as a PDF

Transcript

as a PDF
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
393
P. Materzanini, R. Lucchini, M. Gelmi, F. Zannol, M. Crippa, L. Alessio
Efficacia di un programma di formazione-informazione di lavoratori
esposti a piombo in funzione di variabili psicologiche
Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Brescia
Introduzione
Risultati
La formazione-informazione (IF) è uno strumento importante nell’ambito della prevenzione occupazionale, potenzialmente in grado di ridurre l’esposizione a tossici mediante l’acquisizione di conoscenze sui rischi per la salute derivanti da tali esposizioni e di conseguenti comportamenti preventivi. Strutturare un buon programma di IF significa effettuare una valutazione preliminare delle richieste formative e del target, stabilire gli obiettivi e le modalità operative, prevedere infine controlli nel
tempo dell’efficacia dell’intervento.
Un’esperienza precedente, condotta in un gruppo di 50 lavoratori
esposti a piombo inorganico, ha dimostrato il ruolo fondamentale dell’IF
nel ridurre i livelli di piombemia, tramite un aumento delle conoscenze
specifiche riguardo alla prevenzione degli effetti del piombo sulla salute (1).
Prima dell’intervento, i valori medi di piombemia (PbB) e di ZPP
erano rispettivamente 23.20 ± 11.72 µg/dl e 3.22 ± 1.89 µg/g Hb. Nel corso del programma, la piombemia è rimasta sostanzialmente invariata nei
valori medi, mentre si sono sensibilmente ridotti i valori massimi (da 52
a 42.9 µg/dl); la ZPP media è diminuita significativamente scendendo a
2.79 ± 1.35 µg/g Hb (tabella 1). Il punteggio del questionario di verifica
dell’apprendimento è aumentato significativamente, seguendo un incremento iniziale, una fase di stabilità ed un successivo rialzo, in seguito all’intervento di rinforzo (figura 1).
La valutazione dell’andamento dei parametri di efficacia dell’intervento in funzione delle variabili socio-demografiche considerate ha evidenziato una maggiore efficacia del programma nei soggetti a scolarità
medio-elevata rispetto a quelli a bassa scolarità, mentre non influenti sono risultate le variabili di età, consumo di alcol e abitudine al fumo. Fra
le variabili indipendenti di tipo psico-sociale, l’inserimento in un miglior
clima relazionale, così come definito dal test di WIRI, soprattutto per
quanto riguarda i rapporti con i colleghi di lavoro, un tono più elevato
dell’ansia di stato così come definito dal test STAIs, e caratteristiche personologiche di estroversione, come risultanti dal test di Eysenck, sono risultati associati ad un’efficacia significativamente più elevata del programma. Non è risultato associato e influente il livello di percezione del
rischio come misurato dal test HLC.
Materiali e metodi
35 lavoratori di due aziende che impiegano il piombo nel ciclo produttivo sono stati coinvolti in un programma di formazione-informazione articolato in diverse fasi, per la durata totale di circa 3 anni. Quali indicatori di efficacia sono stati utilizzati i dosaggi di piombemia e zincoprotoporfirina eritrocitaria ed i punteggi ottenuti ad un questionario di
valutazione, comprendente una parte teorica sulla tossicologia del piombo ed una parte pratica relativa ai comportamenti preventivi. Il questionario è stato somministrato prima dell’intervento formativo (Q1), ed è
stato ripetuto per un totale di altre 4 volte: a distanza di 4 mesi (Q2) e di
12 mesi (Q3); a 24 mesi, previa un’ulteriore verifica (Q4), è stato effettuato un incontro formativo di rinforzo, seguito da una verifica a 5 mesi
(Q5). Il dosaggio degli indicatori biologici del piombo è stato effettuato
prima dell’intervento formativo ed è stato ripetuto per altre tre volte, rispettivamente dopo 12, 24 e 30 mesi. L’intervento formativo ha previsto
l’organizzazione di riunioni in cui sono stati illustrati i possibili effetti
sulla salute e le procedure comportamentali necessarie per la prevenzione. Sono state inoltre fornite ai lavoratori dispense informative ad hoc.
Durante l’intervento formativo non sono stati effettuati interventi di prevenzione strutturale nelle aziende ed i carichi di lavoro sono rimasti invariati.
Nella valutazione iniziale sono state inoltre indagate alcune caratteristiche psicologiche del gruppo di lavoratori, mediante la somministrazione dei seguenti questionari: a) Eysenck Personality Inventory (2), per
valutare le caratteristiche di estroversione e neuroticismo; b) State-Trait
Anxiety Inventory (3), nella sua versione italiana (4), per valutare sia
l’ansia di stato (STAIs) che l’ansia del tratto stabile di personalità
(STAIt); c) Work Interpersonal Relationship Inventory (5) (WIRI), per la
valutazione del clima relazionale, sia in verticale con le gerarchie, sia in
orizzontale con i colleghi di lavoro; d) Health Locus of Control Scale (6)
(HLC), per caratterizzare l’atteggiamento personale nei confronti della
salute e della prevenzione. L’analisi statistica è stata effettuata mediante
test di ANOVA test non parametrico di Friedman per misure ripetute,
con la valutazione delle variabili socio-demografiche e psicologiche come covariate.
Tabella I. Andamento della ZPP (in µg/g HB) durante
il programma di intervento formativo (p=0.002)
Media±DS
Media Geom
Tempo 0
a 12 mesi
a 24 mesi
a 30 mesi
3.21±1.89
2.41±1.46
2.96±1.72
2.78±1.34
2.82
2.14
2.60
2.54
Figura 1. Andamento dei punteggi al questionario di verifica
dell’apprendimento (p<0.0001)
POSTER
394
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
Discussione
Bibliografia
Il programma di formazione-informazione ha dimostrato una sua efficacia nella riduzione degli indicatori di esposizione a piombo, anche per
livelli iniziali sostanzialmente “bassi”. La riduzione è avvenuta principalmente a carico della ZPP, indicatore più “stabile” nei confronti della
misura dei carichi corporei di piombo, rispetto alla piombemia, legata
maggiormente a fluttuazioni delle concentrazioni ambientali. Anche nei
confronti della piombemia, il programma formativo ha comunque dimostrato la sua efficacia nella riduzione dei picchi di esposizione.
Alcune condizioni psichiche si sono rilevate influenti sull’efficacia
del programma. In particolare il clima relazionale è in grado di ridurre
l’efficacia del programma, a causa di conflittualità elevate fra i soggetti.
Nella pianificazione degli interventi formativi, può essere utile pertanto considerare anche le variabili psicologiche del target. Un’azione
preventiva ed eventualmente correttiva nei confronti dei fattori di rischio
psico-sociali, potrebbe infatti favorire la trasmissione dell’informazione e
la conseguente adozione di comportamenti preventivi.
1) Porru S, Donato F, Apostoli P, Coniglio L, Duca P, Alessio L. The utility of health education among lead workers: the experience of one
program. Am J Ind Med 1993, 22: 473-481.
2) Eysenck HJ, Eysenck SBG. Eysenck Personality Inventory - breve manuale dell’adattamento italiano. Firenze Organizzazioni Speciali 1990.
3) Spielberger CD, Gorsuch RL, Lushene RE. Manual for the State-Trait
Anxiety Inventory (Self-Evaluation Questionnaire). Palo Alto (CA),
Consulting Psychologist Press Ed. 1970.
4) Pedrabissi L, Santinello M. State - Trait Anxiety Inventory adattamento italiano. Firenze Organizzazioni Speciali. Ed. 1996.
5) Faucett J, Blanc P, Yelin E. The impact of carpal tunnel syndrome on
work status: Implications of job characteristics for staying on the job.
J Occupational Rehabilitation 2000, 10 (1), 55-69.
6) Wallston BS, Wallston KA. Health locus of control. In H. Lefcourt
(Ed.). Research with the locus of control construct: Vol. 1: 189-243.
New York Academic Press 1981.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
395
G. Miceli1, P. Ravalli1, G. Trovato2
Profili di rischio nella produzione di carni avicole
1
2
Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro - Az. USL 7 Ragusa
Specialista in Medicina del Lavoro, Medico Competente - Az. Modicana Carni S.r.l.
Materiali e metodi
Il comparto in argomento è ubicato quasi interamente nel territorio del
comune di Modica (Ragusa) ed occupa compessivamente circa 160 lavoratori distribuiti in 11 aziende. Di queste, otto sono di piccole dimensioni
(numero di addetti compreso tra 7 e 10) e si occupano principalmente dell’allevamento dei polli da carne e delle galline ovaiole per la produzione di
uova. Tre invece sono di maggiori dimensioni ed in esse opera la maggior
parte degli addetti (più dei due terzi). Queste tre aziende presentano un ciclo lavorativo completo occupandosi oltre che dell’allevamento anche della macellazione e della successiva distribuzione commerciale. Tutte le ditte sono state oggetto di sopralluogo per la verifica del rispetto delle norme
di igiene e sicurezza del lavoro con l’approccio dell’intervento di comparto, ormai ampiamente sperimentato dai servizi pubblici di prevenzione. Tale metodo ha permesso di affrontare il comparto in termini più assistenziali e preventivi che repressivi con il conseguimento di risultati altamente positivi, anche grazie alla sensibilità delle figure aziendali coinvolte. A seguito dell’intervento infatti sono stati rivisti i documenti valutativi già effettuati, ma soprattutto sono state avviate concrete misure di bonifica mirate
ai rischi più significativi del ciclo produttivo. Trascurabili si sono rivelati i
rischi legati all’allevamento in quanto l’elevato livello di automazione esistente in questa fase ha reso l’intervento del lavoratore minimo e saltuario.
Soltanto nella fase di rimozione delle lettiere si può configurare un rischio
ponderabile di esposizione a polveri e ad agenti biologici. Tali rischi sono
facilmente aggredibili con un’opportuna organizzazione del lavoro e con
appropriati dispositivi di protezione. Stesso discorso per l’operazione di sanificazione dei capannoni alla fine di ogni ciclo di allevamento: dovendo
infatti operare in condizioni di fermo dell’allevamento ed in condizioni ottimali, sia di tempo che di luogo, è facile approntare le misure protettive più
efficaci. Il rischio derivante dall’uso di agenti chimici per la suddetta operazione è da considerare moderato vista la possibilità di intervenire con misure di protezioni efficaci. La fase lavorativa più complessa si è rivelata la
macellazione ed il successivo confezionamento delle carni. I rischi derivanti da queste operazioni sono più complessi ed intervenire su di essi ha
comportato uno studio delle soluzioni più impegnativo e più laborioso che
è tuttora in corso. In particolare la macellazione comporta una organizzazione del lavoro a catena secondo un ciclo consequenziale prestabilito che
non può essere né modificato né interrotto. Tutte le operazioni devono essere svolte secondo un ritmo imposto essenzialmente da esigenze produttive: inoltre i luoghi di lavoro necessitano di strutture e condizioni logistiche
specifiche dettate dalla particolarità della materia prima manipolata, cui
l’operatore deve adattarsi con limitati margini operativi.
I movimenti ripetitivi e le posture incongrue, la movimentazione manuale dei carichi, la rumorosità, le condizioni microclimatiche sfavorevoli, gli
agenti chimici e gli agenti biologici rappresentano i rischi lavorativi evidenziati in questa fase lavorativa. Non trascurabili inoltre i rischi infortunistici collegati agli ambienti (pavimenti scivolosi) ed all’uso di attrezzi taglienti.
Risultati e discussione
Gli interventi contro la rumorosità ambientale determinata essenzialmente dal funzionamento delle macchine spiumatrici e dal movi-
mento della catena, sono risultati tra i più efficaci nell’abbattimento di
tutti i rischi evidenziati: le apparecchiature più rumorose sono state infatti isolate ed insonorizzate con appositi pannelli fonoassorbenti ed il
personale più esposto è stato dotato di idonei dispositivi otoprotettori.
Le valutazioni fonometriche di controllo hanno evidenziato dopo tale
intervento un abbattimento dei valori di esposizione giornaliera al di
sotto della soglia degli 85 dBA. La valutazione degli atti di sorveglianza sanitaria, espletata precedentemente all’intervento, aveva fatto riscontrare numerosi casi di ipoacusia da trauma acustico. La movimentazione manuale dei carichi è stata ridotta meccanizzando al massimo la
veicolazione dei polli e dei prodotti carnei durante tutto il ciclo. Buoni
risultati si sono ottenuti anche nelle posture studiando come migliorare
l’ergonomia delle singole postazioni ed intervenendo sulla catena: un
efficace intervento è stato quello di abbassare in alcuni punti la catena
di veicolazione dei polli ed in altri invece di alzare la postazione dell’operatore. Il ritmo delle operazioni è stato inoltre modificato riducendo i tempi di permanenza alla catena sia per ridurre il rischio infortunistico che per abbattere il rischio da movimenti ripetitivi fonte di notevole disagio soprattutto nella fase iniziale del ciclo. I fattori microclimatici sfavorevoli, presenti con caratteristiche opposte durante il ciclo
lavorativo, caldo umido nella prima fase (scottatura carcasse, spiumatura) e decisamente fredde nella fase successiva della lavorazione e del
confezionamento della carne, sono state contrastate oltre che con opportuno vestiario, adottando turni lavorativi separati e differenziati tra
le due fasi. Il rischio chimico è legato esclusivamente alle operazioni di
pulizia dei pavimenti, delle pareti e delle attrezzature di macellazione
con sostanze detergenti, utilizzate in appropriate concentrazioni: alla luce delle caratteristiche di questi prodotti, riportate nelle schede di sicurezza e valutate le condizioni d’uso, tale rischio può essere considerato
moderato. La macellazione e la produzione di carni destinate all’alimentazione umana comportano il pericolo potenziale per il lavoratore
di giungere a contatto con microrganismi ed endoparassiti veicolati dagli animali o dai loro prodotti. Il rischio biologico è da tener presente
soprattutto nelle fasi di uccisione/spiumatura ed eviscerazione/pulitura,
configuranti nel loro insieme la cosiddetta “zona sporca” del macello. I
microrganismi che potrebbero potenzialmente inquinare il processo
produttivo sono stati individuati e classificati e quasi tutti risultano appartenere al gruppo 2. Le misure protettive applicate nei confronti del
rischio biologico spaziano dai controlli igienico sanitari meticolosi delle superfici, dei macchinari e degli strumenti alle norme di comportamento per il personale, fornito di idonei mezzi di protezione individuale (mascherine, guanti, occhiali ecc). Il controllo della catena del freddo, che non deve subire interruzioni, i prelievi microbiologici periodici
effettuati in sinergia con la tecnica di HACCP (prevista per l’assicurazione della qualità microbiologica della produzione industriale di alimenti), la formazione e l’informazione e la sorveglianza sanitaria del
personale con l’esecuzione di esami ed accertamenti diagnostici mirati,
la riduzione al minimo del personale esposto, rappresentano le altre misure realizzate contro il rischio. I risultati della Sorveglianza Sanitaria
hanno rappresentano un importante strumento di verifica indiretta della
modalità di esecuzione dei compiti a rischio ed hanno confermato la validità delle misure applicate: dal 1996 ad oggi non sono stati registrati
tra i lavoratori del comparto casi di patologie infettive dovute agli agenti patogeni individuati.
POSTER
396
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
Conclusioni
Il presente lavoro è stato realizzato partendo dal presupposto che ogni
possibile azione preventiva negli ambienti di lavoro può scaturire solo da una
corretta valutazione del rischio collegata alle caratteristiche degli ambienti di
lavoro ed ai cicli lavorativi. I concreti risultati ottenuti, consistenti in una cospicua riduzione nel tempo dei rischi lavorativi censiti nel comparto avicolo,
confortati dai dati riportati negli atti di Sorveglianza Sanitaria, hanno consentito a posteriori la validazione del metodo di intervento assistenziale e preventivo applicato dal Servizio nella propria attività istituzionale.
5)
6)
7)
Bibliografia
1) Battelli G, Scorziello M. Collaborazione medico/veterinaria nel campo delle zoonosi. Annali di Igiene, Medicina preventiva e di comunità 4: 395-400, 1992.
2) Ferrati D, Galli P, Gori E. Gli infortuni nella lavorazione carni: epidemiologia, quadro normativo, aspetti di prevenzione. Edizione USL
16 Modena, USL 19 Vignola (Modena) 35: 1-90, 1990.
3) Foà V, Ambrosi L. Medicina del lavoro. UTET - Torino 2003.
4) Ghersi R. Igiene del lavoro e sorveglianza sanitaria nella macella-
8)
9)
10)
zione e lavorazione carni. Giornata di Studio: qualità, igiene e sicurezza nell’industria della macellazione e della lavorazione delle carni. Bologna 8 Ottobre 1997.
ISPESL Dipartimento di Igiene del Lavoro - Istituto Zooprofilattico
del Triveneto. Definizione dei rischi di esposizione e misure di sicurezza e di tutela della salute nei settori allevamento, macellazione,
trattamento, distribuzione delle carni - Monografico di Fogli di Informazioni ISPESL - Roma, Settembre 2000.
Loli Piccolomini L. Analisi del rischio biologico per gli addetti alla
macellazione. Notiziario di Sanità pubblica veterinaria, 28. Archivio
Veterinario Italiano 47: 1-2, 1997.
Lodetti E. Nozioni pratiche sulle principali zoonosi. Selezione veterinaria 27: 1467-1672, 1986.
Mantovani A, Battelli G, Zanetti R. Occupational diseases associated
with animal industries, with special reference to the influence of the
techniques of animal maintenance. Annali dell’Istituto Superiore di
Sanità 14: 259-264, 1978.
Mantovani A, Battelli G, Zanetti R. Malattie professionali degli addetti alla zootecnia. Informatore zootecnico 26 (24): 31-35, 1979.
Missere M, Bonfiglioli R, Gherardi G, Lodi V, Violante FS, Raffi
GB. Patologia da movimenti ripetitivi nell’industria di trattamento
carni: descrizione di alcuni casi clinici. Archivio scienze del lavoro
10: 631-633, 1994.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
397
L. Grieco, U. Carbone, M.L. Basile, G. Grieco, R. Orabona, E. Farinaro
Insufficienza lavorativa oftalmica nel settore dei trasporti
Dipartimento di Scienze Mediche Preventive - Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Tabella I. Caratteristiche del gruppo: età media
ed anzianità lavorativa
Introduzione
È generalmente riconosciuta una presenza significativa di disturbi visivi in soggetti che necessitano di un idoneo visus professionale, con evidenti ripercussioni nel determinismo di infortuni o di incidenti. Viene riportata in letteratura, in un gruppo di 11.000 operai analizzati, una percentuale del 42% di soggetti con visus normale, del 36% con visus sufficiente e del 22% con uno insufficiente.
È definito “visus professionale” il potere visivo necessario ad effettuare una determinata mansione e questo contribuisce a valutare la capacità psico-fisica ad eseguirla; l’idoneità specifica implica anche una sufficiente preparazione tecnica. Il settore del trasporto di persone e cose
comporta necessariamente l’esigenza di possedere una buona funzione
sia per la visione da vicino che da lontano. Il conseguimento della patente europea, a partire dal 1° Ottobre del 1988, prevede che il richiedente
possegga campo visivo normale, senso cromatico sufficiente per distinguere rapidamente e con sicurezza i colori in uso nella segnaletica stradale, visione binoculare e sufficiente visione notturna.
L’apparato visivo, al pari degli altri organi, va soggetto ad affaticamento in funzione dei ritmi e dei turni di lavoro, affaticamento che aumenta in presenza di difetti di rifrazione o di patologia oculare. Le manifestazioni più frequenti dello “stress oftalmico” sono rappresentate da
spasmi accomodativi e, talvolta, da miopia apparente. Da qui scaturiscono i classici sintomi dell’astenopia accomodativa (dolori sopraorbitari,
senso di bruciore agli occhi ed offuscamenti), che risulta molto frequente nei soggetti miopi, astigmatici ed ipermetropi.
Altro aspetto da considerare è il rapporto tra stress oftalmico e lavoro notturno in funzione di aspetti fisiologici (prevalenza del tono vagale,
ipotermia, diminuzione della frequenza cardio-respiratoria ed ipotensione) e psicologici (rapporti sociali).
Con il termine di “emeralopia” si intende quello stato in cui l’acuità
visiva diminuisce con il crepuscolo, in rapporto il più delle volte a disturbi ottici e più raramente a disturbi dei fotorecettori.
Riportiamo i dati di ergonomia visiva ottenuti, nell’attività di Sorveglianza Sanitaria di un gruppo di autisti, in rapporto all’età cronologica.
Si riportano altresì quelli relativi ad alterazioni dell’udito e del rachide.
Materiale e metodi
Sono stati osservati, nel periodo febbraio-marzo 2003, 304 autisti di
un’azienda municipalizzata che, fino al 1994, hanno svolto attività lavorativa inerente la raccolta, il trasporto ed il compattamento di rifiuti solidi urbani. Da allora sono adibiti esclusivamente alla guida di automezzi
per il trasporto di cose e persone.
Tutti i soggetti esaminati sono di sesso maschile e le caratteristiche
del gruppo sono presentate nelle tabelle I e II. L’abitudine al fumo è abbastanza diffusa, ma quello che soprattutto sorprende è la scarsa attenzione alla salute, stante la inaccettabile incidenza dei quadri di dislipidemia.
L’ergonomia visiva è stata studiata con apparecchi Ergovision della
Essilor valutando i test di base e la loro corrispondenza ai requisiti previsti dall’art. 119 del nuovo codice della strada. I risultati ottenuti sono rias-
Fascia
età
N.
41-50
119 (39%)
51-60
154 (51%)
>60
Età
media
Anzianità lavorativa
Totale
Specifica
47.6
24.9
20.5
54.7
29.6
22.3
31 (10%)
63
36
28
304
52,8
28,4
22,2
TOTALE
Tabella II. Abitudine al fumo, alterazioni metaboliche
ed ipertensione arteriosa
Fascia
età
Fumatori
Diabetici
Dislipidemici
Ipertesi
N.
%
N.
%
N.
%
N.
%
41-50 (119)
80
67
31
26
81
68
46
39
51-60 (154)
83
53
49
32
93
60
75
48
>60 (31)
11
35
14
45
21
68
13
42
TOTALE 304
174
57
94
30
195
64
134
44
Tabella III. Ergonomia visiva
Fascia
età
Visus
normale
Visus sufficiente
con correzione
Visus
insufficiente
N.
%
N.
%
N.
%
41-50 (119)
102
86
16
13
1
0.8
51-60 (154)
95
62
51
33
8
5
>60 (31)
14
45
16
52
1
3
TOTALE 304
211
69
83
28
10
3
sunti in tabella III. Il 69% del campione esaminato ha presentato una visione normale, il 28% è stato ritenuto sufficientemente corretto, mentre
per il 3% (10 soggetti) non era possibile prevedere una correzione tale da
raggiungere i minimi requisiti di legge.
Per questi ultimi è stato formulato un giudizio di temporanea non
idoneità, nella convinzione che non potessero svolgere il proprio lavoro
in sicurezza per sé e per gli altri.
La valutazione del danno uditivo è stata eseguita in applicazione del
DM 119/2000. Un’ipoacusia neurosensoriale bilaterale è stata rilevata nel
27% dei soggetti esaminati, a testimonianza della precedente maggiore
esposizione a rumore (tabella IV).
Le alterazioni del rachide sono state inquadrate con gli esami radiologici già in possesso dei lavoratori e con la valutazione clinico-funzionale delle spondiloartropatie. I dati ottenuti e riportati in tabella V non
hanno mostrato un’incidenza significativa di tale patologia.
POSTER
398
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
Tabella IV. Alterazioni uditive
Fascia
età
Normali
41-50 (119)
79 (66%)
51-60 (154)
91 (59%)
Neurosensoriali
Mono
>60 (31)
9 (29%)
179 (59%)
TOTALE 304
Bilat
Trasmissive
Bilat
Bilat
4 (3%) 26 (22%) 5 (4%)
4 (3%)
1 (0,8%)
5 (3%) 45 (29%) 6 (4%)
3 (2%)
4 (3%)
2 (6%) 14 (45%)
Mono
Miste
1 (3%)
2 (6%)
3 (9%)
11 (4%) 85 (27%) 12 (4%)
9 (3%)
8 (3%)
179 (59%)
96 (31%)
21 (7%)
8 (3%)
Tabella V. Alterazioni del rachide
Fascia
età
Normali
Spondiloartropatie
LS2-LS3
C2-C3
LS2-3 C2-3
N.
%
N.
%
N.
%
41-50 (119)
103 (87%)
8
7%
4
3%
3
2%
51-60 (154)
111 (72%)
16
10%
16
10%
11
7%
>60 (31)
25 (80%)
1
3%
2
6%
3
9%
TOTALE 304
239 (79%)
25
8%
22
7%
16
5%
Tabella VI. Tipi di lavorazioni ed impegno visisvo
Lavorazioni
Acutezza visiva
Comuni
Di precisione
Pericolose
> 6/10
>7/10
>8/10
Foria >2D
Foria <2D
Equilibrio muscolare
Senso stereoscopico
Senso cromatico
Angolo stereopsi <362” Angolo stereopsi <43”
Errori alle tavole
Senza errori
Senza errori
Discussione
Con il contributo presentato riteniamo di aver focalizzato due tipi di
problemi.
Il primo riguarda l’idoneità alla guida che presenta una propria specifica normativa, di cui sono chiamati a rispondere altri soggetti istituzionali quali la Prefettura e la Commissione per le patenti speciali. Sta di
fatto che, qualora i lavoratori-autisti vengano sottoposti a sorveglianza
per rischi di movimentazione di carichi, di lavoro notturno e di vibrazioni, il Medico Competente può essere informato di situazioni patologiche
tali da controindicare la guida, ad esempio, per tratte lunghe o venire a
conoscenza, ed è possibile anche questo, della assenza dei requisiti minimi per il possesso della patente di guida. Riteniamo, in proposito, che il
Medico Competente debba entrare in merito, se è suo compito la tutela
della salute e della sicurezza del lavoratore; è invero poco sicuro lasciare
guidare un soggetto in presenza di gravi disturbi visivi.
Su come entrare in merito, lo abbiamo testimoniato formulando un
giudizio di temporanea non idoneità alle mansioni. Compito del datore di
lavoro è la segnalazione agli organi preposti per la verifica dei requisiti.
Tutto quanto esposto ci porta a riproporre un non recente inquadramento delle lavorazioni in funzione dell’impegno visivo richiesto (tabella VI) ed a considerare la possibilità di equiparare la guida di automezzi,
per causa di lavoro, alla stregua delle lavorazioni pericolose per sé e per
gli altri con rispetto dei corrispondenti requisiti.
Al pari, per ogni lavorazione ritenuta pericolosa è opportuno corredare l’attività formativa obbligatoria con un programma di educazione sanitaria oftalmica ed inserire nel protocollo di Sorveglianza Sanitaria uno
screening ergo-visivo biennale per i soggetti con età superiore a 40 anni.
Il secondo è inerente allo stato di salute ed alla scarsa capacità di
controllarlo da parte del gruppo analizzato, in funzione evidente delle
proprie condizioni culturali, sociali ed economiche.
Tale aspetto ci riconduce al tema della Promozione della Salute negli ambienti di lavoro ed alla necessità di modificare stili di vita che finiscono per favorire e condizionare la storia naturale delle malattie cronicodegenerative.
All’uopo si è presentato un programma di educazione alimentare e di
riduzione dell’abitudine al fumo da inserire nella attività di informazione
già prevista.
Bibliografia
1) Abbritti G, Muzi G, Latini L, Vinci F, Abbritti EP, Castellino N, Rossi L. La promozione della salute in ambiente di lavoro. In: Lavoro e
Medicina - Atti del 62° Congr. Naz. della SIMLII, Genova, 29 Settembre - 2 Ottobre 1999.
2) Apostoli P, Semeraro F. Visione e lavoro. In: Foà V, Ambrosi L, Medicina del Lavoro, Torino, UTET, 2003, 485-490.
3) Apostoli P, Bergamaschi A, Piccoli A, Romano C. Funzione visiva e
idoneità al lavoro. Folia Medica 1998; 69:13-34.
4) Bietti GB. L’oftalmologia moderna, Tempo Medico, 32, 73, 1969.
5) Cupelli V, Zanobini A, Frosini S, Arcangeli G, Borghini L, Giuliano
G. Criteri generali di idoneità al lavoro in soggetti affetti da discromatopsia. G Ital Med Lav Erg 2001; 23: 21-24.
6) De Gennaro G, Buongiorno M, Buongiorno V. Ergo-oftalmologia,
oftalmologia preventiva, sociale e del lavoro. Napoli, Florio Edizioni Scientifiche 1981.
7) Jacobson M, Yenney SL, Bisgard J. C. An organizational perspective
on worksite health promotion. Occup Med State of the Art Rev 1990,
Vol. 5 (4): 653-664.
8) Piccoli B. e coll. Il rapporto tra lavoro e visione sotto il profilo medico preventivo. Med Lav 1993; 84: 311-332.
9) Soleo L, Scurti D. Oftalmopatie e lavoro. In: Casula D e coll., Medicina del Lavoro, Bologna, Monduzzi Editore, 1996, 603-606.
10) Stokols D, Pelletier KR, Fielding J. E. Integration of Medical Care
and worksite health promotion. JAMA 1995, 273: 1136-1142.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
399
L. Boschero, A. Malpassini, M. Aversa, E. Di Michele, M. Ranalli, G. Pizzutelli
Indagine sugli esposti a silice
Azienda Usl Frosinone - S. Pre. S.A.L.
Introduzione
LAVORAZIONE AL BANCO
L’analisi delle cartelle sanitarie dei lavoratori esposti a polveri pneumoconiogene, nell’area di competenza dello S.PRE.S.A.L. di Frosinone,
ha mostrato, negli anni, che, a volte, i medici competenti, pur molto sensibili alle problematiche legate all’esposizione al rumore, non riservano
altrettanta attenzione alla prevenzione e all’eventuale presenza di patologie respiratorie.
SEGAGIONE
Obiettivi
Metodi
Sono stati analizzati 14 opifici presenti nel territorio del Distretto B
della ASL di Frosinone, per un totale di 167 dipendenti di cui 17 donne.
Dieci di queste aziende operano nella lavorazione di marmi e graniti, una è impegnata nella produzione di calcestruzzo, una produce prefabbricati, una è un’industria ceramica e l’ultima è una vetreria.
Sono state visionate le cartelle sanitarie dei suddetti lavoratori, 30 dei
quali sono stati sottoposti a Rx torace con siglatura ILO-BIT; di questi,
20 avevano l’evidenza di una sindrome restrittiva di vario grado all’esame spirometrico. A 3 di questi lavoratori, nei quali all’esame standard del
torace si evidenziava un sospetto di patologia pneumoconiotica, è stato
eseguito un esame HRCT del torace.
Parallelamente è stata stilata una check list, da seguire in corso di vigilanza, per individuare materiali e macchinari adoperati durante il ciclo
lavorativo, con i relativi rischi presenti e le eventuali disapplicazioni delle norme di prevenzione (D.P.R. 547/55, D.P.R. 303/56, D. Lgs. 277/92,
D. Lgs. 626/94).
Risultati
Per quanto riguarda gli esami radiografici del torace effettuati, non
sono state evidenziate patologie pneumoconiotiche; pertanto, nonostante
nella maggior parte dei casi i lavoratori non fossero mai stati sottoposti
ad esami radiografici del torace (neanche all’assunzione), non si è evidenziata la presenza di silicosi.
Per quanto concerne, invece, la rilevazione dei rischi lavorativi,
nell’80% dei casi veniva effettuata movimentazione manuale dei carichi
e, nell’85% dei casi, movimentazione meccanica eseguita soprattutto con
carrelli trasportatori ed elevatori.
Nelle aziende in cui si opera nella lavorazione di marmi e graniti,
vengono effettuate le seguenti lavorazioni con i macchinari elencati:
PIALLATRICI
SCALPELLI
TRAPANI
SCOLPITRICI
TRANCIATORI
SEGHE A
NASTRO
RIFINITURA
Lo S.Pre.S.A.L. di Frosinone, stante quanto sopra, ha eseguito uno
studio su lavoratori esposti a silice, al fine di valutarne le condizioni lavorative e di scoprire l’eventuale presenza di silicosi sommerse.
In tale ottica, sono state sottoposte a vigilanza le aziende ove tali lavoratori fossero addetti, al fine di operare un’azione di bonifica, nell’ambito delle prescrizioni, di situazioni non a norma.
PIALLATURA
FRESATURA
SCALPELLATURA
ARTISTICA
SMERIGLIATURA
LEVIGATURA
LUCIDATURA
RIFILATURA
SMERIGLIATRICI
LEVIGATRICI
LUCIDATRICI
BOCCIARDATRICI
FROLLINI
SCALPELLI
MARTELLI
PNEUMATICI
MARMORINI E
SCALPELLINI SPACCAPIETRE
Nelle stesse aziende, i materiali maggiormente adoperati sono, nell’ordine, i seguenti:
MARMI
ALTRE ROCCE
CARRARA
GRANITI
TRAVERTINO
PIETRA SERENA
MARMO ROSA
BASALTO
TRANI
ONICE
SERPENTINO
Per quando riguarda la mancata osservanza delle norme di sicurezza,
si è riscontrato che il 60% degli opifici presentavano ingombri o sporgenze nelle vie di transito e che il 50% delle aziende lapidee aveva le stive di deposito delle lastre non dotate dei fermi di trattenuta. Inoltre il 50%
delle aziende visitate non effettuava la manutenzione periodica dei pavimenti al fine di evitare il formarsi di buche o pozze di acqua stagnante,
mentre il 30% non aveva allestito piani di calpestio in materiale antisdrucciolevole e non aveva documentazione relativa agli interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria dei macchinari.
