ipocrisia, l‟attitudine distaccata di un saggio e l‟amore puro di una
donna sincera.
Judith era migliore di me. Mi aveva raccolto come un
disperato nel mezzo del naufragio della mia vita. Non so immaginare
cosa avrei fatto senza di Lei. Aveva visto chiaramente chi ero!
Aveva visto la mia vita insensata curvare orribilmente su se stessa.
Mi aveva riconosciuto come un portatore di morte! Tenermi fuori
dalla sua vita era stata la sua salvezza. Come avevo potuto giudicarla
così duramente?
Ora Judith non occupava più un angolo buio nella soffitta
della mia memoria, ma splendeva. La sua musica era la vita…
Qualcosa però non quadrava. Come avevo fatto ad
incontrarla? Come aveva fatto un essere come Judith ad entrare nel
mio inferno proprio quando ne avevo così disperatamente bisogno?
51
L‟Incontro con il Dreamer
Mi voltai verso il Dreamer. Le gambe stavano cedendo. Un pensiero
assurdo, un cuneo di pazzia si stava piantando in una piccola
crepa della mia razionalità. Da lì lo sentivo spingere. Stava
penetrando, lentamente, inesorabilmente in un punto recluso della
coscienza. Non era possibile!…
Judith... era un dono del
Dreamer!… Judith… era il Dreamer!… Quante volte era già
intervenuto nella mia vita a salvarmi? Come avevo potuto essere
così cieco? Come avevo potuto essere così disattento ad una tale
perfezione?
Il pensiero vorticò sull‟orlo di quella voragine e vi
sprofondò.
«Ognuno di noi è dotato di un immenso margine di salvezza»
furono le parole con cui venne a recuperarmi il Dreamer. Il tono era
sorprendentemente dolce.
«Ma noi lo consumiamo, lo assottigliamo velocemente,
attraverso una continua disattenzione, la irresponsabile
isobbedienza ai segnali, alle avvertenze, ai semafori dell‟esistenza…
e ci crediamo fragili,
esposti ad ogni pericolo, in balia
dell‟accidentalità… »
La voce del Dreamer riprese il tono risoluto e severo, la sua
intensità mi fece fremere.
«La vita è potentissima e il corpo è indistruttibile… Per
poter morire bisogna rendere possibile l‟impossibile.»
Riferendosi all‟uomo che ero, come se parlasse di qualcun altro,
disse:
«Perdonalo!… Perdonando lui guarirai il tuo passato e lo
sostituirai con la luce di oggi.»
Una sponda dura del mio Essere si intenerì e crollò. Piangevo
come un bambino. Un magma di dolori, di pensieri ed emozioni
spiacevoli: sensi di colpa, rimpianti, accuse, risentimenti, venne alla
superficie.
«Gli uomini sono tutti come te, frammenti sperduti
nell‟universo, governati dalle emozioni negative… Accusare,
lamentarsi, dipendere è la storia della loro vita… è l‟unico senso
che sanno dare alle cose!… Strozzati dall‟angoscia, cercano di
dimenticare la morte con la morte.»
52
La Scuola degli Dei
13 Grazie Luisa!
Il viaggio nel passato riprese. Lo scenario lentamente cambiò
ed il Dreamer mi riportò al periodo dei miei continui viaggi tra
Firenze e Milano, in visita a Luisa, ricoverata all‟Istituto di Via
Venezian. Subito fui imprigionato nelle stesse gabbie mentali ed
entrai negli stati d‟Essere di allora. Provai quella sofferenza che si
faceva più acuta all‟avvicinarsi di ogni partenza.
Mi straziava il conflitto tra l‟obbligo morale di esserle vicino
e la ripugnanza ad entrare in quei gironi affollati di esseri sofferenti.
Attraversando le corsie, incontrandoli per i corridoi, leggevo i loro
visi, li sfogliavo come pallide pagine di un libro. Penetravo
penosamente nelle righe della loro storia, nelle parole delle loro
espressioni, nell‟inchiostro della loro sofferenza. La paura terribile
di potere un giorno subire il loro stesso destino mi invadeva.
Allora provavo una voglia irresistibile di fuggire, di
lasciarmeli indietro e dimenticarli per sempre. Fuori c‟era quella che
chiamavo vita: la gente persa nelle stupidaggini di ogni giorno, il
frastuono del traffico, il suono ed il biancore rassicurante di risate
futili. E lì, tra la folla, correvo a rifugiarmi. Assolvevo
frettolosamente il rituale del coniuge addolorato, mi mostravo
preoccupato mentre incontravo qualcuno dello staff medico,
chiedevo notizie e trovavo un pretesto qualsiasi per fuggire. Come
un disperato, mi aggiravo per le strade del centro rifugiandomi
tra la folla, immergendomi nella confusione del traffico. Mi
fasciavo dei colori e delle luci della città, mi stordivo dei sorrisi
delle donne agghindate e dei decori delle vetrine, alimentando in me
l‟illusione di un mondo senza problemi, abitato da gente
miracolosamente invulnerabile e felice. In quella fantasia cercavo
rifugio. In quella bolla psicologica trovavo respiro, come un‟anguilla
nella sua bava.
Solo il pensiero di Luisa, ogni tanto, faceva irruzione senza
preavviso e disturbava la mia ubriachezza. Apprensioni, paure, sensi
di colpa, come Erinni e deità vendicatrici, venivano a scovarmi, in
un cinema, in una mostra o in un caffè. Allora il pensiero della
fragilità della vita, l‟impotenza e lo sconforto per la sua precarietà,
mi inondavano con un freddo terrore.
Col Dreamer arrivai al capezzale di Luisa. Aveva gli occhi
chiusi. Era sola. Il Dreamer aveva scelto un giorno in cui ero al
lavoro o stavo aggirandomi per la città fuggendo da me stesso. Il
53
L‟Incontro con il Dreamer
respiro affannoso di Luisa sollevava la coltre leggera ad un ritmo
impressionante, inumano. Riconobbi quel sintomo con una stretta al
cuore. I suoi giorni si stavano spegnendo.
Un cenno del Dreamer mi incoraggiò ad avvicinarmi.
Spostai con cautela una sedia accanto al comodino di metallo
e restai a lungo ad osservarla. Ciocche di capelli madide di sudore
ingombravano la fronte e la porzione di viso che sporgeva dal
lenzuolo. I mesi ed i giorni del nostro breve matrimonio mi
passarono davanti, vividamente, con tutto il loro carico di eventi, di
ricordi. Il nostro primo appartamento. I racconti che le facevo al
ritorno dal lavoro e l‟orgoglio che leggevo nei suoi occhi per i miei
primi successi. La nascita di Giorgia. I suoi pianti notturni,
interminabili, che non riuscivamo a calmare. La nascita di Luca. E
poi la malattia.
La nostra immaturità si era trasformata presto in
incomprensioni, gelosie, litigi, rimpianti, accuse. Eravamo due
persone deboli, aggrappate l‟uno all‟altra; due esseri incompleti che
si erano illusi di poter fare un‟unità. Il risultato della nostra unione
era stata un‟incompletezza al quadrato. Questi pensieri ed altri,
affiorarono alle labbra facendosi parole che mormoravo al suo
orecchio. Le parlai della vita, della bellezza, della felicità. Non
aveva importanza che mi sentisse.
Un dolore acerbo mi batteva in petto, un pianto senza lacrime
mi stringeva la gola. Eppure gioivo. Mi sentivo innamorato,
appassionatamente, come mai prima. Fino a quel giorno, ipnotizzato
dall‟azione e da mille illusorie occupazioni, avevo subito come pura
sofferenza il tempo trascorso accanto a Luisa. Quell‟attesa senza
passato né futuro, quel tempo senza avvenimenti, l‟immobilità, il
silenzio e la calma che governavano quel mondo, mi riempivano di
spavento. Quella visione era insostenibile.
«Questa donna è il tuo passato che sta morendo» disse il
Dreamer alle mie spalle.
Quel senso di morte che per mesi avevo sentito accanto a lei
non era esterno a me. Era la mia morte. La morte che portavo dentro
da sempre. Luisa mi aveva permesso di vederla, di sentirla e
toccarla. In quel momento supremo, mi stava dando l‟opportunità di
sconfiggerla. In ritorno l‟avevo macchiata di ogni malevolenza, di
ogni accusa.
«Chiedile perdono! – ordinò paternamente il Dreamer – La
sua vita è stata qualcosa di speciale, è servita a farti riconoscere la
54
La Scuola degli Dei
morte in te: il vittimismo, i sensi di colpa, la distruttività che hanno
guidato la tua esistenza.»
«Grazie Luisa – sussurrai ravviandole i capelli bagnati ed
asciugandole la fronte – Quanta disattenzione… Io non sapevo…
Questa è la nostra resurrezione… Io cambierò per sempre, ed i
nostri figli, cambieranno con me!»
Le ore trascorrevano ma non sentivo stanchezza. Non avrei
voluto essere in nessun altro posto al mondo che lì, accanto a lei. Per
quanto tempo, riflettevo, ero venuto a trovarla in quell‟ospedale, e
negli altri, sentendomi separato, convinto di essere il sano tra i
malati. Settimana dopo settimana, avevo vissuto con quegli esseri
aggrappati come lei ad una scheggia di vita, senza capire il loro
dono.
Allora sarebbe stato per me impossibile capire che quegli
uomini e quelle donne non erano fuori di me, ma la proiezione di
una visione malata dell‟esistenza… immagini riflesse della mia
malattia, della mia separazione, della mia irresponsabilità. Quel
mondo mi stava rivelando la morte che mi portavo dentro.
Contenerlo, assumersene la responsabilità, faceva parte di quel
processo, neppure ancora avviato, che il Dreamer chiamava
“perdonarsi dentro”.
Self-observation is self-healing
Osservare tutto questo, realizzare quanto ogni più piccolo
dettaglio di quel mondo mi appartenesse, e provare gratitudine, mi
fece avvertire i primi sintomi della mia guarigione.
Era notte. Le corsie dell‟ospedale silenziose. Non sapevo più
da quanto tempo fossi al suo fianco. Avevo consumato tutto quello
che avevo da consumare: parole, ricordi, lacrime. C‟era una cosa
ancora da fare! Ripiegai il lenzuolo e la scoprii. Sotto la camicia il
corpo mostrava gonfiori enormi. Il ventre in particolare era grande e
turgido come se fosse pronta a partorire. La rinfrescai passandole sul
petto e sulle gambe un panno umido leggermente profumato.
Esaminai la ferita, cupa e profonda quanto un nido. Lucidità, perizia
ed una freddezza che non avrei potuto immaginare guidarono le mie
mani mentre la medicavo. Anni di incomprensione, le incrostazioni
di tante cattiverie e tradimenti, li grattai via, insieme alle cellule ed
ai tessuti morti. Disinfettai, coprii con un tampone di garza ed
incerottai. Le rimboccai la coperta e la baciai.
55
L‟Incontro con il Dreamer
«Il passato va benedetto, guarito… Entra in ogni piega!
Porta luce in ogni angolo! Trasformalo attraverso una nuova
comprensione... Il tuo passato sarà guarito quando la smetterai di
indulgere in apprensioni, dubbi e paure. Questo è il vero significato
di „perdonarsi dentro‟.»
Queste parole del Dreamer ancora echeggiavano nell‟aria
quando sentii mancarmi il pavimento sotto i piedi come per l‟aprirsi
di una botola. Caddi sulla schiena e slittai lungo uno scivolo
invisibile a una velocità vertiginosa finché una vortice di colori mi
ingoiò.
Quando riaprii gli occhi ero nella mia stanza d‟albergo a
Marrakech. Quello stesso giorno organizzai il mio viaggio di ritorno
a New York. La miracolosità avvolgeva ancora il ricordo di ogni
istante vissuto con Lui, dall‟incontro al Café de la France al viaggio
nel mio tormentato passato, fino alla notte trascorsa con Luisa.
Il mio bagaglio era già stato portato via, la macchina mi
attendeva per raggiungere l‟aeroporto, ed io indugiavo. Non mi
decidevo a lasciare quei luoghi dove ancora potevo respirare la Sua
presenza. Rivolsi al Dreamer un pensiero di gratitudine per avermi
accompagnato nel mio passato ed avermi aiutato a liberarlo di tanta
zavorra.
Solo qualche brandello della mia vita era rimasto attaccato al
mio Essere. Un frammento, in particolare, uno solo, l‟avevo
trattenuto e ancora lo stringevo in pugno. Per quanto doloroso, lo
tenevo stretto stretto, restìo a lasciarlo andare: quell‟ultimo sguardo
a Luisa, quel bacio d‟amore scambiato tra passato e futuro, ai confini
dell‟esistenza.
56
La Scuola degli Dei
CAPITOLO II
Lupelius
1 Incontrare la Scuola
Era mattino inoltrato. Percorrevo una strada elegante, ricca di
negozi di antiquariato. Un caldo sole alle spalle sembrava
sospingermi verso lo slargo che si indovinava in fondo. Mi accorsi
di camminare di buon passo, come se fossi diretto ad un
appuntamento. Tuttavia non sapevo né dove né con chi. Il
marciapiede che stavo percorrendo sfociò nel dehors di un caffè
italiano e lo slargo si rivelò una grande piazza, tra le più belle che
avessi mai visto.
Il Dreamer era seduto ad uno dei tavolini. Lo circondava un
piccolo stuolo di camerieri, ossequiosamente attenti ad ascoltarne le
raccomandazioni. Arrivai mentre avvicinavano un secondo tavolo e
cercavano spazio per depositare il contenuto di due grandi vassoi.
Un‟aria di ricchezza costantemente Lo circondava. Ricercava la
raffinatezza in ogni particolare ed amava l‟abbondanza, ma ogni Sua
attitudine era improntata alla sobrietà di un guerriero macedone. Il
Suo regime alimentare poi, andava ben oltre la frugalità.
Sembrò felice di rivedermi. Con un lieve cenno del capo
assolse il doppio compito di salutarmi e di invitarmi a sedere. Da
quel momento l‟attenzione del Dreamer sembrò completamente
assorbita da pasticcini e blandizie di ogni tipo disposti in bell‟ordine
sui tavoli.
Lo rivedevo per la prima volta dall‟incontro a Marrakech.
Avevo atteso con impazienza questo momento. Ora, in Sua
presenza, mille domande mi affollavano la mente. Alcuni di questi
quesiti avevano echeggiato per secoli, avevano attraversato tutta la
storia del mondo, senza trovare risposta. Religioni, scuole
sapienziali e tradizioni profetiche, generazioni di scienziati, di
57
Lupelius
ricercatori, di filosofi ed asceti, avevano invano cercato di venirne a
capo. Riflettei che l‟uomo moderno, ultimo anello di questa
millenaria ricerca, si ritrova ancora nudo di fronte all‟enigma della
sua esistenza, come Edipo davanti alla Sfinge.
Ci servirono il tè. Il Dreamer seguì con scrupolosa cura ogni
dettaglio di quell‟operazione e diresse l‟attività dei camerieri
seguendo un rituale noto a Lui solo. A malapena toccò cibo. Il
Dreamer sembrava nutrirsi della Sua stessa attenzione, delle
impressioni, dell‟armonia e del ritmo di ogni più piccolo
movimento. Dopo il tè ci fu una lunga pausa. Attesi con impazienza
che prendesse a parlare. Intanto avevo aperto il taccuino e tenevo la
penna a portata di mano. Quando la Sua voce risuonò l‟intonazione
era solenne.
«Accanto a Me potrai deragliare dai solchi del tuo destino
inflessibile – disse – accanto a Me potrai spezzare il cerchio
meccanico delle tue abitudini, dei tuoi sensi di colpa… Accanto a
Me dovrai rinunciare al dubbio, alla paura, ai tuoi pensieri
distruttivi… dovrai abbandonare la bugia che ti lega alla
descrizione mortale dell‟esistenza.»
«Per cambiare, dovrai lottare con la tua programmazione! –
incalzò – Dovrai capovolgere la tua visione. Solo così, e attraverso
un lungo lavoro, potrai cambiare il tuo destino… Un uomo da solo
non potrà mai farcela. Ha bisogno di una Scuola.»
L‟accento che mise sulla parola „scuola‟ ed il contesto in cui
la usò mi fece intuire l‟esistenza di un significato oltre l‟ordinaria
accezione. Mi sembrò di sentirla per la prima volta. Scoprii in essa
una forza che non vi avevo mai trovato prima e la dolcezza di una
promessa da tempo dimenticata.
Un pensiero mi percorse come un brivido.
«Cos‟è la Scuola?» chiesi. La voce era tremula, ed io stesso
fui sorpreso dalla mia emozione.
«La „Scuola‟ è il viaggio di ritorno» disse il Dreamer. I Suoi
occhi scuri brillavano di una gioia segreta.
The School is the quantum leap from multitude into integrity,
from conflictuality into harmony,
from slavery into freedom.
«Trovare la Scuola significa legarsi al Sogno con un cavo
d‟acciaio… significa poter accedere alle zone più alte della
58
La Scuola degli Dei
responsabilità. Solo pochi tra i pochi possono sostenere un tale
incontro» concluse.
Quelle parole, il Suo sguardo, forzarono un meccanismo
recluso. Sentii fisicamente lo scatto meccanico di un ingranaggio
che salta. Con il dolore lancinante di un rimorso, realizzai
l‟immoralità di aver vissuto anni ed anni „fuori casa‟, la miracolosità
di trovarmi di fronte a qualcosa, a qualcuno che avevo
disperatamente cercato.
«Come si fa a trovare la Scuola? » domandai con un filo di
voce, compreso di riverenza, sentendo l‟eccezionalità di
quell‟evento.
«Non temere… sarà la Scuola a trovare te» rispose il
Dreamer. Poi, osservando il mio smarrimento, mitigò la laconicità di
quella risposta ed aggiunse:
«Quando un uomo è irrimediabilmente deluso dalla sua
vita… Quando realizza la sua incompletezza, la propria impotenza,
quando l‟esistenza lo stringe in una morsa senza respiro, solo
allora… appare la Scuola.»
2 “Il mondo ci è stato raccontato”
Seduto al caffè di quella città sconosciuta, Lo ascoltavo
raccogliendo pagine di appunti. Avevo la sensazione che il mio
apprendistato iniziato in quella singolare residenza, poi a Marrakech,
seguisse una pedagogia segreta, le linee di un disegno mai interrotto.
«Incontrare la Scuola è l‟evento più straordinario della vita
di un uomo… l‟unica opportunità per sfuggire alla ipnosi comune –
epilogò il Dreamer – per realizzare che tutto quello che vedi e ti
circonda non è il mondo… ma solo una descrizione.»
«Ma io Ti ascolto, tocco questo tavolo... vedo la gente che
passa... so che ognuno di questi uomini ha una vita, un lavoro, una
famiglia… come può tutto questo essere una descrizione, una mia
visione?»
«Le immagini che cadono sulla retina non sono il mondo ma
il suo racconto – rispose laconicamente il Dreamer – Il mondo ti è
stato descritto.»
La meraviglia per quello che stavo ascoltando fu superata da
una meraviglia più grande quando gli sentii aggiungere in un soffio:
59
Lupelius
«Il vero creatore della realtà che ti circonda sei tu!... lo hai solo
dimenticato… »
«Cosa ho dimenticato?» chiesi. Una vena di ostilità nella mia
voce indicava la distanza che si stava creando tra noi.
«Tu sei la causa di tutto e ogni cosa. Un giorno quando sarai
guarito, saprai che tu sei le radici del mondo. Il mondo per esistere
ha bisogno di te… Hai dimenticato di essere l‟artefice, l‟inventore, e
sei diventato l‟ombra della tua stessa creazione.». Il tono che usò
annullò quel divario sul nascere e mi rimise in riga, come uno
scolaretto.
«Il mondo è soggettivo, personale!… È il riflesso speculare
del nostro Essere… Visione e realtà sono la stessa ed identica cosa;
ciò che li divide è solo il „fattore tempo‟… »
Avrei voluto dire di sì. Accettare la Sua visione. Eppure,
qualcosa in me si opponeva. La mia razionalità vacillava ma non
cedeva. Com‟era possibile trovarsi di fronte ad uno stesso oggetto,
panorama, evento o persona, ed averne visioni diverse?
«Ma esisterà bene una realtà oggettiva! – affermai per
mettere un puntello alle mie convinzioni di sempre – In fondo una
cosa non può essere nient‟altro che quello che è… »
Ancora tentavo di difendere le „mie‟ credenze, ma sapevo
che, per quanto radicate, non avrebbero resistito. Erano destinate ad
essere sovvertite a contatto con la visione del Dreamer. Anche
questa volta, come tutte le altre volte, ci sarebbe stato
l‟imprevedibile prodigio: quello scatto nella comprensione che,
accanto a Lui inevitabilmente avveniva senza tuttavia poter
prevedere come e quando. Desideravo e temevo quella
trasmutazione. Quando finalmente accadeva, sentivo le pareti
dell‟Essere allargarsi a dismisura per fare spazio ad una visione più
chiara, più libera, più intelligente del mondo.
Vedendomi ancora perplesso, sferrò un altro, decisivo colpo
di ariete alla descrizione del mondo ed aggiunse:
«Noi possiamo vedere solo ciò che siamo!»
Poi con il Suo inimitabile umorismo, sottilmente prossimo al
sarcasmo, dichiarò:
«Se un ladro incontrasse un santo ne vedrebbe soltanto le
tasche.»
Questa boutade fu per me illuminante e per qualche istante
indugiai in quell‟immagine comica ed istruttiva. Ma il Dreamer
aveva già ripreso il Suo discorso con piglio severo, come se quella
60
La Scuola degli Dei
divagazione, per quanto minima, l‟avesse fatto rallentare o divergere
fin troppo dall‟obiettivo del nostro incontro.
«Solo l‟incontro con la Scuola può permetterci di sfuggire
alla rigidità di una vita ordinaria.
Soltanto un „lavoro di scuola‟ potrà un giorno permetterci di
„vedere‟ il mondo al di là della sua falsa descrizione.
Soltanto un „uomo di scuola‟ potrà un giorno accedere ad
una visione armoniosa, ad uno stato d‟integrità. E solo una visione
armoniosa e integra, potrà guarire il mondo.»
3 La Scuola del capovolgimento
Il Dreamer mi rivelò che Scuole di preparazione per uomini
straordinari erano sempre esistite, in tutti i tempi ed in tutte le
civiltà. Queste „scuole‟ al di là delle differenze filosofiche e culturali
che sembravano distinguerle, erano in realtà una sola Scuola. La sua
voce era rimasta immutabilmente la stessa, il suo pensiero aveva
attraversato tutti i tempi e tutte le civiltà. Questa scuola Egli la
chiamò la „Scuola dell‟Essere‟: una fucina universale di sognatori,
dove uomini visionari, utopisti luminosi, hanno da sempre affinato il
loro intento.
«Una scuola di trasformazione» la definì ulteriormente il
Dreamer e si interruppe.
Aspirò intensamente le volute aromatiche che esalavano dal
Suo tè, poi sottovoce completò:
«La Scuola degli Dei... dove, prima ancora di poter
governare gli altri, si impara a governare se stessi.» La Sua voce mi
diede i brividi. Si era trasformata nel sibilo marziale di un guerriero
in azione.
«Una Scuola del capovolgimento – disse – dove si
sovvertono convinzioni e idee… e prima di ogni altra, l‟idea della
inesorabilità della morte. La morte è una resistenza alla verità,
all‟armonia, alla bellezza. La morte distrugge qualunque cosa che
non è capace di passare nella verità. Se siamo veri in ogni cellula
del nostro corpo non moriremo mai.»
Ripensai alla tradizione classica, anteriore all‟età di Omero,
che divideva l‟umanità in due specie infinitamente distanti tra loro:
gli eroi, campioni di un‟umanità sognante, individui capaci di dare
concretezza all‟impossibile, e una moltitudine indeterminata di
61
Lupelius
esseri senza volontà, senza sogni, senza volto. Gli uni, guidati dal
Fato, erano destinati ad una grande avventura individuale; gli altri,
destinati a una esistenza insignificante, erano governati dalle leggi
del caso e dall‟accidentalità.
Mi illuminò il pensiero che i grandi miti, dalle epoche più
remote, in realtà narravano le imprese di uomini che avevano
incontrato la „Scuola‟. Le loro avventure, le lotte contro mostri e
giganti, cantate da erranti aèdi, erano le tappe del „viaggio di
ritorno‟, di un viaggio nella propria psicologia, nei meandri più
oscuri, più segreti dell‟Essere. Il Dreamer mi spiegò che nelle
regioni più nascoste dell‟esistenza, lì dove schiumano emozioni
negative e scorre il lete dei pensieri distruttivi, dei sensi di colpa…
proprio lì c‟è la fonte di tutti quei mostri, la scaturigine delle
grossolanità, delle morti, di ogni nostra caduta…
«Bisogna innanzitutto scovare il nemico nella nostra carne.
E quando l‟avrai stanato te lo ritroverai davanti sempre più sottile,
più potente… più spietato. L‟antagonista cresce con te… Non
esistono migliaia di nemici, ne esiste uno solo, e la vittoria è una
sola… quella su te stesso.»
«Il „viaggio di ritorno‟ è per un uomo la grande opportunità
di guarire il proprio passato» disse, e con lo sguardo, lentamente,
percorse la piazza, le chiese gemelle, i palazzi patrizi, le statue
intorno all‟antico obelisco; osservò la gente che l‟affollava.
«Il mondo è il passato – affermò, coniando uno dei Suoi più
mirabili aforismi – Chiunque incontri, qualunque cosa incontri è
sempre il passato. Anche se ti appare davanti in questo istante,
quello che vedi e tocchi è solo la materializzazione dei tuoi stati…
Past is dust. Il mondo che vedi e tocchi in questo preciso momento è
la materializzazione di tutto ciò che sei stato… Non c‟è nulla che
possa accadere nella tua vita che non abbia prima avuto assenso nei
tuoi pensieri... Il mondo è polvere. Soffiaci sopra e disperdilo.»
Il Dreamer spostò leggermente la sedia accennando ad
alzarsi. Il Suo movimento mi distolse bruscamente dallo sforzo di
stare al passo con quelle nuove idee. Avevo un nodo allo stomaco.
Avrei voluto immettere quel vino nuovo, esuberante ed
incontenibile, negli otri vecchi delle mie convinzioni. Avrei voluto
costringere quell‟oceano nei limiti di una razionalità che stava
sbriciolandosi e soccombendo sotto i Suoi colpi. Mi perdevo in vuoti
intellettualismi per nascondere l‟evidenza che il Suo insegnamento
62
La Scuola degli Dei
stava penetrando sempre più in profondità in me, diventando
più pericoloso, fatale per i vecchi equilibri.
Intanto il Dreamer si era alzato. Con un cenno mi invitò a
seguirlo. Lasciavo un po‟ a malincuore quell‟angolo tranquillo dove
l‟aria ancora vibrava delle Sue parole. Mi sembrava di abbandonare
un antico tempio, un‟arca veneranda della conoscenza. Ogni
dettaglio di quell‟incontro si sarebbe fissato per sempre nelle mie
cellule, compreso i tavolini imbanditi, i movimenti dei camerieri e
perfino le sfogliatine di riso appena sfornate.
Attraversai con Lui la piazza e Lo seguii in una chiesa.
Passando tra il transetto e l‟altare, oltre la navata centrale,
arrivammo nella piccola cappella. Nella semioscurità intravidi due
grandi tele che si fronteggiavano. Diedi un‟occhiata intorno; dalla
nostra posizione la chiesa appariva completamente deserta. Il
Dreamer mi chiese di inserire una moneta nella macchina a tempo.
Una forte luce investì le due opere. Mi suggerì di osservarle dal
centro della cappella, in un punto equidistante tra loro. Seguii le Sue
indicazioni ed esaminai attentamente quei due capolavori. Il quadro
a sinistra rappresentava Pietro crocifisso a testa in giù; l‟altro la
caduta di Paolo sulla via di Damasco.
«Questi due quadri non sono l‟uno di fronte all‟altro per
caso – mi disse – Essi sono indissolubilmente legati da un unico
messaggio.»
Il Dreamer tacque e restammo in silenzio. Interpretai quella
pausa come un invito a riflettere e a tentare di scoprire il segreto di
quella simbologia. Il tempo scandì l‟inutilità di ogni mio sforzo
finché il Dreamer liberandomi dall‟imbarazzo mi rivelò che quelle
due opere costituivano le riprese iconografiche più potenti dell‟idea
del capovolgimento.
«Queste opere trasmettono il respiro, l‟ampiezza del
pensiero di una grande Scuola di responsabilità – disse – Solo una
tale Scuola può combattere pregiudizi e credenze millenarie,
sovvertire i paradigmi mentali della vecchia umanità e guarirla per
sempre dalla conflittualità, liberarla dal dolore… Vision and reality
are one and the same thing. Il mondo è il tuo riflesso. Capovolgi le
tue convinzioni ed il mondo, come un‟ombra, seguirà. La realtà
prenderà la forma di una nuova visione.»
Il meccanismo a tempo scattò, le luci si spensero ed i quadri
si rinfoderarono nel buio, come lame d‟acciaio nelle guaine. Nella
penombra odorosa di ceri, ascoltai dal Dreamer il racconto
63
Lupelius
straordinario della Scuola rimasta silente per oltre dieci secoli. Fece
una lunga pausa prima di annunciarmi enigmaticamente che era
tempo di riascoltarne la voce. Ero attonito. Il pensiero di una Scuola
dal respiro millenario, che a cadenza di secoli riappariva per portare
avanti la sua missione, mi folgorò. Fu allora che il Dreamer mi parlò
di un monaco-guerriero leggendario e di un prezioso manoscritto
scomparso.
«Per te e per quelli come te che credono di poter trovare la
verità nei libri… sarà utile ricercare le tracce di questa antica
Scuola» disse.
Poi il Suo tono divenne imperioso.
«Cerca quel manoscritto!» comandò.
Oltre la ruvidezza del tono e la sua perentorietà, sentii che mi
stava affidando un compito importante. Provai un moto di
riconoscenza. Un grande „sì‟, solenne come un giuramento, mi
echeggiò in petto. Mi sarei dedicato a quella ricerca con tutte le mie
forze... Più ci pensavo e più cresceva l‟entusiasmo per quell‟impresa
che prometteva di proiettarmi in un mondo familiare, congeniale.
Il Dreamer si accorse che stavo indulgendo, imboccando
vecchi binari e ricadendo nel cliché malinconico dello studioso:
«Un giorno realizzerai che non c‟è nulla da immettere
dall‟esterno, che non c‟è nulla che tu possa aggiungere a quello che
già sai… che insegnamenti ed esperienze non aggiungono niente
alla comprensione… La vera conoscenza si può solo „ricordare‟…
La conoscenza di un uomo non può essere né più piccola né più
grande di lui. Un uomo „sa‟ solo ciò che è. Conoscere significa
innanzitutto essere… Più sei, più sai!»
In seguito, il Dreamer mi avrebbe parlato di una memoria in
assenza di tempo, una „memoria verticale‟ fatta di stati e di livelli,
contenitore di una conoscenza infinita. Essa è patrimonio di ogni
uomo; tutti la possediamo, ma ne abbiamo perso le chiavi di
accesso…
Ri-cordare.
L‟antico mosaico del pavimento si dilatò e la distanza tra noi
cominciò ad aumentare, prima impercettibilmente, poi a vista
d‟occhio. Provai un senso struggente di abbandono mentre ascoltavo
le Sue ultime parole.
«La conoscenza è proprietà inalienabile di ogni uomo… è
antica quanto lui…
64
La Scuola degli Dei
Un giorno realizzerai che non c‟è nulla da aggiungere… ma
tanto, tanto da eliminare… per poter sapere.»
Bevvi quelle parole come se le attendessi da sempre. Le
riconoscevo. Una vibrazione sottile sottopelle accompagnò la
sensazione di contenere tutte le cose. Ero un sistema di misura
universale, perfetto. Provai una sensazione di totalità, di
comprensione, di connessione con tutto ed ogni cosa. Sentii
l‟ebbrezza della invulnerabilità, della impeccabilità del Dreamer.
Nulla poteva attaccare, corrompere quella integrità.
«Trova quel manoscritto!» mi ricordò con austerità. I
contorni del Suo viso già sfumavano.
«Quando l‟avrai trovato ci rivedremo!»
4 Lupelius
Quel giorno stesso iniziai la ricerca dell‟antica scuola e del
manoscritto di cui mi aveva parlato. L‟opera che mi aveva richiesto
di trovare, „School for Gods‟, „La Scuola degli Dei‟, era stata scritta
nel nono secolo dal monaco-filosofo Lupelius, un libero spirito degli
evi bui, nativo di quel rifugio di uomini colti che fu l‟Irlanda di
quegli anni: una terra crocevia di culture e tradizioni, tormentata da
guerre e da contrasti di ogni tipo.
Non si sa molto della vita di Lupelius e anche su quel poco
non ci sono molte certezze. Scarsi sono i documenti che ho potuto
trovare e non sempre attendibili. Fin dall‟adolescenza, fu avviato
all‟arte della guerra dal padre che gli diede i maestri più grandi e lo
sottopose alla disciplina più severa. Ancora giovanissimo, abbracciò
la vita monastica e si ritirò in solitudine sulle montagne del Bet
Huzaye (l‟odierno Khuzestan) allora meta di anacoreti provenienti
da tutte le regioni della cristianità. Della sua formazione religiosa e
spirituale si sa che in seguito entrò nel vicino monastero di Shaban
Rabbur dove, rinchiudendosi per anni nella sterminata biblioteca,
studiò con fervore le sacre Scritture, i Padri greci ed i grandi mistici
di ogni tempo, da Origene a Giovanni di Apamea, fino ai Padri del
deserto. Dagli studiosi di filosofia medioevale che riuscii ad
interrogare nelle settimane successive ebbi conferma che della sua
unica opera, e del manoscritto originale, si erano perdute le tracce
ormai da secoli.
65
Lupelius
Investigai nelle biblioteche delle grandi università, contattai
istituti di filosofia ed incontrai studiosi e ricercatori. Estesi la mia
ricerca anche all‟Europa, ma senza risultato. Infine in Irlanda, al
Dublin Wrighter‟s Museum, seguendo un‟ennesima pista, potei
accertare che ne avevano custodito una copia, l‟unica di cui si era a
conoscenza. Tuttavia da anni anche questa era sparita, ingoiata dalle
sabbie del tempo.
Gli ostacoli e le difficoltà che incontravo aumentarono
l‟impegno e la determinazione. Sulle tracce di quell‟insegnamento
perduto, ogni indizio, ogni nuovo incontro, stava mettendo ordine
nella mia esistenza. Come se seguissero i contorni di un preciso
disegno, i frammenti della mia vita, da tessere sparse di un mosaico
sconosciuto, stavano componendosi, andando ad occupare ciascuno
il suo posto.
Ritrovare quel manoscritto e ritornare dal Dreamer
diventarono per me una sola impresa. Non avevo infatti altro modo
per rivederLo. Questo pensiero rinnovava ogni volta l‟energia per
portare avanti la ricerca che mi aveva affidato.
Dalle conoscenze che man mano andavo accumulando e
dagli elementi della filosofia di Lupelius che faticosamente ero
riuscito a raccogliere, emergevano il pensiero ed il carattere di una
grande Scuola dai principi possenti come le mura di una città
immortale. Dopo più di mille anni, i frammenti di
quell‟insegnamento ancora germinavano una luce che strideva con la
marea di dissoluzione sociale e morale di quell‟età.
La figura di Lupelius, servitore del mondo, mi appassionò
subito. Dall‟inizio delle mie ricerche provai per quel filosofo
sconosciuto una crescente ammirazione. Più mi avvicinavo a lui e
alla sua missione più vedevo quella figura di pensatore torreggiare
solitaria su uomini e accadimenti. La sua Scuola si stagliava come
roccia su un mare di ignoranza e di superstizione. Il suo pensiero
attraversava come un filo d‟oro le trame di una storia di crimini e di
sventure.
Della sua vita non riuscii a saperne mai molto, ad eccezione
del periodo in cui fu alla corte di Carlo il Calvo in Francia. Per certo
Lupelius fu una figura singolare; un filosofo d‟azione uguale solo a
se stesso. Non aveva abitudini né routines. Di lui si diceva che
potesse resistere al sonno indefinitamente. In ogni caso, nessuno mai
l‟aveva visto dormire.
66
La Scuola degli Dei
“Il sonno vi rende deboli, nella mente e nel corpo − diceva ai
discepoli, e con il suo tipico umorismo irlandese, aggiungeva − Il
sonno è soltanto una cattiva abitudine.”
Una sua attitudine, tra le più peculiari, era quella di aggirarsi
per i mercati, nei luoghi più malsicuri e malfamati delle città
d‟Europa. Lì, nelle condizioni apparentemente più sfavorevoli,
iniziava i suoi discepoli a nuovi modi di pensare e di sentire, ne
sovvertiva schemi mentali e una descrizione meschina del mondo.
Lì, la sua pazzia luminosa trasformava quel mondo fatto di truffatori
e criminali, di trappole ed agguati, in una scuola di impeccabilità.
Trovava gli stratagemmi più astuti per sradicare le loro convinzioni
inveterate, per eliminare dalla loro psicologia la melma emozionale.
Alla sua Scuola si forgiarono uomini straordinari, guerrieri
invincibili. Lupelius si avvaleva di fantasiose tecniche di
insegnamento e di purificazione che lui stesso continuamente
inventava. Si travestiva da schiavo, da vagabondo, da politicante, da
banchiere, da ricco mercante, e usava strategicamente questi ruoli.
Fosse la corona di un re o il saio di un monaco, Lupelius li
indossava, e li faceva indossare ai suoi discepoli, insegnando loro
come „diventare‟ quel ruolo, per esplorarne e conoscerne ogni
angolo, ogni segreto, ma senza dimenticare il gioco, senza mai
restarne prigionieri. Li portava nei Souk, dove li coinvolgeva in
commerci terribili, con banditi e criminali, li faceva entrare nelle
parti più sofferenti dell‟umanità, li spingeva ai viaggi più disperati,
quasi senza possibilità di ritorno. I lupeliani si arruolavano come
mercenari in guerre assurde, in rivoluzioni e faide di paesi remoti le
cui ragioni neppure conoscevano.
Essi scendevano in campo, non per difendere i deboli o gli
oppressi, non per affermare astratti princìpi o ideologie, non per
sconfiggere nemici esterni o per compiere vendette, ma per
diventare padroni di se stessi, artefici del proprio destino.
Real warriors do not fight for supremacy or control over others.
They do not fight for glory nor for any possession or reward, but to
gain the only thing which really matters:
their own inner freedom.
Per i Lupeliani, il campo di battaglia offriva la via più pratica
per applicare i princìpi e le idee della Scuola – la vera prova della
loro consapevole trasformazione e comprensione. Solo chi aveva
67
Lupelius
conquistato una integrità interiore poteva restare illeso da qualunque
attacco. L‟invulnerabiltià dei Lupeliani originava da questa
impeccabile integrità. Per quanto vicina, la morte non poteva
ghermirli né penetrare.
L‟insegnamento di Lupelius era una disciplina
dell‟invulnerabilità fondata sullo sviluppo della volontà. Il suo scopo
era il raggiungimento della libertà da ogni limite.
Free forever from all human conditions and natural limitations
I Lupeliani si esercitavano nell‟arte della „padronanza di sé‟. La
vittoria suprema è „vincere se stessi‟, non permettere a nessun
evento o condizione di produrre ferite interne, di scalfire l‟Essere.
Lupelius li allenava a mantenere la serenità e la calma sotto le
condizioni più estreme. Li spingeva ad andare in cerca dell‟offesa e
dell‟attacco per provare la loro integrità. Anche attraversando le città
e le plaghe più colpite da epidemie e morbi, ne uscivano sempre
indenni.
L‟incorruttibilità, la purezza rendono un guerriero invulnerabile,
inattaccabile anche dai mali più temibili
Cercai di addentrarmi nella questione della differenza tra
l‟impassibilità (apatheia) predicata dagli stoici e l‟indifferenza
dell‟anima alle passioni ed ai pensieri esteriori della mistica
lupeliana. Per Lupelius l‟impassibilità è connotata dal recupero della
integrità, di quell‟unità dell‟Essere che è una condizione naturale e
che l‟uomo ha dimenticato. Dal vuoto che l‟anima crea liberandosi
dalla zavorra delle cose esteriori e carnali, senza più l‟illusione che
ci sia qualcosa al di fuori di noi, nasce uno stato d‟Essere che è una
continua, naturale mozione verso l‟eternità, l‟immotalità, l‟immenso.
Tutto quello che si chiama sinteticamente „mondo‟,
gli eventi e le circostanze della nostra vita, sono nostre proiezioni.
Se siamo consapevoli possiamo proiettare soltanto la vita,
la prosperità, la bellezza, la vittoria.
Se siamo vigili, attenti, possiamo proiettare libertà,
un mondo senza ostacoli, senza limiti, senza vecchiaia,
né malattia, né morte.
68
La Scuola degli Dei
La Scuola di Lupelius mi aveva stregato. Appassionatamente
la studiavo e l‟amavo. Mi sembrava di respirarne l‟aria. La sognavo
ad occhi aperti. Quelle donne e quegli uomini visionari, studentiguerrieri, solitari eroi di una battaglia spirituale ineffabile, erano ai
miei occhi esseri straordinari, esempi impareggiabili di coraggio e
determinazione. Spiavo con ammirazione la loro pazzia luminosa, la
ricerca febbrile,
inflessibilmente tesa verso la conquista di sé.
Continuando a cercare senza posa, trovai indizi forti che molti degli
eroi-mercenari di quel tempo, nei turbolenti anni che dopo Carlo
Magno accompagnarono il lento sfaldamento del Sacro Romano
Impero, erano suoi discepoli sotto mentite spoglie. Senza mai
apparire apertamente, quei monaci-guerrieri furono i leggendari
protagonisti di epopee impareggiabili, capaci di trasformare battaglie
già perdute in grandiose vittorie.
Le mie ricerche arrivarono ad un punto morto. Per settimane
non mi fu possibile mettere insieme nulla più di quel poco che, con
molti sforzi, ero riuscito a raccogliere. Disperai di poter mai trovare
quel mitico manoscritto e con esso il modo per ritornare dal
Dreamer.
Finché un giorno, durante una delle mie sortite sulle tracce di
questo insegnamento perduto, venni a sapere di un Padre
domenicano di sconfinata cultura che avrebbe potuto aiutare la mia
ricerca. Egli era tra l‟altro autore di un‟opera ciclopica sulla storia
medioevale della Chiesa.
5 L‟incontro con Padre S.
Arrivai con qualche minuto d‟anticipo all‟incontro con chi,
dopo tanto cercare, mi era stato indicato come uno dei padri viventi
della dottrina cristiana.
Padre S. viveva in un antico convento di carmelitane. Una
tribù di minuscole suore, severe e protettive, vegliava sul suo
raccoglimento di studioso e sulla sua vecchiezza contemplativa. Due
di esse mi introdussero nella piccola astanteria e lì attesi in piedi.
Dalla finestra socchiusa potevo vedere un angolo
dell‟incantevole chiostro. Il verde raccolto tra la geometria dei
portici e la qualità di quel silenzio rinnovarono con maggiore
intensità la sensazione che avevo provato attraversando l‟antico
portale: più che la soglia di un convento sembrava di aver varcato il
69
Lupelius
limine di un‟altra età. In un istante la memoria volò al cortile del
Collegio Bianchi, nelle viscere di Napoli. L‟aria risuonò dello
scalpiccio, dei gridii, degli inseguimenti tra i portici; profumò di
mensa e dei mille ricordi della mia fanciullezza con i Barnabiti.
L‟ordine di introdurmi arrivò puntuale. A malincuore
abbandonai quell‟isola incantata e la piccola folla dei compagni che
era accorsa a salutarmi. I loro volti sorridenti sbiadirono e
ritornarono al loro posto tra i neuroni, nella foresta misteriosa della
memoria.
«Padre S. sta completando un nuovo volume della sua
immensa opera sul medioevo cristiano» sembrò informarmi una
delle due microscopiche suore-guardiane che mi scortavano.
Dall‟austerità del tono raccolsi un indiretto monito a fare uso
parsimonioso del tempo e della pazienza del mio ospite.
Mi avviai per una stretta scala a chiocciola resa ancora più
angusta da pareti di libri che la stringevano da ogni lato. Più che
montare dei gradini, ebbi l‟impressione di scalare una metafora in
salita. Ogni dettaglio di quell‟allestimento simbolico sembrava lì per
mettermi sull‟avviso. Stavo per incontrare uno dei maître à penser
della cristianità. Questo pensiero mi riempì di un timore riverenziale
misto al dolore sottile che si prova per un rimpianto o per
un‟improvvisa malinconia. Era quella la vita che avrei voluto per
me, dedicata alla ricerca e allo studio. Ebbi un rigurgito dell‟antica,
cieca fiducia nei maestri e nei libri.
Le parole del Dreamer irruppero tra questi pensieri, severe e
provvidenziali:
“Non c‟è nulla che puoi aggiungere a quello che già sa… La vera
conoscenza non si può acquisire, si può solo „ricordare‟.”
Riconobbi la mia malattia: la propensione a dipendere dal mondo, ed
in special modo, ad idolatrare la conoscenza libresca. Ancora una
volta, stavo facendo dell‟esterno il mio dio. Era bastato trovarmi
davanti a qualche feticcio per eleggere quell‟uomo a mio boss prima
ancora di conoscerlo.
Mi figurai Padre S. come l‟epitome di un‟umanità
intrappolata nell‟intellettualismo, di un‟umanità che ha smesso di
sognare. Il campione di una cristianità che ha dimenticato, che ha
messo al suo vertice uomini libreschi e l‟orgoglio intellettuale.
“Tutti i libri del mondo sono racchiusi in un atomo
dell‟Essere – mi aveva detto il Dreamer – Non possono aggiungere
70
La Scuola degli Dei
nulla alla tua conoscenza… dai libri non può arrivare la vita. Il
sapere dipende dall‟Essere… Più sei, più sai! ”
Una voce salmeggiante, potente, mi raggiunse dall‟alto,
come da una breccia scavata tra i libri.
«Si accomodi» disse. L‟intonazione era quella di un
frammento liturgico. Quell‟invito echeggiò così vicino da indicarmi
con anticipo le modeste dimensioni dell‟ambiente in cui stavo
inoltrandomi.
Mentre salivo gli ultimi gradini, sentii il mio Essere
raccogliersi a pugno, compostamente, come quello di un guerriero
nell‟imminenza di un pericolo calcolato. Le parole del Dreamer
intervennero ancora una volta:
“Ogni uomo occupa un gradino dell‟intelligenza umana ed è
un guardiano dei livelli superiori… Se rimani intatto, ogni incontro
sarà un‟opportunità, un gradino su cui poggiare il piede ed andare
oltre. Se dimentichi, ti troverai intrappolato in un gioco virtuale,
esterno, che ti rigetterà nel disordine infernale della tua vita.”
Padre S. era una porta dell‟esistenza. Ecco chi stavo
veramente incontrando: un guardiano-esaminatore, un Minosse che
mi avrebbe infallibilmente assegnato il posto che meritavo nella
scala dell‟Essere.
Una grande testa di vecchio, calva e rasata, emerse dalle
onde di libri che coprivano il tavolo.
Mi scrutò a lungo.
I suoi occhi scuri mi apparirono così straordinariamente
giovani da sembrarmi non suoi, organi presi a prestito e piantati in
quel viso di vecchio. Sembrava che, per un caso straordinario, quegli
occhi avessero trovato modo di non invecchiare lasciando tutto il
resto al suo destino biologico. Dovette accorgersi di questa mia
scoperta. Con lentezza abbassò le palpebre. Rinfoderò gli occhi
come avrebbe fatto una testuggine con i suoi lembi. Quando li riaprì
aveva uno sguardo senile.
Questa sensazione fu rafforzata da un altro contrasto:
l‟espressione cerimoniosa di chi accoglie un ospite ed il severo
cipiglio di maestro. Questa ambivalenza permase sullo sfondo del
nostro incontro, come per ricordarmi la distanza che ci separava. Il
tono di voce, l‟abito, i gesti stavano fissando le regole della nostra
interazione. Padre S. evidentemente desiderava definire al più presto
lo scopo del nostro incontro ed i confini entro cui poteva svolgersi.
71
Lupelius
Gli strinsi la mano. Avvertii la stessa energia che avevo
percepito nel suo sguardo. Padre S. stava studiandomi. Appena
celata dal suo sorriso, una sonda stava raccogliendo segnali ed
elementi di giudizio per classificarmi. Il suo visitatore non era un
animale accademico, ma appariva piuttosto un giovane uomo
d‟affari. Il tipo d‟uomo che Padre S. probabilmente non incontrava
spesso.
«Di lei so soltanto che si interessa di filosofia morale e che
viene da una università americana… da New York… se non
sbaglio» disse, pronunciando quel „soltanto‟ quasi in tono di
rimprovero, lasciando trapelare la sua natura ed il piglio
professorale.
«Mi occupo di Business Ethics» lo corressi cortesemente
mentre gli presentavo copia della lettera speditagli giorni prima dalla
Fordham University. Quel documento mi accreditava come
ricercatore, studioso di etica degli affari. Era stato la mia credenziale
per ottenere quell‟incontro. Mi sentivo perfettamente a mio agio in
quel ruolo. Tacqui. Preferii non dargli subito altre informazioni su di
me, lasciandolo sulla soglia di quel lieve disagio, in bilico tra la
curiosità e l‟estraneità, senza semplificargli troppo il compito.
Mentre leggeva, osservai sul suo volto l‟espressione di un
crescente interesse. Finché trasalì manifestamente quando lesse degli
studi che stavo conducendo su Lupelius, della speranza che il nostro
incontro potesse far avanzare le mie ricerche. Con sforzo riuscì a
contenere l‟emozione per quella scoperta e si limitò ad esprimere
una cauta sorpresa per la scelta di una scuola di pensiero così
straordinaria, fuori da ogni ambito scientifico noto.
Senza naturalmente parlargli del Dreamer, giustificai il mio
interesse per Lupelius con l‟impatto rivoluzionario che il suo
pensiero poteva avere sulle teorie organizzative e sulla preparazione
di una nuova generazione di leader. Gli parlai dei grandi risultati che
mi attendevo da quel filone di studi che propugnava l‟applicazione
nel mondo del business dei valori, dei metodi educativi e dei principi
filosofici delle antiche scuole di preparazione. In particolare mi
erano sembrati interessanti gli insegnamenti di Lupelius e le sue
ricerche sulla invulnerabilità e sulla invincibilità, per l‟evidente
rilevanza che ancora oggi queste qualità potevano avere nelle
moderne sfide economiche, non meno dure e fatali di quelle militari.
Le sue ricerche e gli esperimenti sulla immortalità condotti nella sua
scuola potevano essere estesi alle imprese moderne.
72
La Scuola degli Dei
Da tempo gli studiosi di economia si trovavano inermi di fronte ad
un fenomeno allarmante, di dimensioni planetarie.
«Companies die young. Le imprese di tutto il mondo hanno vita
troppo breve, appena un pugno di anni – gli raccontai – Perfino i
giganti della finanza e dell‟economia, le più grandi multinazionali
del pianeta, difficilmente superano il loro quarantesimo anno di
vita.»
Attingendo agli insegnamenti del Dreamer, gli riferii come mia la
convinzione che un‟impresa longeva nasce da un fondatore longevo
e che un‟impresa immortale può nascere solo dal sogno di un Essere
immortale. Una volta, parlandomi della polarità amore/paura, il
Dreamer mi aveva rivelato che il vero significato di amore andava
ricercato nella etimologia della parola latina a-mors, assenza di
morte. Il nome di Roma, la città eterna, non a caso, è l‟anagramma
di „amor‟. Nelle sue radici, già dalla fondazione, sigillato nel nome
che il fondatore le aveva dato, era codificato il suo destino di
immortalità. Portai l‟esempio di Roma, che aveva oltre 2800 anni di
ininterrotta attività, come il caso di un‟impresa di tale longevità da
non poter essere spiegato senza risalire al fondatore ed alle sue
qualità di Essere immortale (Romolo fu divinizzato e venerato
come dio Quirino).
Feci a Padre S. altri esempi di aziende estremamente
longeve, da quella dei Windsor, che ha mille anni, alla stessa chiesa
cattolica, la più grande multinazionale del pianeta. Continuando ad
attingere agli insegnamenti ricevuti dal Dreamer, sostenni che
un‟economia ricca è sempre l‟espressione di un pensiero immortale.
Vision and reality are one
Basta un frammento di eternità per dilatare la visione di un
paese, per espandere i confini della sua economia. Basta il concetto
di immortalità per vedere innalzato il destino finanziario di
individui, di organizzazioni, di intere nazioni.
In questa direzione stavano procedendo le mie ricerche.
Affermai che queste scoperte avrebbero a breve cambiato la visione
del business e rivoluzionato l‟insegnamento e la ricerca scientifica di
tutte le università di economia.
L‟interesse di Padre S. cresceva a vista d‟occhio, man mano
che gli parlavo di teorie economiche connesse all‟immortalità e del
poco che sapevo della filosofia di Lupelius. L‟economia globale si
73
Lupelius
stagliava sullo sfondo di un immenso campo di battaglia dove ogni
giorno intere nazioni, compagini aziendali grandi come sterminati
eserciti, si affrontano per fissare a proprio vantaggio le nuove
frontiere dell‟economia. Dal confronto emerge un vincitore. Gli altri,
sconfitti, sono incatenati al suo carro e trascinati in schiavitù. Per
vivere dovranno adottare gli usi del loro nuovo padrone, impararne
la lingua. Dovranno servirlo.
Incoraggiato da un gesto del mio ospite di andare avanti,
continuai raccontandogli quello che ero riuscito a scoprire sul
misterioso monaco-filosofo. Non nascosi il fascino che su di me
esercitavano Lupelius ed il suo straordinario insegnamento. Arrivai
rapidamente al punto dove si erano arenate le mie ricerche. Gli
riferii anche delle mie ricerche, finora infruttuose, del manoscritto di
„School for Gods‟ e della misteriosa scomparsa di ogni sua copia.
Non nascosi il mio stupore per quello che appariva un deliberato
tentativo di cancellare ogni traccia del lavoro di Lupelius e della sua
Scuola per immortali.
6 La dottrina di Lupelius
Padre S. mi ascoltò assorto, il capo chino sul petto.
Quando sollevò il viso, il suo sguardo brillava. Rividi gli
occhi straordinariamente giovani che tanto mi avevano
impressionato nell‟incontrarlo. Questa volta non li nascose ma
continuò a fissarmi. Il suo viso assunse l‟espressione speciale di chi
si aspetta di essere riconosciuto.
Non mi sottrassi al gioco e mi concentrai su quella sua
mossa. La soluzione dell‟enigma arrivò improvvisa, abbacinante
come un lampo che squarcia un cielo nero. Provai un senso di
vertigine. Quell‟uomo si camuffava da vecchio… ma sì… usava la
vecchiezza, come una maschera… una maschera strategica... Padre
S. era un finto vecchio. Il cuore mi balzò in petto. Padre S. era… un
lupeliano. Ne ero certo.
Riuscii a stento a contenere l‟emozione di quella scoperta…
Provai il piacere sottile della complicità che si stava stabilendo tra
noi… Un funicolo lungo dieci secoli ci univa a quella stirpe di
guerrieri che sapeva vivere strategicamente e conosceva l‟arte del
travestimento. Le sue capacità camaleontiche gli avevano permesso
di vivere tra le pieghe del suo ordine, nascosto nel seno della
74
La Scuola degli Dei
cristianità. Un tunnel si era aperto nel tempo e più di mille anni si
erano compressi in un istante per condurmi davanti alle porte della
Scuola. Avevo di fronte forse l‟ultimo dei suoi immortali custodi.
Una domanda mi martellava le tempie, pulsando con le mie arterie.
Padre S. conosceva il Dreamer?… Fui tentato di confidargli il mio
incontro con il Sogno e la straordinaria avventura che stavo
vivendo in quei giorni.
«Lupelius è il profeta dell‟immortalità fisica, diritto di
nascita di ogni uomo – rivelò Padre S. interrompendo il mio pensare
febbrile ed allentando il suo iniziale riserbo – Un diritto che abbiamo
abdicato e di cui dobbiamo riappropriarci.»
Poi, come se attingesse da un libro invisibile, più che citare,
lesse ad occhi chiusi queste parole:
«Il corpo è lo spirito fatto carne. Se lo spirito è immortale,
tale è anche il corpo.»
Era evidente la gioia che provava nel ricordare la Scuola e
nel riascoltare le parole che egli stesso sembrava non aver più sentito
da anni. Mi raccontò che per le sue idee Lupelius fu bandito dalla
cristianità e solo miracolosamente poté sfuggire al rogo. La minaccia
più grande rappresentata da Lupelius era la sua fede nelle immense
possibilità dell‟individuo, e nella vittoria finale della vita sulla
morte. Per la chiesa cristiana e per tutte le religioni istituzionali,
dedite alle masse, non poteva esserci una filosofia più pericolosa: „la
rivoluzione dell‟Essere‟, la ribellione alla quale ogni uomo è
chiamato per trasformare la sua fragilità, il suo destino mortale. Una
lotta contro demoni, draghi e chimere interiori, contro mostri e
giganti psicologici che l‟uomo ha chiamato dubbio, paura, dolore,
che per Lupelius erano la vera causa di ogni male, di ogni sciagura.
Non sorprendeva come idee di una tale sovversività gli
avessero sollevato contro persecuzioni ed attentati. In effetti ogni
traccia di Lupelius e della sua opera sparirono. Ora questo mi
sembrava l‟effetto di una deliberata strategia di Lupelius più che il
risultato di una implacabile ostilità.
Essere accettati dalla sua scuola significava essere messi a
dura prova, vivergli accanto voleva dire avere la capacità di
sostenere grandi sforzi per lungo tempo. Dell‟immortalità fisica e
dell‟invulnerabilità Lupelius voleva che i discepoli avessero una
esperienza diretta, sperimentando come fosse possibile passare
indenni attraverso i pericoli più gravi. E in effetti mai si verificò che
75
Lupelius
uno dei suoi, partito con la sua benedizione, tornasse minimamente
scalfito.
Gli chiesi a cosa attribuisse questo fatto così straordinario.
«Lo scudo di un uomo è la sua purezza, il suo amore per la
vita e per il suo maestro» recitò Padre S. tenendo gli occhi
leggermente socchiusi. Più che riflettere su cosa rispondere, mi
sembrò che stesse ricordando.
«Per Lupelius la purezza è la qualità fondamentale di un
uomo e la via d‟accesso all‟immortalità fisica: asintote supremo
della parabola umana.» Si fermò per una pausa che mi sembrò
straordinariamente lunga. Avevo notato che riferendosi a Lupelius,
Padre S. parlava sempre al presente, come se si trattasse di un
contemporaneo... o di qualcuno che non fosse mai morto. Nel
discorso che seguì mi condusse per mano nel mondo straordinario di
quei pochi uomini e donne pronti a tutto pur di spingersi oltre gli
inviolati confini, le colonne d‟Ercole della comune descrizione del
mondo.
«Nella scuola di Lupelius ogni sforzo è volto a liberare la
mente dalla convinzione che la morte sia inevitabile ed invincibile –
disse Padre S. – Tutto faceva parte di una strategia di purificazione
per riuscire a sconfiggere dentro di sé quella arcana volontà di
morire che nell‟uomo ordinario prende mille aspetti; ne impregna la
psicologia, fino a diventare una seconda natura, parte ineliminabile
della sua vita.»
The belief that death is invincible is unhealthy to humans.
Your longevity is determined by your mental state, by your life urge.
«La tua longevità è determinata dalla tua mente – asserì
Padre S. sintetizzando a mio beneficio il pensiero di Lupelius –
Questo significa che se muori sei l‟unico responsabile! »
Una piccola suora entrò silenziosamente portando
l‟occorrente per servirci un tè. Dalle occhiate stupite che
furtivamente mi diede mentre trasferiva sul tavolo tazze e teiera e ci
versava la bevanda fumante, mi resi conto di quanto doveva essere
raro che Padre S. si trattenesse con qualcuno così a lungo. Il mio
ospite tacque per tutta la durata di quell‟operazione. Solo quando la
suora fu uscita riprese quel punto e mi raccontò come i Lupeliani
76
La Scuola degli Dei
sapessero che mettere in discussione l‟inevitabilità della morte,
anche solo per ironia, ne indeboliva il potere.
«Per l‟affermazione del diritto di ogni uomo all‟immortalità,
per la sua lotta rivolta a denunciare la morte come il più orribile ed
ingiusto dei pregiudizi umani – annunciò Padre S. in tono
epigrafico – Lupelius sarà ricordato come il più importante mistico
dell‟immortalità fisica.»
Continuò affermando che Lupelius si connette a quella
religione fisica, corporale, che fu il cristianesimo delle origini e ne
diventa l‟epigono, araldo del materialismo spirituale e del suo
messaggio di indistruttibilità del corpo.
«Mentire, nascondersi, lamentarsi e tentare di sfuggire alle
proprie responsabilità sono le stigmate dell‟uomo caduto
nell‟immoralità, nella divisione; dell‟uomo che ha dimenticato la
ragione del suo esistere – disse Padre S. in tono epilogativo –
Un‟umanità che ha abdicato il suo diritto di nascita, che ha
dimenticato la propria integrità, „inventa‟ la morte per porre fine alle
sue miserie. L‟uomo preferisce morire piuttosto che assumersi il
compito immane di vincere se stesso, la propria incompletezza…
Tuttavia la morte non è una soluzione. Un uomo riprende sempre da
dove ha lasciato.»
Lupelius crea The School for Gods, una scuola di
responsabilità per indicare all‟uomo frammentato, the scattered man,
la via del ritorno verso la semplicità, l‟integrità, la volontà sepolta.
7 Offri un gallo ad Asclepio
Attraverso i frammenti che avevo potuto raccogliere
dell‟opera perduta di Lupelius, dietro le citazioni di Padre S.,
riconoscevo sempre più chiaramente il respiro del Dreamer, sentivo
la Sua voce. Più alta, più antica di quella di Lupelius. Gli rivolsi un
pensiero di gratitudine.
Padre S. stava ora leggendomi alcune frasi da un libriccino
che trattava con venerazione e che evidentemente portava sempre
con sé. L‟emozione gli faceva tremare la voce. Il suo tono,
appassionato, stava diventando più intenso man mano che da quel
florilegio venivano alla luce alcune tra le più „scandalose‟ credenze
di Lupelius, verità inaccettabili per qualunque mente razionale e per
qualunque fede canonica. Mentre le ascoltavo e le annotavo sul mio
77
Lupelius
taccuino avvertivo lo strofinio della loro insostenibile „diversità‟, la
loro stridente antinomia con le convinzioni più radicate,
universalmente accettate.
«Vecchiaia, malattia e morte sono insulti alla dignità umana,
pilastri millenari di una descrizione illusoria del mondo.
Il male è al servizio del bene. Sempre!… Tutto arriva per
guarirci… Anche la morte fisica è in realtà una guarigione. L‟ultima
possibile!»
Questa affermazione, l‟insostenibile paradosso di Lupelius,
fece scattare un meccanismo segreto. La mente andò alle parole
pronunciate da Socrate mentre la cicuta stava arrivando al cuore e ne
stava fermando i battiti. La loro comprensione mi esplose dentro con
un insostenibile fulgore. Durò un battito di ciglia, poi si spense; ma
fu abbastanza per poterla catturare. Per oltre duemilacinquecento
anni il significato dell‟ultima volontà espressa da Socrate era stato
un mistero insondabile. Circondato dai suoi discepoli più cari,
ingerita la cicuta, l‟effetto paralizzante del veleno dalle gambe stava
procedendo rapidamente verso il cuore. Mancavano solo pochi
istanti alla fine. In quel momento supremo, le parole di Socrate
furono: “Siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non ve
ne dimenticate.”
Come poteva Socrate chiedere all‟amico Critone di offrire un
gallo al Dio della guarigione quando la vita gli stava scivolando tra
le dita e la morte era ormai inevitabile? Per venticinque secoli queste
parole hanno rappresentato un rompicapo per generazioni di saggi,
dotti ed esegeti.
Le affermazioni filosofiche di Lupelius avevano squarciato
una cortina impenetrabile ed ora dall‟abisso del tempo il significato
di quel messaggio stava emergendo in tutta la sua vastità. Come un
naufrago che rinchiude in una bottiglia il suo messaggio, per salvarlo
e trasmetterlo, Socrate aveva affidato la sua comprensione
all‟oceano del tempo, per farla arrivare fino a noi. Sigillato nelle sue
ultime parole c‟è il frutto estremo della sua ricerca instancabile:
anche la morte è una guarigione… è l‟ultima delle medicine! Arriva
quando null‟altro è servito.
Per effetto delle straordinarie circostanze della sua
esecuzione, Socrate raggiunge un grado di unità interiore mai
toccato prima, un vertice di integrità che gli permette di accedere al
più grande degli arcani: perché l‟umanità sia ancora soggetta a
morire e come questo un giorno non sarà più necessario. Dietro le
78
La Scuola degli Dei
ultime parole di Socrate grandeggia il sogno di un‟umanità futura,
guarita, integra, che non avrà più bisogno di quell‟estremo atto di
purificazione.
Un giorno mi avrebbe detto il Dreamer:
“La morte è la modalità estrema cui l‟esistenza fa ricorso
quando ogni altro tentativo di guarirci, di integrarci, è stato vano.
Socrate usa la morte per capire! Nel momento supremo scopre che
essa non è altro che un passo sulla via della guarigione, un altro
gradino lungo la scala dell‟integrità. È questo l‟ultimo
insegnamento di Socrate, il più grande… ”
Socrate è l‟epitome di un‟umanità ancora in bilico tra due
visioni. È un ricercatore, un esploratore. Non ce l‟ha fatta a superare
la morte ma almeno l‟ha usata per capire. Ha indicato la strada.
8 Vietato uccidersi dentro
«L‟integrità dell‟Essere è soltanto l‟inizio di una umanità che
ha scelto di vivere per sempre – completò Padre S. – Like attracts
like. Morte attrae morte e non può colpire chi è connesso alla Vita.»
Armati della loro integrità, i lupeliani tornavano incolumi
dalle imprese più temerarie. Nessuno strumento di guerra sembrava
poterli scalfire, come se ogni connessione con la morte fosse stata
sradicata per sempre. Senza proselitizzare e senza propugnare alcuna
filosofia, i monaci-guerrieri di Lupelius sapevano innalzarsi, ed
innalzavano uomini ed eventi intorno a loro, ad una fascia più alta
dell‟Essere. Essi vincevano ancor prima di combattere. Vincere
significava vincere se stessi, i propri dubbi, le paure, l‟ignoranza. La
vittoria esterna era solo una verifica della vittoria interna. Così,
curando il proprio Essere, alimentando la propria impeccabilità,
rendendosi inaccessibili al male, vinsero sfide impossibili e
realizzarono imprese leggendarie.
«La prima causa della morte è proprio la nostra separazione
da Dio, l‟aver trasferito il divino al di fuori di noi» disse Padre S.
traendo da un cassetto un foglio ed annotandovi qualcosa. Poi
continuò:
«Lupelius dice: puoi odiare Dio perché sei ammalato, perché
soffri o sei povero, ma io ti assicuro: la ragione per cui sei
ammalato, sofferente o povero è la tua divisione da Dio. Gli uomini
l‟hanno dimenticato e hanno trasformato il pianeta in un mondo di
79
Lupelius
morte. Hanno fatto della morte la loro ragione di vita. Ad essa
dedicano ogni loro pensiero, ad essa è rivolta ogni loro azione.»
«„Love and Serve‟ è il motto… Per essere al servizio
dell‟umanità bisogna amare… e prima di ogni altra cosa, se stessi, la
propria vita… »
Qui Padre S. abbassò la voce. Intuii che stava per confidarmi
l‟insegnamento più segreto, la più insostenibile delle verità ricevute
dalla Scuola.
«Lupelius ricordava ai suoi discepoli… » disse, e si fermò
per alcuni interminabili istanti. Le labbra gli tremavano mentre stava
per riportare le parole del suo maestro.
«Voi siete Dei che hanno dimenticato… voi siete Dei in stato
di amnesia.»
«Anche ordini secolari dimenticano.» Gli occhi del vecchio
si inumidirono al pensiero di quello spirito guerriero che aveva
ispirato la sua scelta monastica.
«La dimenticanza indebolisce il guerriero che è in ogni
uomo… Una volta noi domenicani eravamo vegetariani,
mangiavamo una volta al giorno; coltivavamo il corpo e lo spirito
come una sola entità… Ci era molto chiaro il messaggio di Cristo e
lo Scopo: la vittoria della Vita sulla morte fisica.»
Solo un lavoro incessante su se stesso
può permettere ad un uomo di superare la morte.
C‟era nella sua voce la nostalgia dell‟antica disciplina, il
ricordo dello splendore sepolto della Scuola. Ero ammirato, felice.
Non credevo che la cristianità ancora custodisse in seno uomini
come Padre S., crociati votati alla più santa delle guerre: mettere a
morte la morte.
«Scuole e chiese, università, ordini religiosi ed istituzioni
governative, hanno smesso da tempo di preparare esseri
responsabili. Oggi producono solo corpi e menti inquinate» affermò
Padre S.
Finì di riempire con una fitta calligrafia il foglio che aveva
davanti. Lo piegò più volte e me lo consegnò senza aggiungere
altro. Quel gesto mi parve simbolicamente il passaggio del testimone
in una staffetta ininterrotta attraverso i secoli. Mi stava affidando un
tratto della millenaria corsa dell‟umanità alla ricerca di una via di
fuga dalle sue prigioni.
80
La Scuola degli Dei
Lasciandomi, sulla soglia del suo minuscolo studio, mi
sorrise, ammiccando, contagiandomi con quella complicità gioiosa e
inviolabile che avevo trovato soltanto tra i piccoli guerrieri, gli
scugnizzi luminosi del mio rione.
Gli chiesi di indicarmi il
comandamento di Lupelius che più di ogni altro rappresentasse la
sintesi della sua ricerca, la formula segreta per sconfiggere la morte
fisica.
«Vietato uccidersi dentro! – citò Padre S. senza esitazioni –
Ciò che ci fa morire fisicamente sono le mille morti psicologiche che
ogni giorno ci insidiano… Credere che la morte sia invincibile ci
uccide. La fede nella sua inevitabilità è il vero killer.»
9 The School for Gods
Avevo scalato le ripide pendici dell‟altopiano fino alla cima
dei suoi maestosi vulcani. Attraverso l‟aria secca e limpida, per
estensioni grandissime, lo sguardo spaziava su una vegetazione
steppica, un paesaggio senz‟alberi. Giunto ad Everan, mi lasciai alle
spalle la statua del monaco Mashtots ed attraversai il piazzale in
direzione di una specie di bunker di basalto grigio che occupava la
sommità di un‟arida collina. Ero nel cuore dell‟Armenia. Vi ero
arrivato seguendo fedelmente le indicazioni di Padre S. e ora mi
stavo avvicinando a quel severo edificio, sede dell‟antica Biblioteca.
In essa, materializzata in migliaia di volumi, era custodita la
memoria di un popolo che per lunghi secoli aveva vissuto sull‟orlo
dell‟estinzione. Qui, dove copisti e traduttori furono venerati come
santi, dalla metà del V secolo in poi, furono conservate o copiate
migliaia di opere della classicità, della tradizione cristiana, ed anche
pagana. Religiosamente tradotti in armeno classico, con fedele
aderenza al testo originale, si erano così salvati importantissimi testi
e capolavori ormai considerati perduti. Ad Everan erano legate le
mie ultime speranze di trovare il manoscritto di Lupelius, o almeno
una sua copia.
Trascorsi giorni ad interrogare gli archivisti, ad esplorare
minutamente intere sezioni della biblioteca. Percorrevo gli
sterminati corridoi dalle pareti tappezzate di volumi e plichi
polverosi, come un archeologo tra le mura di una città sepolta. Mi
aiutavano nella ricerca due giovani bibliotecari. Mi erano stati
assegnati dal sovrintendente, non so se come assistenti o come
81
Lupelius
guardiani. Con loro penetrai in labirinti cartacei, esaminai
pergamene e rotoli di cartapecora ingialliti dal tempo, riportandoli
alla luce per la prima volta dopo secoli.
Quando mi sembrava di individuare qualche giacimento
promettente, selezionavo i volumi o i rotoli, ed i due giovani studiosi
provvedevano a prelevarli e ad aprirli. Non toccavano mai quei
preziosi reperti a mani nude, ma solo attraverso un drappo finemente
ricamato, seguendo un rituale quasi sacro.
Un giorno, dal catalogo dell‟Istituto Manoscritti Antichi
scoprii che, col numero 7722, era conservato un volume senza titolo
dalla storia originale. Riscattato a peso d‟oro dalle mani dei
Selgiuchidi nel 1204, era stato conservato e difeso in qualche
monastero arroccato tra i monti aspri e nevosi, prospettanti il Mar
Nero. Alla fine del settecento fece parte della collezione di testi
spirituali e ascetico-mistici di Paisij Velichovskij che fece stampare
a Mosca una versione slavonica. Dopo innumerevoli peripezie,
ancora una volta nel 1915, viene salvato miracolosamente dalle
distruzioni dei turchi e riportato ad Everan. Sentii in petto i battiti
diventare colpi di maglio quando dalla cassaforte blindata emersero i
rotoli di cartapecora coperti fittamente dalla mano dell‟autore.
Seppi subito che si trattava di Lupelius. Mi bastò la lettura di
poche righe per esserne certo. A stento riuscii a controllare la gioia
mentre ne esploravo avidamente il contenuto.
Il linguaggio di Lupelius si rivelò un misto di latino ed
inglese volgare, una specie di esperanto europeo di suggestiva
creatività. Quelle parole avevano la forza di annullare il tempo e di
trasmettere intatta, a distanza di oltre un millennio, l‟energia
preziosa che aveva ispirato generazioni di monaci-guerrieri.
Durante la mia permanenza ad Everan avevo stretto amicizia
con una coppia di studiosi gallesi. Storico lui, esperta latinista la
moglie. A loro, quella sera, nel piccolo lounge della locanda in cui
alloggiavamo, confidai la mia scoperta. Ne discorremmo eccitati per
buona parte della notte. Il loro aiuto si sarebbe rivelato
provvidenziale. Solo il Dreamer poteva aver creato una tale
prodigiosa „coincidenza‟.
La cosa, tra le altre, che più apparve sorprendente a questi
ricercatori non era il modo in cui avevo rintracciato quell‟opera
quanto il fatto che ne conoscessi il titolo originale. Un titolo perduto
da secoli e che nessuno più conosceva. Con il loro aiuto cominciai
subito a trascrivere alcuni passi ed avviai il lavoro di traduzione.
82
La Scuola degli Dei
Insieme studiammo il manoscritto per settimane. Più leggevo, più mi
avvicinavo alla filosofia di Lupelius, e più sentivo crescere la
passione per quell‟insegnamento dimenticato. L‟interpretazione di
un passo, la esegesi di un simbolo, mi faceva attraversare i sacri
limini di quella scuola di uomini e donne, ricercatori instancabili del
segreto dell‟immortalità.
Commissionai a copisti esperti una riproduzione fedele de
„The School for Gods‟. Ne risultò un vero capolavoro: un volume
finemente rilegato in cuoio e le pagine di cartapecora vegetale
identiche in tutto e per tutto agli originali vergati dalla mano di
Lupelius. Da quella copia non me ne separavo mai. Di notte
custodivo il volume sotto il guanciale, come faceva Alessandro con
l‟Iliade. Era un dono per il Dreamer e non vedevo l‟ora di
offrirGlielo. Sapevo che ogni più piccolo scatto nella comprensione
dei Suoi principi mi avvicinava a Lui, giorno dopo giorno.
Frequentemente ero rapito da un entusiasmo incontenibile
che talvolta culminava in veri e propri momenti di estasi al pensiero
del prodigioso esito di quell‟impresa, ai confini dell‟impossibile.
Avevo „miracolosamente‟ trovato Padre S., avevo trovato il
manoscritto originale „The School for Gods‟, avevo incontrato la
coppia di studiosi che, con devozione illimitata, ne stava curando la
traduzione. Non avevo alcun dubbio che presto avrei ritrovato il
Dreamer. Per il momento non esisteva null‟altro che immergermi nel
manoscritto, calarmi ogni giorno in quelle miniere di re Salomone,
percorrerne le venerande gallerie e scavare, scavare senza tregua, per
estrarne la „materia preziosa‟.
In order to choose life we have to choose the thought that
death is not invincible.
And so, we have to find the principles of aliveness,
longevity and eternity in our Being.
Questa ed altre leggi che appresi dal manoscritto di Lupelius
sarebbero poi state le pietre angolari di ogni mia futura attività ed i
princìpi portanti di innumerevoli imprese nel mondo internazionale
del business.
Un‟impresa è tanto vitale, e tanto ricca e longeva, quanto le idee ed
i princìpi del suo fondatore.
83
Lupelius
Per Lupelius la vera disuguaglianza tra gli uomini, la radice
da cui ogni altra differenza visibile si produce, è la loro
appartenenza a livelli diversi di responsabilità interiore. La
differente qualità del pensiero posiziona verticalmente gli uomini su
piani diversi lungo la scala dell‟Essere.
Esiste una gerarchia interiore che nessuna guerra o
rivoluzione potrà mai cancellare perché la vera diversità tra gli
uomini non è di censo, né di credo o di razza. È una differenza di
stati d‟Essere. È una differenza psicologica, verticale, evolutiva, di
grado. Perciò essa può essere superata solo attraverso un
cambiamento radicale del modo di pensare e di sentire.
A real improvement implies change of Being.
A real improvement means evolution
or growth towards unity of Being,
which is the result of a new way of thinking
and the abandonment of the old, mortal mentality...
Solo un cambiamento nell‟Essere può innalzare un uomo
ad un più alto grado di libertà, di comprensione, di felicità.
10 Mea Culpa
Per Lupelius la Terra è un penitenziario cosmico, una
prigione vasta quanto il pianeta, dove gli uomini vivono come
reclusi nel braccio della morte. Invece di trarre da questa visione la
conclusione di una sconfitta finale e irrimediabile, la sua pazzia
luminosa concepisce il disegno più ardito. Lupelius sogna per
l‟uomo un‟avventura oltre i confini del possibile: l‟evasione dalle
leggi del pianeta, la fuga dal suo destino mortale, apparentemente
inesorabile. L‟uomo può infrangere i confini che egli stesso si è
assegnato, può sfidare la natura, trasgredire i limiti che, come
colonne d‟Ercole, ormai non osa superare neppure con
l‟immaginazione. Lupelius raccoglie intorno a sé pochi audaci e
mette a punto un dettagliato piano di fuga.
Incontri sempre gli stessi eventi perché nulla cambia in te!
Like attracts like.
84
La Scuola degli Dei
La particella di paradiso va verso il paradiso, la particella d‟inferno
verso l‟inferno.
Nella filosofia di Lupelius i nostri stati d‟Essere attraggono
gli eventi che gli corrispondono e gli eventi ci fanno ricadere negli
stessi stati. Solo la volontà può interrompere questo eterno
rincorrersi, questo gioco meccanico senza fine, e spezzare il cerchio
ipnotico in cui è circoscritta l‟esistenza dell‟uomo. Thought is
creative. Thought creates. Gli eventi sono materializzazioni del
nostro pensiero, dei nostri stati d‟Essere. Stati ed eventi sono perciò
la stessa cosa. Gli stati si producono nell‟Essere di ogni uomo, gli
eventi si manifestano nella sua vita, nel tempo, e sembrano prodursi
indipendentemente dalla sua volontà. In realtà siamo noi che li
abbiamo intensamente invocati, inconsapevolmente creati.
Che sia positivo o negativo, il pensiero dell‟uomo è sempre
creativo e trova puntualmente l‟occasione per materializzarsi. I
nostri pensieri, come inviti scritti di nostra mano, spediti e poi
dimenticati, attraggono gli eventi corrispondenti. Al tempo dovuto,
quando neanche più ci pensiamo, circostanze, incontri, accadimenti,
problemi ed incidenti, cadute e fallimenti, si presentano al nostro
uscio, ospiti indesiderati eppure a lungo, oscuramente, evocati. Solo
la disattenzione ai nostri stati, che sono la vera origine di quegli
eventi, ce li fa apparire improvvisi, inaspettati.
L‟improvviso ha sempre bisogno di una lunga preparazione.
Nessun evento può accadere esternamente ad un uomo senza
il suo consenso, sia pure inconsapevole. Nulla può occorrergli senza
prima attraversare la sua psicologia.
Il pensare è quindi potentissimo.
Quelli che poi chiamiamo fatti, gli eventi, le esperienze e
tutti i possibili accadimenti della vita sono stati d‟Essere già in
marcia per andare incontro a chi si è messo in sintonia. Gli stati sono
eventi in attesa dell‟occasione propizia per verificarsi.
La qualità delle nostre emozioni, l‟ampiezza dei nostri
pensieri, gli stati d‟animo che viviamo in questo stesso istante,
stanno decidendo cosa si manifesterà nel visibile, la natura degli
eventi che si materializzeranno nella nostra vita.
85
Lupelius
Thinking is Destiny.
The higher our Thoughts the greater our Life.
L‟elemento centrale del pensiero filosofico di Lupelius è che
stati ed eventi sono i due profili di un‟unica realtà. Questo abbatte
ogni distinzione tra mondo esterno e mondo interno, dischiudendo la
padronanza di se stesso.
L‟esistenza è una nostra invenzione,
e come tale dipende solo da noi.
Condotto per mano da Lupelius, stavo scoprendo per la
prima volta il potere vertiginoso, la „concretezza del fare‟ che si
nascondeva nel mea culpa cristiano. In queste due parole, come in
uno scrigno, è custodita da millenni l‟epitome stessa
dell‟intelligenza umana. Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa.
Solo ora la riconoscevo come l‟espressione più sintetica e potente
dell‟idea di responsabilità. Mea Culpa. Questa formula, capace di
imbrigliare l‟universo, dalla gerarchia degli astri al movimento degli
atomi, racchiude il segreto di un‟energia senza limiti.
Modificando gli stati d‟Essere puoi trasformare gli eventi che
ti tocca incontrare. Ecco come l‟uomo, attraverso uno studio di se
stesso, modificando il proprio modo di pensare e di sentire, può
trasformare la sua esistenza orizzontale, temporale.
L‟esistenza sulla Terra è la nostra grande Scuola. Una Scuola
di vita che agli occhi dell‟umanità ordinaria appare come un
penitenziario.
Occorre imparare a rovesciare la nostra visione.
Tutto quello che gli uomini ordinariamente percepiscono come
difficoltà e sventura,
tutto quello contro cui imprecano,
tutto quello che cercano di evitare ad ogni costo,
è in realtà il materiale più prezioso per trasformare
la propria psicologia di morte
in una psicologia di vita.
Life through this world is a School for Gods.
Confusion, doubts, chaos, crisis, anger, despair and pain
are all excellent conditions for growth.
86
La Scuola degli Dei
11 Stati ed eventi I
L‟Essere è fatto di stati e la vita di eventi. La nostra esistenza
quindi corre parallelamente su due binari: quello degli eventi che
sono la successione di avvenimenti che durante la nostra vita ci
vengono incontro sul tapis roulant del tempo-spazio, e quello degli
stati che sono i moti dell‟animo, i moods, gli stati d‟Essere che si
succedono dentro di noi, in modo quasi sempre inavvertito.
La storia personale di un uomo è quindi orizzontalmente fatta
di eventi e verticalmente fatta di stati. Tuttavia la gente
ordinariamente pensa alla propria vita e la racconta come se fosse
costituita soltanto di eventi esterni. In realtà il tipo di eventi che si
manifestano, e quindi la qualità della vita esterna, dipende dalla
qualità del pensiero e dagli stati dell‟Essere.
La vita perciò è fatta di eventi, ma ancor più di stati.
Ognuno di noi, per esempio, andando a una conferenza o a
teatro, è convinto di scegliere il posto dove sedere; ognuno è
convinto di avere scelto questa mattina l‟abito da indossare. In realtà
a scegliere il posto, come il vestito, non siamo stati „noi‟ ma i nostri
stati d‟Essere. È facile osservare che tutti hanno nel guardaroba un
vestito, una camicia, un capo per cui provano avversione, che per
qualche ragione non vorrebbero mai indossare. Non se ne liberano
perché sanno che prima o poi si troveranno in quello stato d‟animo,
quel mood, quel livello d‟Essere che gli corrisponde. Quando ci
„sentiamo‟ in quel modo „scegliamo‟ quel capo.
La relazione che lega stati ed eventi, accadimenti interni ed
eventi esterni, il misterioso rapporto che esiste tra la psicologia di un
uomo e ciò che gli accade è il nucleo della questione del libero
arbitrio e del millenario enigma se il destino è soggetto al caso o alla
necessità. Intorno a questo enigma gli uomini hanno accumulato nel
tempo le conoscenze di una grande scienza oggi sconosciuta.
Per gli antichi greci esisteva una relazione di causalità trea
stati interiori ed eventi esteriori. Quella civiltà arcaica credette
intensamente che il destino di un uomo fosse una proiezione del suo
mondo interiore, del suo Essere. Su questa convinzione fondarono
una scienza ed un‟arte che assunse tra essi il massimo valore.
Nell‟età preomerica, sapiente non è chi è ricco d‟esperienza o chi
eccelle in conoscenza, ma chi manifesta l‟ignoto, chi conosce il
futuro. Gettare luce nell‟oscurità, precisare l‟incerto è per i greci la
vera sapienza ed insieme un‟arte.
87
Lupelius
Altri popoli esaltarono la divinazione, ma nessun altro
popolo la innalzò a elemento centrale della sua vita. In tutto il
territorio ellenico fiorirono i santuari dedicati al culto di Apollo al
quale, più che a Dioniso, è da attribuirsi il dominio sulla sapienza,
intesa come conoscenza del destino degli uomini e manifestazione,
comunicazione di tale conoscenza.
A Delfi questa vocazione dei Greci e l‟arte di conoscere il
futuro trova la sua massima espressione. Per questo il dio di Delfi è
l‟immagine unificante di quella civiltà ed un‟abbreviazione della
Grecia stessa. Il pellegrino che spesso attraversava grandi distanze e
affrontava gravi pericoli per interrogare il Dio sul suo futuro,
leggeva inciso sul timpano del tempio il motto delfico „conosci te
stesso‟. Era come dire: vuoi sapere il tuo futuro? Conosci te stesso!
In questo paradosso, apparentemente beffardo, i greci
deposero la soluzione del più antico enigma dell‟uomo, la risposta
alla millenaria domanda sull‟esistenza di un libero arbitrio. Una
domanda che ha fatto vibrare d‟inquietudine tutte le filosofie del
mondo sospese tra il presagio fatalistico di un futuro predeterminato
ed ineluttabile, e il credo nell‟homo faber, artefice del suo destino.
Scolpendo il motto delfico proprio sul tempio deputato alla più sacra
delle arti, alla più grande tra le scienze, la divinazione, i greci
indicarono la relazione segreta tra mondo interiore e mondo
esteriore, tra stati ed eventi. E questa scoperta l‟affidarono come un
messaggio in una bottiglia all‟oceano del tempo per farla arrivare
fino a noi. L‟uomo che conosce se stesso, il proprio Essere,
contenitore dei propri pensieri, idee, attitudini, conosce anche il
proprio futuro, perché ciò che pensiamo è connesso al mondo; la
nostra psicologia è il nostro destino.
Thinking is Destiny
Apollo è il simbolo del mondo, specchio dell‟interiorità
dell‟uomo. Il mondo ci riflette.
La tradizione classica che tramanda il mito di Omero come il
vate cieco, è ancora un messaggio di quell‟età dei saggi che si
concluse con la morte di Socrate, l‟ultimo dei saggi. La cecità
attribuita all‟autore dell‟Iliade e dell‟Odissea, le due grandi bibbie
dell‟antichità, è emblematica dell‟attenzione che i greci seppero dare
al mondo psicologico, alla conoscenza di sé, dei propri stati.
88
La Scuola degli Dei
Guardare dentro se stessi è la chiave di conoscenza del mondo, la
strada per capirne e prevederne gli accadimenti.
Accorgendosi che alcuni uomini erano capaci di sforzi
speciali e di affrontare imprese ben oltre le possibilità ordinarie ed
osservando come essi godessero di una protezione speciale, anche
nelle circostanze più perigliose, e come la loro vita fosse al centro di
eventi straordinari, gli antichi greci riconobbero in loro una natura
speciale, una luminosità dell‟Essere e qualità interiori quasi divine.
Essi concepirono quindi l‟esistenza di due specie umane: quella
degli eroi e dei semidei, da un lato, e quella degli uomini comuni,
dall‟altro.
Nell‟Età di Omero solo semidei ed eroi, attraverso imprese
sovrumane, potevano conquistarsi il diritto ad un destino
individuale. La loro vita, unica, originale, era sottratta alla
giurisdizione di ogni divinità, libera dal capriccio degli eventi e del
caso. Tutti gli altri uomini erano condannati ad una esistenza
ripetitiva. Governati dalle leggi dell‟accidentalità e soggetti al Caso,
la loro vita, lunga o breve, e le loro azioni, erano rivolte al vuoto e
destinate a non lasciare traccia.
Per Lupelius la differenza tra queste due specie umane, e tra
gli uomini, è la loro appartenenza a diversi livelli nella scala
dell‟Essere.
Dovunque si incontrino, per pochi istanti o per anni gli
uomini formano inevitabilmente una piramide,
si dispongono a livelli diversi di una scala invisibile rispettando un
ordine interiore, matematico,
come gerarchie planetarie fatte di luminosità, di orbite, di massa e
di distanza dal loro sole.
Possiamo non esserne consapevoli, ma il nostro destino, la
qualità della nostra vita, gli eventi che ci toccano devono rispettare
questa gerarchia.
Comprendendo come tutto emana dall‟Essere e che il destino
individuale degli uomini, come quello di una intera società, non è
che una proiezione dell‟Essere, la Grecia classica usò ogni mezzo
possibile, dalla religione alla politica, dalle scienze alla filosofia, alle
arti ed anche la guerra, per innalzare lo spirito. Le meraviglie
architettoniche di città come Atene ed opere d‟arte come i
capolavori di Fidia, esposti nelle piazze, erano macchine per
89
Lupelius
trasmettere all‟Essere messaggi di bellezza, di fierezza, di armonia, e
per elevarlo. Solo presso i greci Poiesis, la poesia, racchiude nella
sua etimologia il segreto del fare attraverso l‟Essere. E tutto il teatro
greco, producendo negli spettatori una purificazione, una liberazione
dell‟anima dal proprio fardello, ebbe presso quel popolo una
funzione terapeutica e catartica. Causa finale della tragedia fu per i
greci la purificazione delle passioni e perciò l‟elevazione
dell‟Essere.
12 Stati ed eventi II
Ripensando alla ricchezza di queste informazioni e a tutto
quello che stavo imparando sugli stati e sugli eventi, molte volte
riflettei sull‟assurdità di spendere un quarto della nostra vita a scuola
e all‟università, e trascorrere l‟intera esistenza, senza sapere
dell‟Essere e del potere che i nostri stati hanno nel determinare gli
eventi e le circostanze della vita.
La nostra prima educazione non ci dà alcun senso di
discernimento tra cosa è esterno e cosa è interno, né ci prepara a un
management dei nostri pensieri, ad una consapevolezza delle nostre
emozioni. Senza una scelta intenzionale, la cultura comune ha
relegato emozioni, sensazioni e pensieri nella sfera effimera ed
impalpabile dei miti, delle fiabe, del sogno, considerandoli fenomeni
separati e quanto mai lontani dalla „realtà‟.
Seguendo le tracce lasciate dalla civiltà classica, scoprendone
la mitologia, che per ogni aspetto si è rivelata più utile e più
affidabile della storia, studiando il manoscritto di Lupelius, feci la
scoperta emozionante che in realtà tra stati ed eventi non c‟è un
rapporto di anteriore e posteriore, di causa ed effetto, ma di assoluta
identità. Stati ed eventi sono due facce della stessa realtà poste su
piani diversi dell‟esistenza, le due estremità di uno stesso bastone,
posto verticalmente.
Ciò che ci impedisce di vedere che stati ed eventi sono la
stessa e identica cosa è che essi sono separati dal fattore tempo che
agisce come una specie di ammortizzatore. Tra i nostri stati interni
ed il prodursi degli eventi esterni che gli corrispondono intercorre
del tempo che, come una cortina fumogena, impedisce di
riconoscere che gli eventi non sono altro che i nostri stati
materializzati nel tempo-spazio.
90
La Scuola degli Dei
Pensieri, emozioni, sensazioni e tutti i nostri stati sono come
inviti che ad ogni istante diramiamo e che, anche se ce ne
dimentichiamo,
immancabilmente
attraggono
gli
eventi
corrispondenti. Più precisamente, essi sono già gli eventi. Per
manifestarsi hanno solo bisogno che arrivi il loro tempo. Potranno
impiegarci più o meno tempo e accadere in questo luogo o in un
altro ma essi infallibilmente ci raggiungeranno.
Gli stati emozionali di un uomo sono in verità
eventi in cerca di un‟occasione
per verificarsi e diventare visibili.
Il tempo distanzia gli stati dagli eventi e ne cela l‟identità. Il
tempo soffia il suo nero-seppia e dietro questa cortina gli eventi si
nascondono e covano prendendoci poi di sorpresa, quando abbiamo
dimenticato, o mai ci siamo accorti, di averli prodotti. Ma nulla
accade improvvisamente.
L‟improvviso ha sempre bisogno di una lunga preparazione.
Non c‟è nulla che un uomo possa incontrare, non c‟è un
evento che possa materializzarsi e raggiungerlo senza che prima,
consapevolmente o inconsapevolmente, abbia attraversato il suo
Essere, la sua psicologia. Il mondo è connesso alle nostre emozioni,
alle nostre passioni, ai nostri pensieri. Essi sono la cinghia di
trasmissione tra mondo interno e mondo esterno. Attraverso la
gestione delle emozioni, dei pensieri e di tutto quello che proviamo e
sentiamo in un certo momento, cioè attraverso la padronanza dei
nostri stati, abbiamo in mano il timone della nostra esistenza e
possiamo imprimere una direzione al nostro destino. Ecco dove
trova fondamento la concezione romana della fortuna e dell‟homo
faber contrapposta alla visione greca, medio-orientale, che
rappresenta la Fortuna come una dea bendata che dispensa gli eventi
in modo puramente casuale ed invia gli eventi secondo il proprio
capriccio.
È convinzione comune che siano gli eventi esterni a
condizionare le nostre attitudini e a determinare i nostri stati
d‟animo. Un fatto si verifica, facciamo un incontro o riceviamo una
notizia, e noi crediamo che lo stato psicologico che avvertiamo, di
91
Lupelius
irritazione, di ansia, o di sorpresa, sia un effetto, una conseguenza, di
quell‟avvenimento, di quell‟incontro, di quella notizia. Allo stesso
modo che, fino all‟invenzione della fotografia, è stato impossibile
determinare l‟esatta successione degli zoccoli nel galoppo del
cavallo, essendo i suoi movimenti più veloci dell‟occhio, così
pensieri, emozioni, percezioni, sensazioni, come lampi elettronici,
attraversano le misteriose foreste dei nostri neuroni a velocità vicine
a quella della luce e sembra impossibile stabilire la corretta
successione temporale in connessione agli accadimenti esterni. Un
evento si verifica e noi crediamo che lo stato psicologico che
avvertiamo sia l‟effetto di quell‟avvenimento. Giustifichiamo cioè il
nostro stato d‟Essere con l‟evento esterno mentre è accaduto
esattamente il contrario. In realtà sono gli stati d‟Essere che
annunciano e determinano gli eventi della nostra vita. Le nostre
emozioni negative, nel tempo, si trasformano nelle avversità di cui
poi ci lamentiamo. Per incontrare un evento di una certa natura, nel
bene o nel male, devo prima creare internamente le condizioni del
suo accadere.
La più grande illusione dell‟uomo è di poter cambiare le
condizioni esterne, di poter modificare il mondo. Noi possiamo solo
cambiare noi stessi, intervenire sulle nostre attitudini, modificare le
nostre reazioni, non esprimere le emozioni negative che proviamo.
L‟universo è perfetto così com‟è.
L‟unico che deve cambiare sei tu!
Siamo convinti che l‟energia e la buona volontà di un uomo
siano ben poca cosa di fronte agli avvenimenti della vita, che ci
appaiono per lo più fortuiti e fatali. Quel torrente di eventi che
continuamente ci sommerge, si presenta troppo vario e confuso per
poterlo prevedere e troppo superiore alle nostre forze per pensare di
poterlo addirittura dirigere.
Per Lupelius il lavoro che dobbiamo fare è „vedere‟ che
dietro gli eventi e poi dietro gli stati, ci siamo sempre noi. Prima di
qualunque soluzione viene il nostro cambiamento.
Chi sa produrre intenzionalmente in sé
il più piccolo innalzamento dell‟Essere sposta montagne e si
proietta come un gigante nel mondo esterno.
92
La Scuola degli Dei
Intervenendo sui nostri stati, sulla qualità dei nostri pensieri,
sui modi di sentire, sulle emozioni negative, denutrendo alcuni e
alimentandone altri, non solo modifichiamo la nostra attitudine,
quindi il nostro rapporto con gli eventi che ci arrivano dal mondo
esterno, cioè il nostro modo di reagire, ma anche la natura stessa
degli eventi che si susseguono giorno dopo giorno.
Il primo lavoro che siamo chiamati a fare è autosservazione,
l‟osservazione dei nostri pensieri e degli stati d‟Essere. Uno studio
attento di se stessi, dei propri pensieri, emozioni, delle posture che
assumiamo e delle nostre reazioni, del modo in cui „prendiamo‟ gli
accadimenti, ci permetterebbe di scoprire che l‟uomo pensa e sente
negativamente.
Solo apparentemente un uomo si augura bene, prosperità, salute.
Se potesse osservarsi e conoscersi interiormente
ascolterebbe invece dentro di sé la recita pressoché continua
di un canto di negatività, come una preghiera di sventura
ùfatta di preoccupazioni, di immagini malate,
dell‟attesa di eventi terribili,
probabili ed improbabili.
Ma come si fa a intervenire sugli stati interiori, sui propri
stati d‟animo, emozioni e modi di pensare? Basta pensare alla
difficoltà di uscire da uno stato di cattivo umore.
L‟energia che può spostare una montagna non può
modificare un pensiero e ancor meno un‟emozione. La forza per
indirizzare un pensiero o per avere controllo su un‟emozione è
prodotta da un‟energia più alta. Per accumulare questa speciale
energia occorre eliminare tutte le falle a bordo, i mille rivoli
attraverso cui, come un colabrodo, perdiamo energia e che
consistono soprattutto nella espressione di emozioni negative e in
attitudini interiori sbagliate. Se un evento accade esternamente e non
lo connetto agli stati del mio Essere che lo hanno creato, ho perso
un‟opportunità importante.
A ben osservare, molti eventi della nostra vita ricorrono ed è
possibile cercare di definirne più chiaramente la natura vedendo la
loro corrispondenza a particolari stati d‟Essere. Per esempio, questo
grumo di pensieri si chiama „essere in ritardo‟. „Essere in ritardo” mi
procura uno stato di ansietà. L‟intelligenza è sapere che quelle
93
Lupelius
condizioni esterne corrispondono a una condizione interna che non
si è creata in quel momento. C‟è una parte del mio Essere che mi
connette a quegli eventi. Per cancellarli dalla mia vita non c‟è altra
soluzione che modificare questa condizione interiore che io chiamo
ansietà, paura, preoccupazione, ma che in realtà non è altro che una
malattia dell‟Essere, una peccabilità.
In un modo o nell‟altro, quel tipo di eventi si ripeterà nella
mia vita finché perdureranno internamente quegli stati psicologici
che lo hanno prodotto. Quegli eventi sono in realtà sintomi che
annunciano una guarigione, se abbiamo il potere di connetterli agli
stati che li hanno originati. „Vederli‟, portare attenzione ai propri
stati psicologici, significa rivolgere la freccia verso se stessi,
rovesciare il processo e risalire dall‟evento allo stato. Lì c‟è
l‟accesso alla comprensione e la concreta possibilità di trasformare
la propria vita.
Scusarsi, giustificarsi, accusare un evento esterno e non
riconoscerne la causa in una peccabilità del nostro Essere, nei nostri
stati, nel nostro modo di pensare, di sentire, di reagire, significa non
aver capito; e non aver capito significa che quell‟evento in qualche
modo dovrà ripetersi e ripetersi. Cambieranno le circostanze, gli
eventi si presenteranno con maschere diverse e noi continueremo ad
accusare circostanze ed eventi esterni perdendo l‟opportunità di
liberarcene per sempre.
Datti la colpa di tutto,
prenditi la responsabilità di tutto quello che ti accade.
Il potere di questa attitudine è compresso in due parole eterne:
Mea culpa.
Riflettei che anche le nazioni vivono stati d‟Essere che
attraggono eventi corrispondenti. In U.S.A. il sentimento razziale,
per esempio, lo stato di avversione per uomini diversi per razza,
credo, cultura, ha richiesto decine e centinaia di anni perché fosse
riconosciuto e perché si producessero le condizioni per il suo
superamento.
I martiri, i leader bruciati giovani, come: Malcom X,
M.L.King, J.F.Kennedy, accorciano i tempi e accelerano le
condizioni per i cambiamenti di stati psicologici, modi di pensare e
di sentire di una intera nazione, di una civiltà, capaci di attirare
nuovi eventi e nuove opportunità.
94
La Scuola degli Dei
I nostri stati possono farci perdere o vincere nella vita, farci
poveri o ricchi, possono ammalarci o guarirci. Lo studio di noi
stessi, l‟autosservazione è lo strumento per conoscerli. Il solo atto di
osservarci ci fa più consapevoli, più intelligenti.
Self-observation is self-correction
13 “Metti Dio al lavoro!”
La lettura del manoscritto di Lupelius mi rendeva
febbricitante. Scavando in quelle pagine che avevano attraversato i
secoli, entravo tra i banchi della Scuola degli Dei. Ne ascoltavo
estatico la voce senza tempo. Ogni giorno era un‟avventura
dell‟intelligenza e la mia ricerca veniva premiata dai tesori di un
pensiero immortale.
L‟uomo non ha bisogno di immettere nulla dall‟esterno…
né cibo, né conoscenza, né felicità...
è suo diritto di nascita non dipendere da alcuna cosa
al di fuori di sé…
L‟uomo può alimentarsi dall‟interno,
nutrirsi della sua intelligenza,
della propria volontà, della propria luce.
Per Lupelius questa idea era l‟elemento centrale
dell‟immortalità fisica, la pietra angolare di ogni filosofia e di ogni
religione. Da un recesso della memoria affiorarono le parole più
antiche del mondo, le parole che le labbra dell‟uomo, come quelle di
un bambino, hanno pronunciato quattromila anni fa, prima ancora
che sapesse scriverle: Non avrai altro Dio al di fuori di Me!…
Una comprensione si fece spazio e si allargò dentro,
trepidante, all‟inizio, come una luce che scava antiche tenebre… Poi
divampò, potente come un incendio. Non avrai altro Dio… voleva
dire che l‟uomo, inconsapevole di essere il creatore, fa del mondo
esterno la sua divinità e lo elegge a signore e padrone del suo
Essere… Quel monito millenario tramandava il primo ed il più
grande dei comandamenti: non dipendere da nulla!… Ricorda che
sei colui che ha creato tutto questo!…
95
Lupelius
Credere in un mondo fuori di noi significa dipenderne,
significa restare intrappolato nelle leggi della propria proiezione. Le
mie riflessioni a questo punto si sovrapposero e si confusero, come
voci di bambini eccitate da una scoperta felice… „Ama il Signore
Dio tuo. Non avrai altro Dio al di fuori di te stesso‟… Tu sei signore
e padrone, artefice e creatore di tutto ed ogni cosa. Tu proietti tutto
questo… Tu sei tutto questo… Mai più avrei sentito così vicino
l‟alito di un dio più concreto e reale… Qui il pensiero si arrestò e si
sospese…
Dalle traduzioni che ogni giorno ricevevo dal team di
studiosi e ricercatori che avevo raccolto ad Everan emerse un
dialogo tra Lupelius ed Amanzio, uno dei suoi monaci-guerrieri. Il
loro messaggio guizzava tra le righe, ancora palpitante e vivo, come
se le domande di quel discepolo fossero pronunciate in quel preciso
momento. Il tempo si compresse e fui fiondato tra le mura venerande
della Scuola.
Lupelius:“If you believe in the external world as something real,
then you are lost and destined to fail in whatever you do.
Anything coming from „out there‟ can only help you to
recognize in yourself the true source of all your troubles,
limitations and mysery.
Therefore, let all outer incidents, circumstances, events
and relations with others,
fall in a place within yourself
where such trash can be transformed
into a new substance, new energy, new life…
…Avete fatto dell‟esistenza, del mondo esterno,
il vostro dio... Ma l‟esistenza non è reale…
è un artificio al servizio del Sogno
perché possiate risalire alla fonte e scoprire
che cosa è veramente reale…
Non c‟è nulla fuori di noi
che non sia governato dal Sogno.”
Amanzio:“E questo castello in cui siamo, allora, e queste stanze che
hanno più di trecento anni?”
Lupelius: “Sono una tua creazione… ora, in questo attimo!”
96
La Scuola degli Dei
Amanzio: “E mio padre e mia madre?”
Lupelius: “Sono sempre una tua creazione…
Non c‟è nulla fuori di te che sia prima di te!
Life doesn‟t come from our parents,
but stands Real,Eternal, Magnificent,
with neither beginning nor end,
neither birth nor death.”
Amanzio: “Ma… allora… l‟uomo è… Dio?”
Lupelius: “No!… È molto di più!… Ha Dio al suo servizio…
”
Amanzio: “Cosa significa?”
Lupelius: “Che potresti chiederGli tutto quello che desideri…
e Dio obbedirebbe ad ogni tua richiesta.. senza limiti…
Dio è un buon servitore ma non un buon padrone...
Dio ama servire… ama amare...
Dio è l‟arrendevolezza totale al tuo servizio…
Dio esiste… perché „tu‟ esisti…
Se non ci sei tu non ha ragione di esistere…
Dio è la tua volontà in azione.”
Amanzio: “Non capisco”
Lupelius: “La mente non può capire…
può solo mentire…
La mente… mente…
La mente che non mente si annulla
e fa spazio alla totalità dell‟Essere.
Non puoi cambiare il passato se non comprendi
che è il presente che da forma al passato.
Qualunque cosa realizzi in questo istante è
simultaneamente trasferito in tutte le direzioni.
Se il presente è reso perfetto, ogni cosa nel tuo passato
si allinerà con questa perfezione.
Each event of the past is just a resonance
of vibrations that your body is sending right Now.
It‟s Here that everything happens…
97
Lupelius
It‟s Here that everything is touched...
It‟s Here that everything is moved…
Here… where Truth, Innocence,
Beauty and Power dwell.
Here… in this infinite, everlasting,
indestructible Body.”
14 L‟arte di vegliare
The battlefield is the Body, lessi dal manoscritto.
Questa sintesi perentoria di Lupelius mi echeggiò dentro
come il grido di guerra di una grande crociata. Il campo di battaglia
è il nostro corpo. La vittoria si chiama integrità. Il fine della vita di
un uomo, il suo scopo, è l‟integrità, l‟unità dell‟Essere. In questo
Lupelius comprimeva il senso della millenaria ricerca dell‟uomo ed
individuava la ragione stessa della sua esistenza, il significato di
tutta la sua storia. Secondo Lupelius, questo raggiungimento è fisico.
Il corpo è la parte più visibile dell‟Essere. L‟integrità dell‟Essere è
una vittoria che avviene nelle cellule.
Expand your vision until your whole body with every organ,
muscle, fibre and cell down to the very last atom
is overwhelmed by the light of your dream.
Once dreaming is set in motion all things are possible.
Your dreaming contains all the principles and power
for the establishment of the kingdom of heaven on earth.
Non c‟è guerra più santa che „vincere se stessi‟,
non c‟è vittoria più grande che superare i propri limiti.
L‟integrità è una guarigione dell‟Essere.
Richiede un capovolgimento di convinzioni millenarie,
una trasformazione di emozioni negative e pensieri distruttivi, il
raggiungimento di un dominio su se stessi
e la padronanza sul cibo, sul sonno, sul respiro…
Dallo studio di questo e di altri passi di „The School for
Gods‟ ricavai la natura degli esperimenti che si conducevano intorno
a Lupelius, in quel laboratorio solare che fu la sua Scuola,
nell‟Irlanda di mille anni fa. Lì, i suoi discepoli-guerrieri si
allenavano a padroneggiare il sonno ed il cibo, a ridurne ogni giorno
98
La Scuola degli Dei
il bisogno, come parte fondamentale della loro preparazione
all‟invulnerabilità ed all‟immortalità.
Per Lupelius il sonno era un cattivo surrogato della
respirazione, un espediente che il corpo aveva trovato per liberarci,
sia pure solo per qualche ora, da una respirazione asfittica,
insufficiente. Inoltrandomi ancora di più nel pensiero di Lupelius mi
resi conto che nulla è per noi più vicino, ed allo stesso tempo più
sconosciuto e misterioso, del nostro respiro. Siamo creature che
vivono sul fondo di un oceano d‟aria. E sebbene siamo immersi in
questo elemento ed ogni centimetro quadrato del nostro corpo è
sotto la pressione di un universo etereo, immettiamo nei polmoni
una quantità insufficiente di ossigeno. Lupelius aveva fatto la
scoperta straordinaria che ogni uomo respira una quantità di aria
decine di volte inferiore a quella che gli è necessaria.
Nel suo manoscritto esamina e descrive accuratamente questa
condizione di quasi apnea in cui l‟uomo si è ridotto a vivere,
definendola di „underbreathing‟, cioè di sottorespirazione.
La conseguenza di questo strano fenomeno è che, secondo
Lupelius, ci sono parti vitali del nostro organismo che mancano di
ossigeno e sono sottoalimentate. Anticipando di secoli la scoperta
della preminenza che la respirazione ha nel catabolismo e nel
ricambio organico, Lupelius aveva raggiunto la conclusione che
l‟umanità era tutta gravemente inquinata. Per lui un uomo doveva
dedicare ore ed ore ogni giorno ad una respirazione piena, profonda,
completa, e preconizzava che nel futuro ogni scuola, ogni comunità
e organizzazione umana, avrebbe introdotto una educazione al
respiro, un allenamento ad immettere le grandi quantità di ossigeno
che in realtà il nostro organismo richiede.
Considerai con amarezza che, dieci secoli dopo, quella
profezia era ancora lontana dall‟avverarsi e che l‟umanità
continuava imperterrita a „sottorespirare‟, comportandosi come se
l‟ossigeno fosse gravato da tasse esorbitanti o fosse tra i beni più rari
e costosi dell‟universo.
Secondo Lupelius una respirazione profonda non può
prodursi meccanicamente ma solo intenzionalmente. Da lui appresi
che il destino di un uomo è legato a filo doppio alla sua respirazione.
Più ampio il respiro di un uomo, più ricca la sua realtà…
Se vuoi cambiare il tuo destino, lavora sul respiro…
dedica tempo alla respirazione…
99
Lupelius
Una delle pietre angolari della dottrina di Lupelius è che per
meritare un destino individuale, per essere l‟eroe di una grande
avventura personale, un uomo ha bisogno di una respirazione
consapevole e profonda, di essere frugale nel cibo, nel sesso e di
sottrarre tempo al sonno. In questa direzione vanno fatti tutti gli
sforzi necessari. Sull‟argomento trovai nel manoscritto una lettera di
Lupelius ad un suo allievo, con alcune raccomandazioni fatte in tono
famigliare, senza formalità.
La gente si addormenta allo stesso modo
in cui si augura di morire… di colpo…
Ma tu, qualunque sia l‟ora, non importa quanto
lunga sia stata la giornata e dura la tua battaglia,
accertati di „andare a dormire sveglio‟…
Chi non sa gestire la propria energia,
a fine giornata cade sul letto sfinito, più morto che vivo…
Ma tu, se proprio devi dormire qualche minuto,
approccia il sonno da sveglio.
Questo ti permetterà di non cadere nelle profondità infernali.
Mi sembrò che quelle parole di Lupelius fossero dirette a me
e che bacchettassero a distanza la mia abitudine, allora frequente, di
cadere addormentato di colpo davanti alla TV o leggendo un libro.
La loro forza, il loro potere di suggestione fu tale che leggendole
decisi sul posto di redimermi e da allora adottai „l‟addormentarsi
sveglio‟ come una regola di vita ed una parola d‟ordine. Secondo
Lupelius il modo in cui un uomo si addormenta è una cartina di
tornasole, un sistema per rivelare la qualità della sua vita. Quando
sembra che stiamo soccombendo e che chiudere gli occhi e cadere
addormentati sia ormai inevitabile, è quello per Lupelius il momento
di esercitare la volontà, di insorgere ed usare ogni mezzo per vincere
il sonno… Lupelius suggeriva di tirare di spada, di bagnarsi o di
danzare, ed aveva inventato ogni sorta di trucchi e stratagemmi che
potevano servire a questo scopo.
Secondo Lupelius „Dormire è morire!‟
Con il suo inimitabile black humor, da burlone planetario
qual‟era, capace di mille travestimenti, affermava che gli uomini
ogni notte fanno le prove generali della propria definitiva uscita di
scena. Perseverando nella „cattiva abitudine‟ di dormire, a turno,
metà del pianeta va a letto, ed i suoi abitanti si augurano la buona
100
La Scuola degli Dei
notte, senza neppure sospettare di eseguire un rituale così macabro.
Quel monaco-filosofo che aveva osato sognare l‟impossibile, il capo
di quella Scuola di guerrieri invincibili, concludeva la lettera al
discepolo con alcuni straordinari insegnamenti sull‟arte della veglia.
Quando sai che il sonno è la rappresentazione della morte non puoi
più approcciarlo come prima…
In ogni caso, quali che siano le precauzioni e i mezzi cui ricorrerai,
non permettere a nessuno, mai,
neppure alla tua donna, di vederti dormire…
Esercitati nell‟arte della veglia!…
Un guerriero sa che farsi scorgere a dormire
è mostrare la propria vulnerabilità…
è un consenso dato al mondo di attaccarci e di colpirci a morte.
15 Le cattive abitudini
Lupelius aveva scoperto nell‟uomo un mistero che la mente
non riesce nemmeno a concepire, l‟esistenza di un buco nero dove si
annida una melma emozionale, una sorta di „schiuma psicologica‟,
che gli inquina le cellule.
Attraverso le tecniche del digiuno e della respirazione,
attraverso una nuova visione, nuove idee e sforzi speciali, un uomo
può trasformare se stesso e la realtà che lo circonda; può fare il
passaggio da un Essere incompleto, conflittuale, mortale, ad un
individuo integro, armonioso, immortale.
Ogni astinenza, ogni sforzo teso alla frugalità, è una
preparazione alla fuga dagli inferni dell‟ordinarietà, ci libera delle
incrostazioni emozionali accumulatesi negli anni. Secondo Lupelius
solo un uomo di Scuola, guidato da un maestro impeccabile, può
affrontare un tale processo di guarigione, superare le impervietà e
gli ostacoli di una tale impresa.
C‟è nell‟uomo una generale incomprensione dei segnali che
annunciano e accompagnano un‟attività di purificazione. L‟umanità
ordinaria li legge a rovescio ed invece di interpretarli come sintomi
di guarigione li percepisce come vere e proprie malattie. La
dolorosità dello sforzo richiesto è qualcosa che nessuno vuole
affrontare. Per questo, secondo Lupelius, ogni pratica di astinenza
viene sospesa proprio quando comincia a funzionare.
101
Lupelius
Attraverso i lunghi viaggi, gli intensi studi e una ricerca
instancabile, Lupelius aveva conosciuto le antiche scuole di
iniziazione e aveva incontrato uomini straordinari delle grandi
tradizioni ascetiche e mistiche. In ogni tempo ed in tutte le civiltà
l‟otium, l‟arte del non fare, è stato l‟architrave su cui ha poggiato
ogni disciplina, ogni ricerca interiore; il filo d‟oro che ha mantenuto
legato alla grande avventura ogni uomo puntato verso la conquista
dei più alti livelli di responsabilità.
Seguendo la mappa ideale tracciata dal manoscritto,
l‟astinenza dell‟asceta, la solitudine dell‟eremita, la frugalità del
monaco, si rivelano espressioni di una sola Scuola, profili diversi di
un‟unica, millenaria ricerca che si connette alle discipline marziali e
alla veglia del guerriero.
Quando approfondii questa indagine scoprii che Arriano, uno
dei due storici al seguito di Alessandro il Grande, nell‟Anabasis
Alexandrou ha trasmesso in una sola frase la regola alimentare ed il
segreto della sua energia: “…era stato educato alla frugalità: per
colazione, una marcia prima dell‟alba, per cena, un pasto leggero.”
Gli stessi guerrieri macedoni, modello insuperato di valore e di forza
per tutta l‟antichità, erano di una frugalità leggendaria. Dormivano
sulla terra nuda e, anche durando fatiche estreme, affrontando le
imprese più temerarie, mangiavano un pugno di olive. Eppure erano
infaticabili, i più temibili, un vero incubo per gli eserciti nemici.
L‟eliminazione intenzionale di un solo grammo di cibo,
l‟astinenza da un solo minuto di sonno, erano secondo Lupelius così
potenti da poter mettere in crisi l‟intero sistema di convinzioni di un
uomo e sconvolgerne i falsi equilibri. La sua scuola propugnava
l‟assenza di malattia, di vecchiaia, di morte come diritto di nascita e
condizione naturale dell‟uomo.
A diseaseless, ageless, deathless man.
Da sempre, attraverso i secoli ed in tutte le tradizioni, la
conquista della padronanza di sé aveva richiesto pratiche e discipline
intese a portare alla superficie la „melma emozionale‟, come la
chiamava Lupelius. Un‟operazione indispensabile per scoprire le
ferite interne e per snidare dalle pieghe dell‟Essere ogni ombra in
agguato.
Lavorando sul manoscritto un giorno scoprii l‟incredibile
segreto cui era pervenuto Lupelius. Il suo annuncio è il manifesto di
102
La Scuola degli Dei
una rivoluzione del pensiero che non sembra diretto ai suoi
contemporanei ma ad un consesso scientifico del futuro:
“ …È tempo per l‟umanità di uscire da un sonno ancestrale,
metafisico… È tempo di scuotere la polvere millenaria dal suo
sistema di convinzioni…”
Il documento si concludeva con queste insostenibili parole:
“Il cibo, il sonno, il sesso, la malattia, la vecchiaia, la morte
sono „cattive abitudini mentali. Bisogna liberarsene.”
In più punti del suo manoscritto esse sono anche chiamate
„superstizioni‟, „illusioni‟.
“The battlefield is the body… Il campo di battaglia è il tuo
corpo – dice Lupelius – Ogni vittoria sull‟eccesso di cibo, ogni
attimo sottratto al sonno, te lo ritroverai come vittoria sulla morte…
La morte fisica è immorale… innaturale… inutile.”
Secondo Lupelius l‟assenza di frugalità nel cibo, nel sonno,
nel sesso come nel lavoro, è causa prima di ogni perdita di vitalità e
d‟energia; essa ha condotto l‟uomo ad abbandonare la sua
condizione di Essere immortale e a sopprimersi, rendendo la morte
fisica possibile e poi inevitabile. In ogni tempo, pochi uomini
appartenenti a tutte le civiltà e di ogni tradizione religiosa,
svegliandosi dall‟ipnotismo denunciato da Lupelius, hanno tentato di
seguire una disciplina e hanno messo l‟idea dell‟immortalità fisica al
centro del loro sistema di pensiero, come origine di ogni prosperità e
longevità.
Un giorno il Dreamer mi avrebbe detto che l‟idea della
immortalità fisica è un elemento fondamentale della psicologia di
una nuova umanità, e del leader in particolare. Senza
l‟attraversamento di queste colonne d‟Ercole, un uomo viene prima
o poi attaccato dal limite e curva. L‟idea che la morte possa essere
sconfitta sradica ogni limite dalla psicologia, innalza la
responsabilità, ed è una condizione necessaria per far nascere
un‟impresa vitale, longeva, ricca. Secondo il Dreamer la filosofia
dell‟immortalità fisica va insegnata in tutte le scuole, di ogni ordine
e grado, nelle università e in ogni istituzione. L‟idea di una vita
senza fine è l‟antidoto più potente alla povertà, alla criminalità, alla
morte.
Lasciando Everan e l‟Istituto Manoscritti Antichi, tornavo a
New York portando con me, come il bene più prezioso, la copia di
The School for Gods che avevo fatto realizzare per il Dreamer. Da
tutta la massa dei miei appunti, due parole, in particolare, mi fecero
103
Lupelius
riflettere per tutto il viaggio: Die less, aforisma ricorrente e forse il
motto dei Lupeliani. Esse mi apparvero la sintesi estrema,
l‟abbreviazione stessa della filosofia della Scuola.
Die less and live forever
Pensai alla devastante scoperta nascosta dietro l‟apparente
semplicità di questa formula. L‟uomo muore dentro migliaia di volte
al giorno. Nel nostro Essere, stati e pensieri distruttivi, emozioni
negative, si arruffano e si riproducono senza posa, distillando il lento
veleno che ci uccide. Forse non sapremmo da dove cominciare per
vivere per sempre, ma seguendo il millenario aforisma di Lupelius
certamente possiamo „morire di meno‟. Più volte intonai il canto di
immortalità dei lupeliani:
Eat less and Dream more.
Sleep less and Breathe more.
Die less and Live forever.
16 “Non ce la farai!”
Emersi come da un percorso sotterraneo. Riconobbi la sala
ed il grande dipinto che ne occupava la parete più lontana. Era
un‟ora più avanzata del mattino questa volta nel mondo del Dreamer
ed in queste condizioni di luce potei osservare con agio l‟architettura
di quella parte della villa. Sollevai lo sguardo all‟alto soffitto e ne
percorsi la linea fino al punto dove questo bruscamente si abbassava
formando un‟imponente arcata di mattoni a vista.
Fu in quel momento che avvertii una presenza. Trasalii. Dalle
due estremità di quell‟arcata, guardiani immobili, mi osservavano
due esseri nudi, un uomo e una donna. Un brivido mi percorse la
schiena prima che potessi capire di cosa si trattasse. Erano statue a
grandezza naturale disposte in modo da fronteggiarsi. La loro fattura
così squisita mi fece pensare a copie di originali ellenistici. Il petto
del guerriero, alto e levigato, potente come una corazza, mi lanciò
un messaggio irresistibile di fierezza. Mi raddrizzai ed inarcai la
schiena, come ad un comando marziale.
104
La Scuola degli Dei
D‟istinto scartai la severa scala di peperino che portava
all‟appartamento del Dreamer e, senza esitazioni, mi diressi nella
direzione opposta, verso un‟ampia porta di cristallo e ferro battuto
dalla sagoma particolare. Di fianco, un grande dipinto occupava tutta
la parete. Mi fermai ad esaminarlo. Riconobbi un‟opulenta versione
del mito di Narciso ritratto mentre si specchia nelle acque di uno
stagno, un attimo prima di esserne ingoiato. Ammirai a lungo
quell‟opera che avrebbe ben figurato tra i capolavori del seicento di
una grande pinacoteca. Poi spinsi cautamente la porta di cristallo e
restai incantato sulla soglia di un ambiente fiabesco.
Senza distogliere lo sguardo da quella visione, mi chinai a
slacciarmi le scarpe e le lasciai lì, dov‟ero, come avevo fatto nella
mia prima visita. Scalzo, avanzai a cauti passi sulle grandi lastre di
cotto del pavimento e mi inoltrai in quella che mi sembrò una
immensa serra. La ricchezza di piante, per lo più tropicali, e le
lunghe teorie di archi vetrati che ne formavano le pareti,
rafforzavano questa impressione. Fuori, il verde intenso del giardino
l‟assediava e premeva contro gli infissi di castagno come un mare
vegetale contro i fianchi di un‟arca. Ma l‟eleganza di ogni dettaglio,
le opere d‟arte, i quadri preziosi e le moderne sculture in marmo
bianco mi lasciarono piacevolmente perplesso sulla vera natura di
quell‟ambiente straordinario. Da due ampi lucernari pioveva la
prima luce del mattino. Osservai le possenti travi che sostenevano il
tetto e la mia immaginazione fu rapita dal pensiero di quale titano
avesse potuto trasportarle e posarle lì dov‟erano. Più volte esplorai
con lo sguardo ogni angolo, ma del Dreamer non vidi traccia. Non
Lo vedevo da quasi un anno. Procedendo, vidi che il pavimento della
sala nella sua parte centrale accoglieva uno specchio d‟acqua. Più
che una piscina mi sembrò un piccolo stagno azzurro scavato nel
cotto. Un movimento costante increspava piacevolmente la
superficie dell‟acqua, come un brivido. Percorsi con lo sguardo il
bordo, finché, ondeggiante sull‟acqua, vidi la Sua immagine.