Nel 40% degli opifici studiati non erano presenti impianti di aspirazione adeguati. Nelle lavorazioni in cui veniva utilizzata pasta abrasiva a
base di piombo, in nessun caso era stata effettuata la valutazione dell’esposizione personale al piombo.
Il 20% degli ambienti di lavoro non era provvisto di armadietti personali con scomparti separati per gli abiti civili e gli abiti da lavoro. Nel
50% dei luoghi di lavoro non veniva effettuata giornalmente la pulizia
con aspiratori industriali. Solo il 40% dei lavoratori che utilizzavano strumenti vibranti ne avevano a disposizione dotati di impugnatura antivibrante e di carcassa isolata rispetto all’utensile. Il 40% degli operai studiati non aveva condizioni di temperatura confortevoli.
POSTER
400
Si è riscontrato, pertanto, che pur non sussistendo un’evidente presenza di patologia silicotica fra gli operatori esposti a silice, è invece presente un rischio elevato di infortuni sul lavoro a causa della mancata osservanza delle normative di sicurezza.
Discussione
Il nostro lavoro nell’ambito della vigilanza ha operato un’opera di
bonifica delle situazioni carenti con l’esercizio della prescrizione.
Sarebbe opportuno che i medici competenti fossero più sensibili alle
problematiche dei lavoratori del settore, ponendo maggiore attenzione alle condizione lavorative dei dipendenti durante le visite agli ambienti di
lavoro previste dalla normativa vigente.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
Bibliografia
Bollini G. Venti schede sui rischi nel lavoro artigiano. Volumi di informazione EPASA, n. 14, 87-91; 113-122.
Boschero L, Ciprietti G, Ferri R, Pizzutelli G, Spagnoli G. Results of
screeening of a group of sanitary ware workers. La medicina del lavoro vol. 93, suppl. 2002; S52.
Castellet y Ballarà G. L’attività di segagione e lavorazione di marmi e
pietre ornamentali: le rocce granitiche e i loro termini commerciali.
Seminario CONTARP - Sardegna 1997.
De Guire L, Brisson S, Provencher S. Silicosis in Quebec from 1988 to
1997. La medicina del lavoro vol. 93, suppl. 2002; S36.
Merlo F, Puntoni R, Garrone E, Desideri A, Ceppi M. Mortality among
Italian refractory brick workers exposed to SiO2. La medicina del lavoro vol. 93, suppl. 2002; S31.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
401
P. Bianco1, C. Marsico2, V. Anzelmo3, S. Marsico4, D. Staiti3
Analisi delle cause di disfonie nei professionisti della voce osservate
in un servizio di foniatria ospedaliero. Nota II. Cantanti
1
2
3
4
Servizio Sanitario RAI Radiotelevisione Italiana - Roma
Servizio Foniatria A.C.O. San Filippo Neri - Roma
Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica S. Cuore - Roma
ENPALS - Roma
Introduzione
L’utilizzo professionale della voce cantata può sviluppare alterazioni
vocali nelle quali svolgono un ruolo la qualità della tecnica vocale, la distribuzione del lavoro vocale nel tempo (mesi o stagioni), l’età, l’eventuale carico addizionale di lavoro, le condizioni di vita e quelle sociali;
soprattutto lo sforzo vocale e l’errata tecnica sono ritenute le cause più
frequenti. Nel cantante professionista o amatoriale che presenti l’uno o
l’altro o entrambi i suddetti fattori stressanti, si osserverà dapprima una
risposta ipercinetica della muscolatura laringea che provoca un aumento
di potenza vocale; subito dopo compaiono, rapidamente, altre alterazioni
vocali rappresentate da: attacchi duri, fatica nella mezza voce, e talora incapacità ad emettere le note acute. All’ipercinesia segue spesso la comparsa di ipocinesia, caratterizzata da emissione vocale rauca, soffiante,
che impedisce la normale performance vocale. Spesso alle disfonie disfunzionali ipercinetiche ed ipocinetiche segue la comparsa delle disfonie
su base organica, caratterizzate dalla presenza di lesioni organiche dell’organo fonatorio. Le disfonie organiche più frequentemente osservabili
nei cantati sono rappresentate da: nodulo laringeo, polipo laringeo, cisti
sottomucosa, ispessimento fusiforme, edema di Reincke, ulcera da contatto, cordite vasomotoria.
Tabella I. Eziologia delle disfonie diagnosticate
e relative frequenze
Eziologia
N. casi
%
Funzionale ipercinetica
334
32,08%
Funzionale ipocinetica
228
21,91%
Noduli laringei
195
18,73%
Polipi laringei
91
8,74%
Edemi fusiformi
62
5,96%
Edema di Reincke
49
4,71%
Ectasie venose cordali
24
2,31%
Emorragie cordali
21
2,02%
Monocordite
15
1,44%
Cisti intracordali
12
1,15%
Sulcus glottidis
7
0,66%
Ulcera da contatto
3
0,29%
Materiali e metodi
Nella prospettiva multidisciplinare di uno studio finalizzato alla prevenzione delle alterazioni vocali in soggetti che utilizzano professionalmente la voce, che coinvolge lo specialista otorinolaringoiatra e il medico del lavoro e il medico di base, sono stati revisionati 1041 casi di disfonia in cantanti sia professionisti che amatoriali (lirici, coristi, etc.)
giunti all’osservazione presso il Servizio di Foniatria di un’azienda ospedaliera romana, nel periodo compreso tra il 1985-2002. Scopo dello studio preliminare è stato quello di identificare le più frequenti patologie
funzionali ed organiche responsabili della disfonia.
quelle organiche, emerge l’importanza di adeguati programmi di prevenzione per questa categoria professionale, in quanto anche un breve periodo
di disfonia può avere conseguenze gravi sia dal punto di vista artistico che
estetico. L’ informazione, i controlli foniatrici periodici, le specifiche strategie di igiene vocale rientrano spesso nel bagaglio culturale di questa categoria di lavoratori; tuttavia la standardizzazione degli interventi preventivi, può realizzarsi attraverso la promozione di un approccio multidisciplinare alle disfonie professionali, soprattutto in strutture o settori in cui il cantante professionista (corista) risulta un lavoratore dipendente. per tutelare
questi lavoratori dal rischio di sviluppare problemi vocali.
Risultati
Bibliografia
La popolazione esaminata di 1041 pazienti, è risultata composta da
438 uomini e 603 donne, con età compresa tra i 17 ed i 56 anni. I cantanti
professionisti erano 472, mentre gli amatoriali erano 569.
Nella tabella I sono riportate le eziologie delle disfonie diagnosticate e le relative frequenze. In accordo con i dati della letteratura, la causa
più frequente di disfonia osservata è di tipo funzionale (53,99%) con prevalenza del tipo ipercinetico (32,08%). Tra le cause organiche, che rappresentano il 46,01%, la più frequente è costituita dai noduli laringei
(18,73%), seguita dai polipi laringei (8,74%).
1) Broaddus-Lawrence PL, Treole K, McCabe RB et al. The effects of
preventive vocal hygiene education on the vocal hygiene habits and
perceptual vocal characteristics of training singers. J Voice 2000 Mar;
14 (1): 58-71.
2) Fussi F, Magnani S. La voce del cantante. Ed. Omega, Torino 2000.
3) Motta G, Cesari U. Disfonie e disodie. Atti XVI Giornate Italiane di
Otoneurologia, Sorrento 1999.
4) Murry T, Rosen CA. Vocal education for the professional voice user
and singer. Otolaryngol Clin North Am 2000 Oct; 33 (5): 967-82.
5) Sataloff RT. Professional voice users: the evaluation of voice disorders. Occup Med 2001 Oct-Dec; 16 (4): 633-47.
6) Tepe ES, Deutsch ES, Sampson Q et al. A pilot survey of vocal health
in young singers. J Voice 2002 Jun; 16 (2): 244-50.
7) Verdolini K, Ramig LO. Review: occupational risks for voice problems. Logoped Phoniatr Vocol 2001; 26 (1): 37-46.
Conclusioni
I dati rilevati dimostrano che le alterazioni funzionali sono le cause più
frequenti di disfonia; poiché le alterazioni funzionali precedono di solito
POSTER
402
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
R. Quagliuolo1, S. Menegozzo1, A. Guizzaro2, A. Labella3, A. Brangi3, M. Menegozzo1
Il conflitto tra gestione politica e gestione tecnica degli enti pubblici
come causa di mobbing
II Università degli Studi di Napoli
1 Dipartimento di Medicina Sperimentale - Sezione di Medicina del Lavoro
2 Cattedra di Neurofisiopatologia
3 Cattedra di Psicologia Clinica
Premessa
Il mobbing è una forma di violenza psicologica che si attua in ambito lavorativo e che implica la presenza di un aggressore (mobber), rappresentato
da una o più persone e di una vittima (il lavoratore aggredito). Viene esercitato attraverso una molteplicità di comportamenti antisociali con intenzionalità lesiva che, ripetuti in modo iterativo, hanno l’obiettivo di estromettere un
soggetto dal suo posto di lavoro. I confini di questo rischio lavorativo sono
stati definiti nel 2001 dal Consensus Document elaborato dal network nazionale istituito in seno alla SIMLII che studia il fenomeno dal 1999.
Nell’ambito del network, il gruppo di lavoro della II Università di
Napoli ha sempre dato notevole risalto alla organizzazione del lavoro come causa determinante o come concausa significativa nel determinismo
del mobbing e delle sindromi ad esso correlate.
In questo contesto è già stato segnalato come le tendenziali modifiche della organizzazione del lavoro, sia a livello di imprese pubbliche che
private, sollecitate dalla tendenza del mercato del lavoro, abbiano determinato con più facilità la emersione di condizioni di mobbing solo apparentemente interpretabili come conflitto intersoggettivo.
In particolare si segnala, nell’ambito della Pubblica Amministrazione in Italia, la Legge 29.03.1983, n. 93 (legge quadro sul pubblico impiego) che ha determinato una netta separazione tra la gestione politica e
la gestione amministrativa degli Enti locali.
Per quanto riguarda la gestione dei Comuni, un ulteriore elemento di
discontinuità organizzativa rispetto al passato è costituito dalla entrata in
vigore della Legge 81 del 25 marzo 1993 “Elezione diretta del Sindaco,
del Presidente della Provincia, del Consiglio Comunale e Provinciale”,
con cui il potere decisionale del Sindaco è aumentato notevolmente.
Il Sindaco trova un ostacolo oggettivo alla traduzione operativa del
suo aumentato potere decisionale nel confronto istituzionale con il management amministrativo che gode di una autonoma rappresentatività stabile nel tempo.
Emerge di fatto un elemento di potenziale conflitto tra la carica politica del Sindaco e le postazioni di gestione amministrativa della cosa pubblica, dal momento che il nostro ordinamento non prevede uno spoiling
system di tipo nordamericano, per il quale il potere politico all’atto del
suo insediamento licenzia in toto il personale amministrativo, per sostituirlo con personale di fiducia.
Esperienza del gruppo di lavoro della II Università di Napoli
La nostra esperienza nel corso di questi ultimi tre anni, ha messo in
evidenza un nucleo piuttosto nutrito (circa il 10%) di conflitti a carattere
persecutorio registratisi in corrispondenti Comuni della Campania, conflitto che si è venuto a generare con il cambio della amministrazione politica comunale, e con la elezione di un Sindaco non omogeneo con la
precedente maggioranza.
In particolare l’elemento centrale dello scontro era focalizzato nella
gestione dell’Ufficio Tecnico Comunale deputato al rilascio delle autorizzazioni edilizie, e nella emissione dei giudizi di compatibilità urbanistica per insediamenti abitativi e produttivi.
Caratteristica comune di tutti i casi esaminati è stato l’emergere di
un conflitto in tempi molto rapidi, determinato dalla volontà del Sindaco di disporre in piena autonomia della facoltà di gestire soluzioni urbanistiche innovative, ostacolato in questo, dalla pretesa autonomia del Responsabile dell’Ufficio Tecnico, che di fatto si poneva come “ostacolo”
alla gestione di un elemento strategico della amministrazione politica
comunale.
Il livello del conflitto non ha mai ammesso mediazioni, e si è trasformato in uno scontro di asprezza inusuale di intensa valenza persecutoria che ha sempre avuto come esito la emarginazione forzata del Responsabile dell’Ufficio Tecnico, con conseguente emersione di classiche
sindromi da mobbing (dal disturbo dell’adattamento alla sindrome post
traumatica da stress).
Questa condizione di “conflitto di competenze istituzionali” ci conferma come alla base di molte condizioni di mobbing, spesso interpretate esclusivamente come risultato di conflitti interpersonali a carattere persecutorio, vi sia sempre una componente strutturale a livello di insoddisfacente organizzazione del lavoro, che va sempre ricercata e valutata non
per coprire le responsabilità individuali, ma per meglio capirle e per progettare soluzioni strutturali e durature.
Bibliografia
1) Gilioli R, Adinolfi M, Bagaglio A, Boccaletti D, Cassitto MG,
Della Pietra B, Fanelli C, Fattorini E, Gilioli D, Grieco A, Guizzaro A, Labella A, Mattei O, Menegozzo M, Menegozzo S, Molinini
R, Musto D, Paoletti A, Papalia F, Quagliuolo R, Vinci F. Documento di Consenso: Un nuovo rischio all’attenzione della medicina del lavoro: le molestie morali (mobbing). Med Lav 2001; 92, 1:
61-69.
2) Menegozzo M, Della Pietra B, Labella A, Guizzaro A, Brangi A, Menegozzo S, Quagliuolo R. Mobbing ed organizzazione del lavoro.
Giornate Scientifiche della Facoltà 2002. Napoli 4-6 giugno 2002.
3) Cassitto MG. Molestie morali nei luoghi di lavoro: nuovi aspetti di un
vecchio fenomeno. Med Lav 2001; 92, 1: 12-24.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
403
M. Lamberti1, M. Giuliano1, B. Perfetto2, T. Costabile1, N. Canozo2, A. Barone2, F. Liotti1, N. Sannolo1
Ruolo delle metalloproteasi di matrice nella dermatite allergica
da contatto di tipo professionale
1
2
Dip. di Medicina Sperimentale, Sezione di Biotecnologie e Biologia Molecolare, Sezione di Medicina del Lavoro, Igiene e Tossicologia Industriale,
Sezione di microbiologia e microbiologia clinica, Sezione di clinica Dermatologica
Dip. Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Audiofoniatria e Venereologia, Sezione di Dermatologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università
degli Studi di Napoli
Introduzione
Conclusioni
La dermatite allergica da contatto (DAC) rappresenta il 15-20% di
tutte le patologie occupazionali.
L’ipersensibilità al nichel, ad esempio, è alla base della più comune
forma di dematite allergica da contatto che si manifesta, principalmente,
sulla superficie palmare delle mani. Generalmente l’insorgenza di lesioni
cutanee è causata da una cascata di eventi che coinvolge diverse popolazioni cellulari e numerosi fattori solubili quali citochine pro-infiammatorie e mediatori del danno cellulare come le metalloproteasi (MMPs). Le
MMPs sono endopeptidasi zinco dipendenti coinvolte nel rimodellamento della matrice extracellulare. L’insulto cutaneo con sostanze pericolose
determina lo sviluppo di continui fenomeni che degradano componenti
della matrice extracellulare come proteoglicani, fibronectina e laminina.
Le metalloproteasi vengono secrete sotto forma di proenzimi e attivate da
tagli proteolitici. Gli inibitori tessutali (TIMPs) delle MMPs controllano
l’attività delle metalloproteasi mature. Lo squilibrio tra MMPs e TIMPs
è alla base di un largo numero di patologie associate con il rimodellamento della matrice.
I risultati dimostrano che già a concentrazioni di nichel molto basse
si ha l’espressione di MMPs e TIMPs, dato che indica una chiara sofferenza cellulare non supportata ancora da un evidente danno fenotipico.
L’innovazione di tale studio risiede nella creazione di un modello
cellulare e non animale rapido e di facile attuazione che sia in grado di testare nuove sostanze chimiche da utilizzare in ambito occupazionale.
Metodi
Sono state utilizzate cellule Hacat (cheratinociti epidermici umani)
stimolate con concentrazioni scalari di solfato di nichel a diversi tempi di
contatto. Si sono eseguite analisi, mediante microscopia ottica, della
morfologia e della velocità di duplicazione supportate da un’indagine più
approfondita a livello molecolare, per identificare in maniera precoce gli
effettori di un danno a lenta manifestazione clinica. I marcatori selezionati sono le MMP-1, MMP-2, MMP-3, MMP-7 MMP-8, MMP-9, MMP13, TIMP-1, TIMP-2, TIMP-3, TIMP-4. Per tali studi è stata usata l’RTPCR con lo scopo di valutare l’espressione di mRNA specifico per la
MMPs e i TIMPs scelti. Inoltre è stata valutata l’espressione di proteine
attive secrete nel mezzo di coltura mediante la metodica Elisa.
Risultati
I cheratinociti umani stimolati con concentrazioni variabili di nichel
(da 10-2 a 10-6 M) a diversi tempi di contatto (6h, 24h, 3 e 6 giorni)
muoiono dopo esposizione ad alte dosi di solfato di nichel (10-2-10-3M)
dopo 24-48 ore così come dopo una lunga incubazione. L’attività trascrizionale è presente per MMP-2 a concentrazioni di 10-4, 10-5 e 10-6M. Invece l’mRNA specifico per il TIMP-2 aumenta in maniera opposta. La
metodica Elisa conferma i risultati ottenuti a livello molecolare.
References
1) Acevedo F, Angel Serra M, Ermolli M, Clerici L, Vesterberg O.
Nickel-induced proteins in human HaCat keratinocytes: annexin II
and phosphoglycerate kinase. Toxicology 2001; 159: 33-41.
2) Birkedal-Hansen B, Pavelic ZP, Gluckman JL, Stambrook P, Li YQ,
Stetler-Stevenson WG. MMP and TIMP gene expression in head and
neck squamous cell carcinomas and adjacent tissues. Oral Dis 2000;
6: 376-382.
3) Borg L, Christensen J, Kristiansen J, Nielsen NH, Mennè T, Poulsen
LK. Nickel-induced cytokine production from mononuclear cells in
nickel-sensitive individuals and controls. Arch Dermatol Res, 2000;
292: 285-291.
4) Ermolli M, Mennè C, Pozzi G, Serra MA, Clerici LA., Nickel, cobalt
and chromium-induced cytotoxicity and intracellular accumulation
in human Hacat keratinocytes. Toxicology 2001; 159: 23-31.
5) Giannelli G, Forti C, Marinosci F, Bonamonte D, Intonaci S, Angelici G. Gelatinase expression at positive patch test reactions. Contact
Dermatitis 2002; 46: 280-285.
6) Jensen CD, Andersen K. Two cases of occupational allergic contact
dermatitis from a cycloaliphatic epoxy resin in a neat oil: Case Report. Environ Health 2003; 2: 3.
7) National Occupational Research Agenda. Allergic and Irritant Dermatitis 1999, Report June 11.
8) Reynolds JJ. Collagenases and tissue inhibitors of metalloproteinases:
a functional balance in tissue degradation. Oral Dis 1996; 2: 70-76.
9) Rietschel RL, Mathias CG, Fowler JF, Jr, Pratt M, Taylor JS, Sherertz
EF, Belsito DV, Storrs FJ, Maibach HI, Fransway AF, Deleo VA. Relationship of occupation to contact dermatitis: evaluation in patients
tested from 1998 to 2000. Am J Contact Dermatitis 2002; 13: 170176.
10) Scott AE., Kashon, ML, Yucesoy B, Luster MI, Tinkle SS. Insights
into the quantitative relationship between sensitization and challenge
for allergic contact dermatitis reactions. Toxicol Appl Pharmacol
2002; 183: 66-70.
POSTER
404
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
S. Garbarino1, 2, 3, E. Molinaro4, F. Copello5, B. Mascialino1, S. Donadio1, S. Squarcia4, M.A. Penco4, F. Ferrillo1
Uno strumento informatico per le indagini epidemiologiche su lavoratori
turnisti: un questionario on-line
1
2
3
4
Centro di Medicina del Sonno, DISM, Università degli Studi di Genova
Centro di Neurologia e Medicina Psicologica, Servizio Sanitario della Polizia di Stato, Ministero degli Interni
Dipartimento di Medicina Preventiva Occupazionale e di Comunità, Università degli Studi di Pavia
Laboratorio di Fisica e Statistica Medica, Dipartimento di Fisica, Università degli Studi di Genova, e U.O. Medicina Preventiva e del Lavoro, Azienda
Ospedale Università San Martino di Genova
Introduzione
Le indagini epidemiologiche su larga scala spesso vengono condotte
per mezzo di somministrazione di questionari in forma cartacea. Oggi tuttavia l’elaborazione statistica dei dati si basa sull’impiego di software altamente specializzati, che utilizzano file contenenti i dati da analizzare.
Questa necessità implica una fase di transizione, dedicata al caricamento
dei dati, fra la somministrazione dei questionari e l’analisi statistica vera
e propria. Obiettivo dello studio è la creazione un questionario on-line,
che verrà utilizzato in un’indagine relativa alle abitudini di sonno-veglia
ed agli eventuali incidenti/infortuni occorsi al personale ospedaliero medico e paramedico operante presso l’Ospedale San Martino di Genova.
Materiali e metodi
Il collettivo oggetto di studio è numericamente quantificabile in oltre
2000 unità e quindi la somministrazione di un questionario cartaceo ed il
successivo caricamento dati avrebbe comportato un allungamento dei
tempi di analisi. Per questo motivo si è scelto di creare un questionario
on-line, facilmente accessibile via web, per la contemporanea somministrazione del questionario e digitalizzazione dei dati.
Strutturalmente il questionario è suddiviso in cinque sezioni differenti:
1. dati personali: età, sesso, peso, altezza, anzianità lavorativa e di turnismo, tipo di turni seguiti (tipologia, direzione e velocità di rotazione)
2. sezione sonno-veglia, comprendente domande relative alla quantità
(orari di addormentamento e di risveglio del sonno notturno e degli
eventuali sonnellini) e qualità di sonno in corrispondenza di ogni turno lavorativo;
3. sezione sonnolenza ed incidenti/infortuni occorsi sul lavoro e nel
tempo libero;
4. sezione patologie del sonno, con domande caratterizzanti insonnia,
ipersonnia diurna, mioclono notturno e sindrome delle apnee ostruttive in sonno;
5. abitudini personali, riguardanti il consumo di sigarette, caffè e vino;
6. scala di Epworth per la sonnolenza (1), che misura la tendenza soggettiva ad assopirsi in situazioni di quotidianità. I punteggi di ESS
variano fra 0 e 24; si considerano sonnolenti patologici punteggi di
ESS≥11.
Nella versione digitale, il questionario mantiene la suddivisione in
sezioni, con lo scopo di permettere al personale la sua compilazione in
tempi successivi. Esso è stato sviluppato mediante la creazione di una decina di pagine web scritte in linguaggio Php, che permettono la compilazione del questionario e la relativa archiviazione delle risposte in un database. Il linguaggio Php è stato privilegiato all’HTML in quanto permette la creazione di pagine web dinamiche: a differenza di quelle stati-
che, queste pagine evolvono nel tempo, in quanto il loro contenuto dipende dall’iterazione fra l’utente ed il programma. L’archivio è stato invece implementato tramite il server database MySql.
Nella fase di analisi statistica dalle risposte alla sezione 4 verrà valutato uno Sleep Disorder Score (2), che quantifica il disturbo globale del
sonno dell’utente; per questo motivo tali domande sono obbligatorie.
Risultati
Ogni utente si connette per compilare il questionario accedendo al
programma tramite un identificatore (user name) ed una password; questi campi gli vengono entrambi assegnati al momento della registrazione
necessaria per effettuare la compilazione. È opportuno rammentare che il
questionario è assolutamente anonimo e che la registrazione non richiede
l’inserimento di alcuna informazione personale da parte dell’utente.
L’impiego di pagine web dinamiche consente la compilazione del
questionario in tempi successivi: al momento dell’identificazione viene
effettuata un’interrogazione all’archivio contenente i dati inseriti dall’utente l’ultima volta che si è connesso per sapere quali siano le sezioni
compilate nelle sessioni precedenti. In questo modo un utente che, per
motivi legati alla mansione lavorativa (come nel caso di personale impiegato nei reparti di terapia intensiva), è costretto a disconnettersi senza
avere terminato le sei sezioni del questionario, può riprendere in un secondo tempo esattamente dall’ultima sezione compilata.
È da sottolineare che, grazie alla compilazione on-line, è stato possibile verificare la consistenza delle risposte inserite dall’utente.
Conclusioni
Questo questionario è uno strumento di grande utilità per le indagini
epidemiologiche su larga scala e per la successiva elaborazione dei dati.
La sua struttura, che consente la compilazione in sessioni successive, è
fondamentale per la tipologia di collettivo studiata, in quanto il personale medico e paramedico spesso può trovarsi in condizioni di dover interrompere la compilazione per motivi legati all’adempimento della mansione lavorativa. La guida on-line facilita ulteriormente la compilazione.
Bibliografia
1) Johns MW. A new method for measuring daytime sleepiness. The
Epworth Sleepiness Scale, Sleep 1991; 14 (6): 540-545.
2) Garbarino S, De Carli F, Mascialino B, Beelke M, Nobili L, Penco
MA, Squarcia S, Ferrillo F. Sleep disorders in a population of Italian
shiftwork police officers. Sleep 2002, Sep 15; 25 (6): 648-53.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
405
S. Garbarino1, 2, 3, B. Mascialino1, V. Borraccia2, F. De Carli5, G. La Paglia6, L. Nobili1, G. Ravera4,
S. Zanardi4, F. Ferrillo1
Tipologia lavorativa e sistema di turnazione: differenziazione dell’influenza
sul rischio di infortuni nei turnisti
1
2
3
Centro di Medicina del Sonno, DISM, Università degli Studi di Genova
Servizio Sanitario della Polizia di Stato, Ministero degli Interni
Dipartimento di Medicina Preventiva Occupazionale e di Comunità,
Università degli Studi di Pavia
Introduzione
Nell’uomo adulto in condizioni fisiologiche, la capacità di adattamento al lavoro notturno può essere notevolmente influenzata dal sistema di turno adottato (durata, direzione, rotazione, regolarità), dalla tipologia della mansione lavorativa e dalle condizioni di lavoro (1).
Recenti dati della letteratura indicano una stretta correlazione fra posizione temporale delle ore lavorative, numero di ore lavorative, durata del
tempo di veglia precedente, sonnolenza ed incidenti e/o infortuni sul lavoro (2). Inoltre gli effetti della fatica da lavoro e dell’eccessiva sonnolenza
spesso tendono a sommarsi incrementando il rischio di infortuni (3, 4).
Obiettivo dello studio è stato quello di confrontare tre diverse popolazioni di turnisti (infermieri I, operatori della Polizia di Stato P e ferrovieri F), al fine di valutare come la categoria lavorativa ed il sistema di
turnazione adottato influenzino separatamente l’occorrenza di eventuali
infortuni.
Materiali e metodi
Lo studio è stato condotto nella città di Palermo mediante l’uso di un
questionario assistito e validato [Standard Shifwork Index-SSI (5)]. Il
questionario è stato sottoposto ad un campione di 800 lavoratori turnisti
appartenenti a tre differenti categorie lavorative: complessivamente il
59.8% (478 soggetti equamente collaborativi) del campione preso in esame ha accettato di aderire allo studio. Il campione risulta così suddiviso:
178 I (37.2%), 174 P (36.4%) e 126 F (26.4%). I sistemi di turnazione
adottati dalle tre categorie lavorative sono i seguenti:
Categoria (turno)
Sera
I (turno in quarta)
P (turno in quinta)
F (turno in quarta)
19: 00-0: 00
Pomeriggio
Mattino
Notte
14: 00-22: 00
6: 00-14: 00
22: 00-6: 00
13: 00-19: 00
7: 00-13: 00
0: 00-7: 00
14: 00-22: 00
6: 00-14: 00
22: 00-6: 00
I tre sistemi di turnazione sono antiorari, regolari con velocità di rotazione rapida. Le loro differenze strutturali rendono assai difficoltoso il
confronto fra le categorie lavorative, in quanto i fattori tipologia di turnazione e mansione lavorativa risultano essere profondamente intrecciati.
Il confronto delle distribuzioni del numero di incidenti per categoria
lavorativa è stato effettuato mediante il test di Kolmogorov-Smirnov (KS).
L’andamento degli incidenti all’interno del piano di turnazione è stato studiato creando una variabile che descrive il tempo intercorso dall’inizio del turno all’istante dell’incidente, fissando per tutti come tempo
zero la mezzanotte del turno montante. L’influenza della categoria lavorativa e delle caratteristiche personali del lavoratore (età, sesso, BMI, anzianità di turnismo) sul rischio di infortunio all’interno di un ciclo di turnazione sono state valutate per mezzo della regressione proporzionale di
Cox. Questa regressione stima l’Hazard Ratio (HR) di ogni variabile inserita nell’analisi e la sua significatività; HR valuta la differenza nel rischio di infortunio dovuto ad un cambiamento di un’unità nella variabile
4
5
6
Dipartimento di Scienze della Salute, Sezione di Biostatistica, Università
degli Studi di Genova
Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare, CNR
Istituto di Medicina Occupazionale, Università degli Studi di Palermo
studiata. Questa analisi ha consentito di separare il contributo della categoria lavorativa da quello del sistema di turnazione sul rischio di infortunio.
Il rischio di infortunio HF (Hazard Function) risulta dalla sovrapposizione degli HR delle variabili emerse significative nell’analisi di Cox;
il suo andamento in funzione del tempo trascorso dall’inizio del piano di
turnazione (Fitted Hazard Function - FHF) è stato interpolato mediante
delle funzioni matematiche strettamente crescenti nel tempo.
Per ogni analisi effettuata il livello di significatività è stato fissato a 0.005.
Risultati
Il campione è principalmente costituito da uomini: solo gli I hanno
un cospicuo gruppo di donne (48.3%); i P e gli I sono più giovani (rispettivamente (33±7 anni) e (37±8 anni)), mentre i F sono più anziani
(49±6 anni). Relativamente alle anzianità di turnismo, nessuna differenza è stata riscontrata fra I e P, mentre i F hanno anzianità di turnismo significativamente più elevate (test KS – p<0.0001).
Il 26% degli I, il 34% dei P ed il 19% dei F riporta di aver avuto un
infortunio sul lavoro, alla guida di un veicolo oppure in altre circostanze;
rispettivamente il 28%, il 7% ed il 21% di questi lo attribuisce alla sonnolenza.
Le distribuzioni del numero di infortuni riportati per categoria, indipendentemente dal turno lavorativo in cui sono occorsi, sono state confrontate mediante il test di KS: i P hanno un numero di infortuni significativamente più elevato degli altri (p<0.005), mentre nessuna differenza
è stata riscontrata fra I e F.
La distribuzione temporale degli incidenti dei F sembra essere indipendente dall’ora del giorno e quindi dal turno lavorativo. Gli I tendono
ad avere gli infortuni soprattutto nel turno mattutino (37%), mentre i P
mostrano un incremento significativo del numero di infortuni durante il
turno notturno (%).
L’analisi proporzionale di Cox ha evidenziato che in un ciclo completo di turnazione essere P o I comporta un aumento del rischio di incidente pari rispettivamente a HR(P)=3.6 e HR(I)=3.0.
L’anzianità di turnismo contribuisce ad aumentare moderatamente il
rischio di infortunio (HR=1.002), mentre le altre variabili inserite nell’analisi non sono risultate significative.
Il test di KS ha evidenziato delle differenze statisticamente significative fra le tre categorie lavorative nei livelli di HF raggiunti, con i F associati al rischio minimo di incidente ed i P associati a quello massimo
(p<0.0001) su un intero ciclo di turnazione.
HF è una variabile che mostra un andamento ben descrivibile matematicamente, mediante delle regressioni per ogni categoria lavorativa.
HF cresce come una potenza con il tempo di turnazione (R2>0.76 per tre
le categorie lavorative); questa nuova funzione di rischio interpolata
(FHF, mostrata in figura) conferma le differenze statisticamente significative esistenti fra i F e le altre due categorie lavorative riscontrate in precedenza (test KS – p<0.0001). All’istante di inizio del primo turno del ciclo di turnazione non esistono differenze significative fra FHF(I) e
FHF(P), che risultano significativamente più elevati di FHF(F):
FHF(I)=0.04, FHF(P)=0.05, FHF(F)=10-4. Questo fatto implica che le categorie lavorative P ed I iniziano il primo turno di lavoro partendo da un
livello di rischio confrontabile. Tuttavia relativamente a questa variabile,
POSTER
406
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
d’infortunio. Analizzando la categoria dei F, nonostante presenti un’anzianità di turno più elevata (e alti valori di anzianità facciano aumentare
il rischio di infortunio), emerge che ad essa sono associati i livelli di HF
minimi; questo implica che è la loro tipologia lavorativa a rendere minimo il rischio di infortunio ed a controbilanciare gli effetti negativi legati
all’anzianità di turno.
Tuttavia, le tre categorie lavorative in esame mostrano un rischio di
infortunio intrinseco indipendente dal piano di turnazione adottato, che è
rappresentato dal valore della funzione FHF all’istante in cui affrontano
la prima ora del ciclo di turno lavorativo. Tale rischio è simile per I e P,
mentre è significativamente più basso per i F. Nonostante questo, il rischio di infortunio di I e P si diversifica a partire dal terzo turno lavorativo. Giova qui ricordare che gli I concludono il ciclo di turnazione dopo
tre turni lavorativi, mentre i P devono affrontare un ulteriore turno lavorativo, quello notturno. Durante la notte il rischio di infortunio (HF) aumenta ulteriormente, rendendo questo il turno a rischio più elevato.
Pertanto, il sistema di turnazione “in quinta”, adottato dai P e più in
generale dalle Forze dell’Ordine in Italia, sembra costituire un ulteriore
fattore di rischio nell’occorrenza degli infortuni.
Figura
Bibliografia
I e P sono simili solo in corrispondenza dei primi due turni lavorativi, in
quanto i livelli di FHF si differenziano già a partire dal terzo turno, con
un rischio significativamente più elevato per i P.
Conclusioni
I nostri dati indicano che l’occorrenza degli infortuni studiati sembra
dipendere in parte dalla mansione lavorativa ed in parte dal sistema di turno adottato. Il fattore anzianità di turno influenza a sua volta il rischio
1) Costa G. Lavoro a turni e salute. Med Lav 1999; 90, 6: 739-751.
2) Folkard S. Biological disruption in shift-workers. In: W.P. Colquhoun,
G.Costa, S.Folkard, P.Knaught (Ed) Shiftwork. Problems and solutions 1996: 29-61.
3) Härma M. Individual differences in tolerance to shift-work. A review.
Ergonomics 1993; 36: 97-110.
4) Garbarino S, De Carli F, Mascialino B, Beelke M, Nobili L, Penco
MA, Sguarcia S, Ferrillo F. Sleep disorders in a population of Italian
shiftwork police officers. Sleep 2002 Sep 15; 25 (6): 648-53.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
407
V. Rapisarda, M. Santini, A. Bianconi, G. Solina, M. Valentino M.
Promozione della salute nelle aziende: ruolo del medico del lavoro
Clinica di Medicina del Lavoro, Università Politecnica delle Marche-Ancona
Introduzione
La promozione della salute, secondo la definizione dell’OMS, riguarda tutte le attività collegate alla salute in una società (1). In ambito lavorativo la promozione della salute è intesa come miglioramento della capacità
di prevenire le malattie, sia per quanto riguarda gli aspetti connessi all’ambiente di lavoro, sia per quanto concerne, più in generale, le abitudini
di vita quotidiane (2). Secondo Lusk e Raymond (2002), l’ambiente lavorativo è il luogo migliore per mettere in atto un programma di promozione
della salute e di prevenzione delle malattie nella popolazione adulta.
Cenni storici
Negli Stati Uniti l’interesse per la promozione della salute che risale
ai primi anni ’70, è maturato in ragione della constatazione di un aumento
continuo dei costi per l’assistenza sanitaria e le assicurazioni sulla salute.
Nel 1980 fu pubblicato l’“Health Objectives for the Nation”, che riconosceva il luogo di lavoro come ambito migliore per le attività di promozione della salute (4). In Europa, la Finlandia già dal 1979 ha reso effettivo
l’“Occupational Health Care Act”.
2.
3.
4.
5.
6.
Garantire l’impegno dei dirigenti d’azienda.
Identificare i bisogni fondamentali e le aspettative dei lavoratori: effettuazione di incontri; invio di lettere informative al domicilio dei lavoratori; richiesta di suggerimenti; invio di comunicazioni via internet
mediante e-mail, laddove possibile; utilizzo di questionari.
Identificare e/o potenziare pratiche di promozione della salute già
presenti in azienda.
Identificare target e tempi adeguati.
Questo momento fondamentale può essere articolato in 4 fasi successive: definire l’obiettivo; stabilire il piano d’azione; promuovere il piano d’azione; monitorare l’attuazione del piano.
Comunicazione dei risultati ottenuti.
I risultati ottenuti – miglioramento dello stato di salute; riduzione delle assenze per malattia dal posto di lavoro; aumento dell’attività produttiva – devono essere comunicati. Ciò consente non solo di evidenziare l’efficacia di un adeguato piano di promozione della salute e di
individuare nuove aree di sviluppo, ma anche di messaggio di risposta
positiva ai lavoratori che si sono impegnati per raggiungere il target.
Conclusioni
Perché promuovere la salute sul lavoro?
L’ambiente di lavoro è il luogo dove un lavoratore trascorre circa il
30% delle ore di veglia; per questo la promozione della salute sembra trovare nelle aziende la propria ambientazione ideale (5). Nonostante non vi
sia una chiara evidenza scientifica, vari studi suggeriscono che la promozione della salute nel luogo di lavoro possa avere un impatto positivo sui
lavoratori, sia sulle malattie comuni che su quelle professionali (6, 7). Negli stati dell’UE le malattie connesse all’attività lavorativa comportano un
costo del 2-4% del prodotto interno lordo, dovuto a: perdita di produzione;
pagamenti di indennizzo e di assicurazioni; costi per l’assunzione e la formazione di nuovo personale. Conseguentemente l’adozione di misure volte al mantenimento della salute psico-fisica può determinare: riduzione
delle assenze dal lavoro; riduzione dei costi sociali; miglioramento dell’umore e della performance lavorativa; miglioramento dell’immagine dell’azienda. Un esempio di promozione della salute è quello di raffinerie Finlandesi, dove dopo tre anni dall’adozione di misure specifiche si è constatato un miglioramento della performance fisica, una riduzione dei livelli
sierici di colesterolo, della pressione arteriosa e dell’abitudine tabagica (8).
Ruolo del medico del lavoro
La continuità del rapporto tra azienda e medico del lavoro, che si articola attraverso visite mediche periodiche, corsi di informazione e formazione, visite sugli ambienti di lavoro, legittima la possibilità di un suo ruolo fondamentale nella promozione della salute in fabbrica. Il medico del lavoro potrebbe, identificate le esigenze sanitarie della singola azienda, in
prima istanza approntare uno specifico programma, quindi svolgere un’attività di coordinamento centrale tra le parti coinvolte nella sua attuazione.
Linee guida sulla programmazione della promozione della salute
1.
Individuare, all’interno dell’azienda, le figure di riferimento (es. RLS,
RSPP) con cui impostare l’attività.
L’attività di medico del lavoro lo pone in una posizione esclusiva, consentendogli la periodica valutazione tanto del singolo lavoratore quanto
della realtà epidemiologica aziendale. Si può quindi ipotizzare un suo ruolo chiave nello sviluppo di programmi di promozione della salute nelle
aziende, anche attraverso la collaborazione con altre figure sanitarie. Tale
strategia operativa potrebbe consentire di ottimizzare la performance lavorativa, con conseguente riduzione nono solo dei costi di tipo economico,
ma soprattutto di quelli, difficilmente quantizzabili, di tipo “umano”.
Bibliografia
1) World Health Organization. Ottawa charter for health promotion. Proceedings of the first international conference on health promotion. Ottawa, November 17-21, 1986.
2) World Health Organization. Health promotion for working populations. Tech Rep Ser 765. Geneve, Switzerland: WHO, 1988.
3) Lusk SL. Impacting health through the worksite. Nurs Clin North Am
2002; 37: 247-56.
4) Christenson GM, Kiefhaber A. Highlights from the the National Survey of Worksite Health Promotion Activities. Health Values 1988; 12:
29-33.
5) Penkak M. Workplace health promotion programs. An overview. Nurs
Clin North Am 1991; 26: 233-40.
6) Proper KI, Staal BJ. Effectiveness of physical activity programs at
worksites with respect to work-related outcomes. Scand J Work Environ Health 2002; 28: 75-84.
7) Fenga C, Barbaro M, Galtieri G. Riflessioni su una variabile nel lavoro d’ufficio: le abitudini alimentari nella pausa pasto. Rischio non
misurabile nel percorso di prevenzione in Medicina del Lavoro. In:
Atti 60° Congresso Nazionale SIMLII, Palermo 24 Settembre 1997.
8) Talvi AI, Jarvisalo JO, Knuts LR. Health promotion program for oil
refinery employees: changes of health promotion needs observed at
three years. Occup Med 1999; 49: 93-10I.
POSTER
408
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
M. Valentino1, D. Duscio2, V. Rapisarda1, L. Proietti2, G. Solina1, S. Giarrusso2, T. Venturi1
Esposizione a CO nell’abitacolo delle autovetture
1
2
Clinica di Medicina del Lavoro Università Politecnica delle Marche-Ancona
Clinica di Medicina del Lavoro Università degli Studi di Catania
Introduzione
Materiali e metodi
Negli ultimi decenni in tutto il mondo si è verificato un notevole aumento dell’inquinamento atmosferico prodotto dal traffico veicolare (1)
che può influenzare le condizioni di salute non solo dei residenti, ma di
tutti coloro che lavorano in ambiente outdoor (2).
Peraltro la misurazione del tasso di CO, oggi facilmente ottenibile
mediante misure in automatico con sensori di tipo elettrochimico (3), risulta ben correlata con l’intensità del traffico (4)
L’entità dell’inquinamento atmosferico dipende da numerosi fattori
quali ad esempio il numero degli autoveicoli circolanti e le condizioni climatiche quali vento, temperatura, umidità (5).
Nel presente studio abbiamo valutato l’esposizione a monossido di
carbonio (CO) in un gruppo di agenti di commercio che fanno uso dell’automobile per svolgere il proprio lavoro.
Lo studio è stato condotto nel periodo Aprile-Maggio 2003 nelle città
di Ancona e Catania.
In ambedue le città il tasso di motorizzazione si aggira intorno alle
550 auto/1000 abitanti con una densità media di popolazione di 808 abitanti/Km2 ad Ancona (www.provincia.ancona.it) e di 1888 abitanti/Km2
a Catania (www.provincia.ct.it).
Sono stati selezionati due gruppi di 5 agenti di commercio operanti
rispettivamente ad Ancona e Catania. I prodotti commercializzati erano alimenti (n=3) farmaci (n=6) e gioielli (n=1). Le ore di lavoro medie erano di 7,5±0,6 range (7.30-16.30), per quelli operanti ad Ancona
e 7,8±0,5 range (7.00-17.30) per quelli operanti a Catania. L’età media
era rispettivamente di 36,4±4,2 e 38,1±2,4. Nessuno aveva abitudine
tabagica.
Tabella I. Risultati di ciascun rilevamento effettuato ad Ancona e provincia e Catania e provincia
N.
CO (ppm)
range
T
(°C)
Umidità
Direzione/velocità vento
Durata
Ora iniz.
Percorso
Km
Elementi
di rilievo
ANCONA
1
3,56±2,07
(0-21)
25
73%
NNO/10,4 mph
4,5 ore
9.00
urbano
60 Km
gallerie (n=4), semafori (n=27),
ingorghi (n=1)
2
2,91 ±1,08
(0-9)
26
69%
NNO/12 mph
6,5 ore
8.30
misto
78 Km
gallerie (n=3), semafori (n=18),
ingorghi (n=1)
3
4,31 ±2,40
(0-13)
29
74%
Variab./9,2 mph
5 ore
9.00
urbano
58 Km
gallerie (n=7), semafori (n=31),
ingorghi (n=3)
4
2,35 ±0,97
(0-6)
24
65%
SUD/4,6 mph
6 ore
7.30
extraurb.
167 Km
gallerie (n=22), semafori (n=8),
ingorghi (n=0)
5
2,06 ±1,13
(0-8)
24
69%
SUD/9,2 mph
5,5 ore
7.30
extraurb.
218 Km
gallerie (n=20), semafori (n=12),
ingorghi (n=0)
27
63%
NNO/7,4 mph
6,5 ore
urbano
gallerie (n=2), semafori (n=47),
8.30
42 Km
ingorghi (n=17)
CATANIA
6
6,16±4,97
(0-22)
7
7,01±4,10
(0-23)
28
61%
NEST/9,1 mph
6 ore
9.00
urbano
38 Km
gallerie (n=2), semafori (n=55),
ingorghi (n=19)
8
8,91±3,49
(0-24)
27
50%
SUD/9,2 mph
5 ore
10.00
urbano
34 Km
gallerie (n=3), semafori (n=51),
ingorghi (n=23)
9
6,27±3,09
(0-23)
26
55%
NNO/8,6 mph
6 ore
8.30
extraurb.
224 Km
gallerie (n=6), semafori (n=18),
ingorghi (n=5)
10
6,73±3,33
(0-21)
28
62%
SUD/7,2 mph
6,5 ore
7.00
misto
138 Km
gallerie (n=5), semafori (n=21),
ingorghi (n=8)
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
A ciascun soggetto è stato somministrato un questionario volto ad indagare i caratteri individuali e del proprio lavoro.
Le autovetture usate erano ad alimentazione diesel con cilindrata 1.9
Turbo; tutte immatricolate entro due anni. In tutte le automobile la ventilazione è stata settata a velocità 2 (intermedia) senza condizionamento
dell’aria.
Sono stati attentamente osservati: tipo di percorso stradale effettuato
(urbano, extraurbano o misto); numero di semafori rossi e gallerie incontrati; numero di ingorghi incontrati; tempo totale di permanenza all’interno dell’abitacolo dell’automobile; caratteristiche atmosferiche quali: velocità e direzione del vento, umidità relativa e temperatura.
Le concentrazioni di CO presenti negli abitacoli delle autovetture sono state misurate con il Multigas Monitor “Vrae” mod. PGM 7840 (Ind.
Recom-Italia). L’apparecchio ha misurato le concentrazioni ambientali di
CO con risoluzione di 1 ppm in un tempo di risposta di 35 secondi per periodi di tempo compresi tra 60 e 90 minuti. Nel tempo di registrazione lo
strumento ha fornito i valori medi con le deviazioni standard, il valore
massimo e quello minimo.
Risultati e discussione
La tabella I riporta i valori medi di ciascuna determinazione effettuata nelle città di Ancona e Catania nelle loro province e in quelle limitrofe.
I valori di CO riscontrati presentano un range estremamente ampio.
I valori riscontrati a Catania sono generalmente maggiori di quelli riscontrati ad Ancona dove peraltro il numero di ingorghi è risultato inferiore. I valori di picco più elevati sono stati riscontrati in prossimità di
gallerie, semafori rossi ed incroci ad intenso traffico. Inoltre le concentrazioni di CO sembrano dipendere dal numero di autoveicoli e ingorghi
stradali.
POSTER
409
Il percorso urbano, nonostante il minor numero di chilometri percorsi rispetto a quello extraurbano e a quello misto, sembra sia il percorso
che esponga maggiormente il lavoratore al CO specie nella città di Catania, dove si registra un elevata densità di autoveicoli ed di ingorghi.
Un recente studio ha dimostrato una relazione tra inquinamento atmosferico esterno ed inquinamento all’interno dell’abitacolo delle automobili (6).
In conclusione i pochi rilevamenti effettuati indicano che un’esposizione è presente e pertanto bisogna approfondire lo studio per poter capire l’entità espositiva e definire eventuali appropriati procedure preventive.
Bibliografia
1) Watson AY, Bates RR. Air pollution, the automobile and public
health. Washington DC National Academy Press, 1998.
2) Ulvestad B, Lund MB, Bakke B. Gas and dust exposure in underground construction is associated with signs of airway inflammation.
Eur Respir J 2001; 17: 416-21.
3) Valentino M, Rapisarda V. Misura in continuo del CO: potenziale strumento di supporto per la valutazione del rischio d’inquinamento da
traffico nel lavoro outdoor. In Atti: 63° Congresso Nazionale SIMLII,
Sorrento 10 Novembre 2000, Folia Med 2000; 71: 919-23.
4) Soll-Johanning H, Bach E. Lung and bladder cancer among Danish
urban bus drivers and tramway employees: a nested case-control
study. Occup Med 2003; 53: 25-33.
5) Beltratti A. Economia e ambiente, la qualità della vita nei centri urbani. Rosemberg & Sellier, 1995.
6) Flachsbart PG. Models of exposure to carbon monoxide inside a vehicle on a Honolulu highway. J Expo Anal Environ Epidemiol 1999; 9:
245-60.
POSTER
410
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
L. Santarelli1, M. Bracci1, F. Monaco2, E. Mocchegiani3
Valutazione di parametri immunitari in soggetti professionalmente
esposti a campi elettromagnetici: risultati preliminari
1
2
3
Clinica di Medicina del Lavoro Università Politecnica delle Marche, Ancona
Unità Sanitaria Territoriale – Direzione Sanità RFI, Ancona
Centro di Immunologia Dipartimento Ricerche “N. Masera” I.N.R.C.A., Ancona
Tabella
Introduzione
I dati disponibili sugli effetti dell’esposizione a campi elettromagnetici a
varie frequenze ed intensità sul sistema immunitario sono discordanti ed incompleti (1, 4). Nell’età pediatrica l’esposizione a campi elettromagnetici può
indurre lo sviluppo di leucemie (5, 7) per la cui insorgenza potrebbe essere implicata la parziale inefficienza del sistema immunitario ancora immaturo. L’inefficienza immunitaria presente nelle fasi precoci della vita sembra ripresentarsi, seppur con modalità diverse, nell’anziano. È noto infatti che il sistema
immunitario con l’avanzare dell’età, subisce modificazioni tali da aumentare
il rischio di contrarre malattie, in particolare di quelle neoplastiche. Si può ipotizzare che le esposizioni a campi elettromagnetici protratte per tutto l’arco
della vita lavorativa, producano effetti sul sistema immunitario in associazione con le variazioni tipiche all’invecchiamento. Gli effetti di questo potrebbero essere presenti in maniera silente in fasi antecedenti la malattia clinicamente manifesta. Scopo dello studio è stato quello di valutare, su lavoratori occupazionalmente esposti a campi elettromagnetici generati da ripetitori operanti
a varie frequenze, alcuni parametri che forniscono una indicazione sullo stato
delle difese immunitarie e perciò lo stato di suscettibilità relativa alle malattie
neoplastiche. Sono stati valutati i livelli plasmatici di timulina., ormone che
agisce sulla differenziazione, maturazione ed efficienza periferica delle popolazioni linfocitarie T (3) e la cui forma attiva, zinco-legata, decresce nell’invecchiamento per minore biodisponibilità dello zinco plasmatico. Sono state
inoltre esaminate l’espressione genica su linfociti periferici della sintetasi dell’ossido nitrico nell’isoforma inducibile (iNOS) e quella delle metallotionine
(MT) nell’isoforma II-A che costituiscono dei potenti antagonisti biologici
della timulina per il sequestro dello zinco plasmatico disponibile (2).
Materiali e metodi
Abbiamo reclutato 11 lavoratori addetti alla manutenzione di stazioni radio-base radiotelevisive (VHF, UHF) e per telefonia mobile che emettono onde elettromagnetiche variabili entro un range di banda che va da 87,5 MHz a
1,8 GHz. 11 impiegati amministrativi sono stati utilizzati come gruppo di
controllo. Parte del lavoro svolto dagli esposti, complessivamente di poche
ore mensili, avveniva in postazioni, nelle quali i valori di intensità si attestano intorno a 20V/m e la potenza media irradiata intorno a 100-300 KW. Dopo prelievo di sangue eparinato, la timulina plasmatica è stata determinata
con un saggio biologico basato sulla abilità dell’ormone timico di restaurare
l’effetto della azatioprina nella formazione di rosette tra globuli rossi di montone e splenociti di topi giovani timectomizzati secondo la metodica precedentemente descritta (6). La zinchemia è stata valutata in spettrofotometria di
assorbimento atomico. I livelli linfocitari di iNOS-mRNA e di MT-IIAmRNA sono stati valutati in RT-PCR mediante l’uso di specifici primers.
Risultati
Nel gruppo degli esposti si sono riscontrati bassi livelli di zinchemia rispetto ai controlli (tabella). Non sono state riscontrate differenze nella produzione di timulina attiva e totale fra i due gruppi. Differenze significative
fra i due gruppi sono state riscontrate nell’espressione genica dell’enzima
iNOS e in quella della MT-IIA (tabella).
Discussione
Le concentrazioni di timulina riscontrate, sono simili nel gruppo degli
esposti e nei controlli sia nella forma attiva che in quella totale. Si può ipotizzare che nel primo gruppo, lo zinco plasmatico, seppur basso rispetto ai
Esposti
Controlli
Età media 45,7±5,8 Età media 43,2±3,9
Timulina Attiva (log-2)
3,8±0,6
4,6±0,7
Timulina Totale (log-2)
4,6±0,7
5,5±0,5
Zinchemia (µg/dL)
53±15*
81±7
Espressione MT-IIA
(MT-IIA/β-act)
0,70±0,28*
1,98±0,81
Espressione iNOS
(iNOS/β-act)
0,33±0,38*
2,65±0,64
* p<0,001 test di Mann-Whitney paragonato ai controlli
controlli, sia sufficiente e disponibile per l’attivazione della timulina prodotta nel timo normalmente funzionante. La funzionalità del sistema immunologico dipendente dalle cellule T dall’attività della timulina, sembrerebbe
perciò salvaguardata. La mancanza di una differenza significativa dell’ormone timico attivo tra i due gruppi, in presenza di bassi livelli di zinchemia,
può essere spiegata con il decremento, rispetto alle condizioni di normalità,
della competizione per la captazione dello zinco da parte dell’enzima iNOS
e delle metallotioneine II-A, le cui espressioni geniche sono significativamente più basse negli esposti rispetto ai controlli. È probabile che nei soggetti esposti ai campi elettromagnetici da noi studiati si attuino una serie di
meccanismi di compenso, che potrebbero coinvolgere l’equilibrio esistente
tra i diversi accettori pasmatici di zinco. Tali meccanismi potrebbero essere
passibili di esaurimento a lungo termine con conseguente slatentizzazione di
situazioni di instabilità della sorveglianza immunologica. Lo studio dei
complessi meccanismi che coinvolgono le molecole zinco dipendenti del sistema immunitario nei soggetti esposti a campi elettromagnetici merita un
ulteriore approfondimento per la comprensione dei delicati equilibri fra le
varie funzioni immunologiche in rapporto alla stabilità del pool zincale.
Bibliografia
1) Bergier L, Lisiewicz J, Moszczynski P, Rucinska M, Sasiadek. Effect of
electromagnetic radiation on T-lymphocyte subpopulations and immunoglobulin level in human blood serum after occupational exposure. U
Med Pr 1990; 41 (4): 211-5.
2) Cui L, Blanchard RK, Cousins RJ. The permissive effect of zinc deficiency on uroguanylin and inducible nitric oxide synthase gene upregulation in rat intestine induced by interleukin 1alpha is rapidly reversed by
zinc repletion. J Nutr 2003 Jan; 133 (1): 51-6.
3) Dardenne M, Savino W. Control of thymus physiology by peptidic hormones and neuropeptides. Immunol Today 1994 Nov; 15 (11): 518-23. Review.
4) Dasdag S, Sert C, Akdag Z, Batun S. Effects of extremely low frequency
electromagnetic fields on hematologic and immunologic parameters in
welders. Arch Med Res 2002 Jan-Feb; 33 (1): 29-32.
5) Gurney JG, van Wijngaarden E. Extremely low frequency electromagnetic fields (EMF) and brain cancer in adults and children: review and
comment. Neuro-oncol 1999 Jul; 1 (3): 212-20.
6) Mocchegiani E, Fabris N. Age-related thymus involution: zinc reverses
in vitro the thymulin secretion defect. Int J Immunopharmacol 1995; 17
(9): 745-9.
7) Vastag B. Electromagnetic fields in homes carry leukaemia risk for children, WHO agency says. Bull World Health Organ 2001; 79 (9): 905.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
411
M. Bevilacqua1, I. Romagnoli2, L. Bolognini3, M. Governa3, G. Tagliavento4
Proposta di validazione delle tecniche di classificazione ad albero
applicate all’analisi di casistiche di infortuni sul lavoro
1
2
3
4
DIEM (sede di Forlì) - Università di Bologna, Forlì
Dipartimento di Energetica - Università Politecnica delle Marche, Ancona
Clinica di Medicina del Lavoro - Università Politecnica delle Marche, Ancona
Servizio Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro. Azienda Sanitaria Locale n° 7, Ancona
Lo studio ha analizzato156 casi di infortunio sul lavoro (ad esclusione degli infortuni in itinere) accaduti nel triennio 2000-2002 a lavoratori
dipendenti registrati dalla ASL 7 di Ancona, utilizzando a tal fine una tecnica di classificazione ad albero, al fine di verificarne le potenzialità applicative.
Lo strumento software utilizzato, AnswerTree della SPSS, è un sistema di apprendimento computerizzato mediante il quale è possibile esaminare un insieme di dati ed identificare importanti raggruppamenti di
casi, creando sistemi di classificazione visualizzati in alberi decisionali.
AnswerTree include quattro fra i più noti algoritmi utilizzati in campo scientifico ed economico per la realizzazione di classificazioni o segmentazioni: CHAID (Chi-Squared Automatic Interaction Detection);
CHAID esaustivo; C&RT o CART (Classification And Regression
Trees); QUEST (Quick, Unbiased, Efficent Statistical Tree).
L’utilizzo del software rende possibile creare automaticamente un albero di classificazione e modificarne la struttura per perfezionarlo in base alla propria conoscenza dei dati. Il software, infatti, permette di eseguire automaticamente ed in tempo reale l’analisi, di conseguenza è possibile disporre di risultati utilizzabili e comprensibili in minor tempo di
quanto avviene con i metodi statistici esplorativi tradizionali.
I modelli generati con l’algoritmo C&RT sui dati degli infortuni raccolti nel periodo di osservazione, relativamente ai predittori di interesse,
presentano un’accuratezza di classificazione superiore al 70%, testimoniando la corretta scelta delle variabili obiettivo più significative e l’attendibilità delle conclusioni; particolarmente utile si è rivelato l’uso dell'algoritmo di potatura dell’albero che permette di ottenere alberi più
compatti (maggiore facilità di lettura ed interpretazione dei risultati) e generalizzabili con una perdita di informazioni minima.
Dall’esame degli alberi di classificazione ottenuti è possibile innanzitutto individuare gli elementi di maggior importanza in relazione alla
variabile obiettivo di volta in volta considerata; in questo modo vengono
individuati i fattori che devono essere monitorati e sui quali si deve intervenire prontamente per diminuire il rischio di infortunio.
Dall’analisi dei risultati si sono potuti individuare i settori più a rischio
(“trasporti e servizi”, “costruzioni edili/navali”, “installazione di impianti”)
e le mansioni più pericolose, (“addetto macchina”, “addetto manutenzione
& controllo”, “addetto movimentazione/carico/scarico”, “installatore impianti”, “muratore/carpentiere” e “autista”) per i quali si riscontrano le lesioni più gravi, spesso caratterizzate da postumi permanenti.
Nei settori industriali “macchine” e “attrezzature” le variabili che
maggiormente caratterizzano gli infortuni sono risultate il mancato ri-
spetto delle normative vigenti sull’uso e sulla manutenzione degli impianti, associato alla carente formazione e informazione dei lavoratori:
per molti infortuni, infatti, non risulta che sia stata effettuata la formazione, momento fondamentale per sensibilizzare e responsabilizzare il lavoratore su tutti quei mezzi atti a garantirgli situazioni di lavoro più sicure.
Nel ramo delle costruzioni è risultato rilevante il contributo del mancato utilizzo dei DPI, a testimonianza del fatto che in tale settore la cultura della sicurezza è meno diffusa e che quindi deve essere migliorata e
resa più efficiente sia in termini di prevenzione che di controllo.
La formazione e l’informazione dei lavoratori assumono un ruolo
fondamentale anche in quei tipi di infortuni attribuiti a fattori accidentali; spesso, infatti, quelli che vengono identificati come “momenti di distrazione” o “movimenti scoordinati”, sono in realtà carenze di preparazione dei lavoratori che non sono in grado di valutare correttamente il
grado di pericolosità dell’attività svolta.
Bibliografia
Guida per l’utente di Answer TreeTM 2.0 SPSS Inc. - Irland, 1988. url:
http: //www.spss.it.
Biggs D, de Ville B, Suen E. A method of choosing multiway partitions
for classification and decision trees. Journal of Applied Statistics
19991; 18, 465-467.
Loh WY, Shih YS. Split selection methods for Classification Trees. Statistica Sinica 1997; 7, 815-840.
Breiman L, Friedman J, Olshen R, Stone CJ. Classification and Regression Trees. Wadsworth International Group - Belmont, CA, 1984.
Mainly BFJ. Multivariate Statistical methods A PRIMER. Chapman and
Hall - London, 1986.
Lim TS, Shih YS. A Comparison of Prediction Accuracy, Complexity,
and Training Time of Thirty-three Old and New Classification Algorithms Machine Learning 2000; 40, 203-229.
Ramsauer F. Journal of Occupational Rehabilitation Vol. 11, No 4, December 2001.
Togliatti G. Fondamenti di Statistica. CLUP - Milano, quarta ristampa
1983.
Loh WY, Vanichsetakul N. Tree-Structured Classification via Generalized Discriminant Analysis (with discussion). Journal of the American
Statistical Association 1988; 83, 715-728.
Siti internet consultati: www.inail.it
POSTER
412
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
G.F. Desogus
Esposizione occupazionale ad anestetici volatili e neurotossicità
Servizio di qualità - Azienda USL 7 Carbonia
Introduzione
Alcuni studi dimostrano un potenziale rischio di sviluppo di neuropatologie non degenerative per esposizione professionale ad anestetici
volatili. Anche se il numero dei casi dal punto di vista epidemiologico è
basso e di profilo statistico incerto, sono correlabili all’esposizione professionale ad anestetici disturbi neurocomportamentali, della personalità,
del sonno e delle funzioni psicomotorie e cognitive con disturbi della memoria, dell’efficienza intellettiva e della coordinazione, nonché problemi
psichici ed organici. Scopo del lavoro è quello di valutare come l’impatto ambientale ad anestetici volatili possa rappresentare un fattore di rischio neurotossico in operatori sanitari esposti e quale è il livello di insorgenza di effetti negativi per esposizione prolungata a basse dosi.
Tossicocinetica
L’esposizione professionale a sevoflurane, anestetico utilizzato in
anestesia, avviene in particolare per via respiratoria. Lo specifico mutamento molecolare per degradazione ad opera di assorbitori di CO2 nei circuiti di anestesia, comporta la formazione di sottoprodotti tossici, tra cui
il Composto A (LC50 400 ppm), pur presentando il sevoflurane un coefficiente di ripartizione sangue/gas relativamente basso (0,69), con conseguente bassa quota che solubilizza nel sangue e riduzione della componente liposolubile. Sono presenti inoltre livelli inferiori di altri metaboliti come l’esafluoro-isopropanolo (HFIP) ed il fluoro.
Materiali e metodi
La metodologia si basa sull’applicazione di test basati sui parametri
tossicologici a potenziale effetto neurotossico, in funzione della durata
dell’esposizione professionale e della specificità del sevoflurane. Ogni lavoratore risponde ad un questionario di raccolta dati, al fine di acquisire
gli elementi più significativi. Il campione in esame è costituito da 22 anestesisti di cui 17 maschi e 5 femmine, con età media di 43 anni (DS ± 5)
ed intervallo di confidenza IC uguale a 95%. L’anzianità lavorativa è di
12 anni (DS ± 5) con IC di 95%. I fattori di confondimento (età, anzianità lavorativa, fumo, alcool, abitudini di vita e lavorative, patologie a carico del sistema nervoso) risultano omogeneamente distribuiti ed i risultati sono espressi in media percentuale, con soglia di significatività statistica di p < 0.05.
Tabella I. Parametri di significatività
Correlazioni
Significatività
Anamnesi lavorativa (positiva vs negativa)
p < 0.001
Livello di esposizione (medio vs assente)
p < 0.001
Manifestazioni cliniche (presenti vs assenti)
p < 0.001
Tabella II. Relazioni tra disturbi neurocomportamentali
e caratteristiche generali ed occupazionali
Correlazioni
Significatività
Parametri tossicologici
p < 0.001
Esposizione luogo di lavoro
p < 0.001
Sintomi-anzianità lavorativa
p < 0.001
segnalati effetti cardiaci avversi fra cui la produzione di aritmie in 6 anestesisti (27%).
Considerazioni finali
Le sostanze volatili alogenate utilizzate in anestesia possono presentare anche proprietà e potenziali neurotossici differenti che, in tutti i casi,
legano diversi parametri (caratteristiche chimico-fisiche dell’anestetico,
tipo di esposizione ambientale, tecniche anestesiologiche e tecnologie),
ma in particolare una condizione di sensibilità, in termini di affinità, del
sistema nervoso agli agenti alogenati. Valutare il potenziale effetto neurotossico per esposizione professionale ad anestetici volatili risulta determinante per definire un fattore di rischio (trascurabile, accettabile o non
moderato) e la sua probabilità d’insorgenza. Il contributo scientifico, pur
presentando una serie di limiti legati alla complessità dell’esposizione
ambientale, ai diversi vettori e bersagli e all’incertezza scientifica legata
alla variabilità biologica, può contribuire alla definizione di strumenti efficaci di lavoro per meglio responsabilizzare i produttori e gli utilizzatori di anestetici per i diversi aspetti neurotossici legati alla loro manipolazione e per limitare la loro diffusione ambientale con una riduzioni delle
fonti di inquinamento.