Lentamente sollevai lo sguardo. Il Dreamer stava portando
alle labbra un flauto d‟argento. Arcuò con grazia il corpo e sollevò il
viso verso la luce insieme a quella scintillante appendice. L‟aria si
riempì di note infilate una dietro l‟altra come perle di una stessa
collana. Era una musica senza età, senza tempo, come quella villa,
come quella sala, come quel momento. Immobile, ascoltai.
Provai l‟esultanza della mia infanzia, odorosa di mare, la sua
felicità dimenticata. La pazzia delle corse sugli scogli, il sapore delle
105
Lupelius
telline e dei granchi appena raccolti, i battiti del cuore prima dei tuffi
più spericolati dal roccione, l‟ombra fresca della casa di Ischia, i
baci sudati di Carmela al ritorno dal mercato…
Una nota restò sospesa nell‟aria più delle altre, aleggiò sul
respiro che l‟aveva creata, giocò ancora un poco con le molecole
dell‟aria fino a liberarsi della musica e diventare un unico, vibrante
soffio sonoro. Improvvisamente cessò. Per l‟eternità di qualche
secondo il flauto rimase traverso, attaccato al labbro inferiore, poi
seguì docile la mano che lo adagiò su un cuscino accanto.
Era più giovane di come lo ricordavo e mi sembrò ancora più
magro. Sollevò il Suo sguardo e mi esaminò a lungo. Di certo
sapeva degli sforzi che avevo fatto per ritornare da Lui… delle
lunghe ricerche del manoscritto e del successo della mia missione,
della passione con cui avevo studiato e mi ero avvicinato al pensiero
della Scuola. Dopo il burrascoso incontro con cui aveva avuto inizio
il mio apprendistato e l‟avventuroso viaggio nel mio passato iniziato
a Marrakech, mi attendevo questa volta parole di incoraggiamento,
se non di elogio. Mi avvicinai ancora di alcuni passi.
Il Dreamer continuò a fissarmi senza parlare.
Inizialmente provai uno stato di vago disagio che
rapidamente si trasformò in dolore. Sotto il Suo sguardo la mia
attenzione stava invertendo la sua direzione. Mi stavo osservando
dentro, per la prima volta. Lo spettacolo non era dei più piacevoli:
un blob di pensieri oscuri stava affiorando alla coscienza, insieme a
sensi di colpa e sentimenti ingarbugliati come matasse emozionali
mai dipanate. Il Suo sguardo mi stava scavando dentro rimestando
quella fanghiglia psicologica che non avevo mai voluto vedere, né
affrontare. Smise un attimo prima che la dolorosità superasse il
limite della sopportabilità. Ma non allentò la presa. Quello che stava
per seguire sarebbe stato ben più doloroso.
Al termine del Suo esame, come se avesse raggiunto un
giudizio conclusivo, definitivo, sentenziò:
«Non ce la farai!»
Il silenzio che seguì quel verdetto invase rapidamente tutto lo
spazio della serra e conquistò ogni angolo. Malinconia, delusione,
scoramento, rabbia, si intrecciarono e si fusero in un solo dolore,
pacato. Mi sentivo svuotato di ogni energia. Avrei voluto solo essere
lasciato in pace ed accasciarmi. Con il fiato sospeso, attesi come un
imputato la fine di quel giudizio. Quella pausa durò crudelmente a
lungo.
106
La Scuola degli Dei
Finalmente, con il tono di un ricercatore che constata
l‟ennesimo esperimento fallito, previsto ma non per questo meno
deludente, annunciò:
«Nessuno ce la fa… È l‟umano che non ce la fa! »
Si stava rivolgendo a me come al rappresentante di una razza
sconfitta, di una specie in via di estinzione.
«Troppe sono le leggi che ti costringono a restare quello che
sei. Anche la ricerca che ti ho affidato, l‟hai trasformata in qualcosa
che alimenta la tua vanità, il tuo egocentrismo.»
Provai un forte risentimento, l‟avversione mista ad
autocommiserazione che si prova per un‟ingiustizia subita. Dopo
mesi di viaggi e di ricerche fatte tra gli Stati Uniti e l‟Europa, dopo
aver trovato il manoscritto di Lupelius che ricercatori, studiosi ed
archeologi del sapere consideravano perduto per sempre, e dopo
aver affrontato con coraggio l‟incontro con il mio tormentato
passato, non meritavo di essere trattato in quel modo. Avrei voluto
rintuzzare in qualche modo le parole del Dreamer, ma i muscoli
della dignità erano ancora troppo esili. D‟altra parte, in cuor mio
sapevo che aveva ragione. Tentai di nascondere il mio stato d‟animo
dietro una falsa arrendevolezza.
«Non riesco a cambiare» mi limitai a dire. Ma la voce tradì il
rancore dell‟impotenza e la mia inclinazione ad aggrapparmi e
dipendere.
«STOOOOP! » shouted the Dreamer, drawing out the „o‟ in a
hideous tone of voice. I felt my body scattered into a thousand
pieces and recompose simultaneously. Every thought and emotion
had been washed away leaving a strange sensation of
thoughtlessness, carved out by that inhuman wail, terrible as a battle
cry heard among the clashing components of war in the middle of
lethal combat. The passing seconds were filled with terror like the
countdown to a harrowing event. Something in my Being was
triggered which sharpened my ability to listen.
«STOOOOP! »Gridò il Dreamer, prolungando la „o‟ con un
tono di voce orribile. Sentii il mio corpo frantumarsi in mille pezzi e
ricomporsi all‟istante. Ogni pensiero ed emozione erano stati
spazzati via da quel grido inumano, che come un grido di battaglia
nel mezzo del fragore del combattimento chiamava a raccolta per
l‟attacco finale. Attimi pieni di terrore avevano innescato il conto
alla rovescia, affinando allo spasimo la mia attenzioneper l‟attesa di
un evento terribile.
107
Lupelius
«Ricordi quando piangevi per ore, fino a ridurti senza
voce?» mi chiese a sorpresa il Dreamer a voce bassa ma
conservando nel tono tutta la Sua ferocia. Immagini si
avvicendarono rapide nella mente. Tessere di un passato lontano si
sovrapposero l‟una all‟altra e si mischiarono come fruscianti carte da
gioco tra i pollici di un illusionista. Non differivano l‟una dall‟altra,
avevano tutte la stessa luce, l‟atmosfera magica della mia infanzia
napoletana, dove lari e penati avevano nomi più antichi, partoriti da
superstizioni millenarie. Riconobbi la vecchia casa, la camera di
Carmela, l‟armadio con le ante a specchio. Un bambino di forse sei
anni, seduto sul pavimento piangeva disperatamente, senza
interruzione… Ero io.
«Sei ancora lì, nulla è cambiato. I tuoi capricci di bambino
sono diventati un‟inclinazione permanente alla lamentela e alla
autocommiserazione.»
Tacque per un tempo che mi parve interminabile.
«Nel mondo dell‟ordinarietà è impossibile cambiare –
commentò infine il Dreamer – A sette anni un bambino entra già
nell‟esercito triste degli adulti, come un piccolo spartiate… ha già
ricevuto una descrizione rovesciata del mondo ed un set completo di
tutte le convinzioni, pregiudizi, superstizioni ed idee che lo faranno
appartenere di diritto e per sempre al club planetario degli infelici.»
«Pensiero, emozione e corpo nell‟uomo sono universi
concentrici… tutto è connesso. Cambiare intenzionalmente una
cadenza o un‟inflessione della voce, raddrizzare di un solo
millimetro la schiena, modificare l‟abitudine apparentemente più
insignificante, significa cambiare tutta la propria vita. È pressoché
impossibile.»
Mi scrutò a lungo, con severità, ed io sostenni il Suo esame.
Sapevo che neppure il più piccolo moto dell‟animo Gli stava
sfuggendo e che, in quella partita non c‟era possibilità di barare.
Stavo giocandomi il tutto per tutto… La possibilità, un giorno, di
conquistare me stesso, di essere toccato dal Sogno, di trasformare la
mia vita in una grande avventura individuale, oppure precipitare e
perdermi per sempre, senza rimedio, erano lì… coesistevano. La mia
vita pendeva da un filo sottile, sospeso sulla bocca di un baratro.
Una parola, una intonazione, la lunghezza di una pausa, potevano
farla precipitare nel brulicame di un destino collettivo.
Con un movimento rapido e l‟elasticità di chi ha un corpo
ben allenato, dalla posizione reclinata si mise in piedi; l‟azzurro
108
La Scuola degli Dei
della piscina raccolse il Suo movimento come il riflesso di un volo e
lo cullò sulla sua tremolante superficie. Lentamente fece alcuni passi
nella mia direzione. Il respiro sospeso, attesi per attimi infiniti. Poi
in tono fermo, ma questa volta senza durezza, annunciò:
«Solo se ricordi Me puoi farcela!»
17 “Capovolgi le tue convinzioni!”
Intanto si era messo a Suo agio, sistemando con cura alcuni
cuscini intorno al corpo. La Sua attitudine mi parve quella di chi fa
buon viso e approccia con rinnovata energia un lungo lavoro che
credeva già concluso.
«Capovolgi le tue convinzioni!» mi esortò con forza.
L‟idea di invitarmi a sedere non dovette neppure sfiorarGli la
mente, e mi lasciò in piedi, dov‟ero sin dall‟inizio del nostro
incontro. Interpretando questa Sua attitudine come mancanza di
considerazione, provai risentimento ed un senso di offesa. Allora era
impossibile per me concepire un essere che come il Dreamer vivesse
ogni istante strategicamente. In Lui non c‟era un battito di ciglia che
non fosse consapevolmente al servizio del Suo intento.
Rimuginando il mio malanimo, restai ad ascoltarLo, confinato nello
spazio di una lastra di cotto, accanto al tremolio delle acque della
Sua piscina.
«Il presente, il passato, il futuro di un uomo… gli eventi, le
circostanze e le esperienze che incontra sul suo cammino, sono
ombre proiettate dal suo credere - continuò il Dreamer - la sua
esistenza, il suo destino, sono la materializzazione delle sue
convinzioni e soprattutto del suo indulgere…
„Visibilia ex invisibilibus‟. Tutto quello che percepisci, vedi e
tocchi nasce da una invisibilità. La vita di un uomo è l‟ombra del
suo Sogno, è il dispiegamento nel visibile dei suoi princìpi e di tutto
ciò in cui crede…
Tutti vedono puntualmente realizzarsi ciò in cui hanno
fermamente creduto… Un uomo crea sempre. Gli ostacoli che
incontra sono la materializzazione dei propri limiti, del suo pensiero
conflittuale, della sua impotenza...
C‟è chi ha fede nella povertà, c‟è chi ha fede nella
malattia… c‟è chi crede incrollabilmente nel limite e nella
109
Lupelius
scarsità… c‟è chi ha puntato tutto sulla criminalità… Un uomo crea
sempre, anche negli stati più tenebrosi dell‟Essere.»
Secondo il Dreamer non c‟è qualcuno che abbia più fede
degli altri. Ogni uomo ha la sua porzione di fede da gestire, da
investire… ad ognuno è data esattamente la stessa quantità che a
tutti gli altri.
«Ciò che fa la differenza tra gli uomini… ciò che veramente
li fa appartenere ad un diverso destino, è la direzione delle loro
credenze, la diversa qualità del target che, anche se
inconsapevolmente, ognuno si prefigge di colpire… »
Queste affermazioni del Dreamer mi sconcertarono non
poco. Avevo sempre creduto che la fede fosse un bene raro e che
anzi, proprio nella loro diversa capacità di avere fede, consistesse la
differenza sostanziale tra gli uomini. Tra i pilastri ideologici su cui
poggiava la mia descrizione del mondo, c‟era sicuramente la
convinzione che Maometto o Alessandro, Socrate o Lao Tzu,
Churchill o Napoleone fossero diversi dagli altri per la forza delle
loro convinzioni.
«Ma se tutti hanno fede... anzi, la stessa quantità di fede –
chiesi, chiamando in causa le scritture e facendomi forte della loro
autorità – qual‟è allora il significato delle parole „se aveste fede
quanto un granello di senape‟?…»
Il discorso che seguì si incise per sempre nella mia
Coscienza. Non tanto per le memorabili parole che pronunciò, ma
per l‟autorità che sentii pulsare dietro ognuna di esse. Il Dreamer
non stava dandomi un‟interpretazione di quel passo del Vangelo, lo
stava creando. La sostanza sognante di quel messaggio millenario,
l‟intelligenza compressa nei suoi atomi, si stava sprigionando lì, in
quel momento. Quelle che stavo ascoltando erano parole nuove,
vive. Non erano mai state pronunciate prima, in tutta la storia del
mondo.
«Se un uomo avesse la capacità di spostare di un millimetro
la direzione della sua fede, se appena potesse indirizzare la forza
delle sue convinzioni verso la vita anziché verso la morte… potrebbe
spostare montagne nel mondo degli eventi.»
Come un lampo che squarcia il buio ed illumina ciò che un
attimo prima era sepolto nell‟ombra, così, vividamente, mi
attraversò la mente l‟evidenza dell‟immensa energia contenuta in un
atomo di fede. Capii che l‟eliminazione del più piccolo granello
d‟inferno avrebbe disintegrato la fede nella morte che è la più
110
La Scuola degli Dei
radicata tra tutte le convinzioni dell‟uomo. Realizzai anche la
ciclopicità di una tale impresa. Soltanto concepirne il pensiero
equivaleva allo sforzo di un titano che caricava su di sé il peso della
terra e della volta del cielo.
Per la prima volta chiesi a me stesso in che cosa avevo avuto
fede… a che cosa avevo dato valore, fino all‟incontro con il
Dreamer… La Sua voce mi raggiunse nel mezzo di questi pensieri e
mi soccorse mentre stavano irrimediabilmente curvando verso il
fondo oscuro del mio passato. Anche se ne ero già a conoscenza, fu
imbarazzante avere la riconferma che ero per Lui come un libro
aperto.
«Fino ad oggi la tua ragione di vita, il goal della tua
esistenza, come quello di tutti gli uomini, è stato di ucciderti
dentro… Malattia, Vecchiaia, Morte sono le divinità che da migliaia
di anni l‟umanità ha idolatrato… Così l‟uomo ha rinunciato
dolorosamente alla vita… al suo sogno infinito.»
„Se aveste fede quanto un granello di senape… ‟ significava
che il più piccolo innalzamento della visione, la minima
trasformazione, avrebbe potuto farci deviare dal nostro destino
mortale.
Il Sogno è la cosa più reale che ci sia
„Vedere‟ i propri limiti, circoscriverli, significa liberarsene!
La vita dell‟uomo è governata dalle emozioni negative. L‟angoscia
che si porta dentro è la vera causa di tutti i suoi guai e della sua
infelicità. Il Dreamer si alzò e, voltatemi le spalle, si diresse a passi
attenti oltre la grande piscina, verso l‟angolo opposto di quella
straordinaria serra. Da lì mi parlò, sempre di spalle, e la Sua voce mi
arrivò forte e chiara come se fosse accosto al mio orecchio.
«È solo questione di tempo… – registrai fedelmente sul mio
taccuino – Nel tempo, colpiremo tutti il target che ci siamo
prefisso... Alla fine vinceremo tutti… tutti diventeremo ciò in cui
abbiamo creduto… e tutti otterremo ciò per cui siamo stati
incorruttibili… voi, la vostra miseria, la vostra immoralità, la vostra
morte… ed Io l‟impeccabilità, l‟infinito, l‟immortalità.»
111
Lupelius
18 La Sindrome di Narciso
«La tua fede più incrollabile… la tua convinzione più nociva,
è che esista un mondo esterno a te, qualcuno o qualcosa da cui
dipendere, qualcuno o qualcosa che possa darti o toglierti, eleggerti
o condannarti» disse il Dreamer.
«Se un guerriero credesse, anche solo per un attimo, in un
aiuto esterno, perderebbe all‟istante la sua invulnerabilità»
affermò. Poi tacque e chiuse gli occhi.
Mi occupai annotando le Sue ultime parole sul taccuino. Ma
quella pausa si prolungava. Tentai di superare l‟imbarazzo della mia
estraneità e della mia improvvisa superfluità rileggendo
mentalmente alcune parti dei miei appunti.
Finalmente il Dreamer uscì dal Suo silenzio e ad occhi chiusi
recitò:
«There is nothing out there... There is no help coming from
anywhere at all... La malattia più grave dell‟uomo è la dipendenza»
annunciò in tono severo. Immediatamente entrai in uno stato di
vigilanza. Nel corpo sentii senza possibilità di errore l‟importanza
di questa affermazione e la centralità da assegnarle nel mio nuovo
sistema di convinzioni.
Non c‟è danno più grave che dipendere dagli altri, dal loro
giudizio… Per liberarsi da tutto questo occorre una lunga
preparazione… »
Come avrei notato in seguito, osservando la mia attitudine in
questa occasione e in altre simili, quello che accettavo senza troppe
resistenze, o che addirittura mi trovava subito convinto, quando il
Dreamer si riferiva all‟umanità in generale, trovava in me resistenze
inespugnabili quando mi prendeva di petto e si rivolgeva a me in
prima persona.
«La gente come te… si sente viva solo in mezzo agli altri…
preferisce i ritrovi affollati… trova lavoro nelle amministrazioni
statali o si impiega nelle grandi aziende... ovunque possa sentire lo
strofinio rassicurante della moltitudine… Celebra tutti i rituali della
dipendenza e ne affolla i templi: cinema, teatri, ospedali, stadi,
tribunali, chiese, pur di stare con gli altri, pur di sfuggire a se
stessa, al peso insostenibile della propria solitudine» incalzò il
Dreamer.
Ebbi un moto animalesco di difesa. Un‟insopprimibile
ostilità mi oscurò l‟Essere, quasi quelle parole minacciassero
112
La Scuola degli Dei
qualcosa di vitale, o buttassero all‟aria un piano da tempo
preordinato. Mentalmente allineai, come i proiettili di un mortaio,
tutte le cattiverie che avrei voluto dirGli. Uno sguardo interno tentò
di rimuovere quella moltitudine vergognosa, ma riuscì solo a
disegnarmi sul volto una smorfia di dolore. Il Dreamer saggiò le
mura della mia resistenza. Sapeva come aprirvi una breccia.
Abbozzò un sorriso di ferocia, come se stesse per sferrarmi un colpo,
e disse a voce bassa:
«Un uomo come te si ammala ed è pronto a farsi fare a pezzi
dai chirurghi… dagli sciamani di una scienza ancora primordiale,
pur di attrarre l‟attenzione… pur di aggrapparsi al mondo.»
Boccheggiai, come per un pugno allo stomaco. Il Dreamer
lasciò passare qualche secondo come se mi contasse, arbitro ed
avversario allo stesso tempo.
«Ricordi il quadro?» mi chiese a bruciapelo, cambiando
totalmente attitudine e tono.
Ogni volta mi sconcertava. Non mi sarei mai assuefatto a
questi mutamenti radicali che eseguiva con la subitaneità e una
maestria che non avevo visto in nessun altro. Mi stupiva la Sua
capacità di trasformarsi in un Essere totalmente nuovo, di passare al
momento successivo senza portarsi dietro neppure un atomo di
quello precedente. Capii subito che la Sua domanda si riferiva al
dipinto che avevo ammirato prima di entrare in quella serra,
dov‟eravamo. Ripassai mentalmente l‟immagine di Narciso che si
piega di desiderio verso il proprio riflesso nello stagno qualche
istante prima di venirne ingoiato.
«È la storia emblematica dell‟uomo intrappolato nel riflesso
di sé» espose il Dreamer non nascondendo l‟ilarità che gli
suscitavano i miei tentativi, ancora infruttuosi, di adeguare i muscoli
del viso al Suo improvviso cambiamento di soggetto e di umore.
«La favola di Narciso è la metafora dell‟uomo che diventa vittima
del mondo.»
«Credere in un mondo esterno, affidare ai leader politici il
governo della vita sociale e alle religioni la cura della vita interiore,
ti deluderà profondamente ….. Vedi il mondo per quello che è – la
simultanea creazione del tuo Essere. Il mondo è un riflesso dei tuoi
stati interiori e delle tue condizioni, appare e scompare a volontà,
ma può diventare sconosciuto e violento se dimentichi che sei tu, tu
stesso, l‟origine della sua esistenza.»
113
Lupelius
Continuò rivelandomi che, contrariamente alla convinzione
comune, Narciso non si innamora di sé ma dell‟immagine riflessa
nell‟acqua, senza realizzare che quella è solo un‟immagine.
Credendo di vedere un essere esterno a sé, un‟altra creatura, se ne
invaghisce, cade nell‟acqua e miseramente vi annega.
«Once you realize that the world is the projection of yourself,
you are free of it» concluse il Dreamer.
Ero sotto shock. Com‟era stato possibile fraintendere per
millenni uno dei miti decisivi della nostra civiltà? Com‟era stato
possibile eludere una spiegazione così semplice?
Accanto al Dreamer sentivo distintamente la voce di
quell‟età di giganti che finì con Socrate e con l‟invenzione
consolatoria della filosofia. L‟eco di quella saggezza ancora supera
l‟oceano del tempo er raggiungerci, e noi continuiamo a fraintendere
le sue favole eterne, rivelatrici della vera condizione dell‟uomo.
Ancora spacciamo Narciso per l‟archetipo della vanità quando il suo
mito, all‟opposto, è un monito, un grido di allarme contro la
stupidità, la pericolosità della visione ordinaria del mondo. Quello
che più volte il Dreamer aveva tentato di farmi capire stava
finalmente trovando il modo di penetrare un po‟ più in profondità.
La storia di Narciso era il messaggio di una scuola del
capovolgimento, la stessa che aveva ispirato il Caravaggio a
dipingere i quadri sulla crocifissione di Pietro e sulla caduta di
Paolo.
«Innamorarsi di qualcosa al di fuori di noi, dimenticando se
stessi, significa perdersi nei meandri di un mondo che dipende…
significa dimenticare di essere l‟unico artefice della nostra realtà
personale… »
«Un mondo fuori di noi non esiste – riaffermò – tutto quello
che incontriamo, che vediamo, tutto ciò che tocchiamo, ci riflette.
Gli altri, gli eventi, le circostanze della vita di un uomo rivelano la
sua condizione.» Accusare il mondo, lamentarsi, giustificarsi,
nascondersi, sono le manifestazioni di un‟umanità in disgrazia, i
sintomi rivelatori della dipendenza, dell‟assenza di una „vera‟
volontà.
«Questo non è il solo messaggio che ci è arrivato fino a noi
attraverso i secoli che l‟uomo ha consistentemente frainteso per
sfuggire alla sua insopportabile affermazione» disse il Dreamer.
«Come Adamo, anche Narciso addenta la mela!» affermò
prendendomi alla sprovvista.
114
La Scuola degli Dei
Facevo fatica a stargli dietro mentre valicava con un passo
solo abissi di tempo e distanza tra mondi remoti, accostando la storia
della Genesi, vecchia di quattromila anni, ad uno dei miti più antichi
della Grecia classica.
«Anche lui, come Adamo, ha creduto nell‟esistenza di un
mondo esterno.»
Narciso restò vittima della sua illusione che ci fosse qualcuno
al di fuori di sé e Adamo fu scacciato dall‟Eden, condannato a morte
per aver addentato la mela, credendo nell‟esistenza di un mondo
esterno. In entrambe le tradizioni, per quanto culturalmente lontane,
il messaggio è lo stesso: credere che il mondo è fuori di noi significa
diventarne vittima, esserne ingoiati.
«Il mondo lo crei tu, ogni attimo! – affermò il Dreamer – Lo
stagno in cui Narciso si specchia è il mondo esterno. Crederlo reale,
appoggiarsi ad esso significa dipendere dalla propria ombra… Da
creatore diventi creato, da sognatore diventi sognato, da padrone
diventi schiavo, finché sarà la tua stessa creatura a soffocarti.»
Riflettei che il messaggio di questi miti, così come mi stava
facendo scoprire il Dreamer, si ritrovava intatto nelle favole nuove
ed antiche, da Frankenstein a Blade Runner, da Alice in Wonderland
al Nuovo Testamento.
«La caduta dall‟Eden di Adamo ed Eva avviene ogni attimo»
concluse il Dreamer.
«Ogni attimo siamo scacciati dal paradiso, quando la
descrizione del mondo ci possiede… quando dimentichiamo di
esserne gli artefici. La creatura allora si ribella e si torce contro…
È questo il peccato originale, il peccato imperdonabile, mortale:
scambiare la causa con l‟effetto. Un uomo integro, reale… è tale
perché governa se stesso… E nonostante l‟apparente dinamicità
degli eventi e la varietà delle situazioni egli sa che il mondo è il suo
specchio…»
«Che sia bene o male, bello o brutto, giusto o sbagliato, tutto
ciò che un uomo incontra è solo il suo riflesso e non la realtà.» disse
il Dreamer, e dal tono seppi che il nostro incontro era giunto alla
fine. Stava per lasciarmi.
«Ognuno raccoglie sempre e solo se stesso… Tu sei il seme
ed il raccolto… È per questo che tutte le rivoluzioni della storia
sono fallite… esse hanno tentato di cambiare il mondo
dall‟esterno... hanno creduto reale l‟immagine nello stagno...Do not
115
Lupelius
rely anymore on the world for help. Go beyond it! Only those who
have gone beyond the world can improve the world.»
Qui si arrestò per qualche istante.
«Go beyond it! » mi ordinò e si zittì di nuovo. Trascendi, vai
oltre il mondo! Cosa poteva significare?
«Per secoli l‟uomo ha grattato lo schermo del mondo credendo di
poter modificare le immagini del film che egli stesso proietta.»
La spiegazione dell‟insuccesso di innumerevoli generazioni
di uomini protési a modificare il corso della storia, mi veniva offerta
su un vassoio d‟argento. Quella visione amaramente beffarda
riassumeva la storia infinita di atrocità, lutti ed eroismi sotto un
unico giudizio: una colossale, inutile follia.
«Tu… esci da questa pazzia! – mi comandò con inaspettata
dolcezza – Lascia perdere guerre, rivoluzioni, riforme economiche,
sociali o politiche… ed occupati del vero responsabile di ogni
accadimento… Non curarti del sognato, cura il sognatore che è in
te. La più grande rivoluzione, la più difficile delle imprese, eppure
l‟unica che abbia senso, è cambiare te stesso.»
19 Un uomo non può nascondersi
«Chi dipende dal mondo rimane invischiato nelle zone più
basse dell‟esistenza – mi ammonì il Dreamer – Per tutta la vita hai
cercato sicurezze e soddisfazioni effimere fuori di te…
continuamente sospeso tra il timore e la speranza… che sono le
radici della dipendenza... »
Il Dreamer mi stava parlando fissandomi negli occhi con una
severità che non consentiva un battito di ciglia o un respiro, come
faceva quando doveva superare i miei sbarramenti e raggiungermi in
profondità.
«La tua vita, come quella di tutte le persone che dipendono, è
orribile. È la vita di uno schiavo… Anni e anni in un ufficio a
perpetuare la mediocrità, la scarsità, senza neppure il più lontano
desiderio di sfuggire a quella prigionia.»
Prendevo nota di quello che stava dicendo mentre, come un
reporter di guerra, scrivevo sotto una gragnuola di colpi.
«There is nothing out there… there is no help coming from
anywhere at all – ripeté il Dreamer per imprimere questo statement
tra le mie convinzioni più radicate – Non smetterò mai di ripetertelo:
116
La Scuola degli Dei
nulla è fuori di te… Quello che chiami „mondo‟ è solo un effetto…
Quella che chiami realtà è la materializzazione, il riflesso speculare
dei tuoi sogni o dei tuoi incubi…»
Questa visione si sarebbe rivelata lo scenario di fondo di
tutto il Suo insegnamento ed in più occasioni, in futuro, il Dreamer
l‟avrebbe approfondita ed ampliata, a mano a mano che crescevano
in me le capacità di comprendere e sostenerne la forza sovversiva.
Ricordo che quella prima volta fu per me uno shock, un ribaltamento
di tutto quello che avevo creduto fino a quel momento.
«Realize that the world is in you and not viceversa! Ciò che è
nel mondo, o che appartiene ad esso, non può aiutarti né salvarti.»
Poi il Suo discorso divenne un‟esortazione, un appello che
sentii rivolto non più a me ma ad ogni uomo. Le Sue parole erano
venate dal dispiacere di chi sa di offrire una grande ricchezza a chi
non può apprezzarla né farne uso.
«Aspira alla libertà, esci da questa moltitudine di disperati…
Imponiti un nuovo modo di sentire. Conquista l‟immenso dentro di
te e le galassie diventeranno granelli di sabbia…
Allarga la tua visione e vedrai il mondo rimpicciolirsi…
Vision and reality are one and the same thing… Cerca l‟integrità e
quello che per gli altri sono montagne insormontabili per te saranno
solo lievi gibbosità.»
Interpretai la pausa che seguì come l‟invito ad un commento
e, incautamente, avventurai alcune considerazioni. Dissi qualcosa
intorno alla difficoltà di accettare l‟idea che siamo noi la causa di
qualunque evento o circostanza della nostra vita. Misi ogni cura nel
cercare di bandire ogni accento polemico ed assunsi il tono super
partes di chi cerca di portare una saggia neutralità in una occasionale
conversazione con uno sconosciuto. Come un cieco, non potevo
percepire la distanza abissale che nella scala della responsabilità
divideva le parole del Dreamer dalle mie.
«Sembra impossibile credere che tutto quello che può
accadere ad un uomo, da un raffreddore ad un crash aereo, sia la
materializzazione della sua psicologia, dei suoi stati d‟Essere»
conclusi. Mi sentivo affascinato e minacciato dalla visione del
Dreamer. Seguendo la scia delle mie riflessioni stavo penetrando
nelle radici della nostra civiltà, fino a quelle due visioni contrapposte
che divisero il mondo fino ad oggi. La Grecia classica credeva in
una dea Fortuna che dispensava ciecamente i suoi favori. La
rappresentava bendata. I romani antichi credevano invece nell‟homo
117
Lupelius
faber. La Fortuna romana era una dea che aveva il massimo delle
diottrie e rispettava la virtus dell‟individuo. Classificai mentalmente
il Dreamer tra i sostenitori della concezione romana del mondo.
Non feci in tempo a formulare questo giudizio, che sentii la
Sua voce trasformarsi in un ruggito che mi raggelò il sangue, come
nei momenti più terribili che avevo avuto con Lui.
« …Credi di essere qui a fare una conversazione da salotto
con qualche impiegato come te!… Ascolta bene – disse, e rinforzò
quest‟ordine colpendo il suo orecchio destro leggermente con indice
e medio uniti, più volte, con premeditata lentezza – Il mondo è un
riflesso dei tuoi stati d‟Essere‟ significa che Luisa non è morta di
cancro. La sua morte è la rappresentazione scenica del dramma che
ti porti dentro, della tua angoscia letale… Quell‟evento, come tutti
gli eventi, è solo un rivelatore dei tuoi stati d‟Essere… Anche se
tenti di nasconderlo accusando e lamentandoti continuamente, in
realtà il tuo canto di dolore, come un rito propiziatorio a rovescio,
ha invitato tutti i guai e le difficoltà del tuo esistere.»
D‟improvviso fu silenzio.
Sentii un‟ansia inesplicabile premere contro un argine
oscuro. Una parte dura e immobile di me cedette e una voragine si
allargò dentro a dismisura fino ad ingoiarmi. Sentii il cuore battere
tumultuosamente contro le pareti del torace ed il respiro si bloccò in
una espirazione senza ritorno. Provai la nauseante vertigine di una
caduta senza fine e un grido muto di spavento, di aiuto, di
disperazione, di vergogna, mi echeggiò nelle fibre più remote
dell‟Essere come se tutta la dolorosità dell‟esistenza si fosse
compressa in un punto.
Solo quando riprese a parlare riuscii finalmente a riprendere
respiro ed ingoiai avidamente tutta l‟aria che potei.
«A man cannot hide» enunciò allora il Dreamer in un
sussurro, come a trasmettermi un insegnamento segreto. Il mio
ascolto divenne quello di un bambino, senza più divisioni, senza
opposizioni.
«La nostra più piccola azione, ogni percezione, ogni nostro
pensiero, un gesto, una espressione del viso, è registrato
nell‟eternità.»
Mi disse che il modo in cui viviamo ogni istante, come un
fotogramma nel film della nostra vita, indica un innalzamento o un
118
La Scuola degli Dei
abbassamento nell‟Essere e ci mette in sintonia con tutto quello che
ci accadrà.
«A man cannot hide!…
Qui con Me sei solo di fronte all‟esistenza...
Qui non ci sono partiti, né sindacati. Quando entri in questa
stanza non puoi portarti dietro niente del passato, neppure la bugia
del nome o del ruolo.
Qui non ci sono ringhiere a cui aggrapparti… qui ci sei solo
tu di fronte a te stesso… »
Si accorse che stavo tremando visibilmente; cominciavo a
battere i denti come in preda ad una febbre, e disse:
«Smettila di avere paura e di nasconderti! C‟è una parte di
te che deve morire perché assurda. Questa morte è la tua grande
opportunità… Solo tu puoi farlo… »
Sentii fisicamente, dolorosamente che il Dreamer stava
perforando strati e strati di ignoranza, di immondizia psicologica
accumulatasi nel tempo e diventata dura come roccia.
«Se lavorerai senza posa e ti impegnerai per tanti anni
quanti sono quelli che hai speso a farti danno – disse in un sussurro
dolce come una promessa – un giorno il tempo si spaccherà, si
aprirà un tunnel che ti guiderà fino alla tua parte più reale, più
vera… una parte alla quale ogni uomo dovrà ricongiungersi: il suo
Sogno.»
Solo a questo punto il Dreamer distolse lo sguardo
concedendomi un momento di respiro. Vidi la Sua figura ondeggiare
come un riflesso sull‟acqua. Stava per lasciarmi. Sentii d‟un colpo
una stanchezza irresistibile come per una corsa di miglia e miglia
fatta tutta d‟un fiato. Le gambe smisero di sostenermi. Piegai le
ginocchia sul tappeto affiorante, conteso all‟ombra dalla luce
crescente del giorno, e caddi come morto.
119
120
La Scuola degli Dei
CAPITOLO III
Il Corpo
1 “Il mondo sei tu”
Trascorsero alcuni mesi dall‟ultimo incontro col Dreamer. Le
parole ascoltate nell‟atmosfera incantata della serra, intorno alla
piscina, ancora assillavano la mia memoria. Soprattutto tornava ad
echeggiarmi dentro, indimenticabile, quel Suo grido disumano:
Stoooooop!… e la sensazione di venirne completamente svuotato.
Per un po‟ non potei pensare ad altro. Spesso rileggevo gli appunti
raccolti e ogni volta si rinnovava in me, vivida e potente, la chimica
delle Sue parole.
Poi, un po‟ per volta, e sempre più rapidamente, New York
mi riassorbì. La vita ritornò a scorrere sui binari di sempre, scandita
dagli impegni di lavoro alla ACO e dalle routines connesse ai
bambini ed al ménage con Jennifer. La „sostanza preziosa‟
raggranellata nei miei incontri col Dreamer evaporò; e stati d‟Essere,
pensieri, attitudini, linguaggio, ritornarono ad essere quelli di prima.
Una sera, con alcuni del mio team di lavoro, stavo bevendo qualcosa
nella tipica semioscurità di un bar della Madison, assolvendo
quell‟immancabile rito newyorkese di fine giornata. Festeggiavamo
il compleanno di uno di noi. D‟un tratto, come se il mondo avesse
perso l‟audio, il bar con tutti i suoi avventori sprofondò in un
assoluto silenzio. Il tempo rallentò. Osservai i visi gonfi di alcool dei
miei compagni, „vidi‟ le espressioni di dolore nascoste dietro le loro
risate mute. Ebbi l‟agio e l‟ironica lucidità di riflettere su quanto
senso del grottesco fosse necessario per chiamare quel triste rituale
„the happy hour‟. Poi, lancinante, inaspettato, arrivò il dolore di
una mancanza, la sensazione improvvisa di aver trascurato qualcosa
di vitale, di insostituibile. Il desiderio struggente
121
Il Corpo
di rivederLo si alternò alla nausea di quel vuoto, finché colmò ogni
anfratto dell‟Essere. Gli rivolsi un muto, disperato appello. Mai un
SOS fu così letteralmente lanciato per la salvezza dell‟anima.
Pochi giorni dopo, Valery, la mia assistente, arrivò con il
rituale white coffee di inizio giornata in una mano ed una misteriosa
busta nell‟altra.
Ne trasse un biglietto aereo e senza parlare,
ostentandolo, me lo mise davanti con stizza, come avrebbe fatto una
moglie con l‟indizio di una inequivocabile infedeltà.
«E così – mi disse con astio – vai a Barcellona, senza
neppure avvertirmi… »
Sentii, concentrata in quelle parole, impressa nel tono e
nell‟attitudine di quella donna, la storia dei mille compromessi che
deturpavano la mia vita.
Attraversai molte sale prima di trovarLo. Lui mi volgeva le
spalle, apparentemente intento ad attizzare il fuoco del camino di
pietra. Sulla cappa campeggiava uno stemma preziosamente
scolpito. Un imponente quadro raffigurava in toni dal nero al grigio
dei peones indolentemente in marcia. Mi sembrò di riconoscere la
mano di Ortega.
Del volto del Dreamer potevo vedere solo il profilo,
rischiarato dal fuoco. Ebbi la sensazione che non fosse il riverbero
del camino a dargli luminosità ma fosse la Sua pelle bruna ad
effondere quel bagliore. Indossava una veste da camera di seta
leggera. L‟impressione d‟insieme era quella di un aristocratico
signore intento all‟aureo ozio cui lo obbligavano privilegi di nascita
e di censo.
Il filo segreto dei miei stati d‟animo mi riportò al nostro
primo incontro. Anche allora mi volgeva le spalle. Accolsi questa
similitudine con nervosismo. Ancora sentivo bruciare sulla pelle le
parole d‟allora. Non sarebbe stato piacevole andare attraverso
un‟altra sessione di quel genere.
Il silenzio si prolungava ed il Dreamer non dava segno di
aver rilevato la mia presenza. Tentai di ingannare la montante
inquietudine per quella attesa osservando l‟ambiente, la fuga di
stanze e saloni che alloggiavano l‟imponente biblioteca di Mas
Anglada. Un‟incredibile massa di libri tappezzava fittamente le
pareti da terra al soffitto. Il pavimento a piccoli rombi di cotto
smaltato era attraversato per tutta la sua lunghezza da un
122
La Scuola degli Dei
coloratissimo dipinto di Chagall. Cercai di sbirciare qualche titolo
dai libri più vicini quando la Sua voce ruppe il silenzio.
«Lontano da Me degradi e ritorni nel tuo programma di
morte» disse, e ruotò il busto verso di me. Sentii i suoi occhi
d‟acciaio passarmi da parte a parte, come spade.
«Quando non ricordi Me cadi nei solchi della ripetitività…
Ogni volta ripercorri la tua vita e ti affanni senza ricordare che
l‟hai già vissuta.»
C‟era in quelle parole, oltre la loro minacciosità, oltre
l‟insopportabile dolorosità di quella denuncia, un profumo di
eternità… la fragranza dimenticata di una libertà senza limiti. Il
Dreamer aveva ripreso il discorso dove l‟aveva lasciato mesi prima,
quasi che il tempo si fosse sospeso e solo ora, con Lui, ritornasse a
fluire. Tirai fuori il mio taccuino e presi nota di ogni parola.
«Nothing is external!… Ma tu ancora cerchi la sicurezza
negli occhi degli altri… ancora cerchi la felicità, le soluzioni, in un
mondo che soffre della tua stessa malattia… Il mondo è la tua
pelle... il mondo sei tu!… Tu che incontri sempre e solo te stesso.»
«E gli altri? » chiesi.
«Gli altri sono te „fuori di te‟!… Sono frammenti di te
dispersi nel tempo… riflessi di una psicologia disintegrata… »
Raccolsi in quell‟incontro pagine e pagine di appunti,
specialmente sull‟illusione fatale che ci fa credere in un‟alterità,
nell‟esistenza di un mondo fuori di noi dotato di una propria volontà
e dal quale dipende il nostro destino.
«È questo il peccato dei peccati» epilogò il Dreamer. Il
peccato originale. Quando desideri qualcosa e protendi la mano per
prenderla, fosse pure una semplice mela, la completezza non c‟è più
e il paradiso è perduto.
2 I nani psicologici
Per il Dreamer la prima educazione‟ è la descrizione del
mondo attraverso cui impariamo a percepire la realtà come un‟entità
esterna, capace di decidere ed agire e di imporci la sua volontà. Per
questo l‟uomo si incontra con un mondo da cui si sente
continuamente minacciato, di cui è insanabilmente vittima...
123
Il Corpo
«È così che gli uomini diventano dei nani psicologici… più
piccoli di un insetto. Si aggirano per il mondo con la coda tra le
gambe… nutrono sensi di colpa… hanno paura…
Raggiunto questo livello di degradazione, un uomo può soltanto
tradire, accusare, lamentarsi, compiangersi… e mentire… mentire
a se stesso, illudendosi che il suo problema sia circoscritto… che
la sua vita sia perfetta tranne che per qualche piccolo aspetto, per
un problema isolato o per una contrarietà del momento.
Nella sua cecità non vuole riconoscere che dietro un aspetto
spiacevole della sua vita, dietro un particolare apparentemente
marginale, c‟è una malattia della totalità. Per cambiare un solo
atomo della
propria vita occorre cambiare tutto… occorre
capovolgere il proprio modo di pensare, le proprie idee... la visione
ordinaria del mondo!»
Al termine del Suo discorso il Dreamer mi rivelò che le
cinque ferite di Gesù sono in realtà l‟emblema dei cinque sensi
dell‟uomo orizzontale che lo inchiodano alla parte più bassa
dell‟esistenza.
«Quando realizzi che l‟esterno l‟hai creato tu, che sei tu a
contenere il mondo e non viceversa... quando ricordi che tutto
quello che vedi, che ascolti, che tocchi, è frutto della tua creazione,
non puoi più averne paura… »
«Il mondo è un chewing gum, prende la forma dei tuoi denti»
annunciò. Amai subito quell‟espressione, così insolita e
sfrontatamente espressiva, e la registrai tra i Suoi aforismi più
memorabili.
«Non dimenticare che il mondo, gli altri, sono l‟espressione
più onesta, più sincera di quello che realmente siamo… The world is
such because you are such.»
Ad un Suo cenno la pesante tenda si raccolse scoprendo una
lunga parete vetrata. Percorsi con lo sguardo le colline lontane, il
verde fitto dei vigneti ed i graffi bruni dei solchi appena aperti. La
proprietà intorno a Mas Anglada sembrava non avere confini. La
Sua voce aveva il suono dolce di una promessa.
« …Ricorda Me! Ricorda il Sogno! – disse – Allora ti
incontrerai con un mondo perfetto, con un mondo guarito... Il
paradiso terrestre è la proiezione di uno stato d‟Essere, di un
paradiso portatile.... Per mantenere intatto questo paradiso, per
124
La Scuola degli Dei
tenerne insieme gli atomi, occorre essere costantemente vigili,
bisogna continuamente „intervenire‟… »
Sotto la mia mano le pagine si infittivano di appunti; a
malapena riuscivo a starGli dietro. Cerchiai più volte quel verbo, per
evidenziarlo, ed alla prima opportunità Gli chiesi cosa intendesse per
„intervenire‟.
«Significa saper entrare nelle parti più oscure del proprio
Essere e portare luce» rispose il Dreamer dando alle Sue parole una
intensità speciale, come nel trasferirmi un segreto vitale.
Fece un lunga pausa e più volte sembrò esitare nel dirmi
qualcosa di troppo potente, che potesse eccedere la mia capacità di
comprensione… Tenni il fiato sospeso e sperai fortemente che
potesse fidarsi di me.
«Se permettessi ad un solo granello d‟inferno di entrare nel
Mio paradiso… tutto questo scomparirebbe» disse, ed accompagnò
le Sue parole con un gesto largo, mostrando in successione il camino
acceso, i libri e le opere d‟arte di cui eravamo circondati, la piscina,
grande come un lago, che si scorgeva tra il verde intenso del parco, e
l‟immensa tenuta.
«Un giorno, per meritare un paradiso, e per poterlo
sostenere, dovrai saperlo schermare da ogni mediocrità, da ogni
disattenzione… dalle tue morti interne… Un uomo solare proietta la
propria luminosità, un mondo felice, integro, e non permette a nulla
di offuscarlo… »
Fu allora che cominciò a farsi spazio in me con chiarezza la
spiegazione di che cosa il Dreamer intendesse per essere vigili.
“…Se permettessi ad un solo granello d‟inferno…” Quelle parole mi
scavarono dentro. Quando ebbero raggiunto l‟osso, qualcosa scattò
nella mia comprensione. Catturai in un respiro cosa fosse
l‟incorruttibilità, cosa fosse l‟impeccabilità di un leader e l‟immane
impresa di non permettere nel proprio Essere neppure la più piccola
disattenzione. Capii la Sua durezza e perché fosse sufficiente una
smorfia, un atteggiamento, il minimo accenno di negatività, per far
scattare da parte Sua il più spietato degli interventi.
Il Dreamer mi disse che i pensieri e le emozioni degli uomini
hanno una fisicità fatta di colori, di odori, che rivelano i loro stati
d‟Essere, il loro livello di responsabilità, a distanza. Arrossii fino
alla radice dei capelli pensando a quante volte nel mondo del
125
Il Corpo
Dreamer avevo portato i miasmi del dubbio, l‟odore acre della mia
paura.
Pensai alla nostra condizione di esseri incompleti, che
conducono la propria esistenza senza neppure immaginare che
qualcuno possa sentire il lezzo dei loro rifiuti psicologici, l‟odore dei
pensieri, l‟odore delle emozioni negative che, come quello di una
fuga di gas, ha la funzione di denunciare i nostri stati e l‟imminenza
di eventi disastrosi.
«Il mondo è la rappresentazione perfetta dei tuoi stati
d‟Essere. The world is such because you are such, and not
viceversa.»
3 Il canto di dolore
Non eravamo più all‟interno di Mas Anglada e non ci
circondavano più la piscina, il parco e l‟agreste bellezza del suo
paesaggio. Camminavo ora con il Dreamer per le strade di una città
sconosciuta. Dal porto arrivava l‟odore intenso del mare condotto
dalle stradine come da alvei di fiumi invisibili. Ci inoltrammo a
piedi in quel paese d‟acqua che il Dreamer sembrava conoscere
perfettamente e via via che procedevamo nel suo corpo liquido, tra
riflessi ed echi, sentii crescere un‟impressione di leggerezza. Un
trenino a cremagliera si inerpicò ansante. Ci accolse una terrazza
sospesa tra roccia e mare, un angolo antico di mondo cullato nel
liquido amniotico di favole e miti cari all‟infanzia dell‟umanità.
«Solo apparentemente un uomo si augura bene, prosperità,
salute» disse il Dreamer ieraticamente. Nella sua voce c‟era la
solennità di un discorso rivolto alla parte più vera di ogni uomo.
«Se potesse osservarsi, conoscersi interiormente,
ascolterebbe dentro di sé un canto di dolore, la recita costante di
una preghiera di sventura, nell‟attesa di eventi terribili, probabili ed
improbabili… »
Un po‟ discosto, un uomo in T-shirt nera ed occhiali scuri
sembrava assorto nella visione di quel panorama intatto di cielo e
mare. Aveva il ventre eccessivamente pronunciato, le braccia ritorte
verso l‟interno, come accade ai grassi per effetto dell‟ingrossamento
del busto. Continuamente affondava la mano in una confezione
gigante di patatine fritte attingendone generose manciate. Masticava
ed ammirava.
126
La Scuola degli Dei
«Vedi – disse indicandomelo con un leggero movimento del
mento – quell‟uomo si sta suicidando… Un gentiluomo d‟altri
tempi, o di diverso temperamento, avrebbe potuto scegliere una
pistola. L‟avremmo visto dignitosamente puntarsela alla tempia e
dare un addio al mondo rivolgendo un ultimo sguardo a questo
straordinario panorama.»
Fui disturbato da un tale commento su quello sconosciuto.
Stavo ancora tentando di capire che cosa in quelle Sue parole mi
faceva stare così male, quando Gli sentii aggiungere:
«L‟unica differenza tra la pistola e il cibo è la rapidità del
metodo scelto per sopprimersi!»
Provenendo da chiunque altro avrei liquidato quella battuta
come una boutade infelice, un‟esagerazione di cattivo gusto. Ma il
Dreamer non era uomo da scherzare. D‟altra parte non riuscivo a
spiegarmi perché quelle Sue parole mi turbassero tanto e mi
lavorassero dentro con una tale molestia. Credevo allora che il mio
stato d‟animo, a metà tra lo stupore e l‟indignazione, e quel dolore,
fossero causati dal cinismo del Dreamer. Ero lontano dal sospettare
la vera origine del mio malessere.
L‟unico modo che trovai per uscire da quel malanimo e per
fermare, o almeno nascondere, l‟inspiegabile ostilità che sentivo
crescere in me senza controllo, fu di ricorrere ad un commento
ironico.
«In entrambi i casi dovremmo richiedere il pronto intervento
della polizia per portargli via l‟arma e tentare di salvargli la vita»
dissi con un sorriso che quando affiorò sulle mie labbra era già
morto. Avrei dovuto fermarmi ma continuai ironico.
«Nel nostro caso potremmo avvertire la polizia che un uomo
sta attentando alla sua vita con… un pacco di patatine.»
Il Suo sguardo già severo diventò d‟acciaio e mi gelò il
sangue nelle vene.
«Anche tu sei un suicida» annunciò freddamente. Poi, a voce
bassa sibilò:
«Quell‟uomo sei tu!»
Attese qualche secondo che mi riprendessi dal colpo, come si
fa con un pugile al tappeto. A quel punto dovette darmi per
definitivamente sconfitto, smise di contarmi e disse:
«La vita dell‟uomo ordinario è a senso unico… conosce
soltanto la direzione verso il limite… L‟unica sua fede, la sua sola
lealtà è alla morte… La scelta di come uccidersi è la sua unica
127
Il Corpo
libertà. This body is indestructibile. We ourselves allow this body to
be destroyed. The very thoughts and feelings we impose upon the
body are creators of ageing, disease, failure and death. Whatever
happens in your body, happens to the world. The world is as you
are, and you are this birthless, deathless body.
Tu, come milioni di uomini, hai scelto di sopprimerti
attraverso le tue paure, i tuoi pensieri distruttivi.»
«Cosa si può fare? » riuscii a balbettare penosamente. Avrei
voluto chiederlo a nome di tutta l‟umanità suicida. Avrei voluto dire
“cosa possiamo fare?” …ma questo avrebbe richiesto energia e la
mia era stata tutta risucchiata attraverso chissà quale falla
nell‟Essere. A stento mi mantenevo in piedi.
«Tentare di fermarli, ostacolare il loro progetto di morte,
non ci farebbe apparire ai loro occhi come salvatori o benefattori –
disse il Dreamer – al contrario… il nostro tentativo li
trasformerebbe in nemici mortali, ed infine, servirebbe soltanto a
posporre il loro suicidio.»
Mi scrutò come a scoprire quanto fossi pronto a sostenere la
responsabilità di quello che stava per dirmi, poi sussurrò:
«C‟è un lato oscuro dell‟Essere che l‟uomo eredita dalla
„prima educazione‟, un pensiero distruttivo, u impulso a
danneggiare prima se stesso e poi gli altri.»
Mi parlò dell‟auto-sabotaggio, del desiderio di annullarsi e
della lealtà alla morte come caratteristiche dominanti della
psicologia della vecchia umanità, quasi una seconda natura che
nell‟uomo ordinario si manifesta come „cupio dissolvi‟, un
irresistibile impulso a sopprimersi. Una volta dimenticato di essere il
creatore, artefice e padrone assoluto di tutto e di ogni cosa, l‟uomo
cade prigioniero di una descrizione miserabile del mondo. Vive
come un mendicante afflitto da sensi di colpa e da un costante
sentimento di sconfitta, vittima del canto di dolore che
incessantemente gli echeggia dentro immaginazioni e pensieri
distruttivi.
«Osserva te stesso! Entra negli angoli più bui
dell‟Essere. Circoscrivi dentro di te ogni forma di dubbio e di paura
al loro primo insorgere. Fai violenza a te stesso… imponiti la
felicità, l‟agio, la certezza. Non sono le condizioni del mondo a
renderti infelice ma il tuo canto di dolore a creare tutte le miserie
del mondo. La povertà è una malattia mentale.»
128
La Scuola degli Dei
4 Il corpo non può mentire
«Guardati – riprese bruscamente il Dreamer – hai poco più
di trent‟anni e il tuo corpo è già quello di un vecchio.» Il sangue mi
affluì con violenza al viso e mi sentii morire per l‟imbarazzo, come
se mi avesse esposto nudo, lì, davanti a tutta la gente che affollava il
belvedere.
Continuò impietosamente.
«Il corpo è un rivelatore dell‟Essere. Dovrebbe
continuamente vibrare di piacere, di gioia, come quella di un
bambino… ma tu hai dimenticato… Il corpo non può mentire!»
Nella Sua voce non c‟era accusa, ma solo la fredda
constatazione di un disastro. Provai il dolore di una sferzata, un
dolore vero, pulito, senza risentimenti né accuse. Mi ricomposi,
provai a raddrizzarmi sulla schiena e solo in quel momento mi resi
conto di quanto mi fossi oramai abituato a vivere curvo e di quanta
incuria e disamore per il mio corpo fossi colpevole. A quel punto la
mia naturale inclinazione mi avrebbe sospinto verso la vecchia
abitudine di auto-commiserarmi. Ma il Dreamer non lo permise.
L‟opportunità che mi stava offrendo era troppo grande. Avrei dovuto
catturarla al volo, ma non ero pronto. Ricorsi allora ad un
atteggiamento di difesa, riflesso di un inconsapevole rifiuto a
cambiare. Rapidamente accatastai tutte le buone ragioni che mi
avevano impedito di aver cura del mio corpo: il lavoro, i viaggi
continui, la vita di città, le necessità della famiglia, la malattia di
Luisa e, non ultima, la calcolosi renale di cui soffrivo fin da
giovanissimo.
La Sua voce interruppe la mia progettata apologia e gettò
all‟aria tutte le mie argomentazioni. In un attimo mi sentii
catapultato fuori della mia condizione e mi vidi attraverso gli occhi
del Dreamer. Ebbi la umiliante visione di un piccolo uomo
unicamente preoccupato a difendersi, a cercare buone ragioni per
assolversi, per allontanare da sé ogni responsabilità, per restare
com‟era. Avrei voluto trattenere quella visione che, per quanto
dolorosa, aveva in sé la purezza del distacco, la chiarezza risanatrice
dell‟integrità. Ma questa libertà durò solo pochi istanti.
«Il corpo, il pallore del viso, gli occhi gonfi, la flaccidità,
denunciano che hai già rinunciato a vivere, che hai già dichiarato
forfait Il tuo piano inconsapevole di affrettare l‟incontro con la tua
morte fisica, lo conoscono tutti, tranne te!…
129
Il Corpo
Un uomo, per ridurre il corpo in questo stato deve prima profanare
se stesso… È come un animale ferito che sanguina e lascia dietro
di sé le tracce per essere raggiunto ed eliminato dal suo predatore.
Le leggi dell‟esistenza, fuori dalla jungla, non sono diverse.
L‟Essere, il corpo ed il mondo sono una sola cosa!» Quest‟ultima
affermazione mi lasciò sbalordito. Mentre con la ragione riuscivo
ad accettare, almeno come possibilità, che l‟Essere ed il corpo
fossero un‟unica realtà, l‟idea che il corpo ed il mondo potessero
trovarsi in rapporto di causa ed effetto esorbitava completamente
dalla mia capacità di accettazione.
«Tutto quello che vedi e tocchi è luce solidificata, tutto
quello che percepisci non è altro che una proiezione dei tuoi organi
– confermò il Dreamer – Essi non sono soltanto la parte di te più
vicina al mondo… essi sono i veri costruttori, artefici, creatori del
tuo universo.»
Poi, ad occhi chiusi, come talvolta faceva, recitò alcuni versi
che trascrissi fedelmente:
The Body is the real Dreamer...
The Body dreams and its cells and its organs dream.
The Body is the real maker of your personal world.
Il Dreamer mi spiegò che quello che l‟uomo vede di se stesso
attraverso i propri occhi fisici lo chiama corpo e quello che non
vede, perché vibra a frequenze più alte, lo chiama Essere.
«In realtà il corpo è l‟Essere… è l‟Essere reso visibile»
disse, e il Suo sguardo riprese a scrutarmi, come a valutare le mie
condizioni. Poi si fece nuovamente duro.
«La fede in una divinità fuori di noi, l‟idea che ci sia
un‟entità al di là del nostro corpo, è la superstizione più diffusa al
mondo ed è uno tra i maggiori killer dell‟umanità.» In molte
tradizioni religiose questo dio esterno è stato sostituito dalla
credenza in uno spirito-guida, in un‟anima, in una invisibilità interna
all‟uomo. Secondo il Dreamer anche questa convinzione è un killer.
Per una strada o per l‟altra, siamo stati portati a rinnegare il nostro
corpo ed a ridurre la vita a una serie continua di attentati tesi ad
ucciderlo.
«È così che l‟uomo è caduto nella iniquità, nella immoralità
della morte.»
130
La Scuola degli Dei
I miei pensieri mulinavano intorno ai concetti rivoluzionari
che stavo apprendendo da Lui.
«Il corpo non può mentire – ripeté, con una impennata della
voce ed un accento severo che subito mi richiamò all‟ascolto – Il
corpo è la parte più sincera, più onesta, del nostro Essere. Il corpo
ci rivela… Nello stato in cui siamo rivela la nostra incompletezza, la
nostra conflittualità.»
Mi raschiai leggermente la gola e diedi un leggero colpo di
tosse. Il Dreamer lentamente accorciò lo spazio tra noi di qualche
millimetro; nei suoi occhi lessi un‟innocente ferocia e la spietatezza
di un Essere selvaggio. L‟aria si oscurò. Sentii come se
d‟improvviso fossi venuto a trovarmi faccia a faccia con un nemico
mortale… Precipitai in un‟angoscia incontrollabile.
«Tossire è il tuo modo di dire no… di puntare i piedi e
resisterMi – disse con voce terribile – Io sono l‟ostacolo al tuo
invecchiamento, al tuo
progetto di ammalarti e morire. Io sono
l‟ostacolo al tuo ritorno nella volgarità del passato… nella
ripetitività… nell‟accidentalità… Accanto a Me non puoi
degradare… Per questo mi vedi come il tuo peggior nemico… È più
semplice seguire ipnoticamente il vecchio percorso verso la
degradazione e la sofferenza piuttosto che arrampicarti… andare
controcorrente... e ribellarti alla povertà, alla tirannia della
vecchiaia e della malattia, all‟immoralità della morte… »
Mi concesse una breve pausa ed io l‟accolsi con l‟avidità di
un naufrago che riprende respiro. Quelle parole mi avevano gettato
nella disperazione e svuotato di ogni energia. Nessuno mi aveva mai
parlato così, né mi aveva mai fatto sentire in quel modo. Chi era
quell‟Essere? Cos‟era quel Suo amore tagliente, spietato come un
bisturi, che mi frugava nella carne?
«Accanto a me non potrai invecchiare… non potrai
ammalarti… né morire» disse, ed io ascoltai attonito quelle parole
senza tempo.
«If you learn how to raise the vibrations of your body to a
higher level, you will disappear from the sight of a harmful
threatening, mortal world. The battlefield is the body.
Ma a voi che avete scelto la morte come vostra guida, la vita
e la luce appaiono come l‟orrore… Per questo c‟è una lotta aperta
tra Me e voi… »
L‟uso del „voi‟ allargò a dismisura quel messaggio
straordinario e magistralmente lo estese ad una massa umana di
131
Il Corpo
dimensione planetaria. In quel belvedere di una città sconosciuta,
circondati da un panorama indescrivibile, in piedi davanti al
Dreamer non c‟ero più io ma tutta l‟umanità che ascoltava.
5 Sii frugale!
«Questa lotta tra noi finirà solo quando sarai cambiato per
sempre – minacciò il Dreamer con fredda calma – Se ti apparirò
duro… spietato… se proverai dolore… se mi vedrai come un mostro
dagli occhi iniettati di sangue, sarà solo il riflesso della tua
incomprensione, della tua resistenza al cambiamento… Accanto a
Me, se vorrai, potrai cambiare il tuo destino ineluttabile e quello di
migliaia di uomini e donne… »
Come una mano che lentamente si stringe a pugno, una
determinazione nuova, una certezza, si stava facendo strada
nell‟Essere: non volevo più dipendere dal mondo, dagli altri, come
orribilmente era accaduto fino a quel momento. Non volevo più
essere un‟ombra, un burattino biochimico mosso dai terribili fili
della dimenticanza e dell‟accidentalità. Promisi a me stesso che
avrei fatto qualunque cosa per applicare alla mia vita, senza deviare,
i princìpi che il Dreamer stava faticosamente tentando di
trasmettermi.
«Usa piuttosto tutta la tua forza, finché sei in tempo, per
contrastare la programmazione al disastro, la preparazione di tutta
una vita alla sconfitta, alla dipendenza. Capovolgi la tua visione e
liberati dalla descrizione del mondo ricevuta da adulti adulterati e
da tutti i maestri di sventura che hai incontrato nella tua vita…
Rinuncia alla tua fede nella malattia e nella vecchiaia… Smettila di
mentire!… Ribellati a tutto questo e scrollati questa zavorra di
dosso… Raddrizza la schiena, tieni il collo e la testa alta… Liberati
dal peso superfluo, dal grasso e dalla bugia.»
Mi stava parlando come se fossi un obeso. Sentii bruciare
l‟offesa e provai un sordo risentimento come per una insopportabile
ingiustizia. In realtà ero poco più di ottantacinque chili e non
giudicavo questo peso eccessivo per un uomo della mia altezza.
Questa apparentemente piccola distanza che si era creata col
Dreamer si tramutò in un dolore fisico inesprimibile. Le divergenze
di opinione, quelle differenze nel modo di pensare che
ordinariamente esistono tra gli uomini e che sono accettabili, anzi
132
La Scuola degli Dei
considerate un segno di indipendenza intellettuale, di forza di
carattere, accanto al Dreamer erano intollerabili, erano fuorilegge.
Mi resi conto che oramai ero connesso a Lui da fibre
invisibili. In un baleno, vidi i nostri Esseri colmare distanze stellari e
lentamente intrecciarsi tra loro. Generato dall‟invisibile, un essere
mitico emerse e prese le forme di un centauro che attraversò
galoppando la mia immaginazione. Per un attimo la creatura si
stagliò contro un orizzonte ancestrale, vivida come un ricordo del
futuro, e riconobbi l‟Essere nuovo, l‟archetipo della nuova specie,
metà uomo, metà sogno. Non so perché, ma immediatamente sentii
di dovermi scrollare dalla mente quella immagine. Una specie di
pudore, un inspiegabile senso di colpa, mi facevano sentire come se
l‟avessi trafugata o sbirciata di nascosto, come Atteone che aveva
visto ciò che un umano non avrebbe dovuto vedere. Temetti di
essere colto sul fatto. Ma il Dreamer sembrò lasciare libertà alla mia
immaginazione. La pausa che seguì mi diede il tempo di stringere le
fila dei miei pensieri e ristabilire almeno un briciolo delle vecchie
certezze.
Accertatosi con un lungo sguardo che stessi prendendo
accuratamente nota di ogni Sua parola, pronunciò una frase che mi
trafisse come una stilettata.
«Il cibo è morte» annunciò perentorio.
E, prima ancora che potessi riavermi dalla sorpresa di una
tale affermazione, aggiunse:
«Il tuo corpo denuncia che sei ricattato dal cibo. Il tuo
invecchiamento precoce rivela l‟assenza di frugalità, l‟assenza di
intelligenza, l‟assenza di amore.»
Mentre parlava, i suoi occhi mi stavano passando da parte a
parte. Inaspettatamente, Lo vidi sorridere della mia espressione
sgomenta, comicamente patetica.
«L‟umanità ha una fedeltà al cibo pari solo alla sua lealtà
alla morte» disse con sarcasmo. Poi mi esortò:
«Abbandona queste superstizioni!»
Mai fino a quel momento avevo sentito parlare del cibo, e
tantomeno della morte, come superstizioni. Nel manoscritto di
Lupelius l‟ignoranza di se stessi, le emozioni negative e il cibo erano
indicati tra le principali cause di morte, ma ascoltarlo dal Dreamer
era una sfida a tutto quello in cui l‟umanità aveva sempre creduto,
un attentato alle sue convinzioni più incrollabili. Ero davanti ad un
salto nell‟abisso. Semmai fossi stato convinto di essere membro di
133
Il Corpo
un qualunque gruppo, di una speciale fascia del consorzio umano, ne
stavo perdendo le chiavi di accesso. Sentii la disperazione
inconsolabile di un essere espulso dal branco, catapultato fuori dalla
sua natura.
Il Dreamer continuò a mostrarsi apertamente divertito della
mia confusione. Evidentemente la considerava un buon segno ed, in
ogni caso, uno stato più avanzato e produttivo della mia sterile
„normalità‟. Poi l‟espressione del Suo viso si fece intensa.
«Mangia una sola volta al giorno – ripeté – sii frugale.»
Quella richiesta mi sembrò talmente assurda, anzi sovversiva
dell‟ordine naturale, che temetti di essere davanti ad un essere
diabolico o al diavolo in persona. Papà Giuseppe mi aveva più volte
raccontato che, durante gli anni di guerra, era andato per lunghi
periodi attraverso il regime di un pasto al giorno, ma sempre si era
riferito a questa esperienza come ad un periodo di privazioni.
Sapevo di pratiche e periodi di digiuni rituali, ascetici,
religiosi, connessi a culture e tradizioni per lo più arcaiche.
Mai avevo neppure immaginato che una simile disciplina
potesse essere praticata da un uomo attivo, immerso negli impegni e
nei ritmi del business moderno. E a che scopo poi? Lo stesso
Ramadan islamico, anche nella sua più
rigorosa applicazione, è
limitato ad un solo mese, il nono, di quel calendario. Mi sembrò
ingiusto, crudele, e perfino dannoso per la salute, richiedermi un tale
sforzo. Provai per la richiesta del Dreamer una radicale, immediata
repulsione.
«Un giorno quando sarai più pronto saprai che anche un
pasto unico è eccessivo. Gli organi di un uomo non sono stati creati
per smaltire cibo.»
«E per che cosa allora?» chiesi riuscendo a malapena a
controllare la voce rotta dall‟emozione.
«Gli organi di un uomo… tutti i suoi organi… sono fatti per
sognare! Questa è la loro funzione naturale – disse con dolce
assertività – Quando il corpo è digiuno il volto si ingentilisce… la
mente è lucida, pronta… veloce… le cellule ringraziano, si
rigenerano; si avvia così un processo di guarigione, una rinascita
dell‟Essere che si materializza prima nel corpo e poi nel mondo
degli eventi» completò il Dreamer.
Ascoltai affascinato il racconto che mi fece di antiche scuole
di invulnerabilità che conoscevano il segreto di un nutrimento più
sottile del cibo. I soldati macedoni, secoli prima delle conquiste di
134
La Scuola degli Dei
Alessandro, erano già considerati tra i guerrieri dalle abitudini più
frugali. Allo stesso tempo erano i più temuti per il loro coraggio e
l‟insuperato valore. Alessandro stesso, pur sopportando insieme ai
suoi uomini tutte le fatiche, anche le più ardue, non mangiava quasi
nulla, e una sola volta al giorno. La sua invulnerabilità era
leggendaria; attraversava indenne nugoli di frecce, mentre a
centinaia i compagni gli cadevano intorno trafitti.
«Il segreto è che gli organi, in assenza di cibo, ritornano a
svolgere la loro vera, naturale funzione: sognano!… e attraverso il
potere del sognare materializzano nella vita di ogni giorno tutto
quello che un uomo può desiderare. Finchè considererai una
qualsiasi parte del tuo corpo meritevole di qualcosa meno
dell‟eternità, stai emanando una sentenza di morte sull‟intero
organismo.»
L‟ombra minacciosa che all‟inizio del Suo discorso sul cibo
aveva oscurato ogni fibra del mio Essere, cominciò a dissiparsi.
«Stai attento! – mi disse, notando che si era finalmente aperto uno
spiraglio per la mia comprensione – astenersi dal cibo non significa
digiunare. Quello di cui ti sto parlando è una sostituzione…»
6 Un mondo senza fame
«Quando avrai smesso di credere in un mondo esterno come
fonte della tua sussistenza, non potrai più nutrirti dal basso, non
potrai più alimentarti della grossolanità… Attraverso
l‟innalzamento della qualità dell‟Essere, attraverso un nuovo modo
di pensare, sentire, respirare, agire, un‟umanità più responsabile
scoprirà una fonte alternativa di alimentazione. Questo cibo, che è il
nostro vero nutrimento, nasce da noi stessi e tornerà ad essere
accessibile quando sarà la volontà a governare la nostra vita e non
la descrizione del mondo.»
D‟un tratto, prima ancora che quella spiegazione mi
diventasse chiara, sentii il dialogo interno chetarsi; solo una specie
di pianto si prolungò appena, come la coda di un capriccio infantile;
poi anche questo cessò.
Ripensai ai miti della classicità ed alla credenza dei Greci
antichi che la mensa degli Dei non fosse imbandita con lo stesso
cibo dei mortali ma con nettare ed ambrosia. Ricordai che gli ebrei
135
Il Corpo
dell‟esodo, uomini in fuga verso la libertà, furono nutriti da un cibo
offerto dall‟alto.
Immaginai l‟inimmaginabile: una civiltà senza cibo. Un
mondo senza fame. Allora, mi resi conto dell‟enormità dello spazio,
del tempo che il cibo occupa nella nostra vita; delle risorse che
assorbe. Nella convinzione che senza assumere alimenti dall‟esterno
non possiamo sopravvivere, incalzati costantemente dallo spettro
della fame, senza accorgercene, abbiamo fondato tutta la nostra vita
sul cibo trasformandolo in un pensiero ossessivo, un‟attività
assillante di dimensione planetaria. Mi sentii schiacciato dalla
visione di miliardi di esseri pervicacemente al lavoro per coltivarlo,
produrlo, allevarlo, comprarlo, cucinarlo, distribuirlo, consumarlo…
e smaltirlo.
Immaginai come sarebbero apparse le città senza negozi di
alimentari, senza ristoranti e supermercati; ed ebbi una visione da
day after pensando alla nostra vita con le dispense desolate, i
frigoriferi vuoti, le tavole mai imbandite, gli affari senza pranzi, i
corteggiamenti senza cene al lume di candela e le famiglie senza il
papà a capotavola ed i ritmi cadenzati dai pasti. Cosa avrebbe mai
riempito il baratro di spazio e di tempo lasciato da questa assenza?
«Capovolgi la tua visione − suggerì il Dreamer − Pensa a
quante risorse potranno invece essere dedicate alla bellezza,
all‟arte, alla musica, all‟entertainment, alla ricerca della verità,
alla conoscenza di sé… Una società libera dal cibo sarebbe una
società libera dalla malattia, dalla vecchiaia, dalla morte… In un
mondo senza mattatoi né allevamenti, che non deve produrre cibo né
coltivare campi, non ci sarebbe criminalità né povertà; non
esisterebbero ghetti, guerre o conflitti… né assistenti sociali. Un
mondo senza cibo sarebbe un mondo senza divisioni ideologiche,
senza superstizioni né religioni. Sarebbe un mondo senza bambini
affamati, senza ospizi; senza tribunali, né ospedali, né cimiteri. Un
mondo dove le risorse potrebbero essere indirizzate a realizzare il
sogno più grande dell‟umanità… Una volta sconfitta l‟industria
della morte e l‟economia del disastro, che sono materializzazioni
della sua paura, l‟uomo può riconquistare il suo diritto di nascita e
raggiungere lo scopo supremo del suo esistere: l‟immortalità
fisica.»
Ora potevo sollevare gli occhi. Guardai il Dreamer. Mi resi
conto che per tutto il tempo in cui avevo contrastato dentro di me la
136
La Scuola degli Dei
Sua visione avevo tenuto il corpo teso e la testa bassa, come se stessi
fisicamente respingendo qualcosa con tutte le mie forze.
«Una società che ha smesso di credere nel cibo, libera dal
bisogno di mangiare, si lascerà alle spalle l‟ossessione ancestrale
della fame e tutti i suoi terrificanti corollari e si troverà davanti un
nemico ancora più implacabile… – disse il Dreamer – la noia del
non mangiare.»
Anche se l‟umanità così com‟è, si convincesse ad
abbandonare il cibo, come un‟abitudine tra le più nocive, essa
dovrebbe affrontare il baratro di tempo che la sua eliminazione
scaverebbe nella vita di ogniuno.
Pensai che questa era la chiave per capire perché, di tutte le
discipline e di tutte le austerità, quella relativa al cibo è sempre stata
la più insostenibile e la più scongiurata. Tanto che, in tutta la nostra
storia, soltanto santi ed asceti hanno saputo riportare una vittoria sul
cibo, e molto spesso solo parziale e temporanea. Riportai al Dreamer
questa riflessione.
«Occorrerà una lunga preparazione e una nuova educazione
– disse – Un‟umanità zoologica, ancora spaventata dallo spettro del
tempo, convinta della inevitabilità della morte, non può nutrirsi che
di un cibo grossolano, esterno, mortale. Nutrirsi dall‟interno sarà la
conseguenza naturale di un diverso modo di pensare e di respirare,
il passaggio evolutivo dall‟uomo conflittuale
governato dalle
emozioni negative, all‟uomo verticale.»
«E cosa accadrà all‟economia? – chiesi – Come
compenseremo la perdita di tanta parte delle nostre attività?»
«Quella che chiami economia è in realtà poco più di
un‟attività di sopravvivenza, anche nei paesi più ricchi. È tenuta in
piedi a costi ormai inaccettabili… Una società che riconosca la
potenza creativa del pensiero, la sua capacità nutritiva, produrrà
beni e servizi più elevati tanto per i singoli che per l‟intera umanità
– annunciò profeticamente – Una società sognante, leggera,
flessibile, si dedicherà all‟educazione di ogni individuo, al
perfezionamento di ogni sua cellula.»
Immaginai un esercito di uomini e donne dedicati alle attività
di rieducazione di un‟umanità che ha dimenticato la sua origine, il
suo scopo.
«Una tale rivoluzione non può essere fatta dalle masse –
affermò il Dreamer – Occorre educare l‟umanità individuo per
individuo, cellula per cellula, aprirla ad una nuova visione…
137
Il Corpo
renderla capace di ribellarsi al suo destino e combattere dentro di
sé la vera radice di ogni male: la convinzione che l‟esterno possa
nutrirci, che qualcosa fuori di noi possa guarirci.»
Queste superstizioni trovano la loro espressione più
marchiana nell‟industria alimentare ed in quella farmaceutica.
Dimenticato il gioco, l‟uomo diventa l‟anello finale di un ciclo
produttivo infernale. Come in una favola macabra, o in un film
dell‟orrore, colpiti da un maleficio che non ha finora trovato
esorcismi, gli uomini sono condannati a trascorrere metà della vita a
cibarsi e l‟altra metà a curarsi e assumere farmaci. Il compito
supremo dell‟umanità è trascendere se stessa attraverso l‟arte del
sognare. Per questo deve ridurre al minimo la necessità, il bisogno di
nutrirsi.
«È un processo inside-out. Solo una nuova educazione potrà
porre rimedio ad una incomprensione di tale vastità… »
Nella visione del Dreamer, con la graduale sparizione del
cibo sparirebbero anche malattie, vecchiaia e morte.
«Non temere di annunciarlo! – mi esortò notando la mia
esitazione anche soltanto nel riportare sul taccuino queste Sue
insostenibili rivelazioni – Il passaggio sarà graduale ed è già in
corso nelle nazioni più ricche. L‟umanità mangerà sempre di
meno!… finché scoprirà che nuota in un plancton infinito, che è
circondata da un cibo inesauribile che è solo suo e per il quale non
deve affaticarsi né lottare.»
«Sarà mai possibile per l‟uomo vivere senza cibo?»
«Non sto parlando di vivere senza cibo ma di sostituirlo.
Quando avverrà un capovolgimento della sua visione, quando avrà
rovesciato come un guanto tutto quello in cui ha creduto fino ad
oggi, un‟umanità più evoluta potrà sostituirlo con un alimento più
intelligente. Una volta libero dal bisogno ipnotico, dalla dipendenza
dal cibo, l‟uomo potrà scegliere di mangiare o non mangiare, come
fosse un „optional‟.»
Le parole del Dreamer mi fecero pensare agli dei omerici che
di tanto in tanto, volendo provare le gioie e i dolori degli uomini,
dovevano degradare discendendo dall‟Olimpo e trasformandosi in
bestie.
Ricordai che quando mi innamorai di Luisella, quando il
profumo della sua giovinezza pervase ogni molecola della mia
esistenza, trascorrevo interi giorni senza sentire alcun bisogno di
mangiare. Raccontai al Dreamer della preoccupazione di mamma
138
La Scuola degli Dei
Carmela e della sua comica disperazione nel vedermi rinunciare ai
miei piatti preferiti, perfino a struffoli e pastiere.
«È la sostituzione di un cibo grossolano con un cibo sottile,
interno – mi disse – sarà una cosa possibile a tutti gli uomini
quando non saranno più governati dalla descrizione del mondo ma
da se stessi, dalla propria volontà… dal Sogno.»
«E gli ammalati di anoressia?»
«Gli anoressici non sono degli ammalati ma i precursori di
un‟umanità più avanzata, più longeva. Essi sono i veri ribelli
all‟industria della morte.»
«E quelli che muoiono di anoressia?»
«Non ci sono morti per anoressia, ma solo vittime di una
medicina primordiale e di un ambiente familiare impreparato a
riconoscere in loro gli antesignani dell‟uomo nuovo.»
In questa occasione, come aveva fatto altre volte, il Dreamer
mi parlò molto dei giovani, dei loro segnali di aiuto, dei loro
disperati, inutili tentativi di annunciare all‟umanità adulta-adulterata,
obsoleta, la nuova direzione, il nuovo esodo.
«Tu, abbandona le „cattive abitudini‟ – disse – Sii
frugale!…»
«Ma ricorda – mi ammonì – Fino a quando non sarai pronto
per una tale impresa, non osare mai fare un digiuno o una notte di
veglia. Sarò Io a dirti quando potrai ridurre il cibo di un boccone o
il tuo sonno di un minuto… Ci vorranno anni e anni di lavoro… »
In realtà, in tutto il tempo trascorso accanto al Dreamer, mai
sopportai digiuni o feci astinenze, né mai mi parlò di privazioni. Lo
vidi anzi continuamente circondato dalla prosperità e
dall‟abbondanza. La frugalità fu per me un lento processo e una
naturale conseguenza della Sua vicinanza. Pur essendo così a
contatto con la Sua filosofia, impiegai anni e dovetti fare grandi
sforzi per capire che nella visione del Dreamer il cibo era soltanto
l‟emblema, l‟espressione più visibile della dipendenza dell‟uomo dal
mondo.
«Non è il cibo che avvelena l‟uomo ma la sua convinzione di
averne un imprescindibile bisogno. Anche asceti e santi hanno
mancato il vero obiettivo di una disciplina alla frugalità che non è
l‟eliminazione del cibo ma l‟affrancamento dal suo bisogno, il
superamento della dipendenza.»
Obiettai che infine, anche nutrirsi dall‟interno è pur sempre
una dipendenza.
139
Il Corpo
«Dipendere dall‟interno, dipendere da se stessi, non è
dipendere! – disse – significa governare!»
Per il Dreamer chi non ha messo in discussione l‟idea
dell‟inevitabilità della morte è capace di nascondere il suo autosabotaggio dietro pratiche di miglioramento, diete, digiuni ed
esercizi estremi di ogni tipo. Sotto la cortina fumogena di discipline
religiose e spirituali connesse al cibo ed al sonno l‟uomo nasconde
spesso la sua auto-distruttività, il suo desiderio di annullamento.
«Scoprirai che templi scientifici ed organizzazioni
umanitarie, laboratori farmaceutici ed industrie alimentari, sette
ascetiche, beauty farms, scuole di fachiraggio e di austerità, sono
anch‟esse, inconsapevolmente, al servizio della morte; anch‟esse
alimentano e sono alimentate dall‟economia del disastro. Sotto i
loro messaggi di benessere, di felicità e lunga vita,
inconsapevolmente, persiste imperterrita una lealtà alla morte a
tutta prova e la più intensa e devota delle attività al suo servizio.»
«Possibile che non ci siano istituzioni sinceramente al
servizio dell‟umanità? Uomini che sappiano suscitare e guidare una
rivolta contro ogni forma di dipendenza?» chiesi angosciato. Ero una
creatura sbalzata fuori dal suo universo, esposta improvvisamente al
freddo di un mondo sconosciuto, inospitale.
«Che ne è di tutti i salvatori di ogni tempo, degli eroi, dei
santi?…»
«Eroi, santi e benefattori, e le istituzioni da essi ispirate, in
effetti sono al servizio dell‟umanità, ma di un‟umanità
autodistruttiva – rispose il Dreamer – Essi stessi sono vittime della
propria incomprensione; non sanno che nessun aiuto o guarigione
può venire dall‟esterno e che solo l‟individuo può portare soluzione
guarendo la propria visione, riconoscendo in se stesso la vera causa
di ogni calamità.
In una società più evoluta filantropi e benefattori spariranno
o saranno considerati fuorilegge perché il loro distorto altruismo, la
loro filantropia deviata, può solo perpetuare la povertà e la
malattia.
Guarire il mondo significa guarire se stessi… La tua visione
del mondo crea il mondo…
Può sembrarti paradossale, fuori da ogni logica, eppure il
mondo è come tu lo sogni. Sei tu che lo ammali, sei tu il solo
responsabile dei conflitti che lo devastano, delle calamità, della
fame, della criminalità.
140
La Scuola degli Dei
Riconquista la tua integrità e il mondo sarà guarito per sempre!»
7 Il mondo è come tu lo sogni
Da questo punto in poi il Dreamer mi fece prendere
accuratamente nota di princìpi e pratiche, di attività e tecniche,
apparentemente eterogenee e disparate, ma configuranti nel loro
insieme una disciplina completa, un sistema. Come la skyline di un
continente sconosciuto, dall‟invisibile vedevo emergere i contorni di
una cosmogonia unica ed affascinante. Trascorsi alcune giornate di
intenso studio nella imponente biblioteca di Mas Anglada dove
trovai e consultai volumi preziosi per la comprensione di „The
School for Gods”. In particolare, Gli chiesi la spiegazione di disegni
e formule che avevo trovato nel manoscritto.
Lupelius considerava corpo e spirito come una sola,
indivisibile realtà; e riconosceva il „corpo‟ come il creatore di tutto il
mondo fenomenico, dal microbo a Dio. Devo precisare che l‟uso dei
termini „spirito‟, o qualche volta „anima‟, è una mia intromissione
fatta con l‟intento di semplificare la comprensione del lettore. Il
Dreamer non li hai mai pronunciati. Più apprendevo delle teorie di
Lupelius sul cibo e sul corpo, più sentivo il pensiero sotto shock e
arretravo di fronte alle implicazioni ultime dei suoi postulati. Alcune
proposizioni tra le più insostenibili del monaco-guerriero, come
schegge di irrazionalità, si erano conficcate nella mente e la
inquietavano. Volevo assolutamente parlarne col Dreamer.
L‟occasione per farlo si presentò la terza sera, quando il
Dreamer mi invitò a visitare le cantine della Sua straordinaria
dimora. L‟ordine in cui erano tenuti i vini, divisi per paesi, qualità ed
annate, era supremo. Mai avevo neppure immaginato l‟esistenza di
una collezione così vasta e completa. Accanto al camino,
centellinando uno dei Suoi vini più preziosi, il Dreamer mi chiese
dell‟andamento dei miei studi e se avessi scoperto qualcosa di
rilevante. Gli raccontai dei punti più impervi ed improponibili delle
teorie di Lupelius sul corpo e soprattutto di quel dialogo tra
Lupelius ed un suo discepolo il cui argomento, la capacità del corpo
e dei suoi organi di creare il mondo, era diventato per me un vero
assillo.
Appena proposto quell‟argomento, mi accorsi di essere
impreparato ad ascoltare quello che stava per dirmi. Avrei voluto
141
Il Corpo
fuggire! Quando capii che ormai era troppo tardi e che non avrei più
potuto sottrarmi, il cuore si impennò, accelerò i battiti come
nell‟imminenza di un pericolo grave, e un cerchio di ferro mi
avvinghiò le tempie cominciando a stringere. Ero incapace sia di
accettare una visione così fantastica che di rifiutarla ed eludere ciò
che il Dreamer mi stava rivelando con una tale autorità. Sentii il
pensiero barcollare sull‟orlo di una vertigine.
«Tra Sogno e realtà non c‟è alcuna distanza né divisione.
Così come non c‟è distanza tra essere ed avere, tra credere e vedere
– enunciò il Dreamer – Quello che un uomo sogna è già realtà. Ha
bisogno solo di un po‟ di tempo perché diventi visibile…»
Dream + Time = Reality
«Il Sogno si manifesta attraverso il tempo. È la limitatezza
della nostra percezione che ha bisogno di tempo per vedere. Il
tempo è per l‟uomo una vernice magica che rivela quello che
altrimenti resterebbe invisibile ai suoi occhi.
Dietro tutto ciò che vedi e tocchi deve esserci il Sogno per
esistere… un mondo meraviglioso o un mondo di dolore deve essere
sognato perché si realizzi.
Il Sogno è la cosa più reale che ci sia... e dietro il Sogno c‟è
il corpo… Le nostre cellule, i nostri organi… sognano!» concluse il
Dreamer.
«Ma se il corpo ha questa capacità di sognare e di creare il
mondo, come mai non riesco a cambiare un atomo nella direzione
che vorrei?» chiesi dando sfogo alla mia frustrazione.
Il Suo sguardo volò lontano oltre le fiammelle dei grandi
candelabri d‟argento, oltre le pareti centenarie di Mas Anglada. Per
lunghi istanti restò assorto, il mento poggiato sul palmo della mano
sinistra, poi disse:
«Non esiste un mondo oggettivo, fisso, uguale per tutti… Il
mondo è così come tu lo sogni… E anche quello che ti appare
negativo, distruttivo, è solo il riflesso di un sogno conflittuale.»
«E per cambiare le cose che non vanno?»
«Cambia il Sogno! È impossibile uscire dai solchi della
ripetitività, della ricorrenza se non cambi il Sogno.
You have to abandon your destructive way of dreaming.
142
La Scuola degli Dei
You have to dream a new dream, you have to learn a new
way of dreaming where the power of will commands, where the
power of love creates, where the power of certainty wins.
Sii più sincero, più onesto con te stesso e realizzerai che
dietro la tua falsa convinzione di voler cambiare la tua vita, c‟è il
segreto disegno di perpetuarla così com‟è.
The world is such because you are such.»
8 No war within, no war without
«Il mondo è il Sogno che si materializza. Your thoughts
create your own personal reality.»
Il Dreamer mi stava parlando tra una serie di esercizi fisici e
l‟altra, scegliendo e attivando di volta in volta una delle sofisticate
macchine della Sua palestra. Il locale occupava la sommità di
un‟antica torre che dominava l‟immensa tenuta di Mas Anglada.
Attraverso le pareti vetrate l‟immobilità secolare di colline e vigneti
entrava nel tempo e si contendeva il dominio di quello spazio con
l‟acciaio degli attrezzi, potenti e silenziosi, e il metallico riflesso dei
pesi. L‟ampio lucernario incorniciava un vasto tratto di cielo
percorso da cirri leggeri.
«Allora... tutti sognano e tutti creano il mondo.»
«Si! Il proprio mondo.»
«E l‟inquinamento del pianeta? I conflitti, la criminalità?»
«Sono anch‟essi parte della tua realtà personale… Il mondo
è tanto sano, o tanto malato, quanto lo sei tu! Solo tu puoi
inquinarlo... intasando i tuoi organi, ottundendoli! Anche chi
inquina il proprio corpo, crea!… Inventa un mondo degradato che
con i suoi eventi e le sue circostanze è l‟immagine speculare della
sua fisicità malata, e prima ancora, dei suoi stati d‟Essere, dei suoi
pensieri.
Thoughts are always creative at any level.
Thinking belongs to your way of dreaming and is the basic
factor in shaping your destiny.»
«E la povertà, le guerre?» chiesi, affannato dal pensiero di
una responsabilità così grande.
«La sofferenza, la povertà e tutti i conflitti del mondo, le
persecuzioni e gli eccidi, sono stati sognati, oscuramente voluti da
143
Il Corpo
un‟umanità che ha gravemente inquinato il proprio Essere e che non
conosce il potere del pensiero.»
«Mentre noi siamo qui a parlare, in tutto il mondo, centinaia
di fabbriche stanno producendo e immettendo negli arsenali armi
micidiali per alimentare i conflitti del pianeta e perfino per
distruggerlo. Come possiamo proteggerci da un tale potere
distruttivo?»
«Rimuovi da te ogni forma di ipnotismo, dipendenza,
superstizione. Non affidarti alla conoscenza, alle fantasie, alle
profezie di nessuno. Non c‟è potere fuori di te che può distruggerti.
Fuori di te niente può accadere senza il tuo assenso.
Il mondo degli eventi e delle circostanze dipende totalmente
da te. Se tu raggiungi l‟integrità, l‟unità dell‟Essere, allora il mondo
sarà salvo.
Non preoccuparti del mondo, preoccupati di te stesso.
Questo è il solo modo in cui puoi portare aiuto.
No war within, no war without. This is the law. »
Il Dreamer raccolse dalla pila ordinata una salvietta per
asciugarsi il viso, poi l‟avvolse al collo come una mantiglia preziosa,
incrociando le liste sul petto con un gesto elegante.
«Imparando a governare il proprio corpo un uomo può
governare l‟universo» disse.
Fu a quel punto che sollevò gli occhi e mi fissò intensamente,
a lungo, senza battere ciglio. I pensieri si dileguarono uno ad uno,
sempre più velocemente, finché la mente fu completamente
sgombra.
«Ricordi il tempo della California… quel tuo amico di San
Francisco?» chiese, continuando a fissarmi.
Non avevo bisogno di altro. Sapevo perfettamente a chi si
stava riferendo. Era sorprendente che mi venisse in mente Corrado,
senza un attimo di esitazione.
Eravamo stati grandi amici al tempo in cui vivevo a San
Francisco. Ottimo musicista, giovanissimo si innamorò
perdutamente di una belly dancer e la sposò. A parte questo, per
quanto frugassi nella memoria, non ricordavo di lui nulla che potesse
giustificare una connessione così immediata all‟idea che il Dreamer
mi stava trasmettendo: ogni uomo è l‟inventore del proprio mondo,
il creatore assoluto di ogni evento della propria vita.
Poi i contorni di un lontano episodio divennero sempre più
nitidi e una curiosa storia si fece spazio tra i ricordi di quegli anni.
144
La Scuola degli Dei
Corrado aveva sempre avuto una predilezione per i neri d‟America.
Ne imitava il gergo, i modi, l‟indolenza del portamento e
dell‟andare. Ne amava la cultura, divinizzava la loro musica che
considerava al di sopra di ogni altra. Frequentava i loro locali,
perfino le loro chiese. Incrociando un nero per strada non mancava
mai di mostrargli con un ammiccamento, un saluto o uno scambio di
battute, quanto si sentisse vicino alla loro razza. Trascinò anche la
moglie in questa sua singolare mania ed avevano amici neri, coppie
con le quali spesso uscivano e si ritrovavano nei ristoranti e nei club
della black society di San Francisco.
Una sera, rientrando a casa con la moglie, una banda di neri
li assalì e li picchiò selvaggiamente, senza alcun motivo, senza
neppure derubarli. Fu una semplice lunga e sonora bastonatura che li
costrinse in un letto d‟ospedale per parecchi giorni. Ricordo Corrado
piangere di rabbia mentre raccontava questa sua disavventura.
Il Dreamer stava scrutandomi alla evidente ricerca di un
accenno di comprensione da parte mia; ma i secondi trascorrevano
veloci senza che trovassi il barlume di una connessione. Sapevo che
considerava basso il grado di responsabilità dei musicisti e degli
artisti in generale. Per il Dreamer il mondo bohèmien era un mondo
fragile, irresponsabile. Perfino gli artisti più celebri, quelli che
l‟umanità ha consacrato e consegnato alla storia come „geni‟, sono in
realtà dipendenti della loro stessa arte, piccoli uomini spaventati
dalla scoperta insostenibile che l‟individuo è il creatore della propria
realtà personale, l‟Artista supremo, l‟origine di tutto quello che
vediamo e tocchiamo. Esteti ed artisti non hanno riconosciuto la
ragione della loro esistenza e indulgono in qualcosa che è solo un
lontano barlume del “Sogno” da cui ha origine. Invece di usare l‟arte
come un ponte tra l‟uomo e il Sogno, una via per toccare la parte più
interna di se stessi, vi si erano aggrappati facendone una divinità,
aggravando quello stato di dipendenza dal mondo che ha governato
tutta la loro vita. Un uomo in cammino verso la totalità dell‟Essere,
che ha raggiunto un grado di libertà superiore, non può più fare
l‟artista. Quando realizzi di essere l‟artefice, il creatore del mondo,
non puoi più dipingere né comporre. Abbandoni quel tramite che è
l‟arte come uno zoppo guarito butta via le grucce. Per il Dreamer la
libertà da ogni dipendenza, da ogni schiavitù, era il significato stesso
della vita. I ruoli, tutti i ruoli, sono prigioni da trascendere ed
abbandonare.
145
Il Corpo
Anche queste riflessioni non mi stavano portando da nessuna parte.
Corrado era un musicista di professione. Certamente per vivere
dipendeva dalla sua musica. Tuttavia ancora non trovavo il nesso
che aveva spinto il Dreamer ad evocarne il ricordo.
«Quell‟incidente è la vita che arriva con violenza, ed allo
stesso tempo con „compassion‟, per farti vedere quello che non vuoi
vedere, per farti toccare quello che non vuoi toccare, nel tuo Essere.
Non c‟è nessuna criminalità fuori di noi, tranne quella che noi stessi
proiettiamo − intervenne il Dreamer a quel punto, ritenendo inutile
attendere gli improbabili frutti del mio almanaccare −
Quell‟incidente ha permesso al tuo amico di riconoscere la sua
bugia, il latente razzismo… per superare la conflittualità, la
violenza che da sempre si porta dentro… e finalmente renderlo
libero.»
Il Dreamer ricavò altre importanti considerazioni dalla vita di
Corrado, presentando vari episodi come sfaccettature di un‟unica
malattia: l‟ipocrisia, il mentire a se stesso. Anche il suo matrimonio
affrettato era stato dettato da un desiderio di restare negli Stati Uniti
e prenderne la cittadinanza, più che da un vero affetto per quella
donna.
Si interruppe. Cambiò i pesi di una delle macchine e ne
regolò il sistema computerizzato per programmare alcuni esercizi.
Ero strabiliato. Ero certo di non averGli mai parlato di lui. Mi chiesi
come potesse conoscere in tale dettaglio la vita di un amico che non
vedevo né sentivo da anni. Intanto il Dreamer aveva smesso di
esercitarsi.
«Ecco! – disse, annodando la cintura del kimono con la
grazia e la fierezza di un rito guerriero – Questa „cosa‟ nascosta in
una piega dell‟Essere, questa bugia che copre e nasconde
l„egoismo, il pregiudizio, la vanità, l‟odio razziale, costruisce
quell‟evento ed è la vera causa di tutte le atrocità del mondo.» Il
tono era quello di uno scienziato che annuncia la scoperta di un
virus inseguito fino ai confini dell‟esistenza.
La sofferenza, la povertà e tutte le calamità… sono state
sognate, oscuramente volute ed inconsciamente proiettate… Esse
sono la materializzazione ingrandita al pantografo, di ombre e
mostri che l‟uomo alberga nell‟oscurità del proprio Essere.»
146
La Scuola degli Dei
«Oggi, se ha capito la lezione, sicuramente è un uomo più
sincero, più libero – disse concludendo – Nel tempo potrà
riconoscere la sua bugia… e un giorno potrà anche guarirla.»
Ripensai al canto di dolore che l‟umanità costantemente
recita, a quella preghiera di sventura che il Dreamer mi aveva fatto
ascoltare e riconoscere in me. Finalmente capivo l‟importanza vitale
che Egli dava allo studio di sé, ad una vigile, spietata attenzione ai
propri stati; all‟autosservazione che, come un raggio di luce,
impediva a qualsiasi mostruosità di annidarsi nell‟Essere.
Self-observation is self-correction
Ricordai i Suoi aforismi: „States and events are one and the
same thing... Vision and reality are one… Thinking is Destiny…
The world is such because you are such…‟ ed ancora, tra i più
sorprendenti, „la vita è un chewing-gum, prende la forma dei tuoi
denti‟, e riconobbi il filo d‟oro che li connetteva come espressioni
diverse di un unico messaggio. Un messaggio che era la
compressione di tutto il Suo insegnamento ed al tempo stesso il
confine ultimo cui l‟intelligenza dell‟uomo aveva osato spingersi.
In uno scampolo di lucidità, per una frazione di attimo, una
verità mi si presentò alla mente potente e luminosa come l‟annuncio
di un dio pantocratore: il mondo è uno specchio dell‟Essere! Un
raggio laser spaccò gli strati sedimentati della descrizione del
mondo... „Vidi‟ che ogni molecola è mirabilmente connessa al tutto.
E che il „tutto‟ è un‟entità personale, soggettiva.
«Tu sei l‟unico ostacolo alla trasformazione del mondo.
Cambia e vedrai il mondo cambiare sotto i tuoi occhi! Ogni atomo
di chiarezza, di libertà, di assenza di morte prenderà forma nel
mondo e lo libererà da ogni male.»
Capii scientificamente, senza orpelli morali o metafisici,
l‟importanza di conoscere se stessi, di lavorare senza respiro
all‟innalzamento del proprio Essere.
«Qualunque viaggio abbia intrapreso l‟uomo, che sia storico
o mitico, e qualunque esodo, che sia reale o leggendario, è stato
rivolto ad un solo scopo: conoscere se stesso! Conoscerti ti fa
padrone di te stesso e padrone del mondo.»
147
Il Corpo
9 Thinking is Destiny
«Se l‟uomo potesse riconoscere il potere creativo del proprio
pensiero, perseguire la bellezza e l‟armonia con la stessa
determinazione - per tanti anni quanti ne ha dedicati alla povertà e
alla sofferenza - potrebbe trasformare il passato e il proprio
destino. Il mondo sarebbe così un paradiso terrestre.»
Sentii l‟eternità palpitare dietro queste parole. Aspirato il
tempo dall‟equazione tra visione e realtà, stati ed eventi, essere ed
avere, si mostrava la natura indivisibile degli opposti, l‟unità
nascosta dietro ogni apparente conflittualità.
«Se i pensieri di un uomo creano il suo universo, la sua
realtà personale, come può cambiarli?»
«Puoi migliorare o controllare la qualità dei tuoi pensieri
solo se sai come elevare la qualità dell‟Essere. Per fare questo devi
studiare e lavorare in una Scuola speciale e applicare il suo
insegnamento e le sue idee a te stesso.
L‟uomo, così com‟è, non può „fare‟, finché attraverso sforzi
immani non avrà riconosciuto e superato la violenza che si porta
dentro. L‟uomo non può „fare‟ finchè non avrà realizzato che tutti i
mali planetari e le sue sventure personali non sono altro che la
drammatica conseguenza del suo pensare distruttivo e delle sue
attitudini negative. Finché l‟umanità si crederà governata da eventi
e circostanze esterne, non potrà mai riconoscere la vera origine di
tutta la violenza del mondo.
Il mondo è il tuo specchio. Anything coming from the outer
world breathes with your breath, everything is as much alive as you
are. There is nothing in the universe that is not you.
Thinking is Destiny.»
Il suono di queste parole mi echeggiò dentro, improvviso e
selvaggio come un vagito, inneggiante più di qualunque peana, più
forte del canto di cento rivoluzioni. Nessun evento mi sarebbe mai
apparso così devastante, così trasgressivo quanto il superamento di
quella linea sottile: una nuova soglia all‟umanizzazione. Ad occhi
sbarrati stavo assistendo all‟esodo di una specie ancora zoologica, al
suo passaggio evolutivo da razza ominide ad una umanità dotata di
una vera psicologia, libera dai conflitti, dal dubbio, dalla paura.
«C‟è una favola che tutti conoscono come „la bella
addormentata nel bosco‟» annunciò.
Quel brusco cambiamento di soggetto mi prese di sorpresa.
L‟attenzione si acuì fino allo spasimo. Poi in un sussurro disse:
148
La Scuola degli Dei
« …ma il suo vero titolo è „la bella nel bosco
addormentato‟.»
La missione che un giorno mi avrebbe affidato era racchiusa
in questa apparente minuzia. Il bosco addormentato è il mondo come
ci è stato descritto, flagellato da povertà e conflitti, sigillato in un
sonno ipnotico; e la bella è il risveglio della volontà, il risveglio
dell‟Essere, il Sogno.
La Scuola che presto avrei fondato avrebbe permesso ad una
nuova generazione di giovani di capovolgere i vecchi paradigmi e di
accedere a una nuova visione della realtà.
«L‟unico aiuto che puoi dare agli altri è destarti da quel
sonno» disse quella sera il Dreamer. Il Suo tono era insolitamente
pacato, le Sue parole tenere come datteri al sole. Assaporai in tutto
l‟Essere la loro dolcezza legnosa.
Quel periodo con Lui, insperatamente lungo, stava
concludendosi. Vacillava la luce degli ultimi candelabri. La
splendida sala di Mas Anglada, con i suoi arredi raffinati, le opere
d‟arte e gli argenti scintillanti, stava rinfoderandosi lentamente
nell‟ombra. Accanto al Dreamer, per giorni, mi ero sentito l‟unico,
fragile legame tra il mondo dell‟impeccabilità e l‟uomo. Ora, in
silenzio, Lo osservavo. Era immobile da tempo. Stava ad occhi
socchiusi, il corpo proteso verso l‟alto.
Quando riprese a parlare, le Sue parole mi penetrarono con
l‟incanto di visioni presaghe.
« …Lentamente l‟umanità sta cambiando pelle… Un giorno
smetterà di frugare tra le ombre del mondo, smetterà di venerare il
cibo, la medicina, il sesso, il sonno, il lavoro… Crescerà nella sua
coscienza il valore della frugalità fino a raggiungere l‟integrità
dell‟Essere che segnerà la fine di ogni povertà, di ogni calamità, di
ogni conflitto. Ci vorrà tempo… perché l‟umanità è tempo.
Per adesso studia, osservati e conosciti! E un giorno sarai presente
al più grande spettacolo del mondo: la tua integrità!»
Preso commiato dal Dreamer nulla più mi tratteneva a
Barcellona. Quella notte stessa presi il primo volo per ritornare a
New York. Per tutta la durata del viaggio ricapitolai quanto avevo
ascoltato in quei giorni straordinari vissuti accanto a Lui. Il corpo
continuava a vibrare di una sensazione mai provata prima: uno stato
di completezza, di ordine, di celebrazione.
L‟universo intero respirava con il mio respiro.
Ogni cosa era connessa al tutto e nulla era separato.
149
150
La Scuola degli Dei
CAPITOLO IV
La Legge dell‟Antagonista
1 La corsa
“Il corpo non può mentire… Il tuo corpo è già quello di un
vecchio… ”
Queste espressioni del Dreamer ancora echeggiavano nella
mente, rinnovando la dolorosità del loro primo impatto.
“Accanto a Me non c‟è posto per pensionati... ”
Quelle parole spietate avevano bucato la spessa crosta delle
mie difese e stavano ora scavando nei tessuti vivi. Sentivo la loro
forza dirompere e trasformarmi, sconvolgendo abitudini,
travolgendo convinzioni ed attitudini. In particolare mi pungevano,
dolorose come sproni, le cose che mi aveva rivelato alla fine del
nostro incontro:
“Gli organi servono per sognare… Il corpo crea il mondo…
Anche chi inquina il proprio corpo crea… crea un mondo
inquinato… When you are sick, the world is sick… Il mondo è
malato quanto te… Tutto è connesso, niente è separato.”
Dal Dreamer avevo appreso che il destino di un uomo, e tutto
quello che ha, è legato a filo doppio alla salute del suo corpo. In
futuro, guidato da queste rivelazioni, avrei fatto ricerche nel campo
dell‟economia e del business scoprendo che anche il destino
finanziario di un uomo dipende dalla sua integrità fisica,
dall‟impeccabilità corporea. Grandi imprese, fortune finanziarie,
imperi industriali, così come nazioni ed intere civiltà, si formano e
prosperano, o si ammalano e muoiono, con il loro leader, con il loro
fondatore-ideatore.
“Una piramide organizzativa è legata al respiro del suo
leader. Un filo d‟oro salda la sua immagine e il suo destino
personale a quello della sua organizzazione e dei suoi uomini. Il suo
151
La Legge dell‟Antagonista
sé corporeo coincide con la sua economia, come fu per gli antichi
sovrani. Il Re è la terra e la terra è il Re.”
Ormai non potevo più continuare ad eludere un messaggio
così diretto e cruciale. Decisi così di avviare i primi passi nella
direzione indicata dal Dreamer combattendo il mio decadimento
fisico.
Mi impegnai in un regime di allenamento fisico, dalla dieta
alla respirazione, dal sesso al sonno, seguendo le guidelines che
avevo ricevuto nell‟incontro a Mas Anglada. Passai in rassegna le
opzioni che avevo a disposizione e feci un piano d‟azione per dare
un colpo di barra alla mia esistenza; ma le difficoltà si mostrarono
insormontabili. Il solo pensiero di un cambiamento di abitudini, di
uno sforzo fisico o di un qualsiasi sacrificio, era sufficiente per
sentire insorgere in me resistenze di varia forza e natura, fino a vere
e proprie repulsioni. Al solo pensiero di quelle austerità, stati
d‟animo contrastanti si alternavano, azzuffandosi tra loro.
L‟attenzione a queste mie reazioni fece affiorare, come sullo
schermo di un radar, il tracciato delle mie asperità, una mappa
interiore: le montagne della rigidità, gli scoscesi pendii dei dubbi, gli
abissi senza fondo della paura, fino ai deserti dell‟incomprensione e
della solitudine. Fu in questo modo, studiandomi ed osservandomi,
che arrivai ad individuare quella parte di me che più si opponeva e
provava dolore all‟idea di cambiare. E lì, dove sentii il nodo,
affondai la lama della volontà. Da quel giorno ebbe inizio la lotta…
una sfida mortale, una guerra santa tra me e me stesso che sarebbe
durata anni.
Quell‟inverno fu uno dei più rigidi nella pur stravagante
storia meteorologica di New York. Coperta da una spessa coltre di
neve, spazzata da venti polari, la metropoli sembrava essere stata
trasportata per incanto in un paese artico con i grattacieli trasformati
in scivoli di ghiaccio per giganti bambini. La mattina presto, prima
di trovare il coraggio di uscire per la corsa, aprivo uno spiraglio tra
le lame della veneziana e spiavo il tempo. Ero tra i fortunati. Dal
sedicesimo piano, con una vista sull‟East River e sulla città, potevo
attingere informazioni dirette sulle condizioni del tempo. La
maggior parte dei newyorkesi per sbirciare fuori e decidere cosa
indossare non aveva altra scelta che accendere il televisore e usarlo
come una finestra elettronica.
152
La Scuola degli Dei
Da settimane Manhattan, con la sua skyline di pinnacoli e guglie
nevate, era un bianco universo gotico sigillato in una bolla di
cristallo. A quella vista l‟intento vacillava. Ogni mattina c‟era
un‟ardua battaglia da vincere. Al suono della sveglia, al pensiero
della corsa in quel freddo polare, una lotta epica si ingaggiava tra me
e un fisico degradato, neghittoso, che non voleva saperne di
cambiare. Avvilito da anni di abusi e di incuria, il mio corpo diceva
no a qualunque tentativo di interrompere o frenare la sua
degradazione. Minacciato dalla corsa, rivelava la sua vera
condizione. Solo oggi, a distanza di tempo vedo quanto
quell‟impresa fosse impossibile, del tutto simile al tentativo del
Barone di Münchhausen di sollevarsi dal pantano tirandosi su per la
parrucca. Solo la voce del Dreamer, il ricordo delle Sue parole,
sostenevano il mio intento e mi davano forza.
Per poter avanzare anche di un solo millimetro verso l‟integrità,
bisogna rovesciare la nostra visione del mondo.
È uno sforzo immane.
Eppure non c‟è benedizione più grande.
La conquista di quel millimetro di eternità
ingoia oceani nel mondo degli eventi.
Il programma che mi ero imposto prevedeva un giro di corsa
intorno all‟isola e il ritorno in tempo utile per prepararmi, per fare
colazione con Giorgia e Luca e scambiare qualche parola prima che
andassero a scuola; ma la tentazione di restarmene a letto e lasciare
che fosse Giuseppona ad occuparsi dei bambini, era sempre in
agguato.
Più volte mi chiesi da dove arrivasse quella voce che ogni
mattina tentava di dissuadermi dal correre. “In fondo – diceva – con
un tempo del genere chi potrebbe biasimarti se ritornassi a letto?
Non hai forse già fatto più del dovuto? Che cosa sarà mai
interrompere la corsa per un solo giorno?” E così via. Altre volte,
essere andato a letto troppo tardi o dover prendere un volo
mattutino, diventava il pretesto del giorno per cercare di eludere
quello sforzo. Così ogni circostanza tentava di infiltrarsi tra le crepe
della mia determinazione, tentava di accreditarsi come una buona
scusa per interrompere ed abbandonare la disciplina che mi ero
imposto. Qualunque fosse la sua origine, quella voce interna mi
esasperava. Quella presenza in agguato, sempre pronta a sabotare i
153
La Legge dell‟Antagonista
miei propositi, avrei voluto sopprimerla. Ma era solo la punta di un
iceberg. Attraverso la disciplina della corsa, lottando contro le mie
resistenze, contrastando le mie abitudini, stava affiorando la parte
più sconosciuta, più oscura dell‟Essere.
“Remember… Nothing is external… You are the only
obstacle to your evolution! – mi aveva detto più volte il Dreamer –
Non c‟è difficoltà o limite che non trovi la sua origine in te.” Ma per
„comprendere‟ queste parole, farle diventare linfa vitale del mio
corpo, ci sarebbero voluti anni. Dovetti degradare, cadere e risorgere
mille volte... dovetti morire e rinascere, prima di imparare a benedire
ogni difficoltà che incontravo sul mio cammino e riconoscere che
l‟Antagonista è solo interno.
Per giustificare il suo destino mortale, la sua vita infestata di
eventi disastrosi, l‟uomo si convince che ci sono forze fuori di lui
che l‟ostacolano, che sono la causa di ogni suo male. Si lamenta,
giustifica ed accusa gli eventi, le circostanze esterne, gli altri, senza
neppure sospettare che il mondo è la sua immagine riflessa, che,
proprio come in uno specchio, non è possibile cambiarla se non
cambiando se stesso.
There is no help coming from anywhere at all.
You have to make your own individual revolution
which is purely based upon you.
Semmai gli insegnamenti del Dreamer tollerassero di venire
ingabbiati in un metodo, di configurare un giorno una dottrina o un
nuovo sistema filosofico, quelli che il Dreamer chiama sgambetti
alla meccanicità vi occuperebbero un capitolo speciale. Per il
Dreamer uno sgambetto alla meccanicità è un agguato teso da noi
stessi alla nostra ripetitività, un autoinganno, un trucco per aggirare
le ferree difese dietro cui proteggiamo abitudini calcificate e vecchi
schemi mentali.
Solo col tempo, con l‟avanzare del mio apprendistato, avrei
capito che il beneficio della corsa non consisteva tanto nell‟esercizio
fisico, o nel sopportare la fatica, ma nella sua natura di „sgambetto‟,
di stratagemma per scombussolare un ordine meccanico fatto di
ripetitività e di indolenza. Correre mi aiutava a sospendere, sia pure
per pochi minuti, il flusso oscuro dei miei pensieri; urtava,
spezzandola, quella descrizione meschina, luttuosa del mondo che
l‟uomo chiama realtà. Correre creava una crepa in quest‟ordine
154
La Scuola degli Dei
carcerario. Attraverso quello sforzo fisico un alito di libertà
penetrava nella prigione del tempo ed allentava i miei ceppi da
schiavo. Come un oceano pronto a riempiere ogni cavità nel suo
seno, deciso a non permettere alcun vuoto, il mondo insorgeva e
schierava un esercito di eventi per soffocare quel piccolo spazio che
era un suo nemico mortale, una specie di intollerabile trasgressione
alle leggi naturali del pianeta. Solo il ricordo del Dreamer, la pratica
della Sua presenza, mi sostenevano provvedendo un‟energia
prodigiosa.
A quel tempo mi aiutò, se non la volontà, una buona dose di
ostinazione. Mi obbligai a credere nella assoluta necessità di quello
sforzo, e senza alcuna spiegazione razionale, misi la corsa al mattino
in cima ad ogni priorità, come se la mia stessa vita ne dipendesse.
“First thing first”, così chiamava il Dreamer l‟attitudine a darsi le
giuste priorità e a mantenere la direzione, ricordando che cosa viene
prima. Adesso so che quell‟ora al mattino sottratta intenzionalmente
alla routine, era uno spazio di potere, un punto su cui far leva per
cambiare il mondo.
Un uomo puntato verso l‟alto,
impeccabilmente teso al suo miglioramento,
può spostare montagne, trovare soluzioni a situazioni
apparentemente inestricabili,
trasformare le avversità in eventi di ordine superiore.
2 I custodi di Main Street
Quando penso a quel tempo, mi rivedo passare davanti alla
portineria centrale del palazzo dove abitavo, in Roosevelt Island,
incappucciato, imbottito come l‟ometto della Michelin. I mezzi
sorrisi dei custodi, illuminati dalla luce livida dei monitor, e quel
loro scuotere la testa in segno di ironico dissenso, erano la prima
reazione del mondo alla mia temeraria impresa mattutina. Solo ora
posso vedere che il loro atteggiamento non era altro che il riflesso
speculare delle mie resistenze e della mia incomprensione di allora.
Tra gli insegnamenti ricevuti dal Dreamer, uno in particolare aveva
assediato le mie convinzioni e sgretolato sotto i suoi colpi d‟ariete i
bastioni delle mie certezze.
155
La Legge dell‟Antagonista
The world is such because you are such
Il mondo è l‟immagine fedele dei nostri stati. Quelle guardie
mi riflettevano! Sotto i loro sorrisi ironici, dietro lo scetticismo di
Jennifer, i commenti dei colleghi e le reazioni di quanti sapevano di
questa mia impresa mattutina, c‟era la mia fragilità. Dietro questi
atteggiamenti facevano capolino la mia mancanza di
determinazione, i dubbi e l‟insincerità che puntualmente „gli altri‟
mi rimandavano come smorfie che io facevo a me stesso nello
specchio del mondo.
Ricordalo per sempre! Niente è fuori di te…
Il mondo che vedi e tocchi è solo un effetto.
Ha il tuo respiro... vive se sei vivo e muore con il tuo morire.
Senza l‟insegnamento del Dreamer avrei continuato a
crederle guardie giurate, poveri diavoli che stavano guadagnandosi
da vivere. Uscendo di casa, rientrando, avrei ricambiato il loro
saluto, ed ogni giorno mi sarei riflesso nella loro ironia, nel loro
scetticismo, senza neanche immaginare che essi non erano portinai,
e neppure uomini. Essi erano terminali, apparati percettivi
attentissimi, organi sensori del mondo.
A man cannot hide…
Un uomo non si può nascondere…
Il mondo sa! Ti rivela!
Furono idee come questa che mi penetrarono e mi
trasformarono nel corso degli anni.
A ogni attimo puoi evolvere o degradare. Dipende da te! Ogni tuo
pensiero, attitudine, ogni parola o sguardo,
la più piccola contrazione del viso,
comunica all‟universo intero il tuo livello di responsabilità,
il tuo grado di libertà.
È questo che ti colloca mirabilmente lì dove sei,
è questo che determina il tuo destino,
la tua economia, il tuo ruolo nel teatro dell‟esistenza…
156
La Scuola degli Dei
Immaginai un universo che sapeva tutto di me, un apparato
fatto di innumerevoli sensori, aggiornato in „tempo reale‟ sul più
piccolo moto dell‟Essere, sulla qualità dei nostri pensieri, dei nostri
stati. Se fossimo attenti a questi indizi, come dal vaticinio di antichi
auspici, potremmo conoscere chi siamo, che cosa ci è permesso
sapere, ciò che possiamo fare e non fare, ciò che possiamo possedere
e quello che dobbiamo perdere.
Giorno dopo giorno, non mancando mai all‟appuntamento
con la corsa e con me stesso, ricordando e rafforzando il mio intento,
stavo alleggerendomi delle scorie di una vita. Il tamtam
dell‟esistenza stava trasmettendo all‟universo nuovi messaggi. I suoi
battiti propagavano la notizia che un altro uomo stava osando la
fuga. Il suo temerario tentativo di evadere dall‟orrore
dell‟ordinarietà era in corso.
3 I muri
I primi tentativi di correre un giro completo dell‟isola
richiesero uno sforzo eroico. E anche dopo, quando fui più allenato,
il superamento della fatica fu un elemento costante con cui fare i
conti, specialmente in alcuni momenti della corsa. Notai che la
difficoltà e la molestia dello sforzo non crescevano secondo una
progressione lineare, geometrica, come mi sarei aspettato, ma
seguivano un andamento altalenante, un moto ondoso. Durante ogni
corsa sentivo l‟alternarsi di momenti di leggerezza, di quasi assenza
di sforzo, a momenti di insopportabile pena. In queste fasi critiche
era come se si formassero veri e propri „muri‟, barriere che per
essere superate richiedevano uno sforzo immane.
Una parte centrale del mio apprendistato con il Dreamer mi
aveva allenato ad un minuzioso lavoro di autosservazione, ad una
costante attenzione ai propri stati, ai pensieri, alle sensazioni, alle
emozioni, ed a tutto ciò che sembrava attrarmi o suscitare
repulsione. Osservandomi proprio nei momenti di mancanza di
energia, avevo notato che i momenti critici erano sempre preceduti
dall‟innalzarsi di un „muro‟ psicologico, da un‟ombra che oscurava
l‟Essere: pessimismo, sfiducia, prendevano il sopravvento e la voce
dell‟Antagonista interno si faceva sentire con più forza, con sempre
nuove ragioni per abbandonare.
157
La Legge dell‟Antagonista
Fu la corsa ad insegnarmi a stringere i denti, a farmi
realizzare come bastasse in quei momenti resistere un attimo in più
per ritrovare uno stato di fluidità. Una volta superata la tentazione di
lasciarsi andare, di abbandonare, si aprivano nuovi serbatoi di
energia. Sarebbe stato impossibile accedervi, e perfino conoscerne
l‟esistenza, senza avere vinto se stesso ed aver abbattuto quei „muri‟
che ogni volta si presentavano come insormontabili.
Più studiavo il meccanismo che li generava e più la corsa si
rivelava ai miei occhi come un modello concettuale, uno strumento
prezioso per la spiegazione del mondo. Nel suo moto alterno
riconoscevo l‟elemento costitutivo, il fondamento dinamico di ogni
realtà fisica. Dal nucleo dell‟atomo ai confini dell‟universo, tutto si
muove e si propaga secondo quel movimento ondulatorio che stavo
scoprendo nel mio corpo. La vita stessa è un moto di onde senza
inizio né fine.
I „muri‟ che in certi momenti la corsa mi presentava e lo
sforzo straordinario che il loro superamento richiedeva, mi stavano
rendendo consapevole di un paradigma ricorrente non solo nella
corsa, ma nella vita. Quante volte sarebbe bastato tener duro quel
tanto di più per superarli, per vincerli definitivamente e andare oltre.
Ma qualcosa mi aveva sempre spinto a darmi per vinto e
abbandonare. La sconfitta, che avevo sempre creduto effetto di cause
esterne, si stava rivelando un processo inside-out, un meccanismo
obbediente ad un comando interno, un atto di autosabotaggio.
Un‟ombra nasce e si propaga nell‟Essere, poi trova l‟occasione per
materializzarsi sotto forma di incontri, circostanze ed eventi avversi.
La consapevolezza di questo meccanismo, l‟attenzione al prodursi di
questa ombrosità nell‟Essere, preludio di ogni nostra disfatta, era la
grande opportunità per imparare a circoscriverla ed eliminarla, non
soltanto dalla corsa, ma dalla mia esistenza.
La mia corsa era per lo più solitaria. Mi erano compagni voli
di gabbiani o qualche chiatta che, risalendo l‟East River, mi
affiancava per un tratto lasciandomi nella sua scia con un fischio di
saluto. Correndo, spesso fantasticavo; mi piaceva credere che prima
o poi avrei incontrato compagni di fuga, altri temerari che come me
avevano deciso di sfuggire a un‟esistenza mediocre.
Una volta si formò un gruppetto di cinque uomini e due
donne. Ci mettemmo a correre d‟impegno. La mattina era luminosa
e la skyline di Manhattan si stagliava nitida contro il cielo.
Percorremmo fianco a fianco un giro completo dell‟isola. Non li
158
La Scuola degli Dei
avevo mai visti prima, eppure trovai con quei compagni di corsa
un‟intesa immediata. Ebbi l‟impressione che fossero un gruppo già
affiatato. Un uomo con una tuta scintillante come seta e scarpe da
jogging nere e grigie, per un poco guidò il passo. Ad un tratto
accelerò. Incapaci di reggere quel ritmo, uno alla volta
abbandonammo. I nostri corpi appesantiti, avviliti, mostrarono i loro
limiti. In breve lo perdemmo di vista. Quel confronto rese
penosamente evidente quanto ognuno di noi avesse ancora da fare.
Continuammo a correre in gruppo fino al parco giochi dove ci
sedemmo a prender fiato sulle panchine. Non lontano sostava il
glorioso autocarro dei pompieri, ora ridotto ad attrazione per i rari
bambini dell‟isola. Il destino di quel veicolo, emblema di antichi
eroismi, mi sembrò l‟imbarazzante monumento dell‟inflaccidimento
e della degradazione fisica di un‟intera civiltà. Feci la tacita
promessa di aumentare i miei sforzi per mettere ordine e uscire dalle
condizioni in cui avevo ridotto il mio corpo. Nessuno parlò; non
c‟era alcuna necessità. In silenzio, resi innocenti dallo sforzo, ci
spartimmo il pallido sole come un pane azzimo e godemmo la
speciale complicità del nostro improvvisato sodalizio. Poi, a distanza
di pochi secondi, ciascuno si accomiatò con un cenno di saluto e si
allontanò a passo di corsa verso una doccia calda e gli impegni della
sua giornata newyorkese.
Era ancora presto. Giocai con un raggio di sole tra le rime
degli occhi socchiusi; indugiai qualche secondo sbirciando le rosse
navicelle della funivia che si incrociavano nella loro instancabile
spola tra Manhattan e Queens.
4 La Legge dell‟Antagonista
«Non temere l‟Antagonista! Sotto la sua maschera feroce si
nasconde il nostro più grande alleato, il nostro più fedele servitore.»
A queste parole sussultai. Con gli occhi ancora chiusi, restai
per lunghi attimi sospeso tra incredulità e speranza. “È impossibile!”
pensai. Non potevo crederci. Eppure quella voce era
inconfondibile... quelle parole erano Sue.
Lentamente girai il viso nella Sua direzione e aprii gli occhi.