Bibliografia
Risultati e discussione
Nelle tabelle I e II sono specificati i parametri di significatività tra
esposti e non (popolazione sanitaria di controllo non sottoposta a rischio
professionale di esposizione ad anestetici volatili), con le specifiche correlazioni tra sintomatologie specifiche di tipo neurotossico e caratteristiche generali ed occupazionali.
Dall’esame dei risultati si evidenziano significativi dati tossicologici
legati a cefalea (55%), disturbi del sonno (77,2%), della memoria (9%),
dell’attenzione (9%) e psichici (4,5%), mentre non sono rilevati segni
neurologici per compromissione intellettiva e psicomotoria. Inoltre sono
1) Steen PA, Michenfelder JD. Neurotoxicity of anasthetics. Anesthesiology 50: 437-453, 1979.
2) Forster RE. Diffusion factors in gases and liquids. Cap. 2 in: Uptake
and distribution of anesthetic agents. EM Papper and JR Kitz Editors.
Mc Kraw-Hill, N.Y., 1963.
3) Lerman J, Gregory G. Effects of anaesthesia and surgery on the solubility of volatile anesthetics in blood. Can J Anesth 34, 14, 1987.
4) Lowe HJ, Hagler K. Determination of volatile organic anaesthetics in
blood, gases, tissue and lipids: partion coefficients. In gaschromatography in biology and medicine. R. Poster, Ed. Churchill, London 1969.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
413
G.F. Desogus
EBM ed epidemiologia occupazionale
Servizio di qualità - Azienda USL 7 Carbonia
Nell’ambito di uno sviluppo dei processi di apprendimento continuo
basati sull’attuazione di piani efficaci per la tutela della salute dei lavoratori, prende forma la promozione di modelli progettuali, di tipo strategico-funzionale, in grado di valutare l’efficacia ed obiettività di studi epidemiologici in base alle reali necessità, alla loro validità ed applicabilità
clinica.
Il continuo processo tecnologico e scientifico in campo lavorativo
impone oggi una selettiva promozione di attività di verifica e controllo
dei risultati, anche in termini di fattibilità economico-gestionale, individuando mezzi e misure per pianificare e valutare obiettivi, attese, costi,
tempi e relativi vantaggi.
La necessità di acquisire corrette informazioni, la predisposizione di
programmi di formazione personalizzati, la qualità scientifica degli studi
epidemiologici sono gli elementi di maggior interesse su cui la EBM agisce a diversi livelli. Così l’ipotesi di redigire piani operativi nelle diverse
aree di competenza specialistica si può basare sullo sviluppo di processi
di simulazione operativa, sperimentando i diversi campi di applicazione
ed i loro effetti nell’ambito delle attività di studio e di ricerca.
Tale rapporto è in grado di trasportare proiezioni tecnico-scientifiche
in una dimensione integrata dei diversi nodi specialistici, individuando,
quantificando e controllando volumi di ricerca applicata con i loro rispettivi valori ed obiettivi. La metodologia operativa si basa sull’individuazione strategica di EBM fondata su rigorosi standard collocati nel loro esatto contesto epidemiologico. L’attuazione di revisioni sistematiche
ed indipendenti sui diversi trattamenti in ambito occupazionale è un elemento fondamentale per offrire alti livelli di obiettività in merito all’efficacia delle attività di prevenzione sanitaria.
Inoltre il processo fonda il suo sviluppo ed applicazione sulla capacità di eseguire costantemente un’analisi partecipata della qualità degli
studi epidemiologici, con il conseguente controllo budgetario, partendo
dalla necessità di dover valutare adeguatamente i reali obiettivi prefissati dal punto di vista epidemiologico, e possa correttamente utilizzare strumenti dimensionali riferibili al bisogno di conoscenze e capacità professionali, all’identificazione di scostamenti rilevabili tra le competenze specialistiche e le risorse disponibili, all’analisi della prestazione, per una
conforme determinazione di attività correlate alle risorse disponibili.
L’analisi di tali profili pone l’obiettivo di proiettare una pianificazione sanitario-epidemiologica di prevenzione occupazionale, specificando
tipologie e modalità operative in parte centrate sull’analisi di protocolli
sperimentali e di competenze professionali. La pianificazione strategica
di tali attività può essere rappresentata da macrofasi, ciascuna caratterizzata dall’individuazione di specifiche funzioni (analisi e garanzia, implementazione, valutazione della qualità dello studio epidemiologico) e dalla descrizione delle attività correlate (analisi delle esigenze e delle competenze, obiettivi e programmazione degli studi, monitoraggio, analisi dei
risultati e controllo budgetario).
La specifica definizione ed applicazione delle macrofasi facilita lo
sviluppo di programmi strategici, in grado di poter definire obiettivi generali d’intervento preventivo nei luoghi di lavoro, fornendo adeguati dati ed informazioni, in una espressione collettiva e complessiva di economia operativa e nella rappresentazione di idonee articolazioni budgetarie
L’interfunzionalità tra le diverse funzioni modulabili (motivazione,
obiettivi, prevalenza ed incidenza di malattie professionali, crescita culturale ed organizzativa, pianificazione e controllo delle attività epidemiologiche) è in grado di garantire programmi d’azione efficaci ed un’applicazione corretta di budget funzionali, nella specifica individuazione e gestione dinamica della rappresentazione economica.
I risultati attesi, sulla base di specifici aspetti individuabili come micro-attività, permetteranno la verifica della rispondenza reale all’obiettivo scientifico e alla assegnazione economica e ciò può contribuire alla
determinazione progressiva di precise competenze scientifiche in campo
epidemiologico.
Bibliografia
1) Evidence-based medicine. Working Group EBM: A new approch to
teacking the practice of medicine. JAMA 268: 2450-5, 1992.
2) Davidoff F, Haynes B, Smith R. EBM. BMJ 310, 1085-8, 1995.
3) Hersch W. EBM-ACP. J Club; Ann Intern Med Vol. 125, suppl 1,
1996.
4) Hicks N. EBM care Bandolier; 39-9, 1997.
POSTER
414
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
V. Anzelmo1, C. Marsico2, P. Bianco3, D. Staiti1
Analisi delle cause di fonopatie nei professionisti della voce osservate
in un servizio di fonatria ospedaliero. Nota I. Insegnanti
1
2
3
Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica del S. Cuore - Roma
Servizio Foniatria A.C.O. San Filippo Neri - Roma
Servizio Sanitario RAI Radiotelevisione Italiana - Roma
Introduzione
È noto che nella società moderna un terzo della forza lavoro è impegnato in professioni nelle quali la voce rappresenta lo strumento principale dell’attività. Le alterazioni vocali sono comuni nella popolazione generale, ma sono più frequenti nelle attività lavorative in cui il carico vocale è alto. Infatti alcune professioni comportano oltre ad un uso prolungato della voce, altri fattori di rischio diversi dal sovraccarico vocale, come il parlare a lunghe distanze, o in stanze con acustica non idonea, oppure l’assenza di tecnologie che amplificano adeguatamente la voce, la
scarsa umidità dell’ambiente, il ridotto tempo di recupero vocale. I professionisti della voce comprendono non solo attori e cantanti, ma anche
insegnanti, religiosi, medici, avvocati, operatori sociali, personale addetto alle vendite e categorie di lavoratori di professioni emergenti quali addetti ai call-center, addetti alle televendite, istruttori di aerobica, addetti
al front-office.
Gli insegnanti, in particolare della scuola materna ed elementare,
rappresentano una categoria professionale in cui le fonopatie, disfunzionali ed organiche, hanno un’incidenza variabile dal 30% al 70% a seconda degli studi, a causa dell’ uso eccessivo della voce, dovendo essi a parlare a lungo e con forte intensità.Nonostante l’uso eccessivo della voce
costituisca la causa determinante di una fonopatia negli insegnanti, vanno considerate altre cause predisponenti come il sulcus cordalis, la “ naturale” facile stancabilità vocale anche dopo un emissione fonatoria non
eccessiva; un deficit uditivo anche modesto o una errata coordinazione
pneumo-fonatoria. Oltre a questi fattori costituzionali sono considerati
fattori favorenti l’instaurarsi della disfonia, il fumo di sigaretta, il consumo di alcool, il reflusso gastroesofageo, ed in particolare le cause psicologiche determinate da difficoltà esistenti nell’ambiente di lavoro, e nel
sesso femminile alcune modificazione endocrine (tireopatie, turbe mestruali, ecc.).
Le prime alterazioni vocali negli insegnanti sono le disfonie disfunzionali di tipo ipercinetico o ipocinetico in rapporto alla prevalenza di
ipocinesia o ipercinesia della muscolatura laringea.
Materiali e metodi
Nella prospettiva multidisciplinare di uno studio finalizzato alla prevenzione delle alterazioni vocali in soggetti che utilizzano professionalmente la voce, sono stati coinvolti lo specialista otorinolaringoiatra, il
medico del lavoro e il medico di base. Sono stati revisionati 1257 casi di
disfonia negli insegnanti giunti all’osservazione presso il Servizio di Foniatria di un’azienda ospedaliera di Roma, nel periodo 1985-2002. Scopo
preliminare dello studio è stato quello di identificare le più frequenti patologie funzionali ed organiche responsabili della disfonia in questa categoria professionale.
Risultati
La popolazione esaminata di 1257 pazienti è risultata composta da
1138 donne e 119 uomini, con età compresa tra i 27 ed i 56 anni.
Nella tabella I sono riportate le eziologie delle disfonie diagnosticate e le relative frequenze. La causa più frequente di disfonia negli insegnanti è quella di tipo funzionale (53,99%) con una prevalenza della disodia funzionale ipercinetica (32,08%).Tra le cause organiche (46,01%)
la più frequente è rappresentata dai i noduli laringei (18,73) seguita dai
polipi laringei (8,74%).
Tabella I. Eziologia delle disfonie diagnosticate
e relative frequenze
Eziologia
N. Casi
%
Funzionale ipercinetica
554
44,07%
Funzionale ipocinetica
151
12,01%
Noduli laringei
327
26,01%
Polipi laringei
129
10,26%
Edemi fusiformi
49
3,89%
Edema di Reincke
37
2,94%
Monocordite
3
0,23%
Cisti intracordali
3
0,23%
Sulcus glottidis
2
0,18%
Ulcera da contatto
2
0,18%
Conclusioni
I dati rilevati dimostrano come le alterazioni funzionali sono più frequenti
di quelle organiche. Nella disfonia ipocinetica la voce risulta in genere spostata verso i gravi, di intensità diminuita, accompagnata a volte da soffio con
timbro più o meno rauco. La laringoscopia evidenzia un deficit di contrazione più o meno accentuato con un mancato affrontamento cordale nel terzo posteriore o in tutta l’estensione cordale. Nella forma ipercinetica, che spesso
sussegue alla forma precedente ma può anche presentarsi primitivamente, la
voce è aspra, sforzata, pressata, con attacco duro e timbro rauco. Un tipo di disfonia di tipo ipercinetico si ha nella voce di false corde, che si riscontra soprattutto nei professori di educazione fisica, in cui si osserva una marcata congestione delle mucose laringee ed una ipercontrazione delle false corde.Una
fonopatia di non frequente osservazione, ma che consegue ad un eccessivo ed
errato uso vocale è l’ulcera di contatto ovvero una lesione ulcerativa della mucosa cordale (ricoperta spesso da granulazione) in prossimità dell’aritenoide,
riscontrabile talvolta negli insegnanti di educazione fisica.
Spesso alle disfonie disfunzionali ipercinetiche ed ipocinetiche segue
la comparse delle disfonie su base organica caratterizzate dalla presenza
di lesioni organiche dell’organo fonatorio.
Le disfonie organiche più frequentemente osservabile negli insegnanti
sono provocate dai noduli laringei, dai polipi laringei, dagli ispessimenti fusiformi, dall’edema di Reincke e dalla monocordite vasomotoria Poiché ricorrenti episodi di disfonie o una disfonia cronica possono limitare signifi-
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
cativamente l’attività lavorativa degli insegnanti, si evince l’opportunità sia
di considerare nel documento di valutazione dei rischi delle scuole i parametri ambientali precedentemente indicati, che possono condizionare il sovraccarico vocale, sia di considerare, per il personale docente delle scuole,
l’uso eccessivo della voce come fattore di rischio per la mansione specifica.
In questa prospettiva sarebbe opportuno coinvolgere non solo il medico del
lavoro per l’eventuale sorveglianza sanitaria, ma intraprendere anche programmi di formazioni adeguati, al fine di prevenire l’insorgenza di disturbi
vocali con lo specialista otorinolaringoiatria ed il terapista del linguaggio.
Questi programmi permettono di riconoscere i segni inizali o di attenzione del potenziale danno vocale e si basano su norme di buona igiene vocale, tra le quali il mantenimento dei livelli di idratazione durante il giorno,
l’evitare gli irritanti atmosferici come i fumi e le polveri, l’astensione dal
fumo di sigaretta ed attenersi ad un regime alimentare equilibrato.
Bibliografia
1) Jonsdottir VI, Boyle BE, Martin PJ, Sigurdardottir G. A comparison
of the occurrence and nature of vocal symptoms in two groups of Icelandic teachers. Logoped Phoniatr Vocol 2002; 27 (3): 98-105.
POSTER
415
2 Mattiske JA, Oates JM, Greenwood KM. Vocal problems among teachers: a review of prevalence, causes, prevention and treatment. J Voice 1998 Dec; 12 (4): 489-99.
3) Rantala L, Vilkman E, Bloigu R. Voice changes during work: subjective complaints and objective measurements for female primary and
secondary schoolteachers. J Voice 2002 Sep; 16 (3): 344-55.
4) Sala E, Airo E, Olkinoura P et al. Vocal loading among day care center teachers. Logoped Phoniatr Vocol 2002; 27 (1): 21-8.
5) Sataloff RT. Professional voice users: the evaluation of voice disorders. Occup Med 2001 Oct-Dec; 16 (4): 633-47.
6) Sodersten M, Granqvist S, Hammarberg B, Szabo A. Vocal behaviour
and vocal loading factors for preschool teachers at work studied with
binaural DAT recordings. J Voice 2002 Sep; 16 (3): 356-71.
7) Verdolini K, Ramig LO. Review: occupational risks for voice problems. Logoped Phoniatr Vocol 2001; 26 (1): 37-46.
8) Vilkman E. Voice problems at work: a challenge for occupational safety and health arrangement. Folia Phoniatr Logop 2000 Jan-Jun; 52
(1-3): 120-5.
9) Yiu EM. Impact and prevenction of voice problems in the teaching
profession: embracing the consumer’s view. J Voice 2002 Jun; 16 (2):
215-28.
POSTER
416
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
C. Marsico1, V. Anzelmo2, P. Bianco3, F. Barone2, S. Marsico4
Carcinoma laringeo e attività lavorativa. Contributo casistico
1
2
3
4
Servizio Foniatria A.C.O. San Filippo Neri - Roma
Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica del S. Cuore - Roma
Servizio Sanitario RAI Radiotelevisione Italiana - Roma
ENPALS - Roma
da questi agenti. I settori lavorativi interessati all’esposizione professionali, pur con le variabili legate alla probabilità di esposizione, alla durata
e ai livelli cumulativi di esposizione, sono tra gli altri: l’edilizia, l’industria metallurgica, le raffinerie e la produzione della gomma, l’industria
tessile, l’industria del cuoio, l’industria chimica, il lavaggio a secco.
Introduzione
I fattori eziologici primari del carcinoma laringeo sono il fumo di sigaretta e l’abuso di alcool, ma possono avere un ruolo, sia pur non ancora
caratterizzato, fattori genetici, dietetici, infiammatori ed occupazionali.
L’esposizione professionale a numerose sostanze xenobiotiche, tra le
quali l’asbesto, le polveri di legno, le polveri di cuoio, gli idrocarburi policiclici aromatici, i vapori di gasolio o benzina, i fumi ed i vapori di bitume e catrame, il nichel, la mostarda azotata, la foormaldeide, le polveri di carbone, di pietra, di cemento e di calcestruzzo, è stata correlata all’insorgenza di tumori del tratto superiore delle vie aereo-digestive. Tuttavia i risultati degli studi non sono di univoca interpretazione sul rischio
Materiali e metodi
Sono stati rivalutati 41 casi di pazienti con carcinoima laringeo, istologicamente confermato, ospedalizzati presso l’Unità Operativa di Otorinolaringoiatria di un ospedale di Roma, nel triennio 1997-99. Nella fase
preliminare dello studio, sono stati rilevati i dati riguardanti l’età, il ses-
Tabella I. Caratteristiche generali della popolazione esaminata e prevalenza di abitudini di vita
N. totale
pazienti
Età media
Maschi
Femmine
Anzianità lavorativa
media (anni)
Fumo (n. medio
sigarette/sie)
Consumo medio alcool
(modico, medio, forte)
41
57,9
38
3
33,05
30
Medio
Tabella II. Attività lavorativa, caratteristiche generali della popolazione esaminata, prevalenza di abitudini di vita
Occupazione
N. pazienti
Età media
Maschi
Femmine
Anzianità lavorativa
media (anni)
Fumo (n. medio
sigarette/die)
Consumo medio alcool
(modico, medio, forte)
Edilizia
9
61,9
9
0
40,6
33,9
Forte
Agricoltore
4
67,8
4
0
50,0
23,8
Forte
Falegname
4
57,0
4
0
32,5
25,0
Medio
Benzinaio
3
55,7
3
0
26,7
21,7
Modico
Manutenzione stradale
3
52,7
3
0
16,7
23,3
Medio
Infermiere
2
59,0
2
0
35,0
40,0
Modico
Cameriere
2
58,5
2
0
30,0
25,0
Forte
Insegnante
2
51,5
0
2
27,5
30,0
Medio
Sartoria
2
51,5
2
0
30,0
32,5
Medio
Ceramista
2
50,5
2
0
25,0
30,0
Medio
Lavoraz.cuoio
1
66,0
1
0
35,0
30,0
Forte
Bancario
1
61,0
1
0
30,0
40,0
Forte
Decoratore
1
57,0
1
0
30,0
30,0
Modico
Lavaggio a secco
1
57,0
0
1
40,0
40,0
Forte
Macelleria
1
57,0
1
0
25,0
20,0
Forte
Trasporti pubblici
1
56,0
1
0
30,0
40,0
Modico
Vetreria
1
50,0
1
0
20,0
40,0
Modico
Calzaturificio
1
47,0
1
0
25,0
40,0
Forte
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
so, l’anamnesi lavorativa, l’anzianità lavorativa, il fumo di sigaretta, il
consumo di alcool. Sono stati individuati il numero delle sigarette/die, il
consumo di alcool quotidiano (modico: fino a 1/2 litro/die; medio: fino ad
1 litro/die; forte: oltre 1 litro/die).
Risultati
Dei 41 pazienti studiati (38 uomini e 3 donne, di età compresa tra i
47 ed i 72 anni), tutti sono risultati fumatori, da un minimo di 15 sigarette/die ad un massimo di 50, con una media di 30 sigarette/die. 11 erano
modici bevitori, 19 forti bevitori di alcool, un solo sogetto era astemio.
Nella tabella I sono sintetizzati i dati riguardanti l’età media, il sesso,
l’anzianità lavorativa media, il numero medio di sigarette/die e il consumo medio di alcool quotidiano. Nella tabella II sono riportati i dati occupazionali. Le attività lavorative nelle quali sono stati riscontrati il più elevato numero di casi sono: il settore edilizio (9/41), la falegnameria (4/41),
il settore agricolo (4/41), rifornimento di carburante (3/41), manutenzione stradale (3/41).
Discussione e conclusioni
Sia pur nella fase preliminare di studio ed in rapporto al periodo di
osservazione e al numero totale di casi, nei soggetti esaminati emerge la
correlazione tra il carcinoma laringeo, fumo di sigaretta e consumo di alcoool. Si rileva anche un rapporto con l’attività lavorativa svolta, la cui
tipologia rientra tra quelle più indagate per l’individuazione di fattori di
rischio occupazionali per il cancro laringeo. In letteratura è riportato che
l'incidenza del carcinoma laringeo potrebbe essere diminuita del 90%,
abolendo il fumo di sigaretta e l’ alcool, pur attribuendo la maggior parte
del rischio al tabacco. Alcuni autori (Boffetta e coll) sostengono che, in
Europa, il 2-8% dei tumori della laringe nei maschi riconoscerebbe un’origine professionale e che eliminando i carcinogeni industriali nei Paesi
del Nord Europa, si potrebbero ridurre del 5% i tumori della laringe.
POSTER
417
Secondo altri autori, eliminando dagli ambienti di lavoro i fattori di
rischio occupazionali si potrebbero ridurre di un terzo i casi di carcinoma
della laringenell'area altamente industrializzata del Nord Italia (Berrino e
Crosignani).
Il contributo casistico, in accordo con i dati della letteratura, evidenzia che il fumo di sigaretta e l’abuso di alcool sono i fattori di rischio principali per l’insorgenza del cancro laringeo. È comunque possibile il concorso di altri fattori di rischio presenti negli ambienti di lavoro, che necessitano tuttavia di ulteriori verifiche ed approfondimenti. Inoltre nei dati della casistica il cancro laringeo risulta una neoplasia dell’età matura,
con prevalenza nel sesso maschile.
Bibliografia
1) Berrino F, Crosignani P. Epidemiology of malignant tumors of the
larynx and lung. Annali dell'Istituto Superiore di Sanità 1992; 28:
107-120.
2) Boffetta P, Dosemeci M, Gridley G et al. Occupational exposure to
diesel engine emissions and risk of cancer in swedish men and women. Cancer Causes Control 2001 May; 12 (4): 365-74.
3) Boffetta P, Gridley G, Gustavsson P, Brennan P, Blair A, Ekstrom AM
et al. Employment as butcher and cancer risk in a record- linkage
study from sweden. Cancer Causes Control 2000 Aug; 11 (7): 627-33.
4) Boffetta P, Kogevinas M. Introduction: Epidemiologic research and
prevention of occupational cancer in Europe.Environmental Health
perspect 1999 may; 107 suppl 2: 229-31.
5) Browne K, Gee JB. Asbestos exposure and laryngeal cancer. Ann
Occcup Hyg 2000 Jun; 44(4): 239- 50.
6) La Forest L, Luce D, Goldberg P, Begin D et al. Laryngeal and Hypopharingeal cancers and occupational exposure to formaldehyde.
Occup Environ Med 2000 nov; 57 (11): 767-73.
7) Settimi L, Comba P, Bosia S, Ciapini C et al. Cancer risk among male farmers: A multi- site case- control study. Int J Occup Med Environ
Health 2001; 14 (4): 339- 347.
POSTER
418
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
F. Papalia1, M.R. Vinci1, V. Faia2, G. Pozzi2, M. Mazzav, F. Vinci1
Mobbing: ipotesi per un iter diagnostico differenziale
1
2
Istituto di Medicina del Lavoro, Facoltà di Medicina e Chirurgia, U.C.S.C., Roma
Istituto di Psicologia e Psichiatria, Facoltà di Medicina e Chirurgia, U.C.S.C., Roma
8.
9.
Introduzione
Non esiste probabilmente in questo momento in Medicina del Lavoro un
argomento che sia più citato del mobbing. Tale enfasi pubblicistico/mediatica
crea aspettative tanto pressanti quanto poi assolutamente mal riposte (soprattutto per quello che riguarda gli aspetti risarcitori), e rischia di fare apparire come immediata una diagnosi di genere che invece necessita (anche per i risvolti
giuridici che in genere la accompagnano) di una grande accuratezza e un approccio assolutamente multidisciplinare (3, 4). In questo contributo, esporremo brevemente l’attuale struttura dell’iter diagnostico che stiamo mettendo a
punto nell’esperienza comune degli Istituti di Medicina del Lavoro e di Psicologia e Psichiatria della Facoltà di Medicina e Chirurgia, U.C.S.C., Roma.
Possibile iter diagnostico differenziale per situazioni mobbizzanti
Un iter diagnostico differenziale per una situazione a carattere mobbizzante può, per la nostra esperienza (3, 4), essere così strutturato:
1. Verifica della presenza di segni di disagio psicologico a possibile genesi
occupazionale (assolutamente non esclusivi per eziologia da mobbing),
come schematizzati nella tabella I (4).
2. Raccolta completa e dettagliata della storia lavorativa.
3. Identificazione e l’esame di tutti i fattori di rischio (generico o specifico)
presenti in luogo di lavoro, o insiti nella mansione lavorativa effettuata.
4. Verifica della presenza di elementi intrinsecamente costrittivi dell’attività lavorativa (che possono generare un fattore di confondimento per la
presenza di situazioni mobbizzanti).
5. Conferma della presenza di fattori dichiaratamente stressogeni dell’attività lavorativa, che spesso identificano situazioni personali o relazionali
favorenti lo sviluppo di situazioni mobbizzanti.
6. Denuncia/rilevazione di subite azioni a carattere mobbizzante. A questo
proposito occorre sottolineare che, nella letteratura scientifica, esiste un
accordo universale nel considerare come mobbizzanti alcune tipologie di
comportamenti raggruppate nel Leymann Inventory of Psichological
Terrorism o LIPT.
7. Individuazione anamnestica (almeno in via presuntiva, e con tutti i limiti della soggettività) di uno o più autori (mobber/mobbers) e di una motivazione.
Tabella I
1. Fenomeni infortunistici e/o rilevazione di comportamenti a rischio
2. Assenteismo
3. Calo delle performance lavorative, disaffezione al lavoro
4. Danneggiamenti di beni aziendali, atti vandalici, aggressioni a terzi
5. Accresciuto o diminuito uso dei servizi sanitari – di medicina
aziendale o del lavoro – offerti
6. Presenza di disturbi psichiatrici:
• Disturbi psicosomatici
• Disturbi somatoformi
• Disturbi d’ansia
• Disturbi dell’umore
• Disturbi da uso di sostanze
• Disturbo dell’adattamento e Disturbo post-traumatico da stress
• Disturbi di tipo schizoideo
• Condotte evitanti ed altre alterazioni della personalità
7. Esplicite dichiarazioni di disagio psicologico
Sovrapponibilità della storia raccolta con la casistica nota in letteratura.
Esclusione della presenza di fattori di sofferenza psicologica a genesi occupazionale, ma non a carattere mobbizzante (tabella II) (4).
Tabella II
1. Stati di sofferenza organica e psicologica correlabili a fattori di stress a origine
lavorativa, ma non attribuibili a molestie sul luogo di lavoro
2. Conseguenze somatiche e psicologiche da subita violenza fisica in luogo ed
occasione di lavoro
3. Conseguenze somatiche e psicologiche di molestie sessuali sul luogo di lavoro
4. Conseguenze somatiche e psicologiche di molestie morali non strutturate (ovvero
effettuate senza l’intento di creare svantaggio ed emarginazione lavorativa)
5. Sindrome del burn-out
10. Raccolta di eventuali elementi oggettivi (p.e. lettere a contenuto minaccioso, offensivo o persecutorio, obiettivazione di comportamenti persecutori quali improprio uso di visite fiscali, storia infortunistica, dequalificazioni e/o demansionamenti, negazioni di diritti acquisiti ecc.).
Seguono poi altri tre punti a carattere più specifico, e per i quali il Medico Competente deve necessariamente affidarsi a colleghi Specialisti in adeguate discipline, riservandosi solo un ruolo consultivo o testimoniale:
11. Consulenza psichiatrica (colloquio clinico, iter testologico, valutazione
globale).
12. Costruzione e verifica del nesso causale.
13. Eventuale quantificazione del danno (nel caso in cui la determinazione
della situazione mobbizzante venga eseguita a fini peritali) (1, 2).
Conclusioni
In clima di grande sovraesposizione mediatica, le possibilità di fraintendimento nel riconoscimento di situazioni mobbizzanti è molto alta. Una corretta
diagnosi di situazione mobbizzante (che è comunque sempre solo presuntiva),
e delle eventuali forme di danno biologico, psicologico, relazionale, esistenziale da essa derivanti, per avere un alto grado di probabilità richiede un approccio multidisciplinare con competenze adeguate. Compito del Medico Competente, qualora sia il primo a raccogliere dati evocativi o esplicita denuncia del
fenomeno, è quello di effettuare un primo screening molto preciso sulla storia
clinica, occupazionale e relazionale che gli viene presentata, per evitare tempestivamente l’induzione presuntiva di false positività, e fornire per contro una
adeguata tutela ai lavoratori probabilmente realmente vittime del fenomeno.
Bibliografia
1) Panzarella JP. The nature of work, job loss and the diagnostic complexities of the psychologically injured worker. Psychiatric Annals, 21, 1991:
10-15.
2) Panzarella JP. The psychosocial nature of work and the comprehensive
evaluation of the psychologically injured worker. Risorsa Uomo, Vol. VI,
2/99: 134-156.
3) Papalia F, Mattei O, Vinci F. Mobbing: definizioni e caratteri del problema. In: De Risio S. (ed.) Psichiatria della salute aziendale e mobbing.
Franco Angeli, Milano, 2002
4) Papalia F, Mattei O, Vinci F. Disagio psicologico in ambiente di lavoro e
mobbing: approccio e competenze dello specialista in Medicina del Lavoro. In: De Risio S. (ed.) Psichiatria della salute aziendale e mobbing.
Franco Angeli, Milano, 2002.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
419
F. Papalia1, D. Marchetti2, F. Vinci1
Operato del medico competente quale causa o concausa di situazioni
mobbizzanti
1
2
Istituto di Medicina del Lavoro, Facoltà di Medicina e Chirurgia, U.C.S.C., Roma
Istituto di Medicina Legale, Facoltà di Medicina e Chirurgia, U.C.S.C., Roma
Tabella II. Recepimento o lettura impropria di azioni proprie
Introduzione
La pubblicistica sul mobbing sta aumentando in modo esponenziale,
purtroppo anche creando miti mediatici, aspettative incongrue, distorsioni nella percezione dei rapporti relazionali all’interno delle aziende, con
la prevedibile ricaduta finale di ridurre, per sovraesposizione del fenomeno, le possibilità di tutela di chi realmente subisca situazioni di violenza morale sul luogo di lavoro (1).
Manca invece in letteratura, salvo rari e parziali casi (2, 3, 4), una riflessione su come lo specifico operato del Medico Competente possa esso stesso essere causa o concausa di situazioni a carattere mobbizzante.
Dai primi mesi del 2001 stiamo eseguendo una revisione delle casistiche in tema pervenute presso i nostri Istituti, o alla nostra attenzione in
ambito non direttamente accademico, ed al confronto delle stesse con i
dati della letteratura. I primi risultati di questo lavoro di metaanalisi sono
sintetizzati nel paragrafo seguente.
Azioni del Medico Competente che possono assumere ruolo mobbizzante
Varie forme dell’operato professionale del Medico Competente possono avere un ruolo causale o concausale nella genesi di situazioni mobbizzanti. Le varie tipologie individuate si collocano tutte nella “zona grigia” che si pone tra i limiti di un esercizio professionale formalmente corretto, ma nella sostanza con caratteri o di rigidità o di manipolabilità, e
fattispecie in cui invece è sospettabile, o francamente riconoscibile, la
colpa per negligenza, omissione, imperizia.
Le tipologie da noi individuate possono essere così suddivise:
1. “Azioni proprie”, ossia che attengono direttamente alla funzione, al
ruolo ed alle prerogative del Medico Competente, e che tuttavia possono assumere significato mobbizzante o comobbizzante per la rigidità con cui vengono eseguite, o per la non corretta valutazione del
caso specifico o del contesto in cui questo si inscrive (tabella I).
2. “Azioni proprie”, ma recepite o interpretate impropriamente (tabella II).
3. “Azioni improprie” (tabella III).
Sono stati esclusi, per comprensibili ragioni, i casi in sospetto o evidenza di dolo. È intuitivo come le forme con cui essi sono agiti sono sovrapponibili alle categorie sotto schematizzate, fatta salva la volontarietà.