Il Dreamer mi sedeva accanto. Un brivido di irrealtà mi percorse la
schiena e serpeggiò sottopelle fino alla radice dei capelli. Lì si
annidò come una insistente, leggera vibrazione. Indossava la tuta dai
159
La Legge dell‟Antagonista
riflessi di seta e quelle scarpe da jogging che sembravano venire dal
futuro. Avevo percorso quasi un intero giro dell‟isola con Lui senza
neppure sospettare che fosse il Dreamer! Immaginai che gli uomini
e le donne di quel gruppo fossero Suoi studenti. Superato lo
sbalordimento, Gli confidai i miei propositi: Gli parlai della nuova
attenzione che stavo dedicando al corpo, dei risultati che stavo
ottenendo dai primi esperimenti sul cibo, sul sonno, sulla
respirazione... Gli raccontai della corsa, della scoperta dei „muri‟,
del mistero di questa voce interna che continuamente mi istigava ad
abbandonare, a cedere, a fallire nel mio intento.
«La voce che senti è l‟Antagonista che ti porti dentro.»
affermò il Dreamer, avviando il tema che si sarebbe rivelato uno dei
più impegnativi del mio apprendistato. Accompagnò quelle parole
con l‟accenno di un sorriso che lo fece apparire ancora più giovane.
Questa espressione benevola era in Lui così rara che invece di darmi
coraggio sortì l‟effetto opposto. Entrai in uno stato di apprensione.
Sapevo di essere davanti a un passaggio cruciale. Mi raddrizzai sulla
schiena e inspirai profondamente: qualunque fosse la barriera da
superare avrei impegnato a fondo ogni mia capacità.
Il Dreamer passò in rassegna i fatti più emblematici della
nostra storia, le sciagure che nei secoli hanno afflitto l‟uomo e le
società da lui create. Indagandone la ragione, penetrando nelle
radici, mi informò dettagliatamente di una forza planetaria,
equivalente psicologico dell‟attrito fisico. Come accade per un
corpo in movimento, ogni spinta che un uomo imprime alla sua vita
riceve il contrasto di una forza uguale e contraria. Fu in quella
occasione che il Dreamer introdusse un sistema di proposizioni, una
compagine di princìpi che denominò „la Legge dell‟Antagonista‟.
«Ogni cosa, dalla più semplice alla più complessa, dalla vita
di un uomo a quella di una intera civiltà, ogni organismo sulla via
della evoluzione incontra un potere „apparentemente‟ avverso, un
Antagonista che ha forza e capacità pari all‟ampiezza del suo
progetto.»
Nel tempo, con gli approfondimenti successivi, l‟insieme di
quelle idee avrebbe rivelato i caratteri di una vera e propria „teoria
generale dell‟attrito‟, capace di imbrigliare secoli di storia e dare un
senso alla infinita serie di difficoltà e sciagure che ha flagellato
l‟umanità. La visione dall‟alto sulla condizione dell‟uomo, quello
sguardo a 360 gradi sulla dolorosità della sua vita, mi teneva col
fiato sospeso, sul ciglio di un abisso senza fondo.
160
La Scuola degli Dei
Tra le mani mi ritrovai prodigiosamente il taccuino.
L‟agguantai come un‟ancora di salvezza. Annotai minuziosamente
le Sue parole catturando ogni frammento di quella irripetibile
lezione all‟aperto. La panchina del parco giochi dov‟eravamo fu
avvolta in una bolla d‟aria pura, senza tempo, e mi parve che l‟intera
Roosevelt Island si trasformasse in un‟astronave pronta a volare alla
velocità del pensiero. Manhattan e la sua vita affannosa non
avrebbero potuto essere più remote.
Il Dreamer mi spiegò che ogni uomo è un sognatore. Ogni
uomo, perché sognatore, nel bene e nel male è artefice, creatore
della propria realtà personale, del proprio destino; nel tempo vede
materializzato ogni sogno, ogni pensiero, tutto quello che nasce dal
suo Essere.
«Il mondo è un effetto… una proiezione del tuo Sogno ma
anche dei tuoi incubi. Può essere paradisiaco o infernale. Dove e
come vivere lo decidi tu.»
5 Ama il tuo nemico
«Sotto la maschera dell‟Antagonista, al di là delle
apparenze, si cela in realtà il volto del nostro miglior alleato.» mi
spiegò. Poi aggiunse:
«Contrariamente a quello che l‟umanità crede, non è
possibile essere avversati da nulla che sia più grande di noi…
L‟Antagonista non è mai superiore alle nostre forze!»
«E Davide e Golia?» chiesi, chiamando in causa la storia più
famosa e tra le più emblematiche di una lotta impari. La mia
immaginazione ripescò le cento icone che nei millenni hanno
tramandato la sfida tra il gigante filisteo armato fino ai denti e un
giovane pastore con in mano solo una fionda…
«Una fionda… ed il Sogno di diventare re! – corresse il
Dreamer entrando tra la calca di quelle immagini – Al di là delle
apparenze, la lotta è sempre pari!… »
«Nessuno può incontrare un Antagonista più grande di sé, né
superiore alla propria capacità di comprenderlo ed armonizzarlo...
Anche il confronto tra Davide e Golia, oltre l‟apparente disparità di
forze, rispetta le leggi universali del duello – epilogò col tono che
conclude una dimostrazione matematica – l‟unico e solo scopo
dell‟Antagonista, nascosto dalla sua spietatezza, è la tua vittoria…
161
La Legge dell‟Antagonista
l‟Antagonista ha tutti gli strumenti e i metodi a sua disposizione per
permetterti di realizzare il tuo Sogno… È lui che ti indica il
cammino più breve per il successo.»
Per quanto paradossali potessero apparire queste
affermazioni, riflettei che, in realtà, nessuna strategia né alleato
avrebbe potuto portare più velocemente David a coronare il suo
sogno.
Il Dreamer assentì in silenzio, incoraggiando con brevi cenni
del capo questi primi sintomi di comprensione. Poi concluse:
«Nessuno al mondo può amarti più dell‟Antagonista.»
Ero senza parole.
Sentii le tempie pulsare per un accesso di febbre. Quell‟apice
dell‟intelligenza umana raggiunto dal pensiero cristiano con „ama il
tuo nemico‟, veniva superato dopo due millenni da questo annuncio
del Dreamer, ancora più semplice e rivoluzionario: è il nemico che
ama te!
L‟uomo non doveva più imporsi di amare il suo nemico (cosa
ormai dimostratasi impraticabile, se non impossibile, dopo altri
duemila anni di vendette e ritorsioni). Per una nuova umanità
sarebbe stato sufficiente riconoscere che è il nemico, è l‟Antagonista
ad amare te.
Più ci pensavo e più quell‟avvitamento verso l‟alto prodotto
dal messaggio del Dreamer mi appariva grandioso. Distanziato da
questo colpo d‟ala, l‟annuncio millenario: „ama il tuo nemico‟, pietra
angolare dell‟insegnamento cristiano, mostrava ora la sua rigidità.
Come tutte le religioni del mondo anche il cristianesimo,
assottigliato dall‟usura dei secoli e dalla divisione delle sue chiese,
aveva dimenticato che la verità non è statica, non può rimanere
immobile. La verità di ieri non trascesa degrada e diventa la
menzogna di oggi.
Intanto avevamo abbandonato la panchina del parco giochi
lasciandoci alle spalle la vecchia carcassa del camion dei pompieri e
stavamo percorrendo in direzione nord la strada che costeggia il
fiume. Camminavo accanto al Dreamer e Lo ascoltavo mentre
collocava nel quadro d‟insieme gli ultimi tasselli della Sua
stupefacente teoria.
«Perdonare il nemico fuori di noi è la manifestazione di una
vanità e di un‟incomprensione millenaria. L‟unico nemico è dentro
di te. Fuori non c‟è nessun nemico da perdonare e nessun male che
possa nuocerti… L‟Antagonista è il tuo più prezioso alleato… uno
162
La Scuola degli Dei
strumento per migliorarti, perfezionarti, integrarti... la sola chiave
di accesso a zone più alte dell‟Essere.»
Passammo davanti alla Chapel of the Good Shepherd, la
vecchia chiesa di stile gotico ora completamente diroccata. Il busto
di pietra di un Gesù sofferente ancora si ergeva sul silenzio di quelle
rovine.
«Anche quella „scuola‟ millenaria non ce l‟ha fatta.» ammise
il Dreamer. Nella voce si avvertiva una vena di dolore per
l‟ennesimo epilogo di un dramma senza tempo.
«Anch‟essa ha mancato il bersaglio…»
L’Antagonista
L‟Antagonista, il nemico, è un propellente speciale.
Più alto il nostro grado di responsabilità
più spietato l‟attacco dell‟Antagonista.
L‟Antagonista ci misura, ci rivela, ci realizza…
Più alto il nostro grado di libertà, più sottile la sua azione.
Non temere l‟Antagonista!
Dietro la sua apparente spietatezza si nasconde
il tuo più grande alleato, il tuo più fedele servitore.
L‟unico e solo scopo dell‟Antagonista,
è la tua vittoria…
L‟Antagonista usa ogni artificio, ogni strategia, per la meta finale:
la tua integrità.
Nessuno al mondo può amarti più dell‟Antagonista
Tu sei la sola ed unica ragione del suo esistere.
Non temere l‟Antagonista!
La tua perfezione crescerà con la sua spietatezza.
La tua immortalità con la sua apparente immoralità,
la tua intelligenza crescerà con il suo potere,
il tuo potere con la sua intelligenza.
Perché l‟Antagonista, sei tu!
163
La Legge dell‟Antagonista
6 Impara a sorriderti dentro
Pensai alla grandezza di questa rivelazione. Se una tale verità
fosse stata riconosciuta dall‟umanità avrebbe rivoluzionato,
trasformato per sempre il nostro modo di pensare e di sentire. Un
giorno, ai miei studenti di economia avrei trasferito la forza di
questa visione: più feroce è l‟attacco dell‟Antagonista, più grave il
suo insulto, più grande è l‟opportunità per andare oltre.
Imparate a sorridervi dentro mentre l‟attacco,
l‟offesa si manifesta in tutta la sua spietatezza…
L‟Antagonista deve essere combattuto fuori
e simultaneamente perdonato dentro!
Il perdono può avvenire solo dentro di te.
Fuori di te „recita‟ impeccabilmente
il combattimento più accanito… ma senza crederci!
Finalmente, uno spiraglio si apriva a gettare luce su quel
millenario, impenetrabile paradosso: Se lo ami non è più un nemico
e se è un nemico come fai ad amarlo?
„Ama il tuo nemico‟ è un‟idea superiore che può essere compresa e
applicata solo da un uomo integro. Solo chi ha estirpato da sé
conflittualità e divisione può fare a meno dell‟Antagonista.
Per chi ha una logica duale,
per chi ancora vede e pensa attraverso gli opposti,
la guarigione non può che presentarsi
con la maschera feroce dell‟Antagonista.
«L‟attitudine di un leader di fronte alle difficoltà deve essere
questa» disse e rese mimicamente il concetto stropicciandosi le mani
come chi finalmente ha davanti qualcosa che ha atteso e desiderato a
lungo.
«Un leader sa che, per quanto terribile possa apparire
l‟Antagonista, la lotta è sempre pari e le difficoltà solo apparenti.
Dietro la maschera dell‟Antagonista, dietro la sua apparente
brutalità, si nasconde l‟accesso ai più alti livelli di responsabilità.»
«Più chiaro di così il gioco non ve l‟ha mai spiegato
nessuno!» annunciò il Dreamer, indirizzando le Sue parole ad una
invisibile audience vasta quanto il pianeta.
164
La Scuola degli Dei
Aggiunse che senza questa comprensione, senza una Scuola,
la maggior parte degli uomini si ferma sulla soglia di questo
passaggio rifiutandosi di pagarne il prezzo. Continuamente
incontriamo ostacoli e voci interne che ci dissuadono dal proseguire,
antagonismi fisici o psichici che saggiano la forza della nostra
aspirazione, la chiarezza del nostro intento, la nostra preparazione, la
nostra determinazione.
Un‟impossibilità apre sempre le porte alla possibilità successiva.
Inoltrandomi sempre di più nella visione del Dreamer sentivo
il potere di un training speciale. Da Lui stavo ricevendo
l‟insegnamento di un‟arte marziale capace di trasformare in
propellente ogni attacco e tutto quello che nella vita sembra
contrastarci. Nemici e ostacoli apparivano ora sotto una nuova luce.
Uomo o evento, l‟Antagonista ha l‟ingrato compito di rivelare ogni
vuoto, ogni mancanza, debolezza o paura che ti porti dentro;
di denunciare senza alcun compromesso
la tua impreparazione, le colpe, i limiti che tu stesso ti sei posto.
Quando avrai riconosciuto l‟Antagonista che hai dentro,
sparirà anche fuori.
Il Dreamer sottolineò ironicamente come in cambio dei suoi
preziosi servigi l‟Antagonista riceva da noi solo malevolenza e
rancore.
La figura di Padre Nuzzo si fece spazio nella memoria e
prevalse sulla piccola folla degli antagonisti incontrati negli anni
della mia fanciullezza al Collegio Bianchi. Provai una pungente
malinconia e un leggero rimorso al ricordo di tutte le cattiverie che
gli indirizzavamo. Solo ora, accanto al Dreamer, potevo „vedere‟
dietro la sua spietatezza, dietro i suoi attacchi più severi, il sorriso e
l‟amore di chi contiene il „gioco‟.
«I maestri che più abbiamo odiato sono quelli che ci hanno
dato di più» affermò il Dreamer. Il Suo intervento disperse i miei
pensieri e sgombrò il campo dalle ombre e dai fantasmi generati da
quei sentimenti inutili.
Dalla esposizione del Dreamer stavo osservando l‟emergere
di un sistema, un modello cosmico ricorrente capace di essere
applicato a tutte le azioni umane, individuali e sociali; una sorta di
165
La Legge dell‟Antagonista
legge universale osservabile in qualsivoglia scala. In particolare mi
aveva colpito il Suo accenno alla possibilità di sfuggire alla legge
dell‟Antagonista. Su questo punto Gli manifestai l‟incapacità di
immaginare un mondo senza attrito, dove fosse possibile proporsi e
raggiungere qualunque traguardo senza avvalersi dell‟aiuto prezioso
e spietato dell‟Antagonista.
«Come si fa?» chiesi affascinato dalla prospettiva di
trasformare la vita in un paradiso terrestre, dove finalmente
l‟Antagonista non avrebbe avuto possibilità di accesso.
«È come chiedere di vivere su questo pianeta eludendo la
legge di gravità» rispose il Dreamer nel tono secco di chi liquida
una questione. Poi a voce bassa, come per mantenere segreta
quell‟informazione, aggiunse:
«L‟uomo potrebbe scegliere le influenze sotto cui vivere e
affidarsi al potere di qualcosa che si trova più in alto, ma vive nel
dolore e per questo non sa nulla dell‟Arte del sognare! Soffre perché
non sogna.»
«Attraverso l‟Arte del sognare un uomo cessa di soffrire…
cessa di morire – disse sibillinamente – Solo chi ha smesso di
uccidersi dentro „ha diritto‟ alle rivelazioni ineffabili
dell‟Antagonista.»
Lasciò trascorrere una lunga pausa in cui sembrò interessarsi
a quello scorcio di Roosevelt Island e ai gabbiani che ne graffiavano
il cielo, poi disse:
«Per il momento, impara a considerare l‟Antagonista il tuo
migliore alleato… e augurati che sia sempre più feroce ed
agguerrito. Più alto il nostro grado di responsabilità, più feroce
sarà l‟attacco dell‟Antagonista. Questa visione, col tempo,
capovolgerà la tua vita e creerà il mondo che hai sempre voluto.»
Il Dreamer si accorse che ancora attendevo una risposta su
come far sparire ogni minaccia, ogni attacco, dalla nostra esistenza.
«Ciò che apparentemente ti contrasta e si oppone è solo un
rivelatore, una freccia luminosa puntata verso la vera causa di ogni
tuo guaio e di tutte le tue difficoltà. L‟Antagonista sei tu! Se potessi
avvicinarti a questa comprensione, il „gioco‟ si svelerebbe e
sparirebbe; l‟Antagonista perderebbe i suoi contorni, la sua
apparente cattiveria, il suo potere. L‟Antagonista è in realtà un
segnale puntato su tutto ciò che dovresti cambiare in te, tutto ciò che
non vuoi vedere, toccare, sentire in te... »
166
La Scuola degli Dei
Dalla mia evidente difficoltà a seguirLo deliberò che non ero
ancora pronto ad affrontare quell‟argomento. Mi disse che per il
momento avrei dovuto considerare la legge dell‟Antagonista come
una legge universale ed ineluttabile.
«L‟uomo così com‟è non può sfuggire alla legge che
governa il mondo degli opposti, dove tutto avviene e si crea
attraverso il conflitto, il gioco dei contrasti» affermò in tono
conclusivo. Mi ritrovai a riflettere sulla inesorabilità del nostro
destino e su come la salvezza di un solo uomo potesse estendersi a
tutta l‟umanità.
«Che cosa c‟entri tu con la salvezza del mondo? – disse con
voce terribile il Dreamer irrompendo tra quei miei pensieri – quando
tutto quello di cui il mondo ha bisogno è di salvarsi da te!.»
«Per adesso incontra il tuo dolore, la tua sofferenza – ordinò
– stai lì. Non sfuggire. Osservati e metti a nudo le loro radici. Solo
quando sarai libero dalla descrizione del mondo potrai liberare il
mondo. The whole world, its way of thinking and doing, its
conditions of precariousness and danger exactly mirrors your
interior fragmentation.»
«Only you, living permanently in the „Here Now‟ can
liberate the world from all opposites. Only you, abandoning your
inner confictuality, will free it from all contradictions, violence and
wars» disse, chiudendo definitivamente quella parte del nostro
incontro.
Avrei dovuto attendere alcuni mesi prima che riprendesse di
nuovo questo argomento; fu una sera a Londra quando, in occasione
di una cena con alcuni indimenticabili personaggi, mi introdusse al
segreto della „proattività‟.
Al termine di quella peripatetica lezione, ascoltandoLo e
camminando al Suo fianco, mi ritrovai nel parco, vicino alla
panchina da cui eravamo partiti. Il Dreamer sedette ed io presi posto
accanto a Lui ad una rispettosa distanza. Il sole fece capolino
improvvisamente da una nuvola, e un raggio mi fece socchiudere gli
occhi. Era piacevole e restai così ad assaporare quel momento. Le
parole del Dreamer, attutite, sembravano arrivare da un mondo
lontano.
«L‟uomo ha dimenticato di essere il creatore della propria
realtà ed è questo che rende indispensabile, simbiotica, l‟azione
dell‟Antagonista nella sua vita… »
167
La Legge dell‟Antagonista
«Capovolgi la tua visione! Imponiti la libertà!» disse. Il tono
era paterno ma aveva la forza aspra e severa di un ordine. Per un
attimo mi scossi; poi il sonno in cui stavo scivolando mi riprese
impossessandosi gradualmente di ogni mia facoltà. Feci ancora in
tempo a sentirGli dire:
«Trasferisciti nell‟uomo che sogna, che crea, che ama!…
L‟Antagonista lo incontra solo chi ha deciso di vincere se stesso. La
caduta non ha antagonismi, è libera e indolore.»
7 La suite al St James
Deposi il mio bagaglio sulla spessa moquette e mi guardai
intorno. Il lusso di quella suite, la ricchezza austera dei broccati e
degli arredi, mi misero a disagio. Mi domandai cosa avesse in mente
il Dreamer nel chiedermi di trasferirmi in quell‟albergo così
esclusivo. Con Lui niente accadeva per caso, ed allo stesso tempo
nulla poteva essere programmato. Per il Dreamer anche il più
piccolo movimento era parte di una strategia. Nel corso degli anni
del mio apprendistato Lo avevo incontrato nei paesi più remoti e
nelle principali capitali del pianeta. Ogni volta senza preavviso,
senza alcun bisogno di appuntamenti o pianificazioni. Ogni incontro
era stato un‟esperienza insostituibile, il gradino luminoso di
un‟ascesa che stava trasformando la mia vita in un‟avventura
straordinaria.
Questa volta avevo ricevuto un Suo messaggio presso il
piccolo albergo che mi ospitava quando ero a Londra. Ci saremmo
visti al Veronica‟s. Nel darmi appuntamento per quella sera il
Dreamer mi chiedeva di lasciare Eaton Place e di trasferirmi in una
suite del St James in Mayfair. E lì mi trovavo ora, ad ingannare i
minuti interminabili che mi separavano dal nostro incontro. Fiori, un
trionfo di frutta, champagne, due bagni… uno studio con scrivania
d‟epoca, un ricco sofà… Il pensiero di quanto mi sarebbe costato
tutto questo si fece più inquietante fino a diventare malessere.
Sapevo che qualunque cosa il Dreamer avesse in mente, e
qualunque cosa mi avesse chiesto di fare, compreso il trasferirmi in
uno degli alberghi più lussuosi di Londra, era senza alcun dubbio
parte di un disegno strategico. Eppure non riuscivo a eliminare
quella nausea. Immaginai la faccia che avrebbe fatto Mr Lyford
dell‟amministrazione davanti al conto di una suite di lusso nella mia
168
La Scuola degli Dei
nota spese… Avrei dovuto pagare di tasca mia. Era infatti fuori
questione che potessi farmi rimborsare quel conto dalla ACO. Poche
notti al Saint James avrebbero divorato tutto il mio stipendio
newyorkese. Quel pensiero, da dolore psicologico si trasformò
rapidamente in dolore fisico. A quel tempo era troppo radicata in me
la convinzione che circostanze ed eventi controllassero la mia vita in
tutti i suoi aspetti, e accusavo gli altri, il mondo esterno del mio star
male, della mia infelicità.
“Avresti provato lo stesso risentimento e rancore se invece
che in una suite royale ti avessi chiesto di trasferirti in una topaia
del quartiere più povero di Londra – mi avrebbe poi detto il
Dreamer – Quello con cui ti stavi confrontando non ha alcuna
relazione con l‟esterno, né con gli eventi o le circostanze. È
qualcosa che ti accompagna da sempre, che ti porti dentro ed è la
vera causa di ogni tua difficoltà, di un‟esistenza infernale.”
Rivedo con vergogna i pensieri di quel giorno penzolare nella
mente come impiccati. Un‟insopprimibile nausea inondò l‟Essere e
pervase ogni cellula. Per ricuperare un alito di vita dovetti sedermi.
Cercai dappertutto il tariffario, ma non ne trovai traccia. Sollevai il
ricevitore per chiedere il prezzo di quella suite. Forse avrei fatto
ancora in tempo a disdirla. Avrei dato qualunque cosa pur di uscire
da quella situazione, da quella disperazione. Le istantanee di una
vita fragile, senza senso, senza potere, mi attraversarono la mente
come immagini negli occhi di un morente. Per qualche secondo
restai fermo, come paralizzato. Poi lentamente rimisi a posto la
cornetta. Una lucidità nuova aveva preso il sopravvento e mi tirò
fuori dalle sabbie mobili di quell‟angoscia.
Ricordai una frase straordinaria che una volta mi aveva
appena sussurrato e che per fortuna ero riuscito a captare e
trascrivere.
“Lo stile è coscienza… Investi tutto quello che hai… e anche
quello che non hai, su te stesso… sempre! E vedrai la tua vita
arricchirsi ed amplificarsi in tutti i sensi. If you bet on yourself life
will bet on you.
Don‟t worry about money. Worry about yourself, about your
integrity. When money is needed, it will be right there. Trust
yourself, trust your dream and you will have all the money necessary
to match a beautiful life. The masterpiece of your very dreaming is…
you.
169
La Legge dell‟Antagonista
The outer world is only a pale shadow of your inner
creativity, a very faled manifestation of your uniqueness.”
8 Prima che il gallo canti
Sentii la mia chimica cambiare. Provai l‟euforia di un
galeotto al quale fossero state improvvisamente spalancate le porte
della prigione. Riflettei su quanto poco bastasse a spaventarmi, a
oscurarmi, a curvarmi. Questa era l‟esatta misura dell‟Essere e la
vera ragione di ogni difficoltà della mia vita. Eppure bastava
connettermi a Lui, volgere lo sguardo, un solo pensiero nella Sua
direzione per sentirmi trasformato e vedere la soluzione emergere.
Quella suite al St James, come in altre occasioni create dalla Sua
inesauribile pedagogia, si stava rivelando un‟aula della Scuola in cui
studiavo ed assimilavo i fondamenti dell‟Arte del sognare che il
Dreamer molto spesso chiamava „Scienza del Fare‟.
Il Dreamer mi stava preparando ad un‟impresa straordinaria,
anche se non avevo ancora idea di cosa fosse. Ero certo che la
missione che un giorno mi avrebbe affidato richiedeva un
imento‟ totale, una tale responsabilità che così com‟ero non avrei
potuto sfiorare neppure con un dito.
Sentii la gratitudine montare e la sua chimica farsi più
intensa. Socchiusi gli occhi e bevvi a grandi sorsi quel lusso, assorbii
ogni dettaglio di quell‟ambiente, la sua ricchezza, la bellezza. Capii
che nulla è fuori di noi. La presenza del Dreamer stava rivelando
parti completamente sconosciute di me stesso. In quella suite del
St James accadde qualcosa di straordinario. Eoni di tempo si
compressero ed atomi di prosperità arricchirono il mio Essere di
eternità. Sia pure per pochi secondi, smisi di essere un uomo
impaurito, dubbioso, un uomo sconfitto, una vittima, e divenni
l‟architetto, l‟artista che aveva ideato quell‟albergo. Realizzai
l‟eterna distanza tra sognatore e sognato, tra un uomo libero e uno
che dipende.
Il mondo è una proiezione dell‟Essere. Ecco la fonte!
Cercai la Bibbia. La trovai in uno dei cassetti del comodino.
L‟aprii „a caso‟ e lessi il passo in cui per tre volte Gesù chiede a
Pietro: “Mi ami tu?” E per tre volte, prima imbarazzato, poi perfino
un po‟ infastidito Pietro risponde: “Si, ti amo!”
“No!” avrebbe dovuto rispondere, “non ancora!”
170
La Scuola degli Dei
Se fosse stato un po‟ più sincero, più onesto, se si fosse
conosciuto più profondamente, avrebbe dovuto dire: “sto cercando
di amarti!”.
Con quella domanda, ripetuta tre volte, Gesù in realtà gli
stava chiedendo: Ti conosci tu? Sai chi sei? … Ami te stesso più di
ogni altra cosa? Hai smesso di ucciderti dentro? Gli stava chiedendo
di trasferire il Suo insegnamento nelle parti più interne di se stesso,
di capovolgere la sua visione, di trasformare il suo modo di pensare,
di ammorbidire la sua rigidità. È forse per questa rigidità che lo
chiamò
„Pietro‟. Pietro è l‟uomo che si rifiuta di cambiare, che crede
di poter mentire, di nascondersi. Quell‟uomo ero io.
Leggevo e piangevo. Per tre volte era stata data a Pietro
l‟opportunità di evitare il suo tradimento, per non doversi trovare un
giorno a rinnegare per tre volte la parte più alta di sé. Quel
tradimento era già nell‟Essere, attendeva solo le circostanze
favorevoli per manifestarsi. Povero Pietro! Se solo avesse potuto
osservarsi… avrebbe compreso che quella richiesta non era esterna
ma gli arrivava dal proprio Essere: “Tu, Pietro, ami te stesso? Hai
eliminato ogni divisione, ogni morte interna?” Avrebbe scoperto in
sé la menzogna, la paura, il dubbio… avrebbe potuto fugarli, come
si fa con un ladro.
Amarsi dentro è un atto di volontà, significa „conoscersi‟.
Amarsi dentro significa celebrare incessantemente la vita
nella sua totalità.
Ricordai queste parole del Dreamer e capii che se Pietro
avesse accolto la richiesta di guardarsi dentro, di conoscersi, di
amarsi, avrebbe cambiato il suo destino mortale. Se avesse potuto
capovolgere le sue convinzioni, non sarebbe stato crocifisso a testa
in giù… come lui stesso chiese ai suoi carnefici, offrendosi a
simbolo di una comprensione tardiva ma autentica della sovversività
all‟insegnamento di Cristo.
Da quel passo, dal messaggio trasmesso da quella grande Scuola che
fu il cristianesimo primitivo, stavo risalendo alla grandezza
dell‟insegnamento del Dreamer. L‟Essere è la fonte di tutto ciò che
poi incontriamo nel mondo degli eventi.
Guardati dentro e conoscerai il tuo destino!
171
La Legge dell‟Antagonista
I tre „sì‟ sono la menzogna che Pietro non ha voluto vedere e
che si materializza nell‟evento del suo martirio.
Se vogliamo cambiare qualcosa
lo possiamo fare solo innalzando l‟Essere.
Il destino di un uomo, di un‟organizzazione,
di una nazione o di un‟intera civiltà, e la sua economia,
sono la proiezione del suo Essere, della sua visione.
Quanto più ampia è la visione di un uomo
tanto più ricca la sua realtà.
In nessuna scuola di economia avrei potuto apprendere una
legge così vasta.
Queste furono per me le grandi lezioni di „vera‟ economia, di
management, di alta finanza e di pedagogia. In questi insegnamenti
oggi riconosco le pietre miliari di una nuova educazione fondata
sull‟Essere, di una rivoluzione psicologica capace di trasformare i
paradigmi mentali della vecchia umanità, di capovolgerne la visione
e liberarla per sempre dalla sua conflittualità, dal dubbio, dalla
paura, dal dolore, che sono la vera causa della povertà e di tutta la
criminalità nel mondo.
9 A cena con il Dreamer
Dovetti controllare la mia impazienza per non arrivare troppo
presto al Veronica‟s. La sala era affollata. Seduto ad un tavolo
riccamente imbandito, il Dreamer era circondato dalle premure della
proprietaria e dalla concitata solerzia di un nugolo di camerieri. Ogni
tanto questi, come uno stormo, si bloccavano all‟unisono per
ascoltarne religiosamente gli ordini e le minute raccomandazioni;
poi, tutti insieme, riprendevano la loro danza operosa. Il Dreamer
indossava un abito nero, di uno stile senza tempo, con i lunghi
capelli raccolti dietro la nuca. Sotto le falde di raso splendeva la
camicia impreziosita da un nastro di velluto nero.
Mi sorprese il fatto che non fosse solo. C‟erano con lui
quattro uomini e tre donne: Bruno e Rebecca W., proprietari di una
importante agenzia di pubblicità a Zurigo; Klaus E., da Francoforte,
fondatore della Robotronic e presidente di una fondazione
internazionale attiva nel campo della ricerca biologica; Ben F.,
172
La Scuola degli Dei
Academic Dean di una università britannica, apparentemente il più
strano del gruppo. La foggia orientaleggiante del suo abito dava
risalto a un imponente fisico da atleta, sorprendentemente lontano da
le physique du rôle di un intellettuale. Accanto a lui, Linda, attraente
e dall‟aspetto determinato, esperta di human resources, fondatrice e
proprietaria di due agenzie di head hunting con base a Londra e a
New York. C‟era infine una giovane coppia di origine irlandese,
Peter C. e la moglie Susan, dall‟aria timida e riservata. Provai per
loro un‟istintiva simpatia. Cattolico lui, figlia di un predicatore
protestante lei, lavoravano insieme a un progetto europeo con base
in uno storico college di Regent‟s Park.
L‟attitudine del gruppo verso il Dreamer indicava deferenza
e familiarità allo stesso tempo. La presenza inaspettata di quelle
persone fece esplodere sentimenti che da tempo non provavo più,
emozioni che credevo di aver cancellato per sempre: risentimento
per quella intrusione, ma anche gelosia e invidia per il loro aspetto
opulento e per l‟alone di sfavillante successo che li avvolgeva.
Quella luminosità mi oscurava. Certo, avevo sempre pensato che il
Dreamer avesse altri „studenti‟, e tante volte avevo fantasticato di
conoscerli; ma incontrarli, così, senza preavviso, mi aveva colto
impreparato. Ebbi vergogna per la mia reazione, per le emozioni che
stavo provando e questo aumentò la dolorosità di quella divisione.
L‟infinita distanza che mi separava dal Dreamer in realtà non più di
pochi passi, mi impose il cambiamento. Invertii la direzione della
mia attenzione, rivolgendola dall‟esterno all‟interno. Nel momento
in cui osservai quelle emozioni negative, impallidirono e svanirono.
Restò infine il fascino di quella scoperta; riconobbi la ricchezza
dell‟opportunità di conoscere finalmente uomini e donne che come
me avevano incontrato la Scuola.
Ebbi la sensazione di vivere un‟esperienza virtuale, di essere
immerso in uno spazio teatrale dove la linea di confine tra attore e
spettatore era continuamente trasgredita, restando per tutto il tempo
intrigantemente incerta. Un teatro dell‟assurdo stava sollevando il
suo sipario rivelando i contorni di una realtà separata. Eravamo
pagine viventi di un copione sconosciuto, pennellate di un dipinto
che nessuno di noi poteva comprendere… Ed ora davanti all‟Artistaautore-creatore attendevamo di conoscere il nostro destino.
Mi concentrai sugli invitati di quella sera, osservandoli con
maggiore attenzione. Ognuno di quegli uomini e di quelle donne era
un‟autorità riconosciuta nel proprio mondo. Bruno W. era un
173
La Legge dell‟Antagonista
omaccione di mezza età, apparentemente semplice nei modi e nel
linguaggio, ma deciso e costruttivo. La barba brizzolata,
elegantemente incolta, gli dava un‟aria rilassata e rifletteva l‟altro
risvolto del suo carattere di uomo semplice, un po‟ infantile. La
moglie Rebecca appariva esile, quasi cagionevole, ma aveva
l‟energia compressa di una businesswoman internazionale.
Trascorreva parte dell‟anno in Toscana dove dirigeva una vasta
tenuta di famiglia e un‟azienda vinicola. Klaus E. aveva l‟aspetto di
un avventuriero-gentiluomo, dai modi eleganti, cosmopolita,
luminoso. Come una lama nella guaina, sotto l‟apparenza fatua e la
leggerezza della sua conversazione si celava un‟intelligenza
tagliente al servizio di una forte ambizione. Peter C. si rivelò un
vibrante Chenier, dal linguaggio raffinato e dalle idee visionarie. La
giovane moglie Susan lo guardava estatica e pendeva dalle sue
labbra.
Davanti al Dreamer eravamo nudi. Di ognuno conosceva
capacità e limiti, e il posto che occupava nell‟economia di un‟opera
perfetta. Insieme formavamo una specie di tastiera su cui stava
creando, componendo il capolavoro che il Suo estro aveva
concepito. Solo Lui conosceva il Progetto, la puntualità di quel
tassello, unico e insostituibile, che ognuno di noi rappresentava nel
grande mosaico che aveva in mente.
Nessuno sembrò notare il mio arrivo. Non ci furono
convenevoli, né presentazioni. Mi unii a loro in silenzio occupando
il posto che era stato lasciato libero e concentrai la mia attenzione su
quello che il Dreamer stava dicendo.
Sedendomi al tavolo, catturai questo frammento del discorso già
avviato:
«L‟uomo reale non appartiene ad alcuna filosofia, ideologia
o religione. Un vero sognatore non ha etichette. Non può
appartenere, non può essere compreso… Egli sa che l‟Antagonista
arriva solo per permetterci di superare i nostri limiti… Per questo
benedice ogni apparente ostacolo… ogni apparente avversità… Se
un giorno passeggiando in un giardino poggerai il piede su una
spina – epilogò – non dimenticare mai di ringraziare.»
174
La Scuola degli Dei
10 L‟amministratore disonesto
Questo epigramma ed il richiamo all‟Antagonista servirono
di introduzione al racconto e al commento di una parabola dal
significato oscuro: la storia dell‟amministratore disonesto. Il
Dreamer ce la presentò in tutta la sua millenaria enigmaticità.
Un uomo ricco scoprì che il suo fattore sperperava i suoi
beni. Lo fece comparire davanti a sé e, accertati i fatti, gli tolse
l‟amministrazione. “Che farò? – disse tra sé il fattore disperato – Di
zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno.” Allora fece
venire uno per uno i debitori del suo padrone e falsificò i documenti
riducendogli il debito. Cento bati d‟olio diventarono cinquanta,
cento cori di grano diventarono ottanta, e così via. In questo modo
contava di guadagnarsi la loro benevolenza ed essere accolto una
volta allontanato dal suo incarico. Il padrone venne a sapere anche di
queste pratiche disoneste e per tutta reazione… lo „lodò‟.
«Attraverso i secoli, il comportamento di questo padrone ha
sconcertato i biblisti più dotti, e sfidato generazioni di saggi, teologi
ed esegeti» concluse il Dreamer e tacque.
Alcuni di noi accettarono la sfida e provarono a dare delle
spiegazioni; ma tutte si rivelarono improbabili e furono a turno
bocciate da tutti gli altri. Era un enigma in un indovinello. Infine
volgemmo i visi verso il Dreamer in segno di capitolazione.
Sapevamo che anche i nodi gordiani si scioglievano docili tra le Sue
dita. La chiosa che fece di quel rompicapo biblico fu esemplare per
semplicità e gettò luce sul buio di millenni.
Ci spiegò che questa reazione apparentemente astrusa del
„padrone‟ ha, per la specie umana, la solennità e l‟importanza di un
evento cosmico: l‟attraversamento della soglia evolutiva della razza
umana. Essa sta alla psicologica dell‟uomo come l‟assunzione della
posizione eretta o l‟abbandono della sua coda ancestrale sta alla sua
evoluzione fisica. Quella reazione è la nascita del sapiens sapiens,
dell‟uomo dopo l‟uomo; significa l‟inizio di quell‟esodo che porterà
la specie fuori dalla sua condizione zoologica.
«L‟uomo scopre la proattività, la gestione dell‟attimo e la
trasformazione di ogni offesa a proprio vantaggio, di ogni insulto in
propellente per il suo viaggio… E seppellisce la mappa di questo
tesoro in una piccola storia dalla profondità insondabile.»
175
La Legge dell‟Antagonista
«Sentitela nelle viscere, l‟offesa!» Quest‟ordine improvviso
del Dreamer, lanciato a voce alta, quasi gridato, mi fece sobbalzare,
ed acuì il mio ascolto.
«È lì il campo di battaglia… È lì che si decide la vittoria… Il
segreto è vincere prima di combattere.»
Misi mano al taccuino e registrai ogni Sua parola:
«Lodare l‟amministratore disonesto è il vagito di un‟umanità
guarita da ogni ferita interna, di un‟umanità che si è perdonata
dentro, che vince senza dover più combattere… perché non ha più
necessità del benefico, terribile intervento dell‟Antagonista.»
Ci disse che un uomo maturo, sul proscenio della vita, sotto i
riflettori, giunto alla fine del suo grande spettacolo, più che
ringraziare quelli che gli hanno dato amicizia, affetto, dovrebbe
pronunciare un ringraziamento solenne a tutti quelli che lo hanno
ostacolato, tiranneggiato, offeso.
A questo punto il Dreamer sospese il Suo discorso e con un
cenno diede il via all‟arrivo delle prime portate. Con semplicità, e
con la stessa autorevolezza, dalla esegesi di quell‟oscura parabola
passò al commento dei piatti che man mano venivano scoperchiati.
Seguendo un excursus gastronomico e storico, arrivarono in
successione le pietanze di una cucina regionale inglese a me
sconosciuta: dai piatti a base di mostarda che risalivano al 1600, fino
a ricette più moderne, ma rigorosamente non posteriori all‟ultimo
dopoguerra.
Il Dreamer, com‟era Sua abitudine, non toccò cibo. Il Suo
piatto ritornava nelle cucine pressoché intatto. Pur essendo un
commensale raffinato, un anfitrione generoso e ricco di premure,
con una conoscenza da grand gourmet di cibi e vini, il Dreamer era
la personificazione della frugalità. Osservava tutti i rituali legati al
cibo, passando i piatti di portata, servendosi e offrendo le pietanze
che venivano servite, commentandole, ma senza immettere quasi
nulla. Ogni tanto masticava qualche boccone, ma non lo ingeriva. Il
Dreamer sembrava nutrirsi di un‟attenzione incessante ad ogni
dettaglio, ad ogni particolare del cerimoniale. Il gesto di un
cameriere, la presentazione di un piatto e la sua decorazione, il
colore dei cibi, il loro profumo, gli arredi del ristorante ed ogni
elemento dell‟ambiente, sembravano trasformarsi per Lui in un ricco
plancton di emozioni, percezioni, sensazioni, in un cibo sottile che
era solo Suo e che i nostri organi non sapevano più riconoscere né
assimilare.
176
La Scuola degli Dei
11 La vittima è sempre colpevole
«Apparently, on this planet everything is kept balanced by
the „law of opposites‟: to everything there is an opposite through
which it exists and by which it is opposed – recitò il Dreamer – la
vita degli individui, come quella delle nazioni e di intere civiltà,
„sembra‟ essere inflessibilmente governata dalla legge degli
opposti.»
Intorno a quell‟argomento la conversazione si accese come
per magia. Ognuno su invito diretto del Dreamer indicò chi o che
cosa in quel momento sentiva come proprio Antagonista. Il Dreamer
ascoltò tutti con attenzione. Anche questa volta non potei fare a
meno di interrogarmi su cosa avesse voluto intendere premettendo
quell‟avverbio „apparently‟ ed usando l‟espressione „sembra essere‟.
Intanto aveva ripreso a parlare. Accantonai le mie riflessioni per
ascoltarLo. Il segreto della proattività, appena sfiorato nell‟incontro
a New York, stava finalmente per essere affrontato.
«Tutti avvertono l‟esistenza di una forza che si frappone tra i
propri desideri e la loro realizzazione… la presenza di una specie di
attrito universale» disse il Dreamer ed aggiunse che, almeno a
giudicare dalla storia e dalle infinite avversità che l‟uomo ha dovuto
superare, l‟Antagonista potrebbe essere riconosciuto come il motore
stesso della sua evoluzione.
«If you want to do something in life you have to meet the
opposing force that men call “the Antagonist.»
Fece una pausa, come a raccogliere nell‟aria le parole più
giuste.
«Ci sono però alcuni segreti che riguardano l‟Antagonista
che solo pochi conoscono.» Tutti ci disponemmo ad ascoltarLo con
un‟attenzione accresciuta da quel Suo misterioso preambolo.
«L‟Antagonista ci misura. Misura il nostro AIM, il nostro
scopo, l‟ampiezza del nostro Sogno. AIM è l‟anagramma di I AM.»
AIM = I AM
«Nessuno può avere un goal più grande di se stesso − rivelò, e
aggiunse − Un uomo comune può sognare un appartamentino, un
altro una villa al mare, ma solo un re può sognare Versailles.»
Restai completamente affascinato dalla magia dell‟equazione
177
La Legge dell‟Antagonista
appena tracciata dal Dreamer tra ciò che un uomo chiede e ciò che è.
Pensai come questo andasse contro la comune convinzione che non
ci sono limiti al proprio desiderare, e che ognuno potrebbe proporsi
qualunque traguardo se non lo frenasse la cognizione della scarsità
di risorse disponibili ed il suo buon senso. Chiunque senza queste
restrizioni potrebbe nutrire i più grandi sogni, o sostenere le più
grandi aspirazioni.
Il Dreamer passò a dimostrare l‟infondatezza di questa
generale convinzione.
«L‟ampiezza del proprio Essere determina per ognuno il
limite massimo di quello che può chiedere all‟esistenza e l‟apice di
ogni suo desiderio. Allo stesso tempo è anche il limite di tutto quello
che un uomo può ricevere e possedere.»
Mi sembrò una scoperta fantastica. Frammenti del Suo
insegnamento fino a quel momento sparsi, cominciavano a
connettersi. Percepii in un barlume la grandiosità di quelle
rivelazioni che avevo ricevuto. Quando emersi da questi pensieri mi
resi conto di aver indugiato troppo. Senza accorgermene, ero rimasto
indietro rispetto alla conversazione. Mi affrettai a riprendere
l‟ascolto riunendomi agli altri, come facevo da ragazzino quando
rincorrevo nei corridoi del collegio la fila dei compagni dopo
essermi attardato a fantasticare su un animale impagliato o sui miti
racchiusi dalle austere cornici.
« …L‟Antagonista è la misura più precisa dell‟ampiezza del
nostro pensare, del nostro sentire» affermò il Dreamer e lasciò
qualche secondo ad ognuno di noi per trarne le conclusioni. Poi
aggiunse:
«Per questo non è mai superiore alle nostre forze. Per
quanto possa apparire orribile, minaccioso, imbattibile, il confronto
con l‟Antagonista è sempre un duello e le forze in campo sono
sempre pari.»
A questo punto abbassò la voce fino a trasformarla in un
sibilo marziale che ci fece fremere e ci raccolse intorno a Lui come
un solo Essere.
«Solo apparentemente un uomo si confronta con ostacoli
esterni, con nemici ed avversità fuori di sé. In realtà l‟Antagonista è
sempre la materializzazione di un‟ombra, di una parte oscura di noi
che non conosciamo, che non vogliamo conoscere – continuò il
Dreamer – Quando si manifesta, sotto forma di attacco, avversità o
problema, restiamo sorpresi. In realtà l‟abbiamo a lungo,
178
La Scuola degli Dei
inconsapevolmente covato dentro di noi. Per la nostra disattenzione,
un piccolissimo sintomo ha avuto tutto il tempo di acutizzarsi e per
la nostra incapacità di individuarlo ed intervenire, è diventato una
minaccia concreta. Per questo un‟umanità più attenta, che avrà
cancellato dal proprio Essere vittimismo ed autocommiserazione,
nelle aule dei suoi tribunali scriverà a lettere cubitali: la vittima è
sempre colpevole!»
«Ma una persecuzione che provocò milioni di vittime, come
quella contro gli Ebrei, come possiamo considerarla? – intervenne
Bruno W. in modo caloroso – Non vedo proprio come nel caso
dell‟Olocausto la vittima abbia materializzato il suo carnefice… Che
responsabilità possono avere milioni di innocenti dell‟estremismo di
un popolo, come quello tedesco, e delle sue aberranti teorie, come
quella sulla purezza della razza?»
A questo punto il sommelier si avvicinò con discrezione e
fece il giro del tavolo versando nei bicchieri la densità preziosa di un
vino d‟annata. Il Dreamer si arrestò, e per riprendere, attese che
l‟uomo completasse quell‟operazione. Fu allora che Klaus E., come
se stesse riflettendo a voce alta, sbottò dicendo:
«Certo è che, nei secoli, è sempre stato difficile essere
giudeo… Già Nabucodonosor, 600 anni prima di Cristo, rase al
suolo il tempio di Gerusalemme e deportò a Babilonia l‟intera
nazione israelita… Poi ci furono gli egiziani… i romani… Che si
chiamino Führer, Cesare, faraoni o satrapi, agli Ebrei non sono certo
mancati gli antagonisti… »
Il Dreamer impresse con il polso un movimento rotatorio al
suo bicchiere ed osservò il vino ossigenarsi percorrendo le pareti
interne del calice. Ne aspirò quindi l‟aroma e, licenziato con lo
sguardo il sommelier, disse:
«L‟opposto è un frammento, una parte che si è divisa, che si
è allontanata dalla totalità... L‟apparente Antagonista è la moneta
d‟argento che la donna ha perduto... è quella pecorella che il
pastore ha smarrito… Chi non riesce a ritrovare la sua integrità, chi
non riesce a reintegrare quell‟atomo dell‟Essere, dovrà incontrarlo
fuori di sé, mostruosamente ingigantito, come limite, ostacolo o
avversità.»
A queste parole Linda si illuminò ed intervenne con
animazione:
«Ma certo! – esclamò – Asili, scuole, ospedali… separati…
macellerie, negozi alimentari, ristoranti… separati… festività,
179
La Legge dell‟Antagonista
tradizioni e rituali… sempre separati… Si può dire che la religione
ebraica, la filosofia, lo stile di vita e di lavoro di questo popolo,
siano sostanzialmente fondati su una visione discriminatoria del
mondo… ci sono gli Ebrei e gli altri… »
«Nel tempio di Gerusalemme, un muro separava il cortile
degli ebrei da quello dei Gentili – contribuì Peter – ed era prevista la
pena di morte per il pagano che avesse varcato questa
demarcazione.»
«Il ghetto nasce ed il filo spinato si dipana nella psicologia –
commentò poi a bassa voce, come parlando tra sé e sé – prima di
incontrare le condizioni favorevoli per trasformarsi in una terribile
realtà… »
Bruno si agganciò alle riflessioni di Linda e di Peter. Come
se stesse facendo anche lui una scoperta inattesa, disse:
«Non ci avevo mai pensato prima… nella radice ebraica, la
parola „sacro‟ etimologicamente significa „separato‟… Nella loro
visione sacrale gli ebrei hanno diviso il mondo in ciò che è sacro,
cioè rispettoso delle loro credenze, e tutto il resto, che è profano…
impuro.»
Si accasciò sulla sedia, come sotto un colpo difficile da
sopportare…
«Ma allora?…» annaspò, senza riuscire a continuare.
«Allora… – riprese il Dreamer recuperando quel frammento
di comprensione e accingendosi a dare voce a quello che Bruno non
aveva osato pronunciare – La nostra incompletezza produce mostri
nel mondo esterno. La nostra divisione crea la violenza che poi
incontriamo. L‟Antagonista siamo noi… Sentirsi separati dagli altri
è l‟effetto di una psicologia disintegrata che alimenta una
criminalità interna. Un giorno questa si manifesterà nel mondo
degli eventi con violenze, attentati, conflitti e persecuzioni.»
Eravamo attoniti. Stavamo valicando un abisso di fronte al
quale il nostro pensiero si era arrestato, senza fiato.
«La Shoah non fu un incidente della storia né l‟effetto della
spietatezza di un regime, di una nazione, o ancora peggio, di un
uomo, di un tiranno – disse – Essa fu la materializzazione della
visione di un popolo che ancora non si è perdonato dentro;
l‟immagine speculare di un pensiero diviso, conflittuale, che è la
vera causa dei lager, delle deportazioni, degli sterminii e di ogni
efferatezza. L‟unico nemico è dentro di noi!… Fuori non c‟è nessun
180
La Scuola degli Dei
nemico da odiare né da perdonare, e nessun male che possa
nuocerci.»
«Adesso che ricordo – intervenne Rebecca – le lamentazioni
di Geremia, il canto tragico degli ebrei tradotti in schiavitù a
Babilonia, iniziano con un‟espressione di dolorosa sorpresa. La
prima parola è „eckah‟ che significa „come mai‟? »
«L‟improvviso ha
sempre bisogno di una
lunga
preparazione… di una lunga incubazione che avviene nell‟Essere,
nei nostri stati – annunciò il Dreamer – Perciò… riconoscete
l‟Antagonista dentro di voi… armonizzatelo… ripristinate
l‟integrità… Reintegrarsi significa „perdonarsi dentro‟… è la parte
che si congiunge alla totalità… è il ritorno del figliuol prodigo… è
ama il tuo nemico… La vita allora vi dirà sempre di sì… Avrà per
voi una costante generosità che gli altri chiameranno fortuna.»
Quella sera il Dreamer ci raccontò che a un certo stadio della
sua evoluzione la specie umana si è trovata davanti ad un bivio, una
biforcazione che ha generato due razze distinte, due specie
psicologiche profondamente diverse tra loro.
Ci sono uomini che dipendono, che accusano le condizioni
esterne, si lamentano, si compiangono e che il Dreamer chiama
„reattivi‟. Essi vedono attraverso contrapposizioni e hanno una
coscienza bipolare.
If you believe in the external world as something real,
then you are lost and destined to fail whatever you do.
C‟è per contro un altro tipo di uomini consapevoli che non ci
sia un mondo avverso fuori di noi, un Antagonista esterno messo lì
per ostacolarci. Il Dreamer li chiama „proattivi‟. Vedono l‟unità
dietro la polarità, l‟armonia dietro gli apparenti antagonismi.
«Gli uomini proattivi entrano nelle parti più oscure del
proprio Essere e combattono le ombre, i fantasmi, le paure interne
prima che possano materializzarsi e un giorno presentarsi come
avversari. Qualunque cosa arrivi dall‟esterno deve essere
trasformata. Fai cadere eventi, incidenti, circostanze e relazioni in
un posto dentro di te dove ciarpame e rifiuti possono essere
trasformati in una nuova sostanza, nuova energia, nuova vita.»
Queste vittorie su se stesso il Dreamer le definì „vittorie
creative‟:
181
La Legge dell‟Antagonista
«Esse sono la via per dare concretezza al proprio Sogno. Il
sacrificio di Ifigenia, il viaggio di Ulisse, il sacrificio di Isacco, la
battaglia di Arjuna, le tentazioni di Cristo, ancora tramandano il
segreto di vittorie creative ottenute da uomini capaci di superare
l‟Antagonista interno, l‟unico vero ostacolo alla concretizzazione di
ogni nostra aspirazione.»
Poi, col tono amaro di chi denuncia una situazione senza vie
d‟uscita, aggiunse:
«La vera malattia dell‟uomo reattivo è essere sempre „fuori
casa‟… „fuori di sé‟. Per lui il mondo interno non esiste e di quello
esterno ha fatto un idolo da propiziare, un feticcio da adorare, e da
cui dipendere. Do not ever expect anything from anybody.»
Alla fine di quella cena, accomiatandoci, il Dreamer
sottolineò segni di invecchiamento e di degradazione inaccettabili in
chi fa parte di una Scuola dell‟Essere e rilevò la scarsità dei
progressi e la lentezza con cui stava procedendo il „lavoro‟ di
ognuno. Manifestò la Sua insoddisfazione con parole dure,
indimenticabili. L‟energia, la forza del Dreamer che aveva portato
quegli individui a realizzare in pochi anni progetti straordinari e a
raggiungere posizioni di vertice nel proprio mondo, stava ora solo
alimentando la loro vanità, la loro presunzione. Dimenticata la
promessa, la vera ragione per essere accanto al Dreamer, da
precursori, antesignani di una nuova umanità si erano ridotti a cloni
della vecchia leadership, matrici senza vita di una specie in
estinzione.
Ascoltammo la fine di quella indimenticabile lezione in piedi
mentre Gli facevamo corona sull‟uscio del Veronica‟s. Le Sue
parole erano sferzanti, ma la Sua conclusione fu insostenibile.
«Vi ho fatto guadagnare fama, denaro, potere. Avete
realizzato tutto quello che avete sognato. Ora c‟è una nuova
avventura, un nuovo volo… È tempo di sognare un nuovo Sogno, di
sognare un nuovo mondo… Abbandonate tutto quello che credete di
avere, mettete qualcuno al vostro posto… Dedicatevi a tempo pieno
al Progetto.»
Non riporto il Suo discorso che oggi soltanto pochi
potrebbero capire ed accettare, ma registrai tutto quello che disse a
ognuno di loro e l‟ho gelosamente conservato.
«Dietro la maschera dell‟invecchiamento si nasconde la
vostra menzogna – tuonò – Demandate ai vostri amministratori!
182
La Scuola degli Dei
Abbandonate i ruoli! Fatelo intenzionalmente prima che sia la vita
ad imporvelo.»
Vidi negli occhi di quegli uomini e di quelle donne lo
smarrimento, lo spavento e ricordai la parabola del giovane ricco.
Un giorno scriverò di chi ascoltò le parole del Dreamer e di
chi quella notte abbandonò, e quale fu la sorte di ognuna di quelle
persone che ebbi modo di conoscere individualmente e a fondo. La
conclusione del Dreamer si abbatté pesante come un maglio su quei
visi preoccupati, deformati dal dolore.
«Io non interverrò più – disse – La libertà „vera‟ non si può
donare. Un uomo deve conquistarla, volerla fortemente e a qualsiasi
prezzo. Solo allora la otterrà!
Nel mio mondo non c‟è spazio neppure per un atomo del
vostro orrore, della vostra indolenza. Tutto quello che si è, tutto
quello che si ha, deve essere abbandonato e trasceso. Per essere ed
avere di più.»
Un monito, lapidario e solenne, registrò e sigillò la fine di
quel discorso:
«Quello che non capite attraverso le Mie parole ve lo
spiegherà la vita con le sue leggi ed i suoi strumenti di guarigione.
Vi restituisco quindi la „vostra‟ libertà, quella di soffrire, degradare,
ammalarvi, invecchiare e morire… »
Questa frase l‟avvertii come un presagio che mi oscurò
l‟anima. Stavo ascoltando con anni di anticipo le parole che mi
avrebbero marchiato a fuoco in circostanze tra le più difficili della
mia esistenza.
Attesi che tutti gli altri se ne andassero ed indugiai per restare
solo con Lui. Avrei voluto chiederGli il significato di quelle dure
parole, e più di ogni altra cosa, avrei voluto capire perché mi
avevano colpito con tanta dolorosità. Nascostamente sapevo che
stavo assistendo a qualcosa che mi riguardava molto da vicino e che
un giorno sarebbe toccato a me scegliere tra il Sogno e il sognato, tra
la vita e l‟attaccamento a quello che il sogno aveva prodotto. Mi
chiesi che cosa avrei fatto al posto di quegli uomini e di quelle
donne.
Quella sera, volevo soltanto un po‟ della Sua attenzione. Così
mi limitai a chiederGli di poterLo vedere ancora una volta prima di
ripartire per New York. Mi diede appuntamento per il pomeriggio
del giorno dopo. Ci saremmo incontrati al Savoy. Poi, come se
cogliesse quell‟occasione en passant, mi chiese di procurarmi due
183
La Legge dell‟Antagonista
biglietti per lo spettacolo Les Misérables. Fui sorpreso di quella Sua
richiesta ma non feci alcun commento. Gli promisi che me ne sarei
occupato quella mattina stessa.
12 I biglietti
Arrivai puntuale a quello che doveva rivelarsi uno dei nostri
incontri più straordinari. Il Thames Foyer del Savoy era affollato a
quell‟ora. Davanti ad un tè fumante, in procinto di gustarlo, c‟era il
Dreamer. Il tavolino era ricolmo di dolci di ogni specie. La
disposizione di quelle chicche e degli argenti era perfetta. Sembrava
che non avesse ancora toccato nulla. Lo salutai con la consueta
deferenza ed occupai in silenzio il posto accanto. Cercavo di darmi
un tono e di fare buon viso, ma dentro sentivo bruciare la sconfitta.
Tentai di farmi avvolgere dall‟atmosfera déco e dalla musica
discreta del piano, ma un pensiero ricorrente, molesto più di ogni
altro, mi oscurava. Le cento giustificazioni che lungo la strada
avevano affollato la mia mente erano ora diventate un turbinio. Ero
disperato. Sapevo che il Dreamer non era uomo da prendere un no
come risposta e l‟indecisione su come avrei fatto a dirGlielo si era
trasformata in un‟ansia insopportabile. La Sua voce, fredda e calma,
penetrò tra i miei pensieri e mi fece trasalire.
«Tu non potevi trovare quei biglietti!» sentenziò senza
preamboli.
Il tono grave confermò quello che più temevo: il Dreamer
considerava il compito che mi aveva affidato una questione vitale. In
un attimo il timore, l‟umiliazione, l‟impotenza, si trasformarono in
rabbia, in una smorfia di arroganza incontrollabile. Se sapeva che
non ce l‟avrei fatta perché mi aveva dato quel compito? Ce l‟avevo
messa tutta per trovarli. Per tutto il giorno non mi ero dato pace nella
caccia impossibile a quei due posti. Les Misérables era lo spettacolo
di maggior successo nella storia recente del West End. Raccontai al
Dreamer come la mia ricerca fosse cominciata quella mattina presto
con una sonora risata del concierge del St James, quando gli avevo
ingenuamente chiesto di prenotare due poltrone per quella sera. “Ma
come, non lo sa? – cianciò ridendo – Per delle poltrone del genere
non so se basta prenotare con tre mesi di anticipo!”
Da quel momento, con il passare delle ore, la mia ricerca si
fece sempre più affannosa. Come confessai al Dreamer, più volte
184
La Scuola degli Dei
ebbi il sospetto che mi avesse intenzionalmente dato un compito
impossibile.
Il Dreamer taceva, il mento leggermente inclinato sul petto.
Era apparentemente assorto nell‟ascolto delle mie peripezie, ed io
credetti di ricevere il via libera alla completa storia dei miei tentativi
falliti. Avevo inutilmente passato al setaccio botteghini e bagarini. A
conferma di quanto mi aveva anticipato il concierge, dagli slip più
periferici ai palchi, il teatro era tutto esaurito da mesi. Trovare quei
posti sembrava che fosse la cosa più difficile sotto il cielo di Londra.
Confusamente qualcosa in me sapeva che la posta in gioco andava
ben oltre l‟apparente futilità di quel compito e mi spingeva a
rinnovare i miei sforzi per non lasciare nulla di intentato. Mentre il
tea time si approcciava, e con esso il temuto rendiconto al Dreamer,
avevo perfino fatto ricorso ad amici influenti dello show business.
Gli raccontai anche della mia visita a Lady Ellis in una pausa delle
votazioni a Westminster, e come perfino per questa strada non fossi
approdato a nulla. Stavo tirando fuori altri episodi di questa odissea,
per riempire ogni spazio, attendendomi da un momento all‟altro lo
scatenarsi della Sua ira o, peggio, la Sua irrisione, quando il
Dreamer mi interruppe ripetendo le parole del Suo esordio.
«„Tu‟ non potevi trovare quei biglietti!» disse nello stesso
tono, questa volta accentuando il „tu‟ con l‟irritazione che si prova
verso chi è duro a capire. Avvicinò impercettibilmente il Suo viso e
disse:
«Per trovarli avresti dovuto deragliare dal tuo destino…
trovarli ti avrebbe cambiato per sempre!»
Mi rivelò che, contrariamente a quanto pensassi, nel
momento stesso in cui mi aveva richiesto di cercare quei biglietti, la
cosa era già fatta. Questa affermazione del Dreamer mi lasciò di
stucco. Chi avrebbe potuto convincermi che le difficoltà che avevo
incontrato non erano oggettive?... E chi meglio di me poteva sapere
che cosa non avevo tentato pur di trovarli. Era facile parlarne lì,
seduti ad un tavolo del Savoy… Chi altri avrebbe saputo fare
meglio?...
«Sei ancora un uomo ipnotizzato dalla descrizione del
mondo... Per te il mondo è la verità! – sibilò mentre una vena di
irritazione nella Sua voce si faceva sentire con più forza – Quando
quell‟uomo ti ha detto che ci sarebbero voluti tre mesi, eri già
sconfitto. Da quel momento, tu non hai cercato i biglietti.»
Tentai di intervenire per assicurare che... Un gesto severo del
185
La Legge dell‟Antagonista
Dreamer mi raggelò prima ancora che potessi aprire bocca.
«Da quel momento non hai cercato i biglietti… ma tutti i
modi possibili per confermare la descrizione del mondo… per
rinsaldare la tua convinzione che le cose stavano veramente così,
che era impossibile farcela… Ogni tuo tentativo era preceduto dalla
tua rassegnazione… i „no‟ di cui eri convinto erano già lì ad
aspettarti, prima ancora che bussassi alla porta… per dare ragione
alla tua profezia di fallimento, per permetterti di onorare la
promessa fatta a te stesso.»
«Quale promessa?» balbettai. Un po‟ di luce si stava facendo
spazio tra le mie orribili certezze; un barlume di umiltà, e quindi di
comprensione, mi fece sentire la meschinità della mia lunga storia di
scuse.
«La promessa di arrivarmi davanti sconfitto, ma con la
presunzione di aver fatto tutto il possibile per riuscire» rispose il
Dreamer. Lasciò che una piccola pausa trascorresse prima di dirmi le
parole che non avrei più dimenticato.
«Credere a quell‟uomo… fa parte della tua obbedienza cieca
alla voce del mondo… Da quel momento, da quando hai accettato la
sua descrizione, hai lavorato non per vincere ma per giustificare la
tua sconfitta… È la storia della tua vita… una sconfitta
annunciata.»
Quella giornata mi passò davanti, come le immagini
compresse di una intera vita negli occhi di un moribondo. Non la
sequenza temporale degli accadimenti, però, ma gli stati d‟animo, i
pensieri e tutto quello che avevo provato durante la ricerca di quei
biglietti… Rividi la sfiducia nelle mie capacità, quella sensazione di
inadeguatezza, la paura di essere sopraffatto, l‟accanimento
nell‟accusare il mondo, inspiegabilmente ostile, e gli „altri‟, che
sembrava lo facessero apposta a tenermi nascosti quei biglietti, ed
infine i sensi di colpa. Mi resi conto del blob di emozioni spiacevoli
che mi avevano pervaso per tutto il giorno e che ancora
scorrazzavano nell‟Essere a loro piacimento. Le parole del Dreamer
mi stavano mettendo di fronte alla mia attitudine di sempre.
Quell‟impresa, apparentemente banale, aveva mostrato le ferite più
interne e rivelato la dolorosità e la grttezza dei miei limiti. La
maestria del Dreamer aveva piegato il mondo, aveva messo
l‟universo al lavoro per permettermi di vederli e superarli. Insieme
alla realizzazione della grandezza di quella opportunità, della sua
unicità, cresceva la mia tristezza per non avercela fatta. Nel tiro alla
186
La Scuola degli Dei
fune tra la realtà e la sua proiezione illusoria, tra la visione del
Dreamer e il mondo così come mi era stato descritto da sempre,
aveva vinto ancora una volta l‟illusione, l‟inesistente. Il mondo era
ancora la verità. Il suo potere ipnotico era troppo forte e la presenza
del Dreamer ancora troppo flebile.
«Il tuo non è stato un fallimento ma il risultato di un
fallimento, il riflesso di un crack interno, di una condizione
dell‟Essere. There are no failures in life but only effects.»
«Per trovare quei biglietti, avresti dovuto cambiare il tuo
passato!» riprese il Dreamer con un tono che rifletteva la mia nuova
attitudine. Quella che mi era sembrata un‟esagerazione insostenibile,
mi appariva ora come la più limpida delle verità.
«Se fossi stato capace di mantenerti fedele al Sogno avresti
cambiato il tuo destino» disse con spietata dolcezza come parlando
al rappresentante di un‟umanità permanentemente sconfitta. Poi in
un soffio aggiunse:
«La bella nel bosco addormentato è il sognatore dentro di te
che sa.»
Sentii di amare quell‟Essere più di ogni altra cosa al mondo...
Amavo quella lucidità che ora stavo provando con Lui... l‟avrei
trattenuta con le unghie e con i denti per non perderla... Il mondo
della integrità, delle soluzioni mi aveva detto: vai... è già fatta! Il
mondo della divisione, della conflittualità, della complessità, mi
aveva detto: è impossibile! Avevo obbedito alla descrizione
superficiale del mondo credendoci e identificandomi con la parte più
bassa e più povera.
Il Sogno è la cosa più reale che ci sia. Ma io costantemente
dimenticavo.
«Per non lasciarti corrompere avresti dovuto sconfiggere in
te la coscienza di scarsità, la conflittualità, il vittimismo, il sonno
ipnotico che fa di te un essere dipendente, pauroso, dubbioso,
infelice… La fede incrollabile degli uomini nella descrizione del
mondo è l‟origine della loro fragilità, la spiegazione ultima degli
eventi della loro vita e del ruolo che ad ognuno di essi è assegnato
nel teatro dell‟esistenza... »
«Anche la malattia è una bugia raccontataci dal mondo! Ci
ammaliamo, perché la malattia ci è stata descritta, e così
invecchiamo e moriamo, per imitazione, senza mai metterne in
discussione la realtà» denunciò il Dreamer. L‟innalzamento del tono
e l‟emozione speciale che faceva vibrare le Sue parole indicarono
187
La Legge dell‟Antagonista
che esse non erano più dirette a me soltanto, ma ad una invisibile,
immensa platea.
«L‟uomo ordinario non sogna, obbedisce ciecamente a un
racconto ipnotico dell‟esistenza. Ha dimenticato la sua unicità, la
sua natura di creatore. Perché non ha accesso a se stesso. Non si
conosce!… Whatever you dream, happens. If you begin to know
yourself, you will understand why the world is as it is. Adesso sai
perché il mondo è così!… Perché è così che tu lo sogni!»
A corto di pagine del taccuino, registrai queste parole su un
menu del Savoy e per alcuni minuti lo coprii fittamente di appunti
usando tutto lo spazio disponibile. Stavo ancora scrivendo, quando
Gli vidi fare un gesto per attirare l‟attenzione del maître.
«Andiamo» mi ordinò alzandosi senza aggiungere altro.
13 A teatro con il Dreamer
Appena fuori ci avviammo a piedi. Immaginai che avremmo
preso un taxi al volo, ma il Dreamer continuò ad allungare il passo
ed io Lo seguii. Era la prima volta che vedevo il Dreamer affrettarsi.
Potevo considerarmi ben allenato, eppure più volte dovetti
accelerare per restargli accanto, ed ogni volta il Dreamer mi distaccò
forzando l‟andatura. Correvo tutti i giorni intorno alla mia isola
sull‟East River. Avevo partecipato a maratone tra le più dure, come
quella di Oackland, ed a gare estreme, come il Trofeo Pepsi, a
Central Park, dove avevo percorso su bici 310 miglia in 24 ore, non
stop. E tuttavia facevo fatica a tenere il passo col Dreamer che
apparentemente non mostrava di fare alcuno sforzo.
Dove stavamo andando? Chi tanto importante da far
affrettare il Dreamer, stava aspettandoci? Avrei voluto
domandarGlielo ma non osai, né avrei trovato il fiato per farlo. D‟un
tratto, con l‟agilità di un ragazzo, il Dreamer inseguì e raggiunse un
bus, un vecchio double-decker che stava ripartendo proprio davanti a
noi. Accelerai ma non ce l‟avrei fatta se il Dreamer non mi avesse
allungato un braccio tirandomi a bordo quasi di peso. Stringevo
ancora la Sua mano quando lo guardai negli occhi.
D‟un colpo fui fiondato nella mia infanzia napoletana. Rividi
la mia banda di scugnizzi, le gare di disperato coraggio a Mergellina,
le corse sui binari, ed il salto sullo „staffone‟ del tram. A 10 anni
bisognava saperlo fare alla perfezione per poter essere ammesso tra
188
La Scuola degli Dei
quei piccoli guerrieri e condividerne l‟eccitante, rischiosa esistenza.
Quella volta qualcosa andò storto. Correndo a perdifiato avevo
agganciato lo „staffone‟, quella specie di ammortizzatore, o paraurti
posteriore, di ferro, ed ero pronto a saltarci su; ma il mezzo aveva
inaspettatamente aumentato la velocità. Non mi arrischiavo a
lasciare la presa né riuscivo a saltare su. Sentii la disperazione
crescermi dentro mentre le gambe stavano per cedere… Un braccio
esile ma forte si sporse dal finestrino posteriore e mi prese per il
polso. Saltai e fui salvo. Gli occhi di quel ragazzino che ridevano
calmi… erano gli stessi.. erano i Suoi occhi… Quante volte, in
quante circostanze avevo già incontrato il Dreamer? Quante volte
era già intervenuto nella mia vita?
Questa volta la sorpresa superò la mia capacità di
nasconderla e, mentre recuperavo il fiato, la mia espressione dovette
apparirgli talmente buffa che sentì di dovermi svelare almeno
qualcosa di quella misteriosa faccenda.
«Stiamo andando a teatro – disse ilare, come mai l‟avevo
visto – e non vorrei perdere l‟inizio dello spettacolo di questa sera.»
Immaginai che si trattasse di un‟opera di Samuel Beckett, di
Brecht o Cechov. Gli unici spettacoli per i quali si sarebbe
potuto giustificare l‟ottimismo di trovare due poltrone a quell‟ora. A
meno che… La spiegazione si fece spazio come una lama di luce.
Ma sì, non poteva essere che così… Ormai ne ero quasi certo.
Quando poi riconobbi il teatro in lontananza, non ebbi più dubbi. Bel
colpo! Dovevo ammetterlo. Il Dreamer mi aveva fatto mettere
Londra sottosopra mentre aveva già in tasca i biglietti. Quando
Gli manifestai la mia scoperta non poté fare a meno di riderne
apertamente.
«Non ho nessun biglietto!» disse avvicinandosi alla porta del
bus ed accingendosi a scendere. Ci restai male. Possibile che non mi
avesse creduto? Che non fossi riuscito a trasmetterGli l‟impossibilità
di trovare il più remoto posto per quella performance?
«È impossibile – dissi, sostenendomi ad una maniglia e
preparandomi a scendere con Lui – Non c‟è nessuna probabilità di
trovare posto, tantomeno a quest‟ora.»
Il Dreamer mi zittì con un cenno di fastidio.
«Preoccuparsi, dubitare, soffrire, sono l‟occupazione di chi
non sogna, di chi non ama, l‟occupazione di coloro che sono
ipnotizzati dal mondo della razionalità, dal mondo della
superstizione – disse, riprendendo il suo tono severo – sono i sintomi
189
La Legge dell‟Antagonista
di una psicologia frammentata, manifestazioni di un crack
nell‟Essere che preannuncia i disastri, fallimenti e sconfitte che
sono già in marcia nel mondo degli eventi.»
A quelle parole provai il senso di una bruciante umiliazione.
Nel teatro dell‟esistenza ero rimasto imprigionato nel ruolo del
guastafeste, nella gabbia dell‟uomo „razionale‟, coerente, del quale
da tempo avevo io stesso cominciato a provare nausea, ma che non
riuscivo ad abbandonare. Discese dal Bus ed io lo seguii. A
pochi passi vidi sfavillare le luci del foyer; era percepibile
l‟atmosfera magica delle grandi performance. Una nutrita folla
ancora sostava davanti ai cartelloni che sullo sfondo eroico della
insurrezione parigina del 1832, mostravano la sventolante bandiera
rivoluzionaria e in primo piano, lacera ed impavida, la figuretta della
eroina, eco del mito del monello Gavroche.
Lo spettacolo stava per iniziare. Vedendo la folla che si
disperdeva e quanti stavano allontanandosi delusi, in un lampo,
come una meteorite buia che mi attraversasse l‟Essere, potei cogliere
quel vigliacco senso di soddisfazione che i facili profeti di sventura
provano nel vedere giustificati i loro dubbi, quell‟effimero trionfo,
quella gioia malata, di chi vede avverarsi timori predetti. Insieme a
questo, avverti anche quel rinsaldamento nella propria viltà che la
plebe, la canaglia, prova nel vedere giustiziati gli eroi. Ebbi in quel
momento la certezza che quell‟angolo oscuro del mio Essere era
responsabile nei secoli di delitti orribili; che da quell‟ombra,
annidata in una piega dell‟anima, si erano generati guerre ed eccidi,
distruzioni e sofferenze immense. Per qualche attimo, sopraffatto dal
ribrezzo, dall‟orrore di me, restai col fiato sospeso a guardare la
trama dell‟Essere attraverso questo squarcio nella coscienza.
Intanto avevo perso di vista il Dreamer. Lo ritrovai e Gli fui
accanto. Per qualche secondo osservai con Lui il diradarsi delle
persone, finché davanti all‟ingresso del teatro non rimase che una
coppia: una donna di mezza età, di statura bassa e taglia forte,
accompagnata da un giovane alto e robusto. Avremmo poi scoperto
che erano madre e figlio, americani, e che stavano attendendo amici.
Elegantemente vestiti, avevano un aspetto aristocratico, l‟aria
autorevole e sicura di chi governa la propria esistenza. Il giovane
evidentemente più abituato agli spazi aperti che alla città, sopportava
con stoica dignità, ma con evidente afflizione, la stretta del papillon
e la scomoda eleganza del suo tuxedo.
Aveva in mano dei biglietti.
190
La Scuola degli Dei
14 Le Misérables
Scomparsa la folla, nella hall restammo solo noi e questa
coppia. I nostri sguardi si incrociarono. Scorsi nei loro occhi, rapido
come un baleno, un moto di riverenza verso il Dreamer, un inchino
dell‟anima; come avviene tra uomini e donne che, incontrandosi,
riconoscono una invisibile gerarchia.
Ripensai a tutte le volte in cui avevo visto il mondo
„riconoscere‟ il Dreamer ed in ogni occasione mostrare nei Suoi
confronti segni di rispetto e di elezione, con la sensibilità di una
pianta che avverte la presenza, e offre la sua gratitudine a chi ne ha
cura e ne alimenta le radici.
Questi pensieri mi riportarono a un episodio accaduto a New
York. Mi trovavo col Dreamer in un ascensore che lungo il percorso,
fermandosi ai piani, si riempì di gente. Uscendo, il Dreamer mi fece
notare come la vera differenza tra quegli uomini e quelle donne era
il modo in cui avevano vissuto, con più o meno imbarazzo, quella
piccola eternità tra i piani. Mi spiegò che, sia pure per pochi secondi
e senza che ne fossero consapevoli, nell‟ascensore si era formata una
gerarchia, una piramide della responsabilità, sui cui gradini, dalla
base al vertice, ciascuno era andato ad occupare il posto che gli
corrisponde.
Dovunque si incontrino, per pochi istanti o per anni,
gli uomini si dispongono su piani diversi
di una piramide invisibile rispettando un ordine interiore,
matematico,come gerarchie planetarie fatte di luminosità,
di orbite, di massa e di distanza dal loro sole.
Ci sono gradi e livelli d‟Essere.
È una legge universale.
Si avviò con la coppia americana un breve dialogo. Ci
dissero che, stranamente, fino a quel momento, i loro amici non si
erano fatti vivi. Mentre la conversazione procedeva, mi accorsi che
l‟espressione della signora si andava modificando, e la vidi diventare
sempre più leggera, serena, quasi euforica. L‟inizio dello show era
imminente e non era il caso di aspettare oltre. Rivolgendo al
Dreamer un aperto sorriso, che dimostrava come non fosse molto
dispiaciuta di quel cambiamento di programma, la signora ci offrì di
entrare con loro. Avevano le poltrone migliori, prenotate prima
191
La Legge dell‟Antagonista
ancora di lasciare gli USA. Ogni mio tentativo perché accettassero il
prezzo dei biglietti fu respinto con cortese fermezza. Eravamo loro
ospiti.
Non mi sarei mai abituato alla miracolosità che
costantemente aleggiava intorno al Dreamer. Avrei voluto dirGli
qualcosa, scusarmi per il mio scetticismo, ma il Dreamer non mi
diede neppure un‟occhiata, apparentemente impegnato in una fitta
conversazione con la signora che ora stava entrando con Lui,
appoggiandosi al Suo braccio.
Com‟era possibile che i biglietti fossero lì ad attenderci? La
mente vacillava al pensiero che quella coppia di americani,
l‟impedimento dei loro amici, perfino il loro viaggio in Europa, li
aveva creati il Dreamer, li aveva materializzati in quel momento, lì,
sotto i miei occhi. La Sua maestria stava capovolgendo per sempre
la mia visione del mondo.
Quando fummo comodamente seduti nelle prime file, mentre
le luci si abbassavano, Gli sentii sussurrarmi all‟orecchio:
«Credere e vedere sono una sola cosa, come l‟essere e il
divenire. Nel tempo vedrai tutto quello in cui credi e realizzerai tutto
quello che sogni.»
Nella penombra del teatro quelle parole appena sussurrate
evocarono la magia di un antico coro. Sentii l‟animo innalzarsi e
provai quel sentimento di purezza, di liberazione che annuncia la
soluzione, che è la guarigione; l‟alchimia dell‟espiazione che
l‟antica tragedia suscitava negli spettatori con il suo sciogliersi
secondo le leggi della giustizia.
«Per credere devi essere integro, impeccabile. Il più piccolo
crack nell‟Essere, l‟ombra di un dubbio, ti fa rientrare tra le schiere
dei morituri, degli sconfitti, dei miliardi di esseri che hanno
abdicato il loro diritto d‟autore, intrappolati nell‟inferno del vedere
per credere…»
Il Dreamer mi aveva a lungo preparato e tuttavia, toccare con
mano che il mondo lo creiamo noi, mi stava facendo barcollare
sull‟orlo di una voragine.
Ogni uomo è un creatore…
Il mondo è un chewing-gum…
Whatever you dream, happens…
Capii che l‟umanità soffre perché vede il mondo sottosopra.
Credere e vedere sono una sola cosa ma gli uomini li percepiscono
192
La Scuola degli Dei
separati, divisi dal tempo, ed attendono di vedere per credere. La
sofferenza ed il dolore esistono perché sono il solo modo che
l‟umanità conosce per colmare questo gap illusorio. Quando credere
e vedere si fondono in un uomo, egli sta eliminando anche ogni
sofferenza e dolore dalla sua vita, banditi per sempre dal suo
universo personale.
«Credere per vedere è la legge del creatore,è il principio di
chi governa ed è la legge ineluttabile dei re − disse, mentre il sipario
già si sollevava − Credere appartiene all‟arte del sognare ed è la
qualità intima del sognatore… Nella radice di credere c‟è creare…
Il Sogno è la cosa più reale che ci sia…»
La Sua voce si abbassò ancora, fino a diventare poco più di
un bisbiglio. Feci fatica a cogliere le parole, ma sentii distintamente
la severità della Sua intimazione. Riferendosi alla storia de Les
Misérable, disse:
«Attento. Al di là della sua ottocentesca pateticità, questa
storia contiene una grande lezione sull‟Antagonista... È una
parabola universale che riguarda tutta l‟umanità. È il racconto di
un uomo che non sa „perdonarsi dentro‟… come te!»
Les Misérable era la riduzione a musical della storia di un
implacabile antagonismo: la caccia condotta per anni da un
poliziotto dalla deontologia d‟acciaio, il fanatico Javert, per
assicurare ad una giustizia ingiusta il galeotto evaso Jan Valjean,
condannato a 20 anni, e poi all‟ergastolo, per aver rubato del pane.
Nella storia, quell‟uomo braccato, Jean Valjean, assurge a simbolo
della generosità, della bontà dell‟individuo umiliato, abbrutito dalla
iniquità del consorzio umano, dalla spietatezza delle sue leggi. Sullo
sfondo, in filigrana scorre l‟epopea gloriosa e miserabile di un intero
popolo, la vita dei bassifondi parigini, l‟insurrezione del „32, la
battaglia di Waterloo.
Conoscevo fin da bambino quella storia che mio padre
Giuseppe amava raccontarmi. Ancora ricordavo vividamente la sua
commozione ogni volta che arrivava al punto in cui Jean Valjean,
invece di lasciar morire il suo persecutore e liberarsi finalmente del
fanatico Javert, gli salva la vita, contro ogni sensatezza. La
generosità di questa azione sovverte tanto la descrizione del mondo
del poliziotto inflessibile che, incapace oramai di convivere con i
suoi valori, una volta sovvertite le sue convinzioni più radicate sul
bene e sul male, si uccide.
193
La Legge dell‟Antagonista
«Javert/Valjean anche i nomi sono assonanti… Essi sono la
stessa persona − mi rivelò poi il Dreamer − Quando finalmente egli
si perdona dentro… quando salva la vita a Javert… quando
armonizza gli opposti dentro di sé, allora è pronto per un
Antagonista più intelligente e potente. Il vecchio Antagonista,
superato, compreso, non ha più ragione di esistere… scompare… si
uccide. In realtà non era mai realmente esistito se non come la
materializzazione di un‟ombra, di una incompletezza del suo
Essere… »
Le parole del Suo insegnamento senza tempo riecheggiarono
potenti e trovarono risonanza in ogni atomo del mio Essere.
«L‟unico nemico è dentro di te! Fuori non c‟è nessun nemico
da accusare né da perdonare, e nessun male che possa nuocerti…
Non temere l‟Antagonista. È lui il tuo migliore alleato. È lui che ti
indica il cammino più breve per il successo. Il suo unico e solo
scopo è la tua vittoria.»
Quando le luci si riaccesero il Dreamer non c‟era più ed io
trascorsi il resto della serata con i nuovi amici americani… ma con
la mente rivolta al Dreamer ed al Suo straordinario insegnamento.
Dalla notte dei tempi, da quando la prima scintilla di riflessione ha
attraversato la coscienza dell‟uomo, sono esistiti ricercatori e scuole
dell‟Essere, scuole di preparazione interiore. La Scuola di Pitagora,
l‟Accademia di Platone, il Liceo di Aristotele, quella di Plutarco, il
primo cristianesimo e tutte le più grandi scuole dell‟antichità, fucine
dello spirito, trovavano nel Dreamer la loro epitome, la ragione
stessa del loro esistere e la continuità della loro missione.
194
La Scuola degli Dei
CAPITOLO V
Addio a New York
1 Per le strade di Manhattan
Gli headquarters della ACO occupavano un elegante palazzo
di nove piani, un gioiello di marmo e alluminio incastonato tra i
grattacieli di Park Avenue. In quattro minuti da Roosevelt Island
raggiungevo in tramway la 60.ma, sorvolando l‟East River a bordo
di una dondolante navicella. Facevo poi a piedi un tratto di pochi
isolati attraverso il cuore pulsante di Manhattan. Lungo il cammino
una folla sterminata mi fasciava, come un fiume, mi trascinava
lungo un alveo di strade e ripe fatte di building dai mille occhi
vetrati.
Erano trascorse alcune settimane dal nostro ultimo incontro,
ma le Sue parole, come una sostanza viva, preziosa, stavano ancora
agendo con una forza sconosciuta. Le sentivo diventare ghiandole,
tessuti, organi capaci di distillare una chimica di attenzione, di
vigilanza. Ogni cosa cominciava ad essere più chiara. Quella massa
umana che fino a quel momento mi era apparsa un coacervo
indifferenziato, ora si mostrava variegata in colori, in energia, in
frequenze. Osservando la gente intorno attraverso gli occhi del
Dreamer, realizzai che ogni più piccolo particolare denuncia la
posizione che ognuno di noi occupa nella scala dell‟Essere, e il
nostro ruolo nel mondo.
Tutto è connesso a tutto e nulla è separato
Camminavo e sentivo quella moltitudine respirare con me,
come un unico immenso Essere. Potevo sentirne le paure, respirarne
gli umori. Potevo ascoltarne i pensieri. Rilevai quanto fedelmente
essi si rivelassero attraverso gli abiti, nei movimenti, nelle attitudini,
195
Addio a New York
nel passo, nel lavoro che li aspettava e verso cui si affrettavano. La
loro visione, le loro aspirazioni erano limitate quanto i ruoli in cui
l‟esistenza li aveva mirabilmente confinati.
Our level of Being creates our life and not vice versa
Stringevo al petto queste Sue parole, come uno scudo, o un
talismano, mentre fendevo quel blob umano al quale mai prima
avevo avuto la consapevolezza di appartenere. Sentivo il canto di
dolore che si levava da ognuna di quelle cellule; per la prima volta
ascoltavo l‟incessante monologo interno di un‟umanità che non sa.
Ne sentivo la solitudine dolorosa mentre mi passavano accanto, ne
ascoltavo il brusio, simile al fremito di milioni di ali d‟insetti. Prima
di incontrare il Dreamer mi piaceva sentirmi parte di quella gente,
amavo quella città. Ne vivevo tutti i rituali. Mi immergevo nelle
street fairs più affollate, facevo la coda per accaparrarmi un biglietto
per gli spettacoli più gremiti. Strofinare i gomiti con migliaia di
sconosciuti, vivere con milioni di altri in una metropoli, lavorare per
una grande corporation, mi aveva sempre dato un senso di sicurezza,
di appartenenza.
Ora una nuova lucidità stava eliminando ogni compromesso.
Li „vedevo‟, e attraverso loro, come in uno specchio deformante,
vedevo me. Riconoscevo la comune condizione di esseri
imprigionati nei ruoli, maschere tragicomiche segnate da una
perpetua smorfia di dolore che non smetteva mai, neanche mentre
ridevano; macchine azionate nel sonno da fantasie meschine e
desideri futili.
Dal Dreamer avevo appreso che gli altri sono una nostra
proiezione. Quegli uomini e quelle donne erano me. Ero circondato
da una miriade di specchi! In essi la mia immagine si rifletteva
all‟infinito frangendosi in mille immagini che erano sempre,
dolorosamente, me. Camminando osservavo la bava di emozioni, la
scia di pensieri che ogni essere umano si lascia dietro, come la
traccia limacciosa di una grande lumaca.
Ero anch‟io uno di quegli esseri distratti che vedevo passarmi
accanto, sigillati in una bolla di preoccupazione e di egoismo. Ero
una goccia di quel fiume stigio che scorreva inconsapevole tra i
grattacieli, che invadeva le strade e le percorreva spasimando verso
il suo destino mortale. Una sola cosa mi distingueva. Avevo
196
La Scuola degli Dei
incontrato il Dreamer. Ora sapevo che c‟era una rivoluzione da fare.
In quella direzione, con il Suo aiuto stavo muovendo i primi passi.
Tra mille visi nessuno era rivolto al cielo. Invano avrei
cercato un volto libero, uno sguardo attento, il segnale di un essere
umano vivo che provasse un atomo di gratitudine per l‟opportunità
di essere al mondo, di aver parte in questo meraviglioso universo.
Inutilmente lo specchio della mia attenzione sperava in un alito di
cui appannarsi, una bocca che emanasse un segno di vita.
A tratti tornava la visione incantata; ritrovavo in me il
bambino che stretto al fianco di Giuseppona guardava rapito il
grande circo variopinto del mondo. Allora mi guardavo intorno alla
ricerca di compagni di quel gioco. Ma Manhattan aveva bambini
quanti il regno di Erode.
Una mattina nevosa notai un giovane di colore, snello e ben
vestito, con un look europeo, che si distingueva tra la folla per una
luminosità speciale. Sull‟aureola di capelli crespi che gli
incorniciava il viso, fiocchi di neve si erano depositati lievi, come
sulle siepi di Central Park. Avemmo appena il tempo di scambiarci
un sorriso incrociandoci.
Ebbi l‟impressione che anche lui
„sapesse‟, che mi „riconoscesse‟. Fu una sensazione fugace ma per
un attimo nutrii la speranza che in quell‟immensa città non fossi
solo, che tra quegli esseri boccheggianti, nel torpore di
quell‟umanità inerte, esistessero corpuscoli pulsanti, cellule vive.
Da quando il Dreamer mi aveva aperto gli occhi sulla
condizione impiegatizia rivelandola come una moderna
trasposizione della schiavitù, quell‟esercito di uomini e donne che
andava a lavoro mi appariva simile a uno sciame di insetti spinto da
una necessità cieca. Ogni mattina li vedevo affollare interi piani di
grattacieli, occupare milioni di celle, piccole come alveoli,
riempiendole del loro ronzio. Nelle loro ghiandole trasportavano una
sorta di vita allo stato limoso: un carico di pensieri bui e lo sciroppo
denso delle loro emozioni. E mentre anch‟io andavo ad occupare la
mia celletta, pensavo alla sterminata popolazione planetaria
destinata come me a spendere nelle organizzazioni la maggior parte
della propria vita in cambio di una retribuzione.
Mi chiedevo quale fosse il significato evolutivo di tutti quegli
sforzi e dove fosse volto l‟affanno di così tanti uomini ingabbiati
nello spazio ipnotico dei ruoli. Dentro e fuori dalle organizzazioni li
vedevo attanagliati dalla paura; in essi riconoscevo le mie angosce,
la mia infelicità. Sotto la sottile pellicola di apparente razionalità,
197
Addio a New York
vedevo nascosta la logica conflittuale, il pensiero distruttivo,
quell‟impulso di morte che ci spinge incessantemente a danneggiare
prima noi stessi e poi gli altri. Sotto stratificazioni emozionali
sedimentate da secoli riconoscevo l‟inquinamento dell‟Essere
prodotto da ansietà, dubbi, insicurezze e da una sconfinata paura sia
di vivere che di morire. Scivolavo in un vero e proprio terrore al
pensiero che senza il Dreamer sarei ritornato a far parte di questa
genia di falsi vivi.
Una volta Gli chiesi cosa intendesse con l‟espressione
„uomini ordinari‟, o „orizzontali‟, come spesso li chiamava.
“Sono gli uomini e le donne che studiano, insegnano,
lavorano… che fanno figli, che li allevano… che progettano e
costruiscono strade e grattacieli, scrivono libri, fondano chiese,
ricoprono incarichi privati e ruoli pubblici, anche ai più alti livelli”
fu la Sua indimenticabile risposta.
“Il tutto sotto ipnosi − aggiunse dopo qualche istante di
studiata suspense – Essi brancolano nel sonno, permanentemente
sigillati in una bolla di dimenticanza e di infelicità.”
Quando ricordavo queste parole e sentivo quel destino
incombere, sempre pronto a risucchiarmi, l‟Essere si chiudeva a
pugno in un unico immenso desiderio di evadere, di segare le sbarre
di quelle prigioni e fuggire.
“Quando hai „visto‟ il gioco, non puoi più farne parte” mi
aveva rivelato il Dreamer, ed io sentivo che per quanto doloroso
potesse essere il „lavoro‟ per capovolgere la visione ordinaria del
mondo, la mia vita stava cambiando e sarebbe stato impossibile
tornare indietro. Ora sapevo che possedere il proprio destino è
possibile. Sentivo finalmente di contenere, di poter governare la mia
esistenza. Il mondo delle organizzazioni e del business che mi aveva
sempre affascinato per la sua spietata concretezza, e tutto quello per
cui stavo lavorando da anni: la carriera, il successo, la famiglia, il
denaro, cominciarono a prendere un nuovo significato. Perfino New
York, che avevo così amato, desiderato, spesso mi appariva come
una specie di universo di cartapesta, rumoroso e futile come un
circo, con lo stesso intenso odore di povertà polverosa e di
vagabondaggio.
Per il Dreamer l‟universo fisico, dagli insetti alle galassie, e
tutto quello che è fuori di noi, il mondo visibile, ma anche quello che
non vediamo e non tocchiamo, è il microcosmo, e il mondo
dell‟Essere è il macrocosmo.
198
La Scuola degli Dei
Nel microcosmo, tutto è lento.
Ci sono ostacoli, limiti, priorità da rispettare…
È il dominio del tempo… gli uomini vi procedono in fila indiana,
come su una linea,il sorpasso è impossibile…
Dedicati all‟Essere…
Solo dentro di te, ad occhi chiusi, potrai volare, sognare…
innalzarti sul piano dell‟ordinarietà e andare oltre.
Il vero agire è nel „non-fare‟…
Se perdi un millimetro di ignoranza
sentirai tremare dalle fondamenta le piramidi del business
ed i templi della finanza con i loro eserciti di schiavi e sacerdoti.
In bilico sul ciglio di quel mondo, ne guardavo ad occhi
sbarrati il divenire e la mia posizione in esso. Avrei voluto trattenere
quella visione, fare mia quella condizione di distacco, meravigliosa e
terribile, che mi permetteva di „vedere‟. Temevo di perderla da un
momento all‟altro e di essere di nuovo ingoiato dalla macchina del
mondo, risucchiato dalla sua „forza rotante‟. Ero certo che se
avessi potuto mantenere quel distacco ancora soltanto per un po‟,
sarei diventato definitivamente un estraneo per quel mondo, come
una termite sottratta per due giorni alla influenza ipnotica del
termitaio.
Per cambiare la natura degli eventi
bisogna cambiare la nostra visione.
Un giorno l‟universo materiale diventerà il nostro capolavoro,
l‟immagine speculare della volontà disseppellita, perfetta
materializzazione dell‟Arte del sognare.
Il ricordo costante degli insegnamenti del Dreamer, il lavoro
di autosservazione, di studio, gli esperimenti che conducevo sul
cibo, sul sonno e sul respiro, la corsa tutte le mattine e gli altri
esercizi fisici, il silenzio, stavano spaccando il bozzolo in cui ero
imprigionato. Attraverso quella feritoia già filtrava la luce di una
nuova esistenza.
199
Addio a New York
2 Gli strumenti del Sogno
Jennifer finse per giorni di non accorgersi di nulla. Al suono
della sveglia che mi chiamava alla corsa, si limitò per qualche tempo
a girarsi dall‟altra parte. Per lei, non c‟era da fare altro che attendere
che pigrizia e vecchie abitudini venissero a riprendermi, come
selvaggina tra le fauci di un flatcoat retriever. Provai a parlarle.
Senza dirle del Dreamer, tentai di farle capire qualcosa della
rivoluzione che mi era scoppiata dentro e di quel mondo invisibile in
cui stavo avanzando i primi, faticosi passi. Fu tutto inutile.
Accelerai. Più acceleravo e più il tempo si comprimeva. Era
incredibile quanto riuscissi a fare in quell‟ora, e quanto poteva
ancora starci. Più diventavo veloce e più sentivo crescere l‟energia
per fare di più e portare in profondità quella ricerca che era diventata
il solo interesse della mia vita. Guadagnando velocità nella corsa,
accelerando ogni movimento, sottraevo tempo al tempo.
Prodigiosamente quell‟ora al mattino si dilatò e così il lavoro su me
stesso. Infine, la riflessione su qualche Suo pensiero scelto dal mio
inseparabile taccuino, assorbiva gli ultimi minuti e mi connetteva al
Dreamer dando una direzione alla mia giornata.
Per il Dreamer vivere nell‟attimo è la cosa più preziosa nella
vita di un uomo. Mi sforzai di potenziare il „qui ed ora‟ come una
disciplina da praticare costantemente.
Step out of the time dimension as much as possible
in your everyday life.
Self observation is the cure…
The moment you realize that you are not present,
you are present.
Ogni mattina mi proponevo di non differire dall‟attimo, di
mantenere almeno per un tratto della mia giornata questa chimica
speciale di attenzione. Purtroppo bastava rientrare nella routine del
lavoro per dimenticare e cadere preda di mille pensieri. Con il venir
meno della vigilanza, come al cedere di un argine, preoccupazioni,
ansietà, immaginazioni negative mi attaccavano riducendomi alle
proporzioni di un nano mostruosamente piccolo. Solo ogni tanto,
come „risvegliandomi‟ da un incubo, mi accorgevo di essere ridotto
a un colabrodo. Mille ferite nell‟Essere disperdevano la vita.
200
La Scuola degli Dei
Attraverso l‟autosservazione
un uomo entra nei meandri più oscuri del suo Essere.
Solo allora ci sarà una vera trasformazione,
troverà un vero significato al suo esistere.
Attraverso l‟autosservazione e la corsa scoprii la connessione
che esiste tra corpo, emozioni e pensiero. È impossibile nutrire una
preoccupazione o mantenere un malumore se la parte fisica del
sistema viene spinta ad una più alta velocità. Gli stati più bassi
dell‟Essere potevano sopravvivere solo con l‟indulgere nelle fasce
più dense e lente dell‟esistenza.
A loro volta, il modo di pensare e la qualità delle emozioni
producono, inevitabilmente, un‟azione sul fisico. Lo sforzo
intenzionale di alleggerire un pensiero o di trasformare un‟emozione
può modificare a velocità elettronica condizioni fisiche e perfino
tratti somatici. Il pensiero, l‟emozione ed il fisico si stavano
rivelando un unico universo fatto di mondi concentrici ed
interagenti, dove gli stessi eventi propagano i loro effetti a velocità
ed in tempi enormemente diversi. Realizzai quanto complesso
sarebbe stato un lavoro di conoscenza e di cambiamento se avessi
cominciato dalle parti più sottili e veloci dell‟Essere invece che
intervenire sul fisico.
If you raise your body‟s vibration,
the entire world will be elevated to a frequency
where every strife, division and war will disappear,
and only harmony, truth and beauty will exist.
Erase limitations from within.
Put forth the command that you are the very cause of all and
everything and flood the entire universe
with your inner light of life and power.
La corsa portò inoltre attenzione sul respiro. Nonostante sia
la funzione più vicina a noi, e più vitale, raramente ne siamo
consapevoli. Il respiro accompagna ogni funzione della nostra vita,
seguendo il ritmo dei nostri pensieri, modulandosi con l‟intensità
delle emozioni, con lo sforzo fisico, connettendo ogni fibra
dell‟Essere, i nostri centri vitali. Noi viviamo tutta la vita con un
respiro corto e superficiale. Raramente proviamo gratitudine per il
201
Addio a New York
respiro e riconosciamo il debito che abbiamo contratto con la nostra
prima boccata d‟aria.
“Un giorno saprai come si fa a trasformare il mondo, a
innalzare il tuo livello di responsabilità, attraverso gli strumenti del
Sogno: pensiero e respiro”, mi aveva detto il Dreamer. Non a caso
responso, respiro e responsabilità hanno una comune radice latina, e
lo stesso etimo.
“Il mondo si modella con il tuo grado di responsabilità – mi
disse quella volta entrando nel mulinello dei miei pensieri, mentre la
magia di quella scoperta mi faceva volare – L‟ampiezza del respiro
di un uomo corrisponde al suo grado di responsabilità… e
determina tutto quello che può possedere e fare… You can possess
only what you are responsible for.”
Attraverso le parole del Dreamer l‟equilibrio fondamentale
che esiste tra essere ed avere si stava rivelando una legge capace di
spiegare il mondo. La portata di quella scoperta era tale da lasciarmi
col fiato sospeso ad ogni riprova della sua universalità. L‟equazione
tracciata tra responsabilità e ricchezza, tra essere e potere
finanziario, segnava anche il limite di quello che può essere dato,
affidato ad un uomo, e la misura di quanto egli può possedere,
comprendere, contenere. Un giorno l‟avrei trasferita ai miei studenti,
dimostrando come la sua applicazione si estenda ad organizzazioni,
a nazioni, ad intere civiltà.
Anche nel mondo zoologico una sorta di „etologia dell‟avere‟
assegna fauci e artigli micidiali ad animali dotati del miglior sistema
nervoso e armi sempre meno potenti a quelli più arretrati nella scala
del controllo dell‟aggressività intraspecifica. Ad una tortora, che
spiuma il suo avversario fino ad ucciderlo, mai la natura darebbe gli
artigli e la forza di un leone che ha la deontologia del più leale dei
cacciatori e vive in simbiosi, in perfetto vantaggio reciproco, con le
sue prede.
Dal regno animale fino alle moderne società umane, in
nessuna organizzazione è consentito di avere armi e, in generale, un
potere offensivo superiore alla propria capacità di controllo.
3 La menzogna
Giorno dopo giorno guadagnavo fiato e velocità; e con
questi, un po‟ di leggerezza nell‟Essere. Arrivai così ad amare quello
202
La Scuola degli Dei
sforzo e a benedirlo dentro. Continuai il lavoro anche nelle altre
direzioni che il Dreamer mi aveva indicato, cercando di applicare i
Suoi princìpi alla mia vita per quanto mi era possibile. Non poche
volte li fraintesi, e spesso li disattesi. Per un periodo di tempo mi
esercitai in alcuni sport estremi nella convinzione di poter rafforzare
il coraggio, la fiducia in me stesso.
“Non cercare certezze fuori o negli occhi degli altri. Non
fingerti coraggioso – mi avrebbe detto un giorno il Dreamer – Il
vero coraggio è la vittoria sulla propria menzogna. Lascia questi
sport e le imprese temerarie a chi ama le proprie paure, a chi ne
dipende. Essi servono solo a rafforzarle. Qualcuno bugiardo come
te, ora ha la vita sospesa a un polmone d‟acciaio.”
Immediatamente il pensiero corse a A.F., l‟esploratore
italiano le cui imprese temerarie mi avevano affascinato e che avevo
conosciuto personalmente. Ricordo che, mesi prima dell‟incidente il
Dreamer mi aveva detto che sarebbe stato ucciso dalla sua bugia, per
essersi confrontato con false sfide invece di affrontare i mostri
interni.
“If you want to expand your life you have no need to expose
yourself to extreme experiences… Expand your vision, ideas and
thoughts through the power of earnestness and sincerity and there
will be no battle you will not win.”
La ragione per cui tanti praticano sport estremi e si
avventurano nelle imprese più rischiose è che in condizioni di
pericolo sono costretti a sperimentare stati di intensa vitalità, liberi
dal tempo, dai problemi, dal peso del mondo. Quando la distrazione
di un solo istante può significare il rischio della vita, il differimento
dal momento non è più possibile. Ma questa condizione è artificiale,
crea uno stato di dipendenza. Ti sottrae ad un ipnotismo per renderti
schiavo di un altro.
Un giorno per vincere le tue paure
non avrai bisogno di affrontare gli oceani
o di praticare il volo acrobatico.
Sparita la menzogna, entrerai nel „powerful state of Nowness‟
con la massima semplicità.
Perché vivere nel „qui e ora‟ è il solo stato naturale,
eroico, immortale dell‟uomo.
Immortali si può essere solo Adesso e l‟Adesso è per sempre!
Remember! All happens here, in this everlasting 'Instant',
203
Addio a New York
in this everlasting body.
All that you are Now paradoxically creates
all that you have always been and all that you always will be.
Focus all your attention on Now
and nothing will ever be impossible to you.
Now is the seed of the universe.
All possibilities lie in Now.
Per il Dreamer indulgere nella memoria del passato o
nell‟immaginazione del futuro è la causa vera di tutti i nostri
problemi.
Presto cominciai a vedere i risultati dei miei sforzi. Una
maggiore lucidità, l‟acuirsi di uno spirito vigile, stavano rivelando
mondi fino ad allora invisibili, permettendo scoperte semplici eppure
rivoluzionarie. Osservando il numero crescente di persone obese e
l‟espandersi di questo fenomeno non solo a New York e in America,
ma in buona parte del mondo occidentale, chiesi al Dreamer una
spiegazione.
“La menzogna si nasconde sotto molte maschere − mi disse
− L‟obesità è una di queste. Dietro la recita macabra del loro
umorismo e della ostentata generosità, così frequente nei grassi, si
nasconde la loro rinuncia alla vita, il loro tentativo di suicidio.”
La trasformazione spesso mostruosa dei loro corpi è soltanto
il riflesso più grossolano, il sintomo acutizzato di una malnutrizione
psicologica. L‟ingozzarsi di junk food, l‟assimilazione di cibi guasti
o di montagne di calorie alimentari, sono soltanto l‟effetto di una
malattia dell‟Essere.
Quando riportai al Dreamer l‟informazione che negli USA
gli obesi avevano superato di alcuni punti la metà della popolazione,
disse:
“È il segnale di indebolimento della volontà di un intero
popolo... Una civiltà dipendente dal cibo si sta eliminando. Anche la
sua economia, come ombra dell‟Essere, rifletterà questa
dipendenza, questo offuscamento della volontà. In breve tempo si
indebolirà e sarà ingoiata da predatori più veloci, da civiltà più
integre. Your physical destiny is intimately related to your mental,
emotional, financial destinies.”
Insieme alla mia vitalità sentii accrescersi un senso di
vicinanza al prossimo, una disposizione a fare qualcosa per gli altri,
204
La Scuola degli Dei
per quanti vedevo intrappolati in una esistenza senza vie d‟uscita.
Era qualcosa che non avevo mai provato prima; una specie di
compassion per quelle creature che vedevo permanentemente
immerse nell‟angoscia.
“Smettila di indulgere! − mi urlò una volta, investendomi
con parole di fuoco − La tua autocommiserazione prende a prestito
la condizione dell‟umanità per nascondersi e perpetuarsi. La tua
vanità ti fa credere di essere già guarito e di poter fare per gli
altri… La sola cosa che puoi veramente fare per aiutare il mondo è
svegliarti dal tuo incubo. Smettila di credere che ci sia qualcuno o
qualche situazione che abbia bisogno del tuo aiuto. Smettila di
credere che il mondo sia una realtà esterna, separata da te. Lascia
che aiuti il mondo chi ne è separato!”
Solo molto tempo dopo avrei capito il significato di quelle
parole ed aperto gli occhi su tutta la falsità che si nasconde dietro
l‟altruismo, dietro ogni forma di assistenzialismo promosso da
istituzioni che vivono sui sensi di colpa della gente.
“Sono organizzazioni che hanno il solo fine di perpetuarsi −
le bollò il Dreamer − Sono specializzate nell‟ottenere fondi e nel
raccogliere risorse che poi disperdono e sperperano, riuscendo a
malapena a sostenere se stesse. Se sollevi la cortina fumogena della
filantropia, in ogni sua forma, potrai scoprire che dietro suffragisti
e salvation armies, dietro aiuti medici, farmaceutici e soccorsi
alimentari, c‟è la criminalità più efferata e la più intensa delle
attività contro l‟uomo…”
“Non perderti in rimpianti, o in pietismi. Nessuno può fare al
posto di un altro. Sta a lui, soltanto a lui, coglierne l‟opportunità.
Everything happens for a reason and a purpose, and it serves you.
Chi non ha sconfitto in sé la menzogna, chi non è consapevole
dell‟autosabotaggio che continuamente avviene in se stesso, non può
fare niente per nessuno.”
“Man dies because he lies” fu il motto che coniò il Dreamer
a conclusione del Suo discorso e come sintesi di quel dramma tutto
umano che è la menzogna. L‟uomo muore perché mente... e
innanzitutto a se stesso.
205
Addio a New York
4 Addio New York
Un giorno mi accadde di cantare sotto la doccia. Riconosco
che fu un‟imprudenza. Il Dreamer mi aveva ben avvertito
dell‟esistenza di guardie carcerarie che sorvegliano la nostra
prigionia e che proprio le persone a noi più prossime, i nostri „cari‟,
sono i secondini più attenti, i guardiani più implacabili. Quel
segnale, da me lanciato incautamente, quella manifestazione di
spensieratezza, fornì a Jennifer l‟evidenza che un tentativo di
evasione era ormai in corso da settimane. Lo associò alle mie nuove
abitudini alimentari, al fatto che avevo recuperato un peso-forma,
che avevo migliorato il tono dei muscoli e della pelle, il mio look, i
vestiti, le letture, e passò all‟azione.
Tentò ogni strada per riportarmi nei vecchi recinti, ma la fuga
era andata troppo oltre. Altre gabbie, trappole più subdole mi
attendevano per certo. Ma non più quelle.
Già da settimane non bisticciavamo più. Accusarci, urlare,
tenerci il broncio per poi far finta di ritrovarci, di essere ancora
innamorati, erano stati espedienti per riempire il vuoto del nostro
rapporto e della nostra vita; modi per tenerci aggrappati l‟uno
all‟altra, fermi in un inferno di falsità e di noia. Il tentativo di
ricostruire la famiglia con Jennifer, dopo la morte di Luisa, poggiava
sulle sabbie mobili della nostra immaturità e richiedeva continui
compromessi per reggersi in piedi. Ora anche quel falso equilibrio si
era rotto per sempre. Niente più funzionava. Il fumo mentato delle
sue Saint Moritz ed il trucco acceso delle labbra non appartenevano
più al mondo che sognavo e che cominciava a prendere forma. Fu
così che nel giorno del Columbus Day Jennifer impacchettò ogni suo
avere (sarebbe più preciso dire che, nel miglior stile di una
separazione all‟americana, svaligiò l‟appartamento pressoché di
tutto) e ritornò dai genitori nel New Jersey, dall‟altra parte del
Washington Bridge. Addio Jennifer, non l‟avrei rivista mai più.
Giravo finalmente pagina.
Quando Giuseppona rientrò con i bambini e trovò
l‟appartamento svuotato, ebbe una sola preoccupazione. Da un
angolo segreto della cucina, con una mano aperta sul cuore e un
sospiro di sollievo, tirò fuori la sua vecchia caffettiera. La baciò con
ostentata venerazione. Era l‟unico bene che non avrebbe voluto
perdere e che aveva prudentemente nascosto. La caricò e la mise sul
fuoco. Poi con la solennità di un‟antica auspice, disse: “Tanto chella
206
La Scuola degli Dei
non faceva per te!” La scelta di quelle parole, memorabile epilogo
delle mie storie adolescenziali, ed il tono della voce, le trasformò in
un comico epitaffio che unì la famiglia in una gioiosa, lunga risata.
La leggerezza, la fragranza di quel momento si fusero col profumo
del caffè. Non avrei potuto immaginare, o desiderare, un avvio più
favorevole né un augurio più grande.
La separazione da Jennifer fu per me una morte ed una
rinascita che avvennero nello stesso attimo. Essa fu l‟effetto
dell‟eliminazione di un atomo di paura dall‟Essere. Credevo di
amare quella donna ma ciò che veramente amavo era la mia
sofferenza e la paura che erano ormai diventate familiari e indolori.
Da solo non ce l‟avrei mai fatta.
Nessuno può farcela da solo
Per abbandonare vecchi modi di pensare, idee obsolete,
pregiudizi, superstizioni e compromessi, come quelli che avevano
tirannicamente governato la mia esistenza, occorre una Scuola, un
metodo, un piano di fuga. Occorre incontrare chi prima di noi abbia
realizzato la propria prigionia e sia riuscito a sfuggire al racconto
ipnotico del mondo, alle sue leggi soffocanti. A Lui offro tutta la
mia gratitudine e auguro ad ogni uomo di incontrare il Dreamer.
Solo chi è messo davanti al proprio orrore, chi realizza la propria
impotenza, la propria incompletezza, può farcela. Scrivo per dirvi
che il Dreamer esiste ed è l‟Essere più reale che abbia mai
incontrato. Il Suo mondo di impeccabilità, senza tempo, è più vivo e
concreto del nostro ed è accessibile. C‟è una rotta ardua ma
praticabile, c‟è un varco verso la verità, la bellezza, la felicità; una
nuova via alle Indie, veloce e ancora più ricca.
Qualcosa di invisibile e potente, cui ogni uomo può accedere,
aveva messo in moto gli ingranaggi del meraviglioso.
Il più piccolo cambiamento nell‟Essere
muove montagne nel mondo degli eventi.
Sentii l‟argano gemere nello sforzo di salpare e l‟ancora
scuotersi dalla sua lunga prigionia nel fondo melmoso. All‟altro
capo di quel viaggio non c‟era un piccolo arcipelago, ma un
continente psicologico immenso ed inesplorato. Avevo il fiato
sospeso tra timore e gioia, come un bambino sulla rampa dell‟otto
207
Addio a New York
volante. Rivolsi ancora una volta un pensiero di gratitudine al
Dreamer e sperai in cuor mio di incontrarLo presto.
Quel giorno con Giuseppona ed i bambini facemmo gli
acquisti più urgenti e la sera andammo a cena da Mamma Leone‟s,
allegri e vicini come non eravamo più stati da tempo.
Partita Jennifer anche New York ci stava lasciando. Per tanti
segnali mi sembrò che i cambiamenti nella mia vita fossero solo
all‟inizio e che molto di più fosse già in marcia e mi stesse venendo
incontro.
Per dipendere da un impiego
hai dovuto recitare per anni un canto di dolore,
hai dovuto abdicare la tua libertà
mandando segnali di decadimento e di impotenza;
credendo di proteggerti, hai rafforzato la dimenticanza e il limite.
Ora devi fare un percorso a ritroso verso la libertà.
È un processo lungo di eliminazione, di semplificazione,
di alleggerimento dell‟Essere.
Danza, danza, danza senza posa…
Celebra l‟esistenza, amati dentro! …
Osservati! Porta attenzione all‟Essere!…
Vedrai che tutto quello che nella tua vita è reale resterà
e tutto quello che è illusorio se ne andrà per sempre.
Il Dreamer aveva chiamato tutto questo Arte del Sognare.
Stavo facendo ogni sforzo per seguire il Suo insegnamento.
Ero in perfetta forma fisica. La frugalità nel cibo, la battaglia contro
il sonno, gli esercizi di respirazione, e soprattutto la vigilanza e
l‟autosservazione stavano producendo risultati straordinari. Mi
bastava dirigere il pensiero verso il Dreamer per avere accesso a una
nuova intelligenza. All‟uscita dall‟ufficio, se facevo in tempo,
prendevo il treno per City Island per andare a vela lungo la
Eastchester Bay. Ascoltare la voce dell‟oceano, il respiro del vento
palpitare tra le ali verticali del Flying Dutchman, mi facevano sentire
più vicino a Lui. L‟autosservazione, uno sguardo sincero ai miei
stati d‟Essere, un più alto senso di dignità, una nuova fiducia nelle
mie possibilità cominciarono a produrre cambiamenti nella mia vita
che solo poche settimane prima avrei considerato impossibili.
208
La Scuola degli Dei
mattina Mr. Keenan, il capo del personale dell‟ACO,
piombò nel mio ufficio, senza preavviso. Occupata la sedia di fronte,
mi scrutò a lungo con aria sorniona, senza parlarmi. Mi diede l‟idea
di uno che avesse fatto una puntata al gioco e stesse ora verificando
la giustezza della sua scommessa. L‟esito del suo esame dovette
essermi favorevole se un sorriso prese il posto del suo iniziale
cipiglio inquisitorio. C‟era una rete commerciale da realizzare in
Medio Oriente. L‟operazione avrebbe richiesto due anni, forse tre, di
lavoro intenso. Base operativa sarebbe stata la Direzione
Commerciale Estero della consociata in Italia, in una piccola città
del nord ovest.
Mr. Keenan mi premunì subito contro ogni illusione di
potervi mettere le radici. “Trascorrerai più tempo in aereo ed in
albergo che a casa con i figli” sentenziò con un tono ironicamente
profetico. Mi annunciò infine che sarei dovuto partire entro qualche
giorno. Senza attendere alcun commento né assenso, rigirò verso di
me alcuni documenti pronti da firmare. “Quando avrai finito ti
rivoglio qui nella squadra − disse − tra gli hard noses.”
In quel periodo, per connettermi all‟insegnamento del
Dreamer, ripresi a leggere molti capolavori del pensiero classico e
moderno e tutti i libri di filosofia che potei trovare. Li avevo tanto
amati ed ora mi annoiavano mortalmente. Spesso li abbandonavo
dopo appena poche pagine. Nonostante ogni mia ricerca, da nessuna
filosofia, dottrina morale o credo religioso, germinava una sola
scintilla della Sua intelligenza, della Sua concretezza. In nessuna
tradizione sapienziale o teoria etica trovavo la più lontana eco di
quello che avevo provato accanto Lui. Cercai inutilmente nei libri
che avevo raccolto in una vita, un‟idea, qualcosa che si avvicinasse
alla sostanza preziosa, a quell‟alchimia che con il Dreamer era
costantemente presente. Quanti anni avevo trascorso nell‟inutilità!
Le opere che più avevo venerato si stavano rivelando capolavori di
stupidità, di superficialità, scritti da chi era avviluppato nelle stesse
incertezze e paure dei suoi lettori. In nessuna pagina trovai il più
lontano riflesso del potere, della forza che avevo sentito nelle Sue
parole.
209
Addio a New York
La conoscenza è un bene inalienabile
che ti appartiene da sempre… è già dentro di te.
Come la felicità, la prosperità, la volontà, l‟unità dell‟Essere,
e qualunque cosa tu cerchi, Dio o denaro, così la conoscenza,
non può venire dall‟esterno.
Nessuno può dartela… Può solo essere ricordata.
Queste parole del Dreamer mi riportarono alla mente la storia
dell‟uomo che trova un tesoro e vende tutto per comprare il terreno
in cui è sepolto… È la storia di chi „ricorda‟ il bene reale e baratta la
descrizione del mondo, con tutti i suoi limiti, il dolore, l‟ignoranza,
per la vera ricchezza, quella che non teme ruggine né polvere, che
non può essere rubata né alienata... può essere solo sepolta e
dimenticata.
5 Chi ama non può dipendere
Presi in affitto un appartamento a Talponia, il residence
sotterraneo concepito nella pancia di una piccola collina a due passi
dal quartier generale della ACO, il gigante nano della robotica. Fino
ad allora avevo lavorato da solo o in piccoli team, e quasi sempre
all‟estero. Per la prima volta mi trovavo inserito in un complesso di
uffici, un comprensorio industriale con laboratori e fabbriche,
popolato da migliaia di addetti. Il palazzo centrale era il corpo vivo
di un animale. Ne potevo sentire il respiro ed il pulsare delle
gigantesche arterie. Quell‟essere a sua volta aveva percepito la mia
intrusione e, giorno dopo giorno, sovrintendeva alla mia
assimilazione. Scorrevo nelle sue vene insieme a migliaia di altre
cellule, filtrato dai suoi immensi organi, passato al vaglio dei suoi
processi metabolici.
Il mio nuovo lavoro, come mi aveva preannunciato Mr.
Keenan, mi teneva gran parte del tempo lontano da casa e dai miei
figli, richiedendo frequenti viaggi e lunghe permanenze nei paesi del
Medio Oriente. Tra una missione e l‟altra, avevo fatto vari tentativi
per integrarmi, ed avevo più volte provato a partecipare ai riti di
quella comunità impiegatizia che viveva tra le pieghe
dell‟organizzazione. Avevo cercato di apprenderne le abitudini, di
adottarne il linguaggio, di interpretarne i simboli, ma i miei tentativi
non furono mai coronati da molto successo.
210
La Scuola degli Dei
Gli insegnamenti ricevuti dal Dreamer e la visione che Egli
mi aveva trasmesso sulla reale condizione impiegatizia, favoriti
dall‟intermittenza della mia presenza in Italia, mi permisero di
restare sufficientemente estraneo a quegli ambienti e di osservare
quasi con il distacco di un entomologo quella brulicante forma
collettiva di vita. Le mie osservazioni mi portarono a verificare
l‟esistenza nelle organizzazioni umane di un „inquinamento
psicologico‟ di cui avevo sentito parlare per la prima volta dal
Dreamer e che, fino a quel momento, sembrava essere sfuggito ad
ogni indagine scientifica. Di fatto non ne ho mai trovato traccia in
alcun testo. Esso è il prodotto di un flusso incessante di emozioni
spiacevoli, di paura, di invidie, di gelosie, di pensieri piccoli, di
discorsi futili, che avvelenano l‟aria delle organizzazioni
producendo malanni ed incalcolabili danni alla mente ed al fisico di
milioni di uomini e donne. Anni dopo, proprio alla ACO, avrei
approfondito questo fenomeno. Intanto le scoperte che stavo facendo
sulla „psychological pollution‟ mi permisero di approfondire alcune
riflessioni sulle organizzazioni e sul lavoro dipendente iniziate col
Dreamer a New York.
L‟impiego non è l‟appartenenza ad una categoria
sociale o contrattuale,
ma ad un grado basso nella scala dell‟Essere.
Questo era stato il primo insegnamento, tra i più
sconvolgenti, che avevo ricevuto da Lui.
Un uomo dipende perché è basso
il suo livello di responsabilità interiore…
Impiegarsi è solo il riflesso di una condizione infernale dell‟Essere.
La rivelazione che il lavoro dipendente fosse una moderna
trasposizione della schiavitù aveva scosso per sempre dalle
fondamenta la mia descrizione del mondo. Le Sue parole avevano
trovato nella mia coscienza un posto quasi fisico e vi si erano
depositate come un materiale difficile da metabolizzare ma anche
impossibile da espellere.
211
Addio a New York
Chi ama non può dipendere…
Amare ed essere liberi è tutt‟uno…
Un giorno realizzerai che sei l‟artefice e non il manufatto,
il sognatore e non il sognato,
il creatore e non il creato… che tutto è al tuo servizio.
Allora non potrai più dipendere!…
The world is such because you are such and not vice versa.
Ancora bruciava, come sale sulla carne viva, la scoperta di
appartenere ad una razza, ad una sorta di „specie impiegatizia‟; e che
tutta la mia educazione, dalle scuole dei padri barnabiti fino agli
studi post lauream a Londra ed a New York, non era stata altro che
un lungo training alla prigionia, una scuola di fachiraggio rivolta a
rendere sopportabile l‟estrema dolorosità del dipendere.
Improvvisamente, il mondo delle organizzazioni e del
business cui fin da ragazzo avevo sognato di appartenere mi si
rivelava come un immenso lager, una rete di penitenziari vasta
quanto il pianeta. Evadere! Era questa la sola cosa che avesse senso
per un uomo; una lima ed un buon piano di fuga, la sua unica, vera
ricchezza. Certamente queste
riflessioni non mi aiutavano ad
adattarmi al mio nuovo ambiente. La visione ricorrente di un abisso
a rovescio pronto ad ingoiarmi era la forma che prendevano allora i
miei timori sul futuro.
Non decisi nulla, ma un po‟ per volta le mie corse mattutine
si diradarono e smisi di rileggere le Sue parole. Lentamente, mi
acquattai sul fondo buio dell‟oceano dell‟ordinarietà e scivolai nel
brulicante abbraccio della moltitudine e nel confortante strofinio con
gli „altri‟.
6 Non si può sognare e dipendere
Interiormente scendevo questa china, quando mi arrivò dalla
direzione del personale un cartellino rettangolare accompagnato
dalla richiesta di timbrarlo all‟ingresso e all‟uscita, e ogni volta che
avessi dovuto allontanarmi o tornare nel Main Building. Era una
nuova disposizione che ora estendeva la procedura di controllo già
in uso per tutto il personale impiegatizio, anche ai dirigenti ed a chi,
svolgendo gran parte del suo lavoro all‟estero, come me, aveva fino
a quel momento goduto di una più ampia libertà di movimento.