Conclusioni
Il Medico Competente trova le ragioni scientifiche, professionali, etiche della propria azione esclusivamente nella tutela (in termini estensivi)
Tabella I. Azioni proprie
• Giudizi di idoneità lavorativa specifica formalmente corretti, ma
di fatto emessi:
– in modo rigido
– con non corretto riconoscimento o inquadramento delle situazioni
riscontrate
– con non corretta valutazione del contesto in cui si colloca la
storia professionale e clinica del lavoratore
• Interpretazione restrittiva di:
– normative vigenti
– ruolo e prerogative professionali
• Negligenza/imperizia
• Confusione tra atti medici per determinazione del giudizio di
idoneità lavorativa specifica (D.Lgs. 626/94 e succ.), facoltà del
datore di lavoro di lavoro di far controllare l’idoneità fisica del
lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti di diritto pubblico
(art. 5 L. 20/5/1970, n. 300), e visite fiscali
• Recepimenti manipolatori e/o strumentali del giudizio di idoneità
Tabella III. Azioni improprie
• Violazione del segreto professionale
• Atteggiamento collusivo con l’azienda, o con singole figure dirigenziali di essa
• Emissione di giudizi di idoneità “addomesticati”
• Omissione di atti o azioni professionali
• Omissione o reticenza di referto
• Funzioni di Sorveglianza Sanitaria in contemporanea appartenenza a enti o strutture pubbliche (ASL, Istituti Universitari, Enti o
Istituti di Diritto Pubblico), con doppio ruolo o rischio di collusività
contigua
del benessere psichico e fisico del lavoratore. Il quadro normativo di riferimento, però, è ben lungi da essere esaustivo, soprattutto per quello
che riguarda le malattie correlate al lavoro e i cosiddetti “rischi trasversali”. La difficoltà nel condurre una valida Sorveglianza Sanitaria è inoltre accentuata dallo spostamento del mondo del lavoro verso occupazioni di tipo interinale, o verso forme di flessibilità con alto rischio intrinseco di tutela sanitaria carente o inadeguata; estremamente alta è soprattutto la possibilità di misconoscimento dei rischi trasversali o dei loro effetti sulla salute del lavoratore.
Nel caso del mobbing, lo scarto tra atto di tutela e avallo o accentuazione del danno può essere veramente minimo. Per prevenire questa
eventualità, alla specifica, puntuale ed approfondita conoscenza delle varie tipologie di rischio (non soltanto di quelli normati, ma di tutti, e principalmente di quelli trasversali – in questo caso relazionali/organizzativi –)
il Medico Competente deve accompagnare una costante, aperta e coraggiosa riflessione sui propri modi di operare e sulle ricadute, in ogni ambito, della propria azione.
Bibliografia
1) Papalia F, Mattei O, Vinci F. Mobbing: definizioni e caratteri del problema. In: De Risio S. (ed.) Psichiatria della salute aziendale e mobbing. Franco Angeli, Milano, 2002.
2) Papalia F, Marchetti D, Gabrieli R, Vinci F. Situazioni mobbizzanti ed
ipotesi di responsabilità medico-legale dello specialista in medicina
del lavoro. Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia,
23 (3), 357, 2001.
3) Marchetti D, Gabrieli R, Papalia F, Vinci F. Riflessioni medico-legali
in tema di danni derivati da mobbing. In: De Risio S. (ed.) Psichiatria
della salute aziendale e mobbing. Franco Angeli, Milano, 2002.
4) Magnavita N. Mobbing, considerazioni su un caso paradigmatico. La
Medicina del Lavoro, 91 (6), 587-591, 2000.
POSTER
420
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
F. Ferraris1, G. Zanierato2, M. Ruggieri1, A. Marciandi1, V. Giovenali1, E. Capellaro3
Studio di prevalenza sulla sensibilizzazione a lattice in operatori
sanitari esposti
1
2
3
S.C. Medicina del Lavoro Ospedale di Biella ASL 12
Ambulatorio Allergologico - S.C. Pneumologia Ospedale di Biella ASL 12
Dipartimento di Traumatologia, Ortopedia e Medicina del Lavoro Università di Torino
L’esposizione a materiale contenente lattice, in particolare guanti, è
ancora oggi il principale fattore di rischio di tipo allergologico in ambito
sanitario sia per la frequenza di esposizione che per la gravità dei quadri
patologici prodotti. Nell’ambito dell’attività di sorveglianza sanitaria
svolta ai sensi del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. è stato svolto uno studio sui lavoratori del presidio ospedaliero della ASL 12 di Biella per valutare la
prevalenza della sensibilizzazione a lattice. Sono stati coinvolti i lavoratori dei reparti ad alto rischio di esposizione (Blocco Operatorio, DEA 118, Anestesia e Rianimazione, Dialisi) così definiti in relazione alla frequenza di utilizzo di guanti in lattice. Per quanto riguarda il rimanente
personale l’esposizione a lattice è praticamente nulla in quanto da alcuni
anni vengono ormai utilizzati guanti monouso non sterili in vinile per la
normale attività di assistenza.
Tale dato evidenzia una prevalenza di soggetti positivi al lattice più bassa dei dati riportati dalla letteratura, sicuramente meritevoli di ulteriori
approfondimenti, ma che in prima ipotesi può essere fatta risalire alla particolare attenzione che viene posta da alcuni anni presso questo ospedale
nella scelta dei guanti. Infatti è dal 1995 che per lo svolgimento dei compiti che non prevedano manovre invasive vengono utilizzati in tutti i reparti guanti in vinile ad esclusione delle sale operatorie, Pronto Soccorso
- DEA, 118, e Dialisi ove vengono utilizzati guanti in lattice detalcati a
basso contenuto proteico.
Fra gli elementi che determinano l’aumento del rischio di sensibilizzazione a lattice, l’atopia è fra quelli che la letteratura indica avere un
maggior peso. È stata quindi valutata anche nella popolazione oggetto di
questo studio la correlazione fra tale condizione predisponente e la sensibilizzazione a lattice. L’atopia si distribuiva fra i lavoratori indagati secondo le modalita di cui alla tabella I.
Materiali e metodi
Durante gli accertamenti preventivi e periodici negli anni 2000 e
2001 i lavoratori dei sopracitati reparti e tutti i lavoratori neo-assunti sono stati sottoposti oltre agli accertamenti previsti dal protocollo di sorveglianza sanitaria, ad anamnesi mirata ad individuare eventuale presenza
di oculorinite, asma, orticaria, dermatite al fine di definirne lo stato di atopia e a skin prick test per il lattice. Ogni soggetto ha eseguito il test cutaneo per due diversi allergeni, uno prodotto dalla ditta Stallergenes e l’altro dalla ditta Lofarma con controllo positivo (istamina) e negativo (soluzione glicerosalina fenolata). I prick test sono stati eseguiti utilizzando
lancette standardizzate in polimetacrilato “stallerpoint”. Il test è stato
considerato positivo in presenza di un ponfo con diametro superiore ai 3
mm dopo 15 minuti.
I soggetti che presentavano positività per uno dei due preparati utilizzati, venivano ulteriormente indagati tramite determinazione della concentrazione delle IgE specifiche seriche verso il lattice con metodica immunoezimatica (Biochem Immunosistems Allertech), prick test per i comuni allergeni inalanti (dermatofagoidi, pollini, micofiti, epiteli di animali) test di provocazione specifico consistente nell’indossamento di
guanti in lattice talcati per 30 minuti con il cambio degli stessi ogni due
minuti effettuando operazioni di media finezza con le mani con successivo monitoraggio sia clinico che dei parametri di funzionalità respiratoria
per le successive 12 ore ed eventuale ricovero ospedaliero in caso di comparsa di sintomi quali asma o orticaria diffusa.
Atopici
Non Atopici
Prick lattice pos.
5
1
Prick lattice neg.
27
308
L’analisi statistica è stata quindi condotta applicando il test esatto di
Fisher a due code che ha messo in evidenza un’elevata significatività statistica (p<0,0001) confermando anche nel campione da noi analizzato il
dato di letteratura.
L’analisi per l’età, il sesso, la mansione ed il reparto, non ha evidenziato differenze statisticamente significative, anche l'anzianità lavorativa,
pur risultando maggiore nei soggetti positi (12 anni) rispetto ai negativi
(8,9 anni) non ha evidenziato differenze statisticamente significative.
I dati preliminari evidenziano una prevalenza di soggetti positivi al
lattice nettamente più bassa rispetto ai dati riportati in letteratura (2.817%), sicuramente meritevoli di ulteriori approfondimenti, ma che in prima ipotesi può essere fatta risalire alla particolare attenzione che viene
posta da alcuni anni presso questa ASL alla scelta dei guanti e alla razionale distribuzione dei guanti latex-free per le attività assistenziali classificate a basso rischio biologico.
Risultati e discussione
Bibliografia
La popolazione esaminata era composta maschi 146 (43%), femmine 195 (57%) l’età media è risultata di 37,4 anni (DS 8,5), con un range:
20-59 per un totale di 341 soggetti. L’anzianità lavorativa media di 8,9
(DS 7,6), con un range 0-39. Dai dati anamnestici il 9,4% dei lavoratori
era da classificarsi come atopico. Dei i 341 lavoratori che hanno eseguito l’indagine, 6 soggetti (1,8%) sono risultati con positività cutanea per il
lattice, di cui cinque positivi ad entrambi gli estratti e solamente uno positivo solo all’estratto della ditta Stallergenes. Nessuno dei soggetti positivi presentava al momento dell’esecuzione del prick test sintomatologia
quale oculorinite, asma, orticaria riferibile alla sensibilizzazione a lattice.
1) Brown R, Schaube J, Hamilton R, et al. Prevalence of latex allergy
among anesthesiologists: identification of sensitised bat asyntomatic
individuals. Anesthesiologiy 1998; 89 (2): 292-299.
2) De Zotti R, Muran A, Negro C. Follow up dei sintomi allergici in un
gruppo di operatori sanitari sensibilizzati al lattice. Med Lav 2000;
91: 53-60.
3) NIOSH recommends steps for reducing work-releted exposure to latex. Am J Health Syste. Pharm 1997; 54: 1688-1691.
4) Yassin MS, Lierl MB, Fischer TY, O’Brian K, Cross J, Steinmtz C.
Latex allergy in hospital employees. Ann Allergy 1994; 72: 245-9.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
421
D. Grosso, N. Bergamin, M. Galliano, R. Assini, P.L. Zambelli, P. Troiano1, B. Piccoli
Studio sperimentale sugli effetti oculari e visivi prodotti da condizioni
illuminotecniche disagevoli
Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università di Milano - Istituti Clinici di Perfezionamento
1 Dipartimento di Oculistica, Università di Milano
Introduzione
Numerosi sono in letteratura gli studi, condotti prevalentemente su
operatori addetti a VDT/PC, ove l’illuminazione artificiale e naturale degli uffici è indicata come uno dei principali fattori di disagio oculare e visivo (1, 2, 3, 4, 7).
Va ricordato, a questo proposito, che il parametro principale a cui si
fa tradizionalmente riferimento, sia in Medicina del Lavoro che in Igiene
Occupazionale quando si analizzano le condizioni illuminotecniche dei
luoghi di lavoro, è l’illuminamento (8). Nostre precedenti esperienze (5),
nell’ambito di indagini effettuate presso uffici, hanno consentito di evidenziare come elevati rapporti di luminanze all’interno del “campo visivo professionale” (c.v.p.) dell’operatore possano, pur in presenza di illuminamenti adeguati, essere causa di numerosi disturbi oculari e visivi.
Scopo
Obiettivo dello studio è la valutazione, in condizioni standardizzate
e monitorate, degli effetti oculo-visivi prodotti dall’esposizione a condizioni illuminotecniche caratterizzate da adeguati illuminamenti ai piani di
lavoro ma con elevati rapporti di luminanze nel c.v.p., in soggetti esposti
ad impegno visivo per vicino (uso di PC).
Materiali e metodi
Le indagini sperimentali sono state svolte presso il laboratorio della
Sezione di Ergoftalmologia del Dipartimento di Medicina del Lavoro dell’Università di Milano (figura 1).
Sono stati studiati 32 soggetti, per metà maschi e per metà femmine,
con titolo di studio medio-alto ed età compresa fra i 18 e i 35 anni
(+/- 6.6 anni). Tali soggetti sono stati selezionati mediante specifico protocollo in due fasi.
Figura 1. Laboratorio presso il quale sono state svolte le
indagini sperimentali
Fase 1: selezione e addestramento dei soggetti
Tale selezione consisteva in una prova semplificata su PC dei compiti sperimentali previsti, avente come obiettivo la verifica delle capacità
del soggetto all’uso del computer. Successivamente, ogni soggetto è stato sottoposto a visita oftalmica finalizzata ad individuare tutte quelle alterazioni cliniche e/o funzionali capaci di interferire in modo sostanziale
con l’effettuazione di compiti visivi al punto prossimo e/o di costituire
potenziale fattore di confondimento nell’interpretazione dei sintomi e segni rilevati. Il soggetto veniva ritenuto idoneo se privo di tali patologie
oftalmiche importanti e se dimostrava un’adeguata conoscenza nell’uso
del PC.
Fase 2: prove sperimentali
Ogni soggetto è stato sottoposto a due sessioni sperimentali (lavoro
con programma informatizzato predisposto ad hoc) di 4 ore ciascuna,
suddivise a loro volta in quattro cicli eguali, per un totale di 8 cicli.
I compiti lavorativi effettuati durante le prove di esposizione, sono stati predisposti in due diverse forme, equivalenti sotto il profilo cognitivo.
Figura 2. Esempio di posizionamento del sensore ricevente
Ciò al fine di evitare fenomeni di “apprendimento” pur escludendo l'insorgenza, durante le due sessioni sperimentali (condizione “B” e condizione
“C”) di effetti connessi a contenuti cognitivi marcatamente differenziati.
POSTER
422
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
Conclusioni
Da una prima parziale analisi dei dati emerge che i soggetti sottoposti alla
prova “C” (condizioni illuminotecniche disagevoli), mostrano rispetto ai soggetti sottoposti alla prova “B” (condizioni illuminotecniche confortevoli) un
netto aumento di disturbi astenopici (in particolare visione sfuocata, bruciore,
tensione e senso di pesantezza ai globi oculari, difficoltà di concentrazione). Si
è inoltre evidenziata una netta diminuzione dell’efficacia delle prestazioni (aumento del numero degli errori e dei tempi dei esecuzione). Per quanto attiene
ai segni obiettivi (iperemia congiuntivale, secchezza oculare) non sembrano
emergere, per le elaborazioni sinora effettuate, alterazioni degne di nota.
Bibliografia
Figura 3. Esempio di posizionamento del sensore emittente
Sia nelle sessioni "B" che in quelle "C", l’ordine di presentazione degli “stimoli” (testi da elaborare con un PC secondo procedure pre-codificate) era
uguale, mentre variava l’ordine delle sessioni secondo criteri random (a
metà soggetti, prima B poi C; alla metà restante, prima C poi B).
La distanza e il tempo di osservazione del PC sono stati monitorati e
accuratamente quantificati tramite un’apposita apparecchiatura elettronica sperimentale, messa a punto presso la nostra sezione (6) basata sulla
registrazione del tempo di percorrenza di ultrasuoni tra due sensori posti
rispettivamente sul soggetto (figura 2) e sullo schermo (figura 3).
Una visita oculistica di controllo è stata effettuata prima e dopo ciascuna sessione sperimentale, per escludere sia la presenza di eventuali alterazioni di recente insorgenza sia l’esistenza di variazioni “funzionali” a
carico dell’accomodazione e della binocularità.
1) Gruppo Italiano per lo Studio dei Rapporti tra Lavoro e Visione. Il
rapporto tra lavoro e visione sotto il profilo medico preventivo: primi
orientamenti per un corretto approccio ergoftalmologico secondo il
Gruppo Italiano per lo Studio dei Rapporti tra Lavoro e Visione
(G.I.L.V.) parte prima: presentazione. Med Lav 1993; 84: 311-323.
2) Gruppo Italiano per lo Studio dei Rapporti tra Lavoro e Visione. Il
rapporto tra lavoro e visione sotto il profilo medico preventivo: primi
orientamenti per un corretto approccio ergoftalmologico secondo il
Gruppo Italiano per lo Studio dei Rapporti tra Lavoro e Visione
(G.I.L.V.) parte seconda: metodo. Med Lav 1993; 84: 324-331.
3) Halonen L. Effect of lighting and task parameters on visual acuity and
performance. In Power systems and illumination engineering laboratory. Helsinki: University of Technology Report 1993.
4) Knez I, Kers C. Effects of indoor lighting, gender and age on mood
and cognitive performance. Environ & Behav 2000; 32 (6): 817-831.
5) Piccoli B, D’Orso M, Zambelli PL. Environmental photometry analysis and
interpretation of luminance ratio in relation with national and international
standards. In: Cottica D, Prodi V, Imbriani M Ed. Atti del 14° Congresso Internazionale AIDII Arbatax, Fondazione Clinica del Lavoro 1995; 200-202.
6) Piccoli B, D’Orso M, Zambelli PL, Troiano P, Assini R. Observation
distance and blinking rate measurement during on-site investigation:
new electronic equipment. Ergonomics 2001; 4, 6, 668-676.
7) Piccoli B et al. A critical appraisal of current knowledge and future directions of ergophthalmology - Consensus Document of the ICOH Scientific
Committee on “Work and Vision”. Ergonomics 2003; 46, 4, 384-406.
8) Piccoli B, Soci G, Zambelli PL, Pisaniello D. Photometry in the workplace:
the rationale for a new method. In: stampa su Ann Occup Hyg 2003; 47/8.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
423
D. Cavallo1, A. Setini1, C.L. Ursini1, P. Piegari1, C. Chianese1, A. Cristaudo2, S. Iavicoli1
Esposizione occupazionale a parafenilendiammina in parrucchieri
con dermatite allergica da contatto: produzione di citochine (TNF-α)
e danno ossidativo al DNA
1
2
ISPESL, Dipartimento Medicina del Lavoro, Monteporzio Catone - Roma
IRCCS S. Gallicano, Allergologia, Roma
Introduzione
Le dermatiti da contatto rappresentano l’80-90% dei casi di dermatite professionale in genere e di queste oltre il 50% sono di origine allergica. I parrucchieri rappresentano una categoria professionale a rischio in
quanto sono esposti a sostanze con forte potere allergizzante tra cui la parafenilendiammina contenuta nelle tinture per capelli, spesso in assenza
di opportuna protezione per la tipologia e modalità di esecuzione del lavoro (strutture artigianali, ambienti non sufficientemente controllati). Alcuni studi in vitro sulle interazioni tra allergeni e cheratinociti nella fase
pre-immunologica della sensibilizzazione da contatto hanno evidenziato
l’induzione di stress ossidativo in seguito ad esposizione a PPD, suggerendo una relazione tra questo tipo di effetto a livello cellulare e lo sviluppo della malattia infiammatoria allergica (1). La dermatite allergica da
contatto è una reazione del sistema immunitario il cui fattore scatenante
è rappresentato dall’esposizione alla sostanza allergizzante. In questa patologia le citochine giocano un ruolo chiave e sono implicate nei diversi
gradi di suscettibilità e sviluppo della malattia. Una di queste citochine il
TNFa è stato indicato come mediatore della risposta allergica (2) in quanto una maggiore produzione di questa citochina e la sua immissione nel
circolo ematico dove sembra agire con meccanismi endocrini a livello tissutale sono state evidenziate in associazione alla sviluppo di diverse patologie infiammatorio-allergiche, tra cui la dermatite. I meccanismi di tale mediazione nello sviluppo della dermatite non sono comunque chiari.
Obiettivo del nostro studio è stato studiare la possibile correlazione
tra esposizione a PPD, induzione di danno ossidativo al DNA e sviluppo
di dermatite allergica.
Materiali e metodi
Lo studio è stato effettuato su 14 parrucchieri (6 maschi e 8 femmine) affetti da dermatite allergica da contatto (DAC) a cui è stato somministrato un questionario standard per la raccolta dei dati anagrafici, clinici ed epidemiologici. I soggetti sono stati sottoposti a patch test con serie
standard e con una serie specifica per l’attività lavorativa svolta, quindi è
stato effettuato un prelievo venoso successivamente al consenso informato. È stato scelto un gruppo di controllo costituito da 14 non esposti (6
maschi e 8 femmine). Sono stati valutati i livelli serici della citochina TNFa mediante test Elisa. In 8 dei 14 parrucchieri è stato valutato anche il
danno ossidativo al DNA mediante comet test modificato con l’uso della
Fpg una glicosilasi che riconosce e taglia specificatamente le basi ossidate lasciando in corrispondenza di queste delle rotture sulla catena di
DNA, quindi il comet test in questo caso evidenziando questo tipo di rottura valuta il danno ossidativo. Per ogni caso è stato valutato il valore di
tail moment TM (dato dal prodotto tra intensità di fluoresecenza e lunghezza della coda della cometa) in 50 comete da cellule trattate con l’enzima Fpg (TMenz) e da cellule non trattate (TM). Un valore del rapporto
TMenz/TM superiore a 2 è stato da noi utilizzato per definire la presenza
di danno ossidativo. Quest’ultimo test è stato effettuato anche su un gruppo di 8 controlli confrontabili per sesso ed età.
Risultati
Tutti i soggetti mostravano reazioni positive al patch test per la PPD.
Il dosaggio quantitativo del TNFa nel siero ha evidenziato una concentrazione di 12,06 pg/ml negli esposti e 0,68 pg/ml nei controlli con una
differenza statisticamente significativa. Il comet test ha evidenziato un
valore medio di TMenz leggermente più elevato nel gruppo degli esposti
rispetto ai controlli e la presenza di danno ossidativo nel 62% (5/8) dei
parrucchieri esaminati con questa metodica, rispetto all’ assenza di danno ossidativo riscontrato nel gruppo di controllo.
Discussione
La presenza di livelli di TNFa significativamente più elevati nel
gruppo degli esposti conferma l’associazione tra maggiore produzione di
TNFa e malattie infiammatorie.
I risultati ottenuti mostrano inoltre che l’esposizione a PPD può indurre danno ossidativo al DNA che potrebbe rappresentare un evento essenziale nella fase pre-immunologica della sensibilizzazione da contatto.
In conclusione i nostri risultati suggeriscono l’esistenza di una relazione
tra maggiore produzione di citochina TNFa, stress ossidativo e sviluppo
di dermatite allergica da contatto.
Bibliografia
1) Picardo M, Zompetta C, Grandinetti M, Ameglio F, Santucci B, Faggioni A, Passi S. Paraphenylene diamine, a contact allergen, induces
oxidative stress in normal human keratinocytes in culture. British
Journ Dermatol 1996; 134 (4): 681-685.
2) Sebastiani S, Albanesi C, De Po, Poddu P, Cavani A, Girolomoni G.
The role of chemokines in allergic contact dermatitis. Arch dermatol
Res 2002; 293 (11): 552-559.
POSTER
424
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
C.L. Ursini1, D. Cavallo1, C. Chianese1, M. Giglio2, S. Laurenza2, S. Iavicoli1
Comet assay e test del micronucleo su linfociti e cellule esfoliate
della mucosa orale di personale sanitario esposto a farmaci antiblastici
1
2
ISPESL, Dipartimento Medicina del Lavoro Monteporzio Catone, Roma
Istituto Europeo di Oncologia, Milano, Italy.- [email protected]
Introduzione
Risultati
Negli ultimi decenni l’impiego dei farmaci antiblastici, molti dei
quali sono stati classificati come sostanze cancerogene o probabilmente
cancerogene per l’uomo dalla IARC, è aumentato notevolmente. Dai primi anni ’80 sono stati intrapresi studi volti alla valutazione del rischio a
lungo termine per la salute degli operatori addetti alla preparazione e
somministrazione dei chemioterapici riscontrando un eccesso di leucemie, tumori epatici, tumori della pelle e tumori emopoietici. La recente
emanazione di linee guida sulla manipolazione di farmaci antiblastici in
numerosi Paesi (1) ha drasticamente ridotto l’esposizione occupazionale
a tali sostanze tuttavia la continua introduzione nei protocolli terapeutici
di nuovi farmaci e la loro combinazione in miscele complesse enfatizzano la necessità di valutare gli eventuali effetti indotti da tale tipo di esposizione (basse dosi e miscele complesse).
Il presente lavoro si propone quindi di valutare i potenziali effetti genotossici precoci dell’esposizione a tali farmaci mediante l’utilizzo di
metodiche molto sensibili quali il comet test (2) applicandolo anche su
cellule di sfaldamento della mucosa orale. Inoltre è stato utilizzato il test
del micronucleo sia su linfociti che su cellule esfoliate della mucosa orale per valutare la possibile specificità di effetto all’organo bersaglio nell’esposizione inalatoria di miscele complesse a basse dosi.
Il gruppo di esposti ha mostrato una frequenza percentuale di micronuclei significativamente più elevata rispetto ai controlli (P<0.05) nelle
cellule esfoliate (0,083 vs 0,0266), mentre non sono state trovate differenze significative sui linfociti (0,88 vs 1,00) (P=0,16). Il comet test ha
evidenziato in entrambi i tipi cellulari un incremento del valore di tail
moment negli esposti rispetto ai controlli con una differenza statisticamente significativa (P=0.001) nel caso dei linfociti (valore medio di tail
moment 21,3 vs 13,4).
Materiali e metodi
Lo studio è stato condotto su 15 infermieri e tecnici che manipolano
farmaci antiblastici e su un gruppo di controllo (n=15) costituito da personale amministrativo della stessa struttura ospedaliera confrontabile per
età (35±6,6 vs 34±7,3). A ciascun soggetto è stato chiesto il consenso
informato e somministrato un questionario conoscitivo anamnestico. Il
test del micronucleo è stato effettuato su cellule di sfaldamento della mucosa orale e su linfociti mediante colorazione con arancio di acridina nel
primo caso e con Giemsa nel secondo caso. È stata quindi calcolata per
ciascun soggetto, la frequenza di micronuclei spontanei su almeno 3000
cellule esfoliate e la frequenza di micronuclei su 1000 cellule binucleate
da linfociti in coltura. Su entrambi i tipi cellulari è stato effettuato il comet test per valutare il danno diretto al DNA. Tale test prevede la determinazione mediante una specifico software del valore di Tail moment
(dato dal prodotto dell’intensità di fluorescenza per la lunghezza della coda della cometa) su 50 comete per ciascun soggetto.
Discussione
È noto che la contaminazione da farmaci antiblastici avviene prevalentemente per inalazione, quindi le cellule della mucosa orale rappresentano il primo bersaglio cellulare di tali sostanze in forma di forma di polveri, vapori, aerosol etc. I nostri risultati evidenziando una maggiore specificità del test del
micronucleo effettuato sulle cellule esfoliate rispetto ai linfociti mostrano l’utilità di tale tipo cellulare nella valutazione degli effetti genotossici indotti dall’esposizione occupazionale a farmaci antiblastici. Il comet test evidenziando
in entrambi i tipi cellulari un valore di tail moment più elevato negli esposti rispetto ai controlli conferma l’elevata sensibilità di questa metodica per la valutazione del danno precoce al DNA e potrebbe quindi rappresentare un buon
bioindicatore di effetto precoce all’organo bersaglio nello studio dell’esposizione occupazionale a miscele di sostanze chimiche a basse dosi.
In conclusione i risultati di questo studio suggeriscono l’uso delle
cellule esfoliate della mucosa orale, ottenibili mediante procedure non invasive, per la determinazione dell’esposizione occupazionale a miscele di
sostanze chimiche a basse dosi in quanto rappresentano il tessuto target
per molte sostanze inalabili.
Bibliografia
1) Provvedimento 5 agosto 1999, G.U. 7/10/1999. Documento di linee
guida per la sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a chemioterapici antiblastici in ambiente sanitario.
2) Maluf SW, Erdtmann B. Follow-up study of genetic damage in
lymphocytes of pharmacists and nurses handling antineoplastic drugs
evaluated by cytochinesis-block micronuclei analysis and single cell
gel electrophoresis assay. Mutation Research 2000; 471: 21-27.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
425
A. Marinaccio
Metodi e problemi statistici per la determinazione di valori
di riferimento di xenobiotici in materiali biologici
ISPESL - Dipartimento di Medicina del lavoro - Laboratorio di epidemiologia e statistica sanitaria occupazionale
Introduzione
L’importanza della determinazione di valori di riferimento per xenobiotici in materiali biologici è stata discussa ampiamente (1). In particolare è nota la necessità, nell’analisi dei livelli di rischio per coorti occupazionali di esposti, di disporre di valori di riferimento da utilizzare come base-line per l’analisi della significatività (2). In questo contributo si
vuole porre l’accento su alcuni dei problemi di metodologia statistica che
sottendono queste stime.
Numerosità e struttura del campione
Il primo problema è quello relativo alla numerosità e alla struttura del
campione di riferimento. La qualità degli stimatori è infatti innanzitutto
in relazione con le caratteristiche della distribuzione campionaria. Le tecniche inferenziali, quindi anche quelle di stima puntuale, si fondono su
ipotesi relative alla distribuzione campionaria degli stimatori che sono
via via più solide se rispettate le ipotesi di casualità nell’estrazione del
campione. Se il campione non è casuale deve essere valutata statisticamente la sua non distorsione rispetto alle variabili potenzialmente correlate (sesso, età, esposizioni professionali, dieta). La numerosità del campione è determinabile in funzione dell’errore ammesso, del livello di confidenza prescelto e della numerosità della popolazione. Quest’ultima variabile è quella che influenza di meno la numerosità campionaria.
lori trasformati approssima la mediana dei dati originari, mentre la distanza tra media aritmetica e mediana dipende dal livello di asimmetria
della curva. In presenza di valori estremi è consigliabile stimare la mediana ed una misura di distanza interquatilica (75° - 25° oppure 95° - 5°).
Analisi statistica
L’analisi statistica è anch’essa funzione dell’analisi della distribuzione
campionaria degli stimatori. Se le variabili analizzate risultano distanti significativamente dalla normalità, l’analisi parametrica deve essere valutata con
cautela. L’analisi di correlazione più corretta in questo caso fa riferimento al
coefficiente di correlazione di Spearman, che misura la correlazione fra i ranghi ed è quindi invariante rispetto a violazioni dell’assunto di normalità. L’analisi di regressione è generalmente più robusta per allontanamenti dalla normalità e quindi la stima dei coefficienti di regressione, dei coefficienti di determinazione e dei relativi intervalli di confidenza risente meno dell’assenza
di normalità soprattutto in presenza di numerosità campionarie elevate.
Conclusioni
Nella stima dei valori di riferimento nella popolazione è necessario
porre attenzione ai metodi di selezione del campione ed alla distribuzione di probabilità degli stimatori nell’universo dei campioni possibili. In
presenza di distribuzioni non normali si deve fare riferimento a procedimenti non parametrici.
Indicatori centrali
Bibliografia
La scelta dell’indicatore di tendenza centrale da utilizzare, è una funzione della distribuzione di probabilità degli stimatori. In particolare deve essere prioritariamente verificata la distribuzione gaussiana delle variabili. La trasformazione logaritmica dei valori rilevati può migliorare la
normalità della distribuzione; in questo caso la media geometrica dei va-
1) Catenacci G, Aprea C (eds). 1a lista SIVR dei valori di riferimento Atti del 4° congresso nazionale SIVR, 14-16 dicembre 2000, Pavia.
2) Apostoli P, Minoia C, Hamilton EI. Significance and utility of reference
values in occupational medicine. Sci Total Environ 1998; 209: 69-77.
POSTER
426
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
C. Negro1, M. Peresson2, P. De Michieli1, L. Vernole3, A. Zadini3
Dalla sorveglianza sanitaria alla valutazione epidemiologica.
Appunti di metodo
1
2
3
UCO di Medicina del Lavoro Università di Trieste
UO Medicina del Lavoro Dipartimento di Prevenzione ASS1 Triestina
S.C. Riabilitazione Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Trieste
Introduzione
Il D.Lgs. 626/94 ha introdotto la sorveglianza sanitaria per i lavoratori esposti al rischio di movimentazione manuale di carichi (MMC) ed il
medico competente nei casi previsti dalla normativa (art. 11), deve comunicare i risultati anonimi e collettivi degli accertamenti e fornire informazioni sul significato dei dati raccolti (art. 17 lettera g). Abbiamo esaminato i risultati relativi alla sorveglianza sanitaria effettuata nel corso
degli anni 1998-2000 su 219 lavoratori portuali. Nonostante la rilevanza
del rischio legato alla movimentazione carichi, in questa popolazione
l'occorrenza dei disturbi e delle patologie del rachide non si dimostrava
più elevata rispetto ai dati della popolazione generale. Questo risultato ci
ha spinto a voler valutare in termini epidemiologici il fenomeno. Obiettivo di questo contributo è valutare la fattibilità di uno studio epidemiologico analitico. In primis si è previsto uno studio trasversale caso controllo. Per impostare uno studio prospettico, oltre alla ripetizione dell’analisi nel corso della sorveglianza sanitaria che ha scadenza biennale; si deve prevedere che i casi che abbandonano l’attività vengano sottoposti a
intervista/visita in modo da registrare la motivazione.