212
La Scuola degli Dei
Più volte tentai di ubbidire a quell‟ordine che infrangeva
miseramente anche l‟ultima parvenza di indipendenza del mio ruolo
lavorativo. Più volte mi misi in coda, inserendomi in una delle tante
file di uomini e donne che si formavano nella hall davanti alle
macchine marcatempo. Notai che tutti si sottoponevano a quella
procedura come se fosse la cosa più naturale. Parlavano tra loro,
fumavano, ridevano, mentre con la scheda in una mano attendevano,
passo dopo passo, il loro turno per timbrare. Più volte mi incolonnai
con loro. Ogni volta, arrivato di fronte alla macchina, ero preso da
una vergogna improvvisa, insopprimibile. Allora fuggivo via, senza
timbrare. Ripristinato un livello di dignità, le parole del Dreamer
tornavano ad ispirarmi; le sentivo palpitare dentro, forti e vive. Per
qualche minuto l‟aspirazione ad una vita libera e felice, e le
immagini di un‟esistenza ricca di successi, ritornavano ad essere
vivide come un ricordo del futuro.
Sii indipendente, libero. Be a rebel!
Un ribelle non dipende da nessuno… e rispetta la sua unicità.
La sua sola ragione d‟essere è dare concretezza al suo Sogno.
A questo dedica la sua vita e ogni atomo della propria energia.
Non si può sognare e dipendere. Si può sognare e servire.
Servire non è dipendere…
Servire significa governare la propria vita e quella degli altri…
è l‟azione di chi ama.
Solo chi ama può servire.
Chi non ama può solo dipendere!
Ma durava poco! L‟immaginazione negativa prendeva il
sopravvento. Pensieri spaventevoli di un futuro senza quel lavoro mi
facevano indietreggiare, riducendomi a un essere microscopico. La
paura assumeva mille maschere, le preoccupazioni per il futuro si
camuffavano da sollecitudine, da senso di responsabilità verso la
famiglia e i figli, e così qualche giorno dopo mi ritrovavo di nuovo
in fila, davanti ad una marcatempo, senza altro desiderio che essere
come gli altri. Avrei dato chissà cosa per uscire da quel limbo e,
finalmente, ritornare a far parte di quella moltitudine, condividerne i
pensieri, accettarne le angosce e perfino il dolore… e dimenticare.
Una mattina, affacciandomi verso l‟interno da uno dei piani
più alti dell‟ACO, osservai la spirale di marmo bianco delle scale
digradare fino alla hall centrale animata da un flusso ininterrotto di
213
Addio a New York
uomini e donne che in coda, attendevano il loro turno per timbrare
ed andare in mensa. D‟improvviso fui attraversato da un pensiero
assurdo. Ebbi la certezza che ognuno di quegli uomini e di quelle
donne aveva conosciuto il Dreamer. Tutti, sia pure per pochi attimi,
ad un certo punto della vita avevano avuto accesso al mondo del
Dreamer. A tutti era stata data l‟opportunità. Ogni cellula di questa
folla aveva incontrato la Scuola ed aveva rinunciato. Li vedevo
brulicare in quell‟abisso. Riconobbi nella uniformità, nella
mediocrità delle loro vite, la mia vita lontano dal Dreamer.
Conformity is mediocrity
Provai l‟impulso irresistibile di scendere ad interrogarli, di
scuoterli e chiedergli cosa ne era stato del Sogno, cosa ne era stato
del Dreamer. Mi avrebbero preso per matto. Essi avevano
dimenticato, avevano scelto di curvare e dipendere, di soffrire,
invecchiare e morire. Ed io stavo correndo verso lo stesso baratro.
Non si può sognare e dipendere. Queste parole del Dreamer
risuonarono dentro come un canto di salvezza. Ancora mi arrivava
un languido brillio di quell‟intelligenza.
7 Un futuro di seconda mano
I momenti di lucidità diventarono sempre più radi. Allentati i
fili luminosi che mi legavano al Dreamer, anzi, recisi gran parte di
essi, feci in fretta a ricostruire il mio mondo di sempre, in ogni più
piccolo dettaglio. Tra una manciata di case, in un paesino
rincantucciato tra piccoli laghi ai piedi di un‟immensa ruga glaciale,
trovai una vecchia villa in vendita e, con i risparmi americani,
l‟acquistai. Mi dedicai con impegno a ristrutturarla e a renderla
accogliente finché potei lasciare Talponia e traslocare con i bambini.
Presto mi raggiunse Gretchen, una giovane donna divorziata che
avevo conosciuto nelle ultime settimane a New York, e che venne a
stare con noi portando il figlio Tony, di cinque anni. Avevo rimesso
su casa. Dopo Luisella e la conclusione della storia con Jennifer,
stavo ricostruendo una famiglia, per la terza volta. Ma senza
rendermene conto stavo rinchiudendomi nelle segrete di vecchie
prigioni. Gretchen era quanto di più lontano si potesse immaginare
214
La Scuola degli Dei
da Jennifer, la juish princesse newyorkese. Campionessa di sci,
Gretchen aveva ereditato lo spirito e la forza fisica delle donne che
colonizzarono il West. Faceva continuamente sport ed aveva
muscoli d‟acciaio. Era essenziale, rude e provinciale quanto Jennifer
era sofisticata, vanitosa, cosmopolita. Eppure anche quella relazione,
dopo poche settimane, si incanalò nei vecchi binari.
Apparentemente avevo cambiato lavoro, avevo cambiato partner,
avevo cambiato continente, ma in realtà la mia vita riprendeva ogni
volta la forma rigida registrata nella memoria delle sue fibre.
Our level of Being creates our Life
Giorno dopo giorno, un frammento dietro l‟altro, stavo
ricostruendo la vita di sempre, come un essere meccanico
condannato dalla sua memoria genetica a ripetere ogni suo gesto,
sigillato in una eternità inconsapevole. Vecchie abitudini, pensieri ed
emozioni di sempre stavano fabbricando con meticolosa precisione
le stesse circostanze e gli stessi eventi del passato. Sotto la maschera
di una nuova vita, dietro il goffo tentativo di camuffarsi da futuro, il
passato si stava riproducendo sempre crudelmente uguale a se
stesso.
A man cannot hide.
Ogni pensiero, emozione o azione
è registrato indelebilmente nel suo Essere
e ne è egli stesso il guardiano ineludibile e il giustiziere.
È questo che determina il suo destino.
Un uomo può illudersi di fuggire,
di cambiare la sua vita cambiando le condizioni esterne,
ma al di là dell‟apparente differenza delle situazioni,
sarà sempre messo allo stesso punto della „scala‟,
lì dove lo colloca il suo grado di responsabilità,
di integrità, di amore.
Queste erano state le memorabili parole ascoltate dal
Dreamer nel nostro primo incontro. Da allora le avevo lette e rilette
non so quante volte; ma il monito di questa profezia non aveva
potuto evitare la ricorrenza ed il ripetersi di errori e dolori nella mia
vita. In relazione a questo, ricordo un dialogo intercorso con il
215
Addio a New York
Dreamer che ancora considero una delle pietre angolari del mio
apprendistato.
“La più grande illusione dell‟umanità è l‟idea di avere un
futuro − mi rivelò quella volta − Un uomo ordinario in realtà non ha
un futuro. Al di là delle apparenze egli incontra sempre e solamente
il suo passato.” Eventi, incontri, circostanze si ripetono e ricorrono
nella sua vita; sempre gli stessi, solo leggermente camuffati.
“È come dire che gli uomini vivono una vita usata, di
seconda mano” dissi con quel tanto di incredulità nella voce da
coprire il senso di inquietudine che sentivo di fronte alle Sue
rivelazioni.
“E tuttavia ognuno si illude che gli eventi della sua vita siano
nuovi di zecca, creati apposta per lui, mai accaduti prima” rincarò il
Dreamer.
“E quindi quello che l‟uomo chiama realtà è… ” gli chiesi
senza poter completare la mia domanda preso da un nauseante senso
di assurdità.
Il Dreamer mi guardò senza rispondermi ed annuì
lentamente, come ad avallare il raggiungimento da parte mia della
più temeraria tra le conclusioni possibili... la più impensabile ed
inaccettabile di tutte. Avanzai allora con cautela qualche altro passo
nella direzione in cui mi stava spingendo. Assurdamente speravo di
aver frainteso le Sue parole e che, in qualche modo, fosse Lui a
fermarmi ed a riportare quel nostro dialogo entro i confini di una
rassicurante razionalità.
“Quella che chiamiamo realtà... quella che vediamo e
tocchiamo.. sarebbe... è... una specie di... realtà virtuale?” chiesi,
procedendo riluttante e solo a seguito dei suoi continui cenni di
assenso che mi arrivavano come spintoni. Attesi. Il Dreamer restò
pensieroso per qualche momento, come per scegliere le parole che
potessero trovare un varco nelle mie resistenze.
“Quello che un uomo vede intorno a sé… la realtà esterna a
lui, è il passato − mi rispose lapidariamente e, rompendo il silenzio
denso che si era creato, aggiunse − Quello che tu chiami presente è
in realtà una trasmissione in differita.” Dopo aver ascoltato queste
parole il mondo non sarebbe mai più stato lo stesso.
Straordinariamente, ebbi la certezza che fosse cambiato per sempre,
non solo per me, ma per tutti gli uomini.
216
La Scuola degli Dei
“Quello che vedi e tocchi, gli eventi che potresti giurare
stiano accadendo in questo preciso momento, sono stati registrati
tempo fa. Per potersi verificare hanno avuto il tuo assenso in
un‟altra dimensione, nel mondo dell‟Essere, nei tuoi stati” mi disse
con la massima naturalezza. Mi spiegò come i fatti siano già fatti, e
che il successo è tale perché è già successo.
“Gli eventi della vita sono stati d‟Essere solidificati, resi
visibili dal tempo. Mentre vi assisti e ne sei coinvolto, puoi credere
che si stiano verificando sotto i tuoi occhi, hai l‟illusione che siano
nuovi di zecca e che stiano accadendo per la prima volta; in realtà
essi sono la proiezione del tuo passato che ripete se stesso, con
appena qualche leggera variante.”
Ricordo che, a seguito delle parole del Dreamer, immaginai
gli eventi della vita di un uomo ordinario come una processione
allegorica di esseri mascherati, di burloni intenti a perpetrare uno
scherzo crudele. Li vidi rincorrersi e ripetersi, indeclinabilmente
uguali a se stessi, mentre sotto il nasone e i baffi finti soffocavano le
risate e si facevano in cuor loro beffe della cecità dell‟uomo, della
sua incapacità di riconoscerli.
“Ciò che l‟uomo chiama futuro è in realtà il suo passato
visto di spalle − disse quella volta il Dreamer, sottraendomi alle mie
fantasticherie − La sola possibilità di governare la propria vita è nel
„qui ed ora‟… Solo gestendo l‟attimo sospeso tra il nulla e l‟eternità
un uomo può „fare‟, può meritare un vero destino, modellarlo e
creare eventi di ordine superiore.”
Avrei poi avuto modo di sperimentare sulla mia pelle quanto
vera fosse questa visione e quanto facile fosse dimenticare e ricadere
nel cerchio ipnotico di una falsa vita, di un destino ripetitivo. Quanti
anni avrei risparmiato, e quanta dolorosità avrei evitato, se allora
avessi saputo ascoltare quel messaggio del Dreamer, aprirmi alla
Sua visione che oggi mi appare così semplice, così naturale,
inevitabile.
Dimenticai, negai il Sogno, e per mesi non ci pensai più. Si
riaprirono le porte di vecchie prigioni. I giorni della mia vita con
Gretchen e con i nostri bambini ripercorrevano solchi già tracciati.
Tra i viaggi di lavoro in Medio Oriente e gli impegni famigliari
sembravo ormai destinato a dimenticare e perdermi per sempre.
217
Addio a New York
8 A cena con lo Sceicco
Alla reception dell‟Hotel Le Méridien di Kuwait City, trovai
un invito dello sceicco Yusuf. Richiedeva la mia presenza alla cena
di quella sera a palazzo Behbehani. Un‟auto sarebbe passata a
prendermi in meno di un‟ora.
Ero appena arrivato da un lungo viaggio; l‟idea di affrontare
una cena araba ed il suo lungo cerimoniale non era delle più
allettanti. Ma non potevo rifiutare. La famiglia Behbehani era uno
dei clan più potenti ed allo stesso tempo uno dei gruppi finanziari
più forti del paese. In Kuwait, come in tutti gli altri paesi
mediorientali, il business è rigorosamente spartito tra le grandi
famiglie. La mappa del potere finanziario riproduce con millimetrica
esattezza il disegno dell‟albero genealogico e le distanze dinastiche
dall‟Emiro, riflettendo diritti acquisiti, spesso di radici medioevali.
Nei mesi precedenti avevo avuto qualche contatto con più
membri della famiglia e avevo avviato affari con qualche società del
gruppo, ma non avevo ancora incontrato lo Sceicco Yusuf. Sapevo
che a lui faceva capo un vasto impero finanziario costruito su
concessioni e rappresentanze di prodotti delle maggiori
multinazionali, con una complessa rete di interessi ed importanti
partecipazioni in imprese fuori dal Kuwait, soprattutto in USA.
Il palazzo dei Behbehani, un‟opera sfarzosa tutta in marmo
bianco di Carrara, aveva la tradizionale disposizione a quadrato, con
il largo cortile interno da cui erano accessibili le aree di ricevimento,
disposte a piano terra, e gli appartamenti dei vari nuclei famigliari ai
piani superiori.
Un silenzioso famiglio in caffettano mi introdusse nella sala
da pranzo. Intorno al lungo tavolo, imbandito nel più fastoso stile
mediorientale, trovai raccolto un variopinto campionario di uomini
d‟affari islamici nei tradizionali dish-dash bianchi, le braccia brunite
vistosamente ingioiellate, ed alcuni manager occidentali,
rappresentanti di note multinazionali. Era una cena per soli uomini,
naturalmente, e senza posate. La cucina araba non prevede in ogni
caso l‟uso di coltelli; carne e pesce sono serviti già tagliati a
bocconi. Antipasti di verdure fresche, formaggi e creme di legumi
furono serviti su pesanti vassoi ricolmi di agnello arrosto e riso.
Fummo serviti personalmente dal figlio maggiore dello sceicco. Un
onore riservato agli ospiti di grande riguardo. La discussione fu
subito animata ed ebbe al suo centro lo sceicco Yusuf che si rivelò
218
La Scuola degli Dei
un uomo di vivace intelligenza ed un padrone di casa premuroso,
attento ai più piccoli dettagli. Bevemmo tè e spremute di frutta.
Il Kuwait, tra i paesi del Medio Oriente, è un „dry country‟,
rispettoso della tradizione coranica, ed ogni bevanda alcoolica vi è
rigorosamente bandita, almeno ufficialmente. Conclusero la cena
dolci libanesi, a base di noci e miele, e caffè preparato sul fuoco di
bracieri, secondo l‟uso nomade, servito in piccole tazze, sottilissime.
Era sempre affascinante lo spettacolo del liquido nero e denso, dal
gusto polveroso, fatto zampillare con maestria dai lucenti bricchi di
ottone dai farraj. Il caffè continuò ad essere servito, ed i lunghi getti
fumosi continuarono a colmare le tazzine, fino a quando ognuno
agitò la sua con un movimento dondolante del polso, il gesto rituale
che indica la sazietà dell‟ospite.
Solo allora lo sceicco Behbehani che mi aveva voluto alla
sua sinistra mi espose il suo progetto: creare in Kuwait una sua
nuova impresa commerciale. Mi chiese di trasferirmi a Kuwait City
per realizzarla e dirigerla. Avrei avuto una partecipazione nel
capitale e lo status di Managing Partner.
Il Sogno stava diventando realtà: creare una organizzazione
internazionale, mettere insieme gli uomini, raccogliere, scegliere le
risorse, misurarmi con le difficoltà di un‟impresa in un ambiente
così difficile. Finalmente, avrei solcato i sette mari del Business con
una imbarcazione tutta mia. Era quello che avevo maggiormente
desiderato. O almeno così avevo sempre creduto. Chiesi due
settimane per decidere e mi accomiatai. Ma mentre tornavo a Le
Méridien ero già in uno stato di apprensione.
Nonostante tutti i miei sforzi, quella proposta non riusciva a
darmi gioia. Continuai a pensarci intensamente per tutto il viaggio di
ritorno, ma più ci riflettevo e più sentivo dentro moltiplicarsi ed
ingigantirsi le resistenze a trasferirmi in Kuwait. Dopo pochi attimi
di entusiasmo iniziale, quella prospettiva era finita preda della mia
immaginazione negativa e delle mie paure. Come nella parabola, il
seme dell‟opportunità era caduto su un terreno spinoso, dove
lentamente soffocò e si spense, come i fuochi dei farraj al termine di
quella cena.
Miglia e miglia di deserto grigio, grinzoso come una
smisurata schiena di elefante, scorrevano ora sotto la pancia
dell‟aereo che mi riportava in Italia, interrotte soltanto a lunghi
intervalli da un cerchio perfetto di verde intenso nato intorno al
miracolo di un pozzo d‟acqua trivellato a profondità incredibili. Ero
219
Addio a New York
certo che quello che mi stava accadendo era il risultato della
promessa fatta al Dreamer e del lavoro su me stesso avviato fin dal
nostro primo incontro. La mia aspirazione ad una vita più libera, più
responsabile, più ricca, come una danza della pioggia, aveva attirato
quella opportunità. E ora?
Ero più che mai convinto che il più piccolo innalzamento
dell‟Essere muove montagne nel mondo degli eventi, che our Being
creates our Life, ma mai avrei immaginato che cambiamenti così
radicali potessero prodursi con una tale rapidità. La casa che avevo
comprato a Chià era ancora fresca di calce e stucchi; l‟erba del prato
stava appena cominciando a spuntare e le siepi a crescere. Quella
vita, sonnolenta e provinciale, che, dopo New York, tante volte mi
era sembrata insopportabile, riacquistò improvvisamente valore ai
miei occhi. Le passeggiate con i bambini ai laghi, il gelato sul
Lungofiume, le corse sulla neve con Gretchen, perfino quell‟aria
asfittica da one-company town, si rivelarono attaccamenti che, senza
accorgermene, in pochi mesi, si erano fortemente radicati. Mattone
dietro mattone, un‟abitudine dietro l‟altra, avevo costruito un‟altra
casa su un ponte, una residenza stabile là dove il Sogno aveva
previsto solo una breve sosta prima di riprendere il „viaggio‟ ed
andare oltre.
Conoscevo Kuwait City. C‟ero già stato più volte per lavoro,
ma sempre per periodi brevi. Le impressioni che ne avevo riportato
erano limitate alle halls dei suoi moderni alberghi, alle strade
polverose, ai Souk affollati, ed a quello che avevo potuto vedere
attraverso i finestrini di una limousine, sigillato in una bolla d‟aria
condizionata, come in un veicolo spaziale che va attraverso un
pianeta inospitale. Nelle poche occasioni in cui mi ero avventurato
fuori, avevo sentito il viso trafitto da mille aghi, granelli di silicio
roventi trasportati dal vento del deserto. Il deserto in permanenza
assedia Kuwait City e incombe come una spada di sabbia sospesa,
come un mare sempre pronto ad inghiottire quell‟isola che
caparbiamente contende al suo imperio poche miglia di semiciviltà.
Dietro l‟opulenza delle torri, oltre l‟intensità dei traffici e la
modernità delle sue costruzioni, Kuwait si rivela non una città-stato
ma un braccio di ferro instancabile, una partita mortale sempre
aperta, tra uomo e deserto. La palla della sua storia rimbalza senza
sosta tra età moderna ed un dimentico medio evo retto da usi arcaici
e da una giustizia coranica. Un universo bizzarro e polveroso mi si
stava aprendo davanti. Un mondo rumoroso come un bazar, dove
220
La Scuola degli Dei
avevano trovato modo di convivere in un equilibrio miracoloso,
cadillac e cammelli, tende e grattacieli, miserie bibliche e potere
finanziario.
9 Fuga nella malattia
I miei dubbi più angosciosi e molesti si manifestarono
soprattutto al pensiero di abbandonare il lavoro alla ACO. L‟idea di
dimettermi e di trasferirmi in quel paese senza le certezze
dell‟impiego, mi spaventavano facendomi sentire in balia. E tuttavia,
nonostante l‟evidenza, continuavo a mentire a me stesso. Credevo di
essere sincero quando mi arrabbiavo contro le apparenti difficoltà e
quando accusavo i mille ostacoli che continuamente insorgevano e si
amplificavano fino ad apparirmi montagne insormontabili. Ancora
non ero neppure all‟inizio di quel lavoro di osservazione, di
attenzione ai miei stati, di affinamento dell‟Essere, che il Dreamer
mi aveva indicato; né avevo conquistato quel tanto di sincerità per
riconoscere che ciò che stava guidando la mia vita, non solo in
quella occasione, ma da sempre, era la paura.
Oggi sento compassione per quell‟uomo che fingeva con se
stesso di riflettere e di ponderare le ragioni a favore e contro, che
continuava a mentirsi giorno dopo giorno illudendosi di prendere
una decisione che le sue paure avevano da tempo preso per lui. Mi
rifiutavo di accettare quello di cui più volte il Dreamer mi aveva
accusato:
“Tu sei l‟unico vero ostacolo, il più grande nemico della tua
evoluzione e la sola causa di ogni tuo insuccesso. Molti anni di
autosservazione e molti sforzi ti saranno necessari prima di
realizzare che quelle circostanze avverse che ti sembrano oggettive,
esterne, indipendenti dalla tua volontà, sono in realtà tue creazioni.
Gli ostacoli che incontri sono la materializzazione di un canto
interno di dolore che da sempre si leva dalle parti più buie del tuo
Essere.”
In effetti ero alla ricerca di una scusa che mi fornisse la
possibilità di rifiutare ma senza assumermene la responsabilità,
lasciando aperta la possibilità un giorno di poterne accusare il
destino, le circostanze. Mi aggrappavo a qualunque cosa potesse
giustificare la mia rinuncia: i bambini, le loro esigenze di studio, i
rischi di quel paese. Feci anche conto sulla ferma opposizione di
221
Addio a New York
Gretchen. Dentro di me c‟era un no a quel cambiamento, a quel
deragliamento dai vecchi binari.
Mi rigiravo in cerca di impedimenti, per poi accusarne il
mondo.
Alla fine trovai quello che cercavo. Nel passato, prima di
incontrare il Dreamer, avevo sofferto di calcolosi al rene destro. Chi
avrebbe a cuor leggero preso una decisione così importante come
quella di trasferire la famiglia in Kuwait senza un completo check up
medico? Mi convinsi che era un fatto di responsabilità, soprattutto
verso i figli. Nonostante l‟incontro con il Dreamer e tutto quello che
aveva già fatto per cambiare la linea del mio destino, stavo di nuovo
per ricadere in quest‟altro terribile solco del mio passato.
Fissai l‟appuntamento per una radiografia diretta renale. Era
il primo passo. Qualcosa dentro aveva deciso ancora una volta per la
malattia. Tornavo a rifugiarmi in quel grembo oscuro dell‟esistenza
dove non si compete né si combatte ma si accusa, ci si giustifica e si
invoca la commiserazione del mondo.
Il cuore si sarebbe arrestato per l‟orrore se avessi allora
scoperto che ero io l‟ideatore, il produttore, il regista e l‟attore del
film della mia vita, ed in particolare il creatore di quelle immagini
che ancora una volta stavo per proiettare sullo schermo del mondo.
Come mi avrebbe un giorno detto il Dreamer, l‟ignoranza è una
mamma che prudentemente ci lascia la mano un po‟ per volta, solo
quando siamo pronti. Se qualcosa non fosse arrivata ad interrompere
quel terribile screen-play, i prossimi fotogrammi della mia vita
avrebbero mostrato in primo piano il viso preoccupato del medico
annunciare che dalla radiografia apparivano piccole ombre nel rene,
sempre il destro, e me le avrebbe indicate contro lo schermo
luminoso: piccole impronte, come lasciate dalla pressione di dita
leggere. Mi sarei visto sbiancare, e poi, una volta a casa, disperarmi,
e per gli anni a venire lamentarmi ed accusare il destino, la mia
cattiva salute, che „sfortunatamente‟ mi aveva impedito di cogliere
quell‟opportunità. Era tutto pronto per la proiezione del mattino
dopo. La cosa più terribile era la completa inconsapevolezza di
quanto io stessi tramando. Con il mio ultimo respiro avrei difeso la
mia buona fede; sarei stato pronto a giurare su quanto avevo di più
caro che nulla avrei desiderato di più che ricevere un buon esito
dagli esami medici, confermarmi in perfetta salute, e partire per
quella nuova avventura.
Per fortuna un filo d‟oro ancora mi legava al Dreamer.
222
La Scuola degli Dei
Quella sera desiderai più intensamente che mai di poterLo
rivedere. Non ce la facevo più. Non avrei potuto resistere ancora a
lungo senza il Suo aiuto. Mi sembrava trascorsa un‟eternità dal
nostro ultimo incontro. Non trovando altro modo, decisi di
scriverGli una lettera. In essa rinnovai solennemente la mia
promessa: chiesi di riprendere il „viaggio‟.
“…C‟è una parola che in questi giorni ricorre
e si presenta insistente alla coscienza.
Risale a quanto mi hai detto nel nostro ultimo incontro.
La parola è dignità.
È questo il punto più dolente della mia vita,
quello che più mi è mancato,
in ogni situazione, in ogni evento.
Ne ho bisogno. Devo produrla, sentirla, diffonderla.
So che ha un costo. Sono pronto a pagare.
Mi chiedo solo se sono ancora in tempo
e se ne ho la forza. Aiutami!
“Accanto a Me, nel mio mondo, si vive bene,
si è ricchi, si è sani…”
Quante volte ci hai invitati.
Ma al tuo banchetto mancano i commensali.
In un mondo governato dalla menzogna,
fatto di uomini pronti a tradire ed a degradare,
vedo che ci sei solo Tu a guardia,
come il cherubino dalla spada fiammeggiante
posto davanti all‟albero della vita…
Desidero riprendere il „viaggio‟
e ridare slancio al mio impegno.
Ti prego di aiutarmi.
Sono mesi che vivo „fuori casa‟.
Sento il bisogno di rimettere insieme
le parti disperse della mia vita…”
Più che scrivere, stavo confessandomi, „leggendomi‟. Quello
sforzo di sincerità mi trasformò. Quella lettera non era stata ancora
ultimata che era già recapitata. Essa era diretta a me, alla parte
migliore di me, a quei pochi atomi di bene, di bello, di vero che
ancora pulsavano nel buio del mio Essere; a quella parte di me, tra la
moltitudine interna dei dissidenti e degli indisciplinati, che aveva
223
Addio a New York
detto sì alla grande avventura. Stavo ancora ultimandola quando
scoppiai in lacrime, come per un‟arcana, improvvisa felicità.
10 Il ragno e la preda
Mi trovai davanti a Lui. Avevo tanto desiderato rivederLo
ma ora sentivo soltanto una vergogna infinita ed un insopportabile
senso di colpa. Vergogna e colpa mi contenevano in un mondo
denso, dove la forza di gravità era molte volte superiore a quella
terrestre. Quello era il mio mondo interiore, quelle erano le leggi
sotto le quali, senza esserne consapevole, vivevo tutti i giorni della
mia vita. Soltanto lì, in presenza del Dreamer, ne sentivo il peso e
l‟orrore che ora mi tenevano il fiato sospeso e lo sguardo schiacciato
sul pavimento di quella camera.
«Ogni tuo movimento, pensiero o parola, denuncia la tua
disposizione a curvare. Segretamente speri di fallire, di ammalarti e
smettere di lottare contro un mondo „ostile‟. Come milioni di
uomini, hai indirizzato la lotta fuori di te. Per questo ti abbandoni
alla sconfitta e ti auguri di invecchiare e morire… L‟hai già fatto
troppe volte. È tempo di smetterla… per sempre!» disse e tacque,
come a farmi assaporare fino in fondo il sapore amaro di quella
verità. Un freddo sudore mi percorse la schiena come ad un
annuncio di morte.
«Un uomo come te, nell‟oscurità dell‟incoscienza, prepara i
suoi disastri, tende a se stesso trappole, rinsalda le proprie prigioni,
confeziona ogni suo dolore, disastro, incidente, malattia, con tanta
abilità e minuziosa attenzione ad ogni particolare, da poter
considerare la sua una vera arte − sibilò il Dreamer nel tono di una
minaccia lanciata all‟avversario nel mezzo di un duello mortale −
un‟arte buia, inconsapevole, come quella di un mostruoso insetto
che trama negli abissi della zoologia. Lì dove l‟uomo è tragicamente
il ragno e la preda.»
Le Sue parole mi artigliarono l‟anima. Rabbrividii e
boccheggiai, come sotto un getto d‟acqua gelida dopo un lungo
sonno. Il Dreamer mi stava rivelando che potevo ordinare pietre nel
mio rene destro, e fabbricarle a mio piacimento, con la stessa
semplicità con la quale avrei potuto chiedere armonia, successo, ed
ottenerli.
224
La Scuola degli Dei
Era impossibile per me accettare di essere l‟unico artefice del
mio mondo. Era questo lo scoglio contro cui si frangeva ogni mio
tentativo di capire. Per il Dreamer gli ostacoli che incontriamo sono
la materializzazione della nostra incomprensione.
Man is his understanding
La misura di un uomo è il suo livello di comprensione ed è
questo che crea il mondo che merita. La comprensione è un
contenimento, un allargamento della visione, una eliminazione di
zavorra e di strati di sporcizia. È un atto della volontà. Non può
arrivare né essere imposta dall‟esterno.
Un uomo non deve cercare il paradiso.
Non deve fare nulla per meritarlo.
La sola disciplina cui sei chiamato è eliminare l‟inferno,
la tua incomprensione.
Se il Dreamer non mi avesse preparato per tutto quel tempo
e, sia pur con dubbi e disubbidienze, non fossi andato attraverso un
lungo apprendistato, non avrei mai potuto sostenere la responsabilità
di una tale rivelazione. Ne sarei stato sbriciolato.
Pensai a cosa sarebbe accaduto se la scienza ufficiale avesse
fatto sua questa verità: l‟uomo, così com‟è, è il solo costruttore dei
suoi disastri che prima nascono dentro e poi si manifestano fuori. La
scoperta di quanto sia potente, nel bene e nel male, la capacità
creativa del nostro pensare, e la realizzazione di quanto il corpo ed il
nostro mondo personale gli siano ubbidienti, sarebbero per la civiltà
uno shock immensamente più grande della scoperta copernicana.
Come questa scagliava l‟uomo ai margini dell‟universo, fuori da un
mondo illusorio del quale si credeva al centro, così la visione del
Dreamer ne rivoluzionava il destino abbattendo il suo pregiudizio
più radicato: la convinzione che esiste un mondo esterno da
incolpare, che ci sia qualcuno o qualcosa da accusare per quella
continua sconfitta che è la sua vita.
The world is such because you are such, abbreviazione
massima della filosofia del Dreamer e culmine della Sua visione,
conteneva un‟idea così potente da invertire la direzione stessa
dell‟esistenza: non più dall‟esterno verso l‟interno ma, viceversa,
dall‟interno verso l‟esterno, come ogni guarigione. Il mea culpa
225
Addio a New York
cristiano, la fede romana nell‟homo faber, il conosci te stesso
dell‟età dei saggi, e le voci di tutte le grandi scuole di responsabilità
su cui si erano creati imperi e civiltà millenarie, echeggiarono
insieme, possenti e solenni. E sebbene quella visione mi fosse stata
più volte annunciata, provai una vertigine del pensiero quando sentii
lo schianto della razionalità e della logica divelte dai loro cardini
millenari, il loro sovvertimento senza ritorno.
Allora mi resi conto che quell‟incontro con il Dreamer stava
avvenendo in una parte della Sua residenza che non conoscevo. Non
più la camera dal pavimento bianco, né la serra dalle travi possenti,
con la piscina centrale e le raffinate sculture, ma un‟ampia mansarda
dal soffitto fasciato di legno pregiato, arredata in stile coloniale. Era
seduto al centro di un divano bianco cinto di bambù finemente
intrecciato, così grande da occupare l‟intera parete. Un quadro in
bianco e nero evocava un mondo alla Steinbeck.
Fece un‟altra pausa. Sembrò soppesare la mia capacità di
poter sostenere quello che stava per dirmi. Nell‟aria, una vibrazione
speciale preannunciava l‟importanza cruciale di quel frangente. Ero
arrivato ad un altro di quei crocevia dell‟esistenza dove si va oltre o
si perde tutto. Ero sull‟orlo di un abisso. Precipitarvi avrebbe
significato non rivederLo mai più. Quando riprese a parlare tirai un
lungo respiro per farmi forza.
«Ogni passaggio è il superamento di se stesso! A guardia dei
mondi superiori, delle fasce più alte dell‟esistenza, ci sono esseri
mostruosi, nemici millenari, terribili e illusori come le tue paure…»
Le Sue parole erano fuoco liquido che mi scorreva nelle vene
divorandomi.
«Un giorno dovrai affrontarli!»
Non potevo muovere un muscolo. Rimasi così, a lungo,
immobile. Sentivo su ogni centimetro del corpo la pressione di una
forza sconosciuta che vincolava ogni mio movimento. Finalmente,
come ad un comando invisibile, mi sentii liberato. Cautamente,
avviai i primi movimenti per sgusciare da quella guaina di
impotenza e abbandonarla, come una spoglia zoologica. Ora potevo
sollevare la testa. Lo feci lentamente. Ancora non osavo dirigere
liberamente lo sguardo intorno ma notai che questa volta c‟era una
buona luce e potevo vedere con chiarezza ogni dettaglio
dell‟ambiente. La fonte di quella luce, ne ero certo, non era il sole. Il
nuovo giorno ancora restava fuori, sospeso ai vetri delle finestre più
a oriente, senza decidersi ad entrare. In qualche modo misterioso, la
226
La Scuola degli Dei
luminosità di quella stanza dipendeva da me! Potevo alimentarla o
ridurla, e lo feci più volte, azionando mentalmente un invisibile
dimer.
Stavo ancora sperimentando questo curioso potere quando un
pensiero mi assalì con la forza di una verità devastante. L‟universo
dipendeva da me! Come quella stanza, il mondo avrebbe potuto
mostrarsi pieno di luce ma restava confinato in un crepuscolo per la
mia incapacità di farlo splendere. Questa scoperta mi stava
mozzando il fiato.
Solo più tardi, quando potei riflettere a mente fredda, sentii
tutta la potenza delle parole del Dreamer: The world is such because
you are such. L‟uomo è un essere infelice che, circondato dalla
perfezione e da ogni abbondanza, guarda il mondo con gli occhi di
una rana e si lamenta di ciò che vede.
11 Il cucù dell‟esistenza
Mi incontrai con i Suoi occhi dolci e severi; mi sembrò di
vedervi passare un‟ombra di apprensione mista a commiserazione.
Questo mi spaventò più delle Sue parole. Mi sentii un ammalato che
nello sguardo di un amico legge la gravità della sua condizione.
Inaspettatamente Gli sentii dire:
«Da bambino giocavi a Cucù… »
Immediatamente il film della vita srotolò all‟indietro i suoi
fotogrammi. Il sole era oro liquido che verniciava smalti e sbrecci
dell‟antico terrazzo lasciando sul suo cammino lucertole a bocca
aperta, colte di sorpresa ed immobilizzate tra un vaso di basilico ed
uno di traboccanti gerani. Uno di noi, a turno, „andava sotto‟,
appoggiava al muro un braccino esile esile, vi premeva contro gli
occhi e contava. Gli altri correvano a trovare un nascondiglio. Cucù
era il grido lanciato a chi veniva preso di sorpresa, scovato,
spaventato.
«Così fa l‟esistenza… Cucù!» riprese il Dreamer, imitando
perfettamente quel suono della mia infanzia e penetrando nel mezzo
dei miei ricordi. Tentai di non distogliermi da quelle immagini, per
trattenerli ancora un poco, provai a dare un nome ai volti di quegli
scugnizzi luminosi, ma essi stavano già svanendo, portando via con
sé un profumo incantato d‟infanzia.
227
Addio a New York
«L‟esistenza viene a scovarti, dovunque tu sia, e mette la
maschera più terribile per rivelare lo stato in cui sei. Di cosa hai
paura? Di diventare povero? Di essere abbandonato? Di ammalarti,
di perdere una proprietà o il lavoro? Quella è la maschera che
l‟esistenza indosserà per spaventarti. Qualunque sia la paura di un
uomo, essa si materializza in eventi che egli dovrà incontrare sulla
sua strada. Come esami non superati, prima o poi dovrà
nuovamente affrontarli.»
Non avevo bisogno di ricapitolare mentalmente le mie
esperienze per sapere che il Dreamer stava dicendo il vero. E
tuttavia resistevo a quelle idee. Mi sembrava aberrante la visione di
un meccanismo planetario fatto per mantenere l‟umanità in uno stato
permanente di paura, di precarietà, sotto il tallone di una continua
minaccia.
«Solo sotto minaccia un uomo ordinario può trovare la forza
di fugare le ombre, i fantasmi creati dai suoi traumi infantili, dai
suoi sensi di colpa… Un uomo reale non ne ha bisogno… Vive
perpetuamente in uno „stato di certezza‟» chiarì il Dreamer, e
sottolineò l‟espressione con un tono particolare della voce, per
evidenziarne l‟importanza.
Ero perplesso. Quella che stavo ascoltando mi appariva la
teorizzazione di un‟ingiustizia planetaria. L‟umanità sarebbe divisa
in due specie: una felice e spensierata, benedetta da un senso di
certezza incrollabile, e l‟altra, immensamente più grande, in preda a
paure, tremante, in perpetua attesa di problemi e sciagure. Glielo
dissi e trovai il Dreamer in una disposizione d‟animo
inaspettatamente comprensiva.
Nel mondo del Dreamer anche fare una domanda richiedeva
cautela e attenzione. In Sua presenza ero continuamente vigile a cosa
pensassi, a cosa sentissi, ad ogni più piccolo movimento, a una
intonazione, a uno sguardo. Questo trasformava ogni momento
accanto a Lui in „lavoro‟ di Scuola. All‟opposto, lontano dal
Dreamer, la mia capacità di attenzione si disgregava, attratta in mille
direzioni, e con essa tutto il mio Essere si frammentava.
«Anche l‟uomo ordinario si sente sicuro; le sue certezze sono
le sue paure… i suoi dubbi sono la sua verità. Li ama e non se ne
separerebbe per nulla al mondo. Fin dall‟infanzia si è nutrito di
paure illusorie, ha mangiato il frutto della sua immaginazione
negativa, della sua creatività a rovescio. Perciò scambia le ombre
per avversità reali e vive e si sente costantemente sotto minaccia… »
228
La Scuola degli Dei
Il Dreamer mi spiegò che la dolorosità di questa condizione a
poco a poco non si sente più; essa viene percepita come tutt‟uno con
l‟esistenza. Dolore ed insicurezza diventano componenti naturali
della vita, ringhiere familiari, rassicuranti ad un punto tale che
abbandonarle sarà un‟impresa impossibile per la maggior parte degli
uomini.
«Feel safe − mi esortò − Fuori non c‟è nessun nemico… In
realtà sei sempre tu che minacci te stesso. La gente non si sente mai
al sicuro. Anche quando un uomo è ricco e, apparentemente non ha
nulla da temere, si sente dubbioso, in uno stato di continua
precarietà e vive nella paura, nella incertezza, nel dolore… È la
sola occupazione che conosce… un‟attività che governa tutta la sua
vita.»
«Allora non c‟è rimedio... »
«Non ci sono metodi per sentirsi al sicuro − mi disse il
Dreamer − non ci sono porte blindate né casseforti o bunker, né ci
sono precauzioni che si possano prendere.» Poi recitò:
Only a real dreamer can feel safe.
Dream is safety.
Doubt, fear, sufferings are illusions,
but ordinary man‟s sole reality.
Chiusi gli occhi e mi lascia cullare dalle parole del
Dreamer… provai il senso di sicurezza, di invulnerabilità che solo
un bambino sente, nonostante sia circondato da adulti paurosi,
ansiosi... Tentai di andare indietro, ancora più indietro, fino a
ritornare ad essere un feto ancora nell‟utero. Allora „ricordai‟
quell‟integrità senza scalfitture, quell‟innocenza senza la più piccola
separazione, e fluttuai nel liquido amniotico di un oceano di
certezza senza limiti.
La voce del Dreamer recitò gli ultimi versi:
«…To be safe you have to be without sin… without blame…»
In un lampo, mi fu chiaro che un uomo può essere attaccato
solo da nemici interni. Chi mente, chi simula, chi inganna, una
persona peccabile, incerta, dubbiosa… chi ha paura, non ha modo di
sfuggire. Sono le sue stesse paure che aprono le porte ai ladri… Mi
sentii perduto! …e con me sentii che tutta l‟umanità era perduta,
condannata ad una perpetua insicurezza. Chi avrebbe mai potuto
farcela? Uno stato di irrimediabile sconforto prosciugò
229
Addio a New York
quell‟universo e la sua aridità sabbiosa prese rapidamente il posto
del liquido di certezza in cui stavo nuotando. Scivolai verso
condizioni dell‟Essere sempre più dolorose e lontane.
«Solo un uomo capace di puntare tutto su se stesso, solo un
uomo che „vuole‟, che chiede e cerca di cambiare con tutte le sue
forze, può farcela − intervenne il Dreamer arrestando quella mia
caduta − E anche se agli occhi dell‟umanità ordinaria egli appare
un temerario, una persona che vive ad alto rischio, o addirittura un
incosciente, un uomo guidato dalla integrità e dalla serietà è
costantemente accompagnato da questo „senso di salvezza‟. Solo lui
sa che in realtà non sta rischiando nulla. Nel business, nelle imprese
apparentemente più temerarie, chi ha questa certezza non può
essere attaccato, non può fallire. Qualunque cosa tocchi si
arricchisce e moltiplica; sotto qualunque circostanza, anche la più
disperata, trova sempre la soluzione. E gli eventi e le circostanze gli
danno sempre ragione perché lui stesso è la soluzione.»
Continuò a recitare:
Feel safe permanently.
Be safe and feel immortal right now.
Poi, col tono sommesso di chi sta confidando un segreto,
disse:
«Anche se l‟uomo ordinario si sente costantemente sotto
minaccia ed ha sempre paura di qualcuno o qualcosa, in realtà non
c‟è nulla e nessuno che può nuocergli dall‟esterno. Il mondo è la
proiezione, la materializzazione del nostro Sogno… o dei nostri
incubi. Il mondo può essere un paradiso o un inferno. Dove vivere lo
decidi tu!»
Il Dreamer si fermò per darmi il tempo di annotare queste
parole sul mio inseparabile taccuino, poi concluse:
«Be free from fear!… Fearlessness is the door to certainty
and integrity and yet no amount of effort can make you fearless.
Fearlessness comes by itself when you realize that there is nothing
to be afraid of.»
La rivelazione del Dreamer che nessuna minaccia è esterna
mi stava mettendo davanti ad una voragine senza fondo. La
prospettiva di vivere senza paura, di sostenere una condizione
dell‟Essere che richiedeva uno stato di vigilanza senza tregua,
l‟attenzione incessante a filtrare anche il più piccolo granello
230
La Scuola degli Dei
d‟inferno, la sentii più minacciosa della nostra trepidante
condizione. Aver paura, essere dubbiosi, sentirsi minacciati dagli
accadimenti della vita, era l‟unica nostra certezza ed infine, la
quintessenza di quello che è considerato uno stato naturale
dell‟uomo. L‟idea di una umanità senza paura era ripugnante quanto
la prospettiva di vederla trasformata in una nuova razza distante da
me e dalla mia concezione di uomo più di una specie extraterrestre.
La minaccia alla nostra insicurezza è più spaventosa della paura
stessa, come l‟idea della immortalità è più inaccettabile della
certezza di morire. Fui assolutamente sicuro che ogni uomo sarebbe
stato pronto a sacrificare la sua vita per difendere, per sé e per le
future generazioni, il diritto di avere paura e di soffrire.
«Dietro ogni dolore, paura, dubbio, incertezza si nasconde
un pensiero distruttivo; e dietro un pensiero distruttivo, c‟è la causa
delle cause: l‟idea della inevitabilità della morte − riaffermò il
Dreamer, e aggiunse − Questo è il vero killer dell‟umanità…
l‟origine di ogni sventura dell‟uomo, di ogni guerra e di ogni
criminalità nelle civiltà da lui create. La consapevolezza di questo
seme di morte nell‟uomo cancellerebbe per sempre la morte fisica
dalla sua esistenza. La morte e ogni limite, come ringhiere, mettono
l‟uomo ordinario al riparo dallo sconcerto dell‟infinito.»
Il Dreamer mi spiegò che il senso di morte che l‟uomo si
porta dentro sembra originarsi al momento della sua nascita, anche
se in realtà ha origini molto più lontane. Venendo al mondo la prima
sensazione dell‟essere umano è quella di soffocare, di venire
sopraffatto. Nelle nostre società, cosiddette civili, la vita ha inizio
secondo un rituale tra i più brutali, che il Dreamer definì „un vero e
proprio benvenuto all‟inferno‟. Partorito nel dolore, accolto dalle
luci accecanti di una sala operatoria, dalle voci concitate dei medici
e dalle grida della madre, sculacciato e sdraiato su una fredda
superficie d‟acciaio, il neonato incontra la paura come prima
impressione e dal quel momento, come nell‟imprinting delle oche, la
seguirà come la sua vera genitrice.
«Da allora nulla ci apparirà più familiare del gusto
dolciastro della paura» affermò il Dreamer. Tutta la vita di un uomo
ordinario sembra controllata da questo primo attimo, dall‟esperienza
di quel fuoco liquido che ha sentito attraversargli i polmoni nel
terrificante passaggio da essere acquatico ad essere d‟aria.
231
Addio a New York
12 La bottiglia
Il tempo trascorse nel più completo silenzio. Tentai di
colmarlo immergendomi negli appunti che avevo faticosamente
preso. Dentro sentivo crescere un insopprimibile desiderio di
saperne di più. Qual era il segreto della paura, dell‟angoscia che ci
portiamo dentro? Qual era la ragione di milioni di vite, come la mia,
così particolarmente infelici? Il Dreamer sembrò raccogliere
nell‟aria queste domande e uscì dal Suo silenzio. Ma le parole che
pronunciò furono qualcosa di assolutamente inaspettato.
«A New York viveva con una bottiglia d‟acqua sempre a
portata di mano» disse in tono accusatorio, a voce alta, come per
denunciare questa circostanza a qualcuno alle mie spalle.
L‟imbarazzo che provai fu terribile. Il Dreamer stava
accompagnando le Sue parole puntando insistentemente entrambi gli
indici verso di me, con uno strano movimento dall‟alto verso il
basso, come per segnalarmi all‟attenzione di un invisibile testimone.
Quel modo di escludermi dalla conversazione diretta mettendo tra
noi un osservatore virtuale, mi fece piombare in un doloroso
sconcerto. Improvvisamente, le false protezioni, i compromessi, le
maschere create e stratificate nel corso di una vita, saltarono una
dietro l‟altra, come strati di pelle morta. Persi il controllo dei
muscoli del viso e sentii mille espressioni prendere forma in una fast
motion di smorfie grottesche. La macchina era impazzita insieme al
suo programma di gestione. Fu in quello spazio di libertà, come se il
Dreamer le avesse dato la stura, che la memoria di quegli anni prese
il sopravvento su ogni altra emozione e le immagini cominciarono a
fluire.
Di primo acchito, quei ricordi mi fecero l‟impressione di
essere i frammenti della vita di un altro. Per prevenire il formarsi dei
calcoli i medici mi avevano consigliato di bere molto. Tenere una
bottiglia d‟acqua sempre vicino divenne nel tempo un‟abitudine. La
bottiglia si trasformò in una specie di protesi, un‟appendice di cui
non avrei osato fare a meno. Uno dei primi effetti dell‟incontro con
il Dreamer, della corsa al mattino e dell‟applicazione dei Suoi
princìpi alla mia vita, fu la sparizione di tanta zavorra psicologica e,
con questa, anche della bottiglia.
«La tua malattia non è la calcolosi, ma la dipendenza. I
calcoli sono solo un sintomo, segnali indicatori per risalire alla vera
malattia, per trovare la via della guarigione.»
232
La Scuola degli Dei
Mi disse che quando non li ascoltiamo, e non seguiamo il
percorso a ritroso verso la vera causa, la malattia si acutizza e i
sintomi diventano ancora più assillanti e dolorosi.
Su Sua indicazione non bevvi più se non pochissimo, e gli
inconvenienti al rene diventarono un lontano ricordo. Rivedendo
scorrere le immagini sullo schermo della mente, mi stavo chiedendo
perché avesse rivangato proprio quell‟episodio della mia vita.
Improvvisamente scattò un meccanismo recluso e fui
catapultato in una memoria senza tempo, verticale al piano di quei
ricordi, nell‟eternità di uno di quei miei stati d‟Essere. Entrai nei
pensieri angosciosi di quegli anni. Ricordai che la perdita di quella
schiavitù, la libertà dalla tirannia della paura che aveva reso
inseparabile da me la bottiglia d‟acqua, non mi diede gioia né provai
sollievo. Anzi! Penetrando in un atomo di quel passato, scoprii che
quella nuova libertà ebbe per me il sapore di una perdita
irrimediabile, come il venir meno di una persona cara o il verificarsi
di un crack finanziario.
Ora ricordavo molto bene che la cosa più difficile fu
sopportare il vuoto lasciato dalla guarigione. La perdita, sia pure
temporanea, della paura, dell‟angoscia di ammalarmi, la sentii come
la caduta di una protezione vitale, l‟abbandono di vecchie, familiari
ringhiere.
13 I veri poveri
La voce del Dreamer mi fece sussultare e mi riportò al mio
compito di cronista.
«Togliere ad un uomo che non è pronto un problema o una
malattia è come disattivargli il sistema di allarme o eliminare un
provvidenziale riduttore di velocità. Se non è preparato, le
conseguenze sono imprevedibili. Potrebbe trovarsi in condizioni più
gravi di quelle precedenti. Per questo un uomo non può essere
aiutato dall‟esterno. Tolta una malattia o una preoccupazione,
immediatamente la dovrà sostituire con un‟altra malattia o un‟altra
preoccupazione, spesso acutizzate, ripristinando, come una perfetta
macchina omeostatica, le condizioni che gli corrispondono
nell‟Essere.»
Il Dreamer mi stava svelando il segreto di un comportamento
che riguarda la massa degli uomini. Un meccanismo psicologico di
233
Addio a New York
estensione planetaria è sotto i nostri occhi da sempre eppure il suo
funzionamento appare ancora inspiegabile. Gli uomini hanno
difficoltà ad abbandonare le loro sofferenze, le paure, l‟incertezza.
Ecco di che cosa sono ricchi. Sono questi i possessi cui essi sono
attaccati come ai loro beni più preziosi e che impediscono di andare
oltre. La ragione che mi diede il Dreamer è che l‟umanità li
percepisce come scudi protettivi.
“ … vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un
tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi. Udito questo il giovane se ne
andò triste; poiché aveva molte ricchezze”.
Finalmente, nella trama di quella storia, la parabola del
giovane ricco, come attraverso una filigrana, vidi il brillio
dell‟intelligenza che l‟aveva creata. Il tesoro custodito per venti
secoli in quelle straordinarie parole si mostrava nel suo abbagliante
splendore.
La spiegazione di quanto era avvenuto al Veronica‟s arrivò
improvvisa e mi folgorò. Quello che il Dreamer aveva veramente
chiesto agli uomini e alle donne riuniti a quella cena non era di
abbandonare le loro ricchezze ma la loro povertà. In realtà stava
indicando loro come entrare in zone più alte dell‟esistenza. Mettete
qualcuno al vostro posto, aveva detto. Ecco il significato del
discorso al giovane ricco: „vendi quello che possiedi e dallo ai
poveri‟. Ecco chi erano i poveri cui si riferiva il Vangelo. Date
quello che avete a chi sta aspirando a prendere il vostro posto. Vi
accorgerete che tutto quello che possedete, a cui siete attaccati più
della vita, è povertà rispetto a quello che sta per arrivare.
Per un particolare meccanismo che il Dreamer mi illustrò
approfonditamente, nel nostro universo tutto quello che non si
evolve degrada. Anche nelle nostre vite di uomini, ad ogni istante
non ci sono che due possibili direzioni: o verso l‟alto o verso il
basso. Il Dreamer chiamò questa „la legge dell‟evoluzione‟ e mi
precisò che, applicandosi a singoli individui come ad organizzazioni,
nazioni ed intere civiltà, la sua validità è universale. Senza una
spinta verso l‟alto, senza l‟energia speciale dell‟aspirazione ad
essere di più, la vita curva su se stessa e degrada.
Mi fece riflettere sull‟emblematicità del caso della Chiesa
che in certi periodi della sua storia, non riuscendo a trovare l‟energia
per innalzarsi ad un ordine superiore, ha curvato e curvato su se
stessa, discendendo di ottava in ottava fino al punto di prendere una
direzione opposta a quella iniziale. Fu così che poté trasformarsi
234
La Scuola degli Dei
nella negazione di se stessa, diventare idolatra, superstiziosa e
perfino criminale; arrivare ad inventare la santa inquisizione, le auto
da fé e le crociate, continuando paradossalmente a chiamarsi ed a
credersi ancora cristiana.
I ricchi del Vangelo, condannati a restare al di qua della
cruna dell‟ago, fuori dalle porte del Regno, non sono i Paperon de‟
Paperoni che navigano nell‟oro dei loro forzieri, ma gli uomini
appesantiti dalla zavorra delle emozioni negative, dai loro
attaccamenti, dai sensi di colpa; curvi sotto il peso della paura, sia di
vivere che di morire.
Mi apparve con chiarezza il disastro prodotto dalla
interpretazione a rovescio di questo messaggio che nei secoli ha
alimentato in milioni di uomini il vittimismo e la propensione alla
scarsità. Pensai all‟attitudine della Chiesa che commiserando,
giustificando,
e
talvolta
esaltando
la
povertà,
l‟ha
inconsapevolmente perpetuata, rendendo più difficile il suo
sradicamento dalla coscienza dell‟uomo, e quindi dalle sue
società.
14 La paura è amore degradato
«La paura è una droga che circola da sempre nelle vene
della tua esistenza. Non è paura di qualcosa. È paura e basta –
affermò – Ormai ne sei assuefatto. Le condizioni che un uomo
incontra nel mondo degli eventi, sono utili per rivelare quello che ha
cercato di sfuggire, di non vedere dentro di sé. Il male,
l‟accidentalità, per chi non ha una Scuola, sono disavventure. Per
chi ha una Scuola sono strumenti di lavoro per riconquistare
l‟integrità perduta, e capire. Allo stesso tempo, sono sintomi, bip di
allarme sulla sua vera condizione. Contrariamente a quello che un
uomo crede, prima viene la paura, poi scegliamo di cosa aver
paura.»
Dubbi, paura e dolore definiscono presto nella vita di un
uomo comune i limiti delle sue possibilità; uno spazio ipnotico,
irreale, entro i cui confini egli si sente sicuro come tra le pareti
massicce di un bunker, metà rifugio, metà prigione.
«L‟abbandono della paura è il primo passo verso l‟integrità,
verso l‟unità dell‟Essere – completò il Dreamer – sulla paura non si
costruisce niente né si può aggiungere intelligenza. L‟assenza di
235
Addio a New York
paura è la prima legge del guerriero. La paura ti fa dipendere da un
impiego e ti spinge a rifugiarti nella malattia, come hai già fatto in
passato.»
La voce del Dreamer assunse il tono di una burbera
esortazione quando mi ordinò:
«Trasforma la paura in opportunità!… L‟uomo ha due soli
sentimenti: la paura e l‟amore. Essi non sono opposti tra loro…
Sono la stessa realtà su piani diversi dell‟Essere… La paura è
l‟amore degradato, l‟amore è la paura sublimata.»
Mi diede il tempo di annotare queste ultime frasi e prima di
continuare si accertò che le avessi riportate fedelmente.
«La paura è la morte dentro. L‟eroe è l‟uomo in assenza di
paura, in assenza di morti interne. Eroe, da eros, amore, a-mors,
significano immortale. Chi non ha morte dentro non può incontrarla
fuori. Eroe è un grado della scala umana che non si guadagna nel
clamore della battaglia ma in solitudine, vincendo se stesso. La
battaglia serve solo a rendere visibile quello che l‟eroe ha già
conquistato nell‟invisibile. La sua invincibilità, l‟invulnerabilità, è
semplicemente la prova del nove di qualcosa che è già accaduto
nell‟Essere, la cartina di tornasole della sua vittoria sulla morte.»
Il Dreamer lasciò trascorrere una lunga pausa. La utilizzai
per completare e ritoccare gli appunti. Sentivo la preziosità del
materiale raccolto e la grandiosità delle rivelazioni del Dreamer che
proiettavano una luce abbagliante sui meccanismi più segreti e sulle
zone più buie della nostra psicologia; su tutto quello che fa di noi
una specie menzognera, paurosa, mortale.
Quando riprese il Dreamer si allacciò alla questione del
Kuwait, alle mie paure di lasciare il lavoro e trasferirmi.
«Andare in Kuwait è importante per te. Esternamente è
l‟inizio di una strada imprenditoriale, interiormente è un primo
passo verso il superamento di uno stato di apnea, di una condizione
stretta dell‟Essere in cui stai indulgendo da troppi anni.»
«L‟imprenditore è già un uomo in cammino verso il Sogno –
disse con voce vibrante, il tono era dolce – è un ribelle capace di
mettere in gioco reputazione e mezzi per modificare la realtà, per
rompere schemi ed equilibri preesistenti e crearne altri più
vantaggiosi… Mettere insieme altri uomini, prendersene la
responsabilità, trasmettergli entusiasmo, contagiarli con il proprio
Sogno, possono chiamarsi caratteristiche imprenditoriali… esse
236
La Scuola degli Dei
sono in realtà qualità dell‟Essere… per accedere ai gradini più alti
nella scala della responsabilità umana.»
Sentii l‟angoscia crescermi dentro senza controllo. Avvertii
l‟inconfondibile malore di una colica renale, quando l‟Essere viene
pervaso come da un‟ombra ed il mondo interno si oscura. Non c‟è
un‟altra sensazione così precisamente a metà tra il dolore fisico ed il
dolore psicologico. Istintivamente portai la mano sul rene destro.
Avrei voluto farGli presente i miei timori sul ritorno di quel
male che speravo fosse scomparso per sempre, ed avrei voluto dirgli
degli esami medici cui stavo per sottopormi.
«Smettila di essere un bugiardo – disse bruscamente – sei della
specie peggiore, quella degli uomini che mentono a se stessi: gli
ipocriti… La malattia non esiste. Il corpo non si ammala mai. Può
solo mandare segnali, produrre sintomi, per informarci di che cosa
manca nell‟Essere… Le malattie non esistono, esistono soltanto
guarigioni…»
Poi con premeditata lentezza, scandì:
«All healing is a release from fear… Ogni guarigione è
libertà dalla paura. Una volta libero dalla vera causa anche i
sintomi scompariranno.»
Caddi nel più completo sconcerto. L‟annuncio che la malattia
come la salute dipendevano solo da me e che la dipendenza, la
paura, erano i fabbricatori dei miei calcoli mi sprofondò in pensieri
che si allargarono dentro in cerchi sempre più ampi fino a perdermi.
«Finora hai vissuto da dipendente – disse in tono ruvido,
sottraendomi a una rovinosa caduta nell‟autocommiserazione – ed
hai la malattia degli irresponsabili. Chi si ammala di reni ha paura e
per questo dipende… Ammalarsi di reni significa che ci sono
problemi di comunicazione, innanzitutto con se stesso e poi con gli
altri.»
Al momento queste affermazioni del Dreamer mi apparvero
oscure e mi lasciarono scettico. Solo molti mesi dopo avrei scoperto
che culture ancestrali già sapevano che nel nostro cielo interno
brillano e roteano stelle e galassie, che i pianeti che formano il
sistema solare sono associati analogicamente agli organi corporei.
L‟antichità classica associava il fegato a Giove, il cuore a Marte, la
milza a Saturno, i polmoni a Venere. In quest‟ultima associazione
trovai conferma che il respiro è connesso alle emozioni, all‟amore,
inteso come a-mors, assenza di morte.
237
Addio a New York
Attraverso il respiro ed i suoi organi si possono controllare le
emozioni, si può combattere la paura. Nelle convinzioni della
classicità trovai anche conferma di quanto mi aveva già anticipato il
Dreamer: i reni sono connessi a Mercurio, l‟alato messaggero degli
dei, e quindi alla comunicazione. Ma queste scoperte sarebbero
arrivate solo dopo. Per il momento ostentavo un aperto scetticismo e
chiesi:
«Come mai allora la comunicazione mi è congeniale ed ho
sempre lavorato in settori dove più intensa è questa attività?»
«Proprio così – confermò il Dreamer tagliando corto – quelli
che si ammalano di reni sono attratti dalle attività di comunicazione
e si impegnano in esse proprio per bilanciare questa incapacità…
questa assenza di connessione, di comprensione… di comunione.»
Poi, col tono di passare a quello che più conta, disse: «Le tue
paure hanno fatto dell‟azienda che ti paga un idolo mostruoso che
riflette la tua dipendenza… hai trasferito fuori di te il Sogno... l‟hai
barattato con uno stipendio e false sicurezze, riducendoti in uno
stato di schiavitù… Chi dipende è già nella fossa fino al collo.»
«La verità è che, come milioni di persone, hai già deciso di
eliminarti» aggiunse con una stoccata finale.
A quelle parole sentii un senso di feroce ribellione, un
risentimento vicino all‟odio che, per il suo insorgere improvviso e
per la sua violenza, spaventò me per primo. Le Sue parole avevano
toccato una terminazione nervosa, avevano messo allo scoperto
quella parte di me più nascosta che, nel buio, ciecamente, stava
guidando la mia vita. D‟un tratto, com‟erano insorti, quel
risentimento, quel senso di ribellione, sparirono come fantasmi
dell‟Essere. Dietro di essi, più profondamente, trovai resa e
gratitudine. Qualcosa in me, più vera e sincera di ogni altra, sapeva
che chi incontra il Dreamer incontra la guarigione.
«Vai in Kuwait – ordinò paternamente con inattesa dolcezza
– Accetta quel lavoro e vivi la vita di un imprenditore... comincia a
respirare le prime boccate di un‟aria più dolce… ti servirà ad
abbattere le barriere che ti hanno impedito di accedere a stati
superiori di responsabilità... Remove your inner obstacles to growth
and all your personal, social and economic problems will dissolve.
Paura e dipendenza sono la stessa cosa. Si dipende perché si ha
paura e si ha paura perché si dipende. Non c‟è guerra più santa che
combattere e vincere questo limite… sconfiggere la paura e
strapparsela dall‟Essere…»
238
La Scuola degli Dei
Qui si fermò; ebbi l‟impressione che stesse valutando
l‟opportunità di fornirmi un‟ultima informazione. La sua immagine
cominciava già a perdere i contorni, quando disse:
«In Kuwait incontrerai uomini e donne che sono cellule
preziose del Progetto.»
15 The solution comes from above
Il giorno dopo annullai l‟esame radiologico e accettai la
proposta di Yusuf Behbehani. Il Dr L., capo del personale dell‟ACO,
fu molto sorpreso nel ricevere le mie dimissioni contenute in poche
righe formali, e volle vedermi. L‟avevo già incontrato in più
occasioni. L‟impressione che ne avevo ricavato era quella di un capo
severo, altezzoso. Ma questa volta l‟incontro fu diverso. La sua vita
mi si dispiegò davanti d‟emblée, come se il suo passato ed il suo
futuro si comprimessero in quell‟istante. „Vidi‟ il suo rapporto con la
moglie, con i figli, con l‟esistenza. Il Dr L. rappresentava l‟emblema
stesso di una carriera orizzontale, apparentemente di successo ma in
realtà guidata dalle stesse paure, dalla dipendenza e dall‟infelicità
che avevano connotato la mia vita.
Una volta presa la decisione, la visione si era fatta lucida,
tagliente come una lama. „Vidi‟ negli occhi di chi era stato il mio
capo il riflesso delle mie insicurezze, la pochezza della condizione
impiegatizia, l‟asfissia di quella descrizione del mondo. „Vederlo‟ e
sentirmi libero fu tutt‟uno. Ero libero perché „vedevo‟, „vedevo‟
perché ero libero. Riconoscermi in quest‟uomo, scrutare la mia
immagine riflessa in ogni sua attitudine o parola, fu come poggiare il
piede su un gradino e andare oltre. Non avrebbe mai più potuto
essere il mio capo. Era bastato innalzarmi di un millimetro nella
verticalità per „comprendere‟ in un istante tutta l‟esistenza di
quell‟uomo: studi, carriera, relazioni.
La sua vita affettiva, quella professionale, le apparenti
vittorie e gli insuccessi, e tutto quello che poteva credere di sapere e
quello che credeva di possedere, d‟un colpo fu contenuto. E fui
libero. In tutto l‟Essere sentii l‟affrancamento dalle vecchie catene.
Mi apparvero allora assurdi come credi idolatri la devozione alla
scarsità di tutti gli uomini, la generale venerazione per tutto ciò che è
sofferenza, la nostra affezione alla menzogna, la nostra fede
incrollabile nella inevitabilità della morte. L‟incontro con il Dr L.
239
Addio a New York
era stato un duello tra il vecchio ed il nuovo in me. Una sola
esitazione e sarei stato disarcionato e ricacciato nell‟erebo della
dipendenza. Ma come in una tenzone medioevale, nel mondo
dell‟invisibile era registrata la mia vittoria. Fui pervaso da una
felicità nervosa, selvaggia, di chi ha appena superato una sfida
mortale.
Quando ci lasciammo, sulla soglia del suo ufficio, ebbi
l‟impressione che anche gli occhi del Dr L. esprimessero
soddisfazione per il mio passaggio. Il nostro incontro aveva dato
anche a lui un respiro di libertà e per qualche attimo l‟aveva fatto
uscire dalla prigione del suo ruolo. Realizzai che tutta l‟umanità,
come un unico organismo, sa e prova gioia per una sola cellula che
guarisce e annuncia la nuova specie.
Realizzai che in tutti quegli anni la ACO Corporation non
aveva rappresentato soltanto un lavoro e una fonte di reddito, ma
una protezione e la rappresentazione tangibile di una condizione di
dipendenza. Era tempo di girare pagina.
In pochi giorni chiusi la casa, mandai i bambini
accompagnati da Giuseppona dai nonni materni per qualche
settimana. Ero pronto a trasferirmi a Kuwait City, la città-stato
galleggiante sul suo oro nero, ma ormai anche una frontiera del
Business mondiale e uno dei centri finanziari del pianeta.
Anche in questa circostanza ritrovai Giuseppona al mio
fianco. I suoi occhi brillavano per l‟eccitazione. Ancora una volta
era pronta. Stava accogliendo anche questo cambiamento, e la
prospettiva di vivere per anni in Medio Oriente, con l‟entusiasmo di
una bambina.
«Fai presto, figlio!» disse abbracciandomi. I bagagli erano
stati caricati e Giorgia e Luca erano già sull‟auto pronti a partire.
«Trovaci una bella casa… Non sto nei panni di vedere il
deserto… Me l‟immagino come una spiaggia un po‟ più grande di
Licola… E poi ho voglia di incontrare qualche principe arabo… »
Il buonumore di Giuseppona era insopprimibile e contagioso.
Grazie a lei, quell‟addio ai bambini fu luminoso. La promessa di
riunirci presto mi rese più forte e ancora più determinato
nell‟affrontare questa svolta cruciale.
Il Dreamer mi ricordava costantemente che il Sogno è la cosa
più reale che ci sia e che l‟arte del sognare è un innalzamento
dell‟Essere che permette di accedere al mondo delle soluzioni.
240
La Scuola degli Dei
«Nel mondo degli eventi, nel mondo degli opposti, non puoi
incontrarti con la soluzione. La soluzione non è sullo stesso piano
del problema. Solution comes from above and not in time! Bisogna
sapere come entrare nel mondo delle soluzioni. Quando ti innalzi
nell‟Essere tutto quello che ti era apparso nebuloso diventa chiaro e
gli apparenti problemi che sembravano montagne insuperabili si
rivelano lievi gibbosità… »
Queste parole mi fecero riflettere su una questione vitale, su
un fatto che è sotto i nostri occhi eppure continua ad eludere ogni
analisi, ogni nostra indagine: in tutta la storia del mondo i problemi
non sono mai stati risolti! Al massimo sono stati trasferiti nel tempo
o nella geografia, rinviati al futuro o spostati in un altro paese. I
cambiamenti della storia dell‟umanità, e le soluzioni trovate nel
tempo ai suoi immani problemi, sono perciò solo apparenti. Quei
problemi sono ancora esattamente così com‟erano millenni addietro.
L‟umanità non li ha risolti ieri con le mani nude e le selci e non
riesce a risolverli oggi con le più avanzate tecnologie.
«Ma certamente molti mali li abbiamo alleviati, siamo
migliorati… »
«Tra le abitudini più nocive ed inveterate dell‟uomo c‟è
quella di parlare sempre di miglioramento, e crederci. Il linguaggio
comune è infarcito di parole come evoluzione e progresso; ma tutto
resta così com‟è. Migliorare è impossibile − concluse seccamente il
Dreamer − Credere di potersi evolvere e migliorare fa parte delle
superstizioni della vecchia umanità. È una fede bigotta e cieca.»
Da millenni non succede nulla. I problemi planetari, dalla
povertà alla criminalità, fino alla conflittualità e alle guerre, sono gli
stessi di sempre, nell‟età della pietra come nell‟età digitale.
«„Migliorare‟ è la parola d‟ordine di chi vuole lasciare tutto
com‟è; di chi indulge in un modo di pensare obsoleto, privo di
vitalità.»
Credere che il mondo possa essere migliorato dall‟esterno è
la convinzione fideistica di un‟umanità che non ha la forza di
affrontare alla radice il suo male. Occorre una rivoluzione del
pensiero. Un capovolgimento. Per cambiare la realtà bisogna
cambiare il Sogno. Solo l‟individuo può farlo.
Il tempo curva, e l‟uomo e tutte le civiltà da lui create
curvano e degradano con una ciclicità che li riporta sempre al punto
di partenza, al passato, mentre hanno l‟illusione di andare verso il
futuro. La soluzione, nella vita di un uomo come nella storia di una
241
Addio a New York
civiltà, non è quindi mai nel tempo ma in un „tempo verticale‟, in un
tempo senza tempo, in un innalzamento della qualità del pensiero
che può avvenire solo in questo istante.
«Solo gestendo l‟attimo sospeso tra il nulla e l‟eternità
l‟umanità potrà modellare il suo destino, creare eventi di ordine
superiore.»
Com‟era già accaduto in tutte le fasi della mia vita guidate
dal Dreamer, da quel momento ogni cosa assunse le proporzioni più
giuste e prese puntualmente il suo posto, come nell‟incastro dei
pezzi in un gioco perfetto. La decisione, una volta presa, diede un
taglio netto a situazioni che da troppo tempo stagnavano e nelle
quali stavo indulgendo.
«First thing first! Appena metti avanti a ogni altra la cosa
più importante di tutte: il Sogno, la tua evoluzione… quando
ricordi Me… un senso di discriminazione emerge... sai con certezza
che cosa fare e che cosa non fare… Quando cominci ad
autosservarti, a conoscerti, tutto quello che è giusto comincia ad
accadere e tutto ciò che non fa parte del Sogno, tutto ciò che è
inutile, superfluo o dannoso, inizia a dissolversi.»
La veridicità di queste parole la riscontravo ogni attimo, la
toccavo con mano. Quello che faceva parte del passato si stava
semplicemente sgretolando, senza nessuno sforzo, e senza nessun
rimpianto o tentativo da parte mia di trattenerlo. Come Noè, potevo
portare con me solo i „semi‟ del mio nuovo mondo.
Apparentemente stavo abbandonando la sicurezza
dell‟impiego, un equilibrio familiare, la casa, per un‟avventura
imprenditoriale in un paese lontano. Soltanto gli anni accanto al
Dreamer, il lungo lavoro di autosservazione, la Sua presenza, mi
facevano vedere che quello cui stavo veramente rinunciando erano la
menzogna e la dipendenza che ancora mi spingevano a credere nelle
certezze di un „lavoro sicuro‟, nella protezione, nell‟aiuto del mondo
esterno.
Gretchen incarnava in modo esemplare quella descrizione del
mondo, ne era la rappresentate e la custode fedele, sempre attenta ad
alimentarla ed a perpetuare quel modo di pensare, di sentire, di
concepire la vita. Quando arrivò il momento, come prevedevo, non
se la sentì di lasciare le Alpi per le sabbie del Medioriente. Quella
donna e tutto ciò che rappresentava non potevano seguirmi. Si stava
ripetendo esattamente quello che era avvenuto con Jennifer. Ogni
volta che dicevo di sì al Dreamer era la morte di un mondo di falsità,
242
La Scuola degli Dei
di compromessi e di ipocrisie. Le mie certezze erano per Lui
vecchiume da barattare al più presto con qualcosa di prezioso, per
me ancora invisibile.
Quei cambiamenti così radicali, apparentemente improvvisi,
erano solo l‟effetto di un millimetro di comprensione fatto in anni e
anni di sforzi. Nonostante questo, ci sarebbero voluti altri anni di
preparazione e la caduta in ancora tanti errori prima di poter andare
oltre e fare entrare più in profondità le Sue parole.
Dando più spazio ai princìpi del Dreamer, Gretchen non
poteva che dissolversi insieme a tutte le insincerità e ai fantasmi
della mia vita. Ritornò a New York, le sue lettere si diradarono e non
ci vedemmo mai più. Gli idoli che avevo adorato, le cose in cui più
fermamente avevo
creduto stavano crollando. Ogni priorità fu
sovvertita. La carriera, la famiglia, il denaro, l‟intero set dei valori,
stavano prendendo forme nuove. Qualcosa di straordinario stava
penetrando nella mia vita. Qualcosa di gentile, di sincero, di vero, si
stava facendo spazio, con semplicità.
243
244
La Scuola degli Dei
CAPITOLO VI
A Kuwait City
1 Questa è economia!
Mi appoggiai all‟indietro contro lo schienale della poltrona e
stiracchiai le gambe sotto il lungo tavolo di mogano. Era stata una
giornata intensa, piena di impegni, come accadeva ininterrottamente
da mesi. Avevamo lavorato in un festoso disordine, con gli uffici
ingombri di scatoloni con le nuove attrezzature e i mobili arrivati
dall‟Europa. Le torri gemelle dell‟Al Awadi Center, dove avevo
trasferito il quartier generale, erano silenziose a quell‟ora della sera.
Il ronzio dei condizionatori era monotono e rassicurante come le
fusa di un grosso gatto meccanico. Nel buio Kuwait City era una
manciata di diamanti tra le spire delle Ring Roads, le sue tangenziali
concentriche. L‟unica autostrada del paese allineava le sue luci
verso i pozzi, poche miglia a nord-ovest. Lì ansimavano le grandi
pompe estrattive, teste di sauri smisurati emergenti da oceani
minerali vecchi di milioni di anni.
Benché fosse sera la temperatura all‟esterno doveva essere
ancora insopportabile; quel giorno aveva superato ogni record.
Sorrisi al pensiero del decreto dell‟Emiro che aveva ordinato la
sospensione immediata di ogni attività lavorativa a temperature
superiori ai 40°. Da allora i termometri ufficiali smettevano di
registrarle risolvendo così il problema del costo di quel divieto.
Con il trasferimento degli uffici e dei reparti di assistenza
tecnica nel complesso commerciale delle Al Awadi Towers,
l‟impresa che avevo avviato in Kuwait era entrata nel pieno della sua
operatività e stava diventando una delle attività più produttive tra i
numerosi business della holding Behbehani. Avevo selezionato da
ogni angolo d‟Europa, e qualcuno dagli States, i dirigenti e i tecnici
più qualificati per questa impresa. Ed altri arrivavano, man mano
245
A Kuwait City
che il continuo sviluppo delle attività lo richiedeva, nel clima
eccitante che accompagna la conquista di nuove frontiere. Con
ognuno di loro avevo sottoscritto un contratto che li impegnava a
una permanenza in Medio Oriente di almeno tre anni. Non era stato
facile trovarli, sceglierli, ma soprattutto motivarli a trasferirsi a
Kuwait City. Questo piccolo esercito di expatriates aveva mille
problemi e infinite necessità: dai visti all‟alloggio, dal trasferimento
dei mobili all‟adattamento delle famiglie, all‟educazione dei figli,
etc. Trascorrevo giorni e notti ad organizzare, a pianificare tutto il
necessario per il buon andamento di quell‟impresa e per il benessere
di tutti quegli uomini di cui mi sentivo responsabile; ma non riuscivo
mai a soddisfarli. Ora che ero il capo, avrei voluto fare per loro
quello che avrei desiderato per me quando occupavo il loro ruolo.
Tra lingue, nazionalità e professioni avevo messo insieme
una piccola torre di Babele, un corpo multiforme, felicemente
eterogeneo, che ogni giorno cresceva seguendo il disegno di una
gestazione perfetta. Ogni elemento ed ogni uomo si aggiungeva
naturalmente andando ad occupare il posto giusto nella trama di quel
tessuto a maglie fitte. Arrivai presto a sentire questo team come
un‟estensione di me stesso.
Mettersi al servizio di quegli uomini, lavorare per il loro benessere,
significa ricordare costantemente i princìpi del Sogno…
Il tuo cambiamento li farà più vivi, più responsabili, più liberi.
L‟integrità del leader è la soluzione.
Questa è economia!
Ora, solo con i miei pensieri, ripassavo mentalmente quelle Sue
parole. Un profumo d‟infanzia impregnò l‟aria. Sentii la leggerezza
di una festa. Passai mentalmente in rassegna tutti gli uomini e le
donne che lavoravano per me. Rividi i loro visi mentre riascoltavo le
parole senza tempo del Dreamer: “Curarli, servirli e amarli è il
compito di un vero leader. In una organizzazione anche la più
lontana delle cellule deve essere curata perché evolva ed acceleri il
suo progresso.”
2 Dimenticare il Sogno
In quei mesi di costruzione, intensamente assorbito dalla mia
nuova vita, dimenticai le raccomandazioni del Dreamer e persi la
246
La Scuola degli Dei
miracolosità del gioco. Per periodi sempre più lunghi vissi in apnea,
senza respirare l‟aria pura del Suo insegnamento, dimenticando la
mia ricerca. Preoccupazioni ed affanni che allora scambiavo per
indicatori ed effetti insopprimibili della responsabilità, mi
ingabbiarono fino a credere che tutto dipendesse dalle mie decisioni,
dalle mie scelte strategiche.
«È già tutto fatto − tentò ripetutamente di avvertirmi il
Dreamer, presagendo il cammino disastroso verso cui avviavo i miei
passi − È già tutto fatto. Devi solo raccogliere…»
Ma queste parole cadevano nel vuoto, anzi si infrangevano
contro i bastioni della mia presunzione. Ero convinto che i successi
crescenti delle attività che dirigevo fossero il risultato naturale di
capacità e doti che mi appartenevano da sempre. Le mille situazioni
del business, con tutte le sue apparenti trappole e agguati, le lotte per
affermarsi e vincere, mi tenevano sempre più dolorosamente teso,
preoccupato, triste.
Ricordo che una sera, avviandoci a una cena al Riccardo,
passammo lungo la corniche. Vi scorreva il traffico più fantasioso
del mondo, con Bentley e Ferrari che procedevano accanto a vecchie
Mercedes e pick-up bardati come cammelli da parata. Facevo fatica
a sentire quello che mi stava dicendo il Dreamer. Improvvisamente
ogni rumore cessò. Come a un comando invisibile, le macchine si
accostarono al marciapiedi o si arrestarono nel mezzo della strada.
Tappeti da preghiera si srotolarono in direzione dell‟Al-kaba ad
accogliere le genuflessioni di centinaia di automobilisti trasformati
per magia in un popolo di oranti. Sotto il cielo che si infittiva di
stelle, il lungomare era diventato una immensa moschea. In quel
silenzio la voce del Dreamer mi raggiunse con una intensità
indescrivibile.
«Questi uomini stanno facendo il tuo stesso cammino. Si
genuflettono cinque volte al giorno e pregano per raggiungere il tuo
stesso scopo. Ma il paradiso in cui credono non verrà mai.
Il paradiso è uno stato d‟Essere… l‟aldilà è questo mondo in
assenza limiti. La religione con i suoi rituali di massa è illusoria…»
Più tardi quella sera, colsi il momento opportuno e Gli chiesi
di dirmi di più. Mi spiegò che religioni, ideologie e scienze sono
ponti da attraversare, da trascendere e abbandonare. Una volta
esaurito il loro compito, dovremmo liberarcene; ma per il nostro
indulgere, esse si trasformano in prigioni di dogmi e superstizioni, in
trappole mortali. Per un‟umanità così com‟è, aggressiva,
247
A Kuwait City
conflittuale, per gente che lasciata a se stessa si distruggerebbe, la
religione è uno strumento di controllo sociale, di prevenzione e di
contenimento della criminalità, insieme a tribunali, sceriffi e
prigioni.
«Ricorda il tuo scopo − concluse − Se veramente vuoi
trasformare il tuo destino in una grande avventura ricorda i princìpi
del Sogno… L‟indulgere dell‟umanità in emozioni negative e in
pensieri distruttivi è la vera causa di tutti i suoi guai. Sii vigile! Non
permettere internamente neppure un atomo di dolore. Usa qualsiasi
mezzo ma chiudi all‟istante ogni tua ferita mortale!»
Nonostante la presenza del Dreamer e le Sue
raccomandazioni, immancabilmente mi trovavo a ripercorrere i
vecchi solchi di un‟esistenza infelice. Ricordo che anche quella volta
il Dreamer fu costretto a concludere il nostro incontro con una
minaccia.
«Fai la tua rivoluzione! − intimò − o un giorno ti ritroverai a
genufletterti con questa folla sperando di propiziare una divinità
fuori di te.» Poi in un sussurro, feroce come il soffio di un grosso
predatore, aggiunse:
«Cambia! O dovrò sostituirti con chi è più pronto di te.»
La pressione del lavoro aumentava ogni giorno col crescere
dell‟impresa e l‟espandersi delle sue attività. Di notte mi svegliavo
con il cuore in tumulto e restavo a lungo insonne.
Provvidenzialmente, ogni tanto, come un raggio di sole che penetra
tra le grate di un carcere, il ricordo del Dreamer veniva a darmi
respiro. Allora una breccia si apriva in quel muro di dimenticanza.
Per qualche istante, riuscivo a riconnettermi al Sogno. Avrei voluto
non abbandonare più quel luogo nell‟Essere, quell‟isola senza tempo
dove non c‟erano preoccupazioni, incertezze né ansietà. Ma quello
stato durava un battito di ciglia. Paure e dubbi, allontanati per poco,
ritornavano ancora più forti di prima. Mi sentivo soffocare. Allora
una nausea mi invadeva e la mente ritornava in balia di un esercito
di pensieri oscuri.
Quella sera, il silenzio e la solitudine propiziarono le mie
riflessioni e aprii „a caso‟ il taccuino degli appunti. Queste parole del
Dreamer emersero vive e possenti:
«Ogni uomo è il solo unico artefice della realtà che gli tocca
vivere. Il mondo è un grande schermo su cui proiettiamo i fantasmi
della nostra vita… Al di fuori di noi non c‟è nessuna forza, nota o
ignota, naturale o sovrannaturale, che possa influenzare il nostro
248
La Scuola degli Dei
destino… Qualsiasi evento della nostra vita, prima di manifestarsi,
deve avere il nostro consenso. Do not believe that this world exists
outside of yourself. Try to realize that all that you believe to be
coming from „out there‟ starts instead in yourself and nowhere else.
Your recognition of an inner cause responsible for all that happens
outside yourself makes evil, sufferings and death totally disappear
from the earth.»
Sollevai gli occhi e restai incantato dall‟oscurità incorniciata
tra il marmo delle trifore moresche. Realizzai quanto diversa fosse
ora la mia vita da quella del passato. Provai un intenso momento di
gratitudine per quanto avevo ricevuto e per quanto stava accadendo
nella mia esistenza. Una sola goccia di un mondo superiore basta a
dissolvere le sciagure di una vita.
Osservai quell‟ambiente e ogni particolare con una nuova
lucidità. Rilevai l‟eleganza mediorientale, opulenta e vistosa, della
meeting room. Attraverso l‟uscio socchiuso sbirciavo l‟allegro
disordine degli scatoloni lasciati sui ricchi tappeti. L‟indomani i miei
uomini avrebbero sballato apparecchiature e mobili e li avrebbero
montati. Passai mentalmente in rassegna i loro visi sorridenti. Fu a
questo punto che avvertii l‟inesprimibile sensazione di non essere
solo. I battiti del cuore si fecero più intensi mentre lentamente
facevo ruotare la poltrona verso quella presenza.
3 Preoccuparsi è animalesco
A pochi passi da me, c‟era Lui, il Dreamer, elegantemente
vestito nel Suo stile senza tempo. Sedeva in una posizione
leggermente rovesciata all‟indietro, con le gambe accavallate e
l‟espressione di chi è evidentemente a proprio agio. Sembrava
assorto nella lettura di un piccolo libro finemente rilegato. Non mi
guardò né diede segno di avermi notato. Da quanto era lì?
Non ebbi il tempo di riprendermi dalla sorpresa che era già
entrato in argomento, senza preamboli, come al solito.
«Gli uomini come te, identificati con la descrizione del
mondo, si preoccupano perché hanno dimenticato la miracolosità
dell‟Essere» disse senza distogliere gli occhi dal libro. La pausa che
seguì trascorse come se ponderasse tra sé e sé la Sua affermazione.
249
A Kuwait City
Poi, senza nascondere un senso di disgusto al solo pensiero,
aggiunse:
«Preoccuparsi è animalesco!»
Erano mesi che non Lo vedevo. Nel ritrovarmeLo davanti
all‟improvviso, così vicino da poterlo toccare, provai sentimenti
contrastanti. Superata la sorpresa, sentii la gioia, improvvisa e
tumultuosa, di chi nel deserto scorge la cima di palme insperate. Ma
quella gioia fu rapidamente oscurata da un nugolo di emozioni
sgradevoli. Sentii il rimpianto a lungo represso venir fuori con
l‟odoraccio di un materiale inquinato. Per lunghi mesi mi aveva
lasciato solo a fronteggiare un compito superiore alle mie forze.
Quante volte mi ero già pentito di avergli dato retta, di esserci
venuto. Quante volte mi ero disperato sentendomi in trappola, senza
la forza di andare avanti, senza la possibilità di tornare indietro.
Avrei voluto la miserabile sicurezza di uno stipendio, rifugiarmi di
nuovo in quel grembo oscuro di schiavitù. Perfino la sofferenza
cieca, la dolorosità inconsapevole della mia vita prima del Dreamer
era arrivata ad apparirmi preferibile a quella faticosa scalata.
Nonostante lo sforzo per contenerla, non potei evitare una reazione
aggressiva, quasi di aperta sfida.
«Se preoccuparsi è animalesco − ribattei, mentre i muscoli
facciali si irrigidivano e perdevo il controllo delle espressioni −
allora cosa si deve fare? Se non mi preoccupo, se non ci penso, chi
lo fa?»
Il Dreamer non ebbe alcuna reazione. Restò assorto nella
lettura del Suo libriccino, che teneva aperto nel palmo della mano
sinistra, e non rispose. Appena pronunciate quelle parole, avrei
voluto tornare indietro, poter riavvolgere il nastro del tempo e
cancellarle. Ma troppo tardi. La loro violenza e l‟arroganza del tono
usato mi tornarono contro; mi sentii schiacciare sotto il peso di un
macigno. Notai che ero almeno riuscito ad evitare di dire „io‟. E
questo, assurdamente, mi diede un po‟ di sollievo. Il silenzio
continuò, si fece più denso e penoso. Rimasi immobile, tutto il
tempo, a guardarLo leggere. Quando smise, un‟inquietudine mi
assalì, come per un pericolo incombente e sconosciuto. Lentamente
chiuse il libriccino mantenendo indice e medio tra le pagine, come
un segnalibro, ed alzò gli occhi fino a fissarli nei miei con
un‟intensità che non potei reggere. Per un attimo ebbi la percezione
dell‟abisso che ci separava ed una vertigine di anni luce misurò la
distanza tra i nostri esseri.
250
La Scuola degli Dei
«Tu ancora appartieni a un mondo che crede di agire e
scegliere… un mondo dove si fanno piani e programmi… e dove il
respiro dell‟esistenza passa inosservato» mi accusò col tono di un
padrone severo. Poi, addolcendolo impercettibilmente, disse:
«L‟unica pianificazione che un uomo può fare è sviluppare
se stesso, nutrire il proprio Sogno. Tutto il resto gli sarà aggiunto...
L‟abbandono di un atomo di paura sposta montagne e ti proietta
come un gigante nel mondo degli eventi.»
«Com‟è possibile evitare di preoccuparsi del futuro?» chiesi
con trepidazione. Temevo la dolorosità di un intervento del
Dreamer. Poi, incoraggiato da uno spiraglio di benevolenza,
aggiunsi:
«Come si può vivere senza piani, senza fare programmi?»
Nel tono della voce era riconoscibile lo sforzo di rimediare in
qualche modo alla grossolanità del mio primo intervento.
«La programmazione è una forma di esorcismo, una fuga dal
reale − rispose il Dreamer − L‟uomo assopisce la sua paura del
futuro con la falsa sicurezza delle previsioni, attraverso rituali fatti
di pianificazioni e programmi. Di fronte all‟apparente
incontrollabilità, all‟imprevedibilità dell‟esistenza, uomini come te
hanno fatto ricorso a regole ed a formule, si sono illusi di curvare
l‟universo attraverso le lenti deformanti della razionalità e lo hanno
sostituito con una descrizione più rassicurante.»
«Ma nulla di questo ha mai potuto alleviare la sensazione
della propria precarietà, their sense of unsafety», concluse come
osservando il risultato di un amaro bilancio.
«Ma come si potrebbe fare a prevedere quello che sta per
venire, ed a premunirsi, senza programmare?»
«Fare programmi è come scavare un pozzo e credere di
potervi contenere l‟immensità di un oceano. Questo scudo di
debolezza, questa corazza illusoria che ti fa sentire protetto, il tenue
diaframma mentale che hai frapposto tra te ed il reale, si lacera ed
improvvisamente un uomo è messo di fronte all‟abisso, all‟immenso,
alla vita così com‟è e non come gli è stata descritta.»
Credenze e pratiche di anni trascorsi nelle organizzazioni,
teorie decisionali, strategie d‟impresa, modelli, griglie e skill
manageriali, e tutto l‟armamentario di teorie e tecniche apprese negli
studi di economia e di business fatti in Italia, negli States o in Gran
Bretagna, mi stavano ora crollando addosso come idoli di pietra.
251
A Kuwait City
«Ma un manager per prendere delle decisioni dovrà pur
programmare la sua attività e quella dei suoi collaboratori; dovrà
pure fissare degli obiettivi da raggiungere?» chiesi, in un ultimo,
flebile tentativo di salvare almeno un brandello delle sicurezze su
cui avevo fondato la mia vita e l‟illusione di poter gestire una mia
impresa in Kuwait.
«Non nasconderti dietro la maschera di un ruolo! − tuonò il
Dreamer in tono di nuovo aggressivo − Non dire „un manager‟, dì
„io‟ come posso fare?Usalo intenzionalmente questo piccolo „io‟ e
prendi responsabilità! L‟universo ti ascolta. Sempre!… e ti misura
anche mentre fai una domanda.»
Un‟antica ferita si riaprì dentro e la sentii bruciare per il
risentimento, per l‟umiliazione, come la palma della mano percossa
da una bacchettata barnabita. In un attimo fui tra le mura dell‟antico
collegio incastonato come una perla bianca tra le viscere di Napoli e
mi collegai a quella coscienza di bambino. Sentii la guarigione.
Quando quelle immagini svanirono mi ritrovai davanti al Dreamer
libero, innocente. Adesso potevo finalmente ascoltarLo.
«Un vero leader pianifica e programma come fanno tutti ma
senza crederci. La sua pianificazione è una recita che rispetta azioni
e ruoli di un copione teatrale invisibile.»
«Ogni attimo è un atto di creazione… ogni attimo è nuovo −
completò il Dreamer − Non c‟è mai stato un momento prima né un
momento dopo quest‟attimo… Né ci sarà mai! … Tutto quello che
vedi… e tutto quello che non vedi, è creato in quest‟attimo… Tutto
avviene adesso, in questo istante eterno, nell‟onnipotenza, nello
spazio infinito del tuo Essere.»
Il Dreamer accompagnò queste parole tirando dal cielo un
filo invisibile tra indice e pollice, tracciando nell‟aria una verticale al
mondo.
«L‟attimo è territorio
del Sogno… La pianificazione
dell‟uomo ordinario avviene nel tempo e nello spazio... prima o poi
curva e fallisce.»
«Ma il „sognare‟ non è anch‟esso una forma di
pianificazione?» chiesi con la dolcezza di una resa, sempre più
affascinato dalla Sua visione.
«Il Sogno è una pianificazione che avviene in assenza di
tempo… nell‟eternità, in un tempo verticale… Io sono questo
istante… Questo istante contiene tutto quello che andrò a
raccogliere nel tempo… briciole, frammenti di me!… Per questo un
252
La Scuola degli Dei
sognatore non fa piani, né si preoccupa. Egli lascia che il Sogno si
esprima in tutta la sua libertà, in tutta la sua bellezza… sa che i
risultati si producono per caduta, naturalmente, per quello che è il
suo grado di impeccabilità e di integrità.
Deep within you is a unified field of limitless possibilities. It
is here that your dream takes place. It is here that whoever or
whatever is necessary to create prosperity and success in your life,
appears. It is here that your purpose in life becomes very clear to
you.»
Poi col tono di condurre una dimostrazione matematica,
continuò:
«Nelle imprese e in ogni piramide organizzativa più è basso
il livello di responsabilità, più è necessario pianificare… Più scendi
verso i ruoli sottostanti e più c‟è necessità di programmare ogni
minimo dettaglio, di fissare e ricevere obiettivi precisi. Lì tutti i
rituali di un processo decisionale sono scrupolosamente seguiti ma
attraverso questi uomini e donne non succede niente.»
L‟aria ancora vibrava di queste parole quando le luci della
meeting room, dov‟eravamo, si smorzarono e uno schermo calò
lentamente fino a coprire la parete di fondo. Ebbi l‟impressione che
le mura ed il soffitto sparissero. Sentii la poltrona spostarsi e
ricevere forti strattoni, come se ora fosse su una piattaforma mobile
o su qualche straordinario, invisibile veicolo.
4 La fuga è per pochi
Le immagini cominciarono a scorrere sullo schermo. Vidi
masse umane brancolare nei corridoi delle organizzazioni, affollarne
gli „open space‟ o vivere ingabbiate in uffici angusti come celle di
insetti.
«Queste sono ombre − mi disse − Niente ce l‟ha fatta finora
a trasformare questa umanità, a traghettarla verso una nuova
specie. Solo una „Rivoluzione Individuale‟ potrà capovolgere il
modo di pensare e di sentire di milioni di uomini e donne
intrappolati nel loro sonno ipnotico.»
La Rivoluzione Individuale. Quelle due parole che avrebbero
avuto un‟importanza decisiva nella mia vita, in quel momento
non mi dissero nulla. Eppure erano l‟annuncio del Progetto per il
253
A Kuwait City
quale il Dreamer mi stava preparando da anni. Ma allora era ancora
troppo presto perché potesse rivelarmene la grandiosità.
Visitai con il Dreamer i gironi più bassi delle organizzazioni.
Con Lui mi addentrai in quei mondi densi, lenti, pullulanti di
prigionieri. Con il fiato sospeso assistevo alla successione di quelle
immagini. Guardavo uomini e cose fluttuare nel liquido verdastro di
un immenso acquario poveramente illuminato da livide luci al neon.
Vi avevo vissuto per tanti anni eppure solo adesso realizzavo quanto
fosse doloroso appartenervi, e quanto dura fosse la condizione di
quelle creature condannate a respirarne ogni giorno l‟aria che essi
stessi avvelenavano.
D‟un tratto il vetro che conteneva quell‟universo malato si
fece specchio ed in esso vidi riflesse le immagini di due vecchi
decrepiti, grigi, curvi. Notai la loro pelle raggrinzita, spaccata come
una terra arsa. Le rughe dei loro visi erano talmente deturpanti da
sembrare sfregi. Qualcosa nel loro aspetto era angosciosamente
familiare. Li scrutai sforzandomi di scoprire la causa di quella
inquietante sensazione. Finché li riconobbi, e raccapricciai... Quei
vecchi eravamo noi... il Dreamer ed io! Mi voltai spaventato verso di
Lui. Lo vidi in pieno controllo. Il Suo viso severo era più giovane
che mai e stava incoraggiandomi con un sorriso. Mi sentii
rasserenato, ma l‟animo restò graffiato da una disperazione muta,
senza pianto.
Vidi un numero sterminato di giovani attendere in fila. Nei
loro occhi ancora si poteva scorgere qualche sprazzo di luce. Come
un nastro umano, scorrevano davanti ad un esaminatore grifagno
che, a uno ad uno, li scartava o li assegnava a un lavoro. Come
Minosse con le spire della coda, a ciascuno indicava un ruolo di
dolore, il „posto fisso‟ nei gironi infernali delle organizzazioni.
Osservavo con commiserazione i loro pallori, gli sguardi ancora non
completamente spenti. Sapevo che erano condannati all‟infelicità.
«Essere scelti è al di sotto della dignità − disse il Dreamer −
un uomo „sogna‟ il suo lavoro e lo sceglie seguendo il suo intento, la
sua predilezione.» Si accorse del mio accoramento per la loro sorte.
Colse nell‟aria la domanda che avrei voluto porGli e mi anticipò:
«L‟evoluzione delle masse è impossibile! Nessuna
rivoluzione o ideologia può riuscirci… La fuga è per pochi… Solo
l‟individuo può farcela… » La mia espressione restò penosamente
assorta. Mi sentivo il rappresentante di una specie alla sbarra che
ascolta l‟annuncio di una sentenza avversa e inappellabile.
254
La Scuola degli Dei
«Quella che stai osservando non è l‟umanità − disse,
rilevando la mia incomprensione − La folla che vedi non è fuori di
te!»
Pensai che il Dreamer stesse mettendomi di fronte alla mia
menzogna smascherando il mio falso altruismo e la presunzione di
poter fare qualcosa per gli altri. Mi mortificai. Ma la lezione del
Dreamer era ben lontana dall‟essere finita. Con un giro di vite rese
più spietato il Suo esame e lo portò ancora più in profondità.
«Quella moltitudine che stai guardando è la tua
degradazione; quegli uomini avviliti dal dolore, dall‟ansietà del
competere, sono frammenti sparsi del tuo Essere, il riflesso
speculare della disperazione che ti porti dentro.» Il Dreamer stava
colpendo in me il fariseo nel tempio. Sentii una parte deforme di me,
messa a nudo ed esposta al mondo. La mortificazione si trasformò in
un sentimento più onesto. Una vergogna incontenibile mi montò
dentro e, come fuoco liquido, divampò sottopelle, divorandomi dalle
unghie ai capelli.
«Puoi fare solo per te stesso! − Gli sentii affermare in tono
burbero, per scuotermi da quello stato − Loro sono te!… Il tuo
cambiamento trasformerà l‟umanità intera… Se vuoi che questa
sofferenza smetta, che l‟umanità cambi, guarisci te stesso!»
Barcollai all‟annuncio di quella responsabilità. Una porta
blindata stava sigillando ogni via di fuga alle mie spalle. Non avrei
mai più potuto accusare né commiserare nessuno. Una morsa mi
artigliò lo stomaco. Alla ricerca disperata di un rifugio, mi nascosi
tra le pagine del taccuino. Con il naso tra gli appunti, cercai di
raccogliere i pensieri in subbuglio e di concentrarmi su quello che
stava dicendo. Secondo il Dreamer, l‟unica possibilità dell‟umanità,
l‟unico modo per progredire è la costruzione di un uomo integro.
«Questa è l‟unica salvezza delle masse» dichiarò.
Continuò affermando che l‟uomo è ancora un Essere in
transizione, dalla psicologia incompleta. L‟evoluzione della specie è
un viaggio verso l‟integrità; deve compiersi dall‟interno all‟esterno
attraverso un processo di unificazione che non si può imporre. Per
questo tutti i vecchi sistemi hanno fallito. Guerre e rivoluzioni non
ce l‟hanno fatta. Con la mente in tumulto, stavo prendendo appunti
convulsamente sottolineando più volte queste affermazioni del
Dreamer.
«Il prossimo passaggio evolutivo dell‟uomo non può
avvenire in un futuro storico, ma in un „tempo senza tempo‟, in un
255
A Kuwait City
futuro verticale» mi disse. Come attraverso lo squarcio improvviso
di una cortina, mi apparve chiaro il senso evolutivo delle
organizzazioni umane e la ragione di tutta la loro apparente,
insensata dolorosità. L‟aspirazione dell‟uomo a trascendersi, e la sua
millenaria ricerca per dare un significato alla sua esistenza, si
stavano trasferendo dal tradizionale terreno religioso e politico a
quello delle imprese economiche, delle fabbriche, industrie,
laboratori e uffici. A bordo delle organizzazioni, come su astronavi
lanciate nello spazio, stava avvenendo l‟esodo dell‟uomo verso
l‟integrità. Imprese e organizzazioni e la sterminata rete planetaria di
templi e oracoli del business, stavano sostituendo conventi e chiese,
trasformandosi in luoghi di aspirazione e di evoluzione.
«Le organizzazioni del futuro saranno Scuole dell‟Essere»
profetizzò il Dreamer coniando una delle Sue epigrafi fatte per
essere scolpite nei cieli. Poi pronunciò le parole che mi
sarebbero rimaste impresse per sempre:
«Il Business sarà la religione planetaria, la religione delle
religioni. È nel Business, più che nei conventi, più che nelle moschee
o negli ashram, che gli uomini sono impegnati in uno sforzo titanico
verso gradi più alti di responsabilità. È nel business che sta
avvenendo la trasformazione di avversità e difficoltà in propellente
per il viaggio verso la libertà. È nei grattaceli delle multinazionali,
nei templi della finanza, più che nelle sinagoghe e nei monasteri,
che gli uomini stanno tentando l‟impossibile: capovolgere la loro
visione... cambiare il proprio destino.»
La vastità di quella visione mi fece tremare le gambe. Anche
soltanto l‟ascolto di quel presagio richiedeva una responsabilità che
ancora non possedevo. Nella sua trama si intravedeva la rivoluzione
che avrebbe divelto dai suoi cardini etici l‟intero sistema economico
e decretato la fine del vecchio „capitalismo razionale‟. In questo
messaggio del Dreamer c‟era il segreto del successo della Scuola di
Economia che avrei fondato. Sapere con anticipo di decenni che
tutte le imprese, grandi e piccole, sarebbero un giorno diventate
scuole di aspirazione e di responsabilità, che il loro successo
economico era tutt‟uno con l‟evoluzione di ognuno dei loro uomini e
che al loro vertice ci sarebbero stati filosofi d‟azione, era un
vantaggio competitivo immenso rispetto ad ogni altra università.
Allora non potevo saperlo. Era come se, insieme alla
richiesta di creare un‟industria di automobili, il Dreamer mi avesse
anche dato il completo progetto del motore del futuro. Nel Suo
256
La Scuola degli Dei
messaggio c‟era già il respiro della filosofia planetaria della ESE, la
„European School of Economics‟ l‟unicità del Lavoro che la Scuola
avrebbe portato avanti, la grandezza della sua missione: preparare
uomini visionari e filosofi dell‟azione..
«Dreaming is the development of an internal world which
stops you from being a function of life, a mechanical puppet of the
external world of appearances. The object of the School is freedom:
freedom from conflicts, suffering, division and death.
Il Sogno è qualcosa che metti tra te stesso e la vita… L‟uomo
ordinario pensa che la vita sia la causa e lui sia l‟effetto. Solo un
lavoro sull‟Essere, il lavoro di una Scuola del capovolgimento, può
produrre il sovvertimento di questa visione fallimentare del mondo.
Il lavoro di una vera Scuola è un lavoro di scavo… un lavoro
di eliminazione di scorie, stratificazioni e inquinamenti… alla
ricerca di qualcosa che una volta possedevamo, che ci faceva
integri, felici, immortali: la volontà.
La Scuola e la Volontà sono una sola cosa. La Scuola è la
Volontà fuori di noi. La Volontà è la Scuola dentro di noi.
Quando la „vera volontà‟ emergerà, non avrai più bisogno
della Scuola. Disseppellita la volontà saremo padroni di noi stessi…
Padroni di noi stessi significa padroni dell‟universo.
Underneath all and everything there is „something precious‟
that we should rightfully possess. It is the contact with this „very
thing‟ that will take us to possess all and everything.»
5 Programmare senza crederci
Qui cominciammo a risalire. Con Lui mi inerpicai lungo i
sentieri che conducevano alle fasce più ricche e luminose del
business. Il Dreamer mi mostrò che dietro le più grandi
multinazionali, dietro i giganti della finanza mondiale e
dell‟industria, dietro le avventure più coraggiose e le imprese
impossibili, oltre ogni raggiungimento umano, c‟è sempre e soltanto
un individuo e il suo Sogno.
Risalendo le piramidi decisionali fino ai vertici, lì dove
l‟organizzazione rivela la sua massima velocità, mi mostrò
l‟immobilità da cui era nata tutta quell‟azione, e l‟invisibilità che
aveva partorito quell‟idea luminosa. Il fondatore: l‟uomo visionario,
257
A Kuwait City
il pazzo luminoso, l‟utopista pratico, lui, solo lui, aveva permesso a
quel mondo di esistere e, come una termite regina, ancora lo nutriva.
«La sua unica attività è la cura della sua integrità − mi rivelò − Ciò
che lo rende speciale è l‟attenzione, uno spirito vigile che non
permette a un dubbio o all‟ombra di un compromesso di incrinare la
sua determinazione, che non permette ad un solo atomo opaco di
entrare ad inquinare il Sogno.»
Per la velocità psicologica di un leader programmi, e piani
sono strumenti troppo lenti, troppo rigidi. Lì dove decidere richiede
un sesto senso: l‟intuizione, ed un settimo senso: il Sogno, non c‟è in
realtà nulla da decidere.
«Un vero leader fa programmi, ma senza crederci – affermò
– Lo guida la sua aspirazione, crede soltanto nella sua
impeccabilità…»
«Non ha obiettivi al di fuori di se stesso − continuò − perché
l‟obiettivo è se stesso... la sua libertà!»
Una volta raggiunto quel livello di integrità, sarà la sua
visione a creare il cammino, sarà il suo passo a creare il sentiero.
Non avrà bisogno di scegliere una direzione perché lui è la
direzione, l‟inventore del Sogno che si sta svolgendo e che prende
forma nel mondo degli eventi.
«Commit yourself to integrity − mi ordinò il Dreamer
scandendo lentamente queste parole a sottolinearne l‟importanza −
Inner commitment is investment. It‟s your commitment that makes
things happen! È l‟incorruttibilità del leader che attira tutte le
opportunità e tutte le risorse necessarie… La solenne promessa che
ha fatto a se stesso di onorare il Gioco fino in fondo. Il successo di
ogni sua azione nel mondo esterno è solo il riflesso della sua
integrità.»
La realizzazione di imprese ai confini dell‟impossibile, la
creazione di immense ricchezze, la fondazione di imperi economici,
è solo una estensione della sua essenza, una certificazione del suo
grado di libertà interiore, del suo livello di responsabilità. Se un
uomo mantiene integro il suo commitment il successo è
immancabile, ne è il prodotto naturale.
«Un vero leader sa che il vero business è solo interno! Egli è
il guardiano incorruttibile della propria promessa. È questa che
deve mantenere intatta» culminò il Dreamer e tacque.
Immagini di imperi finanziari e di sterminate fortune si
susseguirono sullo schermo ancora per alcuni secondi, poi si
258
La Scuola degli Dei
dissolsero e un profondo silenzio prese possesso di ogni angolo della
meeting room. I Suoi occhi severi mi stavano scrutando, osservando
l‟effetto di quelle rivelazioni. Sentivo l‟Essere letteralmente a
soqquadro. Nel negozio interno prezzi e merci erano saltati in aria e
ora si stavano ricomponendo. Nuove priorità stavano mettendo il
prezzo giusto sulla merce giusta, e un nuovo ordine stava
assegnando i posti sugli scaffali, relegando vecchie convinzioni e
princìpi polverosi in magazzino.
Chiusi gli occhi ed espressi con forza il desiderio che quella
operazione arrivasse fino in fondo. Quando riprese a parlare affrontò
l‟argomento dell‟immobilità. Per il leader l‟azione più potente a sua
disposizione è un fare attraverso il „non fare‟, un agire senza agire. Il
Dreamer la definì „an effortless action‟: uno stato poetico,
sognante…
«Per il leader la solitudine e l‟immobilità sono accumulatori
di potere − concluse − lo stato in cui egli intuisce e attrae i preziosi
messaggi di quella volontà che nell‟uomo è ormai sepolta… Sii
serio, sii sincero e la sentirai forte e chiara… e saprai!»
A quelle parole, la mia immaginazione partì per la tangente e
visualizzai masse sterminate di dipendenti. Osservai dall‟alto il
brulicame di migliaia di uomini e donne, il loro incessante
andirivieni. Le immagini erano vivide e reali. Mentalmente le misi a
fuoco. Vidi esseri patetici dai comportamenti esagitati, dai gesti
accelerati, muoversi come nella gag di un film muto. Il Dreamer
intervenne a questo punto delle mie fantasticherie, penetrò tra le mie
riflessioni e le guidò. Dopo tanti anni vissuti nelle organizzazioni,
solo ora, accanto a Lui, stavo realizzando che quelli che più si
agitano, quelli che più sembrano preoccupati, indaffarati, occupano
in realtà posizioni insignificanti e sono ai livelli più bassi di
responsabilità e di retribuzione.
«Dal vuoto, immobile, muovo la „ruota‟ dell‟universo
intero... e gli esseri che si trovano sulla sua circonferenza, sui raggi,
sul mozzo» declamò solennemente il Dreamer.
«Quel vuoto al centro del mozzo è il vero creatore della
„ruota‟… su quella invisibilità poggia tutta la piramide gerarchica
degli esseri che ne fanno parte» completò, e tacque.
Chi era quell‟Essere che stava sovvertendo la mia vita?
Sentii la folla dei miei pensieri unirsi dentro, le emozioni e le parti
sparse dell‟Essere raccogliersi. Un fiume di energia montò fino a
rompere gli argini e dilagò portando via come detriti, dubbi,
259
A Kuwait City
preoccupazioni e ogni morte. Accanto a Lui l‟economia ed il
business sconfinavano nella poesia e ancora oltre, in un‟arte
universale. Avrei voluto mantenere quello stato di intelligenza; la
chiarezza, la lucidità di quel momento; quella sensazione di poter
contenere tutto ed ogni cosa. Fu allora che mi indicò come vivere
strategicamente e mi parlò dell„arte del recitare: the acting.
«Un leader deve saper recitare tutti i ruoli alla perfezione −
disse − Può simulare la distrazione, l‟ignoranza e perfino la
negatività di un ruolo, ma… non deve crederci!» ammonì. Il tono
che usò impresse a questa raccomandazione il carattere di una
questione di vita o di morte.
«Può irarsi e diventare violento, può trasformare il viso in
una maschera di aggressività, ma internamente non deve sentirsi
minimamente scalfito.»
Questa recita della negatività la chiamò „right negative
attitude‟.
Aggiunse che, attraverso l‟acting un leader può
programmare, fare piani e fingere di proiettarsi nel più lontano
futuro.
«Ma senza crederci!» ripeté nello stesso tono perentorio.
Un uomo libero, un uomo reale, sa che ogni momento
richiede una strategia, ogni attimo ha il suo statuto ed impone un
copione che va recitato impeccabilmente. Il distacco di chi è
consapevole di recitare, gli permette di scegliere tra diversi corsi di
azione e tra possibili ruoli, come tra maschere da indossare per
allinearsi perfettamente con le circostanze e gli eventi che incontra.
«Solo un uomo reale può recitare! − mi rivelò in tono
conclusivo − Un uomo ordinario, identificato nel suo ruolo,
condizionato dalle sue paure, ipnotizzato dalla descrizione del
mondo, ha dimenticato l‟arte del recitare, il potere dell‟acting e
conosce soltanto la menzogna.»
Più volte, nei punti cruciali del Suo discorso, avevo tentato di
schermarmi da quelle idee sovversive. La capacità di recitare del
leader mi sembrava molto vicina al mentire, all‟opportunismo.
«Recitare consapevolmente non significa mentire − ruggì il
Dreamer − Acting significa vivere strategicamente!» Il Dreamer
aveva libero accesso ad ogni mio pensiero. La resa a questa evidenza
disperse le ombre prima ancora che si addensassero.
«Vivere strategicamente è l‟azione di un guerriero che
compie intenzionalmente e impeccabilmente gli atti che la situazione
260
La Scuola degli Dei
richiede. Esternamente risponde alle esigenze del ruolo… allo stesso
tempo, internamente, si impossessa della responsabilità e del potere
che si nascondono dietro quella maschera. Solo chi vive
strategicamente può farcela!»
Attese che questa affermazione producesse il suo effetto
scrutandomi come un medico che avesse appena iniettato l‟antidoto
ad un tossico. Il Suo discorso, quando lo riprese, aveva un tono
grave, a metà tra l‟ammonimento e l‟annuncio solenne di un sapere
vitale.
«Quando ti pre-occupi, quando pianifichi e immagini
negativamente, quando dimentichi cosa ti ha portato fin qui, ti
riduci alle dimensioni di un insetto e il mondo prende il
sopravvento. Migliaia di fotogrammi registrano nell‟universo la tua
sconfitta e, non solo non potrai avere di più, ma ti sarà tolto anche
quello che credi di avere.»
Il Dreamer stava dandomi le ultime raccomandazioni prima
di rigettarmi nelle fauci del mondo. La Sua voce si abbassò fino ad
un sussurro. Stava per comunicarmi qualcosa che sarebbe diventato
il cardine di tutto quello che avrei costruito nella mia vita ed il
principio primo di ogni prosperità.
«Il Sogno è la cosa più reale che ci sia!… Il Sogno è la
realtà in assenza di tempo… Solo un uomo che sogna può creare
ricchezza.»
Per il Dreamer il Sogno è il mondo sublimato, la vera causa
di tutto quello che vediamo e tocchiamo.
«Il Sogno è una pianificazione verticale che solo un
visionario può conoscere… Il dopo non esiste se non
nell‟immaginazione… Internamente, ogni istante è un negozio che si
apre e si chiude, ad ogni istante si guadagna o si perde, ogni attimo
è un successo o un insuccesso. Tutto avviene adesso, in questo
istante eterno.»
6 L‟Agenda
«Un‟agenda zeppa di appuntamenti, che non ha spazi,
come la tua − cominciò il Dreamer, indicando una delle pagine che
era fittamente coperta di nomi, orari e riferimenti telefonici − è una
dichiarazione di suicidio. Significa affermare la propria morte… Un
uomo più è morto e più riempie la sua giornata di impegni.»
261
A Kuwait City
Fu un pugno allo stomaco. La dolorosità che ormai ben
conoscevo era il segnale più sicuro dell‟efficacia di quel nuovo
attacco del Dreamer al mio sistema di convinzioni. Tentai di
sfuggire all‟accelerazione impressa da parole così potenti e
dirette. Sentimenti di avversione e pensieri violenti contro il
Dreamer emersero dai recessi dell‟Essere e mi si arruffarono
dentro in un crescendo incontrollabile. Mi ribellavo ad essere
catalogato tra i morti solo per il fatto di avere un‟esistenza attiva ed
intensa.
«Ma è impossibile vivere nel contesto di una „società
moderna‟ senza prendere impegni, senza appuntamenti o
incontri» dissi astioso. Sottolineai la parola „società moderna‟ con
sarcasmo, come a demarcare la differenza tra i nostri mondi. Ero
convinto che quanto il Dreamer stava sostenendo non avesse alcun
senso pratico. Una volta mi aveva detto: “Lascia che il gioco
continui, che la commedia si svolga... permetti che collaboratori e
professionisti facciano quello che il loro ruolo prevede. L‟impresa è
una rappresentazione teatrale... con maschere e personaggi che
seguono un copione… Tu non crederci! Non perderti!… non
dimenticare che è un gioco.”
Ero certo che il Dreamer non si rendesse conto di cosa
significasse dirigere un‟impresa internazionale con centinaia di
collaboratori e sentire ogni giorno sul collo il fiato degli
azionisti.
«E poi − dissi esasperato − non capisco!... Cosa c‟entra
un‟agenda con l‟essere vivi o morti?… » Riuscii a malapena a
pronunciare queste parole. Un nodo di pianto mi chiuse la gola.
«Ogni appuntamento che fissi, ogni incontro che
programmi − disse il Dreamer senza apparentemente rilevare
quel segreto grido di aiuto che stavo lanciando, nascosto dalla mia
aggressività − serve a rafforzare la tua illusione di essere vivo, a
confermarti nei tuoi convincimenti insensati. Primo tra tutti quello
di poter pianificare. Pianificare e crederci è morire. Solo ciò che è
morto si può pianificare… La vera pianificazione è in questo
istante, nel „qui ed ora‟.
Un leader potrà avere eserciti di collaboratori che fanno
piani e programmano in ogni dettaglio le attività future, ma le sue
decisioni saranno sempre un frutto dell‟attimo. Fino a quel
momento egli non sa, non agisce fino a quando l‟istante
262
La Scuola degli Dei
dischiude la sua eternità. Solo allora saprà tutto quello che deve
sapere.
Tutto sarà a tua disposizione quando imparerai a vivere
l‟attimo nella sua totalità. Piani e programmi si faranno
naturalmente, senza sforzo, quando smetterai di crederci.»
Il Suo sguardo si fece d‟acciaio. Continuando a fissarmi,
spostò la testa prima a sinistra e poi a destra, come se volesse
mettere a confronto i miei due profili. Entrai in uno stato di
inquietudine. C‟era nei Suoi movimenti una minaccia silenziosa ed
incombente come nelle mosse di un predatore che nasconde il suo
feroce intento.
«A uomini come te l‟agenda serve per dimenticare» disse
sottovoce.
L‟inquietudine rapidamente si trasformò in spavento. Dovevo
trovare un modo per uscire da quello stato, ad ogni costo. Se
avessi avuto la leggerezza necessaria, avrei potuto semplicemente
chiedere la spiegazione di una visione così bizzarra e perfino
umoristica. Come può un‟agenda servire a dimenticare? Mi sentivo
rinchiuso come in un bozzolo psicologico che non riuscivo a
bucare. Quell‟incontro col Dreamer si stava rivelando un duello
mortale tra la parte di me che non voleva cedere e un‟altra, assetata,
che „beveva‟ avidamente le Sue parole. Trovai appena il fiato per
chiedere:
«Dimenticare che cosa?» Lentamente, il Dreamer ridusse
ancora di qualche millimetro la distanza tra noi.
«Dimenticare te stesso» disse in un soffio.
Lo spavento divenne paura, irragionevole, devastante, che
traboccò e inondò l‟Essere. Un giorno avrei riconosciuto proprio in
momenti come questo le tappe fondamentali della mia evoluzione;
quando il Dreamer, penetrando la corazza delle mie certezze
incrollabili, riusciva a depositare un po‟ della Sua sostanza preziosa,
come fa un‟ape che impollina. Così mi avvicinavo al Sogno.
«Il mondo è lo svolgimento nel tempo di ciò che sogniamo…
Un appuntamento è sempre con te stesso… o meglio. con una parte
di te che non conosci. Uomini ed eventi sorgono e si dissolvono
seguendo un copione già scritto nell‟Essere…
Quando pianifichi e ci credi… ti stai allontanando dal
„mondo reale‟… Più ti convinci che appuntamenti e incontri
avvengono come hai programmato, più si rafforza il tuo senso di
morte… E così ti incontri con gente spenta che pianifica e
263
A Kuwait City
programma come te, e si illude di scegliere e di decidere senza mai
riconoscere la propria impotenza.»
Qui il Dreamer si fermò ed io credetti che il Suo lavoro di
demolizione fosse finito. Avevo disperatamente bisogno di tirare il
fiato. Ma il Dreamer non lasciava mai un lavoro a metà.
Accuratamente calcolò i tempi, poi mi lanciò la punch-line di quella
straordinaria lezione.
«Un giorno la tua agenda sarà quella di un uomo libero,
quella di un uomo che realmente fa perché sa che ha la soluzione
sempre con sé… che è egli stesso la soluzione. Reciterai gli incontri
e i ruoli e lascerai il mondo libero di accadere… nel miglior modo
possibile. Il mondo diventerà il tuo capolavoro senza sforzi né
costrizioni, solo allora la tua agenda sarà quella di un vero
leader… avrà solo pagine bianche.»
7 “Pronto, chi sono?”
La giornata era iniziata con un‟impennata fin dal mattino
presto. Dal terrazzo della casa di Samìa avevo già risposto a diverse
telefonate. Il Dreamer mi era accanto e mi osservava in silenzio
mentre, preso dagli eventi e dalla foga delle conversazioni, a
seconda dei casi, davo ordini, alzavo la voce, mi arrabbiavo e in un
paio di casi ero uscito fuori dai gangheri.
Di tanto in tanto mi volgevo verso il Dreamer cercando di
scambiare con Lui uno sguardo di complicità, o di ricevere un cenno
di solidarietà per la mole di lavoro che mi toccava smaltire fin dal
mattino presto e per l‟ingrato compito di dover dirigere un team di
pasticcioni ai quali bisognava ripetere le cose cento volte. Ma
com‟era possibile essere così ottusi? Fraintendere anche gli ordini
più semplici, più chiari?
«Al telefono non devi rispondere: “Pronto, chi è?” ma
“Pronto, chi sono?”» disse il Dreamer, a sorpresa, mentre ancora
scambiavo a telefono le ultime battute di una lunga conversazione.
Credetti di non aver capito bene. Aveva poco più che sussurrato
quelle parole, come faceva quando voleva comunicarmi qualcosa di
particolarmente importante, qualcosa per cui avrei dovuto all‟istante
abbandonare ogni altra occupazione e concentrarmi sull‟ascolto.
Entrai in uno stato vigile. Uno sguardo bastò ad informarmi che il
Dreamer si era già trasformato in un predatore spietato. Un lungo
264
La Scuola degli Dei
brivido mi percorse la schiena mentre sentivo l‟adrenalina entrare in
circolo in dosi massicce. Con tutta la calma che potei mettere
insieme, Gli chiesi di ripetere quello che aveva appena detto, ma la
mia voce era già incrinata da una crescente apprensione.
«Gli altri sono teee!» urlò con la Sua voce più terribile. Nei
mondi interni, nell‟inferno dell‟Essere dove l‟accusa e la lamentela
mi avevano precipitato, il Dreamer non era più un compìto ospite
seduto al tavolo di casa mia, ma un terrificante capitano che urlava
ordini nel pieno di una tempesta, mentre la nave era sul ciglio di un
abisso d‟acqua. Raccapricciai. Sobbalzai di spavento ed il ricevitore
quasi mi cadde sul tavolo rimbalzando da una mano all‟altra come
un essere maliziosamente vivo e sgusciante.
La scena dovette essere così comica che anche il Dreamer
non poté fare a meno di riderne. D‟altra parte dietro la Sua maschera
più severa, dietro la sua ira apparentemente incontrollata, c‟era in
permanenza un oceano immobile; dietro la severità del suo sguardo
si celava una serenità sfingea che mi sgomentava più delle Sue
minacce. Fu questione di un attimo poi il Suo viso riprese la smorfia
feroce del predatore.
«Gli altri sono te!» disse. La Sua voce era ritornata calma ma
questo non mi rassicurò.
«The world is such because you are such and not viceversa.
Non sfuggire… Il visibile serve per riconoscere l‟invisibile. Gli altri
servono a rivelarti quello che non vuoi vedere in te stesso… Che
cosa in me proietta tutto questo? Questa è la domanda che si rivolge
una persona perbene!»
«Ti ho ascoltato. Sei indeciso, prolisso… La confusione è in
te, non negli altri − riprese il Dreamer protendendosi
impercettibilmente attraverso il tavolo − Il mondo si manifesta
dubbioso, caotico, irresponsabile, per certificare cosa sei, dove sei.
Ad ogni telefonata, chiunque sia dall‟altra parte, immancabilmente,
ti chiede: “disturbo?”»
Ora che il Dreamer me lo faceva notare, mi rendevo conto
che era proprio così. Tuttavia ancora non capivo che rilievo questo
particolare potesse avere. „Disturbo?‟ era una domanda di
circostanza. L‟avevo sempre ascoltata distrattamente e considerata
niente di più che una espressione rituale di cortesia, un segno di
rispetto per la privacy altrui, specialmente per quella di un superiore.