Metodologia e risultati
Per definire i disturbi muscoloscheletrici, i fattori di rischio lavorativi ed extralavorativi: si è utilizzato il questionario proposto dalla SIMLII
per gli esposti alle vibrazioni a corpo intero. Date le caratteristiche dei casi esposti (giovani con bassa scolarità) è risultato difficile individuare i
controlli. Sono stati reclutati i dipendenti di due cooperative che svolgono attività di sorveglianza antincendio (guardiafuochi). Per la raccolte e
codifica dei dati si è proceduto alla autosomministrazione del questionario per; la parte anamnestica, dati personali, attività lavorative precedenti, patologie osteoarticolari insorte in passato e nell’ultimo anno, accertamenti e terapie effettuate, infortuni e incidenti occorsi. I seguito, tramite
intervista guidata dal fisiatra, abbiamo raccolto i dati sulla localizzazione
dei disturbi, sull’ intensità del dolore, sulle limitazioni dell’attività, negli
ultimi 12 mesi e negli ultimi 7 giorni. I soggetti sono stati sottoposti ad
esame obiettivo generale e fisiatrico standardizzato che prende in considerazione tutti i distretti corporei. Il gruppo di controllo ha compilato lo
stesso questionario ed è stato sottoposto allo stesso iter diagnostico. Essendo ancora in fase di attuazione le visite per il gruppo di controllo, for-
niamo i risultati relativi ai lavoratori del porto. Il campione di lavoratori
portuali è costituito da 90 soggetti tutti di sesso maschile con un’età che
va dai 19 ai 51 anni; l’attività prevalente: braccianti che movimentano
sacchi di caffé (27.8%), carrellisti (45.6%) altre mansioni (26.7%). Fra i
soggetti esaminati il 61% non riferiva disturbi alla colonna nel passato,
mentre il 39% riferiva LBP, episodi di lombalgia e/o sciatica, e solo il
5,5% riferiva il riscontro radiologico di ernia discale. Nell’ultimo anno la
percentuale di lavoratori che non aveva avuto disturbi alla colonna sale al
71%, mentre il gruppo dei carrellisti presenta un' incidenza di disturbi al
rachide cervicale significativamente maggiore rispetto agli altri gruppi
(73%), attribuibile al mantenimento di posture fisse prolungate. Per quanto riguarda le altre articolazioni l’80% non ha sofferto di disturbi nell’ultimo anno. L’esame obiettivo ha rilevato una riduzione della flessibilità
globale del rachide (distanza dita-terra) nel 42% dei lavoratori, ma solo
nel 5,5% superiore a 20cm, mentre la motilità del tratto cervicale era ridotta in soli 8 (9%) lavoratori di cui 4 carrellisti (50%).
Discussione
I risultati, ricavati dall'applicazione sul gruppo di lavoratori portuali di un protocollo standardizzato, non si discostano da quelli segnalati
negli anni precedenti dal medico competente nella relazione sanitaria. La
comparazione del dato tra i soggetti a rischio e il gruppo di controllo individuato dovrebbe consentire una minimizzazione dell’effetto lavoratore sano. Solo lo studio prospettico permetterà un preciso controllo di tale bias.
Bibliografia
Hartvisen J et al. The association between physical workload and LBP
clouded by the “healthy worker” effect: population-based cross sectional and 5-year prospective questionnaire study. Spine 26 (16):
1788-92; 2001.
Li CY, Sung FC. A review of the healthy worker effect in occupational
epidemiology. Occup Med (Lond.) 1999 May; 49 (4): 225-9.
Waskiewicz J. The effect of heavy work on the muscoloskeletal system
of dockers. Bull Inst Marit Trop Med Gdynia 1996; 47 (1-4): 25-32.
Waskiewicz J. Cervical and back pain syndrome in port workers. Bull Inst Marit Trop Med Gdynia 1997; 48 (1-4): 41-8.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
427
M. Maniscalco1, 2, S. Faraone1, A. Zedda1, C. Sbordone2, M. Sofia3, M. Manno2
Sindrome dell’apnea notturna: un nuovo rischio in Medicina del Lavoro?
1
2
3
Unità Operativa di Pneumologia e Fisiopatologia Respiratoria, Presidio Ospedaliero S. Maria della Pietà Camilliani Casoria (Napoli)
Cattedra di Medicina del Lavoro, Università Federico II di Napoli
Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, AO Monaldi, Università Federico II di Napoli
Introduzione
I pazienti affetti da patologia ostruttiva del sonno o obstructive sleep
apnea syndrome (OSAS) rappresentano il 3-4% dell’intera popolazione
generale. La sintomatologia dell’OSAS è caratterizzata da sonnolenza
mattutina, facile stancabilità, riduzione dell’attenzione e dei riflessi. Un
recente studio svedese ha mostrato che i soggetti affetti da disturbi del
sonno presentano un rischio di incidente sul lavoro doppio dei soggetti
della popolazione generale (Ulfberg et al., 2000). Tale patologia rappresenta un importante fattore di rischio infortunistico, soprattutto in quelle
categorie di lavoratori per i quali è richiesta un’elevata attenzione e riflessi pronti, come addetti alla guida (conducenti di veicoli, gruisti, camionisti, ecc.), lavoratori turnisti o con lavoro notturno addetti all’utilizzazione di macchinari.
Nel corso degli accertamenti previsti dalla sorveglianza sanitaria ai
sensi del D.Lgs 626/94 o delle visite d’idoneità al lavoro ai sensi dell’art.
5 della legge 300/70 non si tiene conto generalmente delle turbe del sonno e non è facile pertanto per il medico competente individuare i soggetti a rischio infortunistico per se stessi e per eventuali terzi.
L’obiettivo del presente poster è quello di descrivere la nostra recente esperienza al riguardo, individuare gli aspetti più critici del problema e
formulare alcuni suggerimenti per una più rigorosa valutazione dell’idoneità e più efficace protezione dei lavoratori.
Casistica e risultati
All’interno di un gruppo di 127 soggetti ricoverati dal medico curante presso il Reparto di Pneumologia del Presidio Ospedaliero S. Maria della Pietà Camilliani di Casoria (NA) dal gennaio 2002 ad giugno
2003 per la presenza di sintomi riferibili ad OSAS, è stato somministrato
un questionario Epworth per la valutazione della sonnolenza diurna. Tra
tutti i soggetti esaminati abbiamo selezionato 108 pazienti (75 M, 33 F,
età media 58 anni) per i quali in base a monitoraggio cardiorespiratorio
di III livello (Embletta Somnologica pds, versione 3.1) è stata confermata una diagnosi di OSAS. All’interno di questo gruppo, in base all’anamnesi lavorativa abbiamo riscontrato che ben dodici pazienti (11%) svolgevano come attività lavorativa prevalente la mansione di conducente
d’autoveicoli (tassista, gruista, autista) presso diverse aziende pubbliche
o private. Sorprendentemente la totalità di questi pazienti riferiva di essere stata sottoposta negli ultimi 2 anni a sorveglianza sanitaria ai sensi
della 626/94 ottenendo un giudizio positivo d’idoneità alla mansione specifica. Dei 12 lavoratori per i quali è stata confermata la diagnosi di
OSAS, erano tutti maschi. L’età media era di anni 46. 3 soggetti presentavano un’OSAS di grado lieve (AHI range 12-18/h), 6 moderato (AHI
range 20-27/h), 3 severo (AHI range 30-61/h). Quasi tutti i casi do OSAS
(11/12) sono stati trattati con successo utilizzando una protesi ventilatoria con cPAP. Tra i fattori predittivi di OSAS venivano documentati il russamento (99%), obesità (70%), sonnolenza diurna (60%), questionario
positivo per sonnolenza (60%).
altre discipline mediche, oppure dalla curiosità e attenzione da parte del
medico del lavoro verso nuovi fattori di rischio sino ad allora poco o per
nulla conosciuti. La sindrome delle apnee notturne appartiene a questa
categoria in quanto rappresenta un fattore di rischio oggettivo ma scarsamente considerato per i lavoratori a rischio infortunistico. La OSAS costituisce inoltre un caso patricolare in cui una patologia preesistente ed indipendente dal lavoro costituisce un fattore di rischio che aumenta considerevolmente la suscettibilità dei lavoratori al rischio infortunistico. Tale
patologia dovrebbe pertanto essere presa in attenta considerazione in
quanto potrebbe comportare un motivo di non idoneità compromettendo
la sicurezza degli stessi lavoratori e di terzi.
È necessario infatti valutare la presenza di OSAS in occasione delle
visite mediche preventive e periodiche per la valutazione del giudizio d’idoneità, anche a causa della sua relativamente alta diffusione nella popolazione generale. Un’ulteriore elemento di difficoltà è rappresentato dal
fatto che la guida d’automezzi non rientra fra le attività lavorative per cui
la legge (D.Lgs 626/94) impone specificamente la sorveglianza sanitaria
dei lavoratori da parte del medico competente, in quanto la normativa è
finalizzata alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei confronti
di specifici fattori di rischio presenti sul luogo di lavoro. Tale categoria di
lavoratori generalmente sfugge quindi ad una valutazione preventiva e
periodica dell’idoneità, né è possibile scaturirne l’obbligo sull’ ipotesi del
pericolo derivante alla collettività.
In attesa di un’estensione della sorveglianza sanitaria obbligatoria
anche ai lavoratori addetti alla guida di automezzi, si ritiene utile proporre che i datori di lavoro facciano ricorso allo strumento facoltativo del
giudizio d’idoneità specifica alla mansione espresso da struttura pubblica
di medicina del lavoro ai sensi del 3° comma dell’art. 5 della legge
300/70, non bastando per questo l’idoneità intrinseca alla guida in occasione del rilascio o rinnovo della patente da parte delle autorità competenti.
In conclusione, riteniamo che innanzitutto il medico competente, nel
corso delle visite d’idoneità, debba considerare la possibile presenza nelle categorie a rischio di tale patologia o di disturbi ad essa correlabili. In
secondo luogo, si ritiene opportuno arrivare alla definizione di un protocollo per la formulazione del sospetto diagnostico di sindrome delle
apnee notturne, o più generalmente di patologie o disturbi del sonno, nei
lavoratori a rischio. Tale protocollo dovrà prevedere la raccolta anamnestica accurata degli eventuali sintomi e la somministrazione di un questionario specifico semplice e validato. I casi sospetti, prima che il medico competente esprima un giudizio di inidoneità o d’idoneità con limitazione, andrebbero confermati con test polisonnigrafici in corso di ospedalizzazione o a domicilio. Infine, sarebbe utile un’applicazione degli
studi anche uno studio sonnologico diretto sui lavoratori durante l’attività
di guida prolungata e continuativa, al fine di prevenire il rischio di “colpo di sonno” e di altre cause d’infortunio in cui la sindrome delle apnee
notturne potrebbe giocare un ruolo importante.
Bibliografia
Discussione
L’interesse della Medicina del Lavoro per nuove patologie scaturisce
talvolta da osservazioni occasionali sorte all’interno di collaborazioni con
Ulfberg J, Carter N, Edling C. Sleep-disordered breathing and occupational accidents. Scand J Work Environ Health, 26: 237-242, 2000.
POSTER
428
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
V. Anzelmo1, D’Auria2, D. Mazzarella2, G.Cuomo2, P. Bianco3, C. Giangregorio4
Neoplasia vescicale denunciata all’INAIL in un addetto alla produzione
di una piccola industria di pellami
1
2
3
4
Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica S. Cuore, Roma
INAIL Salerno
Servizio Sanitario Rai Radiotelevisione Italiana, Roma
Istituto di Radiologia Università Cattolica S. Cuore, Roma
Introduzione
Il cancro vescicale è al quarto posto tra i tumori che colpiscono l’uomo, rappresentando il 2-3% di tutte le neoplasie maligne; è riconducibile
ad esposizione professionale nel 20-30% dei casi. Nei soggetti professionalmente esposti il tempo di latenza per lo sviluppo di neoplasia è di 1540 anni, risultando di circa 10 anni inferiore a quello dei non esposti.
Agenti chimici, quali ad es. la benzidina, la 2-naftilamina e il 4-aminobifenile, che appartengono al gruppo delle amine aromatiche, sono ben noti per il ruolo che rivestono nella cancerogenesi vescicale in soggetti professionalmente esposti. In particolare la 2-naftilamina ha dimostrato di
aumentare l’incidenza del cancro della vescica di 20-100 volte. Anche gli
idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono implicati nella genesi del tumore vescicale. Oltre gli agenti chimici professionali vi sono importanti
fattori di rischio extralavorativo, quali il fumo di sigaretta, che aumenta
notevolmente la possibilità che si sviluppi il cancro della vescica di 20100 volte, per la presenza di amine aromatiche contenute nel fumo di tabacco, in particolare il 4-aminobifenile. Altri fattori di rischio extralavorativi sono l’impiego eccessivo di analgesici contenenti fenacetina e l’utilizzo di ciclofosfamide, ed infezioni parassitarie da Bilharzia.
Descrizione del caso
La nota riguarda un uomo di 42 anni, non bevitore e mai fumatore,
affetto da carcinoma vescicale diagnosticato nel marzo 2001 e denunciato successivamente all’INAIL, in attesa di definizione. L’anamnesi familiare e fisiologica non presenta altri dati degni di nota. Dall’anamnesi lavorativa risulta che ha svolto attività saltuarie in ambiente rurale per 3 anni; dal giugno ’81 al 2001 addetto alla rifinizione (spruzzo) delle pelli in
una conceria. Sulla base del documento di valutazione dei rischi disponibile, la rifinizione rientra nella terza fase del ciclo produttivo della piccola industria conciaria che prevedeva l’essiccazione delle pelli attraverso
una ventilazione forzata a basse temperature; la verniciatura automatica
con successiva essiccazione in cabina; la follonatura in bottale e la stiratura utilizzando solventi, coloranti, polimeri acrilici, cere naturali e sintetiche, siliconi, e ingrassanti. Le sostanze chimiche utilizzate come solventi e ingrassanti, sulla base delle schede tossicologiche allegate al DVR
sono: formaldeide, acetaldeide, polimero acrilico a base di acidi acrilici,
alcooli grassi fosfostati e solfocloroparaffina, acidi grassi insaturi, olii
marini ossidati e solfitati. L’operatore, oltre alla rifinitura, era addetto anche alla preparazione dei coloranti per la fase di tintura, utilizzando tannini naturali e sintetici, ac. formico, sodio bicarbonato, ingrassanti, coloranti quali: nero acido 210 (colorante trizazo), blu 5R (colorante diazoico), verde BN (colorante poliazo), Bruno SG (colorante trisazoico), Bruno SR (miscela di coloranti con trifenilmetano). Di questi coloranti sono
state rese disponibili le schede tossicologiche. Il dipendente era soggetto
a sorveglianza sanitaria con periodicità trimestrale e con esami ematochimici annuali, Rx torace biennale alternato a PFR, in assenza di dati relativi al monitoraggio ambientale e biologico.
All’anamnesi patologica si rileva intervento di rinosettoplastica (nel
1983), asportazione di cisti del mascellaere dx, intervento di lobectomia
polmonare inf. dx per “carcinoma neuroendocrino ben differenziato del
polmonare (carcinoide)” (nel 1999). Nel marzo 2001 comparsa di episo-
dio di ematuria con diagnosi di carcinima vescicale ed intervento, nello
stesso mese, di TURV di lesione vescicale. L’es. istologico documentava
“neoplasia uroteliale papillare a basso potenziale di malignità secondo
WHO ISUP. Iniziale infiltrazione del corion”. Ha effettuato successivamente cicli di chemioterapia locale e controlli trimestrali con cistoscopia.
Discussione e conclusioni
Sebbene il carcinoma della vescica urinaria sia una delle neoplasie
più frequenti, soprattutto nel sesso maschile, la sua eziopatogenesi rimane in gran parte oscura. È comunque accertato che l’insorgenza della malattia può essere determinata dallo stile di vita e da diversi fattori fisici,
chimici o biologici presenti nell’ambiente di vita e di lavoro. I fattori di
rischio più noti sono l’abitudine al fumo, l’esposizione professionale ad
alcune amine aromatiche (benzidina, 2-naftilamnina, 4-aminodifenile) e
per le forme epidermoidi, le infestazioni da Bilharzia. Esistono anche
prove a favore di una componente genetica, infatti studi recenti hanno
evidenziato che la presenza fenotipo NAT1 (acetilatore lento) a livello
dell’urotelio è strettamente correlato con i livelli di adotti del DNA e che
il rischio di sviluppare neoplasia vescicale è molto più elevato nei soggetti con l’isoenzima acetilatore lento. È pertanto difficile stabilire con
chiarezza l’eziologia del caso presentato, ed attribuire un ruolo eziopatologico alle sostanze chimiche utilizzate durante l’attività lavorativa. Tuttavia il ciclo produttivo prevedeva l’esposizione a solventi e a miscele di
coloranti e il paziente aveva lavorato nello stesso reparto per 20 anni. I
dati disponibili non permettono comunque di quantificare l’esposizione
del paziente. In conclusione, il caso presentato suggerisce che nonostante l’eliminazione di sostanze chimiche e di preparati pericolosi, prevista
da recenti norme, nell’industria conciaria l’inadeguatezza degli interventi preventivi e l’assenza di monitoraggi ambientali e biologici, potrebbero favorire la persistenza e/o il mancato riconoscimento di fattori responsabili di un incremento del rischio per il cancro della vescica. I dati della
letteratura confermano la necessità di definire il ruolo di altri fattori occupazionali, meno studiati, nell’insorgenza del cancro vescicale nell’industria conciaria.
In questa prospettiva, i dati INAIL riguardanti le denunce di malattie
professionali nel comparto concerie nel quadriennio ‘99-’02, evidenziano
ben 145 casi denunciati, di cui 31 indennizzati. Il numero delle denunce
per anno è rispettivamente di 30, 37, 33, 46. I dati disponibili non permettono in tutti i casi di individuare le patologie ascrivibili alle sostanze
denunciate e nel caso di neoplasie, di individuare il tipo di neoplasia.
Bibliografia
1) Siemiatyckj J. Ocupational risk factors for bladder cancer: results
from a case-control study in Montreal, Quebec, Canada. Am J Epidemiol 1994; 140: 1061.
3) Ward EM, Burnett CA, Ruder A, Davis-King K. Industries and cancer. Cancer Causes Control 1999 May; 8 (3): 356-70.
4) Zeegers MP, Swaen GM, Kant I, Goldbohm RA, van den Brandt PA.
Occupational risk factors for male bladder cancer: results form a population based case cohort study in the Netherlands. Occup Environ
Med 2001 Sep; 58 (9); 590-6.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
429
G. Mandelli, M. Migliori, G. Mosconi
Analisi di una casistica di “mesoteliomi” in provincia di Bergamo
Unità Operativa di Medicina del Lavoro, Ospedali Riuniti di Bergamo
Il Mesotelioma maligno è un tumore raro nella popolazione generale
che colpisce più frequentemente soggetti con esposizione professionale ad
amianto. Dal 1996 al 2002 sono stati segnalati all’Unità Operativa di Medicina del Lavoro degli Ospedali Riuniti di Bergamo 173 casi di “Mesotelioma” (fig. 1). 98 sono maschi con una età media pari a 65 anni e 75 sono femmine con età media pari a 55. 79 casi, appartenenti ai settori lavorativi dell’ edilizia, della metalmeccanica, della siderurgia e della tessitura
di fibre di amianto sono stati segnalati come malattia professionale agli organi territoriali di competenza specifica (INAIL ed ASL) (fig. 2).
Tra quelli non denunciati come malattia professionale 27 soggetti, la
maggior parte di sesso femminile, appartengono al settore tessile (esclusa la tessitura dell'amianto) e 8 alla agricoltura.
Gli autori ritengono che una possibile parte di rischio, seppure ancora
misconosciuto e da valutare, possa risiedere nelle coibentazioni di tubature
rivestite da amianto, nei ferodi dei freni delle macchine nel settore tessile e
nella presenza di tetti in eternit sulle stalle presenti nel settore agricolo.
Figura 1. Casi venuti ed osservati presso la UOOML di Bergamo
divisi per anno
Tabella I. Casi diagnosticati come “mesoteliomi “ segnalati
come malattia professionale e settore lavorativo di provenienza
Settore lavorativo
Numero casi
Siderurgico / metallurgico
29
Edile
21
Metalmeccanico
11
Tessile dell’amianto
10
Tabella II. Casi diagnosticati come mesoteliomi non segnalati
come malattia professionale e settore lavorativo di provenienza
Settore lavorativo
Numero casi
Tessile
27
Metalmeccanico
15
Agricoltura
8
Servizi/pubblica amministrazione
5
Trasporti
4
Commercio
4
Edilizia
2
Gomma/plastica
2
Alimentare
2
Legno
2
Siderurgico
1
Chimico
1
Sanitario
1
(I)
(II)
I: soggetti per i quali non si sono riscontrate esposizioni ad amianto anche se
appartenenti ad un settore a rischio
II: soggetti con esposizione ambientale
Bibliografia
Figura 2. Casi denunciati come malattia professionale divisi
per anno
Boutin C, Schlesser M, Frenay C, Astoul PH. Malignant pleural mesothelioma. Eur Respir J 1998; 12: 972-981.
La Rivista del Medico Pratico. Mesotelioma Pleurico Maligno. Novembre 2000. Anno 20.
Il Registro Mesoteliomi della Lombardia. Gennaio 2000.
POSTER
430
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
G. Pavesi, C. Papageorgiou, G. Mosconi, D. Borleri, G. Mandelli, F. Bigoni, M. Riva
Le abitudini di vita di una popolazione di edili
Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo
Tabella I. Caratteristiche della popolazione
Introduzione
A partire dal 1996 l’unita operativa di Medicina del Lavoro dell’Azienda ospedaliera degli Ospedali Riuniti di Bergamo in collaborazione
con il Comitato Paritetico Territoriale ha avviato un’indagine sanitaria di
comparto che attualmente ha coinvolto 1485 lavoratori di sesso maschile
di 150 piccole-medie imprese edili.
Materiali e metodi
Il campione include 178 capi cantiere e impiegati tecnici, 834 operai
specializzati di cui 657 muratori e 177 carpentieri, 263 operai comuni (manovali e apprendisti) 165 gruisti e autisti, 45 impiegati amministrativi, visitati nell’ambito della sorveglianza sanitaria. È stata compilata una cartella
clinica dove sono state scrupolosamente riportate le abitudini voluttuarie. Le
informazioni raccolte durante il colloquio sono state anche integrate con indagini di laboratorio comprensive di γGT, colesterolemia e trigliceridemia.
Risultati
Il campione ha un’età media di 36,5 anni (range 15-67) ed un’anzianità lavorativa media di 18,8 anni (range 1-50) (tabella I). L’analisi della
casistica mostra come il 52,3% dei lavoratori sia un fumatore e la maggioranza (43%) fuma tra le 10-20 sigarette/die (tabella II).
La maggioranza della popolazione, più del 90%, consuma regolarmente bevande alcoliche di cui il 12,45% consuma più di un litro di vino
Capi
cantiere
Impiegati
Operai
amministrativi specializzati
Operai
comuni
Autistigruisti
Numero
178
42
833
263
165
Età media
37,5
36
37,56
31,52
17,08
Anzianità lav.
17,4
12,69
18,85
10,756
17,08
Fumatori
74
(41%)
16
(38%)
457
(54,86%)
140
(53,23%)
95
(57,22%)
Bevitori
173
(97,44)
41
(93,33)
756
(90,77)
243
(94,56)
151
(91,67)
Consumo di
superalcolici
29
(16,3%)
0
197
(23,64%)
31
(11,78%)
33
(19,87%)
γGT superiori
alla norma
33
(18,53%)
6
(14,28%)
139
(16,68%)
24
(9,12%)
32
(19,39%)
TG superiori
alla norma
28
(15,7%)
8
(19,04%)
153
(18,36%)
41
(15,58%)
42
(25,45%)
Colesterolo tot.
superiore alla
norma
86
(48,31%)
15
(35,71%)
383
(45,97%)
84
(31,93%)
86
(52,12%)
Tabella II. Abitudine al fumo di tabacco
sigarette
n°/die
Capi cantiere
n° (%)
Impiegati amministrativi
n° (%)
Operai specializzati
n° (%)
Operai comuni
n° (%)
Autisti-gruisti
n° (%)
Meno di 10
23 (31,1)
7 (43,75)
103 (22,55)
37(26,42)
16 (16,84)
Tra 10 e 20
28 (37,8)
7 (43,74)
206 (45,07)
61 (43,57)
42 (44,21)
Maggiore di 20
23 (31,1)
2 (12,5)
148 (32,38)
42 (30,00)
37 (38,94)
Tabella III. Suddivisione per mansione dei forti consumatori di bevande alcoliche (>1 L)
bevanda
alcolica L/die
1-2 litri
Più di 2 litri
Capi cantiere
n° (%)
Impiegati amministrativi
n° (%)
Operai specializzati
n° (%)
Operai comuni
n° (%)
Autisti-gruisti
n° (%)
24
(13,5)
1
(2,4%)
106
(12,7%)
17
(6,4%)
18
(10,9%)
–
–
6 (0.7)
3 (1,04)
–
Tabella IV. Distribuzione della BMI
Numero soggetti
(%)
Sottopeso
(BMI <18.5)
Normopeso
(19 <BMI <24,9)
Soprappeso
(25 <BMI <29,9)
Obesità
(BMI >30)
10
(0.6%)
839
(56,5%)
557
(37,85%)
79
(5,31%)
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
al giorno. In due casi l’abuso di alcool e le relative conseguenze sulla salute sono state causa del giudizio di non idoneità alla mansione. Il 19,4%
dei soggetti dichiara un consumo quotidiano di superalcolici. Gli impiegati amministrativi e tecnici consumano meno bevande alcoliche e fumano un minor numero di sigarette rispetto agli operai. La percentuale di
soggetti con un incremento delle γGT nel sangue è del 15,74% e tale percentuale si alza al 99% in coloro che bevono più di due litri di vino al
giorno. I risultati documentano inoltre una incremento del BMI, del colesterolo totale e dei trigliceridi nel sangue rispetto alla popolazione generale. Il 43% della popolazione risulta infatti in sovrappeso ed il 30% svolge attività sportiva regolare.
Discussione
Da una prima analisi si può osservare come gli addetti in questo settore siano forti fumatori (4) e bevitori (2,5). L’alta prevalenza di fumatori contribuisce a determinare i deficit respiratori documentati (6) e l’abuso di alcool oltre a causare effetti tossici sistemici e aumentare gli infortuni (3) ha influito sui giudizi di non idoneità. L’incremento del Body
Mass Index può essere parzialmente spiegato dallo sviluppo della massa
muscolare. In conclusione si ritiene necessario prevedere programmi di
formazione/informazione e di educazione sanitaria finalizzata al controllo delle abitudini di vita.
POSTER
431
Bibliografia
1) Arndt V, Rotbenbacber D, Drenner H, Fraisse E, Zscbenderlein D,
Daniel U, Scbuberth S, Flipdner TM. Older workers in the construction industry: results or a routine health examination and a five year
follow up. Occup Environ Med Vol 1996; 53 (10): 686-91.
2) Brenner H, Arndt V, Rothenbacher D, Schuberth S, Fraisse E, Fliedner TM. The association between alcohol consumption and all-cause
mortality in a cohort or male employees in the German construction
industry. Int J Epidemiol 1997; 26 (1): 85-91.
3) Lipscomb HJ, Dement JM, Li. Health care utilization or carpenters
with substance abuse-related diagnoses. Am J Ind Med 2003; vol 43
(2): pag. 120-31.
4) Rothenbacher D, Arndt V, Fraisse E, Zschenderlein D, Fliedner TM,
Brenner H. Early retirement due to permanent disability in relation to
smoking in workers of the construction industry. J Occup Environ
Med 1998; vol 40 (1): pag. 63-8.
5) Ueno S, Hisanaga N, Jonai H, Shibata E, Kamijima M. Association
between musculoskeletal pain in Japanese construction workers and
iob, age, alcohol consumption, and smoking. Ind Health 1999; vol 37
(4): pag. 449-56.
6) Mosconi G, Borleri D, Mandelli G, Prandi E, Belotti L. Le malattie da lavoro in edilizia. La Medicina del Lavoro 2003; vol 94 (3): pag. 296-311.
POSTER
432
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
M.M. Riva, L. Belotti, G. Mosconi
L’ipoacusia da rumore nel comparto edile
Unità Operativa di Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo
I risultati dello studio della soglia audiometrica cui sono stati sottoposti 1485 lavoratori di 150 imprese edili (età media 36,5 anni, anzianità
lavorativa media 18,8 anni), consentono di aggiungere utili informazioni
sull’esposizione professionale a rumore in questo settore per il quale si
prefigurano notevoli difficoltà nell’esecuzione di indagini fonometriche.
Su un totale di 161 denunce di malattia professionale in questa popolazione, 139 (86.3%) sono segnalazioni di ipoacusia da rumore. Su 1327
lavoratori esposti a rumore 764 soggetti (58%) utilizzavano protettori
uditivi individuali, mentre 563 (42%) non ne facevano uso.
Una prima analisi delle condizioni uditive del campione può essere
effettuata mediante l’applicazione della classificazione delle audiometrie con il Metodo Merluzzi (Merluzzi 1979), riportata nella tab. I. Si osserva come, secondo le aspettative, l’evoluzione dell’ipoacusia da rumore, dalla normoacusia al grado 5 della Classificazione Merluzzi, avviene con l’aumentare dell’età e conseguentemente dell’anzianità lavorativa (fig. 1).
Si possono fare inoltre alcune considerazioni sulle caratteristiche
della popolazione di soggetti per i quali è stata inoltrata denuncia di ipoacusia professionale, dopo aver premesso che il criterio di segnalazione è
quello a suo tempo fissato da Marello (1992). La popolazione di 139 soggetti per i quali è stata inoltrata la segnalazione di ipoacusia professionale ha un’età media di 47.7 anni, un’anzianità lavorativa media di 28.5 anni; di essi, 61 non utilizzavano protezioni individuali mentre 78 ne facevano uso, almeno al momento dell’indagine. Infine, dividendo i casi denunciati in base alla mansione, si rileva come la maggioranza sia costituita da muratori, 80 casi pari al 57.5%; seguono i carpentieri (18 casi),
gli operai comuni (16 casi), gli impiegati tecnici/capi-cantiere (15 casi)
ed infine 10 lavoratori addetti ad altre mansioni (camionisti, gruisti).
Questo dato trova una giustificazione nel fatto che i muratori rappresentano la categoria più numerosa del campione (44%) e conferma quanto riportato nella letteratura italiana (Comitato Paritetico di Torino 1996) ove
le figure di muratore, carpentiere ed operaio comune risultano le più
esposte a rumore.
Un’altra considerazione sull’esposizione professionale a rumore nel
comparto edile deriva dall’analisi delle denunce di ipoacusia inoltrate nel
Tabella I. Caratteristiche della soglia audiometrica
della popolazione, in base alla Classificazione Merluzzi,
ripartita per età e per anzianità lavorativa
Figura 1. Percentuale, età media ed anzianità lavorativa della popolazione divisa per classi secondo Merluzzi
Tabella II. Analisi delle denunce di ipoacusia della UOOML
di Bergamo: settore produttivo prevalente
Settore produttivo
N° denunce
%
Costruzioni
314
44.4
Metalmeccanico
187
26.4
Tessile
31
4.4
Legno
27
3.8
Chimico
23
3.2
Leganti idraulici
22
3.1
quinquennio 1996-2000 dalla U.O.O.M.L. degli Ospedali Riuniti di Bergamo: su un totale di 707 segnalazioni il 44.4% (314 casi) appartenevano al comparto edile. Si riporta in tab. 2 la ripartizione delle segnalazioni di ipoacusia in base al comparto prevalente. Dai risultati dello studio è
possibile concludere che il rumore è un fattore di rischio molto diffuso
nel comparto edile, nei confronti del quale è necessario promuovere iniziative di informazione e formazione.
Grado Class.
Merluzzi
Numero
%
Età media
(anni)
A.L. Media
(anni)
0
760
51.3
30.8
11.6
Bibliografia
1
423
28.4
39.8
20.0
2
170
11.4
46.0
26.1
3
67
4.5
49.3
29.0
4
12
0.8
48.7
32.2
5
7
0.4
53.1
32.3
6
8
0.5
45.0
24.6
7
38
2.5
38.4
16.6
Comitato Paritetico Territoriale Prevenzione Infortuni Igiene e Ambiente
di Lavoro di Torino e Provincia. Edilizia Seiduesei? Ricerca in materia di sicurezza, igiene e ambiente di lavoro nel settore edile finalizzata alla valutazione dei rischi durante il lavoro nelle attività edili. Torino, Edizioni Edilscuola 1996.
Marello G. Aspetti penalistici delle ipoacusie di rilevanza medico-legale.
Rivista degli infortuni e delle malattie professionali. 1992; Fascicolo
3, pp 231-246.
Merluzzi F, Cornacchia L, Parigi G, Terrana, T. Metodologia di esecuzione del controllo dell’udito dei lavoratori esposti a rumore. Nuovo Arch Ital Otol 1979; vol 7, pp 695-714.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
433
C. Papageorgiou, P. Leghissa, R. Cortinovis, L. Cologni, R. Valsecchi, G. Mosconi, G. Pavesi
Le dermatiti professionali in edilizia
Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo
Le malattie cutanee sono da anni tra le più frequenti patologie nel
settore edile. Già Bernardino Ramazzini nel Suo trattato “Le malattie dei
lavoratori” descriveva così le lesioni cutanee degli operatori edili: “…la
calce rende ruvide le mani dei muratori e qualche volta vi produce delle
piaghe…” (1). Certamente dal lontano 1713 sono stati fatti passi da gigante per conoscere i meccanismi eziopatogenetici delle patologie cutanee professionali del settore edile; altrettanto, invece, non si può dire per
quanto riguarda la prevenzione, infatti, da alcuni dati di una recente indagine GIRDCA svolta negli anni 1984-1993 il settore delle costruzioni
è tra i cinque settori lavorativi più a rischio d’insorgenza di patologie cutanee (2).