«“Disturbo?” lo dicono perché ti sentono impreparato. Il
mondo, gli altri, ti riflettono… sono uno specchio che riproduce
265
A Kuwait City
l‟immagine di un uomo lento, che si parla addosso. “Disturbo?” è
la tua mancanza di responsabilità! “Disturbo?” è perché non dai
chiarezza! “Disturbo?” è il mondo che ti denuncia.»
Driin! Il telefono squillò di nuovo. Sollevai il ricevitore e
meccanicamente chiesi:
«Chi è?» Non feci in tempo a completare quella domanda
rituale che la voce del Dreamer risuonò ancora più terribile di prima.
«“Pronto, chi sono?” devi dire, non “chi è?”» si infuriò.
«“Chi sono io?” − insisté il Dreamer continuando ad urlare
− Così risponde al telefono chi ha capito che dall‟altra parte trova
sempre se stesso!»
Ascoltavo il Dreamer ed allo stesso tempo cercavo di
assicurare un minimo di normalità alla conversazione telefonica
appena avviata.
«“Pronto, chi sono?” significa ricordare che stai
incontrando la tua confusione» continuò il Dreamer,
sovrapponendosi senza riguardi alla mia conversazione, incurante di
chi potesse esserci all‟altro capo del filo e di che cosa potesse
sentire. Ascoltavo la voce del Dreamer e rispondevo a monosillabi al
mio interlocutore mentre tentavo in ogni modo di accorciare e
chiudere quella telefonata.
«Il mondo vuole essere governato! Chi ti telefona ha bisogno
di essere contenuto… ha bisogno di chiarezza… Ma gli bastano
poche battute per scoprire che tu non hai una direzione… Sei ferito,
sei saturo… »
«Imponiti la leggerezza, entra in altre zone di intelligenza! −
mi esortò il Dreamer con improvvisa benevolenza e ritornando ad un
tono di voce normale − Un uomo attento sa che, nascosta sotto la
crosta della determinazione e delle false sicurezze, c‟è sempre la
stessa ferita, la stessa piaga… sa che non c‟è nulla che possa
intraprendere o fare finché quella ferita non sarà guarita,
cicatrizzata. E anche se tentasse di sfuggire, se si ritirasse in una
caverna come un eremita, o in un convento a fare l‟asceta, lontano
da ogni telefono e da ogni impegno… quella ferita, quella piaga
ritornerebbe dolorosamente a denunciare la sua impreparazione.»
«Ma tu, come tutti gli uomini ordinari, ormai quel dolore
non lo senti più, o fai finta di niente.» Nella Sua voce c‟era l‟eco di
un fallimento senza rimedio, il dolore di una sconfitta cosmica.
Il telefono squillò di nuovo. A questo punto non sapevo più
cosa fare. Non volevo contrastare il Dreamer ed allo stesso tempo
266
La Scuola degli Dei
non sentivo la libertà, l‟umorismo, il senso del gioco, necessari per
rispondere seguendo le Sue indicazioni. Gli squilli continuarono. Il
Dreamer con un cenno mi invitò a rispondere ed accompagnò il Suo
gesto d‟invito con queste parole:
«Pensa che benedizione!… Il mondo ci telefona per dirci chi
siamo e quello che ci manca… È come avere l‟oracolo di Delfi a
portata di mano e poterlo interrogare a volontà.»
Poi tra il serio ed il faceto aggiunse:
«Tutti rispondendo a telefono sembrano chiedere chi è… in
realtà sanno già… Tu sai già chi c‟è dall‟altra parte… perché sei tu
che telefoni a te stesso…»
Qualcosa scattò, si sbloccò; una sensazione di benessere mi
pervase come per una vertebra che torna a posto. Il telefono
continuò a squillare, ma ero troppo indaffarato a scrivere per poter
rispondere. Ero in uno stato febbrile. Stavo per catturare e fare mio il
segreto di quelle Sue parole che avevano in sé la forza di cambiare
una vita, di trasformare il destino di un uomo.
«Il mondo è puro riflesso del tuo Essere… Non dimenticarlo!
− mi ammonì il Dreamer − Il mondo ti telefona per comunicarti chi
sei… per farti conoscere quello che hai sempre evitato di sapere di
te!Sei tu e solo tu a decidere chi deve esserci dall‟altra parte… Sei
tu e solo tu a decidere che cosa ti dirà… Per ora dall‟altra parte del
filo trovi un‟umanità che riflette la tua fragilità. Sei tu che chiedi
aiuto, che chiedi di guarire…»
Ascoltavo e registravo quello che il Dreamer mi stava
dicendo con la certezza assoluta che le cose stessero esattamente
così. Mi era tutto perfettamente chiaro. I tasselli sparsi di tanti
insegnamenti del Dreamer stavano trovando posto in una
composizione perfetta. Avrei voluto poter registrare in ogni dettaglio
la mia comprensione di quell‟attimo per ritrovarla intatta in
qualunque momento ne avessi avuto necessità, e per essere un
giorno capace di trasmetterla.
«Un uomo vivo invita la vita − incalzò il Dreamer, sfruttando
la breccia che aveva aperto in me − Il tuo vittimismo invita
l‟insuccesso. Like attracts Like.Intelligenza attrae intelligenza.Vuoi
cambiare la gente dall‟altro capo del filo? Vuoi cambiarne le
parole, il loro tono, la sostanza delle notizie di cui sono portatori?…
Cambia te stesso! Diventa la soluzione ed il mondo sarà risolto per
sempre.»
267
A Kuwait City
Mi diede qualche secondo di respiro. Attese che registrassi tra gli
appunti anche questa parte del Suo discorso, poi continuò.
«Rispondere „pronto, chi sono?‟ è l‟attitudine di un uomo
che sa e ricorda di essere l‟unico responsabile di tutto ciò che
accade nella propria vita… Una telefonata ti permette di capire
quello che finora ti sei rifiutato di vedere, di toccare, di affrontare.»
In quel momento il telefono squillò ancora. Attesi qualche
secondo prima di rispondere per ascoltare queste raccomandazioni
del Dreamer:
«Chiarezza… Dona chiarezza al mondo… e dall‟altra parte
del filo ci saranno soltanto buone notizie.»
«Hello, who am I?» dissi, e sorrisi al pensiero dell‟effetto che
questa eccentrica risposta stava provocando nel mio
interlocutore. Da quel momento alzare il ricevitore non sarebbe più
stato l‟avvio di una comune conversazione, ma un viaggio di
scoperta profetico ed avventuroso come gli antichi pellegrinaggi a
Delfi, inebriante come i vapori alitati dalla fenditura nel pavimento
del tempio e l‟incontro con la Pizia officiante.
Il telefono squillò di nuovo.
«Diventa la soluzione... dentro! − comandò il Dreamer
dandomi con un cenno il permesso di rispondere − Sii libero!…
Fuori, non c‟è nessun problema da risolvere… nessun cattivo da cui
difendersi o nemico da combattere. Per dare una risposta al mondo
devi diventare la soluzione… Entra in una sincerità, semplicità,
leggerezza, nella luminosità dell‟Essere… Se sarai capace di
guardare il „gioco‟ dall‟alto, scoprirai che il mondo dall‟altra parte
del filo ti offrirà tutta la sua gratitudine e devozione.
Allora scoprirai un giorno, che il vero lavoro di un uomo,
l‟unico, è aggiustare il mondo. Realizzerai che tu, solo tu, sei la
causa di ogni pazzia, conflitto, criminalità che avviene nel mondo; e
che tu, soltanto tu, puoi guarirlo, proteggerlo, salvarlo e amarlo, se
saprai come guarirti, proteggerti, salvarti ed amarti dentro.»
Il telefono squillò ancora.
«Pronto, chi sono?» risposi, sollevando il ricevitore. Sentii la
chimica della gratitudine penetrare ogni mia cellula ed a stento
trattenni un‟improvvisa, irresistibile, irrispettosa voglia di
abbracciarLo.
268
La Scuola degli Dei
8 Sgambetto alla meccanicità
Più volte al giorno la voce del Muezzin invitava i fedeli alla
preghiera. Come nelle antiche polis quella voce sembrava definire il
perimetro di mura invisibili. Non c‟erano i drappelli della polizia
religiosa, come in Arabia Saudita (dove salvarsi l‟anima è affare di
stato) che pattugliavano il souk, né si sentivano i colpi di
manganello sulle saracinesche dei negozi per assicurarsi che ogni
attività profana fosse interrotta e che tutti fossero in moschea. Ma
ugualmente i cantilenanti versi del corano, diffusi dagli esili
minareti, sospendevano ogni attività e invitavano perentori ad una
delle rituali genuflessioni giornaliere verso La Mecca.
Tener presente la direzione della Città Sacra, per
l‟orientamento interiore degli islamici, aveva la stessa importanza
della stella polare per la navigazione. In ogni ufficio, camera
d‟albergo, luogo pubblico, c‟era una freccia millimetricamente
puntata verso La Mecca. In quella direzione milioni di tappeti da
preghiera, cinque volte al giorno, si srotolavano insieme in tutto
l‟Islam per accogliere gli oranti. Allo scoccare dell‟ora fissata, ogni
altra attività passava in secondo piano.
Una volta, in viaggio di ritorno dall‟Europa, trovai posto
all‟ultimo momento su un aereo della Saudi che faceva scalo a
Jeddah. Troppo tardi scoprii che si trattava di un volo haj diretto a
La Mecca e che ero l‟unico „infedele‟ a bordo. La mia posizione si
fece imbarazzante quando a metà strada tutti i passeggeri si
spogliarono degli abiti della partenza e si cinsero del drappo bianco
dei pellegrini islamici. Poi, a dispetto degli appelli e degli sforzi
inumani del personale di bordo per rimetterli a sedere, presero a
pregare a turno, occupando i corridoi del Tristar e genuflettendosi
verso La Mecca. Mi domandai come riuscissero a trovarne la
direzione. Fantasticai di uccelli mistici, di esseri dall‟istinto arcano,
infallibilmente attratti verso il loro piccolo sole nero, al centro
dell‟Al-Ka‟aba.
Più volte mi era accaduto che nel mezzo di una negoziazione
o di un meeting d‟affari, gli interlocutori islamici interrompessero
ogni cosa per ritirarsi in preghiera. Avvertivo che quei pochi minuti
di interruzione in qualche modo li rafforzava, ma non sapevo come.
Tentai di indagare la ragione più profonda di quella pratica religiosa,
l‟intelligenza celata dietro questo rituale, ma nessuno aveva saputo
darmi una spiegazione che andasse oltre una visione bigotta,
269
A Kuwait City
superstiziosa. Durante uno degli incontri col Dreamer colsi
l‟opportunità per chiederGlielo. La spiegazione che ne ricevetti ebbe
un peso speciale nella mia preparazione. L‟annotai fedelmente.
« …Le tradizioni sapienziali, attraverso i millenni, hanno
inventato e tramandato ogni sorta di „trucchi‟ per contrastare la
rigidità, la ripetitività verso cui inevitabilmente tendono gli uomini
− mi disse − Le genuflessioni rivolte a La Mecca cinque volte al
giorno, il digiuno rituale del Ramadan nel nono mese dell‟anno
lunare islamico, ed i rituali presenti in tutte le tradizioni religiose, si
potrebbero definire „sgambetti alla meccanicità‟. La loro funzione è
alimentare l‟intelligenza ormai assopita, latente, attraverso
l‟interruzione di routine, spingendo gli uomini a deviare dai solchi
di inveterate abitudini.»
Il Dreamer continuò spiegandomi che esse sono norme di
igiene fisica, mentale e spirituale di cui si è perduta l‟originaria
intelligenza e che ormai sopravvivono larvatamente sotto forma di
credenze religiose, di rituali ormai vuoti, o come pratiche
superstiziose. Sarebbe stato sufficiente prestare un po‟ di attenzione
ai nostri movimenti per scoprire quanto sia meccanica e ripetitiva la
nostra vita. Fin dal mattino, avviamo con scrupoloso rigore una serie
di azioni, sempre uguali: scendiamo dal letto poggiando lo stesso
piede, cominciamo a raderci sempre dallo stesso lato, laviamo i denti
ripetendo lo stesso numero di movimenti, nelle stesse direzioni con
le stesse smorfie. Abbiamo abitudini scontate, esprimiamo le solite
idee usando gesti, linguaggi e inflessioni di sempre. Perfino le nostre
emozioni sono prevedibili, come riflessi condizionati dell‟anima.
Nell‟uomo ordinario la volontà è sepolta. Il suo comportamento è il
riflesso di una intelligenza artificiale e potrebbe più proficuamente
essere studiato da scienze come l‟etologia o la robotica che non dalla
psicologia.
«Anche quando è convinto di prendere una decisione, di fare
una scelta, di esprimere liberamente la sua volontà − continuò il
Dreamer − con un minimo di autosservazione, ogni uomo potrebbe
accorgersi di essere in realtà guidato da processi meccanici, di
percorrere vecchi solchi mentali scavati da pregiudizi e luoghi
comuni, o dall‟abitudine, emulando gli altri.»
Ero sbalordito e allo stesso tempo affascinato dalle idee del
Dreamer, dal Suo stile che rivelava le verità più crude sulla
condizione umana senza lasciare ferite, e mi chiedevo da dove
originassero la Sua autorità e la Sua saggezza. Dietro la severità del
270
La Scuola degli Dei
viso e delle parole, c‟era un sorriso invisibile e costante, un senso di
infinita compassion che mitigava la sua sistematica, spietata
demolizione di idee, credenze ed illusioni radicate nell‟Essere. Avrei
voluto sapere di più sugli „sgambetti alla meccanicità‟ ma il
Dreamer sembrava aver chiuso l‟argomento. Insistendo, riuscii
soltanto a ricavarne poche altre parole che riportai fedelmente sui
miei appunti e che in qualche modo mi permisero di inquadrarli nel
più vasto sistema filosofico del Dreamer.
«Ogni sforzo intenzionale, anche il più piccolo, teso a
modificare un‟azione ripetitiva, una reazione meccanica o a
contrastare un‟abitudine, è uno „sgambetto alla meccanicità‟.»
Il Dreamer aggiunse che questo „lavoro‟ permette ad un
uomo di sfuggire alle leggi dell‟accidentalità, di scongiurare il
verificarsi di incidenti e perfino di trovarsi coinvolto in disastri e
calamità naturali.
Da quel giorno provai a ricordarmene il più spesso
possibile e cominciai ad osservare, ed a contrastare in me,
automatismi incalliti, reazioni meccaniche rugginose e cigolanti,
fissità, abitudini e routine di ogni tipo. Solo chi ha provato a farlo
può capirne la difficoltà e realizzare quanto poco della nostra
vita rimane fuori dalla tirannia degli automatismi e della ripetizione
inconsapevole. Ma ne vale la pena. Lo sviluppo dell‟attenzione, di
uno spirito vigile, estende la sua validità ben oltre la modifica
intenzionale di una nostra routine, di una consuetudine o di un
comportamento. In questo gioco interno di guardie e ladri, la
capacità di tendere agguati alle nostre abitudini, di diventare il
cacciatore implacabile di ogni vecchiume in noi, l‟attenzione ai
nostri movimenti, la consapevolezza delle nostre reazioni, è un
lavoro sull‟Essere che ha un riflesso ineguagliabile sulla qualità
del pensare e del sentire, e quindi sulla nostra vita.
9 Vincere se stessi
Gli incontri con il Dreamer divennero radi e gli eventi e le
circostanze esterne sempre più soffocanti. Mi sentivo inadeguato,
insoddisfatto. Il mondo ingigantiva e mi sovrastava minaccioso. La
sua „forza ipnotica‟ diventava più pervasiva e travolgente a mano a
mano che col passare dei mesi l‟impresa in Kuwait cresceva
d‟importanza.
271
A Kuwait City
“Mantieni l‟umorismo, non prenderti così stupidamente sul
serio − mi aveva raccomandato più volte il Dreamer venendomi a
salvare sull‟orlo della disperazione − Usa l‟autoironia. È un
antidoto potente contro ogni forma di fissità e di identificazione.”
Nel linguaggio del Dreamer „identificarsi‟ con il mondo
indicava la nostra caduta in uno stato di mancanza di libertà, il
nostro rimpicciolimento psicologico.
“Tu diventi effetto ed il mondo diventa causa. Tu diventi
piccolo ed il mondo grandeggia e ti ingoia”. Alle Sue parole, in un
guizzo, mi aveva attraversato la mente la scena di Alice che rischia
di annegare nelle sue stesse lacrime.
Contro l‟identificazione, il Dreamer mi aveva insegnato tutta
una serie di „trucchi‟ e strategie per non essere ingoiato da quel blob
ipnotico di eventi che l‟uomo chiama „realtà‟. Uno dei modi era di
interrompere ad un certo punto ogni attività, scegliendo
intenzionalmente i momenti apparentemente meno adatti, i più
intensi e cruciali. Nell‟angolo di una stanza, immobile, tentavo di
sfidare la pressione che il tempo esercitava su ogni centimetro
quadrato del mio Essere.
In quei momenti, sentivo fisicamente la tirannia del mondo
che veniva a riacciuffarmi per rimettermi nel tourbillon degli affanni
e delle preoccupazioni; che veniva a ricattarmi col pensiero di tutti i
danni che sarebbero potuti derivare da quei pochi secondi di
distacco, da quel piccolo vuoto che stavo creando nel continuum
degli eventi meccanicamente preordinati della mia vita. Quando
mettevo in pratica queste Sue indicazioni sentivo accrescersi una
capacità di distacco, di indipendenza dagli eventi, di padronanza
sulle circostanze in cui mi trovavo. La vita ed il business perdevano
la seriosità, la loro abituale gravità. Allora, libero dalla loro
attrazione ipnotica, riuscivo a ritrovare la dimensione del gioco.
Altre volte, per difendermi, tra gli altri stratagemmi,
sceglievo di farmi le boccacce allo specchio. Osservando le mie
smorfie beffarde mi sforzavo di non dimenticare quale fosse la vera
posta in gioco. Quella in corso era una partita mortale.
Quegli sforzi intenzionali aprirono un tunnel e mi misero in
comunicazione con le grandi scuole dell‟antichità. Come colpi dati
al diapason del tempo, mi fecero vibrare all‟unisono con ogni atomo
del loro insegnamento. Furono sprazzi di lucidità. Li ricordo come
rari momenti di grazia.
272
La Scuola degli Dei
Fu in quel periodo che il Dreamer introdusse nel mio lessico
l‟indimenticabile espressione: „vincere se stesso‟. Ricordo
distintamente la prima volta che me ne parlò. Eravamo sull‟attico de
Le Méridien, seduti intorno alla grande piscina del roof-garden.
Indossava un abito di lino bianco, mocassini di lucertola ed
occhiali scuri. Ogni più piccolo dettaglio ed attitudine congiurava a
dargli l‟aria di un raffinato occidentale con lunga conoscenza di quei
paesi. Discorrevamo osservando attraverso i vetri gli esili minareti e
la distesa di terrazze e di palazzi polverosi di Kuwait City che
scendevano digradando fino alle acque del Golfo color cobalto come
le cupole delle Water Towers. Gli stavo confidando le mie difficoltà
di imprenditore e la natura degli ostacoli che continuamente
incontravo sulla mia strada. Gli domandai come si fa a possedere le
chiavi della leadership. Avrei voluto conoscere la formula magica
dell‟impavidità, della invulnerabilità, della vittoria, della gloria.
«Un leader è prima di ogni altra cosa un manager
dell‟Essere − affermò il Dreamer − sa riconoscere e circoscrivere in
sé ogni negatività… sa che per vincere tutte le battaglie bisogna
prima „vincere se stesso‟…
„Vincere se stesso‟ significa non permettere alle emozioni
negative di governarci, di prendere il sopravvento… significa
vincere la distruttività dei nostri pensieri, il desiderio di
danneggiarci, di suicidarci… significa il superamento dei nostri
limiti e di ogni ostacolo creato dalle paure, dai dubbi e da ogni altra
ombra nel nostro Essere…
„Vincere se stesso‟ significa disseppellire la volontà, fare un
viaggio a ritroso verso l‟integrità.»
«Nella vita non c‟è null‟altro da fare! − affermò
apoditticamente − Le prove che gli arrivano dall‟esistenza, gli
impegni di lavoro, e ogni difficoltà che un uomo incontra sul suo
cammino rappresentano altrettante opportunità di sedare la folla
rissosa che si porta dentro e traghettarsi verso l‟integrità.»
Sorrise vedendo la mia espressione smarrita mentre annotavo
le Sue parole, ed attese un po‟ prima di aggiungere altro. Poi si
protese impercettibilmente attraverso il tavolo. Come mi accadeva
con Lui in queste circostanze, entrai in uno stato di ansietà. Presagii
l‟imminenza di una informazione vitale, l‟enunciazione di uno di
quei frammenti della Sua filosofia capaci da soli di accelerare di
anni la mia comprensione. Abbandonai il libriccino degli appunti,
aperto com‟era, sulle gambe, e mi drizzai sulla schiena per
273
A Kuwait City
indicarGli che ero pronto ma anche per alleggerire un po‟ la
pressione che sentivo crescere col Suo millimetrico avvicinamento.
«„Vincere se stesso‟ − sussurrò − significa non lasciar
trapelare la più piccola espressione di negatività… non permettere
internamente alcun abbassamento, la più piccola smorfia di
dolore.»
Aspettò. Stava scrutando con un impercettibile sorriso la mia
reazione a questa rivelazione. Poi, modulando la voce, cadenzò
queste parole:
Quando il tempo ti attacca ingoia il tempo
quando il dolore ti attacca ingoia il dolore
quando il dubbio ti attacca ingoia il dubbio
quando la paura ti attacca ingoia la paura
Rilevai come spesso il Dreamer esprimesse un concetto o
evocasse un‟immagine, reiterandoli, riproponendoli a più riprese.
Quella volta mi apparve chiaro che l‟uso che Lui faceva della
reiterazione non era solo un mezzo pedagogico, come avevo creduto
fino a quel momento, ma una forma di poesia ritmata sul
parallelismo, sulla riproposizione di un concetto o di una immagine
da diverse angolature. Come stavo sperimentando direttamente,
questo Gli permetteva di superare sbarramenti psicologici e
penetrare le dure stratificazioni della mia geologia interiore. Il
Dreamer riprese a parlare e io accantonai temporaneamente quelle
riflessioni.
«„Vincere se stesso‟ significa non dipendere dal mondo −
affermò il Dreamer − significa essere creatori, padroni di se stessi,
dei propri stati d‟Essere e quindi padroni del mondo.» Aggiunse che
questa capacità di distacco è del tutto naturale, è diritto di nascita di
ogni uomo.
Qui tacque e cominciò a fissarmi con insistenza.
Sotto il Suo sguardo i ricordi affluirono alla mente
dall‟oscurità, come zattere in carovana che discendono i fiumi del
tempo. Quelle immagini si fecero sempre più vivide fino a delineare
i contorni di un episodio della mia infanzia. Mi rividi bambino, nella
camera di Carmela, mentre mi esibivo in uno dei miei frequenti
capricci. Strillavo e versavo fiumi di lacrime circondato da adulti in
apprensione. Perfino Giuseppona era incapace di calmarmi.
274
La Scuola degli Dei
Sembravo disperato ma, sottecchi, li osservavo. Appena la loro
distrazione me lo consentiva, e potevo essere certo che nessuno mi
osservasse, mi guardavo nelle ante a specchio dell‟immenso armadio
e nascostamente, maliziosamente ridevo, felice della mia libertà di
recitare. Mi riappropriai di quel frammento dimenticato della mia
infanzia. Riassaporai il piacere segreto di allora, il potere di entrare
ed uscire a volontà da quello stato, senza che genitori ed adulti,
ciechi, neppure potessero sospettare la mia capacità di distacco. Da
quella posizione sentivo di controllarli e li tiranneggiavo senza
rimorsi.
«Ma un giorno il bambino smette di recitare. Dimentica. E
quella maschera che una volta indossava a volontà, ora è diventata
una smorfia permanente che governa tirannicamente la sua vita… −
intervenne il Dreamer, inserendosi a quel punto nel flusso dei miei
ricordi − e il bambino diventa „realmente‟ l‟essere capriccioso,
permaloso, debole, che stava interpretando… diventa un adulto
fragile che può soltanto dipendere da qualcuno o da qualcosa, da un
impiego o da una droga, eleggendo il mondo a suo boss.»
«La libertà − disse lievemente, ma lo sguardo aveva la
durezza dell‟acciaio − ti costerà le maschere che hai indossato per
così tanto tempo.»
10 Il Sogno è la cosa più reale che ci sia
Nel corso dei due anni che trascorsi in Kuwait e nel Medio
Oriente si creò in me una sorta di assuefazione alla miracolosità del
Dreamer. La gratitudine per il benessere, la salute, il successo, per la
possibilità di ricorrere per ogni difficoltà a quella Sua saggezza,
misteriosa ed inesauribile, fu gradualmente sostituita da uno
strisciante antagonismo, da una repressa ribellione alla Sua autorità.
Dalle mille ferite che mi infliggeva il mondo, perdevo
energia a rivoli, e con essa, la fiducia in me stesso, la voglia di
vivere, la gioiosità. Anche il senso del miracoloso che con il
Dreamer era entrato nella mia vita, stava evaporando, come
un‟essenza preziosa lasciata all‟aria. Tutto il mio mondo si stava
appannando. Come un riflesso della mia perdita di vitalità, anche i
collaboratori non mettevano più nel lavoro l‟energia e l‟entusiasmo
di una volta. Il mio ruolo di boss, dover risolvere i problemi che
incessantemente mi assediavano, mi uccideva.
275
A Kuwait City
Non può governare gli altri chi non governa se stesso
Nei nostri incontri, ormai sempre più radi, ancora annotavo le
Sue parole, riflettendovi poi a lungo; ma una spaccatura profonda da
tempo stava separando in me il Sogno da ciò che credevo realtà. Ora
so che l‟antico dramma dell‟uomo, la scacciata dall‟Eden, non è
avvenuto una volta sola agli albori della sua storia e non è accaduto
improvvisamente.
L‟improvviso ha sempre bisogno di una lunga preparazione
La favola di Adamo, incomprensibile, ingenuamente assurda
perfino, stava riproducendosi e svolgendosi sotto i miei occhi. Un
Essere senziente aveva ceduto il paradiso in cambio della paura e del
dolore. Com‟era stato possibile? Chi avrebbe mai barattato la vita
con la morte? Eppure l‟uomo l‟ha fatto, e continua a farlo. Lo stavo
sperimentando sulla mia pelle. Il morso alla mela è credere che
l‟esterno sia la causa, che il mondo fuori di noi abbia una volontà
che ci possiede e ci controlla. Il teatro dell‟assurdo apre il suo
proscenio e replica quel dramma ad ogni momento di morte, ad ogni
nostro differimento dal qui ed ora. Peccare, per gli antichi greci,
significava deviare; anche la mia peccabilità nella sua struttura fu
una deviazione, un allontanamento dalla parte più alta di me. Atomi
di dimenticanza, di disobbedienza, di divisione si moltiplicarono e
penetrarono in paradiso, inquinandolo.
Un po‟ per volta, relegai la filosofia del Dreamer nel mondo
dell‟utopia. Quella visione, le Sue parole, ancora mi affascinavano
ed ancora sentivo la potenza del loro respiro ma arrivai a
convincermi che in fondo si trattava di pura teoria. Ben altra cosa
erano le situazioni pratiche, le mille difficoltà che uno con le mie
responsabilità doveva poi affrontare ogni giorno, con un‟impresa da
dirigere, con centinaia di uomini e donne che ne dipendevano e con
una famiglia da portare avanti. Circondato da collaboratori
entusiasti, con una bella villa a Samia, il quartiere più esclusivo di
Kuwait City, con domestici ed autista, dimenticai in quale inferno il
Dreamer mi aveva trovato solo due anni prima, dimenticai la
miracolosità che mi aveva condotto fin lì.
Arrivai perfino a pensare che i princìpi e le idee del Dreamer
fossero fatti apposta per complicarmi la vita, per accrescere
inutilmente le mie difficoltà.
276
La Scuola degli Dei
“Il Sogno è la cosa più reale che ci sia − mi aveva
insegnato il Dreamer − legati al Sogno con un cavo d‟acciaio e non
permettere a niente e a nessuno di separartene. Un uomo senza il
Sogno è un frammento perduto nell‟universo.”
Ma ormai da mesi stavo alimentando una divisione tra il Suo
mondo e la realtà di ogni giorno. Quel millimetro di integrità che
avevo guadagnato grazie al Dreamer, quell‟impercettibile
movimento nell‟Essere che aveva spostato montagne nella mia vita,
ora lo stavo perdendo. Il peccato imperdonabile, il peccato dei
peccati, è credere che sia il mondo a creare noi. Lo commettiamo
ogni istante nel nostro cuore, quando facciamo del mondo il nostro
dio: un dio dolente, un dio ignorante. Dal Libro della Genesi al
racconto di Frankenstein, dalla favola di Alice a Blade Runner,
l‟uomo si racconta da sempre la storia infinita del creatore che
diventa vittima della sua creatura. Nella nostra suggestione il mondo
esterno prende il sopravvento e noi lo crediamo reale, lo mettiamo al
di sopra di noi, lo idolatriamo.
“Il mondo, quando lo vedi, è già fatto” mi disse una volta
spiegandomi che è questa la ragione per cui si chiama „creato‟.
Viene dopo. È effetto! C‟è una causa che viene prima. Solo pochi
possono realizzare che il mondo non ha una direzione, non ha una
propria volontà.
“La volontà appartiene soltanto all‟individuo… governa il
mondo. Se la volontà è assente, il mondo prende meccanicamente il
sopravvento.”
Fu una scoperta scioccante! Realizzare che il mondo, la
massa, non possono avere una volontà è come accorgersi, mentre
l‟aereo è in volo, che non c‟è pilota ed in pochi istanti dover capire
tutta la strumentazione, impadronirsi della guida.
“Il tuo preoccuparti è perciò inutile − osservò concludendo
− serve soltanto a perpetuare la tua dipendenza dal mondo.”
“Cosa significa dipendere dal mondo?” gli chiesi, sentendo la
Sua filosofia confliggere più che mai con tutto quello in cui volevo
ancora credere.
“Significa che quando „dimentichi‟ ti rimpicciolisci e il
mondo diventa il tuo boss − mi rispose secco il Dreamer – Gli
uomini, in assenza di volontà, si riducono a nani psicologici e si
aggirano nel proprio universo con la coda tra le gambe, curvi sotto
il peso dei sensi di colpa, spaventati a morte dai fantasmi che loro
stessi hanno creato.”
277
A Kuwait City
Aggiunse che esseri ridotti in queste condizioni non
potevano fare altro che accusare, lamentarsi, giustificare e
compiangersi. Ed è ancora questa la condizione planetaria
dell‟umanità; una condizione in cui stavo precipitando a capofitto,
come Icaro, quando la cera del ricordo si scioglie e perdi le ali della
gratitudine.
Come il personaggio pirandelliano dell‟Enrico IV, mi trovai
imprigionato nel ruolo che avrei dovuto soltanto recitare.
“Diventare un businessman, entrare nel ruolo più ampio di
un imprenditore, non significa diventare un uomo libero.
Identificarsi con quel ruolo significa aver soltanto cambiato
prigione. Sei solo entrato in una nuova cella… Libertà significa
libero dalla identificazione con il mondo, significa cancellare per
sempre quel canto di dolore che ha governato tutta la tua vita.”
In cuor mio avevo già lanciato il martello di legno contro il
grillo parlante, avevo già deciso di sopprimere in me quella Sua
voce molesta. Con il passare dei mesi i contatti con il Dreamer
diventarono radi e difficili, fin quasi a sparire. Ormai contavo sulle
mie forze per periodi sempre più lunghi. Correvo e mi affannavo ad
inseguire soluzioni che nel tempo, senza che me ne rendessi conto, si
trasformavano a loro volta in problemi, formando un circolo
perverso senza fine. Le batterie solari caricate dall‟energia del
Dreamer si affievolirono. Apparentemente tutto ancora procedeva
come prima ma quella energia, quella luminosità speciale che era
entrata nella mia vita insieme al Dreamer, come un liquido vitale
insostituibile, stava sprizzando da cento ferite nell‟Essere.
Non mi allenavo più. Trascuravo il corpo. La stanchezza, le
rughe e gli altri segni di invecchiamento e di decadimento fisico li
giustificavo con l‟intensità del lavoro e la scarsità di riposo. In
realtà, uscito dal Sogno, stavo ripercorrendo a ritroso la strada fatta
col Dreamer.
Anche la fiducia dei partner, la lealtà, talvolta l‟ammirazione
dei collaboratori, che credevo mi fossero dovute per capacità
personali, non erano che un riflesso del mio rapporto con il Dreamer.
Queste relazioni si appannarono ed in alcuni casi scomparvero del
tutto. Accusavo gli altri di questo cambiamento. Mi sembravano
ingrati, avidi, profittatori. Intanto problemi ed antagonismi si
facevano sempre più minacciosi e gli insuccessi sempre più
frequenti. Eppure nella maggior parte dei casi, almeno all‟inizio,
scivolare all‟indietro fu dolce, perfino piacevole.
278
La Scuola degli Dei
Il diradarsi degli incontri e dei contatti col Dreamer fin quasi
a sparire dalla mia vita l‟avvertii inizialmente come una maggior
leggerezza, spensieratezza. Il mio abbigliamento divenne meno
austero, le mie abitudini meno sobrie. Accettai più spesso gli inviti
ai circoli, ai ricevimenti in ambasciate, ai parties in ville private.
Diventai un habitué dei ristoranti e dei ritrovi più affollati della città.
Il Dreamer aveva sempre suggerito l‟understatement; non essere
troppo accessibile, partecipare solo a pochi eventi ufficiali,
scegliendo attentamente e preparando strategicamente le occasioni.
Alla vigilia di incontri importanti la disciplina indicatami dal
Dreamer poteva richiedere di intensificare il lavoro su me stesso con
un‟accresciuta attenzione al cibo, agli esercizi fisici, alle letture. Il
rafforzamento di uno stato di alertness, di vigilanza, era rivolto a non
lasciare aperta la più piccola feritoia al mondo, a non permettere che
fosse inquinata quella ricchezza, la sostanza preziosa che avevo
accumulato in mesi e mesi di „lavoro‟.
Nel liberarmi da gran parte di tutto questo sentii il sollievo di
uno spartiate che accoglie con gioia la notizia della guerra pur di
interrompere la sua faticosa routine di pace, fatta di esercizi estremi
e sforzi insopportabili.
Intanto nel cielo del Kuwait si stavano addensando, come
nembi gravidi di pioggia, le minacce di guerra. Gli incidenti di
confine con l‟Iraq erano ormai quotidiani ed il mondo politico e del
business internazionale mostrava segni di nervosismo e di incertezza
sul futuro del minuscolo sceiccato. Alcuni fornitori internazionali
aumentarono le precauzioni contrattuali nel rifornirci e in un paio di
occasioni alcuni manager occidentali, che già avevano sottoscritto
un contratto, rinunciarono all‟ultimo momento e decisero di non
trasferirsi.
Minimizzai questi sintomi e dedicai ogni impegno a
sviluppare l‟impresa. Rinnovai gli sforzi e decisi il lancio di una
nuova linea di prodotti dando il via ad una campagna di immagine
per la quale mi rivolsi all‟agenzia locale della DBDO International.
Il direttore, un giovane libanese di cultura europea, promise di
affidare quel progetto a un nuovo manager di nazionalità inglese che
egli riteneva il più adatto. Sarebbe venuto di lì a pochi giorni a
trovarmi in ufficio alle Al Awadi Towers per presentarmi le sue
idee.
Fu così che conobbi Heleonore. Non ricordo molto delle idee
che mi illustrò per la campagna pubblicitaria ma quel sorriso, la sua
279
A Kuwait City
vitalità e la sua bellezza di origine andalusa mi lasciarono
un‟impressione incancellabile. Mi ricordai delle parole del Dreamer
e sperai che fosse lei una delle cellule preziose del Progetto che
avrei dovuto incontrare in Kuwait.
Concentrai ogni mio desiderio in uno solo e lo espressi forte
nel mio cuore:
“Dio, fa che sia lei.”
11 Heleonore
Da quella volta la incontrai quasi ogni giorno. Le nuotate
insieme, le partite a tennis nel club dell‟Hyatt, un appuntamento
nella bolla gigante delle Water Towers, da cui ammiravamo le luci
del golfo, una cena al Versailles del Mèridien, furono le istantanee
del mio veloce corteggiamento. Heleonore divenne la mia migliore
collaboratrice, l‟amica, la confidente dei miei due figli. Entrò nella
nostra vita dolcemente ed inesorabilmente, occupandone un po‟ per
giorno ogni angolo. Mai nessuna invasione fu meno contrastata.
Giuseppona non si pronunciò ma sapevo di non avere il suo
assenso. Non collegai la sua attitudine alla mia condizione di
lontananza dal Dreamer, alla mia disobbedienza. Pensai ad una
forma di gelosia. La giudicai una temporanea, comprensibile,
reazione a una minaccia al suo ruolo. In realtà, Giuseppona intuiva
che stavo entrando in un mare di guai. Era nata a Cuma e di quella
civiltà più antica di Roma, fondatrice di Neapolis, aveva lo spirito
profetico e il linguaggio sibillino. La sua intelligenza primordiale,
non inquinata da istruzione, senza sovrastrutture né schemi mentali,
aveva la lucidità dell‟essenza, la forza della semplicità, della
sincerità, della purezza di chi sa senza sapere.
Stavo riprovandoci ancora una volta. Dopo la morte di Luisa,
non avevo smesso di credere di poter rimettere insieme una famiglia
vera, felice. Ancora ero convinto che i naufragi familiari in cui si
erano risolte le relazioni precedenti con Jennifer e con Gretchen
fossero dipesi da condizioni esterne. Ero stato sfortunato in amore,
come si dice. Ecco tutto! Prima o poi avrei incontrato la donna
giusta ed allora ogni cosa sarebbe andata per il meglio. Ancora mi
illudevo che un destino felice potesse toccarmi restando così
com‟ero; che circostanze ed eventi diversi dal passato, potessero
prodursi nella mia vita senza alcuna necessità di dover cambiare.
280
La Scuola degli Dei
Il mondo esterno è la materializzazione della tua psicologia…
Sei tu che hai dato assenso ad ogni tuo problema,
a ogni difficoltà della tua vita…
One day, when you will know yourself,
you will understand why the world is as it is.
Con l‟arrivo di Heleonore la voce del Dreamer era diventata
ancora più remota. La mattina Jamil raccoglieva per noi datteri
freschi dalle palme del giardino sabbioso e ci serviva la colazione a
base di formaggio fresco, microscopiche olive nere e tabbouleh,
dall‟intenso profumo di menta e prezzemolo. Furono mesi
appassionati, ma non felici, venati com‟erano di una inesprimibile,
sottile sofferenza. La stessa che oscurava la gioia di marinare la
scuola e che rendeva difficile mandare giù i bocconi del panino che
Carmela mi aveva messo in cartella.
Così mi sembrava che il mondo avversasse la nostra unione.
In realtà ero io che non riuscivo a perdonarmi la trasgressione ad un
codice invisibile, alla coscienza che, ferita, stava informando il
mondo della mia condizione di fuorilegge.
Il Dreamer mi stava preparando per diventare un re ed io avevo di
nuovo scelto la mediocrità. Soltanto dimenticando le Sue idee, le
Sue parole, allontanandole dalla mia vita, avrei potuto incontrare una
donna che mi avrebbe riportato negli inferni del passato, nei ghetti
della dipendenza.
Durante i primi mesi non posso dire che mi mancassero i
Suoi insegnamenti. La mia presunzione aveva abbondantemente
colmato quello spazio. Sentivo, tuttavia, un oscuro sentimento di
malessere crescermi dentro, come una premonizione superstiziosa, la
profezia di una incombente sventura. Tutta quella zavorra di
emozioni, di immaginazioni negative e di sensi di colpa che credevo
di aver ormai lasciato alle spalle, stava riprendendo possesso della
mia vita.
L‟idea di poter costruire la nostra felicità senza tener conto di
null‟altro che del nostro egoismo, impallidiva di notte, come la luna
di quel cielo islamico sotto il quale Heleonore ed io non avevamo
più cittadinanza. Non solo per il Dreamer, ma anche per le leggi
kuwaitiane, eravamo outlaws. Non erano da sottovalutare i rischi che
correvamo in un paese che aveva eletto il Corano a legge assoluta
per ogni aspetto della sua esistenza. Un paese dalla morale farisaica,
tanto inflessibile nel pubblico quanto era licenziosa nel privato.
281
A Kuwait City
Giorno dopo giorno si allentarono i legami con il paese, con
quel lavoro, con lo stesso Yusuf Behbehani, mentre la casa in
Piemonte, circondata dai laghi, ai piedi delle Alpi, e la vita in Italia
esercitavano un richiamo sempre più irresistibile.
Un‟esaltazione ci travolse dipingendo di nero la nostra
situazione e tutto quello che avevamo in Kuwait ed esagerando
l‟attrattiva di tutto quello che credevamo ci attendesse in Italia.
Heleonore era entusiasta all‟idea di andare a vivere nella casa di
Chià. Insieme facevamo progetti su come renderla più confortevole,
su come completarne la ristrutturazione ed organizzare la famiglia.
Nella mia immaginazione, ritornando in Italia, tutto sarebbe stato
meraviglioso. I bambini sarebbero tornati alla „normalità‟. Perfino
Soshila, la cockerina che, nascosta in una tasca della giacca, avevo
portato da un recente viaggio in Italia, avrebbe potuto vivere da
cane.
12 L‟adozione
In Kuwait, paese islamico, i cani sono evitati dai musulmani
come animali impuri; e difatti sono pressoché inesistenti. Bastava
che Soshila, la nostra cockerina, sfiorasse una domestica, per vedere
questa correre via per abluzioni e per i rituali di purificazione.
Il piacere di vedere la gioia di Giorgia e Luca quando feci
spuntare dalla tasca della giacca il musetto di quel cucciolo, lo pagai
caramente. Il Dreamer fu particolarmente duro in quell‟occasione.
Mi fece chiaro come la decisione di fare un dono ai bambini
introducendo nel paese un animale inviso a quella cultura,
nascondesse un egocentrismo tanto più pericoloso quanto più
inconsapevole.
“Una persona perbene, a qualunque latitudine si trovi,
quali che siano gli usi, i costumi, il credo religioso del popolo che lo
ospita, li rispetta. Una intelligenza del cuore guida le sue scelte.
Oltre il tempo e la geografia, la sua etica gli permette di sentirsi
sempre a casa, nella legalità e nella moralità, senza sforzo” mi
disse il Dreamer.
Pur non capendo, registrai fedelmente il Suo discorso, ed in
particolare le esatte parole con le quali chiuse quell‟argomento:
“Introdurre quel cane è la manifestazione di una vanità
nascosta, di una divisione in te stesso e dagli altri che ti relega agli
282
La Scuola degli Dei
ultimi gradini della scala dell‟Essere. Un giorno quando la
riconoscerai in te potrai guarirla. Per ora, e fino a quando
capirai, sforzati di non creare scandalo.”
Dovetti attendere qualche tempo e il verificarsi di
un‟occasione favorevole prima di cogliere il senso di quella lezione
che al momento, per la verità, mi sembrò eccessivamente severa. Un
giorno, aprendo a caso il Vangelo, ritrovai quella parabola in cui
Gesù ordina a Pietro di pagare il tributo dovuto a Cesare, „per non
creare scandalo‟. Avrebbe trovato le monete necessarie in un pesce
appena pescato. La spiegazione che era già lì, racchiusa in una piega
dell‟Essere, emerse in piena luce come al sollevarsi improvviso di
una cortina.
Quello che scoprii non chiarì soltanto l‟episodio del cucciolo
di cocker ma anche situazioni apparentemente lontane, unite dal filo
di uno stesso meccanismo psicologico. Apparve chiaro come la
vanità e l‟egocentrismo, il desiderio di essere al centro e „creare
scandalo‟, fossero la molla segreta e la spiegazione più
profonda dei comportamenti più vari e meno comprensibili di tanti
uomini e donne: dalla passione per gli sport estremi e per le
avventure più rischiose, fino alle imprese umanitarie e benefiche,
come l‟adozione di bambini di un‟altra razza o colore. Per vanità ed
egocentrismo alcuni possono affrontare oceani su un guscio di
noce o erigere cattedrali, fondare religioni. Capii che la
polarità opposta di „creare scandalo‟ è il comportamento di chi è
silenzioso, di chi fa senza alcun bisogno di sollevare onde
contrarie,
antagonismi ed avversioni inutili. C‟è chi nel
silenzio, senza ostentazione, sostiene responsabilità che mille
uomini non potrebbero toccare neppure con un dito.
Mi ricordai di una coppia di amici, ginecologo lui e
docente universitaria lei, che per umanitarismo volle adottare un
bambino ecuadoriano. Affrontarono più volte il lungo viaggio in
quel paese e superarono ogni difficoltà, pagando intermediari, ed
infine la madre stessa, pur di riuscirci.
“Quegli sforzi non sarebbero mai stati fatti, neppure
lontanamente, per un bambino del proprio paese. Un bambino
bianco sarebbe passato inosservato, lo avrebbero creduto
veramente un figlio − commentò il Dreamer quando Gli raccontai
questa storia − Sarebbe stato come pregare o digiunare senza
mostrarlo, anzi, avendo cura che nessuno ne venisse mai a
sapere nulla.”
283
A Kuwait City
Il bambino di colore avrebbe invece „creato scandalo‟.
Avrebbe fatto emergere avversioni, divisioni, rancori, li avrebbe
occupati in liti apparentemente esterne ma in realtà creature della
propria violenza repressa, materializzazioni del proprio razzismo
inconsapevole, dei sensi di colpa che la scelta di quell‟adozione
intendeva assopire o in qualche modo nascondere a se stessi.
Raccontai al Dreamer che difatti, passati alcuni anni,
avevo ritrovato quei miei amici oltremodo amareggiati ed
invecchiati. Mi dissero delle mille angustie e dei soprusi, grandi e
piccoli, che quel bambino e loro stessi dovevano subire ogni giorno
da parte di gente intollerante e di un ambiente retrivo. Tanto che tra i
genitori con lo stesso problema avevano dovuto costituire
un‟associazione che si „battesse‟ per la difesa dei loro diritti e per
l‟affermazione dei principi che avevano ispirato il loro „atto
d‟amore‟.
Riferii infine al Dreamer che, delusi e più infelici di
prima, poco tempo dopo erano arrivati alla decisione di separarsi ed
infine di divorziare.
“L‟adozione decisa dai tuoi amici non è stata un atto
d‟amore, come essi hanno voluto credere, ma il tentativo di riempire
il vuoto del loro rapporto. Nothing is external. Nessuna cosa
dall‟esterno, nemmeno l‟adozione di un bambino, può eliminare le
morti interne, la paura, la solitudine, la sofferenza.”
Gli chiesi perché quella coppia fosse attaccata, perché il loro
atto, e quello di altre coppie come loro, avesse sollevato tante
avversioni ed ostracismi.
“Gli attacchi del mondo sono una benedizione... arrivano
sempre per guarirci. Il mondo deve intervenire dall‟esterno, per
denunciare quella mancanza, quella malattia che credi di non
avere.”
Mi spiegò che se fossero stati più sinceri avrebbero saputo
che era stato quel bambino ad adottare loro e non viceversa; che in
realtà era lui il benefattore. Quel piccolo era venuto a prendersi
tutto il loro malessere, ad assorbire la loro solitudine, a tentare di
guarirli dalle paure, dai loro sensi di colpa, dalla loro sterilità.
Secondo il Dreamer, se avessero riconosciuto tutto questo non
avrebbero avuto alcun bisogno di adottare quel bambino né di
attirarsi contrasti ed avversioni.
“Il mondo sa!” concluse il Dreamer.
284
La Scuola degli Dei
Nell‟ascoltarLo, e conoscendo bene quella coppia, ora
„vedevo‟ che nell‟adottare un bambino „diverso‟ essi erano stati
mossi da motivazioni che mai avrebbero potuto sospettare, né
avrebbero confessato neppure a se stessi. In verità, cosa avrebbe
potuto appagarli di più, e per più anni, che vedere negli occhi degli
altri l‟ammirazione per una generosità così straordinaria?
Mentre scrivo so che scoprire la nostra falsità, l‟egoismo, la
vanità nascosti dietro un atto così umano richiede un lungo lavoro di
autosservazione. Sono consapevole della gravità di questa denuncia,
e me ne assumo la piena responsabilità. Come cellula dell‟umanità,
ho scoperto in me stesso che è questa ignoranza, apparentemente
trascurabile, insignificante, che ci degrada e ci fa preda della paura
sia di vivere che di morire. È quest‟ombra del nostro Essere,
ignorata, l‟inconsapevolezza di questa criminalità interna, che si
proietta sullo schermo del mondo e materializza tutti gli orrori, le
atrocità, la violenza.
Con l‟intensificarsi e l‟acuirsi dei segnali di una guerra
incombente, le scuse per lasciare il Kuwait non mancavano certo, o,
quantomeno, era così che volevamo credere. Una volta orientati
a tornare in Italia, ogni giorno cercavamo e trovavamo nuove
conferme alla giustezza di questa risoluzione. La decisione
lungamente covata fu poi, apparentemente, presa in poche ore.
Sheick Yusuf Behbehani non fu sorpreso né si mostrò troppo
dispiaciuto. Liquidai i miei interessi nell‟impresa e di comune
accordo nominammo a dirigerla il mio secondo. Negli occhi di
Roger che brillavano di soddisfazione per quella elezione
insperata alla posizione che il Dreamer aveva creato per me, lessi la
mia condanna. Ma era troppo tardi per tornare indietro e preferii
soffocare e spegnere quel barlume di lucidità.
Anche Heleonore lasciò il suo lavoro alla DBDO
International e con tutta la famiglia partimmo da Kuwait City,
portando con noi la cockerina Soshila. Una breve sosta a Cipro,
qualche giorno ad Atene, come in una camera di decompressione, e
poi l‟Italia.
285
286
La Scuola degli Dei
CAPITOLO VII
Ritorno in Italia
1 La clausola
Un pensiero molesto mi aveva destato d‟improvviso. Mi
stropicciai gli occhi ripetutamente ma quell‟incubo non spariva. La
stanza in cui mi ero svegliato era disadorna, ingombra di calcinacci.
Alla luce di una penzolante lampadina, le mura mostravano squarci
di pietra viva e mattoni ancora da intonacare. Per lunghi secondi,
non riuscii a credere che quella casa avesse preso il posto della
nostra elegante villa a Samìa. Percorsi con lo sguardo la base delle
pareti ed osservai i ciuffi di fili elettrici colorati che spuntavano dalle
canaline di plastica attaccate con calcina. Accanto a me, Heleonore
dormiva e la sua presenza mi convinse con uno spasmo che era tutto
vero.
Era quella la casa di Chià che avevamo tanto sognato.
Quando seguo il corso degli eventi e risalgo alle radici di
quello che mi ha rigettato nelle fauci del passato, vado col
pensiero a un fatto in particolare che per anni ho tenuto segreto e che
non ho potuto perdonarmi, fino al giorno in cui ho trovato il
coraggio di confessarlo al Dreamer. Prima della partenza per il
Kuwait il Dreamer si era raccomandato: “Taglia! Taglia per sempre!
Non portare con te neppure un atomo del tuo vecchio mondo.”
Mentre mi parlava così, sentivo la morte nel cuore. Lasciando la
ACO Corporation, nel sottoscrivere l‟accordo che poneva termine
al mio rapporto di lavoro, avevo chiesto e ottenuto di inserire
una clausola che tenni segreta. Era l‟assicurazione che entro due
anni, se avessi deciso di ritornare, avrei potuto riprendere il mio
vecchio lavoro. Quante volte ho ripensato alla volontà involontaria
che aveva ordito quella trappola, a quella subdola previdenza che
287
Ritorno in Italia
aveva dettato quella clausola, lasciando aperte le porte che mi
avrebbero riportato nel passato.
I capi degli Sciti, i misteriosi abitatori della steppa
euroasiatica, il popolo dormiente nel ghiaccio, meditavano a
lungo intorno ai fuochi se intraprendere una migrazione verso sud o
dare inizio ad una guerra di conquista ad occidente. Questa decisione
poteva richiedere giorni o mesi; ma una volta presa, era irreversibile.
Caricato sui carri le famiglie ed ogni avere, bruciavano ogni cosa
alle loro spalle: ponti, case, raccolti e tutto quello che non potevano
portare con sé.
Quanto diversa era stata la mia attitudine nell‟andare
verso il nuovo!
«Sei guidato dalla paura − fu il commento del Dreamer alla
mia confessione − Hai vissuto una vita conformandoti alla folla…
anni e anni a dipendere… senza trovare il coraggio di rispettare
il tuo Sogno, la tua unicità.»
«Ulisse si fa legare all‟albero per non abbandonare, per
non dimenticare la sua promessa, il Sogno − continuò − I lacci lo
legano ai suoi princìpi. È l‟atto di un „uomo di Scuola‟, di un uomo
impeccabile che, come tutti gli eroi, conosce se stesso!»
«Non temere l‟obbedienza. Allineati ai princìpi della Scuola
− disse, la Sua voce era dolce − Obbedire alla Scuola non è
dipendere ma seguire quello che è più puro, più vero in te. Un
giorno, quando ti avvicinerai a una maggiore onestà e
sincerità, vedrai che non c‟è mai stato un gap. La Scuola che è
apparentemente fuori di te, si fonderà con la Scuola che è dentro di
te: la volontà.»
Il lavoro alla ACO e la casa di Chià erano solo alcuni dei
ponti che non avevo avuto il coraggio di tagliare; solo alcune delle
sirene dal cui canto non avevo saputo proteggere la mia vita. Il loro
richiamo si sarebbe rivelato fatale. La distanza tra me ed il mondo
del Dreamer aumentò a dismisura finché diventò troppo grande per
essere superata.
2 Un brusco risveglio
Già dal nostro arrivo, la visione del giardino invaso dalle
erbacce e la geometria sbilenca delle impalcature abbarbicate a uno
dei muri esterni della casa, furono un brusco risveglio. Dopo poche
288
La Scuola degli Dei
settimane dalla partenza dal Kuwait, sembrava remoto il tempo in
cui ero stato a capo di una impresa e di un team internazionale.
Anche Heleonore stentava a riconoscere in me l‟uomo che aveva
seguito con tanta fiducia.
Il Dreamer mi aveva indicato la via della prosperità, mi
aveva risanato nel fisico e nello spirito, aveva capovolto la mia
disperata descrizione del mondo aprendomi ad una visione
intelligente e coraggiosa. Con Lui avevo provato il gusto della
libertà: libertà dal dolore, dal dubbio, dalla paura. Accanto a Lui
avevo avuto accesso ad un‟energia capace di trasformare la mia vita
e di strapparmi al mio destino inesorabile. L‟avevo ripagato
abbandonando quello che mi aveva affidato. E Gli avevo nascosto la
mia relazione con Heleonore. Remotamente, le parole del Dreamer
ancora echeggiavano, ma il filo d‟oro che mi legava a Lui sembrava
essersi spezzato per sempre.
Vision and reality are one and the same thing
Ecco di cosa si era veramente innamorata Heleonore!… della
filosofia del Dreamer, della Sua forza, di quelle Sue parole che,
come il patetico personaggio di Rostand, ancora ripetevo, fingendo
fossero mie. La presunzione, l‟incapacità di provare gratitudine per
tutto quello che avevo ricevuto, mi avevano separato dal Dreamer.
Ed ora stavo perdendo anche lei, la donna che mi aveva seguito con
tanta fiducia. Dimenticata la promessa solenne fatta al Sogno, la mia
vita stava mostrando le toppe della sua condizione.
Quella frenata nell‟Essere stava rievocando tutti i fantasmi
del passato e riportandomi nelle condizioni di quando vivevo a New
York, prima dell‟incontro con il Dreamer. Anche fisicamente stavo
riprendendo le sembianze e le attitudini dell‟uomo che ero stato. Nel
corpo, nel viso, stavano propagandosi gli effetti di un decadimento
psicologico. L‟uomo dinamico che il Dreamer aveva saputo
risvegliare in me, il capo d‟impresa sicuro di sé, determinato,
elegante, amato dai suoi uomini, stava tristemente trasformandosi
nell‟ombra di se stesso. Mi aggiravo per casa preoccupato. Spendevo
il tempo facendo conti domestici, discutendo con gli operai la messa
in opera di un camino o di un pavimento, entrando in beghe con un
vicino per qualche questione di confini o occupandomi dello scarico
di una grondaia.
289
Ritorno in Italia
Con i vicini avevo tentato di stabilire rapporti amichevoli,
offrendo in dono qualche gadget elettronico portato dal Kuwait e
invitandoli a casa. Ma ogni mio sforzo si era dimostrato incapace di
placare la loro ostilità. Anche in quel piccolo paese, nascosto in una
ruga del neozoico, Heleonore ed io eravamo dei fuorilegge. Era
come se tutti sapessero della nostra trasgressione, come se il nostro
arrivo fosse stato preceduto da una scomunica planetaria, da un
ordine diramato di non accoglierci. E a quest‟ordine l‟intero paese
aveva risposto con la rapidità e la precisione di un‟obbedienza
ipnotica, rendendoci la vita difficile. Difatti ogni cosa,
dall‟inserimento nella scuola di Giorgia e Luca ai permessi comunali
per completare i lavori di ristrutturazione della casa, trovava ostacoli
inverosimili.
Recriminavo, mi lamentavo, accusavo la burocrazia, gli
eventi, persone, circostanze e non capivo che il cambiamento era
stato soltanto apparente. Lasciando aperta quella porta alle mie
spalle avevo già deciso il mio fallimento, premeditato la mia
sconfitta.
Il più grande nemico dell‟uomo è se stesso!
Tu sei l‟esempio più evidente di quanto sia impossibile per un uomo
abbandonare le prigioni dell‟ordinarietà, sollevare le armi contro i
propri limiti, capovolgere la descrizione del mondo.
La dolorosità che stai vivendo,
la tua fedeltà alla sofferenza ne è la prova...
Può sembrare che la tua vita si sia inaridita, rattrappita, quasi ne
fossero state infettate le radici, ma la verità è che non hai mai
sognato null‟altro di diverso da questa povertà, da questa
dolorosità, da questa prigionia.
Giuseppona aveva perso il suo umorismo e la proverbiale
loquacità che, da sempre, a qualunque latitudine ci fossimo trasferiti,
aveva riempito la nostra casa come un canto. Non sentivo più quei
suoi spassosi monologhi, vere e proprie pièces teatrali, che
andavano dal brontolio al rondò, fino all‟epica, commento poetico a
tutti i fatti famigliari, attuali e remoti. Quella donna che, da quando
ero al mondo, era stata per me l‟emblema dell‟energia e del coraggio
guerriero, il capo indiano indomito che aveva vegliato su di me e sui
miei figli, stava invecchiando e curvando. Quella sua comica
civetteria, l‟istrionica vanità che le faceva scegliere l‟abbigliamento
290
La Scuola degli Dei
più fantasioso ed improbabile, si era spenta. La notte la sentivo
tossire penosamente dalla sua cameretta. Ogni colpo mi stringeva il
cuore e mi raggelava come un presagio di sventura. Finché vidi
l‟impossibile: Giuseppona a letto e un medico che la visitava. Non
l‟avrei mai creduto. Del suo motto „stai lontano dai medici‟ ne aveva
fatto una legge ferrea, una regola infrangibile di vita.
L‟abbassamento di luce di quei mesi evocava tristemente il periodo
di malattia di Luisella e mi oscurava l‟anima. Anche Giorgia e Luca
avevano perso vitalità. Per tenerli lontani da quell‟atmosfera infelice
li iscrissi a un doposcuola dove restavano fino a tarda sera.
3 L‟ignoranza è sempre a un palmo di distanza
Tempo prima, il Dreamer mi aveva messo in guardia con
queste parole:
“Finché non avrai riscoperto la tua volontà sepolta,
finché non avrai raggiunto la piena libertà, la tua integrità, il
passato sarà sempre in agguato per riportarti nel vecchiume.
L‟ignoranza è sempre ad un palmo di distanza… Se smetti di
vigilare e dimentichi il Sogno, ti riacciufferà in un attimo e con te
ogni raggiungimento ed ogni comprensione, pur conseguiti con
fatica, degraderanno.
Non ha importanza quanto lavoro tu abbia fatto. Finché non
hai raggiunto la totalità dell‟Essere, sarai sempre in bilico
sull‟abisso della tua ignoranza…
La totalità dell‟Essere significa padronanza di sé; è il
risultato di un lungo „lavoro di scuola‟… fino a quel momento un
uomo è un funambolo sospeso tra il nulla e l‟eternità.”
Reagii a queste asserzioni in un modo esagerato. Ricordo che
mi espressi sull‟intera questione in termini di „grave ingiustizia‟; mi
appellai, perfino a princìpi universali di equità. In realtà stavo solo
difendendo me stesso con anticipo di anni. Stavo giustificando la
mia disobbedienza prima ancora che si verificasse. Il malessere che
avvertivo, quel disagio che sceglieva le parole e ne determinava il
tono e la foga, stavano rivelando il mio futuro disastro. La mia
caduta era già lì, in grembo all‟invisibile, registrata e pronta in ogni
dettaglio, come una pianta nel suo seme.
“L‟ingiustizia non esiste!” dichiarò apoditticamente
chiudendo l‟argomento. Sapeva che ogni altra spiegazione sarebbe
291
Ritorno in Italia
stata inutile. Non ero pronto. Era ancora troppo presto per me per
accettare l‟idea che nella vita di ogni uomo non c‟è mai stato nulla di
più giusto, di più provvidenziale, di quello che egli ha considerato
ingiusto. Sull‟argomento dell‟ingiustizia avrei avuto presto una dura
lezione, quando circostanze dolorose, drammatiche mi avrebbero
messo nella condizione di capire.
A distanza di anni da quegli ammonimenti che avevo
scambiato per „esagerazioni pedagogiche‟, stavo provando sulla mia
pelle quanta sofferenza inutile nasce dal dimenticare. Il mio
anacronistico ritorno mi aveva rigettato nell‟erebo dell‟esistenza da
cui ero evaso. Quando la volontà è assente, il dubbio, la paura, i
limiti, la descrizione del mondo prendono il sopravvento. Ora
annaspavo nelle acque torbide di un passato che aveva continuato a
scorrermi accanto, come una sciagurata vita parallela.
Abbandonato il Kuwait senza l‟assenso del Dreamer, le fibre
luminose che mi legavano al Sogno si erano assottigliate allo stremo.
Stavo ricadendo nei gironi dell‟esistenza da cui provenivo.
Il mio destino era sospeso a un filo.
4 Ritorno al passato
La mia esistenza imbarcava acqua.
Il denaro ricavato dalla cessione della quota di
partecipazione nell‟impresa in Kuwait stava rapidamente
esaurendosi e presto mi ritrovai nella necessità di cercare un lavoro.
Come in una favola mediorientale, perso l‟oggetto magico,
quel mondo che il Dreamer mi aveva fatto conoscere stava sparendo,
sfuggendomi dalle dita, come sabbia. Ritornava nel grembo
dell‟invisibile, come una nascita a rovescio. I ricevimenti con le
tavole scintillanti di argenti, l‟elegante profilo delle Water Towers,
lo spettacolo del deserto che si tuffa nel cobalto del mare, la casa di
Samìa, i viaggi intorno al mondo, le sfide imprenditoriali, gli uomini
e le donne che avevo scelto, furono risucchiati da un aspirapolvere
cosmico. Non li rividi mai più; come se appartenessero ad un
universo parallelo, senza passaggi né comunicazioni possibili con il
mio. Quel varco, non più grande della cruna di un ago,
miracolosamente attraversato con il Dreamer, si era richiuso per
sempre. Il Progetto mi aveva abbandonato. Come Esaù, avevo
292
La Scuola degli Dei
barattato la primogenitura di un regno per un misero piatto di
lenticchie.
Fu in quelle condizioni che, prima che i due anni scadessero,
aggrappandomi a quella clausola che mi assicurava di poter
rientrare, avviai i contatti per ritornare a lavorare alla ACO
Corporation. In occasione dei colloqui che seguirono, entrai in vari
uffici a fare visita a conoscenti e vecchi colleghi. Stavo per essere
risucchiato da un vortice infernale.
Alla ACO Corporation tutto era rimasto com‟era prima della
mia partenza per il Kuwait. Fantasmi aziendali ancora aleggiavano
esattamente lì dove li avevo lasciati, dietro le loro microscopiche
scrivanie, nei corridoi o intorno ad un distributore automatico del
caffè, con i discorsi, i pensieri e le attitudini di sempre. Vedendomi
passare ammiccavano, si scambiavano occhiate di complicità. Sorrisi
malati gli si disegnavano sulle labbra, incontrandomi. Più che
guardarmi mi sbirciavano dai loro recinti invalicabili, attraverso le
sbarre di gabbie invisibili, evidentemente soddisfatti di riavermi
compagno di prigionia. Ritornando al mio posto gli stavo portando
un soffio di vita artificiale, come una boccata di ossigeno a un
ammalato. Cosa infatti avrebbe potuto farli sentire meglio? Ero la
prova del nove della loro più radicata convinzione, la dimostrazione
vivente e conclusiva che la fuga da quel girone dell‟esistenza era
impossibile, e anche pericolosa. Immagino che, meccanicamente,
provassero per me sentimenti confusi. Cattiveria, sarcasmo, gioia per
il fallimento di quell‟evasione, erano bave emotive che si
intrecciavano ed aggrovigliavano nel bozzolo delle loro anime. Il
caso di quel compagno riacciuffato stava spazzando via dalla loro
mente anche il più vago desiderio di fuga. Il mio ritorno offriva il
sollievo che porta con sé l‟accettazione dell‟insormontabile, la
dolcezza della resa che proviamo di fronte a ciò che ci appare
irrimediabile, ineluttabile. Messo a tacere quel solitario strofinio di
lima che aveva preceduto la mia fuga, era ritornato, sinistro e
rassicurante, il silenzio del „carcere‟ e il suo ordine.
Una forma di oblio stava accompagnando la mia
reintegrazione nella condizione di dipendente mitigando la
dolorosità altrimenti insopportabile. Ancora qualche giorno e
l‟operazione di reinserimento in quel mondo sarebbe stata completa
e irreversibile.
Prima che questo potesse accadere, con gli ultimi sprazzi di
lucidità, tentai in ogni modo di ritrovare il Dreamer. Ritornai a
293
Ritorno in Italia
Londra, lo cercai al St James, al Savoy. Ritornai alla panchina di
Roosevelt Island, al Café de la France a Marrakech. Setacciai palmo
a palmo i luoghi dov‟ero stato con Lui e ripercorsi le strade che mi
avevano visto al Suo fianco. Ma senza esito.
Il Dreamer mi aveva abbandonato.
Nell‟affanno che accompagnava quella conclusione, per il
dolore di quella perdita, arrivai perfino a pensare che non fosse mai
veramente esistito, se non nella mia immaginazione.
5 L‟inquinamento psicologico
La mia richiesta di ritornare a lavorare li colse di sorpresa e
fu accolta dal management della ACO Corporation più per rispettare
l‟impegno preso contrattualmente che per una effettiva utilità. I capi
non sapevano dove inserirmi, né cosa potessero affidarmi. Mi
aspettavo un incarico di responsabilità ma con difficoltà mi
trovarono un posto nel Dipartimento Marketing internazionale. Non
mi fu assegnato un ruolo, né ricevetti alcuna indicazione su quali
fossero le mie responsabilità. Ero in un limbo, senza collaboratori né
boss. Senza segretaria. Unico arredo, una scrivania e un telefono che
non squillava mai.
Nei primi mesi tentai di mantenere uno stato di vigilanza e
feci sforzi per non lasciarmi sfuggire una lamentela o l‟accenno di
un‟accusa; tuttavia, avvelenamenti dell‟Essere sotto forma di
invidia, gelosia, rabbia o frustrazione, si producevano in me a getto
continuo. La ACO era una fabbrica di pensieri ed emozioni negative.
Un contrattempo, o l‟errore di un collaboratore, bastava per riportare
in superficie vecchie scorie.
Tuttavia il lungo lavoro fatto col Dreamer non era stato
inutile. Un filtro di attenzione mi permetteva di osservare quegli stati
d‟Essere, di circoscriverli e controllarne la manifestazione. L‟unica
cosa che mi dava vita erano le Sue parole che rileggevo dal taccuino.
Quella condizione di isolamento mi aiutò a riprendere le tracce del
Dreamer e a mantenere vivi in me i Suoi insegnamenti.
La disobbedienza ai princìpi del Sogno significa autosabotaggio,
significa uccidersi dentro.
L‟esistenza fuori non può fare altro che
rispecchiare quel suicidio interiore.
294
La Scuola degli Dei
Per non respirare l‟atmosfera della ACO, vissi in una sorta di
„apnea psicologica‟. Per periodi più o meno lunghi riuscii a
mantenere un certo distacco; ma era un‟impresa disperata, come
tentare di fare a meno delle branchie in un mondo liquido. Sapevo
che senza il Dreamer non avrei potuto resistere per molto.
Di quei mesi ricordo gli sforzi estenuanti di autosservazione
e di vigilanza per non essere travolto dal fiume di negatività che mi
circondava da ogni parte. Osservavo quelle acque limacciose
ingrossarsi ogni giorno raccogliendo detriti psicologici e altro
materiale inquinante. A fiotti scorreva lungo piani e corridoi,
trovando impeto ed incanalandosi tra ripe fatte di fabbriche e uffici,
sfociando infine all‟aperto, fuori, nei parcheggi esterni, arrivando
fino alla piccola città, inondandone le strade, entrando nelle case e
nelle vite di quella gente.
Quel periodo di isolamento mi permise di studiare da vicino,
ma con il minimo necessario distacco, il fenomeno che il Dreamer
chiamava psychological pollution, l‟inquinamento psicologico nelle
organizzazioni. Ritornare alla ACO significò avere a disposizione
per mesi uno dei più sofisticati e completi laboratori scientifici per
questo tipo di osservazioni.
Risalgono a quel tempo lo studio e le mie prime verifiche di
fenomeni connessi all‟espressione di preoccupazioni, pensieri,
dubbi, paure ed in genere alla produzione e manifestazione di ogni
sorta di zavorra emozionale. Scienziato e cavia allo stesso tempo,
scoprii che pensieri distruttivi, emozioni negative, non solo
inquinavano la persona ma, una volta manifestati, sprigionavano una
sostanza sconosciuta alla nostra scienza, invisibile, eppure capace di
inquinare l‟ambiente, le persone e tutti quelli che erano a contatto.
Mi appassionò la scoperta della loro natura contagiosa, della
capacità che hanno di propagarsi da persona a persona a velocità
elevatissime, rivestendo talvolta i caratteri di vere e proprie endemie.
Così centinaia, migliaia di persone possono essere inquinate da una
stessa suggestione, da immaginazioni, da un‟unica emozione
negativa, e sospinte a reazioni collettive, meccaniche, molto spesso
violente, come riflessi psicologici condizionati.
Per il Dreamer, la felicità, l‟amore, la gioia, la gratitudine, la
serenità, ed in generale gli stati d‟Essere superiori, sono emozioni
che l‟umanità così com‟è non può provare.
295
Ritorno in Italia
Le emozioni positive per prodursi hanno bisogno di
una lunga preparazione e lavoro su se stessi.
Occorrono anni di autosservazione
per eliminare strati di ignoranza, di grossolanità,
e tutto quello che impedisce questi stati d‟Essere.
Forse l‟avevo sempre saputo. In ogni caso ora non potevo più
fingere di ignorare una scoperta di tale importanza: le organizzazioni
umane sono mortalmente tristi, vere e proprie industrie del dolore.
Fabbriche ed uffici, e prima ancora, scuole ed Università, sembrano
essere state disegnate, organizzate, per produrre ed alimentare
sofferenze apparentemente inutili. Enormi quantità di energia sono
spese in divisioni e conflitti tra gruppi e tra individui, in emozioni
inutili e sgradevoli, in stati d‟angoscia, di ansietà, in condizioni di
preoccupazione, di incertezza ed irritabilità. Ebbi modo di verificare
la verità paradossale che mentre le materie prime escono dalla
fabbrica nobilitate e trasformate, uomini e le donne ne escono
avviliti.
Osservandole dall‟interno, arrivai a chiedermi perché nelle
organizzazioni sembrava esistere, pervicace, al di là di ogni sforzo
scientifico e imprenditoriale, un meccanismo „perverso‟ che
costantemente produce ed alimenta una condizione di attrito, una
situazione penosa di tensione, di conflittualità, per quanti vi
lavorano. Assurdamente, tutto indicava che fosse proprio questa la
loro raison d‟être, la loro vera produzione ed allo stesso tempo il
loro misterioso motore.
6 Nella pancia della balena
Mentre dalla mia postazione facevo queste riflessioni,
simulando di essere assorbito dallo studio dei documenti che
ingombravano ad arte la mia scrivania, sentivo nell‟organismo che
mi ospitava, la ACO, uno sforzo di assimilazione, che
incessantemente mi sospingeva ad appartenere, che tentava di
strapparmi quella scintilla di vita che ancora mi permetteva di
„vedere‟. Era come se una legge ferrea, non conosciuta ma potente
ed ineluttabile, una specie di forza di gravità, un‟entropia
psicologica, non potesse consentire troppo a lungo l‟anomalia di una
posizione di testimone, di osservatore. L‟attenzione, quello stato di
296
La Scuola degli Dei
vigilanza che mi sforzavo di mantenere, mi rendevano alieno,
l‟abitante di un universo governato da altre leggi. Gli anticorpi
sarebbero presto entrati in azione. Mi avrebbero trovato e assorbito,
oppure espulso, come si fa con un‟escrezione o un corpo estraneo.
Sarebbe bastata una piccola disattenzione, una smorfia o una
sommessa lamentela, un moto di stizza, di invidia, di gelosia o di
antagonismo, per stabilire l‟appartenenza a quel mondo di tristezza,
dove mi collocava la mia condizione di osservatore.
Per certo un‟intelligenza istintiva sovrintendeva a tutto
questo. Distintamente avvertii la sensazione di essere all‟interno di
un immenso organismo vivente, come Giona nella pancia della
balena; o in un supercarcere così evoluto da poter leggere i pensieri
dei reclusi e sapere in tempo reale se qualcuno di loro sta meditando
di evadere.
Un giorno osservai la hall gremita a quell‟ora dalla
transumanza di esseri famelici e salivanti che stavano spostandosi
dagli uffici alla mensa. Ebbi la visione minacciosa di
un‟organizzazione ipnotica, di un termitaio umano gremito di esseri
tirannicamente indaffarati, proprio come quegli insetti arcaici e
ciechi, così simili a noi. Fu allora che feci la scoperta mozzafiato che
l‟essere vivente era lei, la ACO, quell‟organismo superordinato che
ci conteneva. Noi tutti, dirigenti, impiegati e operai, eravamo solo
organi, ghiandole, corpuscoli organici che scorrevano nelle sue
arterie senza una volontà propria né un destino individuale. Inorridii
vedendoli incollati a quel mondo come ad una carta moschicida,
guidati dal misterioso influsso delle emozioni negative.
Moltiplicai i miei sforzi. Feci ricorso ad ogni possibile
stratagemma per non farmi scoprire e metabolizzare. Erigevo
barricate psicologiche scrivendo pagine e pagine delle frasi del
Dreamer e rileggendole poi tutte d‟un fiato, senza interruzioni. Allo
stremo delle risorse, arrivai a recitare le preghiere imparate da
bambino. Le ripetevo a fior di labbra, una dietro l‟altra.
Istintivamente, sentivo che questo manteneva le porte chiuse;
impediva, almeno temporaneamente, a quel fluido magnetico di
penetrarmi. Nei momenti più difficili quando sentivo ogni difesa
vacillare, ricordando l‟insegnamento del Dreamer, mi fermavo per
lunghi minuti a fissare un punto, nel tentativo di raccogliere i
frammenti sparsi del mio Essere e non differire dall‟attimo.
Apparentemente, ancora nessuno all‟interno dell‟ACO
sembrava essersi accorto del mio tentativo di fuga e degli
297
Ritorno in Italia
stratagemmi che continuamente inventavo, oltre ogni razionalità, per
tentare di mantenere uno stato di concentrazione e di distacco. Fino
a quel momento ero riuscito a resistere, a recitare, e meglio di
quanto io stesso avessi sperato; ma non mi facevo illusioni. Sapevo
di avere ormai poco tempo, forse solo alcuni giorni; poi l‟allarme
per il mio tentativo di restare estraneo alla condizione di tutti gli altri
dipendenti sarebbe stato dato. La mia condizione di „fuorilegge‟
sarebbe venuta allo scoperto ed avrei subito la sorte di una termite
rimasta troppo tempo lontana dall‟influsso della sua regina.
Senza l‟aiuto del Dreamer non avevo nessuna probabilità di
farcela.
7 L‟incidente
Quella mattina ero occupato a seguire i lavori di
ristrutturazione della casa di Chià, quando sentii uno stridio di freni
provenire dalla strada. Il presagio di una sventura, oscuramente
attesa, si raggrumò in evento e raggelò l‟aria. Attraversai il giardino
nella direzione di quel suono ed infilai di corsa il cancello di casa
precipitandomi nella strada. Nel tempo pur breve di quel tratto, il
timore crebbe a dismisura; si trasformò in ansia e poi in una paura
senza argini, che dilagò nell‟Essere colmandolo fino alla nausea.
A Luca, in Kuwait, erano mancate la sue corse in bicicletta.
Appena tornati in Italia ne aveva voluta una in regalo e non se ne era
più separato, imperversando per le stradine del paese come un
piccolo bolide. Ora lo scorgevo. Quel fagotto che sembrava
abbandonato, dall‟altra parte della strada… era lui! Trascorsi la notte
al capezzale di mio figlio in una camera d‟ospedale. L‟ansia, la
paura, il dolore, divennero fisicamente insopportabili; finché,
raggiunto il loro culmine, sparirono, come per l‟effetto di un
anestetico. Rivolsi il pensiero al Dreamer. Qualcosa si sciolse
dentro. Provai la leggerezza di un aerostato liberato di sacchi di
zavorra.
Non l‟avevo più incontrato da mesi, né sapevo come
riprendere contatto con Lui. Decisi allora di fare ancora un tentativo:
scriverGli una lettera, come avevo fatto anni prima; una lettera che
fosse il testamento del falso in me, l‟ultimo atto di un uomo che
aveva deciso di rinunciare per sempre all‟ipocrisia, all‟accusa e a
tutto quello che aveva guidato fino a quel momento la sua vita.
298
La Scuola degli Dei
Non c‟era più nessuno da accusare. Ora realizzavo di essere
la sola causa di ogni mia sventura.
Il mondo non può muovere uno spillo senza il nostro assenso.
The world is as you dream it.
Quella sera stessa, quando Heleonore venne a darmi il
cambio, cominciai a mettere ordine nei miei pensieri e le sensazioni
provate in quei momenti tremendi. Essi si composero nella forma di
una lettera dedicata al Dreamer. Quel lavoro mi occupò
strenuamente per giorni senza che ne potessi prevedere la fine. Ogni
volta che mi sembrava di essere vicino a concluderla, rileggendola,
mi accorgevo della sua inadeguatezza e di essere ben lontano dal
risultato sperato.
Apparentemente ero io a scriverla, in realtà la lettera mi
rivelava. In essa scorgevo riflessa la mia immagine. Con un poco di
sincerità „vedevo‟ imbarazzanti espressioni di un falso ego far
capolino da questa o quella frase a denunciare la vanità, la
menzogna, l‟assenza di gratitudine. Allora abbandonavo quello che
avevo già scritto e ricominciavo daccapo. Le stesse frasi che fino a
poco prima mi erano sembrate giuste, a una nuova lettura si
rivelavano insoddisfacenti o arroganti, o senza senso. Spesso, a
distanza di pochi minuti, scorrendo quello che avevo scritto, avevo
la sensazione di leggere il lavoro di un altro, di uno sconosciuto.
Allora sostituivo parole, scartavo intere frasi e concetti, rifacevo il
lavoro, confrontandomi ogni volta con le mie resistenze, con una
incomprensione che non riuscivo a rimuovere. Una voce dentro
incessantemente mi chiedeva di smettere, mi criticava, mi derideva
perfino, per l‟assurdità di un tale sforzo. “Infine − diceva − non
sapresti neppure dove spedirla questa lettera!” Considerai questo
assillo il segnale più sicuro che stavo facendo qualcosa di buono e di
utile.
Stavo imparando a diffidare di me, o meglio, di quello che
fino a quel momento avevo creduto essere me. Cominciavo appena
adesso a conoscere quella parte oscura, neghittosa, del mio Essere
che aveva guidato la mia esistenza. Finalmente stava venendo allo
scoperto.
Dopo un giorno e una notte di sforzi frustranti, deluso dalla
lettura di un‟ennesima versione, realizzai che comunque la rigirassi
quella lettera non poteva che riflettere quello che ero. Il vecchio non
299
Ritorno in Italia
poteva scrivere il nuovo! Non c‟era modo di tenere fuori da quella
lettera il vecchiume e le mostruosità passate. Non c‟era alcuna idea,
stile espressivo, costruzione, scelta di vocaboli, dietro cui potessi
nascondere quella mia deformità che mi faceva inorridire. Il
pensiero di Luca, le circostanze dell‟incidente, la stanchezza, mi
soverchiarono.
Dopo anni, riprovai di nuovo la terribile sensazione che
fossimo in due nello stesso corpo. Il pensiero di essere intrappolato
per sempre in un‟ambiguità senza vie d‟uscita mi atterrì. Avrei dato
qualunque cosa pur di abbandonare la convivenza con questo
estraneo, uscire dal grumo di dubbi e di paura, di compromessi e
d‟ipocrisia, che mi tenevano prigioniero.
La certezza che anche quest‟ultimo disperato tentativo di
creare un contatto con Lui era naufragato, che il Dreamer non
sarebbe arrivato a salvarmi, mi gettarono in uno sconforto senza
fine. Non riuscii più a controllarmi. Raccolsi bruscamente i fogli
delle ultime versioni della lettera che ancora ingombravano il tavolo,
li ridussi a una palla e li gettai via con violenza. Con un gesto
disperato, d‟impotenza, mi lanciai contro la parete e martellai il
muro a pugni chiusi fino a farmi sanguinare mani e polsi. Poi, senza
più forze, lentamente mi accasciai e caddi in ginocchio piangendo.
In quell‟attimo, al colmo della disperazione, senza più difese
né schermi, seppi che l‟incidente all‟essere più caro che avevo era
un pagamento della mia disobbedienza. Gridai che Luca si salvasse.
Mi offrii al suo posto. Il dolore era così forte che non lo sentivo più.
Era scomparso ed era rimasto il dolore del dolore. Raccolsi di nuovo
carta e penna e questa volta scrissi la lettera di getto.
8 La lettera. Un Re Mida al rovescio
Al Dreamer
Questa lettera sono io.
Questo foglio vuoto è il riflesso del mio vuoto.
Da parecchio tempo ormai
sento una specie di nausea per tutto quello che vedo in me,
per tutti i segnali che indicano un abbassamento di forza,
un ritorno al passato.
300
La Scuola degli Dei
Scavo e scavo in me ma non trovo nulla che abbia valore,
neppure la consapevolezza di non valere nulla.
Uno stato di infelicità, di insicurezza,
di paura mi rende un estraneo
a Te ed alla mia stessa vita.
Cerco ogni stratagemma per venirne fuori,
ma il loro effetto dura un battito di ciglia.
La volontà è ancora profondamente sepolta
Il lavoro di osservarmi mi conduce a maggiore sconforto.
Dovunque volgo lo sguardo vedo sempre
la stessa smorfia di sgradevolezza.
Lo specchio del mondo, degli altri,
non è mai stato più nitido, più chiaro.
Alcune parti sono „magnifying glass‟
e mi mostrano con spietatezza ogni dettaglio.
Altre, meno lucide, più dense e lontane
impiegano più tempo a rimandarmi l‟immagine.
Ma tutto il mondo sa.
Mi difendo, cerco di schermirmi…
mi faccio coraggio, ma sono esausto.
Sto toccando le pareti.
I limiti del mio Essere mi soffocano.
So che mi hai dato opportunità immense.
Ne ho preso solo le briciole.
Questo mi fa soffrire…
il pensiero di che cosa sarebbe potuto essere,
di che cosa si sarebbe potuto fare…
“Aggiustare il mondo significa guarire se stesso”.
Queste tue parole mi stanno lavorando dentro.
Più che il mio fallimento, mi avvilisce il pensiero
di essere stato d‟impedimento al Tuo disegno.
La mia presunzione, questo credere di sapere,
mi ha fatto mancare il bersaglio.
Ho messo a rischio l‟evoluzione di migliaia di uomini
e donne che sono nel tuo Sogno,
che attendono di fare il passaggio;
ne ho compromesso il „viaggio‟ verso l‟integrità.
So che ancora l‟opportunità è grande, a
nche ora, anche in queste condizioni.
So che tutto è riconquistabile e può essere portato oltre.
301
Ritorno in Italia
Mi spaventa il pagamento.
Il fatto è che dopo anni in cui mi hai dato
l‟opportunità di esserTi vicino,
a diretto contatto con le Tue idee, con le Tue parole,
queste non sono ancora diventate carne della mia carne.
Le scrivo, le rimugino, ma non le applico alla mia vita.
Oggi più che mai, non so chi sono.
Come hai detto Tu: non l‟ho mai saputo.
Ma in passato più volte, più a lungo,
ho potuto illudermi e confondere il mio egoismo,
la paura e la preoccupazione di salvare me stesso,
per aspirazione.
Ho potuto credere di avere qualche capacità.
Ora so che ogni cosa intorno a me
prende l‟aspetto della menzogna
che ancora governa la mia vita.
Sono un re Mida a rovescio.
Tutto quello che vedo e tocco diventa povero.
Vorrei esprimerti la mia gratitudine,
saperti dire grazie per tutto quello che hai fatto per me,
per aver deragliato la mia vita dai suoi terribili solchi,
per avermi dato un nuovo destino.
Gratitudine per avermi mostrato la strada della dignità,
per avermi offerto il Tuo oceano di libertà,
anche se per i miei limiti ho potuto berne solo poche gocce.
Gratitudine per avermi fatto provare l‟assenza di paura,
di dubbio, di dolore… per avermi fatto intravedere,
oltre l‟apparente invincibilità della morte,
un frammento di eternità, il suo brillio ineffabile.
9 “Danza, perdio, danzaaa!”
Entrai in punta di piedi. Lo vidi intento a leggere adagiato
alla ricca testata. Il letto mi parve intatto. Il color cenere dei lunghi
capelli risaltava contro il candore dei cuscini di lino
impeccabilmente stirati ed inamidati. Sembrava un principe
rinascimentale. Trattenni il fiato nella speranza assurda che non si
accorgesse della mia condizione. Mi sentivo a disagio, eppure non
avrei voluto essere in nessun altro posto al mondo.
302
La Scuola degli Dei
Qualcosa di straordinario era accaduto in me, un
cambiamento mi aveva portato da Lui. Ancora una volta. Gratitudine
era la chiave di accesso. Mentre volgevo in me questi pensieri,
sentivo l‟esilità del filo che mi connetteva a Lui.
«Io sono venuto ad offrirti una scorciatoia − esordì in tono
deciso, senza preamboli − Finché sarai governato dalla paura, dal
dubbio, dalla conflittualità dei tuoi pensieri, dovrai dipendere da
qualcuno o qualcosa fuori di te. Finché non te ne libererai
sostituirai la dipendenza da qualcosa con la dipendenza da
qualcos‟altro. Ma questa non è libertà e neppure evoluzione.»
Mi scrutò e un‟ombra gli oscurò il viso.
«Tutto denuncia la tua menzogna. Sei un essere finto.
L‟ipocrisia ancora guida la tua esistenza. Ed ora, al capezzale di
tuo figlio, vorresti sapere perché la vita sembra accanirsi contro di
te… »
Qui si fermò ed usò quella pausa per alzarsi dal letto.
Quell‟improvviso riferimento a Luca mi aveva fatto trasalire.
Di colpo avevo sentito tutta la dolorosità di quel frangente della mia
vita.
Intanto seguivo con ansia crescente i Suoi movimenti. Il
Dreamer stava avanzando verso di me senza staccare lo sguardo,
fissandomi minacciosamente negli occhi. Poi protese il viso
avvicinandolo impercettibilmente al mio, ad accorciare le distanze
psicologiche tra noi. Ogni molecola dell‟aria stava vibrando,
anticipando una comunicazione vitale. Rapidamente, a più riprese,
gli vidi dondolare la testa da un lato all‟altro, come un pugile che
cerca un varco nella guardia dell‟avversario. Il viso prese
l‟espressione feroce di chi sta per sferrare un colpo. Il fiato si spezzò
per lo spavento e si sospese. Un‟eternità trascorse e il silenzio si fece
ancora più profondo. Poi, in un sibilo, feroce come la minaccia di un
nemico mortale, sussurrò:
«Il mondo è come tu lo sogni.»
Feci fatica a deglutire. Avrei voluto fuggire, ma non potevo
muovere un muscolo.
«Cambia il Sogno e il mondo cambierà» disse. Annuii
lentamente, per indicare che avevo capito, che poteva tirarmi fuori
da quell‟angolo di universo, denso e grave, in cui mi aveva stretto.
Fu a questo punto che ricevetti da Lui l‟ordine più incredibile che si
possa immaginare. Tanto inatteso e anacronistico che all‟inizio feci
perfino fatica a credere che dicesse sul serio.
303
Ritorno in Italia
«Danza! Danza!… Danza!!!» mi intimò a più riprese
aumentando ogni volta il tono della sua voce fino a farlo diventare
un grido possente.
«Danza! Danza!» urlò vedendomi paralizzato dalla sorpresa,
incapace di muovere un muscolo.
«Danza… Danza, perdio… DANZAAAA!» continuò a
gridare, finché mi fu orribilmente chiaro, senza possibilità di
fraintendimenti, che mi stava letteralmente ordinando di mettermi a
ballare, lì, in quel momento. La paura, lo sconcerto, si trasformarono
in un‟improvvisa, irrefrenabile ribellione, frutto della vergogna di
anni e dell‟anacronismo della richiesta. Innescata dall‟evidente
assurdità della pretesa del Dreamer, l‟ipocrisia di sempre colse
un‟occasione a buon mercato per sfoggiare sentimenti paterni, per
manifestare dolore per il mio bambino. Nella lotta che mi lacerava
dentro, vinse il vecchiume. Diedi così sfogo a quel grumo di falsità
che ero.
«Danzare?» chiesi, fingendo di accertarmi di aver capito
bene, ma intanto caricando quella domanda di tutta la violenza di chi
una volta tanto crede di avere ragioni da vendere e sa di avere tutto il
mondo dalla sua parte.
«Dovrei danzare mentre mio figlio è in pericolo di vita?»
domandai in tono di sfida. Ebbi appena il tempo di vederlo balzare
in avanti con la velocità di una tigre. Il Suo viso si era trasformato in
una maschera di violenza.
«Non è tuo figlio in pericolo di vita, ma tu! − disse − E non
solo ora, ma da sempre.»
10 “ Sei vivo e sincero solo sotto minaccia!”
Il Dreamer mi si avventò contro con i pugni sollevati,
vibranti, gli occhi fuori dalle orbite, le vene della fronte gonfie di
rabbia, come torrenti furiosi. Cercai di proteggermi alzando le
braccia, ma quel movimento restò a metà e lasciò il viso scoperto.
Ero paralizzato dallo spavento. Non potevo distogliere lo sguardo da
quegli occhi minacciosi che intanto si erano avvicinati fino a pochi
centimetri mantenendosi fissi nei miei. Immobile, inerme, li vedevo
brillare come carboni accesi. Solo allora notai con raccapriccio che
le sue pupille erano attraversate da un sorriso di arcana crudeltà.
304
La Scuola degli Dei
Quando finalmente riuscii a interpretarlo come ferocia, non ebbi il
tempo di inorridire.
Vibrò due finte, alternando i pugni contro il mio viso come
avrebbe fatto con un sacco da allenamento. Poi mi frugò negli occhi,
a valutarne l‟effetto. Ero terrorizzato.
«Non muovere quegli occhi!» tuonò, continuando a frugarmi
nelle pupille come se vi cercasse un corpuscolo estraneo, pericoloso.
Era un gesto che, nella interazione tra uomini, non avevo mai visto
fare prima.
«Non muoverliiii!» minacciò più volte, urlando e
prolungando orribilmente la vocale finale, riscontrando la mia
incapacità di ubbidire al Suo ordine. Così restammo, gli occhi negli
occhi, predatore e preda, per un tempo che mi parve infinito. In un
sibilo, più orribile delle Sue grida, disse:
«Questa mostruosità deve uscire per sempre!»
Non sapevo a chi, a che cosa, stesse parlando in me. Un
attimo prima che venissi meno ritirò il viso con calcolata lentezza,
ma continuò a tenermi sotto la minaccia implacabile del Suoi occhi.
Quando riprese a parlare il tono era tornato normale, e per questo il
suo effetto fu ancora più devastante.
«Io non ho limiti! − disse con fredda ferocia − Sono qui per
guadagnarti per sempre o per perderti!… »
A sorpresa, sfoderò un sorriso radioso, come per il successo
di un esperimento difficile, o la vincita di una scommessa
impossibile. Quell‟Essere non aveva nulla di umano, o almeno, non
aveva nulla di quello che fino a quel momento avevo considerato
umano. Senza più riferimenti, vacillai sgomento. Sentii l‟orrore e lo
sconcerto alitarmi sul collo; il mio corpo divenne un solo lungo
brivido. Avrei preferito cento volte il Suo scatto d‟ira a quel Suo
inumano, anacronistico sorriso.
«Tu, come milioni di uomini, sei vivo e sincero solo sotto
minaccia. Solo quando incontri qualcuno o qualcosa più violento di
te viene fuori una parvenza d‟uomo… Per un attimo ti ho fatto da
specchio e tu hai indietreggiato di fronte alla tua immagine riflessa,
come hai sempre fatto nella vita. Hai avuto paura della tua stessa
violenza. Sei inorridito perché non ti conosci» disse con un tono
ritornato normale. Il Suo viso era ritornato sereno e pacato
improvvisamente, senza fotogrammi intermedi.
«Uomini come te si arruolano tra i pacifisti a oltranza,
vanno ad ingrossare le file di tutte le Salvation Army del pianeta,
305
Ritorno in Italia
diventano apostoli dell‟umanitarismo, propugnatori della non
violenza, senza sapere di essere essi stessi violenti e,
inconsciamente, i propagatori di lotte e contrapposizioni.
L‟umanità crea istituzioni benefiche, organizzazioni
umanitarie, movimenti filantropici che sono il riflesso incarnato
della sua falsità, della sua degradazione… Altruismo, umanitarismo
diventano modi per nascondere a se stessi la propria violenza, sono
la forma che in alcuni prende la propria separazione, la distanza
dagli altri. La benevolenza, la generosità, l‟amore, degradano e si
materializzano in un animo elemosinante, nel fraintendimento più
totale del vero senso di „fare per gli altri‟, nella degenerazione
ultima e più estrema della carità.»
Ora il Dreamer non stava più rivolgendosi a me. Nel mirino
della Sua invettiva era entrata l‟umanità così com‟è. Un‟umanità
decaduta che ha perso ogni connessione e perfino la memoria delle
reali qualità di un uomo. Questo allargamento dell‟audience lo
avvertii con un allentamento della pressione che mi diede un po‟ di
respiro. Provai il sollievo, lo stordimento misto a felicità, di chi esce
miracolosamente illeso da un incidente mortale. Il sapore di una
libertà sconosciuta, da impercettibile si fece sempre più forte, fino a
colmare l‟Essere. Era una nascita, era quello il mio primo respiro.
Mi attraversò i polmoni, anch‟essi nuovi, come un fuoco liquido che
li riempì a dismisura. Ma quella tregua durò poco. Il Dreamer mi
riprese tra le sue fauci, spietatamente, come fa una fiera che,
fermatasi per qualche istante a lambire la preda ancora palpitante,
riprende il suo feroce pasto.
«Il male non è essere violenti, ma il non sapere di esserlo. La
violenza è il riverbero di una psicologia conflittuale, l‟effetto di un
uccidersi dentro.»
Quando riprese a parlare il Suo discorso aveva la solennità di
un sermone. Pensai che raramente l‟umanità moderna è stata
raggiunta
da
parole
più
spietatamente
sincere,
più
insopportabilmente lucide, e così irriverenti. Chi avrebbe potuto
pronunciarle?
«Il primo lavoro da fare è costruire se stesso! L‟ignoranza di
sé invita tutte le disgrazie e le miserie che puoi osservare nella vita
degli uomini… La vittima crea meticolosamente, inconsciamente, le
condizioni per attrarre il suo persecutore… Nel buio del suo Essere
ha a lungo tessuto la terribile tela che catturerà il suo carnefice.»
306
La Scuola degli Dei
11 La guarigione può avvenire solo dall‟interno
Il discorso stava facendosi più serrato e cominciò a stringersi
intorno all‟incidente di Luca. Col Dreamer stavo esplorando alle
radici il fenomeno dell‟accidentalità per arrivare a capire perché la
vita sembrava mostrare un tale accanimento. Immaginai di risalire
con Lui il corso di un mitico fiume fino alle sue remote scaturigini.
Sapevo che quella ricerca, ansa dopo ansa, sarebbe arrivata fino a
me. Provai dolore prima ancora che cominciasse.
«L‟incidente non riguarda il bambino ma il tuo mondo… è
l‟effetto della tua peccabilità» disse e continuò affermando che
quando un uomo ha fatto una promessa interiore, quando ha
intrapreso il cammino verso l‟unità dell‟Essere, verso l‟integrità,
paga per ogni deviazione, per ogni macchia, per ogni „peccato‟.
Qui sospese il Suo discorso e mi scrutò a lungo.
«Un buon passato è come avere un buon capitale... Il tuo
passato è un castigo di Dio − constatò con amarezza − È una barca
di debiti!… finché non li avrai pagati tutti, dovrai attraversare
innumerevoli sofferenze e confrontarti con gli antagonismi più
crudeli… »
«Quando ne sarai consapevole proverai gratitudine per tutte
le sofferenze e benedirai ogni dolore ed ogni apparente ingiustizia…
Un giorno saprai come essi siano arrivati per elevarti e migliorarti,
e quanto siano stati necessari per la tua evoluzione… Difficulties
and sufferings are tests on your way to integrity. When a man
realizes this, life itself becomes his teacher. Ogni crisi, ogni caduta,
ogni difficoltà è perfetta, insostituibile.»
Notando la difficoltà che avevo ad accettare quella
spiegazione e ad assumermi la piena responsabilità di ogni evento
della mia vita, ricorse a un brusco monito.
«Se non sono le Mie parole a cambiarti, sarà la vita a farlo.
Quello che non puoi capire attraverso le Mie parole dovrai capirlo
attraverso i tuoi errori.»
Mi disse che tra queste due „opzioni‟ non c‟è differenza se
non nel fatto che „capire attraverso i propri errori‟ è un percorso
accidentato, molto più lento e doloroso. E concluse:
«Dopo le Mie parole arriva la vita con le sue leggi ed i suoi
strumenti di guarigione.»
Il Dreamer mi spiegò che l‟umanità così com‟è, sigillata in
un sonno ipnotico, non può che vivere permanentemente sotto la
307
Ritorno in Italia
minaccia di antagonisti spietati. Attraverso le Sue parole, come altre
volte mi era accaduto accanto a Lui, ebbi una visione: il pianeta mi
apparve come un frantoio dalle immense macine di pietra sempre in
funzione per molare i disobbedienti, chi si ostina a non capire. Vidi
la serie infinita dei mali che da sempre affliggono il mondo; sentii lo
schiantarsi di ossa sotto torchio ed il loro cricchiare; riconobbi la
necessità di quell‟olocausto, di quell‟orrore senza fine, delle guerre,
delle calamità e delle immani tragedie che da sempre piagano il
pianeta. Seguii il corso serpeggiante della nostra millenaria vicenda
finché, oltre la crosta di una descrizione ignorante, attraverso uno
squarcio nella tela, „vidi‟ che quelle sventure erano le amare
medicine per un‟umanità degradata, le atroci cauterizzazioni per
quegli individui, nazioni e intere civiltà, che non hanno altra via per
guarire.
«La vita non è una macchina di trasformazione come stai
immaginando − intervenne il Dreamer correggendomi − ma una
macchina della verità. Eventi e circostanze non arrivano per
guarirci; sono sintomi per farci vedere chi siamo… »
«La vera guarigione può avvenire solo dall‟interno. Nessuna
politica, religione o sistema filosofico può trasformare la società
dall‟esterno. Solo una rivoluzione individuale, una rinascita
psicologica, una guarigione dell‟Essere, uomo per uomo, cellula per
cellula, potrà condurci verso un benessere planetario, verso una
civiltà più intelligente, più vera, più felice.»
12 Elogio dell‟ingiustizia
Fu in quelle circostanze che ascoltai dal Dreamer l‟apologia
che riportai negli appunti sotto il titolo di „elogio dell‟ingiustizia‟.
Mentre prendevo nota e la mano scorreva veloce sulle pagine per
starGli dietro, sentivo concetti e schemi mentali sgretolarsi sotto i
colpi d‟ariete delle Sue parole. Con una mano scrivevo e con l‟altra
mi tenevo aggrappato ai miei vecchi pensieri, alle convinzioni di
sempre, come a radici sporgenti da un abisso su cui ora penzolavo,
sospeso agli ultimi appigli di razionalità.
«Per ancora molti anni, per la massa umana sarà
impossibile mandare giù questo boccone ed accettare l‟evidenza di
una verità così semplice» disse e tacque.
308
La Scuola degli Dei
Sapevo che questo preambolo e il tempo di quella pausa mi
stavano dando il modo di prepararmi a quello che stava per dirmi.
Ma questo non fece che aumentare la mia ansietà. Tentai di
guadagnare un po‟ di compattezza. Convulsamente, in quei pochi
secondi, provai a raccogliermi, a mettere insieme la moltitudine dei
pensieri sparsi; ma quell‟improvvisata costruzione non stava su e
quell‟unità fittizia si disfaceva dopo ogni mio tentativo di
assembramento. Finché mi rassegnai alla mia impreparazione, ed
ascoltai.
«La vittima è sempre colpevole!» proclamò.
Avevo già sentito questa paradossale affermazione del
Dreamer durante la cena al Veronica‟s, ma questo non mi aiutò ad
attutire la forza dirompente di quella dichiarazione e lo shock della
sua insostenibile assurdità.
«L‟ingiustizia è la giustizia più giusta! − rinforzò il Dreamer
− Quella che l‟uomo ordinario chiama ingiustizia è una risorsa
dell‟esistenza per permettergli l‟accesso a uno stato di completezza,
a gradi più alti di comprensione. L‟ingiustizia è „compassion‟ che si
manifesta.»
Non potevo convincermi. Nella mente esplosero in rapida
scansione le immagini di Luca rannicchiato sotto il muro, l‟arrivo
dell‟autoambulanza, la corsa all‟ospedale, l‟affanno dei medici
intorno al bambino. Provai un senso di ribellione incontenibile. Il
Dreamer mi lesse nel pensiero.
«L‟incidente di tuo figlio non è un incidente…
L‟accidentalità non esiste… L‟incidente è un vero e proprio atto di
volontà… l‟atto di una volontà inconsapevole… Eventi spiacevoli e
sciagure ci colpiscono per guarirci… per completarci…
L‟ingiustizia arriva agli uomini come opportunità per migliorare la
propria vita, per risvegliare in ognuno il Sogno di essere un giorno
liberi. L‟ingiustizia è la via verso la conoscenza di sé… verso la
propria completezza. Non può esserci giustizia più giusta
dell‟ingiustizia.»
Il Dreamer parlava. Io continuavo a scuotere la testa e
scrivevo, mentre lacrime cocenti mi rotolavano lungo le guance. La
Sua voce si addolcì.
«Sono disposto a spiegartelo scientificamente − disse con
paziente comprensione − C‟è nell‟uomo, anche in quello più
degradato,
una
volontà
involontaria…
una
coscienza
309
Ritorno in Italia
inconsapevole… una bellezza abbrutita… un‟unità spappolata che
grida al risanamento… »
«Il „male‟ è sempre al servizio del „bene‟. Il male non
esiste!… Ciò che è apparentemente negativo… ogni avversità…
quello che l‟uomo orizzontale chiama ingiustizia… è in realtà un
„blessing‟ – disse concludendo – Gli eventi, le azioni e le
circostanze più ingiuste arrivano per innalzare l‟Essere a livelli
più alti di completezza, di integrità, di libertà... »
Mi spiegò che anche i sintomi di una malattia sono segnali
preziosi del corpo che denunciano una degradazione dell‟Essere, un
abbassamento dell‟intelligenza. Ma l‟uomo non sa più leggerli e
confonde la causa con l‟effetto. Per questo qualunque intervento sul
sintomo diretto a sopprimerlo, come fa tutta la medicina
istituzionale, ignora la vera malattia e la acutizza. Insieme al
sintomo si elimina anche l‟opportunità di una guarigione superiore...
«Non esiste alcun male fuori di noi ma solo indicatori visibili di
guarigione, spie luminose d‟una vera salvezza che è in noi stessi.»
«Anche le malattie più gravi?»
«Anche le malattie apparentemente inguaribili sono
soltanto sintomi, segnali che indicano la via verso la guarigione.
Esse rivelano la colpa che è dietro ogni caduta, denunciano il
desiderio suicida consumato attraverso le mille morti interne che
sono la vera causa della morte fisica.
Ma per riconoscerle è necessario seguirne il percorso a
ritroso verso la vera causa!… Un giorno la scienza scoprirà che non
esistono molte malattie. Dietro la loro apparente molteplicità, oltre
la complessità delle manifestazioni, la malattia è una sola… è un
pensiero, è un seme ferale…»
«La causa di ogni male… è quindi… la nostra psicologia?»
«No! Anche la psicologia è ancora un sintomo per risalire
alla vera causa, alla causa delle cause, al male dietro il male: l‟idea
della ineluttabilità della morte. L‟eliminazione di questa
superstizione, mettere in discussione questa „self-fulfilling
prophecy‟, questa profezia che si autoavvera, risolverà la psicologia
e la psicologia risolverà ogni male.»
«L‟uomo ha fatto della morte il suo limite ma in realtà
anch‟essa è solo un segnale, un sintomo di guarigione… e,
paradossalmente, la prova più evidente della nostra immortalità −
aggiunse − La morte è il segno più evidente e tangibile della nostra
onnipotenza, della capacità dell‟uomo di realizzare l‟impossibile:
310
La Scuola degli Dei
distruggere il suo corpo. Alla radice di ogni disuguaglianza tra gli
uomini, di ogni ingiustizia o assenza di libertà, c‟è la vera differenza
da cui tutte le altre originano: il grado di responsabilità interiore.
Being, understanding, responsibility, destiny are one and the same
thing.»
«Man is his under-standing − riaffermò il Dreamer − Gli
uomini appartengono a livelli diversi di comprensione. È questa la
vera disuguaglianza tra loro!»
Pur apparendo simili, esistono tra gli uomini differenze di
eternità, distanze di anni luce sul cammino verso l‟integrità. Come
tra specie zoologiche a diversi stadi di evoluzione, essi appartengono
nell‟Essere ad ere evolutive spesso smisuratamente distanti tra loro.
«Ma allora − dissi esitante − tutte le affermazioni dell‟uomo,
le sue più nobili dichiarazioni… e le lotte, le guerre e le rivoluzioni
fatte in nome della libertà e della giustizia?… »
«Sonostate invano ed hanno lasciato ogni cosa com‟era!»
disse il Dreamer scandendo le parole e portando ordine nei miei
pensieri in subbuglio.
«Guerre, rivoluzioni ed ogni altro tentativo di dare agli
uomini uguaglianza, giustizia, libertà, pace sono falliti perchè
fondati sulla convinzione che ci fosse un cattivo da abbattere, che ci
fossero ostacoli esterni da eliminare.
Ricchezze, privilegi, disparità sociali, sono soltanto un
effetto, il riflesso di una differenza molto più profonda. È
nell‟Essere, nel nostro respiro, nel nostro sentire che avviene tutto.
Our level of Being attracts our life.
L‟umanità „così com‟è‟ ha bisogno del male! Un uomo
riesce ad ascoltarsi solo attraverso il dolore… Per sentirsi vivo ha
bisogno della sofferenza… dell‟Antagonista… del tempo…
Finché questa condizione perdurerà, il dolore e tutto ciò che
l‟uomo chiama ingiustizia, resteranno il solo motore del mondo e
l‟unica forza capace di spingerlo verso stati superiori dell‟Essere.»
13 Il mondo è creato dai nostri pensieri
«Tuo figlio non è morto perché c‟è ancora un filo che lo lega
a Me!»
Come una fiammella che crescendo scava l‟oscurità e si fa
spazio, quella conclusione del Dreamer penetrò nella nebbia del mio
311
Ritorno in Italia
Essere e la diradò. Ciò che vidi emergere era insostenibile. Sarei
venuto meno se la voce del Dreamer non fosse arrivata a scuotermi
con la sua ironica gravità.
«Ora, al capezzale di tuo figlio ti chiedi perché… ti chiedi
perché ha avuto un incidente… Vorresti sapere perché la tua vita è
così disastrosa… »
Per non incontrare il Suo sguardo, distolsi gli occhi; fissai i
ceppi che bruciavano nel camino e finsi di essere assorto,
inseguendo i riverberi della fiamma sulle trame d‟oro del Suo gilet.
«Prendi un segmento della tua vita, un millimetro della tua
esistenza. Vi troverai la mappa dei tuoi pensieri distruttivi, dei tuoi
stati emozionali inquinati… Il dubbio, la paura hanno deciso fino ad
oggi gli eventi della tua vita.
Chi vive l‟inferno non può che creare l‟inferno! Il tuo dubbio
diventa paura e la paura fabbrica pietre nel tuo rene… o trama
incidenti e disastri nel mondo degli eventi.
The world is such because you are such.
Il mondo è una tua invenzione… L‟incidente è un tentativo
da parte del mondo di rivelarti la tua assenza di attenzione, di
amore e mostrarti la via della giustezza. Ma tu non ascolti te
stesso.»
Dunque, il pensiero crea… anche quello più distruttivo, più
malato!
«L‟orrore è aver trasferito Dio fuori di noi!» disse e
preannunciò che quando l‟uomo si sarà riappropriato della sua
dignità, della volontà, del suo diritto di artefice, le religioni
scompariranno.
«C‟era una volta l‟uomo senza religioni − affermò − Queste
compaiono quando, per una caduta della sua religiosità, l‟uomo
degrada e trasferisce la divinità fuori di sé.»
Sentii il peso insostenibile di questa responsabilità. Le mie
capacità vacillavano davanti a una visione così diversa da ogni
interpretazione corrente, ad una spiegazione così impietosa della
condizione umana e degli ingranaggi che la macinano. Insieme a me,
l‟umanità intera era alla sbarra, nella gabbia dei criminali, inchiodata
da quella sentenza che annunciava una legge generale, ferrea
dell‟accidentalità, che non ci lasciava più vie di fuga. Lamentarsi,
accusare, giustificare e mentire, apparivano ora l‟urlo ancestrale di
esseri zoologici ancora ai primordi dell‟evoluzione, brancolanti nel
buio delle loro coscienze.
312
La Scuola degli Dei
Al centro della visione del Dreamer c‟era il capovolgimento
del rapporto che crediamo esista tra stati ed eventi. La voce del
Dreamer e l‟insegnamento della „School for Gods‟ di Lupelius si
stavano fondendo in una sola concezione che sconvolgeva e
sovvertiva la visione ordinaria del mondo. La convinzione più
radicata nell‟uomo è che il mondo esterno sia la causa. È questo
l‟architrave su cui poggia la sua allucinata cosmogonia: la
superstizione che gli stati siano un effetto degli eventi. Come
l‟immagine della realtà, che cade sulla retina dell‟occhio piatta e
capovolta, così l‟uomo percepisce a rovescio il rapporto che esiste
tra i suoi stati d‟animo, le sue emozioni, e gli eventi esterni. La
prima educazione, dalla più tenera età, ci ha assolutamente convinti
che la paura sia l‟effetto dell‟incontro con qualcosa di spaventoso,
ed il dolore sia la reazione a qualcosa di doloroso. Il Dreamer mi
spiegò con un esempio la necessità di una „seconda educazione‟, di
una rivoluzione psicologica che nella storia umana assume le
proporzioni titaniche di una fuga dal Tartaro, dagli abissi della
zoologia.
Man is profoundity-blind. Non percepisce la profondità. Il
nostro apparato visivo di natura non è dotato della capacità di vedere
oltre le due dimensioni. Le immagini cadono sulla retina piatte e
capovolte. Nel corso di una lenta evoluzione l‟uomo ha imparato ad
elaborare ed integrare l‟informazione visiva, capovolgendola e
dandole profondità, aggiungendo una terza dimensione. Allo stesso
modo dovrà riversare a 180 gradi la sua concezione del mondo
aggiungendo una terza dimensione, tracciando una verticale alla sua
psicologia. Questo gli permetterà di „vedere‟ che sono gli stati
d‟Essere a precedere e determinare la natura e la qualità degli eventi
e tutte le circostanze della sua vita.
«States and Events are one and the same thing − culminò il
Dreamer, sintetizzando in questa formula l‟elemento capitale della
Sua visione − Stati ed eventi sono una sola cosa!… Il tempo che tra
loro intercorre crea nell‟uomo l‟illusione che tra gli stati d‟Essere e
gli accadimenti della sua vita non ci siano connessioni.»
Il Dreamer a questo punto si fermò ed attese. Ebbi
l‟impressione che raccogliesse nell‟aria un assenso prima di
proseguire. Poi disse:
«Se l‟uomo potesse sollevare la cortina del tempo, o
comprimerlo, scoprirebbe che gli stati sono già eventi. Gli stati
313
Ritorno in Italia
emozionali di un uomo sono in verità eventi in cerca
dell‟opportunità per verificarsi.»
A quelle parole il terreno che già tremava sotto i miei piedi,
come per l‟effetto di un sisma, si squarciò d‟improvviso. Un baratro
spaccò il mio universo personale in tutta la sua lunghezza separando
per sempre il vecchio dal nuovo; tutto quello in cui avevo fino ad
allora creduto, dalle nuove convinzioni che il Dreamer stava
deponendo in me. Sull‟orlo di quel baratro, barcollavo.
Il vecchio sistema, le sue idee esauste, consunte dai millenni,
si stavano sbriciolando. Le certezze su cui l‟uomo fonda la sua vita,
le cause stesse alle quali da sempre attribuisce la sua infelicità, e
tutto quello che lo porta a lamentarsi e ad accusare il mondo, stavano
mostrando tutta la loro irrealtà. Il fatalismo che lo spinge a credersi
un essere inerme alla mercé di eventi incontrollabili, il vittimismo e
l‟autocommiserazione che immancabilmente gli fanno trovare fuori
di sé le cause di ogni sua sventura, stavano crollando come idoli
polverosi. Esiste nell‟uomo la tragica difficoltà di percepire il
rapporto di causa-effetto che esiste tra i suoi stati d‟Essere e gli
eventi della sua vita.
14 Il passato è polvere
«Thinking is Destiny… L‟umanità pensa e sente
negativamente! − sentenziò il Dreamer nel tono di un inappellabile
giudizio − Questo basta a spiegare la interminabile sequela di
sciagure che l‟uomo si ostina a tramandare e che chiama Storia; e
spiega perché, attraverso i millenni, la nostra civiltà sia stata
costantemente segnata da un così terribile destino.»
«Ma se non ricordiamo la nostra storia, come possiamo
trarne insegnamento?» obiettai nel tentativo di salvare qualche
brandello della vecchia visione. Un tremito nella voce, già vicina al
pianto, preannunciava la sconfitta di ogni mia convinzione.
Il Dreamer non parlava. Cercai di ammantare di razionalità il
panico che sentivo crescere dentro senza controllo, e dissi:
«Come potremmo evitare nel futuro gli errori fatti nel
passato?»
«Past is Dust! − dichiarò lapidariamente il Dreamer
spazzando via d‟un colpo le mie ubbie − La storia dell‟uomo è il
racconto di una visione criminale, la materializzazione della sua
314
La Scuola degli Dei
parte più abietta… Ricordare questa serie infinita di crimini,
come fanno tutte le scuole del mondo, può solo inquinarci… »
Affermò che si tratta del millenario tentativo di questa parte
infima dell‟uomo di sopravvivere e di perpetuare il passato,
replicandolo e mettendocelo davanti come un falso futuro. Non è
l‟esperienza né la memoria degli errori passati che possono
trasformare l‟umanità, cambiarne la storia, il destino. Solo
l‟individuo può farlo, attraverso la sua trasformazione.
Capii l‟assurdità di riproporre ai bambini una storia di orrori,
non governata dalla volontà ma dal caso e dalla criminalità. Guerre e
rivoluzioni, crociate e persecuzioni, nascite e cadute di imperi, mi
apparvero come sudiciume sfuggito ad una scopa cosmica.
Dobbiamo cancellare quel passato di delinquenza e con esso la
memoria di tutti i criminali e dei piccoli-grandi uomini che la
vecchia umanità ancora mitizza e tramanda come benefattori ed eroi.
Solo apparentemente la crudezza del messaggio del Dreamer
sembrava presagire la inevitabilità di un fato avverso. In realtà quel
coltello nelle nostre piaghe era un bisturi di luce. Dietro la Sua
spietata analisi, che relegava l‟uomo nelle latebre di un mondo
infernale, al di sotto dell‟Avello, il Dreamer stava indicando il modo
di riscattarlo dalla colpa, dal dolore, dall‟ignoranza… dalla morte.
Le Sue parole stavano tracciando una mappa luminosa per
permetterci di ritornare ad uno stato di innocenza, di integrità, di
potere. Ecco finalmente la scorciatoia, il passaggio...
Le parole che seguirono mi consolarono. In esse c‟era
l‟annuncio di una soluzione.
«We should not remember the past, we should remember the
above! Occorre sviluppare una „memoria verticale‟, perpendicolare
al piano della Storia… Occorre innalzare l‟Essere dell‟uomo… Il
mondo non è creato… il mondo è pensato... »
Sentii ogni fibra del corpo percorsa dalla forza di
quell‟autorità; la stessa che attraverso i millenni, nei momenti più
bui della sua storia, aveva gettato all‟uomo codici e vangeli, favole e
parabole, come fossero zattere o salvagenti. Capii la tragedia della
nostra insanabile durezza di udito, la profondità del sonno che ci
annebbia. Ecco perché gli angeli sono sempre stati rappresentati con
trombe e tamburi, come una banda di musicisti chiassosi.
«Una volta ti dissi che se tu fossi vigile, se fossi stato
consapevole, attento a tutto quello che fabbrichi nel tuo Essere, la
morte di tua moglie non sarebbe stata necessaria. Non avresti
315
Ritorno in Italia
obbligato il mondo a rivelartelo con una tale violenza. Per
guarire hai scelto il tempo, e il tempo è dolore… Tu non ci sei e la
tua assenza dà spazio a tutti i disastri programmati dalla tua
disattenzione.»
La grandezza, l‟universalità di quella visione riscattava
l‟uomo dalla condizione di un automa, di un burattino biochimico
mosso dai fili di un fato prevaricatore, restituendogli la piena
responsabilità di ogni accadimento della sua vita. Provai gratitudine
per il dono che il Dreamer mi stava facendo. Alle mie vecchie idee
stava subentrando una nuova, folgorante verità: Nothing is external.
Tutto dipende da te. Non c‟è nulla che un uomo possa ricevere
dall‟esterno: né successo, né denaro, né salute. Era questa la voce
millenaria, la stessa delle antiche scuole di responsabilità, delle
fucine di eroi e semidei, dove da sempre si forgiava un‟umanità
guarita. Il nostro mondo, con tutti i suoi accadimenti, è creato dai
nostri pensieri. Anche i pensieri distruttivi creano; noi siamo
artefici anche della negatività. Invece di reagire al mondo che noi
stessi abbiamo creato, dovremmo saper seguire la traccia ancora
calda degli eventi e risalire agli stati che li hanno generati,
circoscriverli e cancellarli.
15 Volontà e Accidentalità
«La consapevolezza è luce − continuò il Dreamer − Sapere
cosa avviene dentro di noi ci permette di intervenire nell‟attimo, che
è il solo tempo reale, per proiettare un mondo nuovo libero
dall‟accidentalità.»
Dove c‟è questa consapevolezza, dove arriva questa luce,
l‟accidentalità non ha ragione d‟essere. Incidenti e malattie, per
poter entrare nella nostra vita, devono avere il nostro assenso; per
potersi verificare bisogna che prima questa luce si abbassi. Ancora
una volta, in modo sempre più stringente ed inoppugnabile, il
Dreamer mi stava mettendo di fronte all‟evidenza che l‟accidentalità
non esiste. L‟improvviso ha sempre bisogno di una lunga
preparazione.
«A man cannot hide. Tutto nella sua vita è regolato dalla
Legge e dall‟Ordine» enunciò.
«E gli incidenti, allora?»
316
La Scuola degli Dei
«Esistono per l‟uomo così com‟è!… per la creatura
degradata cui si è ridotto… per quell‟essere che, seppellendo la
volontà, è diventato la caricatura di se stesso» rispose, e aggiunse
che, per un‟umanità che non possiede la volontà, gli eventi e le
circostanze della vita sono regolate dall‟esterno, dalla descrizione
del mondo.
Attraverso le parole del Dreamer realizzavo che una vita
sventurata, flagellata da difficoltà e problemi, non è dovuta al caso,
ma alla mancanza di vigilanza, all‟assenza di attenzione per tutto ciò
che ci accade dentro. Era come guidare ad occhi bendati. L‟uomo
così com‟è si rivelava un sonnambulo che attraversa incroci e strade
nel sonno più profondo. Realizzai che sopravvivere per l‟umanità
ordinaria è un miracolo quotidiano. Un brivido di paura mi percorse
il corpo fino alla radice dei capelli. Non so esprimere l‟orrore che
ora percepivo e la compassion per la precarietà di vite come le
nostre, che brancolano nelle regioni più desolate della propria
psicologia, in assenza totale di una volontà-guida.
Poi le parole solenni di un‟epigrafe universale vibrarono
nell‟aria ed io le raccolsi meticolosamente:
«You are completely in charge of your life. You are
completely responsible of your destiny. You must recognize that
pain, sickness and poverty are not accidents but the products of your
inner conflicts. It is you, and you only, who makes them up.»
Per il Dreamer l‟accidentalità è sempre l‟indicazione di una
guarigione, è sempre un pagamento, ma involontario. Quando la
volontà non è presente il mondo prende il sopravvento e allora
paghiamo con l‟accidentalità e la casualità. Gli stati d‟Essere guidati
dalla volontà determinano gli eventi che incontreremo. Il pagamento
volontario, anticipato, è la scelta di un‟umanità guarita. Il pagamento
posticipato, involontario, è la scelta di un‟umanità decaduta che paga
attraverso l‟accidentalità, la sofferenza, il tempo. La degradazione di
questa comprensione, a tutte le latitudini ed in ogni tempo, ha
generato una serie infinita di modalità, di forme di pagamento
anticipato. Il loro denominatore comune è l‟autopunizione. Il
tentativo di scongiurare future sciagure, il desideriodi cancellarle dal
proprio destino, si è accompagnato nella storia di tutte le civiltà con
il sacrificio e l‟espiazione attraverso sofferenze autoinflitte.
Andai col pensiero ai fioretti, ai voti dei penitenti, ai martìri
offerti a santuari e chiese; all‟autoflagellazione, ai cilici. Ripensai
con questa nuova intelligenza ai riti tribali ed agli antichi sacrifici di
317
Ritorno in Italia
bestie e di uomini immolati e offerti nei millenni a divinità, visibili
ed invisibili. Dietro le apparenti differenze dei rituali e la scelta delle
modalità, riconobbi la degradazione di una saggezza dimenticata.
Dietro quelle manifestazioni era ancora possibile percepire lontani
riverberi
dell‟originaria
comprensione,
schegge
della
consapevolezza che la vera causa di tutto ciò che ci accade è dentro
di noi. Come mi disse il Dreamer, esse sono un pallido ricordo del
pagamento anticipato così com‟è percepito da un‟umanità che non
conosce altro modo per perdonarsi dentro.
Per il Dreamer il pagamento anticipato è la trasformazione di
se stessi. È quindi la sintesi delle funzioni più alte in un uomo:
l‟attenzione, la conoscenza di sé, la trasformazione delle emozioni
negative, la libertà dalla zavorra interna. Ai livelli più bassi
dell‟umanità, questa intelligenza degrada e il pagamento
anticipato da lavoro interno si trasforma in autopunizione.
Ricordai le processioni che avevo visto da bambino, i
portatori che grondavano sudore e sangue sotto il peso di una statua,
di una madonna o di un santo. Li osservavo a occhi sgranati. Prima
di affrontare un nuovo tratto, si aggiustavano il panno sulle spalle
piagate per proteggerle dal peso insopportabile delle stanghe.
Attraversavano vicoli e rioni, facendosi spazio tra due ali di folla
cenciosa che si segnava e si inginocchiava. Rivedo i loro visi
paonazzi per lo sforzo e il volto dei santi, gli occhi rivolti al cielo e
le dondolanti aureole di ottone dorato inchiodate alla nuca.
Giuseppona mi sovrastava proteggendomi da quella febbre di corpi.
“Si stanno guadagnando il paradiso” mi disse una volta. Giurai a me
stesso che non sarei mai voluto andare in un posto abitato da quegli
orribili buoni ceffi. Senza saperlo stavo osservando un‟allegoria
vivente del pagamento. Solo il Dreamer un giorno mi avrebbe
spiegato che questo è il tentativo di pagare in anticipo, di soffrire e
usare il dolore per scongiurare future sofferenze, per esorcizzare le
calamità e i disastri programmati dalla propria disattenzione e già in
cammino per venirci incontro nel mondo degli eventi. Un‟umanità
schiacciata dal peso delle sue superstizioni, povera, per pagare ha
solo il denaro della sofferenza e quello dell‟accidentalità.
«L‟accidentalità è sempre un pagamento, l‟indicazione di
una guarigione, ma involontaria» ripeté il Dreamer, e sottolineò più
volte il fatto che si trattava pur sempre di un pagamento, di un
„male‟ al servizio del „bene‟, e mai di una punizione. Non voleva
che la Sua visione potesse in alcun modo entrare tra quell‟infinità di
318
La Scuola degli Dei
tradizioni che vanno dalla legge del taglione al karma, fino al
contrappasso dantesco, inventate dall‟uomo per darsi una ragione
delle proprie disgrazie. Si accertò che registrassi questa Sua
precisazione nei miei appunti.
Per il Dreamer, nel momento in cui la volontà non funziona,
il mondo prende il sopravvento. Applicare la volontà ad ogni nostra
scelta elimina il pagamento involontario, l‟accidentalità, la casualità.
Attraverso la volontà possiamo guidare il nostro destino.
«L‟accidentalità è una volontà degradata, dimenticata,
sepolta − continuò il Dreamer − Paradossalmente, l‟accidentalità è
una „volontà involontaria‟ che ha preso il posto della vera volontà.»
Ricordai che il Vangelo parla di uomini di „buona volontà‟ e
il Dreamer mi confermò che quell‟espressione indicava uomini che
sono ritornati alla sorgente, che hanno fatto il cammino a ritroso per
riconquistare la volontà dimenticata, sepolta. La „buona‟ volontà.
«L‟uomo ha barattato la volontà con l‟accidentalità. Chi
realizza questo cerca una Scuola per poter riconquistare
l‟integrità perduta» disse, e affermò che questa è la vera ragione
dell‟esistenza di ogni scuola: il ritorno all‟unità dell‟Essere. La sua
missione è nelle radici, codificata nell'etimo latino della parola
università, versus unum, che ha custodito il senso della completezza,
la totalità, la direzione verso l'integrità. Ma le uni-versità hanno da
lungo tempo dimenticato la loro raison d'etre.
«Solo pochi realizzano la necessità di una Scuola
speciale, solo pochi tra i pochi hanno le qualità per poterla
incontrare.»
Mi attraversò il pensiero di essere parte di quell‟umanità
speciale. Non avevo fatto in tempo a fabbricare una molecola di
presunzione che la voce del Dreamer mi stava già frugando dentro
alla ricerca di quel ladro che avevo fatto entrare.
«No! Tu non sei tra quei pochi!» disse. Il tono era grave, a
metà tra la delusione ed uno sprezzante rimprovero.
«Sono io che ho scelto te!»
Mentre pronunciava queste parole, il Dreamer calò sul Suo
viso affilato un‟espressione tra le più dure, come un guerriero che si
appronta abbassando la visiera dell‟elmo. Mi raggelai. Mi pentii
mille volte di quel pensiero. Avrei voluto fermare quello che stava
per dire; ma era troppo tardi.
«Ti ho scelto per dimostrare attraverso te che ogni uomo può
farcela!» disse trafiggendomi senza remissione.
319
Ritorno in Italia
«L‟umanità può rinnovarsi, può rigenerarsi, rinascere…
può riacquisire la volontà sepolta. Non c‟è bisogno di una
rivoluzione di massa. La vera trasformazione dell‟umanità
avviene attraverso la trasformazione di un solo individuo che
realizzi la propria integrità, la totalità di se stesso.
Un uomo è colpito da un disgrazia, come l‟incidente
accaduto a tuo figlio, per fargli capire che è ancora parte di
quella fascia di uomini che pagano solo se costretti… attraverso
l‟accidentalità.
Se non saprai dare una direzione alla tua sofferenza farai
parte di quella folla superstiziosa che vedevi da bambino, di
un‟umanità che tenta di scongiurare gli eventi attraverso la
propiziazione di una divinità esterna che nella sua
immaginazione ne controlla la vita. Se non ti troverai in una
processione, accadrà in uno stadio, tra la moltitudine vociante,
unita da un fanatismo sportivo.»
Mi disse che un altro modo popolare di pagamento è
attraverso i ruoli. Una legge infallibile mirabilmente mette ognuno al
posto giusto. Chi fa i lavori più ingrati, negli ospedali, nei tribunali,
nelle carceri, crede di lavorare, di assistere gli altri, crede di aver
scelto quel lavoro, di aver superato una selezione, di aver vinto un
concorso per ricoprire quel ruolo; e crede di essere pagato per
questo, ma in realtà sta pagando.
«Quei ruoli sono pagamenti rateali − disse ironicamente il
Dreamer mantenendo la sua espressione severa, con il Suo
umorismo senza sorriso − Il ruolo che un uomo occupa è la sua
espiazione e, un giorno, sarà la sua bara.»
«Un‟umanità nuova sostituirà il pagamento involontario, la
purificazione involontaria, con un pagamento anticipato − presagì −
La guarigione verrà prima della malattia e la soluzione arriverà
prima dei problemi.»
«Ama te stesso con tutte le tue forze, in ogni circostanza e
sotto ogni condizione… senza posa. Le cose accadono per
caduta, per necessaria conseguenza e sono regolate tutte dalla
nostra volontà.»
Mi diede qualche secondo per completare le note che stavano
riempiendo pagine e pagine del taccuino, poi, come se stesse
rivolgendo un appello a tutti gli eroi in ascolto, disse:
«C‟è da portare un frammento di eternità a chi come te vive
nei gironi infernali delle organizzazioni.» Sperai che fosse affidata
320
La Scuola degli Dei
a me quella straordinaria missione; ma su questo punto non si
pronunciò.
«Devi ricominciare da dove hai lasciato. Non posso
evitartelo! − disse con un brusco riferimento alla mia condizione,
ora che avevo ripreso il lavoro alla ACO Corporation − Quello che
non è stato superato deve ripetersi!»
La notizia che il Dreamer mi riprendeva a bordo e che il
„viaggio‟ continuava fu una sferzata di energia. Sentii l‟estasi di chi
riempie i polmoni di aria fresca dopo una lunga apnea.
A seguito di quell‟incontro con il Dreamer mio figlio Luca si
riprese e dopo una rapida convalescenza guarì completamente. Il
cielo sopra Chià si liberò e si alleggerì, come per il dissolversi di una
nebbia soffocante.
Nei giorni seguenti mi disposi all‟ascolto attento dei segnali
che mi indicassero il prossimo passo. Mi ripromisi che qualunque
cambiamento mi riservasse la strada indicata dal Dreamer, questa
volta non avrei dimenticato. Immaginavo che il nuovo lavoro
avrebbe richiesto il trasferimento di tutta la famiglia in un paese
lontano. In realtà, la mia base in Italia si spostò di appena qualche
chilometro, ma il terreno d‟azione venne a trovarsi all‟altro capo del
mondo. La lettera „inaspettata‟ di un head hunter di Via Larga mi
invitava ad una selezione. In tre sole settimane da quell‟incontro con
il Dreamer, mi ritrovai a capo dei mercati dell‟Estremo Oriente
nell‟ambito della Divisione Commerciale Estera di un colosso
multinazionale.
Questa volta bruciai i ponti e sigillai alle mie spalle ogni
possibile passaggio o via di comunicazione con il mio passato.
321
322
La Scuola degli Dei
CAPITOLO VIII
A Shanghai con il Dreamer
1 La perfezione non si ripete mai
Dal Plaza Concert sul Bund osservavo con il Dreamer
l‟intenso traffico delle imbarcazioni solcare lo Huangpu. In quel
punto l‟immenso fiume scorre tra le due anime di Shanghai: quella
del periodo coloniale europeo, dall‟architettura monumentale, e
quella dei nuovi quartieri di Pudong, dall‟avvenieristica skyline.
Qui, a perdita d‟occhio, la città è un immenso cantiere disseminato
di grattacieli dall‟architettura visionaria, sognati per una megalopoli
del futuro.
Non avevo più incontrato il Dreamer dal tempo del mio
ritorno dal Kuwait e dall‟inserimento nel mio nuovo lavoro nel Far
East. In questi mesi infinite volte avevo letto e riletto gli appunti
raccolti nel mio lungo apprendistato, e nelle diverse circostanze
della vita avevo tentato di mantenere saldi i princìpi appresi da Lui.
Avevo tanto desiderato questo momento eppure temevo
quell‟incontro. Due questioni strettamente connesse erano ancora
pendenti e restavano aperte come ferite non rimarginate: il modo in
cui avevo abbandonato il Kuwait e la mia relazione con Heleonore.
Erano faccende spinose che non avrei potuto più eludere.
Quel pomeriggio era stato intenso e gli insegnamenti del
Dreamer tra i più straordinari ricevuti fino a quel momento. Al Suo
fianco, ascoltandolo, avevo attraversato i centenari giardini di Yu
Yuan. Avevo poi camminato con Lui nella ragnatela di stradine
intorno al tempio buddista, nella zona del vecchio mercato. Immerso
nella densa folla di quell‟immensa città, con Lui sentivo lo stupore e
lo stesso senso di protezione di quando, stretto alla mano di
Giuseppona, sbirciavo le viscere scoperte di Napoli, ne attraversavo
le vie brulicanti come ferite verminose.
323
A Shanghai con il Dreamer
Il Dreamer conosceva Shanghai e la Cina come se vi avesse
vissuto a lungo. Me ne illustrava la storia ed il pensiero attraverso i
dettagli, commentando i più minuti eventi della vita di ogni giorno.
Un artigiano al lavoro, l‟abbigliamento di un passante o le trattative
che si tessevano fitte nei minuscoli negozi, diventavano squarci
profondi attraverso cui penetravo nelle radici di una civiltà che era
stata la culla del Confucianesimo. Il segreto di quella colla sociale
capace di tenere insieme più di un miliardo di uomini, la saggezza
compressa nelle sue sei virtù, mi fu rivelata dal Dreamer con
l‟autorità dell‟intelligenza che l‟aveva generata.
Una giovane artista era intenta a decorare microscopici
vasetti di vetro. Li dipingeva dall‟interno con pazienza ed abilità
incredibili. Ci fermammo davanti al banchetto e il Dreamer ne
osservò i movimenti per un po‟ senza fare alcun commento. Poi,
lentamente, dalle mani della ragazza il Suo sguardo si spostò sul mio
viso. Il tempo si dilatò. Quel momento divenne un‟eternità e mi persi
in quegli occhi che mi stavano penetrando come nessuno aveva mai
fatto prima. La tenerezza di Carmela, la severità di Giuseppe,
l‟affetto di un amico, la venerabilità di un maestro, si concentrarono
in quell‟unico sguardo che mi rapì l‟anima. Quella decoratrice era
Lui. Stava indicando il „lavoro‟, il processo di trasformazione
dall‟interno che ogni uomo deve compiere e che nessuno al mondo
potrà mai fare per lui: diventare l‟artefice della propria esistenza. Per
il balenio di un istante, fui la creatura faccia a faccia con il suo
creatore, senza più schermi, senza maschere né ruoli.
In
quell‟attimo assaggiai la vastità di quell‟Essere, ascoltai il Suo
respiro senza tempo, senza frontiere, senza limiti, e bevvi una goccia
della Sua libertà. Una vertigine prese il posto dei miei pensieri.
Il primo fotogramma di cui ebbi coscienza, dopo quel
momento, fu di essere seduto ad un tavolo d‟angolo in un locale
pubblico. L‟ambiente era quello di un‟antica casa da tè. Dalla
finestra, per quello che potevo vedere, l‟intera costruzione, in legno,
mi sembrò eretta su palafitte al centro di un piccolo lago. Il pensiero
corse al Dreamer. Girai intorno lo sguardo alla Sua ricerca. Lo
trovai lì, seduto accanto a me. Rasserenato, osservai che il locale era
frequentato esclusivamente da cinesi.
Gli avventori, i loro visi, gli abiti, l‟arredamento,
sembravano usciti da una stampa del periodo coloniale quando
Shanghai, piccolo villaggio di pescatori, era agli inizi della sua
scalata per diventare uno dei più grandi porti del mondo. La voce del
324
La Scuola degli Dei
Dreamer, dapprima flebile e lontana, mi raggiunse facendosi spazio
tra l‟intenso chiacchiericcio degli avventori diventando sempre più
chiara. Dalle prime parole che percepii mi sembrò che continuasse
un discorso già avviato.
« …Ogni problema dell‟umanità… dalla criminalità del
benessere alla povertà endemica di intere regioni del pianeta è
perciò solo il sintomo di una malattia mentale.»
Questa affermazione del Dreamer mi fiondò fuori dal mio
stato di torpore. Quelle parole erano solo il preludio di un annuncio
che un giorno avrei riconosciuto come una delle pietre angolari del
Suo sistema di pensiero. Raddrizzai la schiena lentamente, quasi
furtivamente, e mi disposi ad un ascolto ancora più attento. Dalla
esposizione che seguì emerse che, dalla notte dei tempi, le sciagure
dell‟uomo non sono che la materializzazione della sua
incompletezza, il riflesso del suo essere frammentato. Quella frattura
nella psicologia risale alla più lontana infanzia dell‟umanità…
Ero completamente sveglio, dolorosamente lucido, quando
affermò:
«The world is such because you are such. Il mondo, la realtà
che crediamo esterna a noi, è il riverbero fisico della nostra
psicologia, del nostro Essere.» C‟era di che lambiccarsi il cervello.
Intanto due giovani cameriere, nei costumi tradizionali, si
erano avvicinate con il necessario per apparecchiare il nostro tavolo
per il tè. Il Dreamer sospese il Suo discorso per dare attenzione a
quell‟operazione che sembrò considerare della più grande
importanza. Per lunghi minuti restò assorto a dirigere e curare ogni
particolare di quel minuzioso rituale. Ero in ansia. Non vedevo l‟ora
che continuasse. Il segreto dei millenari mali dell‟uomo, e forse la
radice della mia stessa infelicità, stava per essermi rivelato... Ero
stupito e deluso dal fatto che potesse interrompere un argomento di
quella portata per dedicarsi a qualcosa di così futile. Naturalmente
non osai dare voce a quelle mie considerazioni ma continuai a
fomentarle. Allora ancora credevo che i pensieri fossero invisibili e
che un uomo potesse nasconderli.
«Non esiste nulla di troppo piccolo o di insignificante! »
disse. La Sua affermazione aveva il tono aspro di un rimprovero.
Stava parlando senza guardarmi, apparentemente ancora intento a
seguire i dettagli di quel cerimoniale. Mi sentii colto con le mani nel
sacco ed arrossii per l‟imbarazzo.
«Fa che ogni tua azione sia impeccabile! − disse −
325
A Shanghai con il Dreamer
Impeccability means not to performe a single unnecessary action.»
Poi, mentre sceglieva da una sterminata lista le qualità di tè
che avremmo degustato, disse:
«Quando qualcosa è fatta bene è fatta per sempre! Tutto
l‟universo ne è informato e non avrai mai più la necessità di
ripeterla…»
Dopo una breve pausa, aggiunse:
«Solo l‟imperfezione si ripete. La perfezione non si ripete
mai perché continuamente trascende se stessa. Una perfetta
crisalide deve cessare di essere una crisalide perfetta e morire per
poter accedere ad un essere di ordine superiore.»
Continuò dicendomi che, attraverso l‟attenzione, regolando i
meccanismi interni e gli ingranaggi più minuti della propria
macchina, un uomo sta aggiustando il mondo, ne può cambiare la
storia.
«L‟evoluzione dell‟universo dipende dall‟evoluzione
dell‟individuo, dalla sua trasformazione. L‟individuale e
l‟universale sono la stessa ed identica cosa − affermò − Questa
comprensione è all‟origine della civiltà e di ogni forma d‟arte...
Essa deve ritornare ad essere l‟elemento centrale della educazione
di ogni uomo.»
Aggiunse che il teatro, le danze sacre e tutti i riti inventati
dall‟umanità avevano avuto origine da questa realizzazione:
everything is connected. Il più piccolo movimento nella verticalità,
nel mondo della volontà, provoca i cambiamenti più vasti nel mondo
degli eventi.
«The universe is in our brain… is a seed within man which
develops as he pleases − recitò, e aggiunse − Per questo, se un uomo
intenzionalmente agisse sulla cosa più piccola o portasse alla
perfezione anche la cosa più semplice…»
« …come fare un tè? » mi sforzai di dire amabilmente nel
tentativo di farmi perdonare le mie precedenti considerazioni,
infelici benché non espresse.
« …o anche soltanto imparare a servirlo impeccabilmente»
completò il Dreamer con arguzia, facendo Suo quel gioco e
rilanciandolo. Notai che a queste Sue parole le due ragazze si
scambiarono uno sguardo e sorrisero. Immaginai una complicità
rispettosa, un‟intesa riverente verso il Dreamer. Il pensiero che
anche loro fossero „persone di Scuola‟ mi attraversò la mente come
un lampo e mi lasciò senza fiato.
326
La Scuola degli Dei
«Con l‟impeccabilità di quel gesto avrebbe aggiustato per
sempre il suo universo personale… sarebbe uscito da una fascia
accidentale dell‟esistenza, dove tutto è già programmato, dalla
nascita fino alla morte, e avrebbe cambiato il suo destino… Il
mondo è il riflesso, una risonanza dell‟Essere…»
Come grani doro, accuratamente, raccolsi ogni parola di
quell‟insegnamento sul mio taccuino e descrissi le speciali
circostanze che lo avevano permesso.
2 La ragione dell'uomo è armata
Intanto il nostro tavolo era stato sontuosamente imbandito. I
candidi lini preziosamente ricamati accolsero il fine vasellame e
arrivarono vassoi con dolci e pasticcini di ogni tipo. Quando anche
questa parte del rituale fu compiuta e i Suoi ordini Gli sembrarono
perfettamente eseguiti, riprese l'argomento lasciato sospeso.
Protese il mento per attirare la mia attenzione su quello che ci
circondava e disse:
«Tutto quello che vedi e tocchi, quello che l'uomo chiama
realtà,
è psicologia… solidificata. Il pensiero dell'uomo si
materializza e diventa „mondo‟. Facts are thoughts.»
La Sua voce si fece profonda. Il tono roco tradì la dolorosità
della rivelazione che stava per fare.
«La più grave delle malattie dell‟uomo, la causa di tutti i
suoi mali, individuali e sociali, è la divisione interna, la sua
psicologia conflittuale.» A queste parole, un caleidoscopio di
immagini mi esplose dentro con la voce dei miti che l‟uomo ha
creato e raccontato a se stesso per migliaia di anni. Su questo sfondo
fantastico, su ogni altra si stagliò la grandiosa scena della nascita
della dea della ragione, di Atena che balza sfavillante di armi dalle
cave pareti del cranio di Giove, figlia di una emicrania del dio, o di
un suo incubo.
«È un mito-monito» disse il Dreamer penetrando nel vortice
di questi pensieri e catturando quell‟immagine.
«La ragione dell'uomo è armata!»
La pausa che seguì mi tenne col fiato sospeso.
«Questa è la più lucida diagnosi che una civiltà abbia mai
saputo fare del suo male.»
327
A Shanghai con il Dreamer
«La Grecia antica dunque… sapeva quale sarebbe stata la
sua fine!» esclamai eccitato da quella scoperta.
La risposta del Dreamer non fu immediata. La gioia nervosa
che avevo provato al Suo annuncio, giunta al colmo, si stava ora
rapidamente trasformando in ansia. Sentivo il peso di quella
rivelazione farsi più grave mano a mano che ne realizzavo la vastità.
Mi dava dolore toccare il limite, scoprire l‟incapacità di contenere la
bellezza, l‟intelligenza di quella scoperta.
«No! La Grecia non seppe ascoltare i suoi saggi né i suoi
oracoli. Riconoscere il proprio male, la propria colpa è già la
guarigione.»
Mentre annotavo la risposta del Dreamer, tentando di
immaginare il parto mentale di Giove, realizzai il fatto stupefacente
che del mito di Atena non esisteva una iconografia; di quella nascita,
così tremendamente profetica, non c‟è traccia in tutta la storia
dell‟arte.
«L'uomo non vuole vedere la sua follia, riconoscere la
distruttività del suo pensare − spiegò il Dreamer − Da secoli
l'umanità è stata avvertita e sente incombere sul suo destino l'ombra
di questa profezia. Non potendola accettare, non sapendo cosa fare,
né come scongiurarla, ha tentato di rimuoverla e ignorarla. The
recognition of the dark side within a man is the solution, the healing,
the real salvation.»
Mi annunciò che se le folle potessero riconoscere la causa
delle loro sciagure uscirebbero dallo stato di schiavitù in cui vivono.
Ma questo è impossibile. Soltanto l‟individuo può avere accesso a
questa consapevolezza. La massa non vuole né cerca la conoscenza
di sé. Ha paura di tutto ciò che è nuovo e sconosciuto. La schiavitù
in cui vive l‟umanità, le sue mille sciagure, sono fondate sulla paura
dell‟ignoto che la sconvolge e l‟acceca. I leader politici di tutti i
tempi hanno alimentato e rafforzato questa fobia per il nuovo. La
folla non può sognare. Quando una civiltà non sa più ascoltare il
Sogno che l‟ha generata, la voce dei suoi uomini solari, decade. La
loro assenza preannuncia la caduta di culture e civiltà; coincide con
momenti di pazzia collettiva capace di distruggere tutto ciò che è
stato creato nei secoli da individui che sognano, dai poeti del fare.
«La massa è un fantasma − epilogò il Dreamer − un
meccanismo influenzato da tutto e ogni cosa… Non ha fede, non ha
una volontà propria… Non può creare… Può solo distruggere.
328
La Scuola degli Dei
Questo è il vero ruolo della folla… Solo l‟integrità, chi possiede una
volontà può sognare e dare concretezza all‟impossibile…»
Tutto quello che avevo ascoltato dal Dreamer poteva essere
applicato alle imprese e alle organizzazioni moderne. Capii che
queste hanno vita limitata, non perché hanno difficoltà finanziarie, o
problemi connessi a tecnologie e mercati, ma perché mancano di
uomini responsabili, integri: uomini che amano.
A un Suo cenno cominciarono ad arrivare le innumerevoli
qualità di tè che Lui aveva ordinato una per una seguendo leggi
olfattive e gustative antiche quanto la Cina stessa. Egli aspirò con
piacere le volute aromatiche che salivano dalle varie teiere e Lui
stesso provvide a versarne il contenuto nelle nostre minuscole tazze.
Dopo la lunga passeggiata e le emozioni di quelle scoperte,
feci onore alla tavola ed assaggiai dai vari piatti quel raffinato
campionario di abilità pasticciera. Il Dreamer mi affascinò
raccontandomi le origini leggendarie di alcuni dolci e mi illustrò
ricette e tecniche di preparazione la cui tradizione risaliva alla civiltà
Ming. Come sempre, fu un anfitrione gentilissimo ma non toccò
cibo.
«L'uomo attraversa oceani, scala le vette più alte, e rischia
la sua vita nelle imprese più spericolate − riprese il Dreamer − Si
ritira in templi, ashram e moschee… si raccoglie in preghiera o si
unisce nel sesso… sceglie la via della penitenza o quella del
libertinaggio... la cella del monaco o le sfide del business… sempre
nello stesso tentativo di unirsi dentro… nell'infinita ricerca della sua
completezza.»
Anche le religioni laiche, dalla psicanalisi ai comunismi,
sono state solo la versione novecentesca della stessa ricerca.
Anch'esse, come le confessioni religiose, potevano essere
considerate esperimenti, parte degli infiniti tentativi che in tutte le
civiltà ed in tutti i tempi l'uomo ha condotto per riguadagnare la sua
integrità: quello stato speciale di certezza che gli appartiene per
diritto di nascita e che ancora, ancestralmente, ricorda come il
paradiso perduto.
«La storia dell'uomo è un viaggio di ritorno… la parabola
del figliuol prodigo è la sua insuperata metafora − affermò il
Dreamer − Ma tutte le religioni hanno dimenticato la loro ragione
d'essere. Degradando, si sono trasformate nel loro opposto…
macchine di promozione della morte e dell'idea della sua
ineluttabilità… Piuttosto che guarirle, esse hanno alimentato la
329
A Shanghai con il Dreamer
divisione e la conflittualità coltivando l'intolleranza, le guerre di
principi ed ogni sorta di superstizione…»
Anche il Cristianesimo, ricordò il Dreamer, in mano ad
uomini dalla psicologia divisa, un po‟ per volta arrivò a trasformarsi
nella Santa Inquisizione, senza neppure cambiare nome. Ed ancora
oggi, i colpi di ariete dei paradossi evangelici che avrebbero la forza
di sbriciolare le impalcature mentali della vecchia umanità, vanno a
vuoto e la potenza gentile delle sue favole, la saggezza delle sue
leggi economiche sono state relegate a materia di catechismo, roba
per bambini. Il suo insegnamento è affidato a precettori
inconsapevoli che insegnano se stessi e sono, assurdamente,
addirittura i perpetuatori di quel sonno ipnotico che il Vangelo era
venuto per abbattere. I miei appunti coprivano già fittamente pagine
e pagine del taccuino quando Gli sentii annunciare:
«Bisogna alimentare già nei bambini l'idea di immortalità…
dell‟immortalità fisica.»
Dietro l'apparente pacatezza del tono con cui pronunciò
queste parole sentii la potenza, l'enfasi eroica di un grido di riscossa
planetario. Un lampo squarciò il buio di secoli e vidi un vessillo
sventolare sul clamore di mille battaglie combattute contro
superstizioni, fanatismi e idolatrie.
«Bisogna portare questa idea in tutte le scuole di ogni ordine
e grado e nelle università... con la cautela di chi sa che appena
accenni a mettere in discussione la morte, diventi il nemico di ogni
ideologia e di tutte le religioni» completò in tono premonitore.
3 L‟animale che mente
In quel momento le cose mi apparvero chiare. Come tessere
che vanno ad occupare ciascuna il suo posto, ogni parte del Suo
straordinario insegnamento trovò il suo incastro e divenne ai miei
occhi l‟elemento coerente di una visione mozzafiato. Finalmente, la
millenaria storia di disastri, di atrocità e sventure trovava una
spiegazione. L‟assurdità di migliaia di conflitti, il paradosso tragico
di moltitudini di poveri in un universo ricco fino all‟inverosimile,
l‟atrocità di lasciar morire milioni di bambini che si potrebbero
salvare con lo sforzo di un mignolo trovavano, infine, una ragione
vera, una causa oltre il tempo, oltre ogni geografia, ogni etnia, ogni
fede. L‟uomo così com‟è è un malato mentale! E le sue società, le
330
La Scuola degli Dei
sue istituzioni, sono la materializzazione della sua psicologia divisa,
della sua logica conflittuale, il riflesso speculare della sua fede nella
morte.
Mi chiesi come e quando questo danno mentale si fosse
prodotto. Avrei dato qualunque cosa per saperlo! Sarebbe stata la
scoperta più sensazionale della storia e certamente la più utile. La
fantasia prese il volo. Immaginai di risalire con una spedizione
scientifica il corso dei millenni alla ricerca dell‟evento che aveva
ridotto l‟uomo nelle condizioni in cui è; una sorta di viaggio sulla
luna alla ricerca del senno smarrito di Orlando.
«La tradizione giudaico-cristiana ha denominato quel fatale
capitombolo „caduta dal Paradiso‟ − intervenne il Dreamer con una
vena di amabile umorismo nella voce − e l‟ha marchiato come il
peccato dei peccati, il „peccato originale‟. The unforgivable sin.»
Avrei avuto cento domande da porre al Dreamer. Era
meraviglioso poter attingere a quella Sua conoscenza inesauribile, a
quella speciale autorità che appartiene non a chi interpreta o fa
supposizioni, ma a chi sa. Mi aveva sempre incuriosito il
simbolismo del morso alla mela, del serpente, della foglia di fico, e
soprattutto avevo sempre sentito una sorta di disagio intellettuale di
fronte ad una tradizione così autorevole e che tuttavia da quattromila
anni sosteneva che da un fatto così insignificante poteva originarsi
una tale tragedia. E perché poi quel peccato era denominato
mortale?
«Il „morso alla mela‟ non è un fatto insignificante − mi
spiegò il Dreamer − ma è la metafora decisiva di quello scivolone
nell‟Essere dell‟uomo che abdica la sua natura e che da creatore si
riduce a creatura. Addentare la mela significa credere in un mondo
fuori di noi che ci contiene e ci governa, significa dare consistenza
al fantasma di un‟alterità… Per l‟uomo è l‟inizio della dipendenza e
di tutta la sua tragica storia.»
Il Dreamer evocò le prime parole di Adamo ed esse
risuoneranno per sempre come le stigmate e l‟autodenuncia di un
essere caduto in disgrazia: “Mi sono nascosto… ho avuto paura…
non sono stato io… è stata la donna che tu mi hai dato… ” Mi sentii
lo spettatore unico di un disastro universale, di una tragedia senza
rimedio. Il dramma della nostra degradazione stava rappresentandosi
lì, in quel momento. Stavo ascoltando in diretta l‟apparire sulla
scena del mondo di quell‟essere che il Dreamer mirabilmente definì
„l‟animale che mente‟.
331
A Shanghai con il Dreamer
«Le parole di Adamo segnano la nascita della dipendenza e
sono il manifesto dell‟uomo ordinario, menzognero e irresponsabile
− disse il Dreamer − il più antico di cui ‟tu‟ possa trovare traccia.»
L‟uso di quel „tu‟, en passant, fu così magistrale da
dispiegarmi davanti la visione di tradizioni vertiginosamente più
antiche della Genesi. Immaginai tesori di conoscenze inaccessibili o
perdute di cui non avrei mai potuto sapere nulla e di cui oramai solo
il Dreamer era il custode immortale. Ancora una volta mi
confrontavo con il mistero di quell‟Essere che poteva attraversare il
tempo e le civiltà e conosceva il segreto di scuole scomparse,
vanamente splendenti come gioielli sepolti. Incalzato da scoperte
continue, mentre le parole del Dreamer mi esplodevano dentro e
creavano terremoti nell‟Essere, continuavo freneticamente a
prendere appunti con la mano che mi tremava.
Notando il mio eccessivo pallore, il Dreamer intervenne per
sollevarmi un po‟, e tra il serio ed il faceto, alludendo alla mia
condizione lavorativa, mi prese blandamente in giro e disse:
«È nelle parole di Adamo, nelle prime parole pronunciate da
un uomo in disgrazia, che il pensiero impiegatizio, l‟identificazione
con il mondo esterno e la dipendenza trovano le loro radici!»
Il linguaggio, che per il Dreamer è la sintesi del pensiero e
del respiro di un uomo, in Adamo denuncia l‟esistenza di una
frammentazione psicologica, di un crack nell‟Essere. Se era una sola
cosa con Dio, come ha potuto desiderare e credere di diventare più
di Lui? È evidente che prima dell‟offerta di Eva, prima ancora di
essere tentato, Adamo aveva perso la sua integrità. Prima si divise
dentro poi apparve il serpente.
«Mentire,
nascondersi,
accusare,
giustificarsi,
autocommiserarsi, sono da allora, e sempre saranno, le stigmate
verbali, e prima ancora psicologiche, di un uomo scacciato dal
paradiso; di un essere che ha tradito se stesso, che ha perduto la
propria integrità.»
Con il morso alla mela, Adamo baratta la vita con la morte,
la libertà con la dipendenza, l‟integrità con la divisione.
L‟immortalità che era diritto di nascita dell‟individuo, viene
sostituita da un‟eternità frammentata, inconsapevole, mortale. Essa
si
riduce
ad
una
perpetuazione
zoologica
fondata
sull‟accoppiamento sessuale e sulla riproduzione vivipara... Mentre
il Dreamer parlava sentivo una sensazione tra le più rare;
332
La Scuola degli Dei
quell‟inconfondibile brivido a fior di pelle che accompagna una
scoperta dell‟intelligenza.
«Il peccato di Adamo è mortale perché è una „caduta nel
tempo‟ − completò il Dreamer − la caduta in uno stato ipnotico:
nella „convinzione‟ di poter morire… Ma l‟uomo non può
morire, può soltanto uccidersi” enunciò in un soffio, recitando
l‟atteggiamento guardingo e la cautela di chi sta trasferendo un
insostenibile segreto. Il Suo anacronistico umorismo aggiunse
pathos a quella affermazione già così intensamente drammatica:
«La morte è sempre un suicidio!»
«È tempo per l‟uomo di tornare a casa, di risvegliarsi dal suo
sonno e di riprendersi ciò che è suo di diritto… l‟immortalità
perduta.»
Sentii l‟intelligenza di quella visione trasformarmi, la sua
chimica attraversarmi gli organi e penetrare fin nelle molecole, nelle
cellule, negli atomi. E mentre mi parlava del male dei mali, delle
origini ancestrali della divisione dell‟uomo e del suo „peccato‟, mi
guariva. Un senso di gratitudine senza precedenti mi colmò l‟Essere.
4 “Diventa un uomo libero!”
I miei pensieri turbinavano intorno alle cose straordinarie che
avevo ascoltato quel pomeriggio. Inutilmente tentavo di ricondurre
quelle idee ad un ordine, di imbrigliarle o anche soltanto di
soffermarmi su qualcuna di esse. A getto continuo si generavano
l‟una dall‟altra. Si staccavano da me come foglie da un albero e
senza più appartenermi si rincorrevano e vorticavano insieme nel
mulinello generato dal soffio del Dreamer. La casa da tè
dov‟eravamo si era ulteriormente affollata con l‟arrivo di nuovi
avventori ed il brusio delle ali di cento conversazioni faceva vibrare
piacevolmente l‟aria.
Trasalii per la sorpresa quando sentii la Sua voce sussurrarmi
all‟orecchio:
«La religione planetaria è la divisione!… La divinità che
l‟umanità venera sopra ogni altra è sempre la stessa: la paura!»
La forza di quell‟affermazione si fece spazio nel fitto
brulicame delle voci. In questo silenzio, in questo spazio, ogni mio
pensiero si chetò e le Sue parole, taglienti come bisturi, scavarono e
penetrarono in profondità.
333
A Shanghai con il Dreamer
«La dipendenza è paura!… Anche tu hai fatto della paura il
tuo idolo… Per questo dipendi ed ancora ti guadagni da vivere
nascosto dietro un impiego…»
Sapevo che prima o poi quel momento sarebbe arrivato ed
ero anche preparato al fatto che non sarebbe stato piacevole; ma il
tono del Dreamer e le parole che aveva usato per esordire, mi fecero
presagire un seguito ancora più burrascoso. Tirai fuori il mio
taccuino e finsi di affaccendarmi sulle sue pagine, per nascondermi,
come facevo quando la severità del Dreamer arrivava al limite della
sostenibilità.
«Io sono venuto a liberarti! − disse in un sibilo − sono
entrato nella tua vita perché un giorno hai sognato di essere
libero… »
La Sua voce si era trasformata in una vibrazione che stava
rovistando ogni angolo dell‟Essere a caccia delle mie paure,
dovunque si annidassero. Poi concluse:
«Ma tu, dopo anni, ancora versi in condizioni di schiavitù!»
Sentii una ferita interna riaprirsi a quel riferimento così
diretto. La vena di delusione che c‟era nelle Sue parole mi indispettì
e mi amareggiò, come se mi facesse un torto immeritato,
un‟ingiustizia.
«Per abbandonare la tua condizione, per uscire dalla
prigione dei ruoli, devi capovolgere la tua visione» disse spostando
appena la sedia all‟indietro. Raccolsi il segnale. Il momento di
lasciarci era prossimo. Il mio viso dovette esprimere una dolorosa
perplessità. Il Dreamer attese qualche secondo come a scegliere le
parole che meglio potessero aiutarmi a capire, poi disse:
«Libero significa libero dal mondo… »
«Da dove si comincia?» chiesi con determinazione.
«È un lavoro tenace di anni ed anni… se anche cominciassi
in questo momento, la tua intera vita potrebbe non essere
sufficiente…»
A quelle parole vidi davanti pareti senza appigli, immaginai
distanze siderali e target lontani da me eoni di tempo. Sentii lo
scoraggiamento prendere il sopravvento ed invadermi.
Il Dreamer proseguì senza apparentemente rilevare il mio
stato d‟animo:
«Libero significa libero da paure, da dubbi, ansietà ed
emozioni negative… libero da pregiudizi, preconcetti, da una
descrizione meschina del mondo… Libero da ogni limite... libero
334
La Scuola degli Dei
dalla menzogna e dal lavoro che ancora è per gli uomini come te
una condanna, l‟effetto perverso di una maledizione biblica… La
convinzione che ci sia una realtà fuori di te ha fatto del mondo il tuo
boss… Ipnotizzato dal riflesso nello specchio, ancora cerchi la
sicurezza negli occhi degli altri.»
Quelle parole mostravano l‟assurdità del mio tentativo di
respirare nelle acque del Dreamer con le branchie di un essere
primordiale. Ogni Sua frase era un attacco mortale al mio passato,
alla falsità. Sapevo che quando il Dreamer mi investiva con tale
forza la mia vita migliorava e si sgombrava di tanta zavorra, facendo
spazio a stati di certezza, di chiarezza, di determinazione. Eppure
sopportavo ogni colpo sperando che fosse l‟ultimo. Che si
fermasse!… O almeno, che mi desse un po‟ di respiro, perdio!…
Anche solo per essere ascoltate, quelle parole richiedevano una
forza che solo a tratti sentivo di avere. Il mio livello di
responsabilità fluttuava, andava e tornava, si alzava e si abbassava,
senza che mi riuscisse di gestirlo. Erano vive quelle parole! Le sentii
premere insostenibilmente contro i miei limiti finché li travolsero
insieme a pregiudizi, convinzioni anacronistiche e idee superate…
Ogni fibra dell‟Essere vibrava.
«Libero dai ruoli… dalla paura… Libero dalla identificazione
con il mondo…»
Quelle parole stavano rimbalzandomi in petto come sfere di
metallo sull‟asse inclinato della mia esistenza. Ad un tratto mi
esplosero dentro in una girandola di luci, suoni, immagini… Avevo
la testa in fiamme.
Dal Dreamer stavo ricevendo un messaggio dal futuro, una
profezia sul destino dell‟uomo così potente e straordinaria che non
riuscivo a sostenerla, a contenerla. L‟idea di un‟umanità affrancata
da ogni bisogno, sbalzata fuori dalla sua natura (o almeno da quella
che fino a quel momento fermamente credevo fosse la sua natura,
ma che in realtà era il suo inferno), mi sembrava pazzesca. Avrei
potuto semplicemente accantonarla, gettarla via, ma era troppo tardi.
La visione del Dreamer mi stava già scavando dentro divorando
tessuti morti e vecchie descrizioni. Non riuscivo a metabolizzarla ma
neppure potevo espellerla. Come cellula dell‟umanità, atomo di un
corpo immortale, sapevo che il Dreamer stava indicando la strada su
cui tutti, “eroi e semidei prima, gli altri dopo”, dovranno
incamminarsi… e arrivare in fondo, fosse pure tra mille anni.
Mentre me ne parlava sapevo che questo incredibile esodo
335
A Shanghai con il Dreamer
dell‟umanità era già cominciato. Alcuni individui avevano già fatto
il primo passo, il più ardito: mettere in discussione l‟invincibilità
della morte, non accettarne più l‟inesorabilità. La Rivoluzione
Individuale batteva alle porte…
Riempii pagine e pagine di appunti, senza fermarmi, fino a
sentire i crampi alla mano. Arrivai in fondo all‟ultimo foglio del mio
taccuino e febbrilmente continuai a scrivere sul retro del menu della
casa da tè. Non importava più se quello che mi stava dicendo fosse
razionale, o accettabile, e neppure che mi fosse chiaro. L‟unica cosa
che contava era scrivere, registrare tutto. Sapevo solo che non
dovevo perdere una parola, né cambiare un accento… Un giorno,
avrei riletto e capito; o, forse, avrei solo potuto trasmettere a nuove
generazioni di ricercatori quello che ora il Dreamer mi stava
donando a larghe mani e che io ero così impreparato a ricevere.
Il Dreamer si alzò allontanando delicatamente la sedia e si
avviò verso l‟uscita. Lasciai la casa da tè un po‟ a malincuore. Mi
accorsi che mi sarei attaccato a tutto. Avrei messo le tende anche in
un bar pur di non andare incontro al nuovo. Feci questa
constatazione osservando la strana malinconia che mi oscurava
mentre affrettavo il passo per raggiungere il Dreamer che era già sul
ponticello di legno. Alcuni taxi sostavano non lontano. Senza poter
chiedere altro, mi trovai seduto in una vecchia limousine pronta a
riportarmi all‟Hotel. Quando la portiera si richiuse e Lo vidi
dall‟altra parte del finestrino temetti di non rivederLo più. Ma il
Dreamer mi tranquillizzò: ci saremmo incontrati il giorno dopo, lì,
alla stessa ora.
Mentre il taxi percorreva le strade di Shanghai e cavalcava i
flyover di quella immensa città, ancora rimuginavo le Sue parole.
Arrivai che ancora stavo tentando di mettere ordine nei miei pensieri
in subbuglio. Quel giorno ogni mia convinzione era stata capovolta.
Raggiunsi la devastante conclusione che, dopo quell‟incontro con il
Dreamer, dei miei vecchi schemi mentali, come mura di una città
sconfitta, non restava ormai pietra su pietra.
5 Il papà del Budda
Arrivai all‟appuntamento in anticipo di ore. Qualche turista
occidentale, pochi fedeli, entravano o uscivano dal tempio di Yufo
Si dove è custodito il Budda di Giada bianco. Era quello il punto
336
La Scuola degli Dei
indicato dal Dreamer per il nostro incontro. Ingannai il tempo
girellando nel dedalo di stradine del vecchio mercato. Ripassando
davanti all‟ampio portale, cercavo tra la folla il Suo viso nella
speranza di vederLo spuntare.
Quando Lo scorsi era ancora lontano. Camminava nella mia
direzione accompagnato da tre vecchi alti più della media,
dall‟aspetto austero. Uno di loro, capelli radi e occhialini sottili
montati in oro, Gli consegnò un plico offrendolo a testa bassa, con
tutt‟e due le mani. Li vidi poi accomiatarsi con inchini e segni di
grande deferenza.
Una volta solo, Gli andai incontro. Una rapida occhiata
esaurì i convenevoli tra noi. In silenzio, prendemmo la strada che
fiancheggia il muro di cinta. Quando rivolse i passi verso l‟ingresso
del tempio e cominciò a salirne i gradini, dopo quello che gli avevo
sentito dire sulle religioni, ne fui sorpreso; ma lo seguii ed entrai con
Lui. Un gruppo di monaci stava mangiando a un tavolo in un
angolo. Bruciammo i rituali bastoni di incenso nel grande falò
acceso al centro del patio e ci raccogliemmo davanti all‟imponente
statua del dio. I visitatori erano radi e dopo un po‟ restammo soli.
«Long but never belong!» annunciò, dandomi con
quell‟indimenticabile epigramma la risposta più completa e
profonda all‟esitazione che avevo provato davanti al tempio.
«Rispetta tutti i culti e tutte le religioni degli uomini − disse
− ma non appartenere!»
Stavo ancora riflettendo su queste parole quando Gli sentii
dire a mezza voce:
«Accanto a Me potrai cambiare la tua visione… e con essa il
tuo destino.»
Le fiammelle di mille candele assentirono ondeggiando tutte
insieme, scavando bagliori negli ornamenti del dio. Col Dreamer era
sempre Scuola. Tirai fuori taccuino e penna dal piccolo zaino e
cominciai a prendere nota.
«Invecchiare, ammalarsi e morire sono parte della
descrizione del mondo − continuò, parlandomi all‟orecchio − Sono
stati accettati come eventi naturali ed inevitabili senza che nessun
uomo si sia ribellato. È il risultato di un sistema di convinzioni ed
aspettative diventato universale…»
«Ciò che ci aspettiamo, accade! − affermò in tono risoluto ed
aggiunse − Ammalarsi, invecchiare e morire sono cattive abitudini
mentali.»
337
A Shanghai con il Dreamer
Quelle parole, pronunciate lì, davanti a quell‟idolo,
circondati da divinità di cartapesta, emblemi di tutte le superstizioni
e di tutti i pregiudizi dell‟uomo, forzarono le pareti dell‟Essere con
la loro paradossalità. Per il Dreamer, come per Lupelius, ammalarsi,
invecchiare e morire erano „cattive abitudini‟ di cui l‟uomo doveva
liberarsi. Presi a scrivere e andai avanti per parecchi minuti senza
fermarmi. Attese che completassi le mie annotazioni poi continuò
affermando che solo un „lavoro di Scuola‟ avrebbe potuto
permettere all‟uomo di spezzare quel sortilegio, di uscire da quel
sonno ipnotico in cui è immerso da secoli. L‟avvento di una nuova
educazione (che chiamò „seconda educazione‟) avrebbe permesso
all‟uomo di abbandonare il solco mortale della ripetitività.
Stava avvicinandosi il momento, mi disse, in cui morire non
sarebbe stato più di moda; l‟uomo avrebbe cominciato a cambiare le
sue convinzioni ed a ribellarsi all‟idea della morte e della sua
inevitabilità. Mi lasciò meditare su queste affermazioni finché con
un cenno mi comunicò che era tempo di andare. Voltammo le spalle
alla statua del Budda e ci avviammo verso l‟uscita. Prima di arrivare
al portale, il Dreamer inclinò impercettibilmente la testa e si
avvicinò al mio orecchio, come per confidarmi un segreto. Nel Suo
bisbiglìo e in quel gesto ritrovai il profumo delle domeniche della
mia infanzia, la complicità con Elio e Rosaria, la chiesa di S.
Antonio Abate odorosa di ceri e d‟incenso, e quell‟irriverente,
insopprimibile gioiosità che dava alimento inesauribile alle risatine
ed alle nostre ciarle infantili. Il Dreamer conosceva tutti i tasti della
mia anima.
Ostentando la massima segretezza, mi disse:
«Nella storia del Budda il vero illuminato è il padre.»
Quando fummo fuori dal tempio Gli chiesi di raccontarmi la
storia di quel re. Appresi così dell‟idea del padre di Budda di
proteggere il figlio da ogni messaggio di degradazione, da ogni
concezione di limite. Personalmente si assicurava che il giovane
principe fosse costantemente circondato dalla gioia, dalla bellezza e
dalla ricchezza. Continuamente sostituiva i membri della corte ed i
servi intorno al figlio. Egli stesso si truccava, si tingeva capelli e
barba per non permettere alla malattia, alla vecchiaia ed alla morte
di entrare nella visione del giovane Budda.
«Questa è ancora oggi una delle favole più istruttive mai
tramandate − fu la chiosa del Dreamer − Il padre del Budda sapeva
338
La Scuola degli Dei
quanto fosse potente la descrizione del mondo e conosceva la forza
delle convinzioni.»
Egli seppe immaginare una Scuola per immortali e un
training all‟immortalità. Lì il giovane Budda fu allenato al vivere per
sempre. Il Dreamer concluse che quel re, per aver sognato un mondo
che aveva bandito malattia e vecchiaia e per la sua attività rivolta a
preservarne il figlio, dovrebbe essere riconosciuto come uno dei
padri dell‟umanità e tra i più arditi ricercatori in tutta la storia
dell‟uomo.
«Non a caso la tradizione lo vuole re, un uomo regale/reale
− disse − Nell‟Olimpo degli eroi il suo mito merita un posto accanto
a quello di Prometeo.»
6 Ciò che dipende non è reale
Era il crepuscolo. Dal lungofiume del Bund stavamo
osservando Shanghai trasformarsi in un oceano di luci. Il Dreamer
aveva appena messo mano ad uno degli argomenti più dolenti,
soltanto sfiorato nel tempio, e rimasto in sospeso. Sapevo che questa
volta sarebbe andato fino in fondo.
Tirai un profondo respiro e mi preparai alla dolorosità del
Suo intervento.
La mancanza di integrità, l‟incompletezza psicologica, la
divisione e la conflittualità che l‟uomo si porta dentro, erano state il
filo conduttore dei Suoi insegnamenti a Shanghai. L‟uomo è
mentalmente malato ed il mondo è il riverbero della sua follia. La
storia del peccato originale racconta della frattura psicologica
prodottasi nella sua infanzia. Ora il Dreamer stava conducendomi
alla scoperta delle radici della dipendenza.
«Solo un uomo integro può essere libero» disse il Dreamer a
conclusione del Suo discorso. Lo ascoltavo ma non osavo
guardarLo. Fingevo di essere intento ad osservare i tremuli riflessi
delle luci che rivelavano la distesa del fiume, altrimenti invisibile.
«Un uomo diviso in se stesso non può che dipendere!»
Queste parole istantaneamente si saldarono a quelle formidabili
ascoltate da Lui molti anni prima, durante il nostro primo
incontro.
“Essere impiegati è solo una manifestazione visibile del
dipendere… questa condizione non è l‟effetto di un ruolo, non è la
339
A Shanghai con il Dreamer
conseguenza di un contratto di lavoro… né nasce dall‟appartenenza
ad una categoria sociale… Dipendere è assenza di volontà…
denuncia uno stato di paura, l‟appartenenza ad un girone infernale
dell‟Essere…”
Per il Dreamer tutto ebbe inizio quando si cominciò a
considerare il tempo come una merce; quando cioè si cominciò a
comprare il tempo degli uomini e non più ciò che essi producono:
idee, beni, servizi. Sottolineò che il formarsi di un esercito
sterminato di milioni e milioni di lavoratori „dipendenti‟, operai e
impiegati, disposti a vendere il proprio tempo a prezzo fisso, un
tanto all‟ora o al mese, è un fenomeno del tutto moderno che non ha
precedenti nella storia universale della civiltà.
Collegai il discorso del Dreamer all‟avversione, anzi alla
ripugnanza, che la Grecia classica e Roma nutrirono per ogni forma
di lavoro, fisico o intellettuale. L‟età di Omero considerava la
peggiore delle condizioni umane quella del thetes, l'operaio agricolo
che per vivere doveva vendere il lavoro delle proprie braccia. Per i
greci attaccatissimi alla libertà dipendere da qualcuno per la
sopravvivenza quotidiana era una servitù intollerabile. Secondo
Aristotele si sarebbe dovuto rifiutare la qualifica di cittadino a tutti
quelli che avevano bisogno di lavorare per vivere. L‟esercizio della
virtù politica era impraticabile ed impossibile per chi conduceva la
vita di un salariato o praticava mestieri operai e lavori retribuiti che
impediscono allo spirito ogni elevatezza ed ogni agio.
Sentii crescere in me, ancor prima di una barriera mentale,
un‟incontenibile animosità. Pensai che quella visione poteva forse
reggere fino alla Grecia del IV secolo, ma non era neppure
lontanamente proponibile in una società del terzo millennio. Questa
scheggia di razionalità concorse a fomentare il mio risentimento per
l‟attacco che sentivo imminente e che già faceva capolino dalle
parole del Dreamer. Senza potermi contenere oltre, sbottai:
«Tutti vorrebbero fare a meno di lavorare se solo potessero
godere dei privilegi di un aristocratico… »
Il Dreamer rovesciò la mia visione come un guanto.
«È il grado di libertà raggiunto internamente − affermò con
severità − È la vittoria sulla paura che fa appartenere un uomo alla
classe degli eroi, degli uomini che amano, che sognano, e non a
quella di chi deve lavorare per vivere… L‟uomo dovrebbe solo
dedicarsi a mantenere uno stato alto dell‟Essere, una condizione di
340
La Scuola degli Dei
serenità, e non smettere mai di sognare… tutto gli sarebbe
aggiunto.»
«Solo un‟umanità‟ educata alla bellezza, alla verità, al
benessere… Solo un‟umanità sognante, intuitiva, contemplativa,
può sopportare il potere del non-fare, la responsabilità dell‟ozio
aureo. La vecchia umanità vuole continuare a lavorare… non
saprebbe cosa fare se smettesse… Vuole dipendere, ha già deciso di
vivere sotto l‟egida della paura… ha eletto il dubbio a suo
patrimonio naturale e suo boss − commentò il Dreamer lasciando
trapelare una vena di amarezza, come se stesse osservando l‟effetto
desolante ed irreversibile di una sconfitta cosmica − Si suicida
cercando di occuparsi e preoccuparsi, affannandosi... diventando
schiava del tempo…»
7 Vision and reality are one
«Vision and reality are one. Il mondo è la tua visione.
Cambia te stesso e il mondo cambierà per sempre!… Questo è il più
grande aiuto che puoi dare al mondo.»
«Ma se anche cambiassi − chiesi col tono di una concessione
− che cosa ne sarà di tutto l‟orrore, dell‟infelicità e del dolore in
cui vive il mondo? Cosa potrà fermare le sue guerre?»
«Il mondo sei tu! − esclamò il Dreamer, spazientito − Il mondo è in
guerra perché tu sei in guerra…»
«Un sognatore crede solo in se stesso, nella sua
impeccabilità, e proietta il mondo che desidera. La realtà in cui
vive è l‟esatta rappresentazione del suo paradiso portatile.»
«Ma la realtà… »
«La realtà è un chewing-gum: prende la forma dei tuoi
denti…»
«Ma quello che vedo e tocco…»
«Il mondo che vedi e tocchi non è oggettivo e non potrà
esserlo mai… Ti riflette… Impara ad essere brillante, elegante,
sfarzoso, grandioso; impara ad usare propriamente l‟ingiuria e la
rabbia; impara a recitare il ruolo che la circostanza
comanda: comico, ironico, pungente, sognante e giocoso, sobrio e
sincero, sereno e distaccato. Diventa un campione della libertà.
Rivolgi la tua opera a migliorare l‟umanità liberandola da tirannie
e da oppressioni di ogni genere: politiche, religiose, sociali,
341
A Shanghai con il Dreamer
intellettuali ed emozionali… e vedrai costruirsi sotto i tuoi occhi un
paradiso terrestre.»
Questo dialogo, ogni volta che ci penso o lo rileggo, mi fa
pensare alla favola geometrica di Abbott, all‟incontro a Flatland tra
il quadrato e la sfera, tra una creatura piatta ed un essere
tridimensionale.
Il discorso del Dreamer, che comprendeva strati e livelli, che
affermava l‟esistenza di tanti universi e tante realtà personali quanti
sono gli uomini, non poteva essere compreso in una visione
piatta, nella percezione bidimensionale, di un abitante di
Flatland.
8 La razza da impiego
Per il Dreamer l‟assenza di ogni ruolo può essere sopportata
solo da chi ha raggiunto nell‟Essere il livello più alto di
responsabilità.
«Un giorno, quando li avrai superati e saprai recitarli
perfettamente, anche tu ne sarai libero. Questa conquista potrà
prenderti attimi o intere vite. Dipende da te!»
Aggiunse che l‟uomo ordinario non può sostenere la
responsabilità di una tale libertà.
«Solo l‟uomo che ha colto un barlume di eternità, può
farcela! – epilogò – Al di sotto del livello di un uomo integro
l‟esistenza ti imprigiona nella fissità di un ruolo.» Per il Dreamer il
ruolo ci misura e rivela il nostro grado di libertà.
Agli albori della rivoluzione industriale, la specie „sapiens‟ si
era trovata di fronte ad un bivio della sua evoluzione. Negli uffici e
nelle fabbriche del mondo si stavano producendo trasformazioni
somatiche, psicologiche e comportamentali tali da delineare il
profilo di una nuova specie.
«Una razza da impiego» la definì il Dreamer.
«La sua principale caratteristica è la capacità di accettare
stoicamente l‟insopportabile dolorosità del dipendere» annunciò tra
il serio e il faceto. Aggiunse che nel tempo questa propaggine
dell‟umanità è diventata vastissima fino a rappresentare il gruppo
dominante, quello planetariamente più diffuso. Precisò che
trasformazioni simili si producono negli animali a seguito
dell‟addomesticamento. Con meditata lentezza, si mise ad elencarle:
342
La Scuola degli Dei
il rilassamento dei muscoli, l‟adiposità, l‟inflaccidimento e
l‟afflosciamento del ventre, l‟accorciamento della base cranica e
degli arti, il pallore della pelle, l‟invecchiamento precoce, il
rammollimento...
Mentre procedeva in questa elencazione cominciò a
scrutarmi da capo a piedi simulando un crescente stupore alla
scoperta in me di tutte le caratteristiche di appartenenza alla „razza
impiegatizia‟. Spinse quella pantomima fino a chiedermi con la
massima serietà di potermi usare come prova vivente della Sua
teoria.
Di fronte al mio viso contratto in una smorfia di offesa e di
vergogna, il Dreamer non poté più trattenersi dal ridere apertamente.
Solo allora mi resi conto che mi aveva preso in giro. Restai come
ingessato, con i muscoli del viso tesi e rigidi come quelli di un
morto, e non riuscii ad unirmi a Lui in una delle rarissime risate che
Gli abbia mai visto fare.
«Un uomo che si osserva, ride di se stesso, ed è libero! –
avrebbe commentato tempo dopo il Dreamer a proposito di
questo episodio – Se sei confuso osserva la confusione in te e sarai
libero. Self observation is self correction.» Quella volta mi disse che
in effetti la vera religione dell‟uomo ordinario é l‟identificazione con
il mondo esterno. L‟umanità è nelle condizioni in cui è perché non
ha la capacità di autosservarsi.
«Se tu fossi capace di osservare il tuo inferno questo
sparirebbe, la tua guarigione sarebbe immediata e comunicata a
tutto l‟universo.»
Osservando ora quella mia reazione posso vedere la
fragilità dell‟uomo che ero e quanto fossi lontano perfino da chi
aveva appena iniziato il cammino verso l‟integrità. I malati del
Nuovo Testamento, ciechi, zoppi, sordi, lebbrosi, erano metafore
viventi di un‟umanità psicologicamente handicappata ma almeno
consapevole della propria incompletezza, già pronta ad entrare in
una zona di guarigione. Uno sparuto numero di uomini e donne,
pochi tra i pochi, che chiedevano accesso all‟integrità.
Fu doloroso scoprire ed ammettere che non avevo ancora
raggiunto quella condizione; che ero della razza dei Nicodemo, della
genia degli uomini invischiati nel mondo delle apparenze, legati a
istituzioni e templi polverosi, a rituali inutili; incapaci di
abbandonare le false certezze del vecchio per la grande avventura
individuale.
343
A Shanghai con il Dreamer
Per certo, non appartenevo all‟umanità dotata di fede, dotata
di quella che il Dreamer chiama la volontà, il Sogno. Il Dreamer era,
e rappresentò per lunghi anni, una minaccia alla mia visione del
mondo, alle mie convinzioni e a tutto quello che volevo fosse la mia
vita.
Ora capisco che guarire significa andare alle radici di
quella peccabilità. Nell‟Essere c‟è la vera causa di quell‟handicap,
di tutte le miserie dell‟uomo, di ogni nostra sciagura.
«Tu sei l‟origine e la fine di ogni evento. Controllalo alla
fonte. Questo mondo di avversità e sofferenza l‟hai fatto tu e solo
tu puoi cambiarlo. La guarigione è un processo inside-out, procede
dall‟interno all‟esterno. Può avvenire solo se lo vuoi» completò il
Dreamer, e mi rivelò che i miracoli del Nuovo Testamento erano in
realtà „certificazioni‟.
Neppure Lui poteva produrre una guarigione che non
fosse già avvenuta dentro di noi. “Vai, è la tua „volontà‟ che ti ha
guarito!”
9 “Fai solo ciò che ami!”
«Lavorare è il riflesso di una psicologia incompleta. Il ruolo
che un uomo occupa nel mondo è il sintomo più sincero di una
incompletezza, il modo più semplice per risalire alla causa di ogni
suo male. Tu puoi fare solo quello che sei. Quando questo ti sarà
chiaro e diventerà carne della tua carne, saprai anche come
intervenire sulla causa.
Cambiare se stesso significa intervenire ogni attimo sul
proprio modo di pensare e di sentire, significa portare luce nella
propria vita. Più conosci te stesso più i ruoli che occupi si
sublimano. Più sei responsabile interiormente e meno dipendi.
Questo permette di abbandonare la sofferenza insita in ogni ruolo e
trasformare il lavoro-fatica in Sogno.
Il lavoro si sublimerà, finché un giorno sparirà dalle attività
umane.»
Aggiunse che per millenni lavorare è stato il riflesso di una
maledizione… l‟effetto di una caduta. Attraverso lo studio e
l‟osservazione di se stesso, un uomo accorcia le distanze tra sé ed il
mondo che ha proiettato, guarendo così l‟incompletezza dei propri
stati d‟Essere e, di conseguenza, la sua realtà.
344
La Scuola degli Dei
Il Dreamer mi fece rilevare come in tutte le culture ed in tutti
i tempi il lavoro sia sempre stato connotato da fatica fino a diventare
sinonimo stesso di costrizione, di sforzo. Nelle varie tradizioni e
lingue dei popoli le condanne bibliche al dolore − per l‟uomo
attraverso la fatica del lavoro, per la donna attraverso il travaglio del
parto − si intrecciano e rivelano la loro comune origine. Nel conio
della parola francese travail, nel termine anglosassone labour,
questa intelligenza è registrata e sigillata per sempre. Così nello
spagnolo. Così negli antichi dialetti del Sud d‟Italia, diretti eredi ed
invisibili continuatori della grecità.
«Bisogna trasformare il lavoro in Sogno!» annunciò con
forza il Dreamer. Le Sue parole risuonarono come un grido di guerra
capace di infervorare gli animi e chiamare a raccolta sterminati
eserciti sotto il vessillo di una stessa crociata.
«Spendi tutta la tua forza, il tempo, l‟energia e tutto quello
che hai, per realizzare quello che veramente vuoi!»
Questa esortazione del Dreamer era rivolta a un‟audience
planetaria, a milioni di uomini che come me, avevano dimenticato il
volo magico, il Sogno.
«Arte del sognare significa amarsi dentro − mi disse −
occorrono anni di autosservazione e di attenzione per riscoprire la
volontà, per riguadagnare l‟integrità perduta.» Affermò che per i
giovani è più semplice riscoprire quello che veramente vogliono. La
volontà, il Sogno, nei giovani non è ancora completamente sepolto.
«Una vera scuola elimina tutto ciò che ostacola il Sogno. Più
che imporre false, inutili nozioni, una vera scuola libera i
giovani da paure, superstizioni e dal sonno ipnotico che li confina
nel ghetto di un‟umanità che dipende.»
Mio padre aveva a suo modo tentato di affidare la mia
educazione ad una scuola dell‟Essere, cercando tra gli istituti
religiosi; ma i Barnabiti, già a quel tempo, intrappolati dalla
descrizione del mondo, avevano smesso di preparare uomini
responsabili, un‟aristocrazia decisionale. Anch‟essi, avevano
dimenticato.
«Chi ama quello che fa non dipende. Chi ama non ha un
tempo da vendere… Solo chi non ama può essere reclutato,
retribuito. Un uomo che ama è impagabile.»
«Tra le massime illusioni di chi lavora − disse − c‟è quella di
percepire una retribuzione. In realtà quello che viene ritenuto un
345
A Shanghai con il Dreamer
compenso, stipendio o salario, è solo un modesto, parziale,
risarcimento dei danni prodotti dalla condizione di dipendenza.»
Sottolineai più volte sul taccuino quella definizione che ci
scagliava lontano anni luce da tutto quello che eravamo abituati a
credere e a pensare; il dolore „buono‟ di una ferita che sta guarendo
accompagnò la consapevolezza della degradazione fisica e morale
che uomini e donne subiscono, o meglio si infliggono, lavorando
senza creatività, senza amore, in ambienti psicologicamente
inquinati.
Nel suo insieme la visione del Dreamer anticipava l‟avvento
di un‟umanità più responsabile, più libera e felice, riscattata dalla
dipendenza, dedita solo a ciò che ama. Predisse che questo si
sarebbe accompagnato inevitabilmente ad una economia più evoluta,
ad una progressiva, inarrestabile riduzione del lavoro-fatica e ad un
declino dell‟educazione tradizionale.
L‟economia non è fondata sul lavoro, ma sulla felicità.
La felicità è economia.
Le scuole della vecchia umanità sono fondate su una
concezione opposta. Esse sono la propaggine dell‟attitudine mentale
di un‟intera civiltà che ancora concepisce il lavoro come dolore,
come condanna; di una società che per funzionare una volta usava
gli schiavi e oggi ha bisogno di educare un esercito di perdenti,
uomini capaci di accettare la insopportabile dolorosità del
dipendere.
«A sette anni gli spartani smettevano di dipendere, erano
inseriti in una scuola del coraggio, dove si forgiavano eroi,
guerrieri luminosi, invincibili; oggi alla stessa età i bambini sono
inquadrati nell‟esercito triste degli adulti.
È osservabile la loro trasformazione. Il gusto del gioco, la
freschezza delle impressioni, l‟entusiasmo, l‟adattabilità, il
coraggio,
vengono sostituiti giorno
dopo giorno
con
l‟apprendimento di emozioni apparentemente umane: invidia,
gelosia, rancore, ansietà, timore; con l‟acquisizione di abitudini
insane: il lamentarsi, il parlare eccessivo, il nascondersi e il
mentire; con l‟imitazione di quelle deformazioni del viso che sono le
maschere della loro degradazione.
L‟ingabbiamento della libertà del bambino, tarpargli le ali
del Sogno, è un‟immoralità che l‟umanità così com‟è non riesce a
346
La Scuola degli Dei
vedere e che paga con i mille mali sociali di cui è afflitta e con
un‟economia fondata sul disastro.»
Ci fu una lunga pausa. Il gigante Huangpu era stato assorbito
dalla notte e soltanto il traffico dei battelli, ancora intenso a
quell‟ora, le loro luci che si incrociavano, permettevano di
indovinarne la presenza. In piedi, sotto un lampione sul lungofiume
del Bund, completai le annotazioni di questa indimenticabile lezione
registrando le parole che la conclusero.
«Come lo sferragliare del treno, che dopo qualche tempo
non avvertiamo più, così la dolorosità del dipendere diventa per noi
tutt‟uno con l‟esistenza, una costante naturale e, per assurdo, una
presenza rassicurante della vita. Abbandonarla sarà, da adulto,
un‟impresa impossibile.»
10 La direzione terribile e meravigliosa…
Quel tratto del Bund aveva intanto assunto l‟aria dolcemente
oziosa di un elegante boulevard d‟altri tempi, con i grandi lampioni,
le panchine di legno e ghisa, l‟intenso passeggio di una folla
variopinta e cosmopolita. A piedi raggiungemmo il Peace Hotel il
cui ristorante offriva una vista superba sul lungofiume e sulla
Oriental Pearl TV Tower. Architettura e ambiance di inizio secolo,
le note di un‟orchestra Jazz al piano terra, come una macchina del
tempo, ci trasportarono indietro di cent‟anni. Tutto era perfetto ma
io restavo taciturno e pensieroso. Le dure parole che avevo ascoltato
quella sera dal Dreamer erano state soltanto un preludio. Sapevo che
la parte più spinosa di quell‟incontro doveva ancora venire.
Il direttore ci accolse come ospiti d‟onore, e ci accompagnò
personalmente al tavolo, assistito da due impeccabili camerieri. Il
maître sembrava conoscere il Dreamer molto bene. Il suo
comportamento, i dati che fornì sull‟andamento della serata e sulle
attività del ristorante e dell‟Hotel, insieme ad altri segnali colti
all‟ingresso, mi fecero pensare che il Dreamer fosse più di un cliente
di riguardo.
Ero nervoso. Avrei voluto che la conversazione si
prolungasse, che il maître si trattenesse, per rimandare quanto più
possibile il momento in cui sarei rimasto solo con Lui. L‟espressione
del Dreamer era terribilmente seria quando avviò l‟argomento
con queste parole:
347
A Shanghai con il Dreamer
«Ogni aspetto della vita di un uomo, ogni sua decisione, ogni
scelta, corrisponde al suo livello di responsabilità interiore… È
questo che determina il suo ruolo nel mondo e gli assegna il destino
che merita. In Kuwait si stavano creando le condizioni per il tuo
passaggio ad una fascia più alta dell‟esistenza... ma a un uomo
come te, ancora vittima di dubbi e paure, l‟opportunità si presenta
come una minaccia mortale… »
«Apparentemente hai abbandonato. Credi di aver scelto una
via più semplice, una vita più tranquilla; la verità è che eri
impreparato a cogliere l‟opportunità che ti ho dato! − disse. Il Suo
sguardo si fece ancora più severo − Il tuo livello di responsabilità
non poteva contenere quella prosperità. A gente come te la libertà fa
paura. Per l'ennesima volta il mondo della dipendenza ti ha
risucchiato e rigettato nei gironi più bui dell‟esistenza, a ripetere i
disastri del tuo passato.»
«Se già sapevi che avrei abbandonato, perché… » accennai
senza riuscire a completare quella domanda. Un nodo di pianto mi
stringeva la gola.
«È l‟unico modo per farti capire che nulla ti può essere
donato! Un uomo deve pagare per tutto quello che riceve. E il
pagamento avviene nell‟Essere. Un uomo può avere solo quello che
la sua visione contiene, può possedere solo ciò di cui è
responsabile.»
La lezione che seguì fu una pietra miliare del mio
apprendistato.
«Nothing is external – riaffermò, la Sua voce suonava rauca e
grave – Un uomo impreparato, anche se temporaneamente
favorito da un evento o da circostanze esterne, viene ricacciato
nell‟antica povertà se l‟avere eccede il suo livello d‟Essere.»
La ricchezza, il benessere e la qualità della vita di un uomo,
come quella di una intera civiltà, non dipendono dalla disponibilità e
dalla dovizia di mezzi e di risorse materiali, ma dall‟ampiezza del
loro Essere. Il modo di sentire, di pensare e di agire, l‟altezza delle
aspirazioni e la profondità delle idee, quello in cui credono e ciò che
sognano, decidono il destino degli uomini.
«Be a King, the Kingdom will come – annunciò, registrando
quella legge in ogni mia fibra – La regalità dell‟Essere precede
sempre la nascita di un regno.»
«Il Kuwait è stato un banco di prova per misurare la tua
responsabilità, per farti toccare con mano come la paura in un
348
La Scuola degli Dei
uomo crea l‟inferno nel mondo degli eventi. È la paura che ti fa
dipendere da un impiego, da una donna, da una droga… È la paura
che ti fa credere che uno stipendio possa proteggerti, darti
sicurezza.
Chi non conosce se stesso, chi non è padrone dei suoi stati,
non può fare né per sé né per gli altri. Un uomo può scegliere solo
se stesso! Il tuo innamoramento è ancora un modo per sfuggire alla
responsabilità. La donna che credi di amare è anche lei una
rifrazione della tua propensione a dipendere.»
Avrei dovuto ormai sapere che l‟immediata e totale
avversione che provavo per le idee del Dreamer era il segnale più
sicuro della loro efficacia nello sconvolgere i miei schemi mentali,
nel buttare all‟aria idee obsolete e programmi rovinosi. Eppure ogni
volta resistevo, mi ribellavo a quella intollerabile pressione che
sentivo accanto a Lui e che schiacciava ogni centimetro quadrato del
mio Essere.
Il Dreamer aveva sempre ragione. Seguendolo, o ricordando i
Suoi insegnamenti, era impossibile fallire, sbagliare, danneggiarsi,
deviare. Non si può immaginare quanto sia insopportabile la
saggezza del Grillo Parlante per un Pinocchio che ha già deciso di
restare di legno, mosso da fili invisibili.
Quella sera le Sue parole furono ancora più sovversive,
troppo rivoluzionarie per sostenerne il peso e l‟immensa energia.
L‟accettazione, la comprensione, di idee di ordine superiore è ogni
volta un‟operazione dolorosa per chi non è pronto e non vuole
capire. Anche solo per ascoltarle, è necessario un ampliamento dello
spazio psicologico, un‟accelerazione del pensiero, il cambiamento di
convinzioni ed abitudini radicate. Ogni volta mi scoprivo
assolutamente impreparato a recepirle e farle mie. Ogni volta la
filosofia del Dreamer arrivava ad apparirmi non solo contraria a
tutto ciò in cui avevo sempre creduto, ma blasfema, una vera e
propria trasgressione alle leggi naturali, consacrate dalla storia e
dalla ragione. Le idee del Dreamer mi aprivano davanti la voragine
di un ribaltamento della visione del mondo e scoprivano il passaggio
avventuroso ad una specie nuova che più nulla aveva in comune con
la vecchia umanità.
Nei momenti di grazia, quando la comprensione finalmente
riusciva ad aprirsi uno spiraglio nell‟Essere, riconoscevo che la
direzione indicata dal Dreamer era assurda e necessaria, terribile e
meravigliosa, sofferta e gioiosa, come lo sforzo dei salmoni che
349
A Shanghai con il Dreamer
risalgono il fiume verso la loro origine. Dietro il Suo linguaggio
paradossale grandeggiava una rivoluzione psicologica, una
rivoluzione dell‟individuo, grandiosa come un Esodo, visionaria ed
epica come l‟impresa di Spartaco.
11 „To fall in love‟
Il Dreamer riprese il Suo discorso riferendosi al mio rapporto
con Heleonore e a questo mio ennesimo tentativo di ricostruire una
famiglia. Le prime parole che scelse, la loro intonazione,
confermarono il timore che ascoltare quello che stava per dirmi non
sarebbe stato gradevole e tantomeno facile da accettare.
Accogliere la filosofia del Dreamer, fare spazio alle Sue idee,
non era mai stato agevole; ma ora che stava toccando l‟argomento
più spinoso, sentivo i bastioni della mia ostinazione rafforzarsi e
antiche difese ergersi, ancora più aspre, per effetto del mio
attaccamento. Temevo che mi chiedesse di separarmi da lei. Il mio
apprendistato era a un punto cruciale.
Nell‟oscura foresta di quelle mie inquietudini le parole che
seguirono suonarono ancora più dure e minacciose, come un corno
da caccia nella profondità di una tana.
«La paura, la tua inclinazione a dipendere, ti fanno aggrappare a
tutto quello che incontri, com‟è accaduto con questa donna. E menti
a te stesso credendo di esserne innamorato… »
Il Dreamer mi parlò a lungo. Qualche atomo di
comprensione penetrò tra le scaglie della corazza e cambiò la mia
attitudine. Impercettibilmente, anche il tono del Suo discorso si
raddolcì pur conservando nella voce l‟iniziale severità.
Rivelandomi il vero significato di quell‟alterazione d‟Essere
che gli uomini chiamano innamoramento e mettendo allo scoperto la
trappola mortale che nasconde, lapidariamente disse:
«Dietro ogni innamoramento c‟è una caduta.»
Nello sguardo passò un veloce ammiccamento quando in
tono ammonitore aggiunse:
«E dietro ogni caduta c‟è una colpa.»
Dal Dreamer appresi che la denuncia di questa minaccia, la
segnalazione della caduta in agguato dietro l‟innamoramento é
rintracciabile nelle più diverse culture. Espressioni idiomatiche
come „to fall in love‟ o „tomber amoureux‟, sono usate da milioni di
350
La Scuola degli Dei
uomini senza che nessuno sia capace di ascoltare il loro grido di
allarme. Esse agitano sotto il nostro naso un segnale di pericolo che
oramai nessuno avverte più. Il Dreamer spinse oltre quell‟esame e lo
portò più in profondità affermando che innamorarsi di qualcuno o
qualcosa non è un avvertimento ma è già la caduta rispetto alla
condizione di amare.
«Nothing is external − riaffermò − il mondo, gli altri, sono te
stesso distribuito nel tempo. Amare qualcuno è amare un
frammento‟ di sé… significa rimpicciolirsi… significa
frammentarsi.»
Per il Dreamer amare qualcuno al di fuori di sé è
paragonabile al tentativo di trasferire l‟oceano in un bicchiere o alla
pretesa di prosciugare tutta l‟acqua del mare con un pugno di sabbia.
«Amore (a-mors) significa assenza di morte. Amare significa
amarsi dentro, eliminare da sé ogni forma di autosabotaggio.»
Aggiunse che questo può avvenire solo intenzionalmente. Per
il Dreamer „amarsi dentro‟ può essere soltanto l‟espressione di un
vero e proprio atto della volontà.
«Solo l‟integrità può amare − disse in tono conclusivo − e
solo la totalità dell‟Essere in tutta la sua magnificenza può
contenere l‟amore.»
«Un uomo che ha raggiunto l‟integrità non potrà allora avere
una compagna, dei figli, una professione, una vita sociale, relazioni,
amici?» chiesi angosciato da quella prospettiva alla quale mi sentivo
totalmente impreparato.
«Sì − asserì il Dreamer − ma non dimenticare mai che tutto
quello che accade al di fuori di te… è soltanto una rappresentazione
scenica, il film del tuo Essere che per la sua grandiosità non può
vivere che all‟interno di te stesso… L‟altro… gli altri… il mondo…
sono la tua immagine riflessa… un bicchier d‟acqua... Un pugno di
sabbia.»
Per il Dreamer amare se stesso è il solo amore possibile.
Amare se stesso è l‟arte suprema. Amare qualcuno al di fuori di sé è
una idolatria che trova l‟apice della sua espressione nella sessualità.
«Nella scelta di un partner, come in cento momenti in cui
deve dare una direzione alla propria vita, un uomo è costantemente
influenzato dal sesso» osservò il Dreamer. Il tono pacato di questo
preludio aggiunse intensità a quella escalation del Suo discorso e
acuì allo spasimo la mia attenzione.
351
A Shanghai con il Dreamer
«L‟umanità ha posto il sesso al centro della sua esistenza
senza neppure intuire che è soltanto un lontano barlume di un‟estasi
dimenticata: l‟unità dell‟Essere!»
Il Dreamer proseguì dicendo che il sesso, così come il cibo
ed il sonno, richiede un attento management, una capacità di
gestione che gli uomini hanno dimenticato. L‟attività sessuale, che
dovrebbe servire come disciplina, una tecnologia al servizio
dell‟umanità per raggiungere l‟unità dell‟Essere, è stata distorta. Chi
è entrato in altre zone dell‟Essere usa la sessualità come propellente
al servizio dell‟integrità.
Continuò affermando che questa intelligenza si è perduta. La
funzione sessuale si è degradata fino a diventare un‟attività effimera
che ci lascia ancora più insoddisfatti, ancora più incompleti, ancora
più distanti da quella condizione dell‟Essere che è diritto di nascita
di ogni uomo e che ha abdicato.
Mai prima, neppure lontanamente, avevo pensato al sesso
nella prospettiva cui il Dreamer mi stava mettendo davanti e che mi
teneva senza fiato. Immagini si avvicendarono rapide nella mente,
come una sequenza di fotogrammi in fast motion. Vidi l‟umanità
accanirsi nell‟accoppiamento, affannarsi nelle alcove. Osservavo
questo planetario assillo dell‟uomo con il distacco di un etologo che
studia il comportamento sessuale di una specie zoologica, i suoi
rituali di corteggiamento, le sue tecniche riproduttive. Ebbi per un
attimo l‟esatta percezione dello stato di degradazione in cui siamo
caduti e della distorsione che in noi hanno subìto funzioni e organi
creati per ricevere messaggi, barlumi dell‟unità dell‟Essere. Nella
visione del Dreamer, il sesso è un filo d‟oro per permetterci di
trovare le tracce e percorrere a ritroso il cammino alla ricerca della
nostra integrità perduta.
Un‟umanità frammentata ne ha distorto la funzione
trasformando il rapporto con il partner in un‟assuefazione e la
sessualità in un pretesto per dimenticare e dipendere. Mi sentii
immensamente solo, come un essere alieno; unico testimone
ammesso a sostenere la visione di quell‟ansimante ricerca
d‟integrità, di completezza, destinata a fallire, perché non guidata
dalla volontà e dall‟intelligenza. Una ricerca condannata a una
perpetua infruttuosità, perché è il tentativo impossibile di un essere
che vorrebbe amare fuori di sé, prima di amarsi dentro.
Vedevo quegli amplessi accendersi e spegnersi, rapidi come
battiti di ciglia, insignificanti come starnuti, e concludersi ogni volta
352
La Scuola degli Dei
con una nuova delusione, con un‟altra piccola morte. E vedevo
rinnovarsi negli umani quell‟aspettativa di felicità, quella ricerca di
integrità, destinata ad essere ogni volta tradita ed a fallire, senza
fine. Sullo schermo della mente apparvero immagini di lande
ghiacciate. Vidi la corsa mortale di renne che inseguono quella
fragranza di muschio che le fa impazzire e che vanamente cercano
fuori di sé. Per un destino infelice non sapranno mai che
quell‟essenza che le inebria è prodotta dalle loro stesse ghiandole.
«L‟uomo cerca la libertà, la felicità, l‟amore, fuori di sé −
disse, sospendendo il flusso di quelle immagini e penetrando a
questo punto dei miei pensieri − ma il viaggio del figliuol prodigo
non è esterno… è un‟avventura interiore, è il viaggio di ritorno
all‟unità dell‟Essere.»
«L‟uomo incessantemente tenta questa impresa: la
riconquista della sua integrità; si congiunge alla donna, che è parte
di sé, creata da una sua costola, per riguadagnare quello stato di
unità interiore, il suo paradiso perduto.»
Poi nel tono di un giudizio inappellabile, disse:
«Nell‟algebra dell‟Essere due metà non formano un‟unità, ma
un‟incompletezza al quadrato! Un vero sognatore esprime se
stesso nella totalità. Non ha spazio per un mondo incompleto.»
12 “Io sono tu!”
«Ma se tutto quello che succede è una mia creazione, una
mia proiezione, allora Tu… chi sei?»
«Io sono tu! − disse inaspettatamente, coniando
un‟espressione che si sarebbe impressa a fuoco nella mente − Io
accado dentro di te.»
Il mondo mi stava mancando sotto i piedi. Niente era come
prima né sarebbe mai più tornato ad esserlo. Notando la mia
espressione di smarrimento, il Dreamer accorciò le distanze tra noi e
disse:
«Mi vedi fuori di te perché Io sono in te… Tutto quello che
vedi e tocchi, dagli insetti alle galassie, è in te… o non potresti
vederlo né toccarlo.»
Provai una vertigine. Sentivo le tempie pulsare con i battiti
del cuore.
353
A Shanghai con il Dreamer
Qualcosa di insolito stava accadendo… qualcosa stava
crescendo, si stava facendo spazio forzando dall‟interno, come un
essere la cui gestazione si fosse accelerata in modo vertiginoso.
«Tutto è connesso. Niente è separato. Se tu potessi
trasformare un solo atomo di te, il tuo più piccolo pensiero,
un‟abitudine, un atteggiamento, un‟inflessione della voce… questo
cambiamento esploderebbe in tutto il tuo Essere ed il tuo universo
cambierebbe per sempre… »
«Ma trasformare questo atomo nell‟Essere – aggiunse − è
come ingoiare oceani o spostare montagne nel mondo degli eventi.»
Nella Sua voce vibrava una nota di afflizione, per la
dolorosità di quell‟argomento che toccava la radice stessa della
condizione dell‟uomo e la ragione della sua infelicità.
Se modificare un atomo di noi stessi richiedeva lo sforzo di
spostare una montagna, il pensiero arretrava di fronte all‟abisso di
anni che sarebbero stati necessari alla nostra umanità per
trasformarsi. Per ricondurre quella distanza a proporzioni
umanamente concepibili, obiettai che, almeno nella mia storia, non
erano mancate vere e proprie sterzate e sommovimenti. Ben più di
un atomo era cambiato nella mia vita da quando Lo avevo
incontrato. In effetti, negli ultimi anni, più volte avevo cambiato
lavoro, partner, nazione; e più volte avevo spostato attività e
famiglia da un continente all‟altro, prima di arrivare in Kuwait, e
infine, trovarmi lì, a Shanghai.
«Sono cambiamenti solo apparenti − rispose il Dreamer −
Nell‟esistenza di uomo ordinario in realtà non cambia mai nulla. Il
suo passato diventa il suo futuro. Tutto nella sua vita denuncia la
sua incompletezza.» La Sua voce era ritornata ferma e severa.
«Egli teme ogni cambiamento che potrebbe spingerlo
all‟abbandono del solco confortevole e mortale della ripetitività.
Al di là dell‟illusione di cambiare, anche nella tua vita tutto
si ripete, tutto è sempre uguale a se stesso. I tuoi tentativi di rifare
una famiglia, le donne che hai scelto, così come i ruoli che hai
occupato, le case che hai abitato, gli amici che hai avuto, sono stati
sempre e comunque il riflesso della tua rigidità… evidenziatori, al di
sopra di ogni altra cosa, della ristretta fascia dell‟esistenza in cui
hai confinato la tua vita.
Ci sono mondi paralleli al tuo cui soltanto il Sogno può
accedere.
354
La Scuola degli Dei
If you have nothing that at present satisfies you, it is because
of the state of your Being. You will never get what you want as long
as your Being remains as it is. You have to change yourself to get
new understanding, new meaning, new life, and consequently attract
events of a higher order. Changing yourself means, first of all,
“getting rid of yourself”. In order to be born “at a higher level” you
have to die “at a lower one.»
Stavo annaspando. Il Dreamer si accorse della mia difficoltà
e attese. Le Sue parole erano fasci di luce puntati verso zone
sconosciute dell‟Essere, strali che stavano trapassando i miei organi
con una dolorosità insopportabile.
Il passato che avevo incautamente richiamato mi stava ora
soffocando. La morte di Luisa e tutta l‟infelicità delle mie relazioni,
i litigi, le incomprensioni, i tradimenti di tutta una vita, stavano
ritornando a galla, ognuno con il suo carico di fiele.
Luisa era stata lo slancio e l‟inconsapevolezza dei vent‟anni,
bruciati come una candela accesa dai due estremi. Jennifer la
riconoscevo ora come la personalizzazione stessa della mia vanità,
della possessività e della paura della vita. Gretchen era stata la
proiezione della mia aggressività, del tradimento che era sempre
stato lì, nascosto dietro ogni mio sguardo, atteggiamento, parola. Era
vero. Ognuna di quelle donne era stata l‟immagine speculare della
mia condizione.
Il Dreamer mi sottrasse a questa riflessione.
«Quelle donne sono arrivate per rendere fisicamente visibile,
per denunciare, quello che non hai mai voluto scoprire di te stesso.»
Il tono era straordinariamente dolce, ed io sentii dolore al
pensiero di cosa avrei potuto scoprire nascosto dietro l‟ultimo
innamoramento, dietro la mia più recente „caduta‟.
13 Uni-verso. Verso l‟uno
Restammo alcuni minuti in silenzio. Dal nostro tavolo
godevamo di una vista straordinaria sul fiume. Il profilo d‟acciaio
della Oriental Pearl TV Tower si stagliava luminoso come una
cometa sullo sfondo della notte e del pulviscolo di luci della lontana
Pudong. Il ristorante del Peace Hotel si era intanto affollato. La sua
355
A Shanghai con il Dreamer
atmosfera démodé era accentuata dall‟abbigliamento dei clienti, per
lo più coppie che sembravano uscite da una foto di inizio secolo.
Il Dreamer stava ora introducendo un ultimo argomento, tra i
più cruciali di quel nostro incontro. Fece una pausa per permettere
ai camerieri di portare via i piatti. Quelli del Dreamer erano intatti.
Mi resi conto che, catturato senza respiro dalle Sue parole,
impegnato a prendere appunti, anch‟io non avevo quasi toccato cibo.
«Il Progetto è scolpito a caratteri immortali nella stessa parola
„universo‟» riprese a dire il Dreamer, ed evidenziò come da
innumerevoli generazioni gli uomini pronuncino la parola
„universo‟ senza rendersi conto della sconfinata potenza che
un‟intelligenza eponima ha nascosto nel suo etimo, come una spada
invincibile nella sua guaina.
Uni-verso/verso l‟uno.
Il senso dell‟esistenza, la direzione del mondo, degli eventi e
degli uomini, dal tempo dei tempi, erano stati rivelati, annunciati e
messi lì sotto i nostri occhi. Quel messaggio cosmico, antico come le
stelle, potente come l‟energia compressa di milioni di soli, semplice
come la verità, aveva attraversato eoni di tempo, e tuttavia solo
pochi l‟avevano inteso.
Le tradizioni religiose e sapienziali delle civiltà di ogni
tempo sono tutte percorse da uno stesso potente messaggio di
integrità, sono nate da quella insopprimibile pulsione verso l‟unità
dell‟Essere che ancora le fa vibrare. Nell‟excursus del Dreamer vidi
il tessuto connettivo di uomini e nazioni, la fitta trama di idee,
filosofie e visioni attraversata da un filo d‟oro che le univa oltre il
tempo e lo spazio, oltre ogni differenza di cultura, di razza o di
geografia.
«Il monaco, da monos, è un uomo solo verso l‟Uno, un uomo
alla ricerca della sua integrità» affermò. L‟ombra di un sorriso, che
in Lui spesso anticipava un‟arguzia, si disegnò sul Suo volto quando
aggiunse:
«È un essere in costruzione. Fuori della sua cella potrebbe
esserci scritto „lavori in corso‟… Il saio e la disciplina che ha scelto
sono al servizio del suo intento di diventare un „individuo‟…»
Mi spiegò che „individuo‟ deriva da indivisibile ed indica la
direzione dell‟uomo verso l‟unità. È una condizione di estrema
rarità. Solo alcuni uomini, attraverso uno strenuo lavoro su di sé, la
raggiungono e diventano a pieno titolo individui. Il riferimento era
troppo diretto perché non lo cogliessi con tutta la dolorosità di un
356
La Scuola degli Dei
confronto a me così sfavorevole. C‟erano stati e c‟erano uomini
determinati, ricercatori instancabili della propria integrità.
Ed io, dov‟ero? Inutilmente avrei cercato il mio viso in quel
piccolo esercito di coraggiosi, di pazzi luminosi, che in ogni epoca
hanno cercato, hanno fatto sforzi sovrumani, per uscire dalla
condizione ordinaria. Ed io, cosa avevo fatto per uscire dai solchi
della mia esistenza, per meritarmi un destino individuale, una
grande avventura personale?
Feci un veloce esame di coscienza e stesi subito sulla mia
vita un velo pietoso. Allora nella mente mi esplose in tutto il suo
bagliore la grandiosità del segreto nascosto dietro due umili
racconti, passati pressoché inosservati per duemila anni; due storie
immensamente potenti, metafore immortali camuffate da semplici
favole: la parabola del pastore che lascia le novantanove pecore per
cercare quell‟una smarrita, e quella della moneta d‟argento perduta
dalla donna che, rimasta con nove monete, spazza e fruga in ogni
angolo, si affanna e non si stanca di cercare finché non la trova. Quei
rudimentali racconti si stavano rivelando i custodi millenari di un
messaggio di integrità. In esse vive per sempre il ricordo del
„progetto‟ e il segreto della incessante tensione dell‟uomo verso
quell‟asintoto universale che è l‟unità dell‟Essere. È questo il grande
raggiungimento, il target da colpire e la ragione stessa della nostra
esistenza su questo pianeta.
«In paradiso non può entrare neppure un granello d‟inferno
− sintetizzò potentemente il Dreamer − Per un uomo verticale
perdere anche un atomo della propria integrità significa perdere
tutto. E „non si dà pace‟ fino a quando non ha ristabilito la propria
completezza.»
Aggiunse che santo, nel suo significato più profondo, al di là
del dogmatismo ecclesiale cristiano, significa sano, guarito. Santo è
in realtà un uomo integro, intero, che ha eletto la completezza,
l‟unità dell‟Essere, a scopo della sua vita; è un uomo vigile sui suoi
stati e sulle sue emozioni, perché sa che il più piccolo differimento
dalla totalità di se stesso lo precipita negli inferni dell‟ordinarietà.
Tutta l‟iconografia sacra che potevo ricordare mi attraversò
la mente e riprovai lo stupore di quand‟ero bambino nell‟osservare
le teste dei santi cinte da una corona di luce. Relegati nella
penombra odorosa di ceri, in chiese senza vita, o nelle asettiche sale
di musei e gallerie, li avevo sempre visti e poi ricordati come uomini
del passato, patetici, anacronistici. Solo ora potevo vedere tutta
357
A Shanghai con il Dreamer
l‟ignoranza e l‟assurdità di un immaginario collettivo che ha
proiettato nei santi la propria sofferenza, la propria sconfitta, e di
una folla che assurdamente ripone fede in una miracolosità „fuori di
sé‟.
«„Fuori di sé‟ è la vera pazzia, il male dei mali da cui
l‟umanità dovrà guarire.»
In verità santi erano gli uomini e le donne che avevano
semplicemente osato „credere in se stessi‟; uomini comuni che,
consapevoli della loro incompletezza, avevano fatto il viaggio a
ritroso verso l‟integrità perduta.
14 Il Re è la terra, la terra è il Re
«Questa è economia!» affermò inaspettatamente il Dreamer
irrompendo tra quelle riflessioni venate di ricordi, prima che
potessero immalinconire.
Per qualche istante, sospesa nell‟aria, restò soltanto la
visione di un esercito di uomini e donne vittoriosi, senza aureole né
palme, sullo sfondo di un‟epopea senza tempo. Poi anche
quell‟ultima immagine sparì, soffiata via dalla brezza di parole
nuove.
«Senza individui, senza la loro volontà in azione, non c‟è
profitto né progresso, non c‟è business né ricchezza. Essi sono il
sale della terra. Grandi imperi politici e fortune finanziarie si
sfaldano e si disintegrano se essi mancano.»
Improvvisamente trovai in quelle parole del Dreamer la
soluzione di un enigma che da anni assilla gli studiosi di economia e
che i centri di ricerca delle università e delle business school di
mezzo mondo stanno inutilmente cercando di risolvere. Le imprese
del pianeta muoiono giovani. La loro esistenza si dimostra sempre
più precaria e la vita media si è progressivamente ridotta fino a
raggiungere durate effimere. Anche i giganti dell‟economia e della
finanza non vivono a lungo; basta pensare che la metà delle imprese
che vent‟anni fa erano classificate tra le cinquecento più grandi del
mondo oggi non esistono più.
Ora sapevo che queste corporations erano la proiezione di
leader incompleti. L‟unica, vera ragione della loro prematura
scomparsa è stata l‟assenza di uomini e donne integri. Ne sarebbe
bastato uno a scongiurare la perdita di immensi patrimoni di
358
La Scuola degli Dei
conoscenze, di uomini e mezzi, o il dissolvimento di intere civiltà.
Pensai a dove sarebbe Roma senza Scipione, e più tardi, Cesare; e
cosa sarebbe stato della più grande multinazionale del mondo, senza
manager del calibro di Francesco d‟Assisi. Uomini integri, sani…
Chi li stava preparando? E dove?
La voce del Dreamer venne a riprendermi nel limbo di quelle
riflessioni.
«Il Re è la terra, la terra è il Re − recitò, riallacciando i miei
pensieri al Sogno − Una piramide organizzativa è legata al respiro
del suo leader. Un filo d‟oro salda la sua immagine e il suo destino
personale a quello della sua organizzazione e dei suoi uomini. Il suo
sé corporeo coincide con la sua economia, come fu per gli antichi
sovrani.»
Il Dreamer si collegò alla tradizione cinese classica ed io
pendevo dalle Sue labbra mentre mi raccontava che nei momenti di
maggiore difficoltà per l‟impero, come una carestia o un‟invasione
nemica, l‟imperatore cinese, il figlio del cielo, si ritirava nelle stanze
interne del Palazzo per incontrare le porte del tutto. Immobile,
rivolto verso il sud, provvedeva con le sue virtù superumane a che
tutto l‟impero restasse in accordo con il Decreto del Cielo. Egli
sapeva che le difficoltà che si trovava a fronteggiare rivelavano una
sua perdita di integrità. Era consapevole che la battaglia andava
prima vinta interiormente.
When the dikes give way and the floods come,
and the barbarian hordes and attacks rain down
from every corner of the world,
it means that the 'portable paradise' given to the leader
has been lost,
and only the regain of his own integrity
can reverse that catastrophy.
Per quell‟uomo, a quel livello di responsabilità, non c‟era
separazione tra la propria integrità e quella dell‟impero. Vincere se
stesso, reintegrare l‟unità dell‟Essere, era la reale vittoria. Solo
allora sarebbe arrivata la soluzione, effetto e misura del suo grado di
impeccabilità: si sarebbe manifestata sotto forma dell‟arrivo di un
esercito alleato o della disgregazione dell‟esercito avversario, per
lotte interne, per intemperie, per carestie.
359
A Shanghai con il Dreamer
Con il Dreamer sentii viva e palpitante l‟intelligenza che
percorre da sempre la storia delle civiltà, dalle più antiche tradizioni
fino alla moderna storia del business. Dall‟impero cinese all‟impero
mediatico di Maxwell, da Walt Disney al reame di Artù, nei secoli
risuona una stessa, immutabile legge:
Quando il Re si ammala, la terra si ammala.
Perché il Re è la Terra, la Terra è il Re.
Anche la storica asserzione di Luigi XIV mi appariva ora
sotto la luce di una nuova intelligenza. “L‟Etat c‟est Moi” non era il
grido di un despota, l‟affermazione di una sovranità senza limiti,
come abbiamo creduto per secoli, ma la consapevolezza di un uomo
della perfetta coincidenza tra il suo destino personale e quello di
milioni di uomini, di un intero impero.
«Un leader, un businessman, un uomo di responsabilità sa
che il suo destino finanziario, la longevità e il successo delle sue
imprese, e perfino la sua salute fisica, sono direttamente connesse al
suo grado di integrità. La condizione per trasferirsi da un mondo
diviso a un mondo unito è una sola! C'é una sola cosa che dobbiamo
abbandonare… »
La breve pausa che seguì mi sembrò interminabile.
«La sofferenza»
«Non dovrebbe essere troppo difficile − affermai
prontamente − Chi non accetterebbe?”.
«Eppure per l‟uomo ordinario è proprio questa la cosa
impossibile» argomentò il Dreamer.
«Prendi il tuo caso. Tu vorresti rinunciare alla sofferenza,
ma questo comporterebbe la rinuncia a un mondo fatto di lotte,
conflitti, divisioni, che è il tuo mondo, l‟unico mondo che conosci.
Solo chi conosce se stesso può scoprire che „niente è fuori di sé‟...
che egli è solo nell‟universo, unico responsabile delle situazioni
in cui si trova e di tutto quello che gli accade.»
Qui il Dreamer si raddrizzò sulla schiena e lentamente
protese il collo verso l‟alto, come per avvicinarsi di qualche
millimetro al cielo. Poi disse:
«Per poter attirare qualcosa di miracoloso, per poter
dare concretezza all‟impossibile, un uomo deve innalzarsi
nell‟Essere, avvicinarsi a quella condizione di unità, di integrità,
360
La Scuola degli Dei
che è suo diritto di nascita… È la parte più vera, più concreta di
ognuno di noi: il Sogno.»
Il Dreamer chiuse gli occhi e recitò queste parole che
registrai fedelmente sul taccuino:
«Il Sogno è la cosa più reale che ci sia… Tutto quello che
vediamo e tocchiamo, e tutto quello che non vediamo, dagli atomi
alle galassie più lontane, non è che il riflesso del nostro sognare…»
15 La Realtà è il Sogno più il tempo
«Our future aim is to become one. Il goal è l‟unità
dell‟Essere. Quando dentro di noi è avvenuta questa unificazione,
quando abbiamo raggiunto uno stato di integrità, solo allora
esistono le condizioni per essere „toccati dal Sogno‟. La realtà è il
Sogno più il tempo.»
Registrai questo aforisma in termini di equazione tra i miei
appunti con la simbologia:
S+T=R
In questa forma un giorno l‟avrei comunicata agli studenti
della ESE trasferendo l‟intelligenza di questa visione e il segreto
dell‟immensa energia compressa nella sua formula.
Tutto origina dal Sogno. Tutto quello che vediamo e
tocchiamo, ogni cosa visibile, nasce nel grembo dell‟invisibile. Il
tempo lo rivela. Questo è il culmine ed il nodo del pensiero del
Dreamer, l‟architrave della Sua ferrea, coerente, sferica filosofia che
ha nutrito le radici della futura università e ne ha forgiato il motto:
Visibilia ex Invisibilibus.
«Dream… Dream… Never stop dreaming… Sogna!…
Vola!… E non smettere mai − mi incitò potentemente − Reality will
follow.»
Con questa esortazione il Dreamer sembrò concludere quella
seconda giornata con Lui a Shanghai. Nel ristorante eravamo rimasti
soli, il Dreamer ed io. Anche l‟orchestra jazz del foyer aveva smesso
di suonare. Dalla nostra finestra, l‟Oriental Pearl TV Tower
appariva come un immenso missile luccicante sulla sua rampa di
lancio, pronto a divorare lo spazio.
«Sogna… Sogna senza posa… La realtà seguirà!»
361
A Shanghai con il Dreamer
«Perché in tutta la storia del mondo gli uomini con un
Sogno sono stati così pochi?»
«Per essere „toccato dal Sogno‟ un uomo deve aver
raggiunto l‟unità dell‟Essere» rispose il Dreamer. Ricordo che
quell‟espressione mi penetrò sottopelle.
«Solo un individuo integro, indivisibile può sognare
intenzionalmente e realizzare che il Sogno è la cosa più reale che ci
sia.»
«E chi non sogna?» chiesi compenetrandomi con quanti non
sarebbero mai stati accettati nel ristrettissimo club dei sognatori.
«Tutti gli uomini sognano, tutti hanno il potere di creare il
proprio mondo ma solo pochi sono consapevoli e sanno che il loro
Sogno è potente… ha la forza di arricchire ogni cosa intorno a sé o
di alimentare l‟incubo del mondo. Solo pochi individui, attraverso la
volontà e la propria impeccabilità possono sognare un mondo
perfetto e dargli concretezza. È la condizione del guerriero,
dell‟eroe, dell‟uomo che ama.»
Il Sogno nella visione del Dreamer occupa il vertice nella
scala del reale come la cosa più concreta che ci sia, anzi come la
condizione stessa della concretezza.
Sentivo la mente stretta d‟assedio. Cento domande si
sovrapponevano e si accalcavano premendo per avere una risposta.
Prima che potessi aprire bocca il Dreamer mi anticipò
interrompendomi con un gesto deciso della mano.
«La volontà non puoi trovarla nel mondo − disse col tono di
provvedere un‟informazione risolutiva − la volontà esiste soltanto in
te… ma è sepolta. Bisogna disseppellirla!»
Non aggiunse altro e mi concesse qualche minuto per
completare i miei appunti e per riflettere su quest‟ultima asserzione.
Poi, riferendosi alla questione della impeccabilità, la definì come la
capacità di essere univocamente puntati nella direzione del proprio
Sogno, senza mai cedere, senza „peccare‟.
«Un uomo che ha costantemente presente il suo Sogno non
può essere corrotto… Tutto nella sua vita è impeccabilmente
focalizzato sulla sua grande avventura.»
Osservai che questa condizione mi sembrava piuttosto
diffusa.
«Apparentemente, tutti gli uomini fanno sforzi – argomentai,
con l‟intento strategico di spingerLo a dirmi di più su quel tema così
appassionante − tutti, o quasi, tentano di migliorare la propria vita,
362
La Scuola degli Dei
fanno dei progetti, hanno dei programmi, sono impegnati a
raggiungere qualche obiettivo.»
Il Dreamer mi chiarì la differenza tra sognare e
programmare. Gli uomini che nutrono un Sogno non hanno dubbi,
non sentono incertezza o paura. Ogni volta che volgono la mente al
loro Sogno, sentono rinnovarsi l‟entusiasmo, entrano in uno stato di
libertà. Perché il Sogno è connesso alla volontà, è la „vera‟ volontà.
Al contrario, chi ha un programma, chi si propone il raggiungimento
di un obiettivo, ogni volta che ci pensa sente l‟ansia assalirlo e cade
preda di paure e dubbi.
«La paura ed il dubbio sono il cancro del Sogno» affermò
laconicamente, coniando un‟altra delle Sue massime potenti e
spietate.
Fece una pausa. Ne approfittai per mettere in ordine gli
appunti che già coprivano pagine e pagine del taccuino. Restai a
lungo intento a quel lavoro quando sussultai al suono della Sua voce.
«La gente lavora, progetta e accumula con una forza e un‟energia
che potresti chiamare tenacia. Ma è solo paura… Scariche di
adrenalina, come tempeste elettriche, continuamente attraversano
guizzando l‟universo buio delle loro cellule. Questi uomini e donne
sembrano vitalmente impegnati, idealisti convinti o businessmen
determinati, ma in realtà sono gente leale alla morte e tutta sul
proprio libro-paga.»
La mia scrittura divorava il bianco delle pagine. Sentivo la
preziosità della sostanza che le Sue parole, la Sua presenza,
producevano. Le sentivo arricchire l‟aria e viaggiare instancabili
fino agli angoli più remoti del pianeta, fino nelle pieghe più nascoste
dell‟Essere di ogni uomo, per lenirne le ferite, per fugarne le ombre.
Ero turbato. Una emozione irragionevole, una specie di pianto,
dolcemente premeva contro le pareti dell‟Essere e ne faceva vibrare
ogni fibra. Sollevai la testa dagli appunti e vidi il Suo viso
avvicinarsi impercettibilmente al mio.
«Lavora per un ideale. Mettiti al servizio dell‟umanità che
sogna, che aspira, che chiede!» disse il Dreamer. Le parole che
seguirono non avrei potuto più dimenticarle, né eluderle.
«Strive constantly to perfect yourself. Try always to increase
your understanding. Pay in advance for your existence. Help others
in their efforts if there is a sincere request.
Questo lavoro devi farlo tu dall‟interno. Non posso più farlo
al tuo posto. Ho tentato l‟impossibile… Sono andato contro
363
A Shanghai con il Dreamer
l‟inflessibilità del tuo destino che ti aveva già condannato… per
darti un‟opportunità, per farti uscire dalla tua condizione.
Solo un uomo che ama può essere libero e solo un uomo
libero può amare. Libertà e amore sono le due facce della stessa
realtà.»
Le
indimenticabili
lezioni
sulla
dipendenza,
sull‟innamoramento, e l‟ultima sull‟unità dell‟Essere iniziata al
Peace Hotel, stavano trovando il loro epilogo sul lungofiume del
Bund in quelle parole che ora mi echeggiavano in petto potenti come
il grido di una grande rivoluzione.
«Chiedi di diventare un giorno il Dreamer − mi consigliò
con ferma dolcezza, ed aggiunse − Di tutti i possibili destini è il più
grande… Chiedi di diventare l‟inventore, il creatore del tuo
universo… Allora il mondo obbedirà ad ogni cosa che gli ordinerai
e ti darà tutto quello che desideri...»
A queste parole chiusi gli occhi. Mi sembrò che il cielo di
Shanghai fosse attraversato dalla più luminosa e auspicale delle
comete. Ebbi la certezza che quel desiderio poteva essere esaudito;
sarebbe bastato esprimerlo con sincerità! Ora o mai più, pensai. Non
avrei avuto una seconda chance. Ma ero come paralizzato.
Il Dreamer, e con Lui il mondo intero, sembrava in attesa,
sospeso al filo sottile del mio intento. Mai prima avevo percepito
così chiaramente che tutto dipendeva da me e che perfino il Dreamer
esisteva per me.
Il lavoro di anni, il mio lungo apprendistato, e tutti gli sforzi
speciali fatti, erano serviti a condurmi lì, a quel bivio cruciale. Ed
ora finalmente la grande impresa per la quale mi stava preparando da
tanto tempo sarebbe cominciata oppure sarebbe rimasta nel limbo
dei mondi possibili. Era tempo di spiccare il volo. Sul ciglio di
quell‟abisso senza ritorno, esitavo. Sentivo su di me il Suo sguardo,
la nascosta trepidazione del Dreamer. Allora seppi con assoluta
certezza che Lui era il solo Essere al mondo che mi avesse mai
veramente amato. Sentii le lacrime montare irresistibilmente e gli
occhi gonfiarsi nel tentativo di raccoglierle ed arginarle. Poi il
mondo si velò e dovetti smettere di scrivere.
364
La Scuola degli Dei
16 Essere toccati dal Sogno
Da quando Lo avevo incontrato, incessantemente il Dreamer
mi aveva spinto ad ampliare la visione, a cambiare le mie attitudini e
con esse il mio destino.
Attitudine ed eventi della vita sono inseparabili.
L‟attitudine è l‟evento.
Strategicamente, aveva usato ogni occasione, creato eventi,
incontri e circostanze, per accelerare il mio passaggio ad una fascia
più alta dell‟esistenza. Con l‟opportunità di guidare un‟impresa in
Kuwait, immesso nel ruolo di un imprenditore internazionale, il
Dreamer aveva perseguito quel disegno evolutivo che trovava
forza ed origine nella mia promessa. Quello che era accaduto in
Kuwait aveva segnato una brusca frenata ed era stato un vero e
proprio scivolone negli stati più bassi dell‟Essere. Davanti all‟abisso
tutto si trasformava in un pretesto per indietreggiare, per non volare:
Heleonore, i bambini, una malattia, la casa...
Ma ora non potevo più nasconderlo né mentire a me stesso.
In Kuwait per l‟ennesima volta ero fuggito davanti al passaggio a un
grado superiore di responsabilità, di comprensione! Avevo tradito la
parte più alta di me. Heleonore era stata soltanto un pretesto.
«Next step is always unknown and invisible − disse − Il
passaggio agli stati superiori è sempre un salto nel vuoto. Per farlo
devi „morire‟ a tutto quello che sei stato fino ad oggi.»
«Percorrere anche un solo millimetro nell‟Essere, è un
salto mortale, una capriola cosmica che solo pochi possono fare −
disse il Dreamer entrando tra quei pensieri e cogliendo la vera
essenza della mia condizione − La vera differenza tra due uomini è
l‟ampiezza del loro Sogno. Un uomo costantemente preoccupato
della sua sopravvivenza, che pensa solo a sé − tra l‟altro ad un
falso sé, perché non si conosce − non può essere „toccato dal
Sogno.»
Solo alcuni anni dopo, in occasione di un mio viaggio in
Macedonia, sul monte Olimpo, avrei scoperto che per l‟uomo così
com‟è, per gli egoisti, i greci antichi avevano coniato il termine
„idiotes‟. L‟idiota era per i greci l‟opposto del demiurgo, del leader,
di chi fa per gli altri”.
365
A Shanghai con il Dreamer
«Un imprenditore, dietro l‟apparente ricerca di un
tornaconto, di un profitto, più profondamente di quanto lui
stesso possa sapere, è al servizio di un progetto; è già un uomo che
fa per altri uomini; sa che il loro miglioramento è il suo successo.
La sua vita è dedicata. Non ha scelta. Come il capitano di un
antico veliero, egli sa che dovrà tornare con la nave o affondare
con essa.»
Col Dreamer stavo scoprendo che solo il Sogno può farci
liberi, sconfiggere in noi ogni limite. Solo il Sogno può trasformare
la povertà in prosperità, le difficoltà in intelligenza, la paura in
amore. Solo il Sogno può permetterci di varcare le soglie del
paradiso perduto.
«Il paradiso non è il mondo dell‟aldilà... Il paradiso è
questo mondo… in assenza di limiti − mi disse − Essere toccato dal
Sogno significa ricevere il dono di una grande avventura personale,
significa incontrarsi faccia a faccia con la propria unicità.»
«Gli uomini, devoti ad una descrizione del mondo fondata
sulla scarsità e sulla paura, non possono essere toccati dal
Sogno… perché il sogno è libertà ed essi sin da bambini, sorvegliati
da sacerdoti della dipendenza e profeti di sventure, sono stati
educati alla prigionia. È così che milioni di uomini dipendono per la
loro sopravvivenza da altri. Essi sono riconoscibili per essere
marchiati dall‟assenza più totale di gratitudine e dall'incapacità di
amare.»
«Giving is self giving… Per dare bisogna avere e per avere
bisogna essere.»
Stava per continuare, e le Sue labbra già si schiudevano forse
per parlarmi del Progetto, quando si fermò per osservarmi meglio.
Sentii il Suo sguardo penetrarmi fino in fondo all‟anima.
L‟espressione che vidi formarsi sul Suo viso, come per la scoperta
della mia irrimediabile inadeguatezza al compito che mi aspettava,
mi fece sentire come un vagabondo che si fosse presentato per
l‟ammissione al più aristocratico dei club.
«Sai qual è la differenza tra noi?» chiese in tono secco,
ruvido.
Rimasi in silenzio, colto di sorpresa da un approccio così
diretto da parte del Dreamer che, dopo anni di assoluto riserbo,
sembrava ora puntare senza mezzi termini alla misteriosa questione
della Sua natura.
Chi era veramente il Dreamer?
366
La Scuola degli Dei
Attese finché fu evidente che nessuna risposta Gli sarebbe
mai arrivata da me, e disse:
«La differenza tra noi è che i miei atomi danzano ubriachi di
immortalità − “of the everlasting nectar of immortality” furono le
Sue esatte parole − e tu sei attratto e governato da tutto ciò che è
mortale… Io ho vinto la morte e tu hai investito tutto sulla sua
ineluttabilità.»
Annaspai, e non ne sarei venuto fuori se il Dreamer non fosse
venuto in mio soccorso. Fu allora che gli sentii ripetere quelle tre
indimenticabili parole.
«Io sono tu!» disse, e il richiamo di questa espressione ebbe
il potere di divorare distanze siderali tra i nostri esseri. Mi ritrovai
vicino a Lui come non mai. Quando Gli sembrò che avessi assorbito
almeno il primo impatto di quelle Sue parole, aggiunse:
«Io sono stato te e tu sarai Me. Ci dividono eoni di tempo ed
un abisso nella coscienza. Accelera! Mandandoti in Kuwait ti ho
dato una goccia e tu l‟hai scambiata per l‟oceano. Ora che voglio
darti l‟oceano, tu indietreggi.»
Chiusi gli occhi, sentii la velocità insostenibile cui mi stava
spingendo e temetti di non farcela. Mentre ancora parlava, mi
rincantucciai in un angolo dell‟Essere e lì attesi che passasse la
burrasca. Qui venne a stanarmi. Il cambiamento di tono fu
improvviso e la Sua voce mi esplose in petto così potentemente che
fui pervaso da un arcano terrore.
«Prendi una decisione una volta e per tutte!» tuonò. Nella
Sua voce c‟era la determinazione spietata e l‟eroica ferocia di un
condottiero che grida ordini nel mezzo di una battaglia mortale.
«Lavora notte e giorno al tuo miglioramento e non
dimenticare mai più la tua promessa.»
«Qual‟ è la promessa che ho dimenticato?»
«La promessa di cambiare! − disse − Una promessa che non
hai fatto solo a te stesso ma a tutti gli esseri luminosi, visionari, che
vorranno intraprendere questo cammino.»
«Come farò a cambiare?»
«Sogna un nuovo Sogno. Sogna un nuovo mondo!… The
world is as you dream it. Il mondo è come tu lo vuoi!...Tu l‟hai
voluto violento, falso, mortale. Il mondo sarà diverso quando il tuo
Sogno cambierà!»
«Il tuo continuo rimpiangere il passato ti riporta sempre nel
vecchiume… » riprese dopo una lunga pausa.
367
A Shanghai con il Dreamer
«Abbandonalo! − ordinò − È tempo di dedicarti „full time‟ al
Progetto.»
Promisi con la massima sincerità e solennità che non avrei
più mancato e che nulla avrei più anteposto alla mia evoluzione. Il
Dreamer mi fissò negli occhi a lungo ed io sostenni quell‟esame.
Sentii crescere l‟ansietà per il suo esito, finché il balenio di una
benevolenza severa nel Suo sguardo mi diede un po‟ di sollievo.
«Promettere nel „lavoro‟ non ha senso. La promessa di un
uomo ordinario è già una menzogna. Cambia la tua attitudine,
ora!… Questo è il vero agire. I fatti, le circostanze e gli eventi della
vita cambieranno nel tempo. Lascia quel lavoro e trasferisciti a
Londra. Lì incontrerai uomini e donne che sono pronti a lavorare
con te. Saranno le colonne portanti di una grande rivoluzione: una
rivoluzione individuale, psicologica, planetaria che cambierà dalle
fondamenta il modo di pensare e di sentire di un‟umanità ormai
incapace di affrontare le sfide che l‟attendono.»
368
La Scuola degli Dei
CAPITOLO IX
Il Gioco
1 Credere per vedere
L‟influenza del Dreamer nella mia vita cominciava a dare
risultati sorprendenti. In pochi giorni, e senza alcuna esitazione,
avevo venduto la casa di Chià, lasciato il lavoro alla ACO
Corporation e trasferito la famiglia a Londra in una elegante villa
georgiana immersa nel verde di Hampstead.
Seven Oaks era stata la residenza di un importante uomo
d‟affari. Architettura, oggetti e arredi, dipinti e statue antiche, erano
l‟espressione emblematica di un‟aristocrazia imprenditoriale sobria e
potente. Seven Oaks era soprattutto uno straordinario laboratorio
alchemico. Il „genio‟ di quella casa mi formava e mi trasformava,
risvegliando in me una chiarezza, un‟attitudine coraggiosa e tanta
forza di „fare‟.
Lì, in quella residenza, guidato dal Dreamer, avrei dedicato
tutti i miei sforzi ad estirpare la menzogna dalla mia vita, una volta
per sempre. Lì avrei imparato a porre fine a quel canto di dolore,
fatto di inquietudine e dubbi, e a rafforzarmi in quella potente
disciplina che il Dreamer chiamava „arte del sognare‟: l‟arte di
credere in se stessi, l‟arte di armonizzare gli opposti, di trasformare
avversità e antagonismi in eventi di ordine superiore.
Col Dreamer al mio fianco mi sentivo sicuro, invulnerabile.
Accanto a Lui i cambiamenti più radicali, apparentemente più
temerari, come quelli che stavano avvenendo in quei giorni,
entrarono nella mia vita con semplicità e ne scompigliarono l‟ordine
con dolcezza. Quel salto nel vuoto, anziché scombussolare la mia
esistenza, ne raccolse a pugno i frammenti sparsi e li unì
potentemente.
369
Il Gioco
Heleonore e i miei figli affrontarono quei cambiamenti senza
difficoltà. Si sentivano protetti. La mia determinazione dava loro
sicurezza.
Eppure quella determinazione, la forza con cui avevo preso
quelle decisioni, non erano possedute. La fiducia in me stesso che
accanto al Dreamer non conosceva tentennamenti né dubbi,
vacillava non appena deviavo dai Suoi insegnamenti. Quello che
accadeva intorno al Dreamer, quella gestione dell‟Essere che
governava eventi, fatti e circostanze, che rendeva il mondo
ubbidiente, arrendevole e modellabile come creta, era per me ancora
incomprensibile.
Trascorsero mesi. Lontano dal Dreamer il Sogno cominciò a
curvare; il passato prese il sopravvento. Col raffreddarsi in me dei
princìpi del Sogno, l‟aria fuori si fece gelida e si oscurò. Nel mio
universo, ora lento e denso, anche il più piccolo movimento era
diventato difficile, penoso. Ogni aspetto della mia esistenza
attraverso tanti sintomi cominciava a denunciare il mio guardarmi
indietro, il dubbio, il rimpianto.
Com‟era già accaduto al ritorno dal Kuwait, più curvavo e
più sentivo la necessità di programmare e fare piani. I miei calcoli
mi portarono alla convinzione che quel tenore di vita avrebbe
prosciugato in poco tempo tutto quello che avevo.
Il ritmo della vita accanto a Lui era insostenibile. Facevo fatica a
starGli dietro. Per il Dreamer non c‟erano limiti e niente era troppo
costoso.
Tutto è alla nostra portata.
Il limite è in noi.
Quella vita mi parve troppo rischiosa. La paura di restare
senza soldi mi spinse ad aprire un nuovo conto presso una banca di
Londra. Depositai una buona parte del ricavato della vendita della
casa di Chià, promettendomi di toccare quel denaro solo „in caso di
necessità‟. Di questo non dissi nulla al Dreamer. La certezza di poter
contare su quella somma se le cose si fossero volte al peggio mi
confortava nei momenti di abbassamento quando l‟angoscia mi
invadeva e padroneggiava la mia vita. Quel conto era diventato una
protesi psicologica che aveva preso il posto della fiducia in me
stesso e del coraggio. Ammantai di falsa responsabilità quella
decisione; proprio come avevo già fatto anni prima inserendo la
370
La Scuola degli Dei
clausola del rientro nel contratto con la ACO Corporation. Questa
ricorrenza era un segnale certo della mia caduta nei solchi di una
ripetitività mortale. Quando i sintomi di una mia imminente caduta
si fecero più forti, confessai al Dreamer ogni cosa e chiusi quel
conto prima che il passato potesse risucchiarmi, senza possibilità di
ritorno.
“Ogni uomo crede in qualcosa… credere non è difficile…
ma disseppellire la volontà, scegliere la propria predilezione e
perseguirla fermamente è solo per pochi... Obbligarsi a credere è
più alto del credere…”
A conclusione del Suo discorso il Dreamer coniò uno dei
Suoi paradossi tra i più mirabili, ma anche tra i più enigmatici, il cui
significato mi sarebbe stato rivelato solo molto tempo dopo.
“'Credere senza credere' questo è il vero atto creativo −
disse − È uno stato d'Essere accessibile solo a chi conosce e
applica L'Arte del Recitare e ha raggiunto l'unità dell'Essere.”
“Uomini speciali in ogni epoca hanno trovato i capitali per
realizzare le loro imprese impossibili solo dopo aver eliminato dal
loro Essere ogni forma di dubbio. Il vero capitale è dentro di noi. Le
risorse che troviamo sono il riflesso materiale di una prosperità
interna che, quali che siano le circostanze, sappiamo alimentare
dentro di noi.
Non separarti mai dai princìpi del Sogno. Mantienili
sempre vivi. Non permettere che si raffreddino in te, e vedrai che
ogni cosa si volgerà a tuo vantaggio; anche la storia, la parte più
grossolana e superficiale dell‟esistenza, ti darà ragione.”
Le Sue idee mi ispiravano ma non era facile metterle in
pratica! La filosofia del Dreamer mostrava tutta l‟impervietà di un
cammino riservato a pochi, quando arrivava il momento di
applicarla. Eppure, sul crinale tracciato da questa Sua visione, come
un immenso spartiacque, l'intera massa umana si divideva in due
parti: l‟una, fatta di uomini fragili e incompleti, influenzati da tutto e
da ogni cosa, che seguono e dipendono, anche quando credono di
governare; l‟altra, fatta di un manipolo di uomini verticali, esseri
integri, dotati di una fede incrollabile e determinazione. Sono questi
che sostengono il mondo. Per il Dreamer solo apparentemente la vita
di un paese, o di intere nazioni, è guidata dai suoi governanti; in
realtà il loro destino è deciso dall‟integrità di pochi individui. Se essi
mancano, la sorte di vaste regioni del pianeta e perfino di intere
civiltà, è già segnata.
371
Il Gioco
Dietro gli uomini che sembrano fare, dietro i capi
riconosciuti delle organizzazioni mondiali, degli organismi politici e
umanitari, dei grandi imperi del business e della finanza, dietro
magnati, tycoon e leader, ci sono uomini semplici, sinceri, sobri che,
immobili, invisibilmente guidano attraverso il „non fare‟.
“Un uomo che crede in se stesso fa un passo apparentemente
nel vuoto, e solo allora, immancabilmente, vedrà il terreno
materializzarsi sotto il suo piede, per dar ragione alla sua pazzia
luminosa… Credere per vedere e mai viceversa!”