Gli Autori riportano uno studio retrospettivo relativo ai casi di patologia allergica professionale nel settore edile diagnosticati presso l’Unità
Operativa di Medicina del Lavoro degli OO.RR. di Bergamo nei 16 anni
di attività dell’ambulatorio dedicato alla diagnosi e prevenzione di tali patologie. Nel corso di questi anni sono stati visitati 3024 soggetti di cui 387
lavoratori edili pari al 12,8% della popolazione afferente al nostro ambulatorio. Nel 60% di questi pazienti è stata diagnosticata una patologia cutanea professionale ed in particolare il 96% era affetto da dermatiti di tipo eczematoso, mentre il 5% presentava altri quadri clinici. Dall’analisi
particolareggiata della tabella I si evidenzia come le dermatiti da contatto allergiche, con l’84% dei casi diagnosticati, siano le patologie più rappresentative, mentre le dermatiti da contatto irritante rappresentino il
25%. Assai contenuti, invece, i casi di altre patologie professionali come:
le follicoliti, le orticarie e le dermatosi attiniche. Nel 69% dei casi le lesioni cutanee interessavano unicamente gli arti superiori o quelli inferiori, mentre il 29% presentava lesioni plurifocali e l’1,8% aveva lesioni al
volto tipiche di un quadro di air born contact dermatitis. Il 31% dei soggetti affetti da dermatiti da contatto presentava un’unica sensibilizzazione, mentre il 52% era polisensibilizzato. La sensibilizzazione verso il bicromato di potassio, presente nel 89,1% dei casi, risulta essere la causa
principale per lo sviluppo di una dermatite allergica da contatto da cemento, mentre le sensibilizzazioni verso il cobalto ed il nichel sono sempre associate al cromo e raramente presenti come monosensibilizzazioni.
Nel 35% dei nostri lavoratori abbiamo documentato sensibilizzazioni ad
uno o più apteni utilizzati nel processo di vulcanizzazione della gomma e
rappresentano, per importanza, la seconda causa di dermatite allergica da
contatto; la fonte di tale sensibilizzazioni risultano i dispositivi di protezione individuale come i guanti e gli stivali. Da segnalare come, anche
nel comparto edile, siano in aumento i casi di sensibilizzazione verso le
resine epossidiche utilizzate come sigillanti e collanti e verso le resine p
ter butil fenolformaldeidiche impiegate nei processi di coibentazione.
Bibliografia
1) Ramazzini B. Le malattie dei lavoratori. Cap. XII (le malattie di chi
lavora col gesso e la calce). La nuova Italia Scientifica; Roma 1982.
2) Sertoli A e coll. Indagine epidemiologica GIRDCA (gruppo Italiano
Ricerca Dermatiti da Contatto e Ambientali) sulle dermatiti da contatto in Italia (1984-1993). Dermatiti da contatto professionali (nota
II). Bollettino di Dermatologia allergologica e professionale Vol 11
n. 1-2, 1996: 153-174.
POSTER
434
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
A. Cristaudo, R. Foddis, G. Guglielmi, R. Buselli, V. Gattini, F. Messa, N. Dipalma, F. Ottenga
SV40 ed alcuni classici tumori professionali
Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e Medicina del Lavoro, Università di Pisa
Introduzione
Bibliografia
È stato dimostrato che l’SV40, appartenente al genere Polyomavirus,
della famiglia Papovaviridae (1), è in grado di trasformare cellule in coltura (2, 3, 4) e di indurre tumori nei roditori (5), quali sarcomi (6), ependimomi (7), osteosarcomi e linfomi (8); in particolare, l’iniezione intrapleurica in hamsters dà origine a mesoteliomi nel 100% dei casi (9). Studi biomolecolari hanno dimostrato il ruolo centrale dell’antigene T (TAg),
un’oncoproteina in grado di legare ed inattivare la proteina p53 (10), di indurre mutazioni puntiformi, riarrangiamenti cromosomici e, talora, aneuploidie (11). Non trascurabile, inoltre, risulta l’attività dell’oncoproteina
tag che sembra avere la capacità di incrementare il potere trasformante di
TAg (12).Tali evidenze sperimentali hanno suggerito che l’SV40 potesse
avere un ruolo nell’etiopatogenesi degli analoghi tipi tumorali umani. Di
fatto, si è scoperta la presenza di sequenze di SV40 in vari tumori umani
(13): tumori cerebrali - astrocitomi, riportati in percentuale dal 12% al
73% (14, 15, 16,17); glioblastomi, dal 33% al 50% (15, 17); ependimomi,
dal 72% al 90% (18, 16); tumori dei plessi corioidei, dal 50% al 90% (18,
15, 16) - osteosarcomi, dal 40% al 50% (19, 20), linfomi non-Hodgkin
(42%) (21) e, soprattutto, mesoteliomi, dal 44% all’85% (22, 23, 24, 25).
1) Sweet BH, Hilleman MR. Proc Soc Exp Biol Med, 105: 420-427, 1960.
2) Shein H, Enders JF. PNAS, 48: 1164-1169, 1962.
3) Bocchetta M, Di Resta I, Powers A, Fresco R, Tosolini A, Testa JR,
Pass HI, Rizzo P, Carbone M. PNAS, 97: 10214-10219, 2000.
4) Foddis R, De Rienzo A, Broccoli D, Bocchetta M, Stekala E, Rizzo
P, Tosolini A, Grobelny JV, Jhanwar SC, Pass HI, Testa JR, Carbone.
Oncogene, 21: 1434-1442, 2002.
5) Girardi AJ, Sweet BH, Slotnick VB et al. Proc. Soc Exp Biol Med,
109: 649-660, 1962.
6) Eddy BE, Borman GS, Grubbs GE, Young RD. Virology, 17: 65-75,
1962.
7) Rabson AS, Malmgren RA, O’Conor GT, Kirchstein RL. J Natl Cancer Inst, 29: 1123-1145, 1962.
8) Diamandopoulos GT. Science, 176: 173-175, 1972.
9) Cicala C, Pompetti F, Carbone M. Am J Pathol, 142: 1524-1533, 1993.
10) Carbone M, Rizzo P, Pass HI. Oncogene, 15: 1887-1888, 1997.
11) Testa JR, Pass HI, Carbone M. Principles and Practice of Oncology
(VI edition). De Vita, Hellman, Rosenberg eds, Philadelphia, 2000.
12) Cicala C, Pompetti F, Nguyen P, Dixon K, Levine AS, Carbone M.
Virology, 190: 475-479, 1992.
13) Jasani B, Cristaudo A, Emri SA, Gazdar AF, Gibbs A, Krynkska B,
Miller C, Mutti L, Radu C, Tognon M, Procopio A. Association of
SV40 with human tumours. Seminar in Cancer Biology, vol 11,
2001: pp 49-61.
14) Krieg P, Amtmann E, Jonas D, Fischer H, Zang K, Sauer G. PNAS,
78: 6446-50, 1981.
15) Barbanti-Brodano G, Trabanelli C, Lazzarin L, Martini F, Merlin M,
Calza N, Corallini A, Tognon M. G Ital Med Lav Erg, 20 (4): 218224, 1998.
16) Martini F, Iaccheri L, Lazzarin L, Carinci P, Corallini A, Gerosa M,
Iuzzolino P, Barbanti-Brodano G, Tognon M. Cancer Research, 56:
4820-4825, 1996.
17) Zhen H, Zhang X, Bu X, Zhang W, Huang W, Zhang P, Liang J,
Wang X. Cancer, 86: 2124-32; 1999.
18) Bergsagel DJ, Finegold MJ, Butel JS, Kupski WJ, Garcea R L. New
England Journal of Medicine, 326: 988-993, 1992.
19) Carbone M, Rizzo P, Procopio A, Giuliano M, Pass HI, Jebhardt MC,
Mangham C, Hansen M, Malkin DF, Bushart G, Pompetti F, Picci P,
Levine AS, Bergsagel JD, Garcea RL. Oncogene, 13: 527-535, 1996.
20) Lednicky JA, Stewart AR, Jenkins JJ et al. Int J Cancer, 72: 791-800, 1997.
21) Vilchez RA, Madden CR, Kotzinetz CA, Halvorson SJ, White ZS,
Jorgensen JL, Finch CJ, Butel JS. The Lancet 359: 817; 2002
22) Carbone M, Pass HI, Rizzo P, Marinetti M, Di Muzio M, Mew DJY,
Levine AS, Procopio A. Oncogene, 9: 1781-1790, 1994.
23) Cristaudo A, Vivaldi A, Sensales G, Guglielmi G, Ciancia E, Elisei
R, Ottenga F. Journal of Environmental Pathology, Toxicology and
Oncology, 14: 29-34, 1995.
24) Cristaudo A, Powers A, Vivaldi A, Foddis R, Guglielmi G, Gattini V,
Buselli R, Sensales G, Ciancia E, Ottenga F. Anticancer Research,
20: 895-898, 2000.
25) Butel JS, Lednicky JA. Journal of the National Cancer Institute, 91:
119-134, 1999.
Materiali e metodi
Sono stati analizzati campioni istologici fissati in formalina ed inclusi in paraffina di adenocarcinomi dei seni paranasali di tipo intestinale (ITAC) ed uroteliomi vescicali. Dopo l’estrazione del DNA, attraverso
un protocollo standard, si è proceduto alla ricerca di sequenze nucleotidiche del virus appartenenti alla regione regolatrice, mediante PCR e successivamente Southern Blot.
Risultati
Su 12 campioni di urotelioma analizzati 3 sono risultati positivi per
la regione regolatrice (25%). Su 8 campioni di ITAC dei seni paranasali
ben 6 sono risultati positivi per la regione regolatrice (75%).
Commenti
Le indagini per la ricerca di sequenze di SV40 nei tumori analizzati
fino ad oggi in letteratura suggeriscono che il ruolo eziopatogenetico del
virus non assume la stessa rilevanza tra i diversi tipi di tumore. Anche per
le tre neoplasie, spesso di origine professionale, che abbiamo incluso in
passate ed in attuali ricerche (mesoteliomi, adenocarinomi senoparanasali ed uroteliomi) sembra valere la stessa considerazione. Infatti negli
ITAC dei seni paranasali analizzati nel presente studiole sequenze specifiche del virus sono presenti nel 75% dei campioni, nelle vesciche tale
percentuale scende al 25%. I mesoteliomi da noi testati in precedenti lavori invece si caratterizzavano per una percentuale di positività per sequenze virali di circa il 55%. È intuibile che questa differenza di prevalenza di positività ciò derivi dal diverso tropismo del virus per i diversi
tessuti umani. Anche questa osservazione suggerisce che il rapporto dell’SV40 con le diverse neoplasie professionali, qualora confermato, non
possa essere considerato univoco, ma deve trovare una chiave di lettura
nell’ottica della genesi multifattoriale dei tumori, insieme alla specifica
frazione etiologica professionale.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
435
GL. Musca, M. Muratore
Sicurezza e flessibilità
Studio Specialistico dott. Massimo Muratore, Lecce
Flessibilità a tutti i costi sembra essere il motto degli ultimi tempi
nell’ambito del lavoro.
Flessibilità per creare nuove ed ulteriori prospettive occupazionali,
per rendere l’Italia coerente al principio costituzionale di cui all’art. 1
della nostra Costituzione: “...L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. O forse per raggiungere quell’obiettivo del diritto al lavoro di cui all’art. 4 della Cost. “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro...”.
E, al raggiungimento di tutti questi obiettivi si sta cercando di tendere, se si considera la massiccia frantumazione di quella che rappresentava la vecchia distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e lavoro autonomo.
Siamo nel pieno di una rivoluzione epocale nel mondo del lavoro: si
assiste infatti ad una intensificazione di nuovi contratti di lavoro, rectius
di nuove forme di lavoro che, si spera, riescano ad attuare l’obiettivo della piena occupazione oltreché quello della soppressione del fenomeno del
lavoro sommerso. Ma questo è un altro problema...
Facciamo un passo indietro. Abbiamo poc’anzi fatto riferimento alla
tradizionale distinzione del rapporto di lavoro: autonomo o subordinato.
In questa fase, abbiamo visto, per quanto possibile, una tendenza alla tutela dei lavoratori sotto i più diversi punti di vista: si è cercato, con
diversi espedienti, il modo di garantire ai lavoratori, soprattutto con riferimento a quelli subordinati, quanti più diritti possibile. Ci si riferisce alla questione licenziamenti, sicurezza, diritti etc...
In questo contesto si è voluto analizzare il problema della salute e
della sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro.
Con l’integrazione europea, certamente l’Italia è stata costretta a prestare una maggiore attenzione ad alcune problematiche, anche in virtù
delle modalità operative della Comunità Europea, e tra queste il tema dalla salute e della sicurezza dei lavoratori riveste non poca importanza.
La Comunità ha avuto indubbiamente un ruolo guida in materia di sicurezza sul lavoro e, in Italia, il primo importante intervento può considerarsi il D.lgs. 626/94, in quanto rivoluzionario rispetto al precedente sistema prevenzionistico, ricco e fitto di leggi anche se, disarmonizzate e
stratificate.
Il suddetto decreto legislativo ha dato attuazione a numerose direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute
dei lavoratori, ma non è l’unico che si occupa di sicurezza: vi sono, infatti una miriade di norme che dettagliatamente disciplinano vari settori
lavorativi, come ad es. quello edile, oppure che disciplinano le modalità
di svolgimento, in sicurezza, di particolari attività lavorative, come ad es.
il lavoro al videoterminale.
Con riferimento, invece, al D.lgs. 626/94, occorre segnalare che si
tratta di un particolare impianto normativo che per la sua struttura bene si
adatta a prescrivere misure per la tutela della salute in tutti i settori di attività, siano essi pubblici o privati. Si è parlato inizialmente di flessibilità
ed ora si e parlato di sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro. Che nesso c’è tra i due argomenti? Il problema che ci siamo posti è stato quello
di vedere se al grande interesse per la normazione di nuove forme di lavoro flessibili, è seguita un’altrettanta attenzione a mantenere ferme quelle garanzie dei lavoratori, per ottenere le quali, tanto si è lavorato: il nostro studio è ovviamente circoscritto alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Dall’esame di alcune delle varie forme flessibili di
lavoro, è emersa una carenza normativa, forse per un sottinteso riferi-
mento e rinvio al D.lgs. 626/94 o al più generico art. 2087 c.c. definito,
quest’ultimo, norma di chiusura in quanto applicabile nei casi, appunto,
di carenza normativa e fa obbligo, al datore di lavoro, di adottare nell’esercizio dell’impresa, le misure che sono necessarie a tutelare l’integrità
fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Quale, dunque, la situazione alla luce di questa nuova realtà?
Una miriade di nuove forme di lavoro, in attesa di prossima legiferazione in attuazione dell’ultimissima approvazione della Riforma Biagi,
avvenuta il 5 febbraio dell’anno in corso: il D.d.l. 848/01 e 848/bis, convertito in L. 14 Febbraio, n. 30 e pubblicata su G.U. n. 47 del 26 Febbraio
2003.
Anche questa Riforma è stata un’ulteriore occasione persa per disciplinare, contemporaneamente, sia l’aspetto propriamente contrattuale, sia
quello relativo alle norme da applicare per la salvaguardia dei lavoratori.
Probabilmente perché un altro programma del Governo in cantiere è
la redazione di un Testo Unico, il D.d.l. 776/01, in grado di riordinare
l’eccesso di regolamentazione legislativa, causato dal recepimento di numerose direttive comunitarie in materia.
Le leggi che hanno recepito le direttive europee si sono, a loro volta,
aggiunte a disposizioni normative vecchie di decenni, dando vita ad una
difficile integrazione ed incapacità di ridurre il fenomeno infortunistico
anche a causa dell’eccessiva burocratizzazione.
Altra considerazione interessante è relativa al fatto che l’estensione
dell’ambito di applicazione soggettiva del D.lgs. 626/94 non è stata accompagnata da modifiche normative modellate in funzione della peculiarità di tutte le emergenti forme di lavoro alternative al tradizionale impiego a tempo pieno, indeterminato e svolto in azienda: valga per tutti l’esempio dei collaboratori coordinati e continuativi.
All’interno del Libro bianco vi sono i criteri direttivi in base ai quali dovrà essere elaborato il Testo Unico.
L’emanazione del Testo Unico sembra essere tanto necessaria ed urgente, soprattutto in virtù della sentenza della Corte Europea 15 dicembre 2001 relativa alla causa C. 49/00 che condanna l’Italia per carente attuazione della direttiva 89/391.
Ma da parte di non tutti i fronti vi è accordo nei riguardi di questo
progetto. CGIL e CISL hanno criticato il modo di operare del governo
nella realizzazione del progetto: si parla di lavori eseguiti in stanze buie,
di Testo Unico fantasma, e soprattutto si critica la mancata partecipazione, durante la fase di progettazione, di tutti quei soggetti ai quali sarebbe
spettato l’accesso.
Si rende pertanto necessario denunciare, innanzitutto, questa tendenza operativa filo-governativa che non condurrà alla risoluzione di quelle
che si presentano come le più immediate esigenze in materia di salute e
sicurezza dei lavoratori.
È necessario, sì operare una sorta di riordino di tutta la materia normativa in possesso, ma è anche necessario garantire, indipendentemente
dal tipo di rapporto lavorativo, la sicurezza e la salute di chiunque si trovi ad effettuare una prestazione lavorativa. Non bisogna guardare al problema come un adempimento fine a se stesso, ossia proficuo solo nei riguardi dei destinatari, ma è necessario promuovere la cultura del lavoro
in sicurezza anche nella prospettiva del miglioramento delle esigenze
produttive: è facilmente intuibile, infatti, che migliorando le condizioni di
lavoro, si migliora la qualità della vita e solo in tal caso, si può arrivare a
parlare di vero progresso sociale.
POSTER
436
Probabilmente, dunque, i principi generali devono essere fatti salvi
nella prospettiva di linee guida. Per quanto poi più specificamente attiene alle norme da applicare nel caso di lavori flessibili, in questo momento, sarebbe più auspicabile, probabilmente non tanto adottare “provvedimenti” a tutti i costi, quanto, piuttosto procedere ad una fase di monitoraggio,ad ampio spettro, delle varie forme di lavoro flessibile, al fine di
individuare quali interventi potrebbero risultare più efficaci di altri per far
sì che l’attività lavorativa, sebbene svolta in maniera flessibile, non arrechi al lavoratore nessun effetto collaterale.
Si dovrebbe pertanto partire dalla distribuzione della forza lavoro,
impiegata nei vari settori e creare una griglia di valutazione in funzione
della peculiarità del rapporto di lavoro, che fornisca riferimenti sia per la
predisposizione di misure di prevenzione, sia ai fini di individuare le nuove patologie professionali legate alle “differenti” modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
Tutto questo, in linea anche con l’attività messa in atto a livello europeo dall’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro. Gli
Stati Membri, infatti, hanno avvertito l’esigenza di una maggiore cooperazione attraverso l’organizzazione di programmi e progetti di ricerca
congiunti, previa individuazione delle principali aree prioritarie per le future attività di ricerca.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
Bibliografia
L. 14 Febbraio, n.30 su G.U. n. 47 del 26 febbraio 2003 - Atti del 63°
Congresso Nazionale SIMLII “Tutela della salute degli addetti ai lavori atipici”, Sorrento 10 novembre 2000. In: G It Med Lav Erg,
2002, Suppl al n. 24.
Biocca M, Lelli MB, Roseo G. La formazione utile. Banca dati nazionale dei percorsi formativi di qualità. Atti Fiera Ambiente Lavoro, Modena 20-23 settembre 2000.
Ferraro G. La flessibilità in entrata alla luce del Libro Bianco sul mercato del lavoro. In: Riv It Dir Lav, Milano, Giuffrè Editore, 2002, n. 4 Atti del Convegno Nazionale
SIQUAM. La qualificazione degli operatori della sicurezza. Roma 3-4 ottobre 2002, in Ambiente & Sicurezza sul lavoro, Roma, EPC, 2002,
n. 12.
Lai M. La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, Torino, Giappichelli Editore, 2002.
Lepore M. Anche per i lavoratori atipici la sicurezza non è un optional.
In: Ambiente & Sicurezza sul lavoro, Roma, EPC, 2003, n. 1
Treu T. Il Libro Bianco sul lavoro e la delega del Governo. In: Biagi M,
Diritto delle Relazioni Industriali, Milano, Giuffrè Editore, 2002, n. 1.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
437
M. Musti1, M. Fontanarosa1, C. Foti2, D Cavone1, A. Maccuro1, G. Tantillo3
Zoonosi da vibrioni non colerici nel settore produttivo della depurazione
dei molluschi bivalvi
1
2
3
Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Bari
Dipartimento di Clinica Medica, Immunologia e Malattie Infettive, Sezione di Dermatologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari
Dipartimento di Sanità e Benessere degli Animali, Sezione di Ispezione degli Alimenti Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari
Premessa
Il D.Lgs. n. 530/1992 in tema di “produzione e commercializzazione
di molluschi bivalvi vivi destinati al consumo umano diretto” rende obbligatoria la depurazione per i molluschi raccolti in zone acquee di produzione classificate come B o C, a seconda delle rispettive caratteristiche microbiologiche. La depurazione dei molluschi eduli lamellibranchi, effettuata presso centri (CDM) autorizzati dal Ministero della Sanità, consente
l’abbattimento della carica batterica totale e l’eliminazione di eventuali
agenti patogeni nonché delle biotossine algali. Lo scopo della ricerca è
quello di indagare la zoonosi batterica da Vibrio spp. nel settore produttivo
della depurazione dei molluschi bivalvi. Recenti ricerche scientifiche sul
rischio infettivo da microrganismi acquatici hanno rilevato, tra i patogeni
emergenti, i vibrioni alofili non colerici responsabili di infezioni di ferite a
seguito dell’esposizione della cute lesa ad acqua di mare o ad organismi
quali pesci, molluschi bivalvi e crostacei (2, 3). La macerazione della cute
dovuta al prolungato contatto con l’acqua marina, la manipolazione di organismi acquatici dotati di gusci taglienti, di spine o di pinne sono alcune
delle condizioni in grado di favorire l’instaurarsi di lesioni cutanee e conseguentemente di possibili infezioni da Vibrio spp. a prevalente tropismo
extraintestinale (1, 8, 9, 6). Le infezioni generalmente si autorisolvono nei
soggetti sani ma in presenza di patologie quali diabete, malattie epatiche e
renali, tumori o disfunzioni del sistema immunitario, si rendono necessarie
cure mediche mirate (es. terapia antibiotica, toilette chirurgica della ferita).
Le forme più severe, frequentemente sostenute dalla specie V. vulnificus,
possono evolvere in celluliti, vasculiti necrotizzanti con formazione di ulcere, spesso associate a setticemia (4, 7).
medio di addetti pari a 5 unità. In 4 centri le attività lavorative connesse
alla depurazione dei molluschi bivalvi si svolgono prevalentemente all’aperto, mentre in 6 centri si svolgono in ambiente semi-confinato o al chiuso. Sono stati esaminati 47 addetti alla produzione, di cui 46 maschi ed
una sola operatrice di sesso femminile. L’età media si aggira intorno ai 31
anni con un’anzianità lavorativa media nel settore di circa 9 anni. 33 operatori hanno mansione di operai generici, svolgendo tutte le operazioni del
processo di lavorazione, dal ricevimento alla sistemazione in vasca, dalla
cernita al confezionamento. I restanti si occupano della vendita al dettaglio. I dispositivi di protezione individuali più comunemente forniti ai lavoratori sono gli stivali, i guanti ed i grembiuli gommati. Gli stivali sono
impiegati costantemente nel 70% dei casi al fine di evitare cadute e scivolamenti sul pavimento bagnato. Il 17% dei lavoratori dichiara di aver
subito cadute sul pavimento reso scivoloso dall’acqua o ingombrato da
cassette e altro materiale.
Tabella I
Utilizzo guanti
N° operatori
Percentuali
Impiego costante
22
47%
Impiego saltuario
23
49%
Mancato impiego
2
4%
Totale
47
100%
Tabella II
Materiali e metodi
Motivazioni relative all’impiego
mancato o saltuario dei guanti
Lo studio, tutt’ora in corso, ha coinvolto 10 centri autorizzati di depurazione e spedizione di molluschi bivalvi (CDM/CSM) sul territorio di Bari e provincia. Nella fase preliminare dello studio è stata compilata una
scheda aziendale con i dati di ciascun centro, una descrizione sintetica delle procedure lavorative e l’indicazione circa l’effettuazione della valutazione dei rischi lavorativi ai sensi della normativa vigente (D.Lgs. n.
626/1994 e successive modifiche). Gli addetti alla produzione sono stati
sottoposti a visita medica per rilevare lo stato generale di salute ed i rischi
occupazionali, e a visita specialistica dermatologica. In particolare è stato
indagato il rischio infettivo da Vibrio spp. attraverso l’analisi delle possibili sorgenti d’infezione, delle modalità di lavoro che espongono a matrici
potenzialmente contaminate da agenti biologici e dei fattori di rischio individuali. Sono state condotte indagini di laboratorio su campioni ambientali (acqua di lavorazione e molluschi bivalvi) e biologici (tamponi cutanei) secondo protocolli di ricerca standardizzati per l’isolamento e la caratterizzazione di Vibrio spp. di importanza clinica (ISS, 1997).
Risultati
I 10 centri autorizzati di depurazione e spedizione di molluschi bivalvi attualmente esaminati sono di piccole dimensioni, con un numero
N° operatori
Percentuali
Impedimento percepito nel
compiere talune manualità
16
64%
Fastidio soggettivo
4
16%
Condizioni microclimatiche
3
12%
Bassa percezione del rischio
2
8%
Totale
25
100%
Tabella III
Esame obiettivo della cute delle mani
N° operatori
Percentuali
Condizioni di macerazione cutanea
6
13%
Ferite da taglio
14
30%
Verruche volgari
3
6%
Negativo
24
51%
Totale
47
100%
POSTER
438
Sulle ferite riscontrate sono stati effettuati tamponi cutanei. Dei 14
tamponi eseguiti, 6 sono risultati positivi alla ricerca di Vibrio spp. con
l’isolamento della specie Vibrio alginolyticus. Dai campioni ambientali
(acqua di lavorazione e molluschi) sono state isolate le specie V. alginolyticus e V. parahaemolyticus.
Conclusioni
Nel settore produttivo della depurazione dei molluschi bivalvi i rischi
lavorativi, individuati mediante questionario, sono risultati pressoché sovrapponibili ai rischi del comparto pesca-acquacoltura (5). L’indagine sul
rischio infettivo da Vibrio spp., rivelatasi alquanto complessa soprattutto
per la mancanza di dati epidemiologici di riferimento, è ancora in corso.
In letteratura sono stati descritti casi sporadici di infezioni extraintestinali causate dalle specie V. alginolyticus e V. parahaemolyticus, riscontrate
nei campioni biologici e ambientali analizzati. Poiché nessuna delle ferite in esame è andata incontro a modificazioni caratteristiche delle infezioni cutanee da Vibrio spp., possiamo dedurre che i ceppi batterici fino
ad ora isolati non siano patogeni o che comunque non abbiano trovato
condizioni favorevoli allo sviluppo dei loro fattori di virulenza. Dai dati
relativi all’anamnesi dei lavoratori, non sono inoltre emersi significativi
fattori di rischio individuali per l’infezione zoonotica oggetto di studio.
Un solo operatore, affetto da diabete mellito, ha riferito di una ferita occorsa nel dicembre 2002, andata incontro ad infezione e successiva necrosi, che ha determinato l’amputazione delle falangi media e distale del
terzo dito della mano destra.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
Bibliografia
1) Angelini G, Bonamonte D. Dermatologia acquatica. Milano, Ed.
Springer-Verlag, 2001.
2) Collier DN. Cutaneous infections from coastal and marine bacteria.
Dermatologic Therapy 2002; 15: 1-9.
3) Dalsgaard A. The occurrence of human pathogenic Vibrio spp. and
Salmonella in aquaculture. Int J Food Sci Technol 1998; 33: 127-138.
4) Daniels NA, Shafaie A. A review of pathogenic Vibrio infections for
clinicians. Infect Med 2000; 17: 665-685.
5) Durborow RM. Health and safety concerns in fisheries and aquaculture. In: Langley, RL. Ed. Animal Handlers. Philadelphia: Hanley &
Belfus, Inc., 1999, 373-406.
6) Lefkowitz A, Fout GS, Losonsky G, Wasserman SS, Israel E, Morris
JG. A serosurvey of pathogens associated with shellfish: prevalence
of antibodies to Vibrio species and Norwalk virus in the Chesapeake
Bay region. Am J Epidemiol 1992; 135: 369-380.
7) Ripabelli G, Grasso GM, Sammarco ML, Luzzi I. Procedure di isolamento e caratterizzazione di Vibrio spp. di importanza clinica. Rapporto ISTISAN 1997; 31: 1-50.
8) Rodrigues SM dA, Gonvalves EDGDR, Mello DM, de Oliveira EG,
Hofer E. Identification of Vibrio spp. bacteria on skin lesions of fisherman in the county of Raposa-MA. Rev Soc Bras Med Trop 2001; 34.
9) Weber DJ, Rutala WA. Zoonotic infections. In: Langley, R. L. Ed.
Animal Handlers. Philadelphia: Hanley & Belfus, Inc., 1999, 247284.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
439
M. Belli, D. Duscio, L. Proietti, S. Giarrusso, A. Origlio, C. Sciacchitano, M. Trizzino
Il rischio chimico: metodologia di valutazione dei rischi in un Istituto
di Ricerca
Dipartimento di Medicina Interna e Patologie Sistemiche - Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Catania
Introduzione
L’esposizione ad agenti chimici negli ambienti di lavoro rappresenta
un argomento complesso e controverso nell’ambito della nostra disciplina sia per la grande quantità di nuovi agenti ogni anno immessi nelle lavorazioni industriali che per l’impossibilità di evidenziarne completamente e tempestivamente le caratteristiche tossicologiche per l’applicazione delle norme di prevenzione.
La valutazione dei rischi diventa ancora più problematica in caso di
esposizione variabile ad agenti chimici, come si può verificare nell’ambito dell’attività di un laboratorio di ricerca, per il numero degli agenti
chimici coinvolti e per le particolari modalità di esposizione dei ricercatori che spesso utilizzano le sostanze solo per brevi periodi di tempo. In
tal caso infatti diventa quasi impossibile procedere ad una corretta quantificazione del livello di esposizione senza impostare un programma di
monitoraggio continuo.
Nell’ambito dell’attività svolta dalla nostra struttura ci siamo trovati
a dover affrontare il problema della valutazione dell’esposizione professionale del personale operante nei laboratori chimici utilizzati presso il
Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Catania e abbiamo dovuto impostare un piano di valutazione che comportasse la corretta esposizione al rischio al fine dell’intervento sanitario preventivo e
periodico del suddetto personale.
Riferimenti legislativi
La tutela della salute dei lavoratori comporta la necessità di evidenziare l’esposizione professionale, determinando il tipo e la quantità degli
agenti nocivi, per poter applicare le norme di prevenzione espressamente
previste dalla normativa di riferimento. L’obbligo della quantificazione
del rischio, in precedenza previsto dalla normativa solo per alcuni fattori
di rischio (piombo, asbesto, rumore, R.I., CVM) con il Decreto Legislativo 25 del 2 febbraio 2002 viene esteso all’esposizione agli agenti chimici.
L’emanazione del D.Lgsl. 25/2002, modifica in modo rilevante l’intervento preventivo nell’ambito dell’esposizione ad agenti chimici con il
recepimento della Direttiva 98/24/CE relativa alla protezione della salute
e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici
durante il lavoro.
Inizialmente i riferimenti legislativi erano rappresentati esclusivamente dal D.P.R. 330/56 che alla tabella allegata all’art. 33 indicava gli
agenti patogeni per i quali esisteva l’obbligo del controllo sanitario e la
periodicità dell’intervento. La materia è stata modificata nel tempo con
l’emanazione di ulteriori disposizioni di legge di cui ricordiamo le principali: DPR 185/64 (esposizione a radiazioni ionizzanti); DPR 1124/65
(esposizione a silice libera cristallina e amianto); DPR 962/82 (esposizione a cloruro di vinile monomero); D.Lgsl. 277/91 (esposizione a piombo, amianto e rumore); D.Lgsl. 77/92 (esposizione ad amine aromatiche);
D.Lgsl. 626/94 (esposizione ad agenti cancerogeni e agenti biologici);
D.Lgsl. 230/95 (esposizione a radiazioni ionizzanti).
Con il D.Lgsl. 25/2002 viene inserito nel D.Lgsl. 626/94 il Titolo VII
bis che “determina i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza che derivano o possono derivare
dagli effetti degli agenti chimici presenti sul luogo di lavoro o come risultato di ogni attività lavorativa che comporti la presenza di agenti chimici” (art. 72 bis, comma 1).
L’ampliamento della normativa consente l’applicazione di norme di
prevenzione primaria anche nel caso di esposizione ad agenti chimici pericolosi, infatti i rischi derivanti da tale esposizione devono essere eliminati, laddove possibile, o ridotti mediante:
– progettazione e organizzazione dei sistemi di lavoro;
– fornitura di idonee attrezzature;
– riduzione al minimo della durata dell’ esposizione;
– idonee misure igieniche;
– riduzione al minimo delle quantità utilizzate a secondo delle esigenze della lavorazione;
– appropriata metodologia e organizzazione del lavoro;
– misure di protezione individuale;
– sorveglianza sanitaria.