Ma a quel tempo le qualità per appartenere a questo club di
uomini speciali erano per me ancora inaccessibili. Col crescere dei
dubbi e della paura facevo e rifacevo i conti arrivando sempre allo
stesso risultato: il denaro ricavato dalla vendita della casa di Chià
sarebbe bastato solo per pochi mesi. Non avevo alcuna idea di cosa
avrei fatto in futuro. Ero senza programmi e senza lavoro. Il vecchio
mondo mi abbandonava e il nuovo non mostrava ancora i primi
barlumi.
2 Cambia la tua vitaaa!
Un episodio, all‟inizio di quella nuova avventura, fu
particolarmente significativo, e decisivo. Quando ancora cercavo
casa per trasferirmi a Londra, avevo avuto modo di illustrarGli varie
soluzioni abitative. Preoccupato, guidato dal timore di non avere
sufficienti mezzi ed incerto su cosa mi avrebbe riservato l'avvenire,
anche le abitazioni meno pretenziose mi sembravano troppo care. Fu
così che in quell'incontro caldeggiai la scelta di un appartamento non
molto grande, ma a mio giudizio più che adeguato, ben arredato,
situato in una tranquilla stradina tra Marylebone Road e Regents
Park. Non potrò mai dimenticare la Sua reazione. Essa resterà per
sempre tra gli insegnamenti più preziosi.
Le Sue parole mi investirono come un getto d‟acqua gelida.
«Tu puoi solo scegliere te stesso, i tuoi limiti, la tua
mediocrità − fu la Sua reazione alla mia proposta, il tono era
sprezzante − Passano gli anni ma la tua vita non cambia. The world
is such because you are such… Entra nella visione di un dreamer e
smettila di crederti un miserabile. Qualunque siano le condizioni
che governano l‟esistenza di un uomo, esse corrispondono
mirabilmente alle sue aspettative.»
372
La Scuola degli Dei
Ricordo che tentai una difesa. Sostenni che le mie scelte
erano da attribuire alle condizioni in cui Lui mi metteva. Nel caso
specifico, giudicavo semplicemente assennato prendere decisioni ed
assumermi impegni tenendo conto di possibili, future difficoltà. Ben
altre sarebbero state le mie scelte se solo avessi potuto contare su
adeguate risorse…
«Ogni cosa deve essere guadagnata. Le difficoltà che metto
sulla tua strada sono benedizioni mascherate. In realtà esse sono
pietre miliari verso l‟integrità, l‟intelligenza.»
Credevo che mi prendesse in giro. Dopo anni di lavoro con il
Dreamer credevo di aver già sopportato ogni shock del pensiero, di
essere pronto ad accettare il capovolgimento di qualunque idea o
convinzione ordinaria e di saper persistere nonostante ostacoli e
delusioni. Ma sbagliavo.
«Non hai più tempo per indulgere. Trascendi, trascendi
continuamente ogni raggiungimento, ogni apparente successo. Non
rimanere neppure per un attimo nei vecchi solchi, nelle vecchie
convinzioni. Trascendi te stesso. Il male è il bene di ieri non
trasceso.»
Avevo i muscoli del viso contratti e non sapevo più che
faccia fare. Avrei voluto ribellarmi, gridare tutta la mia avversione
per quella visione che non lasciava spazio a giustificazioni, ad
accuse, lamentele o rimpianti… La frustrazione, l'impotenza,
formarono un groppo unico che mi stringeva la gola. L'unica
emissione che mi riuscì fu un suono inarticolato. Tentai di
ricompormi, provai a ordinare le idee per dire qualcosa che avesse
senso, ma...
«Cambia la tua vitaaa!» gridò il Dreamer con tutta la
potenza della Sua voce. Vidi le vene delle tempie e del collo gonfie
come torrenti in piena ed ebbi paura. Quest'urlo vibrò nell'aria, e
restò sospeso tra noi, per un'assordante eternità. La visione di un
guerriero soffiante nel suo corno da guerra mi balenò davanti per la
frazione di un istante. Non feci in tempo a registrare questa
immagine che il Dreamer aveva già ripreso la sua tuonante invettiva.
«Tu ancora proietti il tuo passato. Vendere la tua povertà
non serve! Insieme alla casa di Chià hai ceduto la tua scarsità, la
tua sofferenza. Stai attento a non portare con te il tuo passato, con
le stesse miserie di sempre… Ricorda… Past is Dust.
373
Il Gioco
Non andare nel mondo proponendo te stesso… Sono ancora troppi i
segnali di scarsità… Porta la Mia presenza… le Mie parole…
Porta Meeee.»
A questo nuovo urlo, ancora più insostenibile, un terrore
senza confini mi scoppiò dentro. Sentii la sua chimica dilagare in
ogni angolo dell'Essere e divorare le distanze immense che
esistevano tra me e me. Sotto quel grido, mentre ancora
assurdamente perdurava, ogni barriera interna cominciò a sgretolarsi
e a cadere in rovina, come le mura di Gerico sotto i decibel dei corni
di Giosuè. Mi sentii sano, unito, come non ero mai stato prima.
Improvvisa com'era nata, quella tempesta si quietò e il
Dreamer ritornò al Suo normale atteggiamento, come se nulla fosse
accaduto. Seguì una pausa. In quei pochi secondi feci in tempo a
illudermi che fosse finita. Stavo a malapena riprendendomi, quando
gli vidi accostare lentamente gli indici verticalmente agli angoli
della bocca. Osservai quel gesto prendere un tempo infinito per
compiersi, come una sequenza in slow motion. Seguii con
apprensione, poi con inquietudine, infine con una crescente angoscia
ogni fotogramma di quel Suo movimento che sembrava far parte di
un ignoto rito guerriero. La sua eccentricità, l'estrema lentezza con
cui lo compì, caricarono quel gesto di un significato
inspiegabilmente minaccioso... spaventoso. Ero senza fiato, le
emozioni completamente in subbuglio.
Quando finalmente capii che i due indici ai lati della bocca
stavano simulando un megafono temetti un altro di quei formidabili
urli capaci di registrare nella carne i Suoi insegnamenti. Ma questa
volta il Dreamer non gridò. Avvicinò il viso ancora di qualche
millimetro e poi, con voce appena percettibile, sibilò:
«La casa che stai cercando a Londra non è per te, è per il
Dreamer! Ricordatelo! Se porti te, quello che ti verrà incontro sarà
fragile e scarso come il tuo mondo… Metti da parte le tue
preoccupazioni e avvicinati a Me. Scoprirai che gli ostacoli non
esistono, che l'unico vero ostacolo sei tu, la tua irriducibile fede nel
limite.»
Da quel giorno, le agenzie cominciarono a propormi
soluzioni di tutt'altro livello. Il Dreamer come sempre aveva ragione.
Modificata la mia attitudine il mondo seguiva come un‟ombra. Non
cercai più una casa per me, ma per il Dreamer. Quando trovai Seven
Oaks la riconobbi. Era quella la casa dove avrei continuato il
374
La Scuola degli Dei
„lavoro‟. In pochi giorni Heleonore organizzò il trasloco dall'Italia e
ci trasferimmo con i bambini.
Allora non potevo saperlo, ma quella residenza fuori da ogni
parametro ragionevole, era fatta per gettarmi nel baratro; era
sicuramente una strategia del Dreamer per accelerare i miei tempi
ma io non riuscivo a darmi una ragione di quella messa in scena.
Senza il Suo aiuto non avrei neppure potuto immaginare di fare un
tale passaggio. Seven Oaks rappresentava lo sfondamento di una
barriera, lo strumento per sbriciolare una geologia interna, fatta di
povertà e ignoranza stratificate negli anni. Era una carica di dinamite
per far breccia nei bastioni che difendevano quell‟incubo,
l‟identificazione con un mondo povero, limitato, infelice.
3 Il Pagamento
«Il denaro non è reale. Ciò che è reale è la visione di un
uomo, sono le sue idee. Le risorse e il denaro ne sono solo la
conseguenza naturale… si allineano e prendono le proporzioni del
suo Sogno…»
«Ma se proprio sei convinto che il tuo problema è la
mancanza di denaro − disse con serafico sarcasmo − allora va in
banca e chiedi un prestito!»
«Magari!» mentii d'impeto. La bocca dello stomaco si era
stretta in un nodo al solo pensiero dell'incontro con un cerbero
bancario e di ottenere un prestito impossibile. Internamente,
accusavo il Dreamer di avermi messo in quelle difficoltà. La
preoccupazione si trasformò in aggressività e sbottai:
«E poi, su che basi me lo concederebbero?»
«Il mondo sa!… La Banca sa! − affermò − La Banca come il
mondo non è fuori di te. Ti può concedere solo ciò che già
„possiedi‟.»
Con un movimento rapido della testa, teatralmente, scrutò a
destra e a sinistra, per accertarsi che fossimo soli e nessuno potesse
carpire il segreto che stava per confidarmi. Poi, sottovoce, disse:
«Nell‟universo non c‟è nulla che ti può essere donato. Un uomo può
ricevere solo ciò che ha già pagato.»
Quella pantomima mi colse di sorpresa; non feci in tempo a
riadattare i muscoli facciali che il Dreamer era già rientrato nella Sua
abituale severità.
375
Il Gioco
«Il „pagamento‟ può avvenire nel tempo o in assenza di
tempo!» enunciò. La lunga pausa che seguì ingigantì la portata di
questa dichiarazione e preannunciò l‟intensità di quanto stava per
dire:
«Se c‟è una differenza tra gli uomini è nel modo che essi
stessi hanno scelto per pagare… Un uomo che crede in se stesso ha
già pagato per tutto quello che possiede. Il suo vero business, la sua
sola occupazione, è mantenersi intatto e non permettere a niente e a
nessuno di intaccare la sua totalità. Egli sa che è questa sua
indivisibilità che crea ricchezza. Egli sa che il suo destino
finanziario dipende dal suo grado di integrità.
Ogni sforzo che farai per vincere il canto di dolore che hai
dentro, si tradurrà in potere finanziario. Tutte le volte che viaggerai
nella direzione opposta alla moltitudine, creerai ricchezza nel
mondo degli eventi.
Nothing is external.
L‟autosservazione, la capacità di circoscrivere un‟emozione
negativa, un dolore, un dubbio, è denaro che ti viene incontro.
Il mondo degli eventi è troppo lento per riconoscere chi ha
pagato anticipatamente, chi ha già saldato i suoi conti
nell‟invisibile. Ha bisogno di tempo per registrare quei crediti, ma
la sua amministrazione è infallibile.»
Qui si fermò a guardarmi intensamente. Nei Suoi occhi lessi
la gravità della rivelazione che stava per farmi e ne intuii la
dolorosità.
«Tu, come milioni di uomini che amano dipendere, hai scelto
di pagare con il denaro del tempo: il dolore!» disse col tono di un
amaro riscontro.
«Credito e debito sono la stessa, identica cosa, divisi dal
tempo... Il futuro sa! Ottenere credito è soltanto un segnale
luminoso che indica che il pagamento è già avvenuto. Se ti è stato
concesso significa che l‟hai già pagato.»
Ero strabiliato. Il Dreamer mi stava comunicando un segreto
che nessun economista aveva mai potuto scoprire e tantomeno
formulare in una legge così importante per spiegare l‟ardire, la
visionarietà, il senso di certezza di statisti, capitani d‟industria e
sognatori del business; una teoria dell‟imprenditorialità e della
pazzia luminosa di leader le cui imprese, scelte, decisioni, spesso
cruciali per il futuro di tanti uomini, sono sempre apparse temerarie
se non folli agli occhi dell‟uomo comune.
376
La Scuola degli Dei
«E allora, come mai anche con a capo uomini di valore,
grandi imperi finanziari o industriali sono caduti?» cercai di
obiettare. Il Dreamer stava accelerando ed io affannavo a starGli
dietro.
«Nella vita come nel business c'è un solo modo per perdere:
smettere di credere in se stessi!»
Nell‟Istituto di Economia a Napoli, col mio maestro
Palomba, sul sentiero tracciato prima di lui da Amoroso, avevamo
avanzato i primi passi nel territorio del Sogno, delle idee universali
che infiammano l‟uomo e costituiscono potenti forze economiche e
di azione sociale. Ma era nulla paragonato a quanto stavo
sperimentando col Dreamer.
«Come può un uomo controllare eventi e fenomeni di
dimensioni planetarie come l‟andamento dei mercati, le quotazioni
di borsa, il clima politico, il quadro legislativo, le relazioni
internazionali?»
«Esiste un‟arte del sognare, l‟arte di credere e di creare, una
capacità di innalzare l‟Essere a più alti livelli di responsabilità per
attrarre nuove idee e possibilità più grandi di fare e di avere.
L‟economia, la politica, e anche la storia, obbediscono alle
leggi dell‟Essere. Una mente allenata al limite, al finito, non può
capirlo. Devi solo sapere che l‟universo che ti circonda è un
granello di sabbia nei confronti dell‟Essere.
Più sei più hai. Un uomo che crede in se stesso riceve tutte le
risorse per affrontare qualunque impresa, anche quelle impossibili.
L‟economia di un uomo corrisponde perfettamente al suo grado di
integrità. Più sei, più hai e mai viceversa.»
Mi concesse una pausa ed io l‟occupai per riflettere sulla Sua
risposta. “Più sei più hai. Più sei più hai”, mi ripetevo… ma quel
concetto, così semplice eppure così potente, mi eludeva. Non
riuscivo a contenerlo, a farlo diventare parte di me.
Finalmente un pensiero si fece spazio... La qualità crea la
quantità. Ecco il grande segreto. Un‟economia qualitativa avrebbe
guidato l‟umanità futura ed avrebbe portato soluzione a tutti i suoi
problemi, una guarigione planetaria. La qualità del pensiero di un
uomo crea la sua economia. Soltanto un‟economia qualitativa può
produrre una ricchezza reale, inalienabile, permanente. Era
meraviglioso. La filosofia del Dreamer stava annunciando un nuovo
modello economico, mi stava donando la formula di un
377
Il Gioco
insegnamento totalmente sconosciuto alle scuole di economia e al
mondo del business.
«L‟economia non potrà essere guidata dagli economisti −
disse, penetrando tra quei miei pensieri in subbuglio − Nel prossimo
futuro ogni organizzazione, dalla più piccola impresa alla più
grande multinazionale, sarà un‟impresa ideologica, una Scuola
dell‟Essere. Dalla sua filosofia dipenderanno il suo successo, la
sua longevità, il suo destino. Al vertice di ogni organizzazione
ci saranno filosofi d‟azione, poeti e visionari, utopisti
pragmatici, capaci di penetrare nell‟Essere e nutrirne le radici. Il
più piccolo allargamento della visione, un innalzamento della
comprensione, muove montagne nel mondo dell‟economia e della
finanza.»
4 Noi siamo l‟arco, la freccia e il bersaglio
Da quando risiedevo a Seven Oaks avevo ripreso a fare
jogging ogni giorno. Mi bastava attraversare la strada per trovarmi in
Hampstead Heath dove potevo correre lungo i suoi viali, intorno ai
laghi e giù per i pendii erbosi di Parliament Hill. Quella mattina
avevo corso con rabbia, senza risparmiarmi, per espellere l‟angoscia
e i dubbi che crescentemente mi assalivano e tentavano di radicarsi.
Erano passati mesi dall‟ultima volta che avevo visto il Dreamer.
Lasciato il lavoro, venduta la casa di Chià, mi ero trasferito a Londra
e in tutto questo tempo non avevo ricevuto da Lui alcun messaggio.
Senza un ruolo né impegni di lavoro, senza incontri e senza
programmi non sapevo dare un significato alla mia esistenza. Mai
prima di allora avevo potuto riconoscere con tale evidenza quanto il
rapporto con gli altri e con il mondo esterno, in tutte le sue
caleidoscopiche manifestazioni, fosse importante per me. Soprattutto
l‟ansia e le preoccupazioni, che allora identificavo con l‟idea stessa
di responsabilità, il contrasto e le frizioni, che consideravo naturali,
inevitabili effetti delle relazioni tra gli uomini, erano diventati una
droga la cui privazione stava producendo gli effetti di una vera e
propria crisi d'astinenza.
Il dolore è tutto ciò che gli uomini conoscono…
Dà senso alla loro esistenza. Li fa credere vivi.
378
La Scuola degli Dei
Avevo avuto modo di riflettere a lungo su queste parole. Da
mesi stavo sperimentando sulla mia pelle quanto paradossale fosse la
condizione umana. Negli stati di serenità, di gioia, nell‟assenza di
ogni dolore, un uomo si sente annullare. Una volta il Dreamer mi
aveva detto che uno stato di gioia non può essere sperimentato
dall‟umanità così com‟è; anche un solo attimo di felicità è
insostenibile.
“La gioia, la serenità, la gratitudine, l‟amore, sono stati
d‟Essere che l‟umanità così com‟è non può provare. Semmai
potessero entrare nella vita di un uomo ordinario, gli apparirebbero
come inferno nel suo inferno. La felicità può appartenere solo a chi
conosce l‟arte del sognare. Solo un uomo che ama, un uomo che
sogna, può sostenere l‟energia che l‟assenza di dolore genera.”
Al termine della corsa, avevo imboccato Courtney Avenue a
tutta velocità. Come spesso facevo, negli ultimi metri avevo
accelerato il passo. Il pensiero di una doccia calda mi dava fiato e
metteva nuova forza nelle gambe.
D'un tratto sentii la Sua presenza. Era una sensazione
inconfondibile. Lui era lì. Il Dreamer era arrivato! Diedi un'occhiata
al mio abbigliamento, alla tuta bagnata di sudore ed alle scarpe
infangate. Decisi di fare il giro della casa ed entrare dal retro,
dall‟ingresso che dava sul giardino. Da lì avrei potuto sgattaiolare in
camera, lavarmi e rendermi presentabile. Questo, almeno, era quanto
confessavo a me stesso. In verità, il pensiero di incontrare il
Dreamer, specialmente quando non lo vedevo da tempo, produceva
in me sentimenti contrastanti. VederLo, sentire la Sua voce, o anche
soltanto ricordare le Sue parole, era un'accelerazione dell‟Essere,
una compressione del tempo che mi metteva affannosamente al
„lavoro‟. Amavo e detestavo lo sforzo improvviso di dover
ricomporre i frammenti sparsi di un corpo che in assenza del
Dreamer si era smembrato. Era come un brusco risveglio che mi
obbligava a riconoscere che nella dimenticanza perdiamo la nostra
identità e diventiamo folla, moltitudine.
Non feci in tempo a poggiare il piede sul primo gradino della
scala che portava alla mia camera, che la Sua voce, inconfondibile,
mi raggiunse raggelandomi sul posto.
«Stai rimpiangendo il passato!» esordì a voce alta dando un
brusco avvio al nostro incontro.
379
Il Gioco
Il Dreamer aveva sintetizzato in quelle poche parole tutto il
travaglio degli ultimi mesi ed il mio stato d‟animo. Mi sentii colto in
flagranza.
Sì! Da mesi stavo rimpiangendo il passato! Come gli ebrei
dell'esodo, pronti a barattare la loro libertà, avrei preferito la
sicurezza delle vecchie costrizioni a quella solitudine, a quella vita
senza senso. Avevo bisogno di adorare l‟idolo del mondo, avevo
bisogno di ritornare nella mia abituale confusione. Se solo avessi
potuto, sarei tornato nel grembo famigliare dell‟irresponsabilità,
della dipendenza. Avrei mille volte preferito la villetta di Chià a
quella ricca residenza londinese che ero impreparato a possedere,
che mi faceva sentire piccolo, irreale.
Nei momenti di lucidità capivo che il Dreamer mi spingeva
verso limiti che non avrei mai varcato, mi metteva in situazioni che
non avrei mai sperimentato. Accanto a Lui ero costantemente in
bilico su un abisso, come un funambolo. Sotto, senza rete, lo Stige
della mia vita, una gora di acque putride e dense di malessere e
grossolanità.
Fin dal primo incontro il Dreamer mi aveva premunito contro
le insidie di questo deserto; contro gli agguati degli invisibili
predatori che avrei incontrato nel suo attraversamento. Ricordai le
parole della vigilia della partenza per Londra:
“AIM... I AM... Noi siamo il nostro obiettivo… noi siamo
l'arco, la freccia e il bersaglio… The aim, lo scopo, che sembra
sempre fuori di noi, è in realtà l‟anagramma, l‟altro profilo di I am.
Questo ci riporta all‟attimo, alla compressione del tempo,
all‟eliminazione di ogni distanza da noi stessi. L‟arte suprema è il
nostro cambiamento che può avvenire soltanto in quest‟attimo.
L‟esistenza di un uomo ordinario, per quanto possa
apparire intensa ed indaffarata, è soltanto un continuo indulgere in
una ripetitività senza senso. Il goal della nostra vita è fare di noi
un capolavoro… È un viaggio che tutti prima o poi, nel tempo
di una vita o in cento vite, dovranno affrontare. Non c'è nessun
altro obiettivo e non c'è niente di più eccitante al mondo…”
Lentamente mi slacciai le scarpe e le lasciai lì dov'ero.
Scalzo, seguii la direzione da cui mi era arrivata la voce del Dreamer
e, silenziosamente, feci capolino dallo stipite della porta del
soggiorno.
380
La Scuola degli Dei
5 “Sono venuto a liberarti!”
L‟ostentazione della mia stanchezza per la corsa fatta,
sceneggiata da un esagerato bisogno di appoggiarmi allo stipite e da
un respiro affannoso, irritò il Dreamer.
«Raddrizzati sulla schiena e non appoggiarti a niente! − mi
ordinò − Non permettere a nessuno di vederti stanco o indebolito.»
Con un gesto imperioso mi zittì prima ancora che aprissi la
bocca per giustificare.
«Non accusare la corsa… Seppure avessi fatto una maratona
completa non avresti il diritto di mostrarti sofferente o esausto. Dì a
te stesso: avrei potuto fare molto di più!… »
Quelle parole furono una sferzata che spazzò via d'un colpo i
miei pensieri, insieme alla bugia della stanchezza. Quando mi vide
dritto e discosto dallo stipite, riprese il discorso:
«Stai rimpiangendo il passato» ripeté. La punta di sprezzo
messa ad arte nella voce mi ferì crudelmente.
«Rimpiangere ti riporta sotto le stesse leggi del tuo passato e
cancella tutto il „lavoro‟ che hai fatto in questi anni… Sulla via
dell‟integrità non c‟è spazio per nessun rimpianto. Una volta
intrapreso il „viaggio‟ non voltarti indietro!»
Poi il tono si trasformò.
«Sei in cerca di etichette − disse recitando quell‟esagerata
premura che gli adulti ostentano rivolgendosi ad un bambino −
Senza ringhiere non sai a cosa aggrapparti. Questo stato di
sospensione ti fa più paura della paura che ti porti dentro da
sempre.»
Il Dreamer mi stava parlando da una delle poltrone del
soggiorno, accanto al camino acceso. Una fibbia d'argento del suo
soprabito scintillò al riverbero del fuoco. Quel raggio di luce penetrò
tra le pieghe dell‟Essere e mi scosse aprendomi a una nuova
comprensione. Come tutti gli uomini comuni anch‟io amavo il
dolore più della mia stessa vita. Il Dreamer mi avrebbe spiegato che
più dello spavento di entrare in ciò che non conosce, la vera paura
dell‟uomo è di perdere ciò che gli è famigliare: il dolore, la
sofferenza. È questa fobia che crea una insuperabile barriera alla
manifestazione della volontà, a ciò che possediamo di più vero, di
più reale, e ci fa appartenere al mare buio della massa.
Dopo la nascita fisica, con il taglio del cordone ombelicale, il
bambino è affidato a due nuovi genitori: il dubbio e la paura.
381
Il Gioco
Soltanto l‟incontro con la Scuola permette una nuova nascita ed il
taglio di questo terribile funicolo. È un ritorno ai veri genitori: il
Sogno e la volontà. L‟assenza di dubbio e di paura è uno stato di
estasi, di libertà che solo un uomo integro può sostenere.
«È questo che ti sto offrendo. La libertà è molto costosa ma
non per questo irraggiungibile.»
«Ancora cerchi tra le ombre del passato qualche vecchia
maschera da indossare» denunciò. Nella Sua voce c‟era la
compassione che si può provare per un essere incapace, indifeso.
Nello stesso tono aggiunse:
«Senti la mancanza dei ruoli… Un uomo non può essere
guidato dal passato né dalle esperienze che ha vissuto. Past is dust.
Sulla via dell‟integrità dovrà affidarsi a nuovi sensi: l‟intuito, ed un
settimo senso, il Sogno. I ruoli sono prigioni… le loro sbarre sono
invisibili ma più solide dell'acciaio…»
«Ti ho dato retta… ho lasciato il lavoro, ho venduto la casa,
cos'altro dovrei fare?» sbottai, sfogando la rabbia accumulata in tutti
quei mesi di attesa. Sentii affiorare l'accusa, la lamentela, il
risentimento per avermi intrappolato in quella nuova avventura che,
da qualunque parte la rigirassi, non mostrava alcun senso.
«Lasciare il lavoro, o cambiare paese, senza capire, non
serve… né ti potrà rendere libero» replicò con burbera dolcezza,
evitando per il momento di dare peso al mio stato. A distanza di anni
posso riconoscere che ancora una volta il Dreamer era arrivato a
salvarmi appena in tempo.
«Per poter uscire dalla prigionia dei suoi ruoli un uomo deve
sentirsi deluso dalla sterile ripetitività degli eventi e delle
circostanze della propria vita.»
Ci fu una lunga pausa.
Ero in piedi. Lo stavo ascoltando dalla soglia del soggiorno.
Mi sentivo a disagio. Ero ancora sudato ed infangato per la lunga
corsa. Avrei voluto lavarmi ed indossare qualcosa di pulito. Il
momento mi sembrò opportuno e chiesi di potermi allontanare. Il
Dreamer era assorto. Interpretai un impercettibile movimento del
capo come un assenso e mi avviai. Una doccia e una camicia pulita
trasformarono la mia attitudine.
Quando ritornai, a passi felpati andai ad occupare l'altra
poltrona accanto al camino, ad una rispettosa distanza dal Dreamer.
Avevo recuperato il mio taccuino. Inspirai una profonda boccata
382
La Scuola degli Dei
d'aria e mi sentii pronto. Sentivo che quella sarebbe stata una lezione
intensa. Il tono che il Dreamer scelse per proseguire cambiò:
«Sui ponti non si costruiscono case, non si dimora −
commentò analogicamente il Dreamer − i ruoli, come i ponti,
servono per andare oltre, sono fatti per essere superati. Gli uomini
indugiano ed invece di attraversarli vi restano intrappolati. Sul
sentiero dell‟integrità ogni attimo deve essere nuovo… ogni istante
deve servire a trascendere l'attimo precedente… ogni respiro deve
essere un atto di gratitudine dedicato ad innalzare l'Essere verso
nuove zone di libertà.»
«Come si fa a vivere nel mondo, libero dai ruoli?» chiesi.
«I ruoli sono maschere da indossare; vanno recitati
intenzionalmente. Recitarli significa non crederci!»
Mi spiegò che il primo passo nella direzione che stava
indicando era capire a fondo il loro funzionamento. Nella visione del
Dreamer i ruoli sono ordinati gerarchicamente in base alla
complessità ed al livello di responsabilità che richiedono. Su un
punto fu categorico: un uomo non può in alcun modo passare ad un
ruolo superiore se prima non contiene nel proprio Essere tutta la
piramide gerarchica sottostante. Dalla Sua esposizione dei ruoli
ricavai l‟immagine di contenitori di diversa ampiezza impilati l'uno
nell'altro, come scatole cinesi.
«La libertà da un ruolo arriva solo quando avrai imparato a
recitarlo alla perfezione» chiarì il Dreamer, e fece l‟esempio di un
maestro d‟orchestra che deve conoscere le possibilità e le difficoltà
di ogni singolo strumento.
«Un ruolo recitato intenzionalmente non solo ci libera ma
libera anche il mondo da quella grossolanità, da quella violenza −
disse − Quando ti identifichi, quando ci credi, non solo ne sei
schiavo, ma ti aggrappi al mondo come se fosse la cosa più reale, la
tua sola certezza. Credere in un ruolo, qualunque esso sia, significa
mentire a se stesso».
Senza bisogno di fare calcoli accurati, mi apparve evidente
che per fare un tale percorso non sarebbero bastate le esperienze né
il tempo di dieci vite.
«Proprio così − confermò il Dreamer − Per questo nessuno,
seguendo un percorso ordinario, potrà mai liberarsi dai ruoli… né
lo vorrebbe!»
«Come può essere che nessuno vuole liberarsi dai ruoli? −
chiesi − A chi non piacerebbe di svincolarsi dagli impegni e dalle
383
Il Gioco
responsabilità che comporta essere padre, marito, manager… »
Espressi infine la convinzione che solo un senso di
responsabilità ci trattiene dall‟abbandonarli.
«Al contrario − ribatté seccamente il Dreamer −
Abbandonare i ruoli per un uomo ordinario è come chiedergli di
rinunciare alla vita… di abbandonare i salvagenti in un mare
sconfinato. Gli uomini sono legati ai loro ruoli, e soprattutto alle
sofferenze che ne sono parte integrante, più che al loro stesso
respiro.»
Trascorse una lunga pausa ed io restai in silenzio.
«I ruoli sono scudi dietro i quali gli uomini, fingendo di
essere impegnati, difendono la loro mancanza di responsabilità.
Prendi il tuo caso!» indicò nel tono di avviare una dimostrazione
conclusiva.
Stavo entrando direttamente nel Suo mirino. L‟annuncio non
mi colse di sorpresa ma non fu per questo meno doloroso. Dopo anni
di vicinanza al Dreamer, un segnale premonitore, sotto forma di una
penosa pressione allo stomaco, mi preavvertiva quando il Suo
discorso, da un piano generale, calava e si concentrava su di me.
6 Recitare i ruoli
«È questo che devi trasformare… quello che senti adesso! −
disse il Dreamer, catturando la mia smorfia di dolore − Osservati!
Tu puoi continuare a credere che sia provocato da Me, dalle Mie
parole; in realtà quel dolore stagna dentro di te… da sempre, come
una gora d‟acqua morta! È il sintomo d‟una ferita ancora aperta
che è la causa di tutti i tuoi guai… Contieni quel dolore…
comprendilo… Amalo. Non sfuggire!»
Stavo ancora tentando di capire, di riprendermi da quel Suo
exploit, quando mi sono reso conto che il Dreamer si era già
riallacciato al discorso iniziale, riprendendo da dove lo aveva
interrotto.
«Identificato con i ruoli, hai dimenticato il Gioco − disse −
Non c'è recita nè teatralità. Un evento, una situazione o un incontro
fanno scattare in te reazioni meccaniche, come la molla compressa
di una trappola per topi.
Immagini mentali, pensieri, emozioni, sensazioni si
uniformano a schemi meccanicamente prestabiliti, i muscoli del viso
384
La Scuola degli Dei
si contraggono per assumere certe espressioni, alle labbra affiorano
quelle parole, e tu sei in ostaggio, fino a che nuove condizioni e
nuovi incontri non ti catapultano in un'altra gabbia... »
Mi spiegò che questo avviene quando un ruolo è imposto
dall‟esterno, dal mondo. Quando invece viene recitato
intenzionalmente non possiamo esserne schiavi; ne siamo liberi e
rendiamo libero il mondo.
«Un ruolo va recitato senza crederci. È possibile solo a chi
ha conquistato conoscenza e padronanza di se stesso: un risultato
che richiede ordine, disciplina, e un lungo lavoro di
autosservazione.»
Sottolineò come ogni ruolo, per fissarsi nella nostra vita,
richiede l‟apprendimento di un linguaggio specifico: gesti,
comportamenti, attitudini e tutta una gamma di espressioni facciali e
verbali. Avere un ruolo presuppone l'accettazione di interi blocchi di
idee, pacchetti completi di convinzioni attraverso cui pensare e
sentire. Il loro apprendimento è una questione complessa. Spesso un
solo ruolo può richiedere ad un uomo l‟applicazione di un'intera vita
che può trascorrere senza che in lui maturi la volontà e la
responsabilità sufficienti per superarlo e andare oltre.
Mi disse che ogni uomo, per le necessità della sua esistenza
ordinaria, apprende e gioca un numero limitato di ruoli, cinque o sei
al massimo. Al modificarsi delle circostanze egli passa dall'uno
all'altro come un automa, senza intenzionalità, condizionato dal
cambiamento delle condizioni esterne. Contrariamente a quanto egli
crede non ha in questo alcuna libertà di decisione.
«Libertà significa recitare 'intenzionalmente' qualunque
ruolo senza esserne imprigionato – enunciò – In un uomo ordinario
questa capacità, già pressoché nulla, con l'età si riduce sempre più,
fino a sparire. La conseguenza è che quando si presentano
condizioni appena diverse da quelle solite, fuori da quei pochi ruoli
che conosce, un uomo non sa più che maschera mettere.»
Realizzai che questa è la ragione per cui ci sentiamo
continuamente fuori posto, a disagio, minacciati. Non sapendo quale
maschera indossare, non avendola nel nostro repertorio, mostriamo i
nostri limiti, come il cane di Pavlov che incerto tra cerchio ed
ellisse, impazzisce. Allora ogni nostra facoltà: mentale, emozionale
e fisica va per conto proprio; pensieri, emozioni ed azioni entrano tra
loro in un rapporto spastico e diventiamo una marionetta biologica.
Ci sentiamo nudi e proviamo una vergogna terribile. Vorremmo
385
Il Gioco
scappare via. Eppure sono questi i momenti in cui, attraverso un
interstizio tra la pelle e la maschera, è possibile osservarci e
riconoscere la nostra essenza, la nostra parte più vera.
«Chi realizza di avere un limitato repertorio di ruoli ed
avverte la tirannia dei vincoli che essi impongono alla sua azione,
ha già avviato i primi passi verso la libertà.»
Ma l'uomo ordinario, immerso in un sonno ipnotico, cullato
da un canto di negatività, continuerà a mentire a se stesso e, per
quanto terribile sia la sua vita, continuerà a indulgere e non troverà
mai l'energia sufficiente per evadere.
«Il ruolo è un gioco piacevole, se recitato. Identificarsi,
dimenticare il Gioco, è fatale.»
Il Dreamer si alzò e si avvicinò alla finestra. Per alcuni
minuti restò in silenzio a guardare il giardino di Seven Oaks, il prato
impeccabile, le piante lussureggianti sotto l‟ultimo sole. Quando
riprese il Suo discorso il tono della voce era insolitamente dolce.
«I ruoli sono i pioli di una scala. Non indulgere su nessuno
di essi. Usali! − mi esortò − Usali per poggiare il piede e andare
oltre!»
Per il Dreamer ogni ruolo è la materializzazione di un modo
di pensare. L‟abbandono di un ruolo, e il passaggio a un ruolo
successivo, significa che il suo superamento è già avvenuto
nell‟Essere; ogni gradino lasciato alle spalle è un avvicinamento alla
guarigione.
«Impara ad innalzare la qualità dell‟Essere ed ogni ruolo,
velocemente, sarà abbandonato come un abito smesso − concluse −
Questo si chiama „consumare‟ un ruolo e liberarsene
definitivamente.»
Questa nuova espressione mi colpì. Il Dreamer notò la mia
perplessità e mi spiegò che „consumare' un ruolo significa
impossessarsi dell‟essenza, della responsabilità che c‟è dietro ogni
ruolo; significa liberarsene per sempre, non averne più bisogno.
«Così libererai il mondo dal compito ingrato di rivelarti gli
inferni che ti porti dentro, dalla fatica immane di riflettere ogni tua
mancanza, ogni dolore, ogni morte.»
386
La Scuola degli Dei
7 Il cammino a ritroso
«Tutto quello che è fuori di noi, il mondo che vediamo e
tocchiamo, le persone, le circostanze e gli eventi che incontriamo,
sono una rivelazione dell'Essere, una verifica del nostro modo di
pensare… I ruoli in cui ancora siamo intrappolati ci mostrano le
ferite che ancora non abbiamo rimarginato.»
Fece una lunga pausa. Invece di comprendere e fare mia
l'energia di quel momento, mi rifugiai tra le pagine del taccuino
fingendo di rileggere e ritoccare gli appunti. Quegli angoli in cui mi
stringeva il Dreamer erano penosi. Anche quella volta cercai di
sfuggire. Feci la muta richiesta di avere dell'altro tempo... ancora
tempo...
Il Dreamer apparentemente distolse la Sua attenzione ed io,
che per pochi attimi con Lui avevo assaporato la vita vera, ritornai a
prendere posto tra gli oggetti inanimati della stanza, finalmente a
mio agio, ombra tra le ombre del mondo.
«Gli eventi servono a rivelare gli stati che li hanno
originati… Solo una Scuola dell‟Essere conosce il loro linguaggio
simbolico e può tracciare il cammino a ritroso, attraverso labirinti,
deserti, inferni interni, fino agli stati più interni, fonte vera di ogni
accadimento.»
L'ombra della sera incipiente assediava Seven Oaks e
premeva alle grandi finestre pronta ad infiltrarsi e prendere possesso
del soggiorno dov'eravamo. Il viso del Dreamer risplendeva al
riverbero del fuoco mentre adagiava nuovi ciocchi sulla brace. Era
un momento perfetto. Nella semioscurità era ormai difficile prendere
appunti. Poggiai la testa allo schienale della poltrona e chiusi gli
occhi per concentrarmi meglio.
«Togliti da quella posizione − ordinò seccamente il Dreamer
− saresti capace di addormentarti anche davanti a Me… »
Fu come una bacchettata improvvisa. Un nugolo di pensieri e
sentimenti, autocommiserazione, accusa, risentimento, eruppero con
violenza e si intrecciarono nell'Essere, fino a formare un senso solo,
il più bruciante ed insopportabile di tutti: il senso d'ingiustizia. In
quell‟istante, con un salto improvviso, da insetto, mi trovai al posto
del Dreamer. Osservai me stesso. Vidi la vita che osservava la morte
morire. Furono pochi attimi, infiniti, di una lucidità impressionante;
poi mi ritrovai in uno stato di allerta, gli occhi sbarrati e la schiena
perfettamente ritta. Una sensazione di formicolio sottopelle, a
387
Il Gioco
tingling vibrating sensation, permase ancora per qualche minuto. Poi
si spense. Mi ripromisi di non abbassare mai più la guardia.
Riporto questo episodio per dare un'idea delle strategie cui il
Dreamer inesauribilmente faceva ricorso per portarmi in quelle zone
dell'Essere dove il Suo insegnamento, la Sua energia, diventavano
carne della mia carne. Quando questo avveniva, sapevo di avere
pochi istanti per rafforzare le doghe del mio contenitore, le costole
di rovere che gemevano e rischiavano di cedere sotto la spinta di
quel vino nuovo e forte.
8 “Non sei pronto!”
Sentii le mie resistenze insorgere ed il sangue pulsare sotto la
pressione delle Sue parole.
«Per troppi anni hai rinunciato alla tua volontà, hai affidato
la tua vita nelle mani del mondo. Il mondo esterno ha rappresentato
per te la sola realtà, ne hai fatto una divinità… un idolo di pietra
che ha guidato tirannicamente la tua esistenza.
In realtà il mondo è solo un riflesso… Pensieri, emozioni,
attitudini prendono forma nel mondo degli eventi e rispondono ad
ogni tua richiesta.
Per troppi anni hai creduto che il mondo fosse reale, che
avesse una sua volontà. L‟hai eletto a padrone e signore della tua
vita. Per troppi anni hai dato potere a un‟ombra che tu stesso hai
proiettato.»
Era arrivato il momento temuto... Era tempo di abbandonare
le vecchie ringhiere, di morire al vecchiume… Sentivo sotto i piedi
alitare l'abisso di un universo a rovescio.
«Things do not change and cannot change… Only you can
change.»
Qui si sospese. Quella pausa si dilatò in me a dismisura.
Un'inquietudine, poi un senso di paura, allargò i suoi cerchi fino ad
toccare i confini dell'Essere. Apparentemente non c'era nulla che
giustificasse questo mio allarme, eppure presentivo che dietro le Sue
parole, ma soprattutto dietro quel silenzio, si stava preparando
qualcosa di imprevedibile. Tentai di tranquillizzarmi ma non ci
riuscii. Finalmente, come se avesse raggiunto una difficile
risoluzione, il Dreamer annunciò la successiva fase del „lavoro‟ che
avrebbe permesso il prossimo passaggio. In quel momento stava
388
La Scuola degli Dei
avendo inizio l'avventura che avrebbe strenuamente impegnato ogni
momento della mia vita. Con il tono di comunicarmi una decisione a
lungo ponderata, disse:
«Ci sono voluti anni di preparazione per farti realizzare la
frammentarietà del tuo Essere… anni e anni per farti riconoscere il
sonno ipnotico che tirannicamente governa l‟esistenza di ogni uomo.
Ho portato ordine nella tua vita… Ti ho liberato da impegni e
programmi perché tu possa dedicarti a mettere insieme i princìpi di
un sistema educativo che indichi la via per uscire dagli inferni
dell‟ordinarietà.»
Il Dreamer restò assorto a lungo. Poi in tono risoluto
annunciò:
«Ci sono uomini e donne che dovrai incontrare... »
«Chi sono?... Dove sono?… Perché dovrei incontrarli?»
incalzai con apprensione.
«Non c'è una finalità − rispose il Dreamer con insolita
dolcezza − È questo che rende il „gioco degli incontri‟ interessante,
unico… efficace. Dovrai fare centinaia di incontri senza nessuno
scopo… se non quello di riconoscere in ognuno di quegli uomini e
donne un frammento di te… Se ricorderai Me, la tua promessa, ogni
incontro che farai sarà l'opportunità di confrontarti con una parte
sconosciuta, irrisolta, di te stesso.»
«Centinaia di incontri?… Ma ci vorranno anni!… » esclamai
spaventato da quella prospettiva.
«Il tempo che questo richiederà dipenderà solo da te… Il
„gioco degli incontri‟ avrà la durata della tua incomprensione e la
durezza delle tue resistenze. Attraverso il 'gioco degli incontri'
realizzerai che il mondo è una tua creatura e che gli altri sono il tuo
riflesso… E se anche questo risultato dovesse richiederti anni di
lavoro, almeno indebolirai dentro di te la vecchia convinzione che il
mondo abbia il potere di eleggerti o di abbatterti, che gli altri
possano amarti o combatterti… che ci sia fuori di te una volontà
ostile che controlla e governa la tua vita.»
«Il mondo esiste perché tu esisti. Il mondo é vivo perché tu
sei vivo − declamò il Dreamer, e continuò − Il mondo è la tua
ombra... L'uomo vorrebbe trovarci l'intelligenza che sente dentro.. e
così passa la sua esistenza a cercare la vita tra i fantasmi… E crede
in una realtà al di fuori di sé…
Spreca il suo tempo a scavare tra le ombre!… Ma, scavando
e identificandoti con le ombre per te esse diventano sempre più reali
389
Il Gioco
ed il mondo esterno un feticcio... un dio da idolatrare, da temere, da
propiziare… perché hai dimenticato la tua vera identità, hai
abdicato il tuo diritto di artefice… »
Poi scandì queste parole:
«Non dimenticare… gli altri sono te fuori di te… gli altri
sono il riflesso di tutto ciò che non vuoi vedere, sentire e toccare
dentro di te.»
«Ma allora… io, e quelli che ti sono più vicini − Gli chiesi −
cosa siamo per te? »
Appena pronunciate queste parole, dall‟accelerazione dei
miei battiti, capii di aver osato oltre i limiti di quello che potevo
ascoltare e contenere. Il Suo sguardo mi soppesò per interminabili
istanti forse per valutare la mia capacità di sostenere quello che stava
per comunicarmi.
Allora ricordai le Sue parole: Nothing is external… Nothing
is external… La loro forza mi scagliò nella solitudine di un universo
di cui ero l‟unico abitante, l‟artefice, il signore e padrone assoluto di
tutto e di ogni cosa. Ero gelido, sgomento. Avrei dato chissà cosa
per poter tornare indietro e non aver mai fatto quella domanda. Le
pareti dell'Essere stavano vibrando sotto la pressione di quel
momento cruciale.
«Voi siete Me − disse − frammenti di Me… apparentemente
in esilio.»
9 La scorciatoia
Ero in uno stato di abbattimento. Il Dreamer mi aveva messo
di fronte ad un'impresa impossibile, tanto che mi sentii svuotato di
ogni energia ancora prima di cominciare.
« …Il 'gioco degli incontri' ti permetterà di comprimere il
tempo… conoscerai di te quello che un uomo ordinario non
riuscirebbe a mettere insieme neppure in dieci vite… » disse in tono
esortativo, ma la prospettiva di incontrarmi con tanti illustri
sconosciuti, di lavorare per mesi o anni a questo scopo, continuava
ad apparirmi assurda. Possibile che non ci fosse un altro modo?
«Per te il mondo è troppo reale. Solo il „gioco‟ ti libererà da
questa descrizione pietrificata, rigida, e ti permetterà l‟accesso a
una visione più fluida, più liquida, del mondo.»
390
La Scuola degli Dei
«Il mondo è un‟emozione» disse, e attese che la sostanza
preziosa di questa chiosa penetrasse in ogni mia fibra.
«Gli incontri ti serviranno a misurare il tuo grado di
responsabilità, ti insegneranno a conoscerti in profondità…
Realizzerai che ogni uomo o donna che incontri è una parte
sconosciuta di te, un‟opportunità per vedere una tua ferita, una tua
malattia nascosta e poterla guarire.»
«Come li sceglierò? Di che cosa parlerò?» incalzai, senza
neppure tentare di nascondere la mia apprensione. Speravo con tutte
le mie forze che quell'impresa mi fosse risparmiata.
«Non ha nessuna importanza di che cosa parlerai − tagliò
corto il Dreamer − Fai questa domanda perché ancora indulgi nel
credere che gli altri sono fuori di te. In realtà gli altri sono stati
d‟Essere che si realizzano nel mondo degli eventi… Gli altri sono
tempo.»
«E chi rinuncia alla propria vita per gli altri? Chi li incontra
per aiutarli, per guarirli? E i missionari?»
«Anche il missionario va ad incontrare se stesso, i suoi
dubbi, le sue paure, la sua divisione. Va tra i superstiziosi per
vincere la sua superstizione. Va nel mondo della sofferenza per
guarire le sue piaghe, per risalire alla fonte, alla vera causa. E
anche se ne è inconsapevole e crede di fare per gli altri, in realtà
sono gli altri che stanno facendo per lui, che si stanno prendendo
cura di lui.
Una volta capito quali stati in se stesso hanno reso
necessario quella sua missione, sarà guarito e smetterà di fare il
missionario. Metterà qualcun altro al suo posto e passerà oltre.»
Ero sottosopra. Quella risposta del Dreamer mi aveva
rovesciato come un guanto. Stavo ancora tentando di riprendermi
quando mi accorsi che aveva abbandonato l‟argomento e stava
rispondendo alla mia domanda iniziale.
«In quanto a chi incontrerai, per ora ti basti sapere che sarò
Io stesso ad individuarli e indicarteli. L'importante per te è
imparare a „vedere‟. Se „vedi‟ avrai fatto tua la storia di quell'uomo
o di quella donna e d'un colpo ti accrescerai del risultato di anni di
esperienze, di sforzi, di sacrifici, di successi e cadute. „Vederli‟
significa riconoscerli dentro di te come ferite da cicatrizzare, organi
da guarire. „Vedere‟ significa perdonarsi dentro. Allora ogni
incontro diventa un gradino su cui poggiare il piede e andare oltre.»
391
Il Gioco
Al Dreamer non era sfuggito il mio crescente interesse per
quello che mi stava rivelando. Questa storia degli incontri
cominciava a prendere l'aspetto di un‟arte marziale, sconosciuta e
misteriosa. Il mondo, con continenti e città, e il caleidoscopio
infinito delle attività umane, come docile argilla, stava prendendo
l'aspetto sbalorditivo di un immenso agone dove ad ogni istante si
svolgevano milioni di duelli invisibili. Il loro esito avrebbe deciso di
volta in volta chi doveva dare la direzione e chi invece doveva
seguire.
«Ovunque si incontrino, per pochi istanti o per anni, nel
deserto o in un business, due uomini formano inevitabilmente una
piramide, si dispongono a livelli diversi di una scala invisibile
rispettando un ordine interiore, matematico, una gerarchia
planetaria fatta di luminosità, di orbite, di massa e di distanza dal
loro sole.»
Continuai a prendere appunti e un rigo dopo l'altro,
abbandonate le mie resistenze, entrai in una nuova attitudine. Dal
discorso che seguì la vita emerse come un tracciato lungo un sistema
di ruoli a complessità crescente, fino al raggiungimento del suo
apice: il superamento di ogni ruolo.
«L‟umanità così com‟è non cerca la sua guarigione. Non la
vuole. È costretta a progredire meccanicamente, sotto la spinta di
forze ignote… La sofferenza ed il dolore sono la forza motrice della
sua evoluzione. E anche se sembra che la maggior parte degli
uomini abbia barattato il proprio progresso per le apparenti
sicurezze di una carriera, o per il miraggio di una ricchezza
economica o di un successo artistico, in realtà anche l'uomo più
ordinario non può sfuggire ad un involontario, meccanico,
impercettibile processo di guarigione. Il lavoro nelle organizzazioni,
l'affanno dei ruoli, gli antagonismi, la sofferenza e i problemi che la
vita immancabilmente gli presenta, formano nel loro insieme una
disciplina necessaria che lo migliora e lo proietta verso zone più
alte di libertà… »
«È un sistema molto lento − concluse il Dreamer − una vita
intera potrebbe non bastare per fare un solo millimetro nella
verticalità dell'Essere… »
Per contro, il 'gioco' mi fu ulteriormente illustrato dal
Dreamer come il modo più veloce per scalare la piramide dei ruoli
umani e trascenderli a velocità elettronica. Infine ricapitolò a mio
beneficio le informazioni più importanti e concluse:
392
La Scuola degli Dei
«Sei ancora intrappolato in quello che credi di essere. Per
questo quello che veramente osserverai negli incontri non è chi sei
ma chi non sei, l‟uomo che hai creduto di essere. Potrei dire che lo
studio di te stesso, l‟autosservazione, è luce. Quando arriva la luce
le ombre spariscono e tutto quello che in te è vero e reale rimane e
tutto quello che non sei o che hai creduto di essere, scompare…»
Il nostro incontro stava volgendo al termine. Provai la stretta
al cuore di quando Padre Nuzzo mi chiamava alla lavagna; quando,
lasciato il banco, l'anonima irresponsabilità e la calda complicità del
gruppo, dovevo contare solo su me stesso.
La mia nuova avventura stava per avere inizio. Avrei voluto
sapere di più sulle persone che avrei incontrato, sugli argomenti da
affrontare, ma…
«Nel „gioco‟ non c‟è niente da pianificare. Dovrai inventare
all‟istante e recitare intenzionalmente ruoli e linguaggi di esistenze
mai vissute. L‟attimo ti suggerirà la strategia, le parole da usare e
tutto quello che devi sapere per „soddisfare‟ l‟incontro.»
Mi raccontò di uomini e donne speciali che nel loro ambito
sono dei veri e propri maestri. Come macchine perfette, altamente
specializzate, essi hanno raggiunto nei limiti del loro mondo-ruolo
un'assoluta impeccabilità… Senza sollevare il capo dal taccuino,
avevo raccolto pagine e pagine di appunti. Rileggerli mi faceva
ritrovare tutta la forza e la determinazione che ora sentivo accanto a
Lui.
Incominciava a diventar chiaro che dietro ogni incontro, oltre
l‟apparente superficialità di un rapporto, c‟era qualcosa di speciale:
l‟incontro con una moltitudine di tipi umani tracciava il sentiero
verso una guarigione che il Dreamer chiamava „integrità‟.
«Gli altri ti rivelano, ti misurano e riflettono
impeccabilmente il tuo grado di responsabilità.»
Apparentemente gli uomini si incontrano per prendere
decisioni, per concludere affari, ma sono inconsapevoli di ciò che
realmente succede nelle loro relazioni. Incontrarsi è un pretesto. Il
vero rapporto avviene ad un altro livello. Oltre la superficie, quando
due uomini si incontrano, la posta in gioco è ben più alta.
«Ogni uomo che incontri è una porta. Può impedire l'accesso
o trasformarsi in un gradino per andare oltre. Ogni incontro ti
misura e determina il tuo posizionamento sulla scala della
responsabilità umana» mi informò il Dreamer con il tono di indicare
precauzioni vitali alla vigilia di un‟impresa rischiosa; ed aggiunse:
393
Il Gioco
«Ricorda! Gli altri sono te!… Nel 'gioco' non potrai
incontrare nessun altro che te stesso... Nello spazio di pochi secondi
dovrai sapere quale parte di te ti è davanti, e dovrai all'istante
capire lo scopo di quell'incontro, quale maschera indossare, e
sostenere il ruolo che l‟altro, uomo o donna che sia, vuole che tu
interpreti.
La differenza tra voi, nel „gioco‟, è che tu sai di recitare e
l‟altro recita non sapendo. È una distanza infinita, una differenza di
eternità. Una differenza che ti permetterà di scalare verticalmente, a
velocità elettronica, la piramide dei ruoli umani conquistando
posizioni che nel mondo orizzontale richiederebbero anni o intere
generazioni per essere raggiunte.»
Qui il Dreamer mi parlò della „scorciatoia‟, di una via
verticale che comprime il tempo e ci avvicina rapidamente alla cosa
più reale in noi: il Sogno.
10 Comprimere il tempo
Dall'insegnamento del Dreamer stavo ricavando la
percezione di un mondo dove impera una sfida senza tregua e dove
non ci sono spazi per tentennamenti. Due uomini si incontrano.
Senza simboli o divise, nudi nel deserto, inevitabilmente, uno decide
la direzione e l'altro segue. Come due animali in una regione
selvaggia, attraverso un linguaggio zoologico, essi si trasmettono, i
segnali di razza, di forza, di territorio, di rango. Una reazione,
un'attitudine, una postura, l'espressione di un‟emozione, uno
sguardo, una parola, la più piccola smorfia, sta denunciando la
posizione che ciascuno occupa nella scala evolutiva. Quel grado di
comprensione è registrato nell'universo e decide gli eventi della
nostra vita, il sapere, il fare, l'avere, ed infine il nostro destino
finanziario.
Il Suo tono si fece impercettibilmente più familiare e disse:
«Quando due uomini si incontrano, inevitabilmente, uno
contiene e l'altro è contenuto… »
«Che cosa significa 'contenere' una persona?» chiesi.
«Significa essere responsabile di tutto il suo mondo, dei suoi
ruoli, della sua vita e di tutte le vite che ne dipendono. Significa
conoscere la soluzione di ogni sua difficoltà, la risposta ad ogni sua
richiesta. Se non ci riuscirai dovrai andare attraverso i percorsi
394
La Scuola degli Dei
ordinari: il tempo e l'esperienza. Per accedere a zone superiori
dell‟Essere, verso l‟intelligenza, l‟integrità, quell‟opportunità che
non hai saputo cogliere in quell'incontro, potrà richiederti anni ed
anni per ripresentarsi. In ogni caso, quell'esame dovrai ripeterlo, se
sarai tanto fortunato da avere un‟altra occasione.»
Sentivo fisicamente la mia visione ampliarsi. Mi disposi ad
un ascolto ancora più attento mentre il Dreamer stava per
comunicarmi un altro tassello di quell'insegnamento che stava
cambiando la mia vita.
«È un gioco difficile e pericoloso − ammonì − uno sguardo,
una parola, il più piccolo movimento o pensiero può tradirti e farti
cadere in una trappola mortale! Un uomo senza Scuola è in balia.
Va attraverso il „gioco degli incontri‟ ma non conosce le regole, non
ha la minima consapevolezza della vera posta in gioco e neppure sa
che è un gioco. Chi „vede‟ il gioco lo conduce, chi non lo vede ne è
vittima.»
«Come farò a sapere se ho superato la prova, qual è stato
l‟esito di un incontro?» chiesi con voce troppo alta, come se già Lo
vedessi allontanare all'orizzonte.
«Le cose nella vita di un uomo si mettono insieme nell‟unico
modo possibile e riflettono il suo grado di comprensione, la sua
impeccabilità. Se 'conterrai' l'altro non potrai sbagliarti: sentirai
una gioia immensa per aver portato luce, guarigione, in un altro
angolo del tuo Essere. Quando questo avviene in un uomo, l‟intero
universo sa.»
«Come fanno tutti a sapere di un incontro che si è svolto in
privato e senza testimoni?» chiesi.
«Gli uomini e le cose fanno parte di un unico tessuto
connettivo… Un sistema nervoso planetario collega tra loro tutte le
cellule dell'umanità. Solo, nell'angolo di una stanza, un uomo
comunica a tutto l‟universo la sua condizione, il proprio livello di
responsabilità, il suo intento. Non c'è modo di barare, né c'è spazio
per interpretazioni.»
11 Gli altri ti rivelano
Il Dreamer mi aveva lasciato con la promessa di rivederci
una settimana dopo a Spaniards Inn, l'antico Pub di Hampstead.
Trascorsi quei giorni e le ore che mi separavano dal nostro incontro
395
Il Gioco
ripensando a tutto quello che avevo ascoltato da Lui sul `gioco'. Il
pensiero che più mi assillava era di trovarmi impegnato per chissà
quanto tempo a portare avanti quello che ancora mi appariva come il
più stravagante dei compiti: incontrare centinaia di persone per
arrivare a scoprire che... non esistono.
«Non ho detto che gli altri non esistono» mi avrebbe corretto
ruvidamente il Dreamer nel corso del nostro incontro, con una
smorfia di commiserazione che mi trafisse come una lama. Poi
scandì:
«Ho detto che gli altri non esistono fuori di te! … Quando
questo ti sarà veramente chiaro saprai a cosa servono gli altri…»
Sapevo per 'certezza analogica' che il Dreamer stava
offrendomi un'opportunità unica e che il 'gioco degli incontri' si
sarebbe rivelato uno strumento evolutivo insostituibile. Eppure ero
assediato da una selva di dubbi e di preoccupazioni di cui non
riuscivo a liberarmi.
A parte la complessità e lo sforzo di organizzare tanti
incontri, una domanda mi assillava più di ogni altra: come avrei fatto
fronte alle spese se il 'gioco degli incontri' mi avesse occupato tutto
il tempo, se mi avesse richiesto viaggi e prolungate permanenze in
Gran Bretagna e in ogni punto del pianeta.
In aggiunta, c'era un aspetto che trovavo particolarmente
inquietante: l‟idea che quegli incontri fossero in realtà veri e propri
duelli. Una volta mi aveva detto “non c'è un solo momento in cui
tutta la tua vita non sia messa in gioco”. E il ricordo di queste parole
rafforzava questa convinzione e accresceva l‟ansia competitiva
che mi assaliva al pensiero di incontrare degli sconosciuti, senza un
perché. Intravedevo nel „gioco‟, come attraverso una filigrana, una
spietatezza che me ne oscurava l'immagine e me lo dipingeva a
tinte fosche. In sostanza mi sembrava che i suoi termini fossero
questi: o sei tu a lanciare un messaggio di forza, di coraggio, di
dignità, e a essere promosso sul campo al prossimo livello, o sarà
l'altro a stringerti alle caviglie i ceppi delle zone più basse
dell'esistenza. Allora nell'agone della vita lascerai sul campo le
spoglie di un guerriero sconfitto.
Non avevo osato parlarne subito al Dreamer, anche perché
non mi era ancora chiaro se questa sensazione originasse dalla mia
preoccupazione di non essere all'altezza del compito o da una
filantropica apprensione per chi sarebbe uscito „sconfitto‟
dall'incontro.
396
La Scuola degli Dei
Erano questi i pensieri che mi accompagnavano mentre a
piedi raggiungevo l'antica locanda. L'atmosfera che trovai non
doveva essere troppo diversa dal tempo in cui la frequentavano
artisti e poeti, tra cui Shelley, Keats e Byron. Ero in anticipo. Il
Dreamer non era ancora arrivato. Guardandomi intorno, cercai di
scoprire quale posto avrebbe strategicamente scelto. Alla fine decisi
per un tavolo nell‟angolo più tranquillo. Alla parete, un trofeo
d‟archibugi ricordava le gesta di un leggendario brigante. Intanto,
non avevo smesso di rimuginare i pensieri che mi preoccupavano.
L'arrivo del Dreamer mi colse in flagrante. Prima che potessi
prevenirla, sentii scattare nel corpo la prigionia dell'imbarazzo, e
provai la confusione di chi viene colto impreparato o disattento dal
proprio superiore. Era bastata la vista del Dreamer per 'ricordare' la
giusta attitudine. Tentai rapidamente di recuperare un atteggiamento
più dignitoso e raccogliere i frammenti sparsi dell‟Essere prima che
mi arrivasse più vicino. Ma, mentre era ancora sulla soglia, il
Dreamer mi fece col capo un leggero cenno di seguirLo. Lasciai il
tavolo che avevo scelto per noi e salii con Lui al primo piano. Mi
sentii contrariato dall'affollamento di quella sala, dalla rumorosità
degli avventori, dal tanfo di birra e di rancidume. Per la
conversazione privata che avevo in mente il tavolo al piano terra
sarebbe stato ben più adatto; ma il Dreamer ne adocchiò uno nel bel
mezzo della sala, dove era più fitto il brusio delle conversazioni, e
mi invitò a sedere.
Non lasciò passare inosservata la condizione in cui mi aveva
trovato al Suo arrivo, ma rilievi e ammonizioni li fece en passant,
usando un tono faceto, quasi canzonatorio.
Pensai di approfittare di quella buona disposizione, ma con
cautela. Avevo imparato a mie spese, e più volte, quanto improvviso
poteva essere il cambiamento di umore del Dreamer e terribile la
Sua ira. Bastava una parola, un accento o il più impercettibile
movimento fuori posto per farla scattare. Avrei voluto rivolgerGli la
domanda che compendiava il mio stato d'animo e tutto quello che
pensavo riguardo al „gioco‟. Cosa accade a chi perde?
La vicinanza fisica al Dreamer portava di per sé chiarezza.
Mi resi conto che quello che avrei voluto veramente chiedere era
cosa sarebbe accaduto se fossi uscito sconfitto già dai primi incontri.
«Non farti idee sbagliate − disse, anticipandomi − Te l'ho
già detto… Nel 'gioco' non ci sono né vincitori né vinti.»
397
Il Gioco
Quelle parole mi arrivarono chiare e distinte come se ogni
vocìo si fosse improvvisamente sospeso e nel pub non ci fossimo
che noi. La Sua voce non attraversava quella folla, non doveva
sovrastarne il brusio, ma mi arrivava dall‟interno. Come se ne
risalisse il corso, da quei pensieri arrivò alla loro radice, alle vecchie
convinzioni e ai pregiudizi da cui originavano, e aggiunse:
«La tua visione è ancora il frutto di una separazione
interna, di una descrizione del mondo che legge solo attraverso
opposti e antagonismi… In realtà il duello avviene sempre e solo in
te stesso. La relazione con l'altro è solo l'aspetto più
superficiale e visibile di quello che realmente avviene in un
incontro. E anche se puoi temere che l'altro ti tolga d‟un colpo tutto
quello che hai accumulato in anni di preparazione, in realtà è in te,
e solo in te, che si decidono le sorti.»
Continuò riprendendo un concetto centrale. 'Contenere'
qualcuno non voleva dire soltanto comprenderlo nella propria
responsabilità, ma eleggerlo.
«L‟incontro con un uomo di responsabilità superiore è
sempre un un'accelerazione − confermò − anche se non ne siamo
consapevoli.»
«Incontrare un uomo che ti 'contiene' è una benedizione. Chi
poggia il piede e va oltre non abbandona l'altro al suo
destino. Al contrario, ne diventa responsabile. Egli sa che la
propria evoluzione è anche l'evoluzione dell'altro. L'avanzamento
di un uomo, la guarigione di una sola cellula, accelera il progresso
di tutta l'umanità…
Pensa a quanto materiale di studio e quante opportunità gli
altri ti offrono per realizzare che non c‟è limite al successo; perché
la vera vittoria è vincere se stessi, attraverso l‟armonizzazione degli
opposti dentro di noi, in questo preciso istante.
In mancanza di questa intelligenza, di questa vigilanza
interna, gli uomini si incontrano nel sonno, cioè affannati da
preoccupazioni, oscurati da dubbi e paure, perduti nella
quotidianità. Si incontrano per conseguire obiettivi o vantaggi
insignificanti, esterni, vani.»
Con umorismo sottolineò che per quanto possano darsi da
fare, discutere affari o prendere decisioni apparentemente
importanti, dal punto di vista di un uomo evoluto, essi appaiono
poco più che selvaggi indaffarati a negoziare e barattare perline di
vetro, specchietti e cianfrusaglie.
398
La Scuola degli Dei
«Hanno smarrito il vero obiettivo − annunciò riprendendo un
tono severo e grave − Manca in loro la consapevolezza del
„gioco‟… hanno dimenticato… non recitano più e sono diventati
oramai il ruolo stesso!»
Si accertò con un'occhiata che fossi nell'attitudine giusta per
comprendere, poi concluse con questo commento:
«Sulla via della impeccabilità, nel mondo di un uomo di
responsabilità, c'è spazio solo per vincere se stesso, la propria
mediocrità, la menzogna, l‟identificazione col mondo.»
12 Recitare intenzionalmente „The Art of Acting‟.
«C‟è una maschera giusta da indossare per ogni occasione −
disse − La capacità principale nel „gioco degli incontri‟ è l‟arte del
travestimento che devi sviluppare.»
Il tono che usò e l‟espressione del viso indicarono che stava
per affrontare una parte decisiva del Suo insegnamento. Dall‟antico
manoscritto „The School for Gods‟ e dalle ricerche che avevo
condotto sulla vita e sul pensiero di Lupelius, avevo appreso della
sua leggendaria abilità nel camuffarsi. Nella sua Scuola l‟arte del
travestimento era parte integrante della preparazione di un guerriero.
Per Lupelius i ruoli erano abiti psicologici che egli indossava e che
faceva indossare ai suoi discepoli insegnando loro come „diventare‟
quel ruolo, come esplorare e conoscerne ogni angolo, ogni segreto;
ma senza dimenticare il gioco, senza mai restarne invischiati.
L‟approccio burbero scelto dal Dreamer mi comunicò
velocemente l‟importanza di questo elemento nella mia preparazione
al „gioco‟.
«„The Art of Acting‟ è la capacità di un guerriero di vivere
strategicamente − precisò − È questa capacità che gli permette di
essere „puntuale‟, di assumere di volta in volta l‟attitudine più
giusta per ogni circostanza.» Riconobbi nelle parole del Dreamer
l‟insegnamento di Lupelius. Le loro voci si fusero, le loro immagini
si sovrapposero nella mia mente fino a diventare un essere solo.
Mille anni si stavano comprimendo in quel momento.
«Impara a vivere strategicamente, impara a recitare
intenzionalmente, e saprai sempre quale immagine offrire in ogni
situazione… Solo chi recita può tener presente le mille peculiarità
399
Il Gioco
che rendono un incontro unico, diverso da ogni altro incontro mai
accaduto prima o che mai accadrà, in tutta la storia del mondo… »
Lasciò trascorrere una pausa, poi la Sua voce echeggiò
ancora più imperiosa ed intensa.
«Impara a recitare − disse − solo chi recita può governare
la propria vita e quella degli altri, vincere ed essere libero!»
Sentii un‟istintiva ripugnanza per quei precetti. Tutto quello
che mi era stato insegnato mi spingeva a vedere le cose da un punto
di vista esattamente opposto. Un uomo era libero se poteva „essere
se stesso‟ e non se doveva recitare e fingersi qualcun altro. Glielo
dissi e al termine della mia argomentazione adombrai la convinzione
che incontrare gli altri recitando un ruolo, indossando una maschera,
era un modo insincero, falso, di gestire un rapporto.
Tra gente ordinaria, comune, le mie sarebbero passate per
giuste obiezioni. La mia attitudine sarebbe apparsa quella di chi
nella vita ha regole di correttezza e principi etici inderogabili, e sa
difenderli con coraggio, anche di fronte ad un superiore; ma nel
mondo del Dreamer le mie parole fecero scattare tutti i sistemi
d‟allarme, come se fosse entrato un ladro.
«Taci!» mi aggredì il Dreamer, con un improvviso scatto
d‟ira, senza neppure lasciarmi finire.
«Essere se stesso… essere se stesso… − ripeté imitando la
mia saccenteria − Uno come te che ha vissuto nella falsità, nella
prigione dei ruoli per tutta la sua vita, non sa neppure da che parte
si comincia ad essere se stesso.»
Nella voce percepii la ripugnanza e un aperto disprezzo. Il
Dreamer non stava rispondendo alle mie parole ma faceva da
specchio alla mia arroganza, alla mia divisione. Dietro quelle
argomentazioni, e più in profondità di quanto potessi vedere,
correvano le mie resistenze a cambiare.
Il mio pentimento dovette essere totale e immediato se il
Dreamer poté riprendere il Suo discorso, ed il normale tono di voce
come se non si fosse mai interrotto. Ancora una volta osservai quella
Sua capacità di entrare ed uscire da uno stato d‟Essere, modificando
tono, linguaggio, gesti, espressione del viso, reazioni… Il tutto senza
lasciare residui, senza strascichi.
«Vivere strategicamente non è opportunismo e non significa
mentire, ma è un atto del guerriero che prende le sembianze e
compie gli atti che la situazione richiede e che il mondo è pronto a
400
La Scuola degli Dei
ricevere. Solo chi vive strategicamente può sopravvivere… Recitare
è libertà.»
Recitare „perfettamente‟ un ruolo significa aver superato quel
ruolo nella vita, significa „comprendere‟, avere accesso a zone
superiori di responsabilità. Il teatro era in origine una scuola
dell‟Essere, una scuola di libertà, dove i discepoli-attori imparavano
a recitare i ruoli e a superarli, ad acquisire la capacità di entrare ed
uscirne senza restarne imprigionati. Recitare significava quindi
imparare a liberare l‟Essere dai propri pensieri distruttivi e dalle
emozioni negative. E questa azione catartica, purificatrice, esercitata
dal teatro, pur svolgendosi a principale beneficio degli attori, si
estendeva al coro, al pubblico, alla città, fino alla nazione,
saldandola, unificandola, creando le condizioni della sua libertà e
della sua ricchezza. Questa funzione ha assicurato al teatro il ruolo
centrale che ha sempre avuto in tutte le culture e che ancora
affascina l‟uomo e dà ragione della sua magia.
La Grecia dell‟età classica aveva scoperto la centralità
dell‟Essere; sapeva che il segreto della prosperità economica, della
concordia civile, della maturità e della longevità delle istituzioni, era
nell‟innalzamento dell‟Essere di ogni uomo, nell‟arricchimento di
ogni cellula della città. Questa visione concepì e produsse una civiltà
dell‟Essere, una civiltà emozionale, senza tempo. Arte, bellezza,
musica, sport, ricerca della verità, erano colonne portanti della polis
ed i grandi regolatori della sua vita.
Con l‟autorità di un testimone diretto, di un essere misterioso
senza geografia né tempo, il Dreamer mi raccontò che civiltà più
antiche di quella Greca e di quella Romana, nel fondare una nuova
città, prima ancora di tracciarne le mura, eleggevano i luoghi per
erigere due edifici pubblici: il teatro, per purificare le emozioni, le
terme, per purificare il corpo. Essi erano le due ghiandole vitali di
depurazione, i reni di quella società. Come in un essere vivente, a
questi due organi era affidato il compito vitale di filtrare e purificare
la linfa della città, di depurare e arricchire ogni cellula.
«Il teatro non è un luogo fisico, ma uno stato dell‟Essere, un
luogo della psicologia dove si armonizzano le grandi facoltà
dell‟uomo… dove la parola, che è fusione di pensiero e respiro,
incontra il gesto.»
Stavo viaggiando in una macchina del tempo alla volta di
mondi scomparsi, alla ricerca di civiltà sepolte. Accanto a Lui
ancora potevo sentirne il palpito, il respiro.
401
Il Gioco
13 Il „Gioco degli Incontri‟
Fu così che, accanto al Dreamer, iniziai quel periodo del mio
apprendistato che doveva rivelarsi uno dei più intensi. Come un
padre guerriero, mi consegnò corazza e scudo, e le armi che avrei
portato con me. Me le affidò con queste raccomandazioni:
«Sii vigile, attento ad ogni attimo, ad ogni tuo abbassamento.
Osservati! Occupa ogni parte di te con il ricordo della tua
promessa. Chi non ha presente il Sogno, la forza reale, misteriosa e
invisibile che guida il mondo, è un frammento perduto
nell‟universo.»
Il „gioco‟ mi impegnò duramente per oltre due anni. Per tutto
questo tempo non ebbi altro impegno che viaggiare ed incontrare gli
uomini e le donne che il Dreamer mi indicò, o mise sul mio
cammino, secondo scelte strategiche note a Lui solo. Oggi riconosco
che ogni incontro è stato il frutto di una scelta precisa, il tassello di
un disegno lucido, consapevole, provvido. Ogni incontro ha seguito
un‟ammirevole progressione pedagogica. Quegli incontri, oltre ad
aiutarmi a scoprire e guarire le ferite più nascoste dell‟Essere,
crearono nel mondo degli eventi i presupposti insostituibili per la
creazione e lo sviluppo della nuova università.
Seven Oaks fu il punto focale di incontri memorabili, un
cenacolo che raccolse l‟intellighenzia mondiale; uomini e donne ai
vertici della cultura, del business, della politica, dell‟arte. Seven
Oaks fu un peana che chiamò a raccolta tutti quelli che si sarebbero
rivelati poi così necessari a realizzare la grande impresa. La
bellezza, lo stile di quella casa, che per mesi mi erano sembrati
optionals costosi e non necessari, si rivelarono gli elementi portanti
dell‟intera strategia, la cornice unica che avvolse e impresse caratteri
insostituibili a tutta la storia. Seven Oaks diede il colpo di diapason a
quelle componenti di imprenditorialità, stile di vita, responsabilità e
leadership che avrebbero accompagnato come una costante la
nascita di ogni nuovo campus dell‟università e tracciato le linee dei
suoi insegnamenti. Seven Oaks fu casa, alleato, headquarter, scrigno
e custode prezioso delle mie gioie famigliari. Lì crebbero i miei figli
e l‟affetto per Heleonore.
Il „gioco degli incontri‟ occupò una parte fondamentale nella
generale economia del mio apprendistato e in questi due anni non
furono rari i momenti di sconforto, quando la Sua disciplina e le sue
402
La Scuola degli Dei
austerità diventavano troppo duri per il mio grado di tolleranza. Il
Dreamer era un master of blame. Usava il biasimo e l‟accusa per
estirpare dai meandri dell‟Essere quel canto di dolore che da sempre
mi affliggeva e mi uccideva dentro. Nulla gli sfuggiva e la più
piccola inosservanza, la più piccola deviazione dal Progetto, faceva
scattare la Sua collera, terribile. Allora sapeva entrare nelle pieghe,
nelle piaghe più nascoste dell‟Essere e cauterizzarle con un ferro
rovente. Auguro ad ogni uomo che voglia uscire dai solchi del
proprio destino di incontrare il Dreamer, di avere un guardiano così
attento e così spietato. Ogni passo al Suo fianco ha il respiro
dell‟eternità. Ora che ne scrivo, riconosco che ogni movimento fatto
con Lui è stato unicamente, mirabilmente, disegnato per me e,
attraverso me, dedicato all‟evoluzione di ogni uomo che ha
realizzato il proprio stato di schiavitù. Accanto a Lui l‟esistenza
intera si è rivelata una Scuola dell‟Essere, una School for Gods,
aperta a chi vuole cambiare e fare della sua vita il proprio
capolavoro.
Soprattutto durante i primi mesi, il ‟gioco degli incontri‟ mi
parve una stravaganza e mise a dura prova la mia determinazione.
Prima delle rivelazioni del Dreamer, non avrei mai immaginato che
si potessero incontrare gli „altri‟ senza uno scopo „pratico‟.
«Una volta mi hai chiesto in base a quale criterio avrei scelto le
persone da incontrare» disse. Stava connettendosi ad una mia
domanda alla quale non aveva ritenuto di dare risposta.
«La loro caratteristica fondamentale è che devono essere
impeccabili e spietate. Un giorno saprai che nessun incontro può
avvenire fuori di te. Gli uomini e le donne che incontrerai si
riveleranno frammenti di te che dovrai connettere, come tessere di
un unico mosaico. Ognuno di loro rappresenta una delle tue vite
possibili... Nell‟oceano dell‟umanità ognuno di essi è una goccia
che riflette un aspetto della tua psicologia… Ricorda: gli altri sono
soltanto specchi. Non c‟è nessuno da accusare, né da biasimare. Un
uomo incontra sempre e solo se stesso!»
Seguendo le Sue indicazioni, mantenendo come base Seven
Oaks, viaggiai intensamente. In più occasioni dovetti lasciare
l‟Inghilterra, e molte volte anche il vecchio continente, per entrare
nelle situazioni più varie ed approcciare le persone più diverse per
posizione sociale, per età, per intelligenza, per origini familiari o per
capacità economica, con l‟unico, assurdo, meraviglioso scopo di
osservarmi, di „leggermi‟, di conoscermi.
403
Il Gioco
Passai così in rassegna un campionario umano più vasto di
quanto sia possibile immaginare: artisti, registi, industriali,
consulenti, guaritori dell‟umanità e Padri della Chiesa, politici,
imprenditori, filosofi e professori, medici, grandi avvocati e
banchieri, premi Nobel e vagabondi; uomini all‟apice del successo
ed uomini caduti in disgrazia, guru della finanza ed imprenditori
decaduti; nelle loro case o nei loro uffici, per strada o sui loro yatcht,
in alberghi di lusso o in modeste pensioni, al lavoro o in vacanza.
Centinaia di incontri ognuno dei quali richiese attitudini, un
linguaggio, comportamenti, perfino un abbigliamento, „puntuali‟.
Ognuno sfidò la ristrettezza della mia visione, la rigidità di schemi
mentali, mise a nudo una malattia nascosta, scoprì un punto molle
dell‟Essere, allenò una qualità interiore o cauterizzò una piccola
piaga dell‟anima, permettendomi di osservarmi nelle più diverse
circostanze, di fronte a tutti gli specchi possibili.
Ricordo l‟attenzione che il Dreamer dava ad ogni più piccolo
dettaglio, specialmente alla vigilia di un incontro particolarmente
importante. Le Sue direzioni non erano diverse da quelle di un
regista sul set prima delle riprese o di un coach prima di una gara
decisiva. Il mio abbigliamento, gli argomenti che avrei trattato,
perfino la dizione di alcune parole chiave che avrei usato, tutto
passava attraverso il setaccio della Sua attenzione.
«Cura te stesso… in tutto… sii attento! Cura minuziosamente
ogni angolo della tua vita − mi diceva il Dreamer − Look within!…
Sii consapevole di tutto quello che entra ed esce dall‟Essere... Our
Being creates our Life… L‟essere crea il mondo… Un uomo attento
sa che attraverso il più piccolo gesto sta aggiustando l‟universo.»
14 Il nuovo paradigma
Una volta, a seguito di un paziente lavoro, arrivai finalmente
a fissare a Parigi l‟incontro con il fondatore di una multinazionale,
leader nel settore della moda e dell‟industria del lusso. Il pretesto
che dovetti creare per quel meeting fu l‟acquisto di un immobile di
sua proprietà. La trattativa che avevo avviato da Londra già da
settimane era ora giunta nella sua fase conclusiva e richiedeva
appunto il nostro incontro. Il nome di quell‟imprenditore francese
era nella lunga lista di personaggi, „maestri‟ del business nel proprio
settore, che il Dreamer mi aveva chiesto di contattare e di incontrare.
404
La Scuola degli Dei
Era quello un periodo in cui ero strenuamente impegnato a
trasformare il mio cattivo rapporto con il denaro. Secondo il
Dreamer era necessario che imparassi a negoziare con i più „duri‟
businessmen senza timori o sudditanza. Alla vigilia della mia
partenza per quell‟incontro che si sarebbe svolto a Parigi nel sancta
santorum di una delle griffe più famose del mondo, ero esasperato
all‟idea di non sapere minimamente che cosa avrei detto. Sentivo
crescere la mia ansietà e con essa anche una forma di risentimento
nei confronti del Dreamer „colpevole‟ di mettermi in situazioni così
critiche.
Chiesi di poterLo incontrare con la segreta speranza di farmi
esonerare da questo viaggio e di cancellare quell‟incontro già fissato
a Rue de la Paix. Eravamo insieme da pochi minuti quando questo
stato d‟animo sfociò in una domanda aggressiva senza che potessi
fare nulla per controllarmi.
«Ma a cosa serve negoziare un palazzo o un‟industria −
sbottai ad un certo punto, cercando di nascondere il mio malessere
dietro un inattaccabile buon senso − a cosa serve discutere in ogni
dettaglio l‟acquisto di un‟auto di lusso o di un aereo privato se poi
non si ha il denaro per comprarli?»
«Se saprai recitare „impeccabilmente‟ − mi rispose il
Dreamer con insolita cortesia e ignorando le condizioni in cui mi
stavo presentando davanti a Lui − se all‟esame del tuo interlocutore
apparirai credibile, allora vuol dire che quel denaro è già nelle tue
tasche.»
Non capivo. Secondo me „fare sul serio‟ era tutt‟altra cosa.
Ero certo che se avessi veramente avuto il denaro per comprare
quella proprietà a Parigi non avrei avuto ansie, avrei saputo cosa dire
e cosa fare.
«Ti sbagli di grosso − ribatté tagliente il Dreamer − la prima
educazione ti ha abituato a credere che se avessi denaro e mezzi
sufficienti potresti fare tutto quello che desideri e quindi ti sentiresti
sicuro, saresti ricco, felice, rispettato. Avere-Fare-Essere è il
paradigma dominante, l‟epitome della mitologia di un‟umanità
degradata, e la causa di tutti i suoi mali e delle sue disgrazie.»
Pronunciate queste parole sollevò gli occhi e mi fissò
intensamente. Poi, senza abbandonarmi con lo sguardo, con l‟indice
ed il medio della mano destra distesi ed uniti si colpì lentamente e
ripetutamente l‟orecchio destro. Il Dreamer mi stava ammonendo
per la mia durezza di comprensione e stava chiedendo un ascolto
405
Il Gioco
assoluto, senza divisioni o distanze. Quella Sua strana mimica mi
inquietò; sotto la vernice di normalità di quel suo movimento sentii
l‟imperio, l‟autorità di un gesto tragico, teatralmente magico, e
questo impresse una tale accelerazione che dovetti lavorare sul
respiro per non entrare in uno stato di agitazione.
«Questo schema mentale è comune a miliardi di esseri −
disse − devi rovesciarlo! Il paradigma di una nuova umanità è:
Essere-Fare-Avere. Più sei, più fai, più hai. Avere ed Essere sono la
stessa cosa ma su piani diversi dell‟esistenza.»
La scoperta che Essere è già Avere, e che l‟Essere guida
l‟Avere e ne è la vera causa, ebbe l‟effetto di una esplosione che
buttò all‟aria, per sempre, idee e convizioni di una vita. Questo fu
uno di quegli shock del pensiero che hanno avuto la forza di
modificare il mio destino. Il discorso del Dreamer si fece denso,
intenso. Tirai fuori il mio taccuino e lì, per la strada, cominciai a
prendere appunti. Mentre la mano scorreva veloce sui fogli,
raccogliendo ogni Sua parola, memorizzavo e ripetevo a mente le
frasi che non riuscivo a riportare per tempo sul taccuino. Temevo di
perdere anche una sola molecola della comprensione di quel
momento. Sarebbe stato irrimediabile.
Riallacciandosi al discorso iniziale, mi disse che l‟incontro
che stavo per avere a Parigi poteva equipararsi alla visita ad un
elegante negozio di abbigliamento o a una famosa gioielleria.
L‟importante non era comprare gli abiti che abbiamo provato né i
gioielli più preziosi che ci hanno mostrato, ma essere „riconosciuti‟
dall‟Essere, dall‟invisibile di quel negozio... Mi spiegò che
l‟importante era che quel mondo... che quella fascia dell‟esistenza ci
dicesse „sì‟.
«È vero, non uscirai con quell‟orologio prezioso al polso, e
quel capo non sarà nel tuo guardaroba, ma avrai allenato le
capacità per possederli… Lo stile è coscienza… Allena l‟Essere…
Ogni tuo sforzo per entrare in fasce più ricche dell‟esistenza ti serve
a sconfiggere il tuo senso di scarsità. Esercitati all‟abbondanza,
innalza la visione e sogna l‟impossibile, crea una „prosperity
consciousness‟ che è la vera origine di ogni ricchezza e la
condizione per poterla mantenere.»
«Il denaro si fabbrica dentro − disse quella volta il Dreamer
− Sogna, visualizza costantemente l‟armonia e il successo, e li
otterrai. Il denaro sarà solo una conseguenza naturale.Allora arriva
senza sforzo… Allora non avrai mai paura di perderlo… Il denaro
406
La Scuola degli Dei
deve arrivare da solo, naturalmente, per effetto della tua prosperità
interna… allora lo sentirai crescere e scoppiettare in tasca, come
popcorn…»
Dovendo incontrare questa volta un maestro dello stile, oltre
che businessman, il Dreamer si raccomandò particolarmente che il
mio abbigliamento fosse all‟altezza dell‟occasione.
«Il gusto è coscienza» mi disse mentre insieme
camminavamo in Via dei Condotti e ascoltavo le istruzioni per
quell‟incontro a cui il Dreamer dava un‟importanza straordinaria.
Dovevo scegliermi un vestito e mentre passavamo davanti alle
vetrine delle più prestigiose griffe del mondo, il Dreamer mi fece
osservare la bellezza, l‟eleganza, lo stile, la cura di ogni dettaglio
che faceva di quei negozi, di quelle imprese e dei fondatori che le
avevano create l‟epitome planetaria dell‟arte del vivere.
«Solo apparentemente lo scopo di entrare in un negozio è
quello di comprare un oggetto o un vestito − disse il Dreamer − È
soltanto un alibi. In realtà quello che veramente compri è
coscienza.»
Entrammo nelle boutique più eleganti, visitai con Lui le
agenzie immobiliari più importanti, gioiellerie e negozi esclusivi. Ci
presentarono le proprietà, le collezioni di abiti, gli oggetti più
preziosi; ed ogni volta il Dreamer mi fece notare che le attività che
avevano raggiunto il top a livello mondiale avevano tutte un
denominatore comune: l‟attenzione. L‟attenzione al più piccolo
particolare, dall‟arredo alla qualità delle persone che vi lavoravano,
la gioiosità di queste, la luminosità del loro aspetto, l‟amore che
mostravano per il loro lavoro.
«Quello che vedi concentrato in questa strada è la
materializzazione di un grado della coscienza umana − disse, e
completò con una raccomandazione − non comprare neppure uno
spillo al di sotto di questo livello di cura, di attenzione, di amore.»
Gli assicurai che non avrei chiesto di meglio ed osservai che
a tutti avrebbe fatto piacere di servirsi soltanto in quei negozi, di
circondarsi di quella bellezza, di quella ricchezza.
Fu allora che ricevetti una delle Sue più memorabili lezioni.
«Like attracts Like − enunciò il Dreamer − un uomo incontra
sempre se stesso e sceglie se stesso. Tutto corrisponde perfettamente
al suo grado di attenzione.»
«Ed il denaro? − chiesi − non è questo che fa la differenza tra
quello che si può avere e non avere?»
407
Il Gioco
«La coscienza è denaro! − affermò il Dreamer − È l‟Essere
che decide l‟avere. Un uomo può avere solo il denaro che è capace
di sognare, di visualizzare, di immaginare… Quando avrai fatto un
lavoro
sull‟Essere, quando l‟avrai semplificato, arricchito,
sublimato in ogni angolo, l‟abbondanza, la prosperità, la bellezza, ti
corrisponderanno. Questo si chiama „coscienza di prosperità‟. Il
denaro per permetterti tutto questo verrà da solo, per caduta, come
una semplice conseguenza del tuo innalzamento.»
«Gli oggetti hanno un‟anima − continuò il Dreamer −
Apparentemente siamo noi a sceglierli, ma in realtà sono gli oggetti
che scelgono chi può possederli. Le cose sanno con chi andare e chi
abbandonare… Puoi possedere solo ciò di cui sei responsabile…
Non essere distratto dalla scarsità. Dai tutta la tua attenzione, al
Sogno, ai beni inalienabili che sono diritto di nascita di ogni
uomo: integrità, bellezza, libertà, felicità, intelligenza, amore,
verità. Disegna dentro di te la ricchezza, l‟eleganza, il gusto, lo
stile.»
Intanto il nostro shopping continuava ed io cominciavo ad
essere molto più disteso. L‟incontro di Parigi non mi preoccupava
più. Ero un bambino in un grande Luna Park. Notai che dovunque
entrasse il mondo s‟inchinava. Un clima di leggerezza si diffondeva
intorno. Il Dreamer arricchiva l‟aria di generosità, di potere, e tutti lo
sentivano. Con Lui accanto il mondo celebrava ed offriva il meglio
di sé.
«Chi è padrone di se stesso governa il mondo. Il mondo lo
riconosce ed è felice di servirlo.
Ognuno di questi negozianti è in realtà un guardiano
dell‟invisibile» mi rivelò il Dreamer avvicinandosi al mio
orecchio mentre un nugolo di commessi partiva in tutte le direzioni
per soddisfare le Sue richieste.
Quando avrai superato i limiti e gli ostacoli interni...
quando avrai eliminato il dubbio e la paura che ancora te ne
separano, tutto il mondo sarà informato del tuo passaggio a quella
fascia dell‟esistenza. Il mondo sa tutto di te!»
Un fiume di gente ci scorreva accanto; da un braccio di cielo,
racchiuso tra i cornicioni di palazzi patrizi ed il verde dei terrazzi, un
raggio di sole, sottile come un laser, tra tutti scelse noi. Imitai il
Dreamer e sollevai il volto, per accoglierlo. Con gli occhi socchiusi
restai lì, con Lui, per attimi eterni, ad ali spiegate, come farfalle
trafitte da un ago d‟oro.
408
La Scuola degli Dei
15 Il Replay
Scoprii presto che la parte più interessante del „gioco degli
Incontri‟ veniva dopo.
Mi spiego.
Una volta avvenuto un incontro c‟era da lavorare per giorni
sull‟infinito materiale che ne era scaturito. Il Dreamer sceglieva
accuratamente sequenze di immagini, frammenti di colloqui; come
spezzoni del film della mia vita, me ne mostrava poi i fotogrammi,
uno ad uno, sotto la luce di una sincerità spietata. Pensieri, emozioni,
atteggiamenti avuti in quell‟occasione, ogni più piccolo dettaglio
finiva sotto la Sua lente di ingrandimento. Una smorfia del viso, una
inflessione nella voce, un‟accelerazione del cuore, un sussulto
dell‟anima, un movimento del corpo, una reazione meccanica, una
smorfia ricorrente, una meschinità nascosta nel linguaggio, nel
comportamento, nelle emozioni; il modo in cui mi ero presentato,
come mi ero seduto, un dettaglio del mio abbigliamento... Nulla Gli
sfuggiva. Ed anche a distanza di mesi, o di anni, se la Sua
impeccabile pedagogia l‟avesse ritenuto necessario, era capace di
ritrovare e proiettare il frammento più remoto di un incontro. Allora
lo ingrandiva al microscopio per farmi vedere la pericolosità, ed a
volte la catastrofe, nascosta dietro un‟inezia. Con Lui scoprivo la
trappola mortale tesa dietro la tranquilla, apparente normalità di un
gesto o di una parola, e ne vedevo i crudeli meccanismi pronti a
scattare per imprigionarmi.
Questo lavoro straordinario non fu indolore; fu anzi, spesso,
insopportabilmente penoso, ma ebbe la forza di far deragliare il mio
destino dai binari tracciati dalla ripetitività e dalla disattenzione, e
lo cambiò per sempre. Devo dire che nel corso di queste operazioni,
regolarmente affioravano le mie resistenze ed i pregiudizi più
inveterati, insieme alla zavorra psicologica accumulatasi per anni.
Tutte le volte mi aggrappavo a qualche brandello del passato, a
qualche fantasma, e lo difendevo, temendo di vederlo sparire.
Qualcosa in me non voleva venire allo scoperto, si nascondeva.
C‟era ancora tanto marciume che non volevo vedere. E tutte le volte
il Dreamer si trasformava in un cacciatore implacabile, capace di
braccare un‟ombra dell‟Essere per mesi, fino a stanarla e a
eliminarla per sempre.
Una volta mi trovavo all‟Hotel Maurice di Rue de Rivoli.
Attraversavo la hall per andare incontro ad un uomo d‟affari che mi
409
Il Gioco
attendeva. Per un attimo tra noi si interpose una donna, giovane ed
attraente, che catturò la mia attenzione. Fu un attimo. Quel
movimento della testa, il mio sguardo che per una frazione di
secondo aveva accarezzato il corpo di quella donna, Il Dreamer me
lo fece rivedere da centinaia di angoli diversi, a distanza ravvicinata
e da lontano, dall‟alto e dal basso, fino alla nausea.
«Quell‟uomo − disse il Dreamer riferendosi a me e
mettendomi una ennesima volta di fronte a quelle immagini − non ce
la può fare. È già fallito, ancor prima di cominciare... con quel
movimento ha messo la testa sul ceppo…»
«La questione non è se sia giusto o sbagliato apprezzare una
bella donna − continuò il Dreamer, le cui osservazioni non si
intrecciavano mai con valutazioni etiche e principi morali, né
potevano essere ricondotte ad un tempo o a un luogo − quel
movimento della testa, l‟indulgere dello sguardo sono rivelatori di
un‟assenza di determinazione… sono sintomi di una corruttibilità…
Quel gesto è l‟epitome di tutta la tua vita; esso affonda le sue origini
in strati e strati di disattenzione, di confusione emozionale
sedimentati nei secoli.»
L‟ultima delle preoccupazioni del Dreamer era di poter ferire
la mia sensibilità, di mortificarmi o di produrre in me stati di
frustrazione. Mi passava sull‟ego con la gentilezza di un cingolato;
ma col tempo imparai a benedire questa Sua spietatezza. Scoprii che
il Dreamer non era soltanto il mentore, la guida preziosa, ma anche
il giustiziere inflessibile di ogni mediocrità... Egli rappresentava la
totalità.
«Impara a non distogliere l‟attenzione dal target da
colpire… Sii vigile, impeccabile, non deviare… Chi riesce a fissare
un punto senza deviare mai, né con lo sguardo né con la mente, può
tutto! Ogni attimo ha un suo bersaglio da colpire… Do not miss the
mark − enunciò il Dreamer − Deviare è il vero, unico peccato.»
Quella volta in particolare mi sorprese in Lui un‟insolita
eccitazione. Era uno scienziato di fronte all‟esito finalmente
favorevole di lunghe ricerche e di innumerevoli esperimenti. Mi
disse che aveva tra le mani, visibile ed osservabile, ancora guizzante,
un virus dell‟anima... uno di quei crack nell‟Essere che erano la
causa vera di ogni nostro fallimento... Avrei potuto vedere in faccia
uno dei miei „nemici‟, uno dei sabotatori, uno dei killer che mi
portavo dentro.
Gli sentii aggiungere in un sussurro:
410
La Scuola degli Dei
«Puoi credere che questo sia esagerato, ma in un solo
movimento un uomo rivela la sua vita e il suo destino. Quell‟uomo
sta denunciando la sua inaffidabilità!»
Era come se stesse parlando di qualcun altro; di una spoglia
che nel corso della mia mutazione mi stavo lasciando alle spalle.
«L‟esistenza non punta nulla su uomini del genere… non
solo non avranno di più ma perderanno anche quello che credono di
avere.»
Qui le Sue parole si sospesero. Ebbi l‟impressione che la Sua
visione non fosse più esterna ma interna a me. Attraverso i Suoi
occhi, ero io che osservavo me stesso. Ero l‟osservatore e
l‟osservato, lo scienziato e la cavia, allo stesso tempo. Ebbi una
vertigine del pensiero. Non so come, ma fui certo, certissimo, che
quella donna, apparsa improvvisamente tra me e l‟uomo che stavo
per incontrare, non si trovava a passare di là per caso ma era frutto
della Sua regia. Questo pensiero, che mi aggirassi in una realtà
virtuale, in una specie di film diretto dal Dreamer, mi fece tremare le
gambe per lo sbigottimento.
Quella che chiamavo vita era in realtà un ambiente di
apprendimento totale, una Scuola a 360°.
16 Aspettarsi dal mondo
Per mesi, come nell‟allenamento di un pugile che si prepara
per un grande match, il Dreamer mi mandò alla ricerca di chi mi
sferrasse i colpi più subdoli, di chi mi aiutasse a scoprire i punti
deboli, di chi potesse farmi da specchio per riconoscere i limiti che
inconsapevolmente avevo imposto alle mie possibilità e scoprire che
cosa aveva guidato fin lì tutta la mia vita. Commentando ogni
incontro, esaminando ogni sua fase, ogni minuzia, il Dreamer mi
aiutò a focalizzare l‟attenzione, a sviluppare l‟autosservazione, e a
conoscermi. Penetrando sempre di più nelle regole del „gioco‟, smisi
di vedere gli altri come una realtà separata da me e cominciai a
percepirli come i gradini luminosi, insostituibili, di una scala
invisibile, di una via verticale all‟unità dell‟Essere.
Incontro dopo incontro, verificai qualcosa di incredibile,
qualcosa che il Dreamer mi aveva svelato ma che era troppo lontano
dalla visione ordinaria per poterlo accettare.
411
Il Gioco
«Cerca, cerca qualcuno che sa − disse − e scoprirai che
nessuno sa nulla!»
Mi sconcertò scoprire che uomini rispettati, leader acclamati,
signori dall‟aspetto grave, intelligente, con titoli e cariche
prestigiose, non avevano alcuna idea di dove stessero andando;
guidavano gli altri come il cieco immortalato da Brueghel.
In alcune occasioni caddi nell‟inganno di crederli felici,
consapevoli o liberi, e mi convinsi che qualcuno di quegli ammalati
dell‟ego, di quei prigionieri dei ruoli, avesse una vita invidiabile.
Dimenticato il reale, il mondo delle apparenze mi corrompeva, mi
comprava; allora venivo affascinato dal potere di quegli uomini o
donne, dalla loro ricchezza, dalle loro capacità. Allora la descrizione
del mondo prendeva il sopravvento e restavo invischiato con tutto il
mio Essere.
Una volta ritornai da un lungo viaggio, scoraggiato, senza un
briciolo d‟energia e con addosso un senso di sconfitta. Ricordo che
quell‟incontro mi aveva fatto toccare con mano i miei limiti e
mostrato la corruttibilità, la disattenzione, e quanto poco ancora
bastava per sentirmi umiliato, offeso, avvilito.
Il Dreamer mi spiegò che mi sentivo così perché ancora
incontravo gli altri con un‟aspettativa; ancora nutrivo in qualche
angolo della mia immaginazione l‟illusione che qualcuno potesse
aiutarmi, eleggermi. Ancora troppo spesso, specialmente all‟inizio di
quel „lavoro‟, provavo ad aggrapparmi a qualcuno; ancora
incontravo gli altri cercando in loro quella fiducia che mancava in
me. Per il Dreamer questo era il segno più evidente della mia
vulnerabilità e la ragione per cui non poteva ancora affidarmi nulla.
«Queste non sono sconfitte − talvolta mi incoraggiava il
Dreamer − sono soltanto indicazioni di cosa e quanto c‟è ancora da
fare… Il „gioco‟ è diretto a farti realizzare che non c‟è nessuno da
invidiare o a cui chiedere aiuto; che non sei tu a dipendere dal
mondo, ma è il mondo che chiede a te chiarezza e direzione. La
realtà è una creatura del Sogno.»
Annotai accuratamente le avvertenze del Dreamer
sull‟aspettativa e per mesi ci lavorai su. Osservai e studiai i momenti
in cui scattava, le forme che assumeva, ed i mille trucchi che
escogitava per sfuggire alla mia osservazione.
«Mantieniti libero interiormente! − mi suggeriva
instancabilmente − Smettila di essere reattivo! Reagire al mondo
significa diventarne vittima… Chi si „aspetta‟ dal mondo ha già
412
La Scuola degli Dei
perso. Il più grande segreto è sapere che tutto il mondo è al tuo
servizio per migliorarti; è realizzare che ogni cosa, evento o
circostanza, è cibo, nutrimento, propellente per il tuo viaggio.
Solo apparentemente eventi e uomini sono lì per ostacolarti
ed impedirti di andare oltre. Chi „vede‟ sa che il mondo è una
palestra dell‟Essere dove agire e recitare, dove provare e riprovare,
finché la recita dell‟esistenza non risulterà impeccabile; dove
allenare i muscoli della responsabilità fino a diventare più integro,
più libero. Prima o poi ogni uomo dovrà incontrarsi con tutto quello
che serve a bilanciarlo e completarlo.»
«Accelera! − il Dreamer non si stancava di spronarmi −
Cerca altri incontri, crea ogni occasione per tamponare le falle, per
eliminare le incomprensioni, per „saldare i conti‟ con il passato.»
17 “Questo libro è per sempre!”
«Scrivi! − mi ordinò bruscamente il Dreamer − Se scrivi la
tua vita non sarà stata inutile... »
«Ascolta!… e scrivi!… − mi ordinò nuovamente, irrompendo
nei miei pensieri e spazzando via d'un colpo la melma emozionale
che aveva portato a galla − Scrivi un libro che sia per sempre… un
giorno saprai che la tua vita ha avuto significato solo per questo…
Un libro che può essere letto solo da chi è già pronto, da chi
è già in cammino verso uno stato di guarigione, da chi ha già messo
in discussione la vecchia descrizione del mondo, conflittuale,
mortale.
Scrivi un libro coraggioso, che racconti fedelmente tutto
quello che hai vissuto accanto a Me. Che faccia capire al mondo che
il Sogno è la cosa più reale che ci sia. Un libro che elimini tutta la
superficialità e la menzogna, e scuota dalle fondamenta le
convinzioni più radicate dell'umanità.
Scrivi un libro che porti alla luce le leggi universali
seppellite nell'Essere di ogni uomo.»
Ripresi di corsa il mio taccuino e nella semioscurità, senza
quasi vedere nulla, cominciai a scrivere freneticamente le parole che
conclusero la Sua visita a Seven Oaks.
«Questo
Libro
sarà
avversato
ed
incontrerà
nell‟establishment e nella moltitudine i più feroci antagonisti.
Eppure, allo stesso tempo, devi credere che raggiungerà quella
413
Il Gioco
parte dell‟umanità
dell‟ordinarietà.»
414
pronta
ad
evadere
dagli
inferni
La Scuola degli Dei
CAPITOLO X
La Scuola
1 La Visione verticale
«Una specie umana del tutto trasformata sta per apparire
sulla scena», annunciò il Dreamer.
Nei Suoi occhi brillava la vita nella sua pienezza. Provai
un‟eccitazione insolita. Per raggiungerLo avevo fatto un lungo
viaggio con scalo a Buenos Aires e poi a Bogotà. Da qui un
minuscolo aereo mi aveva trasferito in una piccola città annidata su
un altipiano, a 2300 metri.
La Casa del Pensamiento, la solitaria costruzione di bambù
dove stava avvenendo il nostro incontro, era circondata a perdita
d‟occhio dal verde intenso di cime maestose. Nessun luogo avrebbe
potuto sostenere con più assorta partecipazione parole così intense.
Arcani organi di civiltà perdute erano in ascolto. Nell‟aria ancora
palpitavano i loro miti: la leggenda di Eldorado, le storie di
guerrillas, di cocaina e di smeraldi, fino ai misteri della Ciudad
Perdida.
La Sua voce mi sottrasse alle mie fantasticherie etnografiche.
«L‟uomo nuovo ha infranto il vecchio involucro, ha bucato il
bozzolo mentale che da millenni imprigiona la vecchia umanità»
disse con l‟enfasi di uno scienziato che vede dimostrata l‟ipotesi a
cui ha lavorato per anni, ed in cui egli solo ha creduto.
L‟elemento distintivo, la caratteristica evolutiva della nuova
specie era un evento nuovo sotto il sole, una vera rarità cosmica: la
nascita nell‟uomo di un apparato psicologico libero dalla paura e
dalla conflittualità. Questa caratteristica senza precedenti, come uno
spartiacque mentale, stava producendo nell‟Homo Sapiens una vera
e propria speciazione. Il genere umano era di fronte ad un bivio della
415
La Scuola
sua evoluzione e due umanità, fortemente distinte, stavano
delineandosi e allontanandosi l‟una dall‟altra. Gli uomini avrebbero
continuato a chiamarsi uomini per chissà quanto tempo ancora ma
da questa scoperta in poi sarebbero per «La vecchia umanità,
intrappolata in una visione piatta della realtà, vede solo attraverso il
gioco degli opposti… percepisce e sente solo attraverso polarità,
antagonismi e contrapposizioni», recitò il Dreamer rivolgendosi
verso un punto dell‟orizzonte.
Ebbi l‟impressione che, più che parlare a me, stesse
assolvendo un rito noto a Lui solo. Seguii il Suo sguardo e mi
sembrò che individuasse tra tutte una valle dove più profondamente
precipitava il giogo dei monti lontani. Là, da civiltà più antiche dei
Maya e degli Aztechi, era nata la scintilla intelligente che ora faceva
brillare gli occhi scuri del Dreamer.
«Vision and reality are one and the same thing» enunciò,
richiamando uno degli statement più emblematici, forse
l‟abbreviazione stessa della Sua filosofia.
«L‟uomo orizzontale ha una visione conflittuale del mondo e
questa è la causa prima di ogni sua sciagura… La storia della sua
civiltà è il riflesso fedele di una psicologia frammentata… una storia
di guerre e distruzioni… Perfino la sua scienza, l‟attività di cui più è
orgoglioso, non è che il prodotto della frizione tra due concetti
antagonisti… bene e male, vero e falso, bello e brutto… come una
scintilla che ancora nasce dallo strofinio di due selci tra le mani di
un selvaggio.»
Il Dreamer continuò spiegandomi che l‟umanità ordinaria
ancora usava un apparato visivo arcaico. Come rane, che non
possono percepire il mondo se non come un movimento di ombre,
così gli uomini della vecchia specie non possono conoscere che
attraverso il contrasto, attraverso la comparazione di elementi
contrapposti. La loro logica è conflittuale, la loro visione del mondo
è tuttora il rudimentale risultato di un gioco dei contrari.
«La caratteristica
distintiva dell‟uomo nuovo è la
consapevolezza dell‟illusorietà degli opposti − affermò il Dreamer −
Quelli che la vecchia umanità considera opposti sono in effetti le
due facce della stessa realtà, come le due estremità dello stesso
bastone… Bene e male, vero e falso, bello e brutto, non sono
opposte modalità dell‟esistenza, ma gradi, livelli del reale… Dietro
gli apparenti antagonismi agisce incessantemente una forza
416
La Scuola degli Dei
armonizzatrice capace di fonderli e ricondurli ad un ordine
superiore.»
Il fatto antropogenetico, la caratteristica rivoluzionaria che il
Dreamer stava rivelandomi, era la comparsa in alcuni individui di un
senso nuovo e sovversivo che chiamò „visione verticale del mondo‟.
Provai una vertigine del pensiero. Mi strinsi forte alla balaustrata di
bambù finemente levigata dal vento dei Muiscas ed incisi nel cuore
il Suo incredibile racconto.
«A questi primi esemplari, campioni di una nuova umanità,
la realtà non appare più univoca, illusoriamente definita da polarità
e contrapposizioni, ma fatta di livelli. Al loro nuovo senso,
l‟universo non si presenta più diviso in opposti ma risulta fatto di
livelli, strati di realtà. Qualcosa non è vera o falsa ma allo stesso
tempo vera e falsa, né vera né falsa, né non vera né non falsa… »
Annotai accuratamente le Sue parole, anche se la loro
comprensione tardava a farsi strada in me. Mi soccorse un Suo
esempio sulla più classica delle antinomie, quella che contrappone il
bene al male. Diversamente da quanto appare ad una visione
ordinaria, orizzontale del mondo, non esiste qualcosa che di per sé,
oggettivamente e permanentemente, sia bene o male.
«Il male di oggi è il bene di ieri che non è stato trasceso»
dichiarò, e restò ad osservarmi mentre trascrivevo le Sue parole,
come faceva quando voleva essere certo che fossero riportate con
assoluta precisione. Prolungò quella pausa ancora un poco, poi
scandì:
«Quello che un uomo nella sua vita indica come male, è il
suo indulgere nel bene di ieri. Yesterday‟s perfection is but a
stepping stone towards a new perfection.»
«Ma bisogna ammettere − sostenni, nel tentativo di
mantenere in piedi qualche brandello delle mie certezze − che
almeno un‟antitesi c‟è di sicuro… la vita e la morte sono realtà
antitetiche… due veri opposti.»
«Così le vede l‟uomo orizzontale», concesse il Dreamer. Poi
abbassando il tono della voce ed avvicinandosi, come per confidarmi
un segreto, disse:
«In realtà la morte non esiste… Siamo fatti per vivere per
sempre! La prova più evidente dell‟onnipotenza dell‟uomo è nel suo
potere di rendere possibile l‟impossibile: la morte… Il corpo è
indistruttibile. Soltanto l‟assenza di volontà… una volontà
417
La Scuola
involontaria, un‟onnipotenza inconsapevole, può distruggerlo. La
morte è l‟immortalità vista di spalle!»
Ascoltavo e tremavo. Ero una creatura sospesa sul ciglio
dell‟abisso nell‟attimo che precede il salto che è allo stesso tempo la
sua fine e la sua rinascita. Fu allora che pronunciò le parole che
avrebbero guidato ed impegnato ogni attimo della mia vita.
«Occorre educare le cellule di questa nuova umanità, una
per una. L‟armonizzazione deve avvenire in ogni uomo − disse con
intensità − In economia come in politica, occorre preparare una
nuova generazione di leader, un‟aristocrazia decisionale… uomini e
donne che conoscano „l‟Arte del Sognare‟, l‟Arte del Credere e del
Creare.»
2 Una Scuola per sognatori pragmatici
«Occorrono fucine di uomini visionari» annunciò deciso il
Dreamer.
Dalla stretta che sentii allo stomaco seppi che quelle parole
stavano imprimendo un‟ulteriore accelerazione al nostro incontro. Il
tono era quello di un comando senza replica rivolto non a me ma ad
un invisibile esercito pronto a marciare ai Suoi ordini.
«Occorrono scuole nuove − continuò il Dreamer
trasmettendomi quella chimica febbrile che accompagna i grandi
eventi quando il loro tempo è arrivato − Occorrono scuole di
preparazione per uomini capaci di portare soluzione… scuole per
uomini solari, „Sognatori pragmatici‟… »
Questa espressione mi penetrò nella carne con la forza di un
paradosso evangelico. In futuro, negli anni che avrebbero visto la
costruzione della nuova università, l‟avrei adottata in tutti i
documenti ufficiali e nelle conferenze, per annunciarne la missione.
Ma già da quella prima volta, ascoltandola, fui certo del suo
misterioso potere… „Sognatori pragmatici‟… Ecco la definizione
più sintetica e potente di quell‟esercito luminoso che il Dreamer mi
stava chiedendo di mettere insieme: migliaia di ragazzi e ragazze,
studenti speciali, innamorati del loro Sogno senza frontiere.
„Pragmatic Dreamers‟.
Per lunghi momenti indugiai su queste due parole, opponendole
mentalmente e gustando la complicità che faceva capolino dietro
il loro apparente antagonismo. Poi il sottile solletico della loro
418
La Scuola degli Dei
razionalità paradossale smise, ed esse si fusero in una unità senza
tempo.
.
« …Essi saranno i leader di un nuovo esodo − proseguì il
Dreamer − un „esodo psicologico‟ di proporzioni planetarie…
Migliaia di uomini e donne abbandoneranno la schiavitù della loro
logica conflittuale in cambio di una visione verticale del mondo
fondata sulla capacità di armonizzare gli antagonismi interni… »
Scrivevo le Sue parole tenendo il taccuino appoggiato alla
ringhiera di bambù. La Casa del Pensamiento era un‟arca perduta
nell‟oceano vegetale che si estendeva a perdifiato, fino ad
infrangersi lontano, ai piedi di andini giganti di pietra.
«Solo leader visionari… uomini liberi da ogni ideologia o
superstizione − disse − potranno traghettare l‟umanità dalla sponda
psicologica dell‟uomo ordinario, debole, irascibile e bigotto, a
quella dell‟uomo nuovo, integro, ispirato ai princìpi di una
spiritualità laica.»
Qui il Dreamer arrestò il Suo discorso ed io ne approfittai per
riordinare gli appunti raccolti. Ero chino sulle pagine quando sentii
su ogni centimetro quadrato del mio corpo una crescente pressione,
come l‟abbraccio verde e pericoloso delle acque del Castello
Aragonese, dopo un tuffo, nella mia infanzia ischitana. Lentamente
sollevai il capo. Il Dreamer si era avvicinato fino a pochi centimetri.
Mi trovai prigioniero, catturato dai Suoi occhi, come un asteroide
entrato nell‟orbita di due lune nere. Il silenzio tra noi si fece
solenne… Il Dreamer stava avvicinandosi ancora… e ancora… Ogni
pensiero si sospese. Vidi teorie di navate gotiche rincorrersi senza
fine ed ascoltai la musica di organi secolari. Una commozione
incontrollabile mi serrò la gola mentre risuonavano le parole che
avrebbero dato significato alla mia vita.
«Fonderai
una
Scuola
dell‟Essere − annunciò −
un‟università per chi ha un sogno da realizzare… dove si insegna
che il Sogno è la cosa più reale che ci sia… che ciò che l‟uomo
chiama realtà non è altro che il riflesso del suo Sogno.»
Mi sentii perduto come all‟aprirsi della botola sotto i piedi di
un condannato. Semmai avessi avuto bisogno di un test per scoprire
i limiti del mio Essere, per toccarne le pareti, quelle parole del
Dreamer sarebbero state più che sufficienti. La vastità di quel
compito mi stava schiacciando ancora prima di cominciare. Stavo
venendo meno solo al pensiero di una tale impresa.
419
La Scuola
«Creerai una Scuola della responsabilità, una Scuola per
sognatori pragmatici, filosofi d‟azione, dove si apprende che la
felicità è economia… che la ricchezza, l‟armonia e la bellezza sono
diritto di nascita di ogni uomo… Creerai una Scuola che non avrà
fine… A School for Gods… Essa avrà il Mio passo, il Mio respiro.
Non temere nessun attacco. Ogni attacco, anche il più feroce, è
un dono prezioso per chi vuol capire e cambiare. Un attacco dal
mondo esterno può solo arrivare come un processo di guarigione
che tu stesso hai sognato e messo in atto»
Il Dreamer tacque ed attese. Da buon musicista, stava
dandomi lo spazio per esprimermi. In quella nostra solitaria jam
session era tempo di suonare qualcosa di mio. Il tempo scorreva ed
io tergiversavo nell‟irragionevole speranza di poter eludere il Suo
invito. Ma il silenzio del Dreamer si fece ancora più stringente.
Avrei voluto gridare la mia insufficienza di fronte alla vastità di quel
disegno ed allontanarlo da me. Mi feci forza, ma la voce non andò
oltre un balbettio:
«Mi sembra una Scuola di filosofia» riuscii a dire,
implicando che era al di fuori delle mie capacità.
«E allora? − mi schernì familiarmente, il Suo tono era
divertito, benevolmente ironico − Una scuola di economia è una
scuola di filosofia!… Tu „dovresti‟ saperlo!»
C‟era nelle Sue parole, nel Suo sorriso, nel tono, un
ammiccamento, una innocente malizia che ispirava complicità.
Qualcosa di importante era lì, ai confini della memoria, ed io non
riuscivo a catturarla. Intanto il Dreamer si avvicinò ancora,
impercettibilmente, lo sguardo fisso nei miei occhi, senza battere
ciglio. D‟improvviso, come al rompersi di una membrana, il passato
si sgravò dei ricordi. Il nastro del tempo si riavvolse; sullo schermo
della mente cominciarono a scorrere fotogrammi lontani…
Rividi gli anni di studio e di lavoro all‟Università di Napoli
al fianco di Giuseppe Palomba, il maestro amato che mi aveva
introdotto alla scoperta dei valori morali e delle idee come i grandi
motori dell‟economia; e mi aveva stimolato a ricercare nel loro
inaridimento la vera causa di ogni scarsità e le ragioni del
sottosviluppo di intere regioni del pianeta. Anche gli anni trascorsi
alla Cattolica di Milano ed alla London Business School mi
attraversarono la mente, non in successione, ma in un‟unica
esplosione di immagini, di visi, di sensazioni, di odori, di stati
d‟animo. La sede della facoltà di Economia, il cubo di travertino
420
La Scuola degli Dei
affacciato sul mare di Santalucia, si trasferì sul prato inglese della
LBS in Regent‟s Park…
Lo studio disperato di quegli anni riunì in una sola tutte le
Scuole del passato… i maestri… i compagni… l‟aula magna, la
lode. Rividi la commozione di Giuseppe e Carmela, il Tissot
d‟oro… la gioia per la borsa di studio della Fondazione Giordani
che mi apriva le porte della Columbia University… Poi, improvviso
così com‟era insorto, quel caleidoscopio di immagini cessò; lo
scenario cambiò. Mi rividi in una pausa delle lezioni alla LBS: ero
poco più di un ragazzo. Fantasticavo, sdraiato sotto un albero,
osservando le nuvole che solcavano il cielo del campus. Un sogno
dimenticato cominciò lentamente a riaffiorare… Quella Scuola
senza frontiere… l‟Università di cui mi stava parlando il Dreamer…
le sue sedi aperte in tutto il mondo, ed i volti di migliaia di studenti
che vi avrebbero studiato… li avevo già sognati…
La voce del Dreamer mi distolse:
«Ricordi quel sogno ad occhi aperti? È tempo di
realizzarlo! È tempo di creare una Scuola per sognatori, dove i
giganti dell‟economia ameranno insegnare.»
Quelle parole, che negli anni seguenti avrei letto mille volte,
stavano contagiandomi, conquistandomi, innamorandomi. Esse mi
avrebbero sostenuto e dato forza nei tanti momenti di difficoltà che
avrei incontrato nel corso di quell‟impresa.
«Tutto ciò che conta ed è reale in un uomo è invisibile . Così
in economia. C‟è una verticale all‟asse dell‟economia, un piano di
ordine superiore, un mondo delle idee e dei valori morali da cui i
fatti economici dipendono.»
Mi fece rilevare come, ancora oggi, condizioni di
sottosviluppo e di stagnazione economica sono associate a un
sistema di valori di tipo arcaico. Queste condizioni di sottosviluppo
sono soltanto l‟altra faccia di un problema che nelle economie
evolute si manifesta attraverso fatti patologici e malattie sociali.
«È quindi nel mondo invisibile delle idee, dei valori
ideologici e morali, della filosofia e del linguaggio, che troviamo
l‟origine, il motore dei fatti che si proiettano visibilmente nel mondo
dell‟economia e del business.
…Oltre le piramidi dell‟industria… oltre i grattacieli della
finanza… dietro tutto quello che vedi e tocchi, dietro tutto quello che
di utile, di bello, di vero ha conquistato l‟umanità… all‟origine di
421
La Scuola
ogni intuizione, di ogni raggiungimento scientifico… c‟è sempre il
Sogno di un uomo… di un individuo…
All‟individuo, alla sua preparazione, dedica ogni tuo
respiro! Mettilo al centro di ogni attenzione. La massa è un
fantasma… un meccanismo influenzato da tutto ed ogni cosa… Non
ha fede, non ha una volontà propria… non può creare… E, difatti,
non ha mai creato nulla. La sua funzione, la ragione della sua
esistenza, è distruggere. L‟individuo e la folla sono le due facce di
una stessa realtà, i pistoni di uno stesso motore. L‟individuo crea, la
folla distrugge.
Sta a te decidere a cosa appartenere. L‟individuo è l‟unica
realtà… è il sale della Terra.»
Per il Dreamer le uniche limitazioni sono nell‟Essere.
Povertà e guerre sono il riflesso di una coscienza di scarsità, di una
logica conflittuale. Saranno cancellate dal pianeta solo quando le
avremo sradicate dall‟individuo.
«Fonda una Scuola per individui, una Scuola senza confini…
Raccogli i sognatori di tutto il mondo… senza distinzione di
nazionalità, di colore, di credo, di censo… Una Scuola dove il
soggetto più importante da studiare è se stesso, dove la capacità di
fare e di agire sono il risultato più concreto dell‟amarsi dentro.»
Le Sue parole fluivano veloci ed io stentavo a registrarle. Più
che parlare, il Dreamer stava dettando. Quando me ne accorsi, sentii
aprirsi una ferita. Mi sentii umiliato… mi stava trattando come un
amanuense. Una punta di risentimento, il brontolio di una lamentela
cupa e muta, montarono dalla melma dell‟Essere senza che potessi
farci nulla. Più di ogni cosa, mi esasperava quella Sua totale
mancanza di riguardo per lo sforzo cui mi stava obbligando per
tenerGli dietro. Sembrava che lo facesse apposta…
«Smettila e scriviii!» ordinò con voce terribile il Dreamer,
interrompendo all‟istante quel corso di pensieri e la sequela di stati
d‟animo in cui stavo avvitandomi. Quell‟urlo del Dreamer arrivò
provvidenzialmente ad afferrarmi sull‟orlo della china, mentre già
scivolavo nella acque stigie dell‟autocommiserazione, dell‟accusa,
della lamentela.
«Scrivi!» ripeté. La Sua voce si era ridotta ad un sibilo
ancora più terrificante dei Suoi urli.
«Questo libro è per sempre! Un giorno saprai che la tua vita
ha avuto un senso solo perché hai incontrato Me, che scrivere le
Mie parole è la sola ragione per cui sei nato.»
422
La Scuola degli Dei
Questo intervento del Dreamer ebbe la forza di liberarmi. In
un istante mi sentii terso e leggero, come un cielo d‟estate spazzato
dal maestrale. Come sempre, le bacchettate del Dreamer erano
terapeutiche; avevano il potere di eliminare la zavorra, di spazzare
via dall‟Essere ogni inquinamento. Intanto aveva ripreso il Suo
discorso, in un normale tono di voce.
«Le scuole e le Università della prima educazione, anch‟esse
insegnano a sognare» disse, e lasciò trascorrere una breve pausa.
Poi in tono amaramente ironico aggiunse:
«Ma il Sogno che proiettano è la scarsità… il loro
insegnamento è la dipendenza, il dubbio, la paura, il limite… Dietro
la maschera della loro presunta erudizione, nascondono il dolore ed
un canto incessante di sconfitta.»
Ora non stava più rivolgendosi a me, ma a generazioni di
futuri studenti, oltre l‟illusoria barriera del tempo. Le sue idee
potenti e rivoluzionarie stavano plasmando la missione della Scuola,
il suo destino, scorrendo come linfa nelle sue radici.
«Ogni conoscenza proveniente dal mondo esterno, dagli
altri, qualunque teoria o metodo, può essere una base di partenza,
ma dovrà essere abbandonato per poter andare oltre e raggiungere
un più alto livello di intelligenza.
È tempo di lasciarsi alle spalle ogni insegnamento,
ideologia, disciplina, libro o idea, ogni parola scritta, e tuffarsi
nelle acque profonde del Sé, alla ricerca della verità, della propria
unicità.
Solo in questo modo potrai superare ogni ostacolo, liberarti
da ogni ipnotismo, diventare padrone di tutto e ogni cosa.»
3 Il sogno del Sogno
Il Suo discorso andò ancora avanti ed io non lo interruppi se
non per qualche breve chiarimento. Pensieri portanti, pietre angolari
di una costruzione straordinaria, come tessere di un mosaico,
stavano connettendosi davanti ai miei occhi configurando una
visione di respiro planetario.
Mi disse che le Scuole dell‟Essere sono sempre esistite ma
sono rimaste sconosciute. Il clima politico, il momento storico, quasi
sempre non ne ha consentito la manifestazione. Fra le altre storie, mi
affascinò il racconto della Fabbrica di Notre Dame e della sua vera
423
La Scuola
missione nascosta dietro il „pretesto‟ di realizzare quella meraviglia.
Pendevo dalle sue labbra mentre mi raccontava che architetti, artisti
e scultori, le maestranze e perfino i manovali, erano tutti studenti di
quella straordinaria Scuola. Sognai ad occhi aperti di quell‟impresa
fatta da uomini in cammino verso l‟integrità; studiosi, ricercatori
della propria indivisibilità.
«In quella costruzione, ogni dettaglio, ogni pietra parla della
Scuola e ne rivela le leggi» compendiò il Dreamer. Realizzai che
Notre Dame, e i grandi capolavori di tutti i tempi, erano la
materializzazione dell‟eternità, la punta dell‟iceberg del vero
„lavoro‟ di Scuole immortali.
Progressivamente, come per gli scatti in successione di uno
zoom, quella visione si dilatò e realizzai che il compito che il
Dreamer mi stava affidando era solo il tassello di un più vasto
progetto. La creazione di un‟Università che avrebbe sovvertito dalle
fondamenta l‟educazione tradizionale del pianeta, era soltanto il
frammento di un disegno straordinariamente più grande.
Qual‟ era dunque il Sogno del Dreamer? Non riuscivo
neppure a concepirlo… Cosa poteva essere? La mia immaginazione
raggiunse il suo limite e si arrestò davanti alla spada fiammeggiante
di un Cherubino… Io sogno, Io sono… Se, come Lui mi aveva
insegnato, il Sogno ci misura; e se nessuno può nutrire un Sogno più
grande di sé, chi era allora il Dreamer? Se portare una rivoluzione
capace di incendiare il pianeta da un capo all‟altro, sovvertendone la
visione, e l‟annuncio dell‟uomo „verticale‟, erano soltanto un passo
del Suo cammino, chi era quell‟Essere? Qual era il Suo Sogno?
«Che cos‟è?» domandai, senza neppure precisare cosa.
Il Dreamer lasciò trascorrere un tempo interminabile. Ancora
trattenevo il respiro quando, accostatosi al mio orecchio, sussurrò:
«Il „sogno del Sogno‟ è sconfiggere la morte… e prima
ancora ciò che l‟ha resa possibile, l‟idea della sua invincibilità…»
A quelle parole sentii una leggera vibrazione sottopelle,
un‟estasi. Quel Sogno abbatteva confini millenari e si sospingeva
laddove l‟uomo non aveva mai osato arrivare, neppure con
l‟immaginazione. Anche soltanto per sostenerne l‟annuncio, dovetti
dare fondo ad ogni mia capacità e far ricorso alla preparazione di
anni trascorsi alla Scuola del Dreamer.
424
La Scuola degli Dei
4 Il paradiso portatile
Intanto il Dreamer aveva mantenuto la Sua posizione e mi
era così vicino che potevo sentirne il respiro. Ad un tratto Gli vidi
annusare l‟aria intorno a me. Lo fece prima discretamente e poi
sempre più platealmente. Finché non potei nascondermi oltre
l‟evidenza: il Dreamer mi stava fiutando. Un imbarazzo
incontenibile mi invase quando sul Suo viso vidi disegnarsi una
smorfia di disgusto, come se avesse scoperto in me la fonte di un
odore nauseante. Sentii come una fiamma divorarmi fino alla radice
dei capelli. Finché dal sorriso malizioso che sostituì sul Suo viso
quella smorfia capii che stava prendendomi in giro. Era una delle
Sue trovate pedagogiche. Quella pantomima sulla maleodoranza
dell‟Essere marchiava a fuoco l‟inaccettabile facilità con cui ancora
cadevo preda di pensieri ed emozioni negative.
Parlando di paradiso, quella Sua magistrale lezione sottolineò
la mia opposta inclinazione a creare ed alimentare un inferno
portatile. Chissà per quanto tempo ancora l‟uomo sarebbe rimasto un
essere permaloso, irascibile, rissoso; per quanto ancora avrebbe
coltivato e trasmesso alle generazioni quella fragilità e vulnerabilità.
Queste riflessioni mi distrassero. Il Dreamer era già andato oltre.
Con uno sforzo abbandonai quella zavorra e a grandi bracciate
superai la distanza di luce liquida che ci separava.
«Life is as you dream it. We always meet what we dream of…
È inevitabile che incontriamo tutto ciò che sogniamo − disse
appassionatamente − La vita è già un paradiso terrestre per chi ha
costruito e alimenta costantemente in sé un paradiso portatile.»
Fece una lunga pausa, poi affrontò in modo risoluto la parte
conclusiva del nostro incontro.
«L‟umanità afflitta dalla povertà, dalla criminalità, da
infiniti conflitti, può essere guarita solo cellula per cellula… È una
trasformazione alchemica che deve prodursi in ogni uomo per
effetto di un capovolgimento delle convinzioni, e diffondersi per
trasfusione di volontà, di luce… Solo un‟educazione individuale può
farlo.»
Sostenne che una tale impresa non può essere realizzata
dall‟educazione di massa, da quella che orgogliosamente la nostra
civiltà ancora considera come una delle più importanti conquiste
della modernità.
425
La Scuola
«Una Scuola per uomini liberi, dedita a scoprire l‟unicità di
ogni individuo, una Scuola della responsabilità, non può essere di
massa. L‟educazione di massa è una contraddizione in termini: se è
di massa non è educazione, se è educazione non può essere di
massa. Fai in modo che la Scuola sia accessibile a chiunque abbia
un Sogno vero, sincero… Il vero passaporto per l‟ammissione è
crederci follemente, con tutte le proprie forze.»
5 La verità economica più grande
Il sole adorato dai Quimbaya e dai Muiscas stava scalando le
vette delle lontane Cordilleras dalle cime rotonde e verdi come nei
disegni di un bambino. La voce del Dreamer si librò calma e solenne
su quello spazio sacro agli dei.
«Crea una Scuola fondata su princìpi senza fine − mi ordinò
con la solennità di un viatico − Crea una Scuola vera, viva, che non
sia libresca. Al centro del suo insegnamento avrà l‟Arte del
sognare.»
Stava per lasciarmi. Provai una sensazione di smarrimento.
L‟impresa continuava ad apparirmi immensa, al di sopra di ogni mia
capacità. Sentii un pianto montarmi alla gola, muto e disperato,
inconsolabile. Nell‟affidarmi quel compito stava rivelandomi la cosa
che avrei più amato. Dopo una vita di egoismo, il Dreamer mi
svelava che potevo fare qualcosa di speciale… una scuola per
sognatori…
Il Dreamer mi rivelò che l‟avventura di Ulisse, il viaggio di
Dante, la spedizione di Giasone, le imprese degli eroi di ogni tempo,
sono il percorso di una Scuola di trasformazione. Ulisse si lega
all‟albero di maestra con i lacci della Scuola, per mantenerne saldi i
princìpi e Dante abbandona l‟Inferno seguendo Virgilio
„capovolgendosi‟. Anche questo è un movimento di Scuola…
«Occorre preparare uomini decisi a conquistare la propria
integrità, ad affrancarsi dal dolore, dalla paura, dall‟angoscia che
ognuno si porta dentro. Questa è l‟unica speranza dell‟umanità.»
Il Dreamer preannunciò che nel prossimo futuro, tutte le
organizzazioni, dalle grandi corporation alla più piccola impresa,
diventeranno Scuole dell‟Essere, Scuole d‟Integrità. In esse gli
uomini impareranno a trascendere continuamente se stessi
eliminando ogni divisione, ogni ombra e ogni degradazione
426
La Scuola degli Dei
dell‟Essere. Negli organi di quelle imprese dovrà risuonare quel
colpo di diapason che le ha fatte nascere, la nota che ancora unisce e
fa vibrare all‟unisono ogni loro cellula.
«Vedo migliaia di studenti… » disse profeticamente il
Dreamer, mostrandomi con un gesto largo e lento il sagrato verde
tutt‟intorno alla Casa del Pensamiento, un campo infinito di girasoli
ed il piccolo lago al suo centro.
«Essi saranno i giganti dell‟economia, i comunicatori
globali del futuro. La loro capacità di creare ricchezza sarà solo
l‟effetto di uno stato interiore di libertà.»
«Ma una tale impresa potrebbe richiedere un periodo molto
lungo» obiettai, non sapendo in quale altro modo dare sfogo
all‟ansia e alla pressione di quell‟esercito di dubbi che stava già
mettendo sotto assedio i miei buoni propositi. Il Dreamer mi stava
invitando a volare e, come sempre, stava incontrando le mie
resistenze.
«L‟uomo è già pronto! − annunciò facendo ruggire i motori
del Sogno e spazzando via d‟un colpo la mediocrità di quel mio
esordio − l‟intelligenza e l‟amore sono già in ogni uomo.»
Quelle parole non le avrei mai più dimenticate.
Oggi le vedo avverarsi in ogni mio studente e so che non c‟è
nulla da insegnare ai giovani tranne che scrostare un poco la
superficie e far venir fuori la vera conoscenza, la forza della loro
unicità, la loro vera natura di „esseri alati‟. Di esseri re-ali.
Gli insegnamenti esterni sono solo un pretesto. Il vero lavoro
di una Scuola è l‟eliminazione di ogni compromesso, limite,
pregiudizio, ipocrisia, paura e dubbio accumulati fin dall‟infanzia e
che sono il frutto della vecchia educazione, un‟educazione che
appare unicamente intesa a sopprimere la cosa più reale che ci sia: il
Sogno. Una vera scuola non pretende di poter dare nulla ai suoi
studenti… sa che non può aggiungere nulla a ciò che già posseggono
nell‟Essere… Bisogna solo portarlo alla luce… È un lavoro di
eliminazione di tutto ciò che ostacola l‟intelligenza.
La vera educazione è „ricordare‟ la propria unicità, la propria
originalità, il Sogno.
«Economy is a way of thinking.» Il Dreamer annunciò che
solo chi è realmente vivo può creare ricchezza.
«La ricchezza materiale è solo una metafora della vera
ricchezza, la prova del nove di uno stato di integrità, di intelligenza,
di prosperità interiore.»
427
La Scuola
Soltanto una Scuola fondata su questi princìpi può preparare
economisti capaci di eliminare la povertà da intere regioni del
pianeta, di rimuovere dall‟Essere stratificazioni di ignoranza che
hanno gettato intere nazioni, e civiltà una volta opulente, nella
scarsità e nel sottosviluppo.
Mi parlò delle favolose ricchezze naturali della Colombia,
delle sue inesauribili miniere d‟argento, dei giacimenti di smeraldi,
delle sue immense foreste e sconfinate pianure, delle grandi
piantagioni di caffè, di tabacco.
«Eppure è uno dei più poveri al mondo − affermò −
L‟Essere di questo paese si è ridotto a livelli tali da non poter
sostenere il suo avere… come accade ad un uomo che si trova a
possedere una ricchezza più grande del suo livello di
responsabilità.»
Mi fece rilevare che i paesi economicamente più sviluppati
spesso sono totalmente sprovvisti di risorse naturali ma hanno un
capitale di idee, di cultura, di storia, d‟arte.
«Economy is a state of Being» proclamò, e diede ad una
lunga pausa il compito di sottolineare la portata di quella legge.
«L‟economia di un paese, il grado di benessere materiale da
esso raggiunto, è il riflesso del modo di pensare e di sentire di
quella società. Il sistema dei valori, la qualità del pensiero, è la
causa. L‟economia è l‟effetto. La qualità crea la quantità, e mai
viceversa.»
«Venuto meno il Sogno, inariditi i valori, viene meno anche
la ricchezza» sostenne il Dreamer, e affermò la necessità di educare
uomini responsabili, capaci di connettersi al Sogno del loro paese, di
nutrirne le radici. La vita di un‟intera civiltà dipende dall‟esistenza
di questi uomini. L‟ampiezza della loro visione si riflette
illimitatamente nell‟universo economico e ne espande i confini.
Senza di essi nessun progresso è possibile. L‟ostacolo principale
contro cui si infrangono i progetti più ambiziosi, non sono le risorse
finanziarie o naturali, ma la penuria di uomini capaci di sostenerne
la responsabilità interiore, di contenere quell‟idea luminosa, di
crederci con tutte le proprie forze.
«La Scuola porterà nelle sue radici una verità mai espressa
nel mondo dell‟economia: Visibilia ex Invisibilibus. La ricchezza
economica
è
soltanto
il
riflesso
dell‟invisibilità
di
un‟organizzazione, di una nazione. Prosperity comes from within. È
428
La Scuola degli Dei
un processo che, come ogni guarigione, procede dall‟interno
all‟esterno.»
6 Avere è Essere
«Avere e Essere sono un‟unica realtà ma su piani diversi
dell‟esistenza − annunciò − Avere è Essere.»
Per il Dreamer l‟Avere è l‟Essere che si manifesta nel tempo
e nello spazio. Questa scoperta apre le porte ad una immensa
rivoluzione nella percezione ordinaria del mondo ed è uno di quegli
shock del pensiero capaci di modificare il corso di un‟intera civiltà.
Il Dreamer mise in evidenza il fatto straordinario che ogni passaggio
epocale nella storia dell‟umanità è sempre stato preceduto dal
capovolgimento di ideologie, da una rivoluzione del pensiero che da
un individuo si è poi trasmessa alle masse.
L‟idea eliocentrica fece saltare i cardini del pensiero
medioevale, ricollocando l‟uomo dal centro ai margini dell‟universo
e schiudendo l‟età moderna. Il Protestantesimo modificò
radicalmente la visione del lavoro, da condanna biblica a strumento
di evoluzione dell‟uomo, realizzando le condizioni psicologiche
della rivoluzione industriale e del Capitalismo razionale.
«Oggi ci troviamo di fronte ad una nuova rivoluzione. Una
rivoluzione psicologica fondata sull‟idea che Essere e Avere sono
due facce della stessa realtà − annunciò il Dreamer − Tutto ciò che
vediamo e tocchiamo, tutto ciò che percepiamo, tutto ciò che noi
chiamiamo „realtà‟, non è altro che la proiezione di un mondo
invisibile ai nostri sensi, di un mondo delle idee e dei valori che
corre verticalmente al piano della nostra esistenza: il mondo
dell‟Essere.»
L‟Essere non è contrapposto ma sovrapposto all‟Avere, ne è
la causa. Questo spiega perché i paesi più ricchi di risorse naturali
sono spesso anche i più poveri e come mai l‟arricchimento di un
uomo non è condizione sufficiente per sottrarlo al suo destino se non
corrisponde ad un innalzamento nell‟Essere. È riconoscibile difatti
l‟esistenza di un circuito regolatore, una sorta di meccanismo di
omeostasi che ineluttabilmente riconduce l‟Avere al livello
dell‟Essere. Un uomo impreparato, anche se temporaneamente
favorito da un evento o da circostanze esterne, viene ricacciato
nell‟antica povertà se l‟avere eccede il suo livello d‟Essere. Questo è
429
La Scuola
vero anche per le nazioni. Dopo oltre mezzo secolo di insuccessi dei
programmi di aiuti internazionali ai paesi del terzo mondo,
dovrebbero ormai averlo capito anche gli economisti dello sviluppo:
non è possibile aiutare dall‟esterno un paese che non sia già pronto
nell‟Essere, che non abbia già raggiunto un adeguato grado di
ricchezza nella propria invisibilità, nel suo patrimonio di idee
(etiche, estetiche, religiose, filosofiche, scientifiche) e nel suo
sistema di valori. A molti di questi paesi basterebbe riconnettersi alla
loro antica saggezza, all‟essenza delle loro origini e riportare linfa
nel sistema dei valori più antichi per innalzare le loro condizioni di
vita.
La comprensione che „Avere è Essere‟ sradica uno dei più
antichi pregiudizi dell‟uomo e ne rivoluziona gli schemi concettuali.
Non è l‟Avere che permette di fare e di Essere, ma è l‟Essere che
permette di Fare e poi di Avere. Il superamento di questa forma di
ipnosi collettiva significa lasciarsi alle spalle una visione piatta del
mondo e accedere a un pensiero verticale: esistono strati del reale e
infiniti livelli dell‟Essere. „Avere è Essere‟ è la chiave per la
comprensione delle questioni più complesse e vitali riguardanti la
vita dell‟uomo e dei sistemi organizzativi, di ogni ordine e
complessità e spiega la diversità del loro destino.
La storia dell‟uomo è una ricerca incessante di fare e di
possedere di più; l‟avanzamento della civiltà coincide con lo
sviluppo di capacità sempre maggiori di produrre, di comunicare, di
viaggiare, e anche di distruggere, in società ipnotizzate dal desiderio
di possesso, guidate da istinti predatori mai sopiti, eco di una
nostalgia animale. Perpendicolarmente a questa storia corre la
dimensione invisibile delle idee, il mondo delle cause.
Ogni conquista nel visibile, ogni incremento della capacità di fare e
di avere dell‟umanità è sempre stato anticipato da una conquista
nell‟Essere. Le conoscenze scientifiche e il progresso tecnologico
seguono nel tempo la conoscenza che l‟uomo ha di sé e il livello di
consapevolezza raggiunto. Scienza e Coscienza procedono di pari
passo.
«Che si tratti di un individuo, di una organizzazione, di una
nazione o di una intera civiltà, la capacità di conoscere, di fare e di
avere dipende dal livello d‟Essere raggiunto da quella civiltà, da
quella nazione, da quell‟organizzazione, da quell‟individuo.»
Il Dreamer concluse queste riflessioni con un epigramma
semplice e potente.
430
La Scuola degli Dei
«Più Sei, più Sai, più Fai, più Hai. Fare e Avere dipendono
dall‟Essere come l‟ombra dipende, per dimensione e forma,
dall‟oggetto che la proietta.»
Il Dreamer mi fece rilevare che osservando un uomo o una
organizzazione, tutti ne possono percepire la dimensione dell‟avere,
pochi e con più difficoltà quella dell‟Essere: la profondità e
l‟ampiezza delle idee, la qualità dei valori, il Sogno.
Ciò che impedisce di vedere il perfetto equilibrio che esiste
tra Essere ed Avere è il fattore tempo che, come una cortina
fumogena, illusoriamente li separa. Se riuscissimo a comprimere il
tempo, gli anni della vita di un uomo, o i secoli di una civiltà,
vedremmo la perfetta corrispondenza tra Essere ed Avere. Essi
sono la stessa, identica realtà su piani diversi dell‟esistenza.
L‟Essere materializzato diventa Avere e l‟Avere sublimato diventa
Essere.
La scoperta della identità tra Avere ed Essere segna
profondamente anche il pensiero economico. Se l‟avere, e quindi
anche la produzione della ricchezza, obbedisce all‟Essere, i concetti
fondamentali di Essere, degli stati d‟Essere e tutto il lavoro di studio,
di autosservazione dell‟uomo, dovranno di diritto rientrare tra i
legittimi soggetti della ricerca scientifica, insieme all‟etica, al
sistema delle convinzioni, al sistema dei valori morali e, soprattutto,
all‟intuizione e al Sogno.
«Più larga la visione di un uomo, più ricca la sua economia.
Questo vale per un‟organizzazione, per un paese come per una
intera civiltà.»
7 Università significa „verso l‟uno‟
Università significa verso l‟uno, mi aveva rivelato il
Dreamer. Nell‟etimo scoprii un‟indicazione preziosa sulla natura di
quelle istituzioni che mai prima era emersa da alcun incontro né
avevo trovato in alcun libro.
«Nel suo nome è ingenita la sua missione: portare avanti il
lavoro di integrazione dell‟uomo... guidare il suo viaggio verso
l‟unità dell‟Essere.»
Nella visione del Dreamer, le università del futuro avranno il
compito di continuare, in versione laica, quel lavoro che conventi,
sinagoghe, eremi e moschee, hanno svolto per millenni e
431
La Scuola
abbandonato incompiuto, diventando ricettacoli di irresponsabili,
rifugi per uomini e donne spaventati dall‟esistenza.
Molte università scompariranno e solo a poche tra poche sarà
affidato il compito vitale di preparare i nuovi leader: leader
visionari, monaci laici, guerrieri impeccabili, invulnerabili, capaci di
vincere le sfide che fronteggiano la nostra civiltà attraverso nuovi
sensi: l‟intuito, la volontà, il Sogno. Il progetto educativo di un
uomo „bilanciato‟ dalle qualità apparentemente paradossali, è antico
di migliaia di anni. Un uomo che armonizza in sé scaltrezza ed
innocenza, ragione ed intuito, potere finanziario e amore.
«L‟Università deve proporre un sistema di idee vitali capace
di interpretare il mondo, di rivelare la reale condizione dell‟uomo e
indicare la via di una sua possibile evoluzione.
L‟Università deve preparare le cellule di una nuova umanità,
individui ispirati dai princìpi del Sogno: visionary men, utopisti
pragmatici, uomini solari capaci di nutrire il sogno di un‟economia
globale e di una politica di responsabilità planetaria.»
Una conoscenza libresca, imposta dall‟esterno, uguale per
tutti, è un soffocamento dell‟essenza… è falsa, è illusoria… La
conoscenza „vera‟ è già in ogni individuo. Conoscere significa
ricordare… è un viaggio a ritroso nella „memoria verticale‟. Per il
Dreamer la nuova educazione, la seconda educazione, è lontana anni
luce da quella tradizionale. Il suo compito non è di aggiungere
nozioni ma „ricordare‟ agli studenti la loro unicità, l‟originalità,
l‟innocenza che essi già posseggono.
«Non appoggiarti a nessuna istituzione − raccomandò il
Dreamer in tono solenne, come se stesse chiedendomi un
giuramento − Non prendere denaro, non chiedere sovvenzioni di
qualunque genere a nessun ente o istituzione pubblica o
assistenziale. Il sistema tradizionale universitario non è soltanto
obsoleto, ma estremamente suscettibile, delicato, fragile, perché
dipende.»
«Per questo dovrai battere strade nuove con l‟animo di un
ribelle, di un rivoluzionario. La vera educazione è un‟attività
sovversiva agli occhi dell‟Establishment.
Per questo non potrai accettare l‟autorità della tradizione e
non potrai aderire ad alcuna delle concezioni educative esistenti.
L‟università che fonderai sarà una tale rivoluzione nel mondo
dell‟educazione che vecchie convinzioni e mentalità spariranno per
sempre e con esse istituzioni e scuole obsolete. Solo quelle pronte ad
432
La Scuola degli Dei
un cambiamento totale, capaci di accettare questa rivoluzione
potranno sopravvivere.
Bada alla tua integrità! Non permettere a nulla e a nessuno
di intaccarla. Rimani intatto! Il successo è una naturale
conseguenza dell‟integrità.»
Mi illustrò, a questo punto, quella straordinaria idea per la
quale avremmo coniato il termine „Università distribuita‟, il modello
organizzativo che tanta parte avrebbe avuto nel successo della
Scuola, nell‟affermazione del suo modello educativo nello scenario
accademico mondiale.
«Le battaglie del futuro non si sarebbero vinte impiegando
grandi navi ma una flottiglia di agili imbarcazioni» ebbe a dire.
Questa concezione non solo avrebbe permesso di dare
attenzione ad ogni singolo studente, accogliendolo in piccoli atenei,
ma avrebbe realizzato la condizione, ideale e paradossale, di
un‟istituzione grande e piccola allo stesso tempo. La nuova
Università sarebbe stata di dimensioni planetarie ma organizzata in
college e campus distribuiti nelle capitali del mondo, dimensionati
per accogliere e preparare un piccolo numero di studenti che
credono in se stessi, nel proprio Sogno e sanno che solo in una
„Scuola dell‟Essere‟ potranno realizzarlo.
La nuova Scuola, ispirata dai princìpi del Dreamer, indicò il
modello di un‟università del futuro, e precorse l‟avvento di un
Ateneo senza frontiere, non più aristotelico, radicato su un territorio
o vincolato ad una città, ad una lingua, ad una nazionalità e ad un
fuso orario, ma articolato in college distribuiti in più continenti,
fortemente uniti tra loro da una stessa filosofia.
«Come le città greche erigevano le loro mura là dove poteva
giungere la voce di un oratore, ed erano contenute nel raggio di
quella comunicazione − mi ispirò il Dreamer − così gli atenei che
fonderai dovranno essere contenuti in dimensioni che consentano di
conoscere le aspirazioni, il Sogno, di tutti quelli che ne fanno
parte.»
8 La nascita della Scuola
Dal giorno dell‟incontro con il Dreamer e dell‟investitura
ricevuta nella Casa del Pensamiento era trascorso poco più di un
anno. In questo tempo avevo dedicato tutto me stesso al Progetto.
433
La Scuola
L‟Università era nata ed aveva aperto il suo primo ateneo in
Belgravia, nel cuore di Londra. I primi studenti erano stati reclutati e
stavano felicemente completando il primo anno accademico. La
Scuola si stava realizzando, ed ogni giorno cresceva in modo
prodigioso. Nella sua evoluzione, sembrava sfuggire, e difatti
ignorava, gli ordinari vincoli ed i limiti di tempo e di spazio. La sua
formula aveva gli ingredienti del futuro. In essa il rigore accademico
inglese ed il solido pragmatismo americano erano mirabilmente fusi
con lo stile e la cultura italiana, la millenaria ricerca della bellezza e
della perfezione della civiltà classica. Un intenso programma di
internship in azienda, che gli studenti affrontavano fin dal primo
anno, li portava a lavorare, giovanissimi, nelle maggiori imprese del
mondo. Forti della filosofia della Scuola, essi avrebbero dato buona
prova di sé, dimostrandosi impeccabili ed invulnerabili come i
monaci-guerrieri di Lupelius, i giovani che dieci secoli prima li
avevano preceduti nei banchi della School for Gods. I caratteri della
nuova Università, armonizzati e retti dalla filosofia del Dreamer, le
davano il corpo scintillante di un‟astronave in volo ed il cuore antico
delle più venerande scuole dell‟Antichità. Quello stesso che aveva
battuto in seno alle fucine di guerrieri ed eroi della Grecia classica.
Il Dreamer mi aveva messo al comando di una starship che
stava attraversando un mondo universitario arcaico, polveroso; un
vecchiume allegoricamente ammantato di ermellino che trovava
sempre più difficile nascondere il vuoto delle sue false conoscenze e
delle sue anacronistiche concezioni. L‟apparizione della Scuola
nello scenario accademico inglese ed internazionale, ed ancor più in
quello italiano, poteva compararsi alla scoperta del libriccino di
Plutarco sull‟educazione. La traduzione in latino di quest‟opera
creduta scomparsa mise bruscamente a confronto il modello
educativo greco, proiezione dello spirito di quella civiltà, con
l‟oscurantismo dogmatico delle scuole religiose medioevali. Allora,
come stava accadendo ora, entrarono in comunicazione due mondi
non divisi dai secoli, ma da anni luce nella coscienza.
L‟Università del Sogno, come la battezzarono i media, era
l‟erede unica degli ideali educativi della Grecia classica. Sua ferma
convinzione e architrave della sua filosofia pedagogica era che
l‟uomo può evolversi solo attraverso un lavoro di innalzamento della
responsabilità, la sua costante tensione verso l‟unità dell‟Essere.
Gli studenti arrivavano da ogni parte del mondo attratti dal
pensiero della Scuola, dal suo messaggio nuovo ed antico. Le parole
434
La Scuola degli Dei
del Dreamer, echeggiate dal materiale illustrativo, erano note di un
flauto magico. I giovani sognatori di tutto il mondo le ascoltavano e
si mettevano in marcia.
Ho sognato una rivoluzione.
Ho sognato una Scuola che „ricordi‟
che il Sogno è la cosa più concreta che ci sia.
Ho sognato una nuova generazione di leader
capaci di armonizzare gli apparenti antagonismi di sempre:
Etica ed Economia,
Azione e Contemplazione
Potere finanziario e Amore
Fin da quei tempi pionieristici della nuova Università,
uomini, avvenimenti e circostanze si connettevano prodigiosamente.
Non smetterà mai di meravigliarmi il modo in cui le risorse
necessarie
arrivavano:
nei
modi
più
giusti,
sempre
straordinariamente puntuali; con la miracolosità di una gestazione
dove tutto, dagli organi più complessi fino ai più remoti neuroni,
obbedisce ad uno stesso progetto di vita.
9 La Missione della Scuola
Quella mattina mi svegliai che non era ancora l‟alba. In
mente avevo gli impegni di quella intensa giornata e le difficili
situazioni che mi attendevano. In particolare, la riunione plenaria
con il corpo docente e soprattutto gli incontri fissati con le banche si
prospettavano piuttosto difficili. Sentii l‟impulso di attingere
ispirazione dalle parole del Dreamer.
Scelsi a caso uno dei taccuini e mi immersi a lungo nelle
pagine fitte di appunti raccolti negli anni del mio apprendistato.
Mentre leggevo avvertii l‟inconfondibile vibrazione sottopelle di
quando ero in presenza del Dreamer, mi sentii svuotare scoprendo di
aver dimenticato qualcosa di vitale. Da troppo tempo non mi nutrivo
dei Suoi aforismi, di quell‟intelligenza che dava senso
all‟insensatezza del mondo e non mi avvicinavo alla forza immensa
della Sua visione capace di capovolgerlo e riportarlo alle dimensioni
435
La Scuola
di un atomo. Non c‟era luogo al mondo dove potessi vedere il
fremere degli stendardi al vento e ascoltare i corni di guerra della
Sua solitaria battaglia, della titanica sfida contro quella che Egli
chiamava la bugia della morte, contro il pregiudizio della sua
invincibilità. Il Dreamer aveva illuminato la mia vita e forse non
avrei mai colto appieno l‟eccezionale fortuna di averLo incontrato.
Annotai alcune frasi e le tenni con me avviandomi alla European
School of Economics per il primo incontro.
Gli uomini e le donne che trovai già lì ad aspettarmi li
conoscevo personalmente: erano ottimi professori, con i migliori
background accademici ed esperienze maturate in prestigiose
università anglosassoni e del mondo. Li avevo scelti uno per uno,
eppure, nonostante tutti i miei sforzi, ancora una volta, quella
riunione plenaria avrebbe confermato la difficoltà di avvicinarli alla
filosofia della Scuola e fargli adottare i princìpi su cui era fondata.
Avevano tutti studiato in università tradizionali, per lo più statali, e
l‟idea di cambiare le loro convinzioni per accettare la pedagogia
visionaria di questa giovane università era come chiedergli di
abiurare la religione avita o di attraversare una soglia biologica e
diventare esseri di un‟altra specie.
«La missione della ESE, il Sogno da cui è nata, è la
creazione di una generazione di leader liberi dalla paura e dal
dubbio, cellule di una nuova umanità. Per realizzare questo Sogno
non basta avere buoni programmi è buoni insegnanti. Questo lo
fanno già migliaia di istituzioni» dissi, dando avvio a quel difficile
incontro.
Dalle ampie finestre della sala entrava il verde dei giardini
reali di Buckingham Palace. Pensai che anche un impero potente
come quello britannico si dissolve quando i princìpi sono dimenticati
e i re smettono di sognare. Le parole ascoltate dal Dreamer
nell‟antica casa da tè, a Shanghai, arrivarono alle labbra, forti e
chiare: “La ESE è una Scuola dell‟Essere. Dobbiamo alimentare nei
nostri studenti l‟idea di immortalità, abbattere il pregiudizio della
invincibilità della morte.”
Until now all economic systems have dealt with survival,
with peoples' basic needs:
food, shelter, clothing and reproduction.
The economics of the coming decades
deals not anymore with survival,
436
La Scuola degli Dei
but with immortality.
«Mi può spiegare come l‟idea di immortalità può interessare
una Scuola di Economia e soprattutto studenti di Business?» La
domanda rivoltami da una giovane, brillante docente di International
Strategic management aveva il tono di evidente scetticismo di chi
non crede alla possibilità di ricevere una risposta convincente. Poi
aggiunse con cortese ironia:
«Forse vuole annunciarci la creazione al nostro interno di una
facoltà di Filosofia?»
Era lo stesso dubbio che avevo posto al Dreamer quando per
la prima volta mi rivelava quelli che sarebbero stati i principi della
Scuola.
Stavo già „reagendo‟ ed avrei voluto rispondere a tono alla
presunzione di quella donna quando venni interrotto dal Dreamer:
“Stop!”
La Sua voce, come un grido di battaglia esplose
silenziosamente dentro di me, salvandomi dall‟inesorabile caduta
negli inferni dell‟identificazione. Fu la morte istantanea di una
mentalità decrepita e l‟avvento di un nuovo essere, il vagito di una
neonata comprensione. Una chiarezza nuova mi permise di
risponderle e sapevo che quelle parole erano dirette alle radici e al
cuore dell‟intera umanità.
«Vision and reality are one and the same thing» risposi con il
motto del Dreamer che mi era più caro che era apparso negli appunti
letti quel mattino, e:
«L'economia è un riflesso dell'Essere. » Continuai con una
calma per me insolita. Affiorarono i concetti del discorso che avevo
tenuto qualche anno prima a Bruxelles al Parlamento Europeo,
ricordai che il Dreamer me ne aveva dettato parola per parola il testo
rivoluzionario, infatti il solo pensiero di poter parlare di Economia
dell‟Immortalità mi sembrava a quel tempo non solo paradossale ma
assurdo e al di là di ogni immaginazione.
«L‟idea dell‟Immortalità fisica, da sola è sufficente a
sradicare convinzioni e credenze millenare» dissi. La voce del
Dreamer in un sussurro potente si amplificò in me.
«La morte è una cattiva abitudine.»
quelle parole vennero fuori fluide come se fossero sufficienti da sole
a spiegare una tale affermazione e in quel preciso istante una delle
437
La Scuola
verità più inconfutabili in cui l‟umanità avesse mai creduto venne
minata per sempre.
«L‟autorità dell‟idea che la morte sia inevitabile è tale perché
nessuno mai l‟ha messa in discussione! Mettere in in discussione
l‟inevitabilità della morte cambia il destino di un individuo , di
un‟organizzazione e di un‟intera nazione. »
«Ciò che ci limita è la convinzione che la morte sia qualcosa
di ineluttabile, è la radice di ogni nostro limite, è ciò che incatena la
nostra creatività! L‟idea dell‟immortalità è ciò di cui abbiamo
bisogno per liberarci dalla morsa del tempo.»
«A man of integrity, a visionary leader lives totally in a state
of Nowness, free from the hypnotic notions of past and future. Il
mondo del business ha bisogno di una nuova generazione Leaders,
imprenditori visionari capaci di armonizzare gli apparenti
antagonismi di sempre: Economia ed Etica, Azione e
Contemplazione, Potere Finanziario e Amore.»
Mentre parlavo, Chris H. scuoteva lentamente la testa in
segno di perplessità e crescente dissenso. Quel movimento faceva
ondeggiare leggermente i riccioli bianchi della sua imponente
capigliatura. Era uno dei docenti più influenti. Finsi di non
accorgermi di quel silenzioso commento, certamente non isolato, e
proseguii.
«Quella che chiamiamo realtà non è altro che il riflesso del
nostro Sogno, lo specchio dei nostri stati d‟Essere. La mente
dell‟uomo è conflittuale, la sua logica funziona per concetti
contrapposti, la sua ragione è armata. Per questo noi conosciamo
solo un‟economia della sopravvivenza che crede nel limite e che ha
fatto della morte la grande industria del pianeta, l‟architrave su cui
poggia la ricchezza delle nazioni. Dall‟industria delle armi
all‟inquinamento ambientale, dalla produzione di medicinali alla
criminalità organizzata, paesi e uomini sono al servizio
dell‟economia del disastro, dell‟economia del conflitto. L‟umanità è
tutta sul libro-paga della morte.» Conclusi con una citazione di una
frase del Dreamer:
True education is freedom from every form of hypnotism,
dependence, superstition.
True education is the abandonment of one‟s inner conflicts.
438
La Scuola degli Dei
This will liberate the world from all opposites,
will free the world from all contradictions, violence and wars.
«Ma Lei vive in questo mondo o in un altro? Sbottò – Chris
H. una volta ottenuta la parola – Con le guerre e le rivoluzioni, gli
attentati, i cento focolai di guerriglia, le persecuzioni razziali e il
genocidio di cui sono pieni i giornali ed i media ogni giorno, come è
possibile essere morali in un mondo governato dall‟immoralità? »
Anch‟io avevo fatto al Dreamer la stessa domanda … Chris
H. era la personificazione del mio dubbio, il riflesso nello specchio
del mondo che denunciava la mia incapacità di diventare quelle
parole, di farle entrare nella carne, lo stesso rifiuto interno che mi
impediva di diffondere il messaggio del Dreamer al mondo intero.
«La prego di non prendere le mie parole personalmente, ma
quello che sto per dirLe non Le piacerà… »
“Ma di quali guerre parli? – mi aveva risposto il Dreamer –
non c'è nessuna guerra al mondo tranne quella che proietti tu, in
questo preciso istante. The conditions of the world correspond
exactly to your inner states. So don' t worry about the world, worry
about yourself. This is the only way you can help.”
“Ma in tutto il mondo ci sono industrie che in questo
momento stanno producendo armi capaci di devastare il pianeta,
perfino di distruggere l‟umanità…” replicai, e a nome di ogni uomo
avrei voluto chiederGli cosa possiamo fare, come possiamo
proteggerci da un tale potere distruttivo. Il Dreamer mi interruppe
bruscamente, ad impedirmi anche solo di pronunciare quella
profezia di sventura.
“Non c‟è nessun potere „fuori di te‟ capace di distruggerti –
disse con parole incancellabili – „Fuori di te‟ niente può accadere
senza il tuo consenso. Sii vigile! Butta via la tua ignoranza, fuga
ogni oscurità. È la tua visione che ha bisogno di essere corretta e
non l‟umanità. Le condizioni del mondo corrispondono esattamente
ai tuoi stati. If you integrate yourself, if you become a unity, then
the entire world is safe.”
Ero di nuovo nella Conference Room, il volto del mio
interlocutore in quei pochi istanti si era fatto più attento e ricettivo,
sentii che ogni parola mi stava caricando del peso di una
responsabilità insostenibile. Dopo averle ascoltate sarebbe stato
impossibile continuare a lamentarsi, ad accusare poteri ignoti e forze
439
La Scuola
incontrollabili o rifugiarsi tremante di paura, nell‟oblio di una
rassegnata impotenza. Continuai:
«L‟unica immoralità che esiste, è dentro di te e non nel
mondo. Immoralità è „dimenticare se stessi‟, immoralità è una
frammentazione dell‟Essere che produce disastri nel mondo degli
eventi. Solo tu puoi essere immorale o farti del male quando
dimentichi di chi sei. Quando ricordi te stesso, tutte le
preoccupazioni e le difficoltà scompaiono dal pianeta. Il mondo è a
tua immagine e somiglianza, è il riflesso del tuo Essere ed obbedisce
ad ogni tuo comando, qualunque esso sia. Quando smetti di soffrire,
il mondo intero cessa di essere immorale.»
Voltai la testa dietro di me, a cercarla. Sapevo che sarebbe
stata lì. Il suo sguardo ammirato, la sua fede incrollabile nella
Scuola, nel Sogno. Solo ora realizzavo che Lucia, la mia assistente
mi era stata data da Lui, dal Dreamer. Fosse crollato il mondo, il
mattino dopo avrebbe ripreso il suo lavoro, instancabile, prima di
tutti, profondendo le sue premure schive, spesso invisibili. Con la
sua umile austerità considerava la Scuola come il suo bene più
prezioso. Era l‟unica persona a cui avevo parlato del Dreamer.
Continuamente mi chiedeva di Lui e si nutriva di ogni Sua parola.
Era lei che curava le pagine del manoscritto e nelle sue notti lo
stavano trasformando nella bozza del Libro. Colsi un cenno fugace
di incoraggiamento e la sua complicità per preziosi momenti mi
riportò alle parole del Dreamer.
«È possibile cambiare il nostro destino – dissi citando ancora
le parole del Dreamer – Bisogna cambiare la psicologia dell‟uomo, il
racconto ipnotico del mondo radicato nel suo sistema di convinzioni
e di credenze. Bisogna cambiare il Sogno. Solo l‟individuo può
farlo. Per questo c‟è bisogno di una Scuola. Una Scuola dell‟Essere
con la forza di portare una rivoluzione planetaria nell‟educazione, di
capovolgere programmi e metodi di insegnamento. È questo il
percorso scientifico su cui siamo incamminati e in cui crediamo.»
Affermai che tutti noi dovevamo essere pronti al
cambiamento.
«L‟umanità così com‟è non può insegnare alle nuove
generazioni a liberarsi dal pensiero conflittuale, da pregiudizi e idee
obsolete, ad abbattere ogni recinzione, ogni barriera e a coltivare in
sé una indomabile aspirazione alla grandezza. Non sono le risorse
ad essere limitate, ma è l‟uomo che proietta i propri limiti nel mondo
440
La Scuola degli Dei
esterno ed è la sua “inconscia propensione” alla scarsità a prendere
forma.»
Mi accingevo a concludere quel lungo incontro con queste
parole del Dreamer ascoltate dalla Sua voce.
«The wealth of a nation, the power of its economy, the level
of prosperity it can achieve, is equal to the quality of its system of
values and above all its capacity to produce highly emotional
individuals. La vita di una nazione, il futuro di una intera civiltà
dipendono dall‟esistenza di questi uomini. Essi saranno a capo delle
organizzazioni del futuro, porteranno intelligenza successo e
longevità alle imprese del mondo.»
Sentivo la voce vibrare per la grandezza di questa profezia
che avevo ricevuto dal Dreamer.
«La nostra missione è crearli.»
Più che perplessi, li vidi sconcertati ma incuriositi. La
scoperta che il mondo funziona dall‟interno all‟esterno andava ben
oltre lo shock della rivoluzione annunciata da Copernico oltre mezzo
millennio prima. Quel discorso sovvertiva non solo le leggi
dell‟economia, ma tutto quello in cui avevano creduto fino a quel
momento. Sentivano la forza minacciosa di idee capaci di deragliarli
dal triste destino di Sisifo, di ripetersi fino alla morte insegnando ai
giovani la paura, la noia, la loro stessa assenza di vita.
Mentre mi congedavo salutandoli uno per uno, potevo
leggere sui loro volti il desiderio di prolungare quell‟incontro. Con
un‟ affettuosa stretta di mano li lasciai e le parole del Dreamer
vibrarono ancora nell‟aria illuminando i loro volti attoniti.
«Non arrendetevi se l‟Arte del Sognare ancora non si
manifesta nelle vostre vite. Voi, ed io, essendo figli del tempo, non
possiamo capire la differenza tra sognare e desiderare. Nel
desiderare, proiettiamo nella nostra vita stati di incertezza, paura,
dubbio, e che tale esperienza si rivela „nel tempo‟ l‟esatto opposto
di ciò che desideriamo. Sognare è un‟esperienza cosi potente che
bastano pochi secondi della sua azione per creare tutto quel che hai
desiderato per anni ma che non hai mai potuto realizzare.
Remember! only Dreams can come true ..... desires, never.»
Appena li lasciai, i miei pensieri si raccolsero ancora nelle
parole del Dreamer, apparentemente furono il riepilogo del nostro
incontro, ma per motivi a me sconosciuti, sortirono l‟effetto un
monito silenzioso.
441
La Scuola
Un individuo, un'organizzazione, un paese
può svilupparsi solo se tale individuo, organizzazione o paese
è puntato ad accrescere la qualità e il valore delle sue persone.
Ogni scuola e università o impresa ed azienda deve diventare
una scuola di Essere, una Scuola della responsabilità,
solo allora sarà possibile affrontare e superare
le sfide della vita ed espandersi.
Ricorda! Si può possedere solo ciò di cui si è responsabili.
10 Credere senza credere
La creazione di uno spazio accademico senza frontiere con
filiali nelle più importanti capitali del business del mondo era stata
un colpo di genio. La Scuola che il Dreamer aveva sognato era stata
fondata su principi immortali, le cui idee rivoluzionavano non solo il
sistema educativo, ma l'umanità stessa. Le banche avevano
appoggiato subito il progetto della European School of Economics,
assistito alla sua crescita e si erano impegnate a concedere il credito
ancora per lungo tempo, ma non erano pronte a sostenere gli
investimenti necessari per la crescente espansione internazionale,
non solo in Europa ma anche oltreoceano. Era un‟ impresa
ambiziosa di proporzioni tali che nemmeno le più grandi università
inglesi avevano mai affrontato. Recentemente le pressioni da parte
della M Bank, il nostro più importante istituto di credito erano
aumentate e aveva già fatto sapere che non avrebbe più sostenuto
l‟affidamento finora concesso.
Lucia mi aiutò ad infilare il trench e mi consegnò alcuni
documenti mentre ero già sulla porta. Camminai per alcuni isolati
verso l‟incrocio dove ero sicuro di prendere un taxi, seguivo il flusso
meccanico dei miei pensieri che come una sorta di nuvolaglia
oscurava il successo di quell‟incontro appena concluso. Grazie alle
parole del Dreamer le difficoltà del meeting con i professori si erano
trasformate, vincendone l‟ostinazione ed attraversando la spessa
crosta delle loro convinzioni. Ma ora i dubbi su come uscire dalla
difficile condizione finanziaria mi attanagliavano, ero così lontano
da Lui da non riuscire a riconoscere che quei compiti
442
La Scuola degli Dei
apparentemente insormontabili erano i gradini di una scala luminosa
preparata dal Dreamer per la mia crescita.
Camminai fino alla stazione della metropolitana di Green
Park, avevo le braccia pesanti a forza di agitarle, nell‟inutile sforzo
di richiamare l‟attenzione di un‟intera flotta di taxi che come uno
sciame di coleotteri correva rapido verso il completamento di
qualche importante missione. Arrivai di fronte all‟edicola ed assieme
al „Newsweek‟ comprai un biglietto della lotteria nazionale. Mi girai
e un taxi si fermò al mio cenno ero visibilmente in ritardo. Quel
pomeriggio gli avvocati mi attendevano per celebrare il funerale del
mio matrimonio. Da tempo le cose tra me e Heleonore non
funzionavano; ormai vivevamo insieme solo a periodi alterni,
sempre più distanti l‟uno dall‟altra. Un giorno, parlandomi dal
telefono dalla casa materna, giunse all‟unica conclusione possibile:
lasciarci per sempre. Il peggio era però che da una separazione
consensuale,
e
un
divorzio
apparentemente
semplice,
progressivamente l‟atteggiamento di Heleonore era diventato sempre
più aggressivo e rapace, mostrando un‟avidità che non conoscevo in
Lei. Come se, smessa la recita del coniuge, eliminata la leggera
mano di vernice che aveva coperto la nostra relazione, uscisse fuori
una mostruosità con cui avevo convissuto senza neppure sospettarla.
“Hai mentito a te stesso fingendo di esserne innamorato e
l‟hai usata come pretesto per abbandonare il Kuwait e ritornare nei
tuoi inferni” mi aveva detto una volta il Dreamer, quando ancora
credevo di amarla. Quel giudizio mi fece male e pensai che, per
quello che riguardava il mio sentimento, il Dreamer si sbagliava.
Allora con Heleonore lavoravamo insieme, instancabilmente, al
progetto della Scuola, e avrei scommesso tutto sulla solidità del
nostro matrimonio.
“La vostra unione è nata dalla disubbidienza e dalla bugia.
È nata senza vita. In queste condizioni non c‟è nulla che può esserti
dato e perderai anche quello che credi di avere.”
Una volta sull‟auto mi immersi di nuovo nel nugolo delle
mie preoccupazioni, ma adesso „gli inferni‟ della mia vita, con tutto
il loro corredo di afflizioni, difficoltà e amarezze, non avevano
alcuna consistenza temporale, racchiusi in una goccia di tempo
senza un prima né un dopo. Essi si presentavano alla mente non
come situazioni ed eventi separati, ma in blocco, colti nel loro
insieme, come un‟unica, costante sconfitta, senza rimedio.
443
La Scuola
Un senso di impotenza mi assalì. Quel taxi era la
compressione della mia esistenza, la trappola fisica in cui la sentivo
imprigionata, con la sola differenza che nella mia vita non c‟era
nessuna portiera da aprire per sfuggire… Il dubbio, la paura di
essere sopraffatto, il bisogno irresistibile di abbandonare, li
conoscevo bene; erano come vecchi amici con i quali anche la
cattiva sorte diventa lieve. Erano stati compagni indivisibili di tutti i
miei anni e solo accanto al Dreamer ero stato capace di riconoscerli,
trasformarli e vincere. A uno dei semafori sul nostro percorso,
mentre la luce rossa durava da una infinità di tempo e sembrava
non doversi più spegnere, diedi un‟occhiata dal finestrino e sulla
fiancata di un bus, all‟altezza del mio naso, vidi scorrere uno slogan
dell‟atheism campaign: “La cattiva notizia è che Dio è morto. La
buona notizia è che non ne hai bisogno.”
Ritornai a riflettere sull‟argomento e mi vennero in mente le
parole che una volta il Dreamer mi aveva detto: “Il tentativo di
eliminare Dio da parte di quelli che si definiscono atei è il tentativo,
nascosto a loro stessi, di esorcizzare la paura della morte. Una paura
che li attanaglia e li assilla più degli altri.” Il Dreamer capovolgeva il
pregiudizio comune che l‟ateo sia una persona forte, che rifiuta di
appoggiarsi alla gruccia illusoria di Dio, come fa il resto
dell‟umanità, e affermava che proprio la debolezza in realtà era il
denominatore comune e la spiegazione di quella dottrina.
“Per un uomo ordinario, per chi non ha raggiunto una
compattezza interiore, credere e il non credere sono la stessa
bugia… L‟ateo ha prima trasferito il divino fuori di sé, e poi l‟ha
negato. Il peccato mortale dell‟ateismo quindi non è il non credere
in Dio, negarne l‟esistenza, ma il non credere in se stessi.”
Queste parole richiamarono qualcos‟altro che avevo ascoltato
dal Dreamer su quell‟argomento, qualcosa di una tale vastità che
stentai a credere di averlo dimenticato per così tanto tempo. Non
riuscivo a visualizzare dove, in quale dei nostri incontri avevo
sentito da Lui quelle parole, ma esse si erano incise profondamente
ed ora stavano tornando alla memoria.
“Credere non è difficile…. Tutti credono in qualcosa…. Ma
obbligarsi a credere è per pochi…” aveva detto il Dreamer,
esprimendo un concetto capace di spingere il pensiero ad altezze
oltre la ragione. Il paradosso che coniò, „credere senza credere‟,
sotto ali di farfalla nascondeva l‟architettura possente di una
cattedrale.
444
La Scuola degli Dei
Allora non ero riuscito a cogliere la grandezza di quel
messaggio, che ora mostrava sotto una luce spietata quanta apologia
retorica fosse legata al credere e quale fosse la sua pericolosità
come radice di ogni fanatismo.
“Al di fuori di te, ogni credo, qualsiasi fede, ti fa appartenere
all‟esercito della bugia. Believing makes you a follower of the
doctrine of lying.” Nella visione del Dreamer credere ti fa
appartenere alla massa dei credenti, alla moltitudine di persone che
vivono uno stato di identificazione, di appartenenza, che li incolla
alla carta moschicida del tempo. Anche „non credere‟ in Dio, come
affermano gli atei, è un credere che parimenti li sprofonda nel mare
magnum dei fondamentalisti, dei dogmatici, degli intolleranti e
ideologi di ogni genìa.
Di fatto il Dreamer non aveva mai voluto incontrare, o in
qualsiasi modo avere contatti con quanti si definiscono persone
spirituali o „ricercatori della verità‟.
Una volta mi disse: “Quanto meglio sarebbe per loro, e
quanto maggior beneficio ne ricaverebbero, se invece di cercare la
verità fuori, scoprissero la bugia dentro di sé.”
Non all‟opposto, ma in una dimensione verticale alla supina
piattezza del credere, c‟è „credere senza credere‟, la liberatoria
visione del Dreamer per affrancare l‟individuo da ogni superstizione
e credenza.
“There is no fault, no sin, no karma or punishment. There is
no life beyond and no universal judgement, no heaven and no hell.
There is only this instant, sacred, infinite and omnipotent. Use it
well! For this is your only chance.
„Credere senza credere‟ significa scegliere il proprio intento
e perseguirlo fino in fondo, incrollabilmente. È uno stato alto
dell‟Essere che richiede l‟eliminazione della bugia, ed è
raggiungibile solo da uomini integri che conoscono ed esercitano
impeccabilmente the Art of Acting, l‟Arte del Recitare.
Adesso mi chiedevo se avevo mai toccato quello stato di
libertà, se ero mai stato capace di credere in un‟idea, dottrina o
principio, o occupare un ruolo, senza identificarmi, senza
appartenervi pedissequamente. Gli slogan degli ateisti stavano in
realtà denunciando proprio il credere al racconto ipnotico del mondo
più che in se stessi. Ero io l‟ateo, l‟uomo che aveva chiesto di
abbandonare l‟ordinarietà, ogni dipendenza, di essere vicino al
445
La Scuola
Dreamer, e aveva invece continuato a credere nel limite; l‟uomo che
aveva promesso di restare fedele al Sogno, ma da anni aveva
„dimenticato‟. Era un boccone amaro da ingoiare. In tempi diversi,
raccolsi sull‟argomento molti appunti di tale interesse da ricavarne
un pamphlet. Alla fine decisi di tenerli riservati per evitare di
fare rivelazioni che potessero andare oltre la capacità di accettazione
del lettore.
E anche per quanto riguarda i contenuti di questo Libro ho
talvolta titubato nel raccontare taluni episodi, fatti e circostanze,
rivelazioni del Dreamer, che potessero andare troppo oltre e
sollevare l‟antagonismo di istituzioni politiche, accademiche o
religiose, e fondamentalismi di ogni specie. Ho quindi cercato di
scegliere quei contenuti che, benché rivoluzionari, potessero
rientrare nella comprensione dell‟umanità nel suo stato attuale.
“Un giorno scriverai le pagine immortali che nessuno ha mai
scritto prima… Le Mie parole, quelle più inaccettabili, scorreranno
dalla tua penna e come un fiume in piena travolgeranno ogni
ostacolo, fino a raggiungere quelli che stanno cerca coloro che già
sanno.”
11 Il Segreto del fare
Assorto in queste riflessioni non avevo neppure dato
un‟occhiata al conducente fino a quando mi rivolse la parola.
«Lei è italiano, vero?» mi chiese con il suo accento cockney
e il sorriso soddisfatto di chi ha fatto una scommessa con se stesso e
l‟ha vinta.
«Mio padre era italiano – continuò senza attendere la mia
risposta – È stato lui che ha voluto chiamarmi Fiorello.»
E mentre il taxi procedeva lento nel traffico della city mi
raccontò la storia della sua famiglia. Il nonno, analfabeta, emigrante
in Australia prima e in Inghilterra poi, creò una fabbrica di calzature
e divenne ricchissimo. Il padre fu persuaso da tre amici di squash ad
investire tutto quello che aveva nello stock market e in poche
settimane restò senza un penny. Fiorello mi confidò del risentimento
verso il padre, della delusione mai dimenticata di aver dovuto
abbandonare il canto e mettersi a lavorare giovanissimo per
guadagnarsi da vivere. Mi disse della licenza di taxi, unico bene che
446
La Scuola degli Dei
aveva ereditato da lui, della speranza per suo figlio di poter
realizzare quel Sogno che lui aveva dovuto abbandonare, e dei
nipotini, gemelli, uguali come due gocce d‟acqua, che mostravano a
scuola e in casa i segni di un‟intelligenza straordinaria, e che
certamente erano destinati a cose grandi. Loro avrebbero ricostruito
l‟impero dell‟avo industriale.
La voce del tassista andò a smorzarsi sullo sfondo della mia
attenzione, e mentre il suo racconto continuava mi rividi bambino
nel vecchio negozio odoroso di talco di Don Saverio il barbiere,
arredato da una specchiera appannata di polvere racchiusa tra
margini dorati. In quello specchio, dell‟antico nitore restavano ormai
solo tracce, isole lucenti, galleggianti sulla scura superficie del
fondo. In esso la mia fantasia leggeva una mappa sconosciuta di
continenti e arcipelaghi dai confini graffiati. Da bambino in essa
potevo osservare il lavoro di Don Saverio e la teoria di infinite
immagini della mia nuca spietatamente tosata, secondo le inflessibili
istruzioni di mia madre. Quella processione di me nella specchiera
leggermente angolata alle mie spalle, come la ripetizione delle
generazioni nella storia del tassista, sembrava scaturire da una ferita
del tempo.
Quel susseguirsi di vite senza senso, passate da padre in
figlio, la miseria di quell‟immortalità a rate mi diede la nausea.
Provai il rifiuto di esistere a quelle condizioni. Fu allora che
realizzai con impressionante vividezza l‟incessante rincorrersi di
immagini e di accadimenti, sempre gli stessi, nelle esistenze di
uomini impauriti stretti dall‟ansia, che si dibattono tra programmi e
conteggi, preda di emozioni negative. Uomini condannati ad
invecchiare, ad ammalarsi e morire, uno dopo l‟altro, di padre in
figlio, inesorabilmente.
Riconobbi il labirinto della mia esistenza, quella subdola
prigione che io stesso avevo creato, di cui ero paradossalmente il
carcerato e il carceriere e che, per definizione, è senza uscita. Le
difficoltà e i problemi che credevo di aver risolto, di aver lasciato
alle spalle per sempre, erano invece ancora lì, e ricorrevano ancora
più dolorosi e apparentemente insolubili. Osservai in me il
vergognoso ripetersi delle mie fughe ogni volta che avvertivo la
dolorosa sensazione di procedere in salita, quando ero messo di
fronte a sfide e problemi che apparivano sempre più grandi di me e
pronti a sopraffarmi. Una frase del Dreamer a sprazzi portava luce in
quello sconforto.
447
La Scuola
“Only those who are forced to face their own horror and can
bare to contemplate their impotence and incompleteness, can
succeed.”
Non ce la feci ad andare oltre e dovetti interrompere
quell‟analisi. Mi accorsi che quello scrutare interno era in realtà
l‟osservazione di una cavia, un essere animalesco, grottesco, un
consanguineo che mai avrei voluto vedere né conoscere. Provocato
dal racconto di Fiorello, partorito da una parte ignota di me, provai
l‟impulso di rileggere un appunto che avevo scelto quella mattina:
“Memory creates destiny… Destiny creates memory... Finché
crederai nei tuoi ricordi, e continuerai a raccontarti dentro la storia
immaginaria della tua vita, la proietterai avanti a te e ti convincerai
di avere un futuro che in realtà è il passato che ripete se stesso.
Memoria e destino, passato e futuro, sono illusioni. Riconoscili
come null‟altro che simultanee proiezioni di questo istante,
dell‟Adesso, e sarai libero. Nell‟Adesso non ci sono sconfitte ma
solo vittoria.”
Fu a questo punto che Fiorello cominciò a cantare
sfoggiando una bella voce tenorile. L‟aria era quella dell‟atto finale
della Turandot di Giacomo Puccini, quando il principe ignoto
innamorato della bella ma crudele Turandot afferma la sua vittoria.
“Tramontate, stelle! All‟alba vincerò… Vincerò… Vincerooooò…”
Fiorello cantava e ogni tanto si girava a sorridermi godendo della
mia sorpresa e aspettandosi il mio plauso. Ma la singolare
coincidenza che quel canto di vittoria arrivasse così puntuale con le
parole del Dreamer, e facesse da contrappunto ai miei pensieri di
sconfitta, mi aveva invece messo in uno stato di agitazione. Osservai
che questo uomo corpacciuto dal nome gentile era incastrato tra il
sedile e il volante del suo taxi, e tanto lo colmava in ogni spazio con
la massa gelatinosa del suo corpo che sembrava fosse parte
integrante dell‟auto e non potesse più uscirne. Quando lo guardai più
attentamente attraverso lo specchietto e lo vidi osservarmi, sentii il
sangue gelarsi nelle vene. Quegli occhi non avevano niente in
comune con quel viso obeso, come se un alieno si fosse
impossessato del corpo di quel bonaccione e ora mi stesse scrutando.
La fronte madida di sudore, tentai di deglutire ma la saliva era
diventata una sostanza gommosa che mi stava soffocando. In quegli
occhi scorsi una oscura minaccia… esprimevano astuzia e una calma
ferocia… Quegli occhi ai quali non potevo sottrarmi, che mi
penetravano… quegli occhi erano quelli del Dreamer. Questo
448
La Scuola degli Dei
produsse l‟effetto di un brusco risveglio, come se interrompesse un
sonno ancestrale. Presi una decisione repentina.
«Lasci perdere quell‟indirizzo» ordinai a Fiorello che intanto
aveva smesso di cantare, e con mio sollievo anche di osservarmi.
Non era più il caso di incontrare nessuno, tantomeno l‟avvocato e
affrontare le questioni del mio divorzio. In un turbinio di pensieri,
mentre il taxi stava procedendo senza più una destinazione, stavo
mettendo febbrilmente insieme i tasselli di quella giornata.
Riconobbi che a partire dall‟alba, da quella vibrazione
sottopelle leggendo le parole del Dreamer, e fino a quel momento,
era stato un susseguirsi di passi, dove ogni evento, incontro o
pensiero, anche il più piccolo dettaglio, era stato il gradino di una
invisibile scala per arrivare fino a Lui. Non avevo mai sentito così
intensamente il desiderio di rivederLo. Sarei andato in capo al
mondo se avessi saputo dove trovarLo. Con il folgorìo di una luce
improvvisa, tra il caleidoscopio dei cento luoghi dove avevo
incontrato il Dreamer, mi esplose dentro una immagine. Ora sapevo
dove avevo ascoltato le parole che avevano segnato quella giornata.
«Mi porti a Spaniards‟ Road! » Dissi con l‟urgenza di chi ha
preso una decisione di vita o di morte. Fiorello compivamo
un‟inversione a U così veloce che le ruote del taxi fischiarono e si
alzarono per pochi istanti dall‟asfalto. In quell‟arco di tempo
cambiammo la destinazione e scivolammo verso un nuovo destino.
Mi accompagnavano nuovamente le parole del Dreamer sullo
sgambetto alla meccanicità, riecheggiò lo „Stooop‟ di quel
pomeriggio durante il meeting con i professori e fui certo che ancora
una volta il Dreamer era intervenuto a salvarmi appena in tempo.
Stavo inseguendo il repentino pensiero di cercarLo dove
c‟eravamo visti l‟ultima volta a Londra. Verso quella destinazione,
seguendo quell‟unico, flebile indizio, cresceva l‟assurda certezza che
quella sera l‟avrei trovato, proprio lì, in quell‟antica locanda di
Hampstead.
Dal Dreamer avevo appreso che è diritto di nascita di ogni
uomo sognare, credere e creare. E ora sentivo nella carne, nelle
articolazioni, nel respiro, nel cuore, quel senso di certezza che stava
trasformando quella remota eventualità nel più preciso degli
appuntamenti, e il tenue filo che mi legava a Lui, quella bava di
Sogno, in un cavo d‟acciaio. Era quella l‟integrità in azione che il
449
La Scuola
Dreamer aveva cercato di trasmettermi; il seme dell‟arte del sognare
che per tanti anni aveva trovato in me il più difficile dei terreni. Se
quella era la completezza, la vitalità, allora ero stato morto per mesi
e anni. Uno stato in cui non avrei mai potuto incontrarLo.
Stavo realizzando che quella giornata aveva funzionato come
una camera iperbarica; i suoi vari momenti erano stati tappe di
decompressione per permettermi di risalire dagli abissi delle morti
quotidiane fino a Lui, all‟integrità, alla vita. Stavo trattenendo il
fiato nel tentativo di fissare in me quella grandiosa scoperta.
Mantenersi lì, vigili, vivi, senza permettere a un solo atomo di morte
di penetrare l‟Essere, era il segreto del fare.
Quando il taxi mi lasciò davanti all‟ingresso di Spaniards Inn
ero ormai certo che il Dreamer sarebbe arrivato, o che fosse già
dentro, puntuale con il mio intento e la fervente richiesta di averlo
accanto in quei frangenti della mia vita.
12 The past is a lie
Sulla soglia mi fermai a calmare i battiti del cuore e prendere
fiato prima di entrare. Il „gioco degli incontri‟, con gli
indimenticabili insegnamenti ricevuti dal Dreamer, aveva avuto
inizio lì, tra quelle pareti di quercia impregnate di birra, tra il tanfo
di rancido e le rumorose, oziose conversazioni degli avventori.
La food room che mi accolse con la sua calda semioscurità
mi apparve più piccola di come la ricordavo. Nella sala scorsi pochi
clienti, alcuni seduti ai tavoli, i più in piedi, appoggiati al banco,
silenziosamente intenti a bere da smisurati boccali.
Esplorai rapidamente con lo sguardo ogni angolo di
quell‟ambiente nella speranza che fosse già lì, poi mi avviai
decisamente su per le scale da dove arrivava più alto il brusio
delle conversazioni e la rumorosità degli avventori. Questa volta,
ricordando il nostro precedente incontro e la preferenza del
Dreamer, scelsi un tavolo nel mezzo della sala più affollata di quel
piano, dove più si concentrava il vocìo del pubblico fomentato
dall‟alcool. Pensai di lasciar detto al padrone o a qualcuno dei
camerieri di avvertirmi semmai fosse arrivato, e solo allora mi
accorsi che non avrei saputo descrivere il Dreamer né prevedere il
Suo aspetto, né l‟età. Rinunciai rapidamente a quell‟idea.
450
La Scuola degli Dei
Lupelius si travestiva da schiavo, da vagabondo, da
politicante, da banchiere, da ricco mercante, e usava strategicamente
questi ruoli. Fosse la corona di un re o il saio di un monaco,
Lupelius li indossava, e li faceva indossare ai suoi discepoli,
insegnando loro come „diventare‟ quel ruolo, per esplorarne e
conoscerne ogni angolo, ogni segreto, ma senza dimenticare il gioco,
senza mai restarne prigionieri.
Presi posto in modo da poter vedere dalla finestra la strada e
il verde di Hampstead Heath e mi disposi a un‟attesa di cui non
potevo prevedere la durata. Socchiusi gli occhi per quietare un po‟ le
emozioni di quel giorno e mi ritrovai ad aprirli nella Sala Maggiore
della Scuola. Il Dreamer stava attraversandola tra due ali di monaciguerrieri. Era vestito d‟un saio, a metà tra la tonaca monacale e una
cotta d‟arme, i lunghi capelli nascosti dal largo cappuccio. In fondo
a questa cerimonia vidi la figura di Lupelius venirgli incontro e
fondersi con Lui. A distanza di mille anni, la Scuola degli Dei aveva
trasmesso il baton dei suoi princìpi immortali, il testimone della sua
corsa senza tempo.
Mi sembrò che fossero trascorsi solo pochi minuti, ma in
realtà fuori era già buio, quando un allampanato cameriere dai
capelli rossi attraversò la sala strascicando pesantemente i piedi
sull‟intavolato sconnesso: un signore era arrivato e mi attendeva al
piano terra.
Lo vidi seduto nell‟angolo più appartato del locale; aveva
ancora addosso il soprabito, leggero e morbido, corto, dal taglio
impeccabile. Gli andai incontro a passi brevi, resi incerti
dall‟emozione. Notai che il tavolo che aveva scelto era il più lontano
dal banco del bar, sovrastato da un trofeo di archibugi incrociati,
settecentesche vestigia dei moti di Kenwood. Avevo tanto desiderato
incontrarLo ma ora, come spesso era accaduto in passato, mi sentivo
diviso tra la gioia di rivederLo e l‟ansia di trovarmi di fronte a quello
specchio impietoso che avrebbe denunciato la mia dimenticanza,
ogni mio limite. Il nostro incontro si avviò senza bisogno di parole
né preamboli; e mentre il silenzio continuava, sentivo ogni distanza
annullarsi e il tempo comprimersi fino a sparire. Ora, accanto a Lui,
mi sembrava che dal nostro incontro latino-americano, nella Casa
del Pensamiento, fosse trascorso solo un battito di ciglia.
Quante cose avrei voluto raccontarGli, ma il Dreamer mi zittì
con un cenno prima ancora che potessi aprire bocca e mi apostrofò
senza indugio:
451
La Scuola
«Se il successo dovesse accadere, „accidentalmente o per
caso‟ nella tua vita, e questo vale per la maggior parte di chi ha
raggiunto la fama nel mondo, allo stesso modo, „per caso o
accidentalmente‟, vedresti che prima o poi altrettanto
dolorosamente sparirebbe.
Pensa a quanto è precaria la posizione di un uomo che ha
accidentalmente raggiunto fama e successo, prima di tutto la paura
el‟incertezza nei confronti di qualsiasi decisione lo
paralizzerebbero. Non saprebbe cosa fare né come accrescere la
sua fortuna ma ancor più egli non sarebbe in grado di né salvare, né
difendere ciò che di diritto crede di possedere.
Il successo reale è il risultato di un lungo lavoro, basato
principalmente sull‟auto osservazione e sulla consapevolezza di se .
Una lotta senza tregua contro l‟auto sabotaggio, le immaginazioni
negative e le emozioni spiacevoli.»
Il Vero successo è la scoperta di un tesoro seppellito nei
meandri di noi stessi, che è la radice di tutte le vittorie: la
Volontà.»
Ero sopraffatto dalla nausea, la denuncia spietatata della mia
condizione era lì sotto i miei occhi senza che avessi nemmeno
pronunciato una parola. Il Dreamer aveva creato una opportunità
dietro l‟altra per permettermi di raggiungere quel tesoro sepolto di
cui parlava ma inutilmente. Ero ancora un uomo senza la Volontà.
«Quello che è accaduto in Kuwait, quando hai abbandonato,
barattando un regno per l‟illusoria protezione di un impiego, si sta
ripetendo. E ancora oggi abbandoneresti tutto quello che ti è stato
affidato per salvare te stesso» disse il Dreamer. Il tono scelto era
severo senza durezza, ma le parole pesavano come macigni.
«Circostanze ed eventi della tua vita si stanno riproducendo,
uguali a se stessi in ogni minimo dettaglio, con perversa perfezione,
seguendo il disegno di una ricorrenza immaginaria, un destino
circolare inesistente, ma in cui tu credi e di cui non riesci a
liberarti.»
In realtà, non avevo bisogno di dirGli nulla dei cento assilli
che tribolavano la mia esistenza. Il Dreamer sapeva. La mia vita era
la stessa perché nulla era veramente cambiato in me. Credevo di
essere venuto a sentirmi dire questo, ma le parole del Dreamer
arrivarono invece a liberarmi, spazzando via l‟oppressione del
pensiero della ricorrenza, così vicino alla superstizione del Karma, e
452
La Scuola degli Dei
con essa, il rimpianto e l‟autocommiserazione che stavano già
oscurando l‟Essere.
«Solo apparentemente il passato ripete se stesso. In realtà
non esiste un passato né nella vita di un uomo né nella storia di una
civiltà. Il passato è una bugia. Non c'è nessun karma e nessuna vita
precedente, nessuna colpa, nessun peccato e nessun castigo. Non c'
è nessun aldilà o giudizio universale, nessun inferno o paradiso. C'è
solo questo Istante, sacro, infinito, onnipotente. Usalo bene! Perché
non avrai nessun' altra chance. Fuori dall' Adesso si è in balia del
tempo - limitati, vulnerabili, mortali.
The past is a lie. And all that which belongs to memory is a
fiction. Whatever you believe has happened in the past, has never
really happened. All that you believe to have happened in the past is
just happening in this very instant. There is no moment before and
none after. Everything happens Now because nothing is outside of
Now. Now is the timeless beginning and endless end of every cicle,
from electron to God.»
13 State is Place
In quell‟incontro a Spaniards Inn, annotai parole senza tempo
sui fogli del menu e sui tovaglioli che ancora conservo come cimeli
preziosi.
Quando mi sembrò che una pausa e un‟atmosfera più leggera
potesse permetterlo, espressi al Dreamer la mia sorpresa per aver
scelto per il nostro incontro quella locanda fuori mano. Il Dreamer
viveva strategicamente.
Sapevo che ogni Sua scelta, anche quella apparentemente
meno importante, era al servizio del Suo intento. Una placida risata
anticipò la Sua risposta. Celiando, mi spiegò che la ragione
principale era la qualità della birra; quello era ancora uno dei pochi
posti a Londra che poteva vantarsi di offrire da quattro secoli la
migliore birra scura, ancora fermentata artigianalmente. Per qualche
istante, prima di continuare, indugiò portando alle labbra il boccale
di metallo, ma, come faceva col cibo, non ingerì nulla, neppure un
solo sorso; poi mi raccontò che Spaniards Inn era stato un famoso
„covo‟ e che intorno a quei tavoli si erano succedute generazioni di
briganti e ladri di strada. Alcuni, processati sommariamente, erano
finiti impiccati a un albero a pochi passi da lì.
453
La Scuola
Ancora non capivo il nesso tra la mia domanda e questa
storia finché sulla parola „ladri‟ il Dreamer si soffermò
intenzionalmente, continuando poi a fissarmi in silenzio. Il sorriso
era scomparso, e dalla durezza del Suo sguardo seppi che stavo per
attraversare un momento difficile. Trafitto dai Suoi occhi, sentii il
respiro farsi più breve e veloce. Quando riprese a parlare, disse:
«Tu sei il ladro di te stesso. Ti rubi dentro. In business o in
amore, i tuoi collaboratori e partner rifletteranno sempre e
perfettamente la tua condizione, i tuoi stati d‟Essere. Un uomo può
possedere solo ciò che è, e può scegliere ed essere scelto solo da chi
merita.»
Il riferimento all‟andamento della mia vita non poteva essere
più esplicito. La dolorosità di quello che stavo ascoltando era già
insopportabile quando il Dreamer portò il suo affondo.
«Il peggiore dei partner non potrebbe mai ingannarti o
rubare più di quanto tu possa ingannare o rubare a te stesso.»
Pur sotto il martellare di quei colpi, stavo annotando ogni
Sua parola. Una pausa mi diede il tempo di ritornare sugli eventi
della giornata, dall‟incontro con i docenti, alla rinuncia all‟incontro
con gli avvocati, la fede folle, irrazionale e gioiosa di riuscire a
trovarmi lì con lui, in quella taverna. Infine capii. L‟infamia e
l‟ignominia scattarono ai miei polsi con un suono metallico, ero
proprio io il ladro sorpreso a rubarmi dentro. Il Dreamer
inspiegabilmente „sapeva‟ dell‟acquisto del biglietto della lotteria.
Sotto il Suo sguardo, potevo sentire quel ticket fisicamente bruciare
nel taschino del mio cappotto, quasi volesse marchiarmi a fuoco con
la lettera del disonore destinata ai ladri della peggior specie... Il
Dreamer riprese a parlare:
«Un uomo integro non crede nelle lotterie e non gioca, mai!
Chi compra un biglietto, chi gioca d‟azzardo, ha già abdicato il
potere dentro di sé di fare quel denaro, di attirare quella fortuna.
Credere negli eventi esterni è barattare la vittoria certa per un
fallimento sicuro. Chi compra un biglietto della lotteria è a caccia
della sfortuna. Allo stesso modo chi gioca d‟azzardo o in Borsa
soggiace alle stesse regole. Chi, attraverso un lavoro di integrità, ha
costruito dentro di sé il potere di avere quel denaro, non ha bisogno
di vincerlo.. Quel potere interno costruirà il potere finanziario
fuori... Se non hai il potere e giochi, puoi vincere soltanto per
sfortuna, per lack of luck.
454
La Scuola degli Dei
Comprare il biglietto di una lotteria è l‟azione di un debole
che non ha i muscoli per sostenere la ricchezza... tu non puoi
meritarti di essere ricco. Stai denunciando la tua mancanza di
generosità... di responsabilità... di amore. Persone come te, un
giorno, tradiranno e ruberanno a se stesse credendo di poter rubare
dal mondo del Dreamer, e tu sei tra quelli...
Noi possiamo avere solo quello di cui siamo responsabili. Il
vero avere è quello che corrisponde esattamente al nostro essere. Il
potere finanziario è soltanto una conseguenza, la rappresntazione
visibile di una prosperity consciousness. Quello che esternamente
corrisponde ad Investment internamente, psicologicamente, si
chiama Commitment.»
Una pausa mi diede il tempo di completare i miei
appunti e di assorbire la durezza di quella lezione. Poi in tre sole
parole compresse l‟intelligenza di quell‟istante:
«State is Place – annunciò – Un uomo occupa nello spazio
fisico il posto che gli corrisponde nell‟Essere. Il luogo in cui è,
l‟ambiente che lo circonda, le persone che incontra corrispondono
mirabilmente ai suoi stati, alla qualità delle sue emozioni, dei suoi
pensieri.»
Il silenzio che ci aveva avvolto fino a quel momento,
sigillando il nostro incontro in una bolla di riservatezza, si spezzò e
la vita in quel pub riprese a scorrere come nei fotogrammi di un
vecchio film liberato da un proiettore inceppato. Mi guardai intorno,
percorsi con lo sguardo persone e oggetti come se avessero appena
fatto irruzione nel mio universo e il Dreamer li avesse inventati per
me, in quell‟istante. La sala si era affollata di una umanità
improbabile, un universo alla Toulouse-Lautrec, deforme come il
suo creatore. Esseri troppo magri, o esageratamente grassi,
parlottavano o avevano lo sguardo perso nel silenzio e nel vuoto.
Camicie sgualcite pendevano malinconiche dalle scarne spalle di
alcuni, come da grucce, o erano tese allo spasimo sui corpi obesi di
altri. Labbra truccate, aperte come ferite, imitavano sorrisi. Vite
giovani, già avvizzite di uomini e donne, senza alito. Essi erano lì
per cercare un attimo di sospensione dal loro inferno, in bilico tra
due dolori, passato e futuro.
Un uomo tarchiato stava portando alla bocca il pesante
boccale da cui ingollava un liquido schiumoso ad occhi socchiusi
con un‟espressione beota, come se si drogasse. Il suo ventre gonfio
lo manteneva a distanza dal banco. Quei caratteri da cui fino a quel
455
La Scuola
momento mi sentivo diviso come da un vetro, attraverso cui li
vedevo fluttuare, sparsi nella liquidità della vita; quelle presenze che
incrociavo da lontano, fugacemente, che credevo di poter
dimenticare e lasciarmi alle spalle in qualsiasi momento, ora sapevo
che mi appartenevano. Vidi fibre opache, partite dal mio corpo,
connettersi a ognuno di quegli esseri, a ogni dettaglio di
quell‟ambiente, e intrecciarsi tra loro fino a formare un fitto sistema
arterioso che ci nutriva come un unico organismo, che ci univa in
una orribile, indissolubile simbiosi.
Ebbi la sensazione che il Dreamer non fosse più accanto a
me. Non potevo muovere un solo muscolo, ma di sottecchi accertai
che si era allontanato dalla mia vista… Una pressione dietro la nuca
rovesciò i miei cinque sensi che ora non solo percepivano ma
emanavano quel mondo, come se persone e cose, e tutti gli atomi
dell‟universo si mettessero insieme e si dissolvessero ad ogni mio
battito di ciglia. Qui l‟assenza del Dreamer si fece respiro, suono,
voce.
«Quella che vedi è la moltitudine, la legione che ti porti
dentro – disse – Essi sono il tuo Essere reso visibile, la
rappresentazione fisica della tua condizione…»
In quella folla senza volto, in quella smorfia di dolore senza
tempo, vidi fondersi le distinzioni sociali, le differenze razziali e
religiose, e tutte le divisioni tra gli uomini che nei millenni sono
state pretesto a guerre ed eccidi, e vidi i ruoli sciogliersi sotto i miei
occhi, come maschere di cera. Restavano semplicemente uomini e
donne senza altro scopo che rappresentare la mia dimenticanza. Quel
circo variopinto e rumoroso, quello spettacolo, era stato allestito per
permettermi di osservare quello che in tutto questo tempo non avevo
voluto vedere né toccare in me. „State is Place‟ ripetei, penetrando
nelle profondità di quel motto che abbatteva l‟illusione di un mondo
esterno, estraneo, separato da me, e mi sentii perduto.
Attraverso una nuova lucidità, collegai l‟allestimento teatrale
del pub, quel mercato della disperazione, a quanto avevo potuto
osservare nelle aule di scuole e università. Quell‟umanità spenta che
veniva ad affogare nell‟alcool la propria degradazione, era del tutto
uguale alla genìa di pedanti, maestri di sventura, vecchi, obesi, e
ripetitori meccanici che perpetuano l‟educazione che hanno ricevuto.
Essi pretendono di insegnare ai giovani quello che non sanno e di
spiegare loro quello che non hanno capito né applicato a se stessi.
Un teatro dell‟assurdo dove imbonitori calvi vendono lozioni per
456
La Scuola degli Dei
capelli, ed economisti con le toppe nell‟Essere, worshippers of
scarcity, insegnano l‟arte di creare ricchezza.
«La Scuola che ti ho affidato non sta diventando niente di
diverso da questo luogo di ozio e noia – disse il Dreamer – Cambia
o questa umanità la riprodurrai dovunque tu vada perché non è
fuori di te. Elimina questo marciume dall‟interno e vedrai questo
mondo disperdersi come polvere sotto il tuo soffio. The world that
you see and touch is a product of your dream. Your thoughts and
emotions, beliefs and actions, history and destiny, the events and the
people that surround you, are all produced and shaped by your
inner Being. If you indulge in negative states like fear and doubt,
you will be defeated by the very same world that you dream and
project. »
«Fai piazza pulita. Questa degradazione si può cancellare in
questo istante. Puoi farlo solo ora – incalzò il Dreamer – L' adesso è
il solo tempo esistente ed il solo mondo in cui tu possa agire. Se ci
fosse un altro 'adesso', un istante prima, sarebbe un mondo
totalmente diverso da questo e totalmente dimenticato l'istante
dopo.»
Rinnovai la mia promessa al Dreamer. La nuova università
non sarebbe mai caduta in questo baratro, né soffocata in questo
blob mortale. Sarebbe stata una scuola dell‟Essere, un organo
planetario capace di generare le cellule nuove di un‟umanità guarita
dalla conflittualità, dalla paura, dal dubbio, i filosofi d‟azione, i
sognatori pragmatici, i leader visionari che il Dreamer sogna e di cui
la nostra civiltà ha bisogno.
«All existing ideologies of left and right are outdated and
obsolete. Powerful forces coming from the individual and not from
the mass are steadily rewriting the fundamentals of life. You as an
individual are called to create through your integrity a new
humanity, and redesign within yourself a new economics, project a
brand new era and remember a new destiny.»
14 Be a King, the Kingdom will come
Fu il Dreamer ad introdurre il discorso sulla Scuola ed io
colsi l‟occasione per parlarGli estesamente dei numerosi aspetti
della sua gestione, del suo sviluppo, delle sue necessità. Cercai per
quanto possibile di attenermi ai fatti e di mantenere un sano distacco
457
La Scuola
dal racconto ma poi le parole e il tono inavvertitamente scivolarono
verso la lamentela. ParlandoGli in particolare degli aspetti finanziari
del progetto e di quanto fosse urgente la necessità di trovare nuovi
capitali, Gli raccontai delle difficoltà nel rapporto con le banche.
A questo punto, il Dreamer intervenne a interrompere quel
cahier de doleances, il mio indulgere nel lamentare problemi e
ostacoli.
«The School is already done. Non c‟è nulla che tu debba fare
o aggiungere, se non obbedire al disegno dettato dal Sogno!» gridò
con voce così alta e irata che temetti che tutti gli avventori si
sarebbero voltati verso di noi. Ma nessuno sembrò aver sentito.
«L‟università non è che un frammento del Sogno. Per te,
come per tutti quelli che ne fanno parte, la sua realizzazione non è
lo scopo finale ma uno strumento di cambiamento, una guida, un
percorso verso una più alta visione dell‟esistenza.»
Quindi lanciandomi uno sguardo deluso, come uno
scienziato che osserva un esperimento fallito, disse:
«Ti ho messo al timone della Scuola, una starship capace di
viaggiare alla velocità del Sogno, ma il tuo non voler capire la sta
trasformando in qualcosa che non mi appartiene ed io non posso
permetterlo! Tu tradirai e sarai il peggiore degli altri, nei miei
confronti ….. ma non importa ….. l‟esperimento continua.»
Quelle profetiche parole mi portavano verso un ineluttabile
destino, avrei voluto sapere di più, chiedere, ma il Dreamer
continuò:
«Our Being is the true Creator of all that happens to us.
Innalza il tuo livello di responsabilità, rinnova la tua promessa e
vedrai come l‟economia e il business obbediscono alle leggi
dell‟Essere. Questa è la soluzione! Non accusare il mondo, le
circostanze, gli altri, cercando colpe fuori di te; piuttosto,
riguadagna il terreno perduto e rimetti insieme i frammenti sparsi
della tua integrità. This is the solution. L‟integrità è uno stato
d‟Essere, un senso di certezza, di completezza, di assenza di paura,
di vitalità. La senti nella carne, nel respiro, nel cuore. Governi e
nazioni, organizzazioni e imprese guidate dall‟integrità sono
prospere, e hanno vita lunga e felice.»
«Be a King, the Kingdom will come» disse, pronunciando le
parole che sarebbero diventate un emblema nella mia vita e in quella
degli studenti.
458
La Scuola degli Dei
«La regalità dell‟Essere precede sempre la nascita di un
regno. Essere prima di Avere e mai viceversa. Non augurarti mai
che il regno possa precedere la regalità, ne saresti schiacciato,
diventeresti polvere.»
Quelle parole risuonarono chiare come rintocchi nella
semioscurità del Pub, e mi sembrò che sollevassero scudi per
proteggermi da un pericolo imminente.
«Quando ti trovi di fronte a qualcosa che ti appare
insormontabile, impossibile da affrontare… Ricorda Me!... le Mie
parole, i princìpi del Sogno. Tutti i limiti vanno individuati nei tuoi
stati interiori. Se ne sei consapevole, spariscono! Non preoccuparti
per la mancanza di denaro. C‟è mancanza di denaro perché ti
preoccupi! Osservati e non differire da quest‟attimo. Tutto è già
fatto. C‟è un solo ostacolo: e questo sei tu»
15 La Banca
«Il tuo commitment, la tua promessa interiore, ti procurerà
tutte le risorse di cui hai bisogno − fu la risposta del Dreamer alla
domanda che più mi premeva – Commitment is Investment…
Commitment is Fortune… Punta tutto… Non lasciare un solo atomo
fuori dal tuo impegno… Scommetti tutto quello che hai, e anche
quello che ancora non hai, su te stesso, sulle tue idee, e il mondo
intero scommetterà su di te.»
Ricordai quello che mi aveva detto nella Casa del
Pensamiento. L‟ostacolo principale contro cui si infrangono i
progetti più ambiziosi non sono le risorse finanziarie ma la
mancanza di uomini capaci di contenere un‟idea luminosa, di
sostenere la responsabilità di un grande Sogno, di credere
nell‟impossibile, di impegnare ogni energia nella sua realizzazione e
di saperne pagare il prezzo anticipatamente.
«When you find yourself facing a financial problem, don‟t be
discouraged…. Still yourself…. Straight ten up your backbone….
Breathe deeply…. Turn all your attention toward your Inner Being…
Take command of your wavering, quivering feelings and then affirm
what you most want achieve with steadfast determination and
certainty.
This will bring infinite resource to your business and justice
to your life. Focus all your attention on your Being, and be aware of
459
La Scuola
your inner deaths, which are the very cause of all your
misfortune…and win! You will see help and prodigious resources
come abundantly and punctually with your every request.
In stillness, secretly and silently, victory reveals.»
L‟aria fresca di fine Agosto ci avvolse quando Lo seguii nel
giardino per una breve pausa prima di salutarci. Era ormai notte.
Osservai il chiarore della luna illuminare i rami del ciliegio già
spogli e la candida camicia del Dreamer che spiccava sotto il
soprabito scuro. Avrei voluto che quel momento, quella sospensione,
quello stato di libertà, per me così raro, che stavo sentendo accanto a
Lui, non avesse fine. La Sua voce sovrastò senza sforzo il fitto
brusio proveniente dall‟interno del pub.
«Usciamo − disse, avvolgendosi nel Suo morbido soprabito −
questo giardino sa di vomito!» Sapevo che quel commento non
riguardava il giardino ma in esso era compresso l‟amaro giudizio
sulla mia esistenza.
Mentre Gli camminavo accanto per i pochi metri che ci
separavano dalla conclusione di quell‟incontro, il Dreamer completò
il discorso di quella sera e andò dritto alla sua essenza. «Il denaro
non è reale. Rende visibile nel tempo quello che un uomo ha già
conquistato nell‟Essere, attraverso il suo commitment, la
responsabilità, le vittorie che ha riportato su se stesso. Allo stesso
modo, il più piccolo crack nel Sogno può scuotere dalle fondamenta
un impero finanziario.» Poi aggiunse:
«Vai in banca e chiedi quello che ti serve − furono le ultime
parole che mi disse − Dall‟altra parte della scrivania troverai Me!»
Quelle parole ora le vedevo scorrere nella mente come
caratteri elettronici su uno schermo, mentre salivo le scale della M
Bank. Ad un certo punto mi accorsi che le stavo recitando come un
mantra per contenere l‟assalto di schiere di dubbi pronti a penetrare
il Sogno e ad inceppare il potente ma delicato motore del
meraviglioso. Il Dreamer mi aveva indicato la cifra da chiedere
«Parla dei principi del Sogno, che faranno della Scuola una
tra le istituzioni più importanti a livello planetario. La banca sa!»
Non riuscivo ad immaginare come la stessa banca, che a
stento ancora sosteneva il credito concesso, potesse decidere
d‟emblée di ampliarlo a dieci volte tanto per permettere i nuovi
investimenti richiesti dall‟espansione della Scuola.
460
La Scuola degli Dei
Ancora una volta la
mia ragione lottava contro la
miracolosità che immancabilmente, giorno dopo giorno, aveva
accompagnato la crescita del progetto e la trasformazione della mia
vita in tutti quegli anni. Al Suo fianco avevo visto giganti abbattersi,
sollevando la polvere di un nano, e montagne spostarsi o prendere le
proporzioni di leggere gibbosità semplici da scalare. Quante
situazioni intricate, irrimediabilmente perdute, avevo visto risolte dal
Dreamer e sciogliersi come nodi tra le dita di un nocchiero. E quanti
duelli impossibili avevo vinto con Lui accanto.
Eppure, ancora dubitavo.
Gli ostacoli che trovi fuori sono i limiti che ti porti dentro.
Investi tutto sulla cosa più reale che hai: il Sogno
Ricononosci te stesso come il solo creatore della tua realtà
Ed i tuoi sogni diventeranno realtà
Investi tutto ciò che hai
E tutto ciò che non hai,
rinuncia al gioco delle possibilità
e ritorna alla realtà che è la mia volontà….
scommetti sulla cosa più reale che hai – il Sogno
Quando dimenticherai „i princìpi del Sogno‟
sparirai dalla mia Visione
e con te tutto ciò che credi di aver realizzato.
Ispirato da questi princìpi, nell‟imminenza di quel difficile meeting
con la M Bank, sentii crescere in me la potente arrendevolezza che il
Dreamer chiamava „yes attitude‟.
Quando dimentichi „i princìpi del Sogno‟
puoi solo arrenderti, e sparire dalla mia Visione.
Mettiti in uno stato di integrità!
Il pensiero di poter venir meno, di tradire la fiducia del
Dreamer, era insopportabile. Mentre raccoglievo il mio coraggio e
rafforzavo il mio intento, ricordai queste parole:
Il banchiere che stai per incontrare sono Io.
Io ti mando, Io ti riceverò ed Io ti ascolterò.
461
La Scuola
Se piacerai a Me, piacerai anche alla banca.
Se ricorderai la Mia presenza, le Mie parole,
ti dirà di sì.
La crosta sottile dell‟esistenza quotidiana si spaccò e
fugacemente sbirciai la fonte, la lanterna magica che proietta le
ombre della vita, fatti e circostanze che gli uomini chiamano realtà.
La soglia che stavo per attraversare non era quella di una
banca, ma la „porta stretta‟ dell‟invisibile che può essere varcata solo
da un‟umanità libera dalla descrizione del mondo e dal suo
ipnotismo, la biblica cruna dell‟ago attraverso cui passa più
facilmente un cammello che un uomo „ricco‟ di ignoranza, di
superstizioni, dubbi e paure. L‟ultima esitazione prima di entrare e
poi con un gesto risoluto bruciai le navi dietro di me e distrussi i
ponti con il passato. Presi il biglietto della lotteria dal mio taschino,
lo strappai in mille pezzi che si dispersero nel vento e attraversai la
soglia dell‟Infinito.
Quella volta il Dreamer fu estremamente veloce, quasi
brusco, nell‟indicarmi che cosa si attendeva da me.
«È tempo di portare la Scuola in Italia, – disse in tono
lapidario – è lì che incontrerai l‟Antagonista più arcigno e spietato
che ti puoi augurare. Con il suo insostituibile aiuto avrai le migliori
chance di affrontare i tuoi limiti e vincere te stesso.»
Fin dall‟inizio il Dreamer mi aveva annunciato che la Scuola
sarebbe stata uno spazio accademico senza frontiere, con sedi nelle
grandi capitali del business mondiale, ma non avrei mai immaginato
che accanto ai due palazzi in stile georgiano nel cuore di Londra, la
prossima sede sarebbe stata un castello nel mezzo del nulla.
La proprietà indicata dal Dreamer era splendida ma solitaria.
Più che un‟aristocratica residenza di campagna, la Villa del Ferlaro
si mostrava come una vera reggia. Essa era stata un dono di
Napoleone I a sua moglie, Maria Luigia d‟Austria, erede d‟imperi.
Da anni quella proprietà, ultimo lembo di una fortuna industriale
finita in frantumi per un crack finanziario, era oggetto di aste
giudiziarie che puntualmente andavano deserte. Per quanto la Villa
del Ferlaro fosse bellissima e disponibile ad un prezzo di volta in
volta più basso, da anni nessuno osava acquistarla. In parte per una
superstizione locale legata all‟infelice destino di quanti si erano
succeduti come proprietari, ma di fatto a causa della potente cosca a
capo di quella città. Come seppi in seguito, essa da tempo
462
La Scuola degli Dei
manovrava perché le aste andassero deserte, in attesa di trovare
l‟accordo su come spartirsi quella ricca spoglia.
Nell‟imminenza della mia partenza per l‟Italia, preparandomi
a partecipare all‟asta, avevo raccolto e studiato tutte le immagini
della Villa, tanto da conoscere in ogni dettaglio gli interni finemente
affrescati, i grandi terrazzi, il giardino all‟inglese disegnato da
Barvitius due secoli prima, e l‟immenso parco in cui era immersa.
Quella proprietà mi affascinava ma era anche diventata il mio
assillo. Se la formula accademica della nuova università,
accanto al rigore accademico inglese e alla internazionalità, doveva
avere tra le sue componenti fondamentali la cultura e lo stile
italiano, non poteva essere immaginata una sede più confacente, ma
allo stesso tempo anche più difficile da conquistare. La visione della
sua bellezza, le sale, i dipinti, gli stucchi, venivano oscurati da una
nebbia di paura e di ansietà al pensiero di diventare il successore di
tante vite di uomini e donne, delle loro storie effimere, di quelle
esistenze fragili e dei disperati naufragi che in due secoli si erano
intrecciati con la Villa del Ferlaro.
Quando appresi che, dopo la caduta di Napoleone, in quella
villa Maria Luigia aveva vissuto e allevato i figli avuti in seconde
nozze dal colonnello Neipperg, realizzai ancora più profondamente
che vincere l‟asta non significava solo acquisire l‟acquisizione di
una proprietà prestigiosa e dei terreni, ma contenere una storia di
nobiltà e di stile, che aveva schiacciato chi incautamente aveva
preteso di possederli senza averne la responsabilità. Più che una
residenza regale essa era un simbolo, l‟abbreviazione stessa della
storia di un‟intera città. Arrivare da Londra e conquistarla era
un‟impresa tra le più ardue che il Dreamer potesse affidarmi.
Un‟impresa la cui riuscita mi apparve subito impossibile. Non solo
per la dimensione finanziaria dell‟operazione, già di per sé ardua da
superare, ma per la venerazione ancora così forte per ogni vestigia di
questa principessa imperiale che amò i suoi sudditi e ne fu
profondamente riamata. Fu lei a creare le basi dell‟economia e della
cultura di quella regione, attirandovi le maggiori influenze
scientifiche e artistiche del suo secolo.
«L‟impossibile è il possibile visto dal basso» mi disse quella
volta il Dreamer esortandomi.
«Alza il tiro, eleva l‟Essere. Capirai che l‟arte del sognare,
l‟arte di credere e di creare, è proprio questo: la capacità di
463
La Scuola
trasformare l‟impossibile in possibile e infine in inevitabile. È
questa la condizione prima per la tua integrazione.»
Le parole che seguirono le scandì con calcolata lentezza per
attraversare la durezza della mia comprensione e farle penetrare in
profondità.
«You do not need money to purchase that property. You need
commitment, an inner promise! Your commitment has to be total.
Your inner responsibility and integrity, determine the extent of your
financial means and produce all the necessary resources.
Il denaro non è reale. Ciò che è reale è il commitment di un
uomo, la forza delle sue convinzioni. Le risorse e il denaro ne sono
solo la conseguenza naturale… essi si allineano e prendono le
proporzioni del suo Sogno.»
Quelle parole del Dreamer mi stavano rivelando qualcosa di
straordinario che non si trova in nessun libro di testo e non può
essere appreso in nessuna scuola di economia. Per la prima volta
realizzavo che non c‟era mai stata conquista sociale, scientifica o
economica, o impresa umana, tra quelle poi riconosciute come
emblemi stessi del successo, che fosse stata realizzata col denaro. Il
denaro era arrivato naturalmente, come conseguenza.
Dietro ogni vittoria apparentemente impossibile c‟è sempre
stato il Sogno di un solo uomo, di un individuo, e la forza delle sue
certezze senza crepe, della sua capacità di crederci totalmente. La
mente vagò poi si sospese, come un respiro che non torna, al
pensiero di tutte le grandi imprese e avventure condotte
apparentemente senza altra risorsa se non la forza visionaria di un
uomo, la sua fede incrollabile. Queste riflessioni stavano relegando
in soffitta, come totalmente obsoleti, i princìpi del capitalismo
razionale e le teorie decisionali fondate sul calcolo economico e sul
ritorno dell‟investimento.
«All things are possible to the one who is whole. If you bet on
yourself and your ideas, the entire world will bet on you –
intervenne il Dreamer raggiungendomi nel turbinio di questi pensieri
− Commitment to your ideas has to be total. The quality and success
of your life depend upon your level of commitment.»
«The Art of Dreaming, l‟arte di credere e di creare, è uno
stato di libertà, uno stato di certezza, di assenza totale da ogni
dubbio – continuò il Dreamer − Inner commitment is investment, it‟s
the real money. It‟s your commitment that makes things happen! It‟s
your commitment that attracts all opportunities and necessary
464
La Scuola degli Dei
resources… The success of your actions in the external world is only
a reflection of your commitment..»
Nonostante la chiarezza con cui Egli illustrava questi
principi, ero incapace di assimilarli, di farli miei.
17 Il Digiuno, alla vigilia della Battaglia
Al pensiero di quell‟impresa provavo un insopportabile
spasmo allo stomaco. La lucidità, l‟impavida certezza che emanava
dalle Sue parole, lo alleviava. Ma il dolore, allontanato per qualche
attimo, si riformava immediatamente, ancora più acuto.
La mia mente andò indietro nel tempo, alla denuncia spietata
che il Dreamer ebbe per il mio attaccamento a quella bottiglia
d'acqua, il dolore e la sofferenza per quella forma di attaccamento
che essa rappresentava. Tornai alle Sue preziose istruzioni nell'arte
del digiuno come strumento per curare il corpo e per sollevare
l'essere ad un livello superiore.
Queste le parole che trascrissi e che portai con me in quel
difficile momento di raccoglimento:
“Attraverso il digiuno puoi ridare al tuo corpo giovinezza e
salute a volontà, il sangue svolge il suo lavoro di pulizia nel corpo,
inoltre il digiuno rappresenta il riposo fisiologico e ha il potere di
far emergere tutti i rifiuti, sia fisici che psicologici. Ricorda!
Qualsiasi tecnica o disciplina venga usata, essa resterà solo un
mezzo per raggiungere l‟obbiettivo. La meta è il riposo, non lo
sforzo, il goal non è il dolore ma la libertà dal dolore.”
La politica, attraverso il continuo dialogo e la sua dialettica
rappresenta un sistema di purificazione, il sesso, i films la
televisione, sono tutti metodi di purificazione. Anche il lavoro fisico
e tutte le tipologie di sports sono tecniche di purificazione. Il
matrimonio stesso è un'altra pratica di purificazione, sia che abbia
successo o meno.
Tutti gli eventi della mia vita erano stati attentamente
pianificati per prepararmi e per farmi arrivare a questo punto, questo
era la misura del mio impegno. Richiamai alla mente tutti i miei
colloqui con il Dreamer, i Suoi insegnamenti e i Suoi precetti. Fui
grato per la mia guarigione attraverso la condivisione della Sua
465
La Scuola
visione illuminata in ogni avvenimento della mia vita, dalle mie
relazioni fallite ai miei problemi finanziari e nel ricordo dei Suoi
principi, trascorsi insonne la notte precedente all‟asta e digiunai.
Durante le ore di veglia lessi ancora i miei appunti. Compagni
illustri di quel viaggio erano Pitagora, socrate, Platone e Lupelius,
tutti loro digiunavano alla vigilia di importanti imprese e per evitare
disastri imminenti.
“Tutto quello che fai è meccanico, ma se fai attenzione anche
ad uno solo dei tuoi movimenti, questo raddoppierà i suoi benefici
perché tutto quello che è intenzionale, conscio e che proviene dalla
tua volontà, ti arricchisce più di quanto tu possa immaginare.
Il digiuno insieme alla respirazione intenzionale, elimina
tutta la spazzatura psicologica, scioglie le cause delle emozioni
negative e guarisce alla radice ogni malattia più velocemente di
quanto abbiano impiegato a manifestarsi. Mangiare, digiunare
camminare, ridere, se fatti intenzionalmente, sono modi efficaci per
moltiplicare i benefici di un‟attenzione interiore. Tutto ciò che
accade non intenzionalmente e senza una presenza consapevole
presenza, non dovrebbe essere giudicato né contrastato ma
compreso, studiato e padroneggiato.”
Pur con tutto il mio impegno, anche questi rituali si
dimostrarono inefficaci, e sentivo l‟ansia crescere in me insieme alle
preoccupazioni per l‟esito di quella impresa. Il solo deposito
cauzionale pagato per poter partecipare alla gara aveva prosciugato
buona parte del credito che avevo ottenuto dalla M Bank. Ma il
pensiero più tormentoso era che se avessi vinto e mi fossi
aggiudicato l‟asta, avrei dovuto pagare l‟intera cifra residua in
contanti entro pochi mesi.
“„Credere per vedere‟ è la legge ineluttabile dei re, è la
legge di chi governa se stesso… Avere fede, credere, appartiene
all‟Arte del Sognare ed è la qualità intima del Sognatore. Un uomo
fa un passo nell‟abisso e deve credere senza un solo attimo di
dubbio che il terreno si formerà sotto il suo piede per dare ragione a
quella sua mossa temeraria, alla sua pazzia luminosa.”
Erano queste le straordinarie parole che avevo ascoltato dal
Dreamer nell‟imminenza della mia partenza. Eppure non smetteva la
466
La Scuola degli Dei
sensazione di essere tra due vertigini. Se avessi vinto avrei dovuto
trovare tutto il denaro rapidamente, ma se non avessi partecipato
avrei mancato un‟opportunità irripetibile, tra le più grandi create per
me dal Dreamer, nel mondo del Dreamer perdere un‟opportunità
significava tornare inesorabilmente al punto di partenza.
Invidiai la forza dei monaci-guerrieri di Lupelius, l‟assenza
di paura che assicurava invulnerabilità nelle imprese più rischiose e
mortali. Per anni avevo studiato La Scuola degli Dei, il manoscritto
di Lupelius, alla ricerca del segreto capace di trasformare l‟uomo
fragile e insicuro che ci portiamo dentro in un eroe, un semidio che
vede il mondo come la sua creatura e gli dà ordini.
Così vivevo, come un funambolo sospeso tra abissi e vette.
Da una parte mi attraeva il mondo dell‟audacia e della libertà, dove
la voce del Dreamer risuonava con la forza di un grido guerriero, e
dall‟altra ero risucchiato in uno stato di impotenza, di prigionia, in
cui mi relegavano la paura e il dubbio e in cui languivo in una
condizione di penosa incertezza.
“La certezza che cerchi puoi trovarla solo in te − mi disse il
Dreamer, leggendo i miei pensieri in rotta − The sense of feeling
safe is an inner victory which cannot come from anything or
anybody out there, but only from yourself.”
Le Sue parole mi ispiravano. Ascoltandole mi sentivo
innalzato sopra il piano dell‟ordinarietà, oltre i limiti ristretti delle
mie possibilità. Poi, ma solo per un istante sentii la libertà del „volo‟
e vidi un barlume di luce alla fine del tunnel dei miei pensieri
negativi e disperati.
Ma tutta la mia determinazione, il coraggio raccolto a due
mani, venne meno in un attimo quando, arrivato nell‟aula del
tribunale, la trovai gremita di gente, e soprattutto scoprii che c‟era
una fitta schiera di partecipanti all‟asta laddove mi attendevo di
essere solo. Un nodo di disperazione mi strinse la gola mentre il
giudice faceva l‟appello e uno dopo l‟altro annunciava il nome dei
concorrenti. Dovetti lottare con quel senso di sconfitta che
conoscevo così bene e che ora stava invadendo l‟Essere come un
veleno che gelava ogni fibra e ammalava ogni cellula, svuotandomi
di ogni energia.
Nonostante fosse un‟informazione coperta da segreto
d‟ufficio, la città aveva impiegato poco a sapere che un intruso, da
467
La Scuola
Londra, aveva inviato la cifra prevista per concorrere. E per la prima
volta in anni, invece di andare deserta, l‟asta si era affollata di undici
concorrenti interessati all‟acquisto e che, come me, avevano versato
la cauzione prevista. Naturalmente i veri pretendenti all‟acquisto
erano nascosti dietro quei prestanome. L‟Unione degli Industriali,
l‟Università statale, le due maggiori Banche, e tutti i poteri forti
erano presenti; ognuno era una testa dell‟Idra, occhi e fauci di un
unico animale che vigilava sullo status quo e governava ogni respiro
di quella città. Una mostruosa creatura a nove teste con cui avrei
presto dovuto fare i conti.
Tentai di calcolare mentalmente quante potessero essere le
probabilità di battere tutti quei concorrenti. Mi indebolii
immaginando che avessero, rispetto a me, capacità economiche
senza limite, che il prezzo sarebbe lievitato sotto la spinta delle loro
offerte al rialzo, che mi avrebbero costretto ad abbandonare…
L‟insicurezza, la paura di non farcela mi stavano riducendo alle
proporzioni di un nano mentre il mondo esterno, per contro, si
faceva smisuratamente grande e minaccioso.
18 L‟asta
Lanciai l‟offerta decisiva. La cifra echeggiò nell‟aula gremita
di pubblico e l‟audacia di quel rilancio riaccese le voci e infervorò i
commenti. Poi il brusio si ridusse fino a cessare. Il tempo si sospese.
In quell‟atomo di universo sottratto al tempo, i gesti rituali
del giudice si stavano producendo lenti, solenni. Gli vidi spegnere la
prima candela, poi la seconda… Prima che il colpo di martelletto
segnasse l‟aggiudicazione di quella storica proprietà e la conclusione
dell‟asta, l‟attimo cadde come una goccia di infinito. Tutta la mia
vita mi apparve davanti… Rividi ogni mio abbassamento, ogni
caduta e le impossibili vittorie che avevano costellato il procelloso
viaggio alla scoperta di un varco attraverso cui evadere, che
dimostrasse a ogni uomo che cambiare il suo destino è possibile. La
condanna a invecchiare, ammalarci e morire, non è ineluttabile.
Provai una gratitudine infinita per il Dreamer, per avermi
accompagnato per mano nel mondo del coraggio e
dell‟impeccabilità, dove il tempo e la morte non esistono, dove la
ricchezza non conosce „ladri né ruggine‟.
468
La Scuola degli Dei
Al silenzio che seguì il mio rilancio, quando sembrò che ogni
altro concorrente si fosse arreso, provai l‟esultazione
dell‟egocentrismo e già mi attribuivo il merito di quella vittoria che
ormai credevo sicura. Bastarono quei pochi atomi di vanità perchè
dubbio e paura irrompessero nei miei pensieri. Un‟eclisse
dell‟Essere oscurò ogni certezza e annullò il senso di onnipotenza
che mi aveva sostenuto fino a quel momento. Il mio rilancio mi
apparve l‟atto di un irresponsabile, e maledissi il mio coraggio
giudicandolo temerario, sconsiderato. La cifra che avevo offerto per
aggiudicarmi l‟asta ingigantì fino ad apparirmi enorme. E mentre ero
a un soffio dal vincere e conquistare quella proprietà così
aspramente contesa, sentii le ginocchia cedere e la nausea invadermi.
Arrivai a maledire l‟incontro con il Dreamer e la decisione a
partecipare a quell‟impresa sconsiderata.
Una sostanza collosa impiastrò la bocca e provai
l‟inconfondibile dolore che da sempre aveva governato la mia vita.
La paura di perdere si era trasformata nella paura di vincere senza
cambiare il suo gusto dolciastro, la sua afflizione. Sentii il mio
mondo minacciato dal panico, dal terrore, dalla desolazione. Sentii
le membra spossate, dissanguate da una malattia mortale. Avrei
voluto abbandonare il corpo, lasciarlo lì come una spoglia e
andarmene.
“Tu puoi credere che la paura sia una naturale reazione a
qualcosa che ti minaccia dall‟esterno, ma non è così – mi disse il
Dreamer, in altre circostanze – in realtà, è la tua paura che è la
fonte, la vera causa di ciò di cui hai paura.”
Accusai dentro di me il Dreamer di avermi messo ancora
una volta di fronte a un‟impresa insuperabile, a un altro oceano da
attraversare un‟altra vetta da scalare. Rimpiansi di esserci venuto, mi
pentii di avere ostentato una sicurezza che non mi apparteneva. Il
“Sogno” che mi aveva condotto fin lì si stava dissolvendo. Vidi
quell‟istante infinito spirare, la sua eternità scivolarmi tra le dita e
dissolversi come una goccia nello Stige del tempo. Ripiombai nel
girone di quel tribunale, tra le ombre che affollavano l‟aula, attore
inconsapevole del mio stesso dramma.
Girai la testa per dare un‟occhiata furtiva alla porta. Era
ancora socchiusa, provai un palpito di sollievo.
469
La Scuola
Il mio viso deformato dalla paura messo alla gogna, si
proiettò su un‟immensa piramide di cristallo un attimo prima che
esplodesse col fragore di un mare in tempesta. La pioggia di schegge
riempiva ancora l‟aria quando la voce del Dreamer superò quel
boato e mi arrivò più vicina del mio stesso respiro.
Here there is no time, no death. In My world there is no
space to turn back, to accuse or regret. Here, close to the Dreamer,
there is no space to indulge in any weakness, doubt or fear.
Queste Sue parole stavano ancora vibrando, quando la voce
di uno degli ultimi concorrenti ancora in gara si levò alta e sicura
rilanciando con una cifra che superava di molto la mia, quella piaga
dell‟Essere mai rimarginata, stava materializzandosi, ancora una
volta… la frazione di un istante e avrei definitivamente perso
quell‟asta.
Il gesto del giudice impiegò un tempo infinito per compiersi
e vidi il martelletto sollevato, pronto ad abbattersi. Non era l‟asta
che stava per concludersi ma l‟inappellabile giudizio che sigillava la
mia condanna a una perpetua schiavitù.
Un dolore improvviso, inspiegabile mi ghermì dal lato
sinistro del collo con artigli d‟acciaio. Mai prima d‟ora avevo
provato un dolore così atroce che mi costrinse a voltare la testa verso
l‟alto e prendere un respiro profondo. Il Dreamer mi aveva appena
sfiorato.
L‟unica ragione per essermi accanto è la vittoria sulla morte
io sono la minaccia letale a tutto quello che in te ha deciso di morire
e a tutto quello che in te vive della morte.
L‟aria si rabbuiò. Sul viso dei concorrenti all‟asta scorsi un ghigno
di ferocia e di scherno; erano la prima schiera di una falange nemica
pronta ad annientami. Le pareti dell‟aula si abbatterono e mi trovai
in campo aperto tra il clamore delle armi e dei corni di guerra,
mentre il suolo tremava per il calpestio possente degli eserciti e degli
zoccoli di mille destrieri impazziti.
Nell‟orrore di quel carnaio, tra braccia e gambe che
saltavano falciate, mi ritrovai tra i monaci guerrieri di Lupelius.
Erano armati di spade, ma senza corazza né scudo, come la Scuola
470
La Scuola degli Dei
richiedeva. Essi passavano tra le file delle milizie invisibili agli
occhi mortali del nemico, protetti dal credo incorruttibile nella
propria invulnerabilità. Le avverse falangi erano onde di un mare in
tempesta dagli urlanti colori. L‟aria greve dell‟odore di sangue e
delle grida dei feriti, era irrespirabile. Una immensa nuvola di
frecce, orrendamente sibilante, si era sollevata e stava oscurando il
cielo…
In quel momento supremo il Dreamer mi apparve accanto.
«Non indietreggiare!» urlò, superando il fragore
dell‟infrangersi delle avverse armate. C‟era nella Sua voce la
determinazione e la spietatezza del guerriero che conosce solo la
vittoria.
«Muoviti da quello stato di morte, o sarai eliminato. Ritorna
alla totalità dell‟Essere, ritorna all‟uno, solo così sarai
invulnerabile. Non indulgere neppure per un attimo, perché l‟esito
di questa battaglia, la sconfitta o la vittoria, dipende solo da te.»
Mi ricordai della disciplina dell‟invulnerabilità di cui avevo
letto nel manoscritto „La Scuola degli Dei‟: “Lupelians were not
battling for supremacy, control or power over the others. Lupelius
called his monk-worriors to fight not for the poor, the needy or the
oppressed, but as a litmus test to express on the battlefield their inner
achievement as real conquerors of death. Lupelius' discipline was
not preparing people to lay down their lives and become martyrs
or heroes in the name of some ideology or faith, but for the sole
purpose of opening a gateway to immortality, first in their hearts
and consequently, in their physical bodies.”
Nugoli di frecce stavano abbattendosi su di noi, a ondate
micidiali, ed io osservavo il miracolo della nostra incolumità mentre
a centinaia cadevano intorno a noi soldati e cavalieri trafitti. Giunta
al suo parossismo, la battaglia non dava ancora segni di
sfebbramento. Con il nerbo dell‟esercito, tra il garrire di mille
vessilli vittoriosi, stavo attraversando le acque impetuose del
Granico, alle porte dell‟Asia, all‟inseguimento del nemico in rotta.
In ogni fibra sentii il coraggio, la certezza, il senso di vittoria che ha
pulsato nelle vene degli eroi in tutta la storia del mondo, e per una
frazione di attimo conobbi la gioia ineffabile di un immortale.
Fu allora che una freccia più veloce del vento, affilata come
un rasoio, mi colpì tranciando via il lobo dell‟orecchio e lasciando la
traccia di un dolore bruciante. La sentii come un memento della mia
471
La Scuola
vulnerabilità, un annuncio di morte. Il vento cambiò,
improvvisamente. Il calpestio pesante di un cavallo lanciato al
galoppo, si distinse da ogni altro suono e precedette la visione di
un‟immensa figura di cavaliere che emerse dalla bruma. L‟armatura
mandava bagliori alla luce dei fuochi di campo. Quando mi arrivò
davanti fece impennare l‟animale tanto vicino che sentii gli zoccoli
sfiorarmi il viso. Feci un movimento all‟indietro, appena in tempo a
scansarli. Sentii l‟ineluttabilità della sconfitta e la mia rassegnazione
prima ancora che un urlo muto di terrore mi echeggiasse dentro. Con
un gesto rapido, si tolse l‟elmo e lo lanciò lontano facendolo volare
come un uccello meccanico, mentre sfoderava la spada. La lunga
chioma color cenere, sprigionata, ondeggiò al vento e lo riconobbi.
Quel nemico mortale era Lui, il Dreamer.
Il Suo viso non aveva espressione, appena uno scintillio nei
Suoi occhi, quando alzò la spada per colpirmi. Sentii la lama
penetrare in profondità nella mia carne. La miriade di frammenti che
era stata la mia vita fino a quel momento si fuse e quei brandelli di
me gridarono all‟unisono, a fronte della loro estinzione certa. Con
un urlo di orrore mi compressi il collo a due mani, nel tentativo
disperato di tenere uniti i lembi di quello squarcio mortale e arrestare
lo sbotto di sangue. Da quel mondo pulsante di epos e morte, di
eroismo e tragedia, ricaddi nell‟irrealtà di quell‟aula.
Avevo tutti gli sguardi puntati su di me, in attesa della mia mossa.
Sentii la coltre ipnotica del mondo sollevarsi, come un
sipario sul dramma esternamente simboleggiato da quell‟asta, ma in
realtà un dramma solo interno. Ora sapevo qual‟era la vera posta in
gioco. Feci appena in tempo a rilanciare un‟offerta finale,
imbattibile, che lasciò alle mie spalle anche l‟ultimo rivale, insieme
a paura e dubbi. La Villa del Ferlaro e il suo immenso parco,
avevano ora un nuovo proprietario: The European School of
Economics.
Era la fine dei lunghi anni di oblio in cui era stata lasciata
quella residenza regale e l‟inizio del suo nuovo destino. Uno
scroscio di applausi lungo, intenso, accompagnò l‟aggiudicazione di
quella proprietà così aspramente contesa.
Generazioni di filosofi e asceti, scuole esoteriche, monasteri
e ashram avevano svolto il loro lavoro per secoli per portare il
Sogno fin lì, per riportare la Scuola in Italia. Era l‟unica cosa che ora
contava. Vidi i giornalisti fendere la folla per primi e sfrecciare fuori
per portare la notizia alla città, al Paese; sarebbe apparsa nella
472
La Scuola degli Dei
pagina di apertura dei notiziari di tutti i media e dei giornali che per
anni avevano seguito le alterne fortune di quella proprietà e le
sventure di quanti l‟avevano posseduta.
E mentre il pendolo si avviava verso il punto più alto della
sua oscillazione, già si caricava la forza contraria e l‟Antagonista
iniziava il suo cammino apparentemente avverso. La sua azione
sarebbe stata spietata e insostituibile, come aveva previsto il
Dreamer.
«Everything happens for your final victory» mi disse quando
nei mesi successivi all‟asta. Gli raccontai dei potenti antagonismi
che stavo fronteggiando, della lotta con l‟Idra dalle nove teste e dei
crescenti ostacoli che trovavo sul cammino, sollevati come scudi e
barricate contro il crescente successo della Scuola in Italia.
“Even those who appear to be against you, occupy a
purposeful part for the realization of the Dream and a very
meaningful opportunity for your growth and understanding. There is
no Antagonist, enemy or demon outside of yourself. Scova il nemico
nei recessi più nascosti dell'Essere e vincilo. Non esistono migliaia
di nemici, ne esiste uno solo e una sola è la vittoria, quella sulla
morte. »
Qualche tempo dopo, il Dreamer, riferendosi ai concorrenti
di quell‟asta, avrebbe commentato:
«Quegli uomini sono venuti, o sono stati mandati, a
comprare il visibile, ipnotizzati dal denaro, dal valore della
proprietà, dall‟avidità di possederla. Il desiderio è tempo e tutto
quello che appartiene al tempo è falso. Non c‟è nulla che si possa
possedere nel tempo, né c‟è una soluzione o una guarigione. Questo
potrai comprenderlo solo quando in te governerà l‟Adesso, il tempo
reale.»
«Quando sostituisci al Sogno vanità e il desiderio – disse,
facendomi rivivere quel momento di eclisse dell‟Essere che mi
aveva rimpicciolito e tolto ogni forza nel momento più cruciale della
gara – diventi uno di loro e questo ti farà subire lo stesso destino
di tutti quelli che hanno cercato di possederla senza averne la
responsabilità. Un crack economico è sempre preceduto da un
crack nell‟Essere. A man can only possess what he is responsible
for.»
«Connettiti al Sogno – disse – Il Sogno è assenza di
tempo, è assenza di morte… Tu non sei qui per soddisfare un tuo
desiderio o la tua possessività o per acquistare una sede. Tu sei qui
473
La Scuola
per vincere la più terribile delle superstizioni dell‟uomo, la sua
bugia più radicata.»
Il Dreamer qui si fermò e mi scrutò, come a cercare un
segnale per andare avanti prima di trasferirmi un messaggio così
potente. Il Dreamer stava per rivelare il fine ultimo del mio lungo
apprendistato, il senso degli infiniti sforzi richiesti per vivere
accanto a Lui e l‟essenza della Sua visione. Un‟onda dolorosa si
gonfiò nella regione del cuore. Trascrissi fedelmente il Suo
messaggio per poterlo un giorno trasferire a tutti quelli che cercano e
sono pronti ad ascoltare il respiro dell‟infinito, dell‟immortalità.
Quando continuò il Suo tono era solenne, la voce vibrante.
«Tu sei qui per deragliare dal tuo destino inflessibile, per
cambiare l‟impossibile: the unchangeable you! Qui hai l‟occasione
di sconfiggere il tempo ed affermare la tua vittoria sulle morti
interne che preludono e sono la sola causa della morte fisica.
You are here for the sole purpose of opening a gateway to
deathless life, to infinity.
When you stop dying within, there will be no longer a „time‟
outside of yourself… a time that puts a cadence to your life, makes
you age, get sick and die. When you stop dying within, real life will
overwhelm you and occupy any atom of your Being.
Non ci sono centinaia di problemi da risolvere, ma solo te
stesso! La vera vittoria, la soluzione, è una: ritorna a te stesso!
Ritorna a essere integro, completo, unico… Un guerriero non può
permettersi di perdere neppure un atomo della sua integrità… può
essere solo completo! Amati dentro con tutte le tue forze ed ogni
cosa al mondo sarà perfetta. Tutto, dico tutto, compreso il passato,
prenderà le tue sembianze e sarà ricreato a tua immagine e
perfezione.»
«Be very careful! You asked to be closer to the Dreamer and
this doesn‟t allow you to do anymore what you used to do, not even
think or feel what you used to think and feel.
Living closer to the Dreamer is for few and it is very risky.
Living closer to the Dreamer is the most difficult task you
could ever undertake.
Here if you forget yourself you will be instantly catapulted in
your infernal past and get lost.
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La Scuola degli Dei
Here, closer to the Dreamer there is no space for you to
indulge in any weakness, regret, doubt or fear. Here, you have to be
strong.
Here, closer to the Dreamer you can only be pure and
whole.
Dovevo avere un‟aria allarmata, la Sua voce divenne
paterna e incoraggiante prima di dissolversi
Il Dreamer che è in te ti parlerà sempre, sii consapevole di
questo! Ricorda la Sua voce, segui le Sue istruzioni. Essere attenti
alle Sue lezioni, fedele ai Suoi principi, obbediente al Suo comando,
fai della tua vita l‟espressione della Sua intelligenza e del Suo
amore.
Il Sogno è la cosa più reale che ci sia. Dream is the most real
thing there is. Its timeless action will create all that you have desired
for years and failed to achieve.»
Promisi a me stesso che non avrei mai più dimenticato.
Dream, dream, dream… never stop dreaming.
Reality will follow.
Sogna, sogna, sogna senza posa…
La realtà seguirà.
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Sesta Edizione italiana 2011
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essere riprodotta o trasmessa, in alcun modo o forma,
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Copertina:
All‟Ombra delle Cattedrali, Wainer Vaccari
Stampato da Kenan Ofset, in Istanbul
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“Accanto a Me potrai deragliare dai solchi del tuo destino inflessibile.
Accanto a Me potrai spezzare il cerchio meccanico delle tue abitudini,
dei tuoi sensi di colpa…
Accanto a Me dovrai rinunciare al dubbio, alla paura,
ai tuoi pensieri distruttivi…
dovrai abbandonare la bugia
che ti lega alla descrizione mortale dell’esistenza.
Accanto a Me, dovrai lottare contro un disegno diabolico
che tu stesso hai messo in atto e di cui sei diventato vittima.
Un uomo da solo non potrà mai farcela. Ha bisogno di una Scuola.
Solo attraverso un lungo e duro lavoro di Scuola potrà cambiare il suo destino.
Incontrare la Scuola è l’evento più straordinario della tua vita…
l’unica opportunità per sfuggire all’ipnosi comune,
per realizzare che tutto quello che vedi e ti circonda
non è il mondo, ma solo una ‘descrizione’…
Solo pochi tra i pochi possono sostenere un tale incontro.
Quando un uomo è irrimediabilmente deluso dalla sua vita…
quando realizza la sua incompletezza, la propria impotenza,
quando l’esistenza lo stringe in una morsa senza respiro,
solo allora… appare la Scuola.”
Il Dreamer