Uno dei punti cardine del Decreto è l’obbligo della quantificazione
del rischio chimico la cui mancata esecuzione può essere giustificata solo se: “...la natura e l’entità dei rischi connessi con gli agenti chimici
rendono non necessaria un’ulteriore valutazione maggiormente dettagliata dei rischi” (art. 72 quater, comma 5). Nell’art. 72 quater, infatti, è
espressamente specificato che nella valutazione dei rischi di cui all’art. 4
del D.Lgsl. 626/94 e successive modifiche il datore di lavoro determina
preliminarmente l’eventuale presenza di agenti chimici pericolosi e ne
valuta i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori prendendo in considerazione:
– le loro proprietà tossiche;
– le informazioni sulla salute e sulla sicurezza dedotte dalla scheda di
sicurezza predisposta ai sensi dei DD.Lgsl. 52/97 e 285/98;
– il livello, il tipo e la durata dell’esposizione;
– le modalità dell’esposizione e la quantità della sostanza utilizzata;
– gli effetti delle misure preventive;
– eventuali deduzioni tratte dal controllo sanitario già effettuato.
La valutazione del livello, tipo e durata dell’esposizione comporta la
verifica del rispetto dei limiti di esposizione professionale, infatti il comma 2 dell’art. 72 sexties che prevede: “Salvo che non possa dimostrare
con altri mezzi il conseguimento di un adeguato livello di prevenzione e
di protezione, il datore di lavoro, periodicamente ed ogni qualvolta sono
modificate le condizioni che possono influire sull’esposizione, provvede
ad effettuare la misurazione degli agenti che possono presentare un rischio per la salute…”. Il successivo comma 3 dice che: “Se è stato superato un valore limite di esposizione professionale stabilito dalla normativa vigente il datore di lavoro identifica e rimuove le cause dell’evento, adottando immediatamente le misure appropriate di prevenzione e
protezione”.
La quantificazione diventa non obbligatoria, ai sensi del comma 2
dell’art. 72 quinquies, se la natura e l’entità dei rischi connessi viene giudicata di modesta entità. Recita, infatti, il suddetto comma: “Se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che, in relazione al tipo e alle
quantità di un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza di
esposizione a tale agente presente sul luogo di lavoro, vi è solo un rischio
moderato per la sicurezza e la salute dei lavoratori e che le misure di cui
al comma 1 sono sufficienti a ridurre il rischio, non si applicano le disposizioni degli artt. 72 sexies (misure specifiche di protezione e preven-
POSTER
440
zione), 72 septies (disposizioni in caso di incidenti o di emergenze), 72
decies, e 72 undecies (cartelle sanitarie e di rischio)”. Rimane in ogni caso l’obbligo del rispetto delle prescrizioni previste dagli artt. 72 octies
(informazione e formazione dei lavoratori), 72 novies (divieti) e 72 duodecies (consultazione e partecipazione dei lavoratori).
Il comma 4 dell’art. 72 sexties prevede, inoltre, che “I risultati delle
misurazioni di cui al comma 2 sono allegati ai documenti di valutazione
dei rischi e resi noti ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori. Il
datore di lavoro tiene conto delle misurazioni effettuate ai sensi del comma 2 per l’adempimento degli obblighi conseguenti alla valutazione dei
rischi di cui all’art. 72 quater. Sulla base della valutazione dei rischi e
dei principi generali di prevenzione e protezione, il datore di lavoro adotta le misure tecniche e organizzative adeguate alla natura delle operazioni, compresi l’immagazzinamento, la manipolazione e l’isolamento di
agenti chimici incompatibili fra di loro; in particolare, il datore di lavoro previene sul luogo di lavoro la presenza di concentrazioni pericolose
di sostanze infiammabili o quantità pericolose di sostanze chimicamente
instabili”.
Il rischio moderato
Come prevede il comma 2 dell’art. 72 quinquies, qualora a seguito
della valutazione preventiva dei rischi venga evidenziata la presenza di
un rischio moderato decadono gli obblighi della quantificazione ambientale degli agenti chimici e del controllo sanitario dei lavoratori. La quantificazione del rischio mediante indagine ambientale, per quanto si evidenzia dalla lettura del dispositivo di legge, quindi, non è sempre obbligatoria ma è riservata solo per quelle situazioni di rischio che comportano un’esposizione non trascurabile.
Rimane il problema di dover identificare cosa debba essere inteso e
come certificare un rischio moderato, la cui definizione è stata demandata a successivi decreti, a tuttoggi non emanati. Si fa presente che il termine inglese utilizzato nella Direttiva 98/24/CE è “slight” il cui significato,
tra l’altro, può essere: leggero, lieve, insignificante, di poca importanza.
Esistono diverse proposte per identificare i criteri per individuazione
dei casi di rischio moderato, tra queste la più accreditata è quella che prevede il riconoscimento di tale situazione di rischio quando i valori di
esposizione non superino il 50% dei TLV, per le sostanze chimiche pericolose, e il 30% in caso di esposizione ad agenti mutageni e cancerogeni.
Altra metodologia di identificazione può essere il tempo di esposizione
che non deve superare il 50% della giornata lavorativa. Quando, però, si
parla di percentuali si fa riferimento a numeri precisi, cioè a misurazioni
effettuate, in contraddizione con una valutazione preventiva che permette di escludere l’indagine ambientale. La valutazione preventiva è, infatti, una valutazione ipotetica per cui non si può avere la certezza che il livello di esposizione calcolato sia quello reale.
Secondo quanto citato nelle linee guida SIMLII per la formazione
continua e l’accreditamento del medico del lavoro relative alla valutazione dei rischi, il NIOSH ha stabilito che in caso di una concentrazione entro il 50% del limite, se la deviazione geometrica standard non supera
1.22, l’esposizione supererà il limite in non più del 5% dei casi, se la variabilità aumenta varia di conseguenza la percentuale del limite che deve
essere rispettata.
Queste valutazioni, poiché in ogni caso siamo in presenza di un rischio professionale, anche se trascurabile, di cui non siamo certi della
reale entità, ci portano a considerare la possibilità che si possa generare
un’alterazione dello stato di salute, specie nei soggetti suscettibili, se la
metodologia adottata non è quella corretta. Non bisogna dimenticare, infatti, che in caso di rischio moderato non solo non è obbligatoria la quantificazione del rischio, ma cade anche l’obbligo del controllo sanitario e
quindi non sarà più possibile rilevare eventuali patologie specifiche dall’analisi dei documenti sanitari e di rischio.
Quindi nella valutazione dei rischi per esposizioni ad agenti chimici bisogna adottare metodiche predittive corrette, ripetibili ed in grado di
fornire informazioni sufficientemente valide da garantire il mantenimento dello stato di salute dei lavoratori esposti. In caso contrario la
quantificazione del rischio mediante indagine ambientale diventa l’unico mezzo per identificare con certezza le condizioni di rischio moderato, per una maggiore tutela dei lavoratori ma anche dei datori di lavoro
che dalla documentazione acquisita trae elementi di difesa in caso di indagine ispettiva.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
La valutazione dei rischi
Il datore di lavoro deve garantire la sicurezza e la salubrità dei luoghi
di lavoro per tutte le mansioni svolte dai lavoratori attraverso l’analisi dei
fattori di rischio presenti nell’ambiente di lavoro e la correzione delle situazioni di pericolo. In seguito all’analisi viene stilato un apposito documento detto di valutazione dei rischi dove vanno indicati i rischi identificati, gli eventuali interventi da adottare e il programma di attuazione.
L’atto iniziale della valutazione dei rischi è lo studio oggettivo della
situazione per identificare la presenza dei fattori potenzialmente lesivi per
la salute dei lavoratori, successivamente, se necessario, si provvede alla
quantificazione del rischio per identificarne il livello di esposizione.
Il D.Lgsl. 25/2002 stabilisce, nel caso di esposizione ad agenti chimici, l’obbligatorietà della quantificazione del rischio, tranne, come già
detto, se si identifica un rischio lavorativo moderato. In ogni caso la valutazione dei rischi è un atto obbligatorio e propedeutico a qualsiasi altro
intervento.
Lo stesso Decreto, all’art. 72 quater, identifica la metodologia da utilizzare suggerendo di prendere in considerazione:
1. Le proprietà pericolose degli agenti chimici utilizzati;
2. Le informazioni sulla salute sicurezza tramite la relativa scheda di sicurezza;
3. Il livello, il tipo e la durata dell’esposizione;
4. Le circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza di tali agenti;
5. I valori limite di esposizione professionale o i valori limite biologici;
6. Gli effetti delle misure preventive da adottare;
7. Le conclusioni tratte dalla sorveglianza sanitaria, se effettuata.
La finalità della valutazione dei rischi è la tutela dello stato di salute
dei lavoratori esposti; il ruolo del medico competente, pertanto, non può
essere ridotto a mera ratifica di quanto riscontrato dal servizio di prevenzione protezione, ma diventa indispensabile nell’identificare tutti quei fattori dotati potenzialmente di effetto lesivo meritevoli di un approfondimento valutativo. A maggior ragione nell’esposizione ad agenti chimici è
il medico del lavoro/medico competente, dotato di specifiche conoscenze
di fisiopatologia, l’unico in grado di valutare correttamente il possibile effetto biologico in base al livello ed al tipo di esposizione evidenziato.
La stima del rischio potenziale avviene attraverso l’analisi di quattro
fattori principali:
1. Fattore di esposizione potenziale (FEP): indice di valutazione della
potenziale esposizione dei gruppi omogenei ad una determinata sostanza in relazione all’uso, alla temperatura, alle caratteristiche chimico-fisiche, alla quantità ed alla frequenza di utilizzo;
2. Fattore di attività fisiologica (FAF): indice di valutazione della potenziale esposizione dei gruppi omogenei ad una determinata sostanza in relazione alla tossicità, alla caratteristica epidemiologica e all’odore;
3. Valore limite di soglia (TLV): concentrazione media ponderata nel
tempo, su una giornata lavorativa e su quaranta ore lavorative settimanali, alla quale tutti i lavoratori possono essere esposti senza effetti negativi;
4. Indice biologico di esposizione (TBL): misura delle variazioni dei sistemi enzimatici o dei cicli biologici coinvolti dalla sostanza per effetto dell’esposizione.
Una corretta analisi del ciclo lavorativo e delle sostanze utilizzate
può essere sufficiente ad identificare sia quelle situazioni in cui è possibile il superamento dei TLV sia quelle dove le condizioni di lavoro garantiscono la sicurezza dei lavoratori.
Esperienze personali
Dovendo provvedere alla programmazione dell’intervento sanitario
per il personale tecnico ed i ricercatori del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Catania, ci siamo trovati di fronte al problema della quantificazione del rischio chimico in una struttura operante
nell’ambito della ricerca farmaceutica, struttura fornita di numerosi laboratori dove vengono seguite diverse linee di ricerca sperimentale. La varietà delle sostanze utilizzate e, spesso, la brevità del loro utilizzo, hanno
reso impossibile quantificare l’esposizione con un’indagine ambientale
mirata. Si è cercato, quindi, di identificare un metodo che permettesse,
quantomeno, di evidenziare gruppi omogenei di esposizione.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
In una prima fase si è proceduto alla ricognizione degli ambienti di
lavoro per identificare tutte le sostanze impiegate; quindi, mediante apposita scheda, si è ricercato per ciascuna di esse la quantità adoperata, il
tempo di utilizzo mensile, le modalità di utilizzo e di gestione ed il personale esposto. Per il controllo della quantità delle sostanze utilizzate è
stata effettuata anche una verifica dei registri di carico e scarico dei rifiuti speciali, tossici e nocivi. Le varie sostanze riscontrate sono state classificate in base al gruppo chimico e alle caratteristiche tossicologiche note, confermate dall’analisi della scheda di sicurezza, in modo da far diventare significative, per sommazione, esposizioni estremamente ridotte,
anche dell’ordine di pochi minuti al mese.
Contemporaneamente, per evidenziare eventuali patologie correlabili con l’esposizione, si è proceduto al controllo sanitario del personale
adibito ai vari laboratori per una valutazione dello stato generale di salute. È stato utilizzato il seguente protocollo:
❑ Visita medica generale (anamnesi ed esame obiettivo);
❑ Esame della funzionalità respiratoria (spirometria);
❑ Esami di laboratorio finalizzati allo studio della funzionalità epatica
e renale e della crasi ematica.
Per ogni lavoratore sottoposto al controllo è stato istituito un apposito documento sanitario e di rischio dove sono stati trascritti tutti i dati raccolti che successivamente sono stati inseriti in un foglio elettronico
(Excel) per l’analisi statistica della distribuzione.
Valutazione del rischio chimico
La valutazione del rischio ha presentato notevoli difficoltà dovute
principalmente all’uso di volta in volta di numerose sostanze in quantità
ridotte, spesso meno di un grammo in quanto gli esperimenti eseguiti sono di breve durata e si concludono quasi sempre nel giro di pochi mesi.
La notevole variabilità dell’esposizione ha di fatto reso impossibile la sua
corretta quantificazione.
Dovendo procedere alla valutazione dell’effettiva esposizione professionale per identificare il personale esposto si è proceduto mediante
sopralluogo, adottando una scheda apposita che consentisse l’identificazione delle caratteristiche tossicologiche della sostanza adoperata, delle
modalità di conservazione e di eliminazione, della metodologia di utilizzo, della quantità utilizzata e del numero di manipolazioni per mese, del
tempo di esposizione medio mensile, dell’utilizzo di dispositivi di protezione, dell’effettuazione dell’informazione e formazione del personale;
nella fig. 1 è illustrata la scheda di valutazione adoperata.
Successivamente è stata analizzata la tipologia del personale afferente al dipartimento di Scienze Farmaceutiche, composto complessivamente di 142 soggetti di cui 31 come personale strutturato (10 docenti, 12 tecnici, 9 amministrativi) e 111 come personale non strutturato (18 dottorandi, 86 tesisti, 1 assegnista 3 coll. di ricerca, 3 contrattisti). I dati sono
illustrati in tabella I.
Figura 1. scheda di valutazione del rischio chimico
POSTER
441
Tabella I. Descrizione del personale
Rapporto di lavoro
Qualifica
Entità
Personale strutturato
Docenti
Tecnici
Amministrativi
10
12
9
Personale non strutturato
Dottorandi
Tesisti
Coll. di ricerca
Assegnisti
Contrattisti
18
86
3
1
3
Risultati
Vengono di seguito illustrati gli elementi di valutazione utilizzati nell’identificazione dei fattori di rischio e i dati emersi dall’esame dei quindici laboratori del Diperatimento.
❑ Identificazione delle caratteristiche tossicologiche: l’identificazione delle caratteristiche tossicologiche è stata effettuata mediante analisi della scheda di sicurezza, laddove fornita, o previa classificazione delle varie sostanze in gruppi chimici definiti di pericolosità nota.
❑ Modalità di conservazione: si è potuto mettere in evidenza che tutte le sostanze con caratteristiche di pericolosità erano allocate in appositi armadi “chemisafe” o in frigoriferi; le altre sostanze in appositi armadietti posti in prevalenza sotto i banconi di lavoro.
❑ Modalità di eliminazione: tutte le sostanze adoperate in precedenti
esperimenti o non più utilizzabili sono eliminate come rifiuto speciale, tossico e nocivo, mediante appalto con una ditta specializzata.
L’esame del registro di carico e scarico dei rifiuti non ha consentito
però di identificare le singole sostanze eliminate in quanto la metodologia di registrazione consiste solo nell’indicazione cumulativa
delle varie sostanze chimiche da eliminare, catalogate in modo generico, per classi e per peso complessivo (tabella II).
❑ Metodologia di utilizzo: tutti gli esperimenti sono eseguiti sotto
cappa a flusso laminare e con uso di dispositivi di protezione individuale (maschera e guanti).
❑ Quantificazione del tempo di esposizione:
◆ Personale docente: il tempo di permanenza nei vari laboratori è risultato estremamente ridotto non superando, di media, i 30 minuti
giornalieri. Gli esperimenti vengono eseguiti materialmente da tesisti e dottorandi, i docenti si limitano, nella maggior parte dei casi, alla valutazione dei risultati.
◆ Dottorandi: esecuzione di sperimentazioni inerenti l’argomento del
dottorato. La loro permanenza nei vari laboratori è calcolata in circa
quattro ore al giorno.
◆ Tesisti: eseguono, sotto la supervisione dei docenti e dei dottorandi, gli esperimenti relativi
all’argomento della tesi. La presenza del tesista
in laboratorio, di media, è limitata a turni di
circa due ore per tre giorni la settimana.
◆ Personale tecnico: personale presente solo nei
laboratori di didattica; l’attività del personale
tecnico si esplica prevalentemente nell’esecuzione di esperimenti di base ed esercitazioni di
laboratorio con gli studenti. Il tempo medio di
permanenza nei laboratori non supera le quattro ore giornaliere.
❑ Quantità utilizzata e numero di manipolazioni per mese: è risultato che la maggior parte delle sostanze identificate erano utilizzate
solo poche volte al mese e in quantità ridotte,
spesso pochi grammi o millilitri.
❑ Valutazione del tempo di utilizzo delle varie
sostanze: le sostanze utilizzate negli esperimenti, numerose ed appartenenti a diverse
classi chimiche, sono utilizzate, per la massima
parte, per pochi minuti al mese.
Le sostanze chimiche per le quali è stata evidenziata una possibile esposizione possono essere
POSTER
442
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
Tabella II. Rifiuti speciali, tossici e nocivi smaltiti
Anno
Sostanze
Quantità smaltita
2000
Solventi organici
Solventi alogenati
629 kg
258 kg
2001
Solventi organici
Solventi alogenati
R.S.O.T
198 kg
147 kg
55 kg
Solventi organici
R.S.O.T
304 kg
34 kg
2002
classificate in tre gruppi di tossicità nota: solventi, acidi forti e basi forti.
Nella tabella III sono elencate le sostanze chimiche più frequentemente
adoperate, prevalentemente solventi utilizzati per la pulizia di attrezzature e vetreria o adoperati per estrazione di altre sostanze o per tecniche di
gas-cromatografia.
Tabella III. Sostanze chimiche più frequentemente utilizzate
Gruppo chimico
SOLVENTI
Categoria
Alcoli
Aldeidi
Ammidi
Chetoni
Eteri
Esteri
Glicoli
Idrocarburi Alifatici
Idrocarburi aromatici
ACIDI
Acido
Acido
Acido
Acido
BASI
Sostanza
Etanolo
Metanolo
Formaldeide
Dimetilformammide
Acetone
Dietiletere
Acetato di etile
Benzoato di benzile
Glicole polipropilenico
Glicole polietilenico
Cloroformio
Cicloesano
Tetracloruro di carbonio
Diclorometano
Benzene
Toluene
acetico
fosforico
nitrico
solforico
Ammoniaca
Idrossido di sodio
Idrossido di potassio
Al fine di evidenziare la ridotta esposizione, nelle tabelle V e VI sono illustrati i dati riassuntivi relativi ad un laboratorio di didattica ed uno
di ricerca con le specifiche per ogni sostanza, della quantità annua utilizzata, del tempo di utilizzo per la reazione e del numero di manipolazioni
annue. Si ricorda che tutte le manipolazioni avvengono sotto cappa e con
l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale.
Tabella V. Dati esposizione laboratorio chimica qualitativa
Sostanza
Ac. Acetico glaciale
HNO3 65%
Classificazione IARC
Benzene
1
Cloroformio
2B
Doclorometano
2B
Dimetilformammide
2B
Formaldeide
2A
Idrazina
2B
Poliacrilammide
2B
Tetracloruro di carbonio
2B
300
50 ore/anno
300
25 ore/anno
1,5 litri
5 m’
300
25 ore anno
0,5 litri
5 m’
100
8 ore /anno
0.14 litri 10 m’
4
40 m’/anno
n-esano
Cicloesano
0,8 litri 60 m’
Cloroformio
0,1 litri
Metanolo
Etanolo
Etere etilico
Potassio ferricianuro
Piombo acetato
2 m’
5 litri 30 m’
0,5 litri
2 m’
8
8 ore/anno
100
3,5 ore/anno
100
50 ore/anno
100
3 ore/anno
0,4 litri 60 m’
8
8 ore/anno
100 mgr 10 sec
100
17 m’/anno
350 gr 10 m’
6
1 ora/anno
Potassio bisolfato
20 gr
5 m’
200
17 ore /anno
Potassio bromuro
80 gr 15 m’
8
2 ore/anno
Potassio permanganato
200 gr 10 m’
100
17 ore/anno
Rame solfato
0,1 litri 10 m’
200
33 ore/anno
Tabella VI. Dati esposizione laboratorio di ricerca n. 4
Sostanza
Quantità Temp. n. manip
annua manip.
anno
Tempo
totale
Acido cloridrico
50 ml
2 m’
15
30 m’/anno
Acetone
4 litri
3 m’
40
2 ore/anno
Cicloesano
0,1 litri
2 m’
20
40 m’/anno
Diclorometano
0,2 litri
3 m’
10
30 m’/anno
0,25 litri
2 m’
20
40 m’/anno
40 ml
2 m’
5
10 m’/anno
0,2 litri
1 m’
20
20 m’/anno
Etanolo
3 litri
3 m’
50
2,5 ore/anno
Metanolo
60 ml
2 m’
15
30 m’/anno
Idrossido di potassio
60 ml
3 m’
10
30 m’/anno
Idrossido di sodio
60 ml
2 m’
10
20 m’/anno
Dimetilsolfossido D6
15 ml
2 m’
20
40 m’/anno
4-metossibenzoil cloruro
1 ml
2 m’
1
2 m’/anno
3,4-dimetossibenzoil cloruro
1 gr
3 m’
3
10 m’/anno
Piperoniloil cloruro
1 gr
3 m’
2
6 m’/anno
Piperonil alcool
1 gr
2 m’
1
2 m’/anno
Cloruro di benzoile
Tabella IV. Agenti cancerogeni individuati
5 m’
NH3 30%
Etile acetato
Sostanza chimica
3 litri 10 m’
1,5 litri
Tempo
totale
H2SO4
Cloroformio
Successivamente è stata ricercata l’eventuale cancerogenicità delle
sostanze chimiche identificate, anche se utilizzate in minime quantità. Tra
le sostanze chimiche adoperate alcune, per l’esattezza 8, sono risultate
cancerogene secondo la classificazione della IARC, una sola di esse,
però, è inquadrata nel gruppo 1, il benzene, le altre, tranne la formaldeide, gruppo 2A, sono inquadrate nel gruppo 2B. Nella tabella IV sono
elencate le sostanze cancerogene identificate e la loro classificazione secondo le tabelle IARC.
Quantità Tempo n. manip.
annua manip.
anno
Esito dei controlli sanitari
Poichè ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. A, il personale non strutturato, in quanto inquadrato come personale in formazione, è equiparato ai
lavoratori dipendenti, tutto il personale è stato sottoposto al previsto protocollo di visita medica preventiva per valutare lo stato di salute ed evidenziare eventuali patologie preesistenti in modo da accertare, oltre a
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
443
quanto previsto dall’art. 16 del D.Lgsl. 626/94 “... assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati ai fini della valutazione
della loro idoneità alla mansione specifica”, anche la presenza di eventuali patologie lavoro-correlate, indice di esposizione a elevate concentrazioni di tossici professionali.
Sono stati sottoposti al controllo sanitario, secondo il protocollo indicato in precedenza, complessivamente n. 142 soggetti, di cui 31 strutturati e 111 non strutturati.
I due gruppi di lavoratori non hanno presentano patologie comuni
correlabili con l’esposizione, ma patologie varie disparate. Nel personale
strutturato troviamo come patologia due casi di ipertensione, due casi di
lieve movimento enzimatico, due casi di ernia del disco, un caso di cardiopatia ischemica, un caso di sindrome del tunnel carpale, un caso di turbe del ritmo, un caso di diabete, due casi di microcitemia e un caso di dermatite irritante da contatto. Quest’ultima patologia, unica eventualmente
correlabile con l’attività lavorativa è stata riscontrata in un docente, mansione il cui tempo di esposizione non permette di stabilire un eventuale
nesso di causalità (tabella VII).
Tabella VIII. Patologie diagnosticate nel personale non strutturato.
Tabella VII. Patologie diagnosticate nel personale strutturato
procedura che possiamo definire personalizzata, non ha evidenziato una
reale possibilità di esposizione ad agenti chimici, sia per le modeste quantità di sostanze utilizzate che per il limitato tempo di esposizione. L’analisi delle cartelle cliniche relative alle visite mediche preventive, possibile indice di danno biologico derivante dall’attività lavorativa e ulteriore
elemento di valutazione, inoltre, non ha evidenziato patologie correlabili
con l’esposizione ad agenti chimici.
La procedura utilizzata, anche in presenza di un’esposizione variabile e diversificata, ci ha consentito di valutare con un buon margine di sicurezza l’esposizione ad agenti chimici nei laboratori del Dipartimento di
Scienze Farmaceutiche, che, per le considerazioni espresse in precedenza, può essere definito come “rischio moderato” in quanto, nelle normali
condizioni di lavoro, non è ipotizzabile un contatto diretto con le varie sostanze o una dispersione ambientale significativa.
Rimane sempre la possibilità di un infortunio durante il prelievo del
contenitore della sostanza utilizzata e il suo trasporto all’interno della
cappa, ma si tratta, in ogni caso, di un evento non quantificabile come
quantità né come tempo di esposizione.
Ai sensi dell’art. 72 quater, comma 5 del D.Lgsl. 25/2002 (La valutazione del rischio può includere la giustificazione che la natura e l’entità
dei rischi connessi con gli agenti chimici pericolosi rendono non necessaria un’ulteriore valutazione maggiormente dettagliata dei rischi), visti i
risultati emersi, reputando valida la valutazione effettuata, può essere applicato il comma 2 dell’art. 72 quinquies, cioè la non applicabilità degli
artt. 72 decies e undecies relativi alla sorveglianza sanitaria e all’obbligo
della tenuta delle cartelle sanitarie e di rischio.
Trattandosi tuttavia di un ambiente di lavoro dove l’utilizzo di sostanze chimiche pericolose può avvenire successivamente nel corso di ricerche di nuova ideazione, viene suggerito ai coordinatori delle ricerche
di comunicare in via preventiva al Servizio di Prevenzione e Protezione
dai Rischi e all’Ufficio del Medico Competente le procedure tecniche di
esperimenti con utilizzo di agenti chimici pericolosi o potenzialmente
tossici.
Mansione
Patologia
Numero casi
Tecnico
Bigeminismo extrasitolico
1
Tecnico
Cardiopatia ischemica
1
Tecnico
Diabete mellito tipo 2°
1
Tecnico, docente
Ernia del disco
2
Docente
DIC
1
Tecnico
Ipertensione
2
Ausiliario, Tecnico
Lieve movimento enzimi epatici
2
Tecnico
Microcitemia
2
Ausiliario
Sindrome da tunnel carpale
1
Nel personale non strutturato si evidenzia una patologia diversa da
quella riscontrata nel gruppo degli strutturati. Troviamo infatti cinque casi di microcitemia, quattro casi di lieve anemia (donne giovani), tre casi
di sindrome allergica, due casi di lieve movimento enzimatico, due casi
di gozzo nodulare, due casi di psoriasi e casi singoli di altre patologie.
Quasi tutte le patologie riscontrate, tranne tre casi, sono state diagnosticate in tesisti, personale con tempo di esposizione settimanale limitato
(circa sei ore) presenti nel dipartimento da meno di un anno. Le patologie non sembrano essere in relazione con la mansione. Nella tabella VIII
sono indicate le patologie diagnosticate nel personale non strutturato.
Cconclusioni
La valutazione dell’esposizione ad agenti chimici nel Dipartimento
di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Catania, eseguita con una
Mansione
Patologia
Numero casi
Tesista
Favismo
1
Tesista
Gozzo nodulare
2
Tesista, 1 Dottorando
Lieve anemia (donne)
4
Tesista
Lieve movimento enzimatico
2
Tesista, 1 Dottorando
Microcitemia
5
Dottorando
Paresi ostetrica
1
Tesista
Piastrinopenia lieve
1
Tesista
Policistosi ovarica
1
Tesista
Psoriasi
2
Tesista
Sindrome allergica
3
Tesista
Sindrome di Stein Leventhal
1
POSTER
444
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
G. Miscetti, P. Garofani, R. Ceppitelli, A. Mencarelli, A. Ballerani, R. Angeloni, A. Lumare
Polveri respirabili e silice cristallina in alcuni reparti di una fonderia
di seconda fusione di ghisa
Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro, Area di Assisi - Azienda USL N. 2, Perugia
Introduzione
L’inquinamento da polveri, in particolare da quarzo, ed i conseguenti rischi per la salute, costituiscono uno dei problemi di igiene del lavoro
tradizionalmente connessi alle attività di fonderia di seconda fusione e
che, soprattutto grazie alla progressiva automazione delle operazioni di
lavoro, è andato gradatamente risolvendosi nel tempo (4). Tuttavia la dimostrazione di effetti cancerogeni per l’uomo a carico della silice cristallina (1997, IARC - 1 Gruppo, come quarzo o cristobalite) e recenti innovazioni normative in materia di tutela del lavoratori dai cancerogeni occupazionali e dagli agenti chimici, hanno ridestato l’interesse degli addetti ai lavori proponendo nuove iniziative valutative e di prevenzione. Il
tutto anche alla luce di possibili fenomeni di trasformazione della silice
amorfa in silice cristallina (nelle sue varie fasi: dal quarzo alfa alla cristobalite), determinati dalle alte temperature di esercizio caratterizzanti
alcune fasi di lavoro (3). Come è noto la sabbia silicea è un materiale largamente presente nelle terre di fonderia, in alcuni viene anche addizionata ad altre sostanze quali carbone, resine sintetiche ed altri composti organici al fine di migliorarne le prestazioni alle alte temperature. In questa
ricerca, che è parte di una più ampia indagine sugli inquinanti aerei connessi alle lavorazioni di seconda fusione della ghisa, vengono pertanto
presi in esame i livelli di esposizione a polveri “respirabili” ed a silice cristallina degli addetti del reparto “produzione anime” e del reparto “fusorio”. Scopo dello studio è stato quello di pervenire ad una stima dei livelli
di esposizione dei lavoratori, anche attraverso il confronto con i TLV-TWA
proposti dalla letteratura e di evidenziare possibili gradienti espositivi tra
le varie mansioni svolte dagli addetti.
Materiali e metodi
Sono stati effettuati 42 campionamenti personali di polveri respirabili
così articolati: 8 campionamenti per gli addetti alla formatura a caldo, 7
campionamenti per gli addetti alla formatura a freddo, 6 campionamenti per
gli addetti alla rifinitura delle anime, 7 campionamenti per gli addetti al caricamento forni, 5 campionamenti per il capoturno, 5 campionamenti per il
mulettista e 4 campionamenti per l’addetto alla pulizia staffe. I campionamenti sono stati distribuiti su diverse giornate lavorative ed hanno avuto una
durata oscillante tra le 3 e le 5 ore in modo tale da risultare sempre rappresentativi dell’intero turno di lavoro e sovrapponili a conseguenti stime pon-
derate. Al fine di evidenziare eventuali gradienti di esposizione tra i diversi
gruppi omogenei di lavoratori, i valori medi di ogni categoria di addetti
(FORMATURA A CALDO, FORMATURA A FREDDO, RIFINITURA,
CARICAMENTO FORNI, CAPOTURNO, MULETTISTA, PULIZIA
STAFFE) sono stati anche confrontati tra loro utilizzando allo scopo il test
del t di Student per campioni indipendenti. Le determinazioni analitiche sono state effettuate con il metodo DRX presso il Laboratorio di Sanità Pubblica, Unità Funzionale Igiene e Tossicologia, della USL 7 di Siena.
Risultati
Nelle tabelle 1 e 2 sono riportati i risultati dei campionamenti espressi in termini di media geometrica, media aritmetica, deviazione standard,
limiti fiduciali al 95% ed i confronti con i rispettivi TLV-TWA (1). Le figure 1 e 2 illustrano l’andamento dei singoli campioni nei due reparti indagati sia relativamente alle polveri respirabili che al quarzo.
Commento e conclusioni
I risultati dello studio permettono di apprezzare innanzitutto come la
condizione di esposizione a quarzo dei lavoratori del reparto formatura anime risulti molto contenuta, infatti in ben 16 dei 21 campioni di polveri respirabili analizzate, le concentrazioni di quarzo sono risultate addirittura inferiori alla soglia minima di sensibilità (0,01 mg/mc) del laboratorio di riferimento. Va in ogni caso rilevato che, in particolare durante l’attività di
RIFINITURA, si concentrano i campioni a maggior contenuto di quarzo,
anche se con valori medi comunque contenuti entro il TLV-TWA previsto.
La condizione non appare diversa ove il particolato venga considerato come polvere inerte respirabile (<1% di quarzo). Anche in questo caso, infatti, i valori di esposizione si pongono decisamente al disotto del rispettivo TLV-TWA e ciò sia in termini di singoli valori che di tendenze
medie. Anche la variabilità rilevata nei vari campionamenti non appare
produrre escursioni, intese come estremo superiore del limite fiduciale al
95%, tali da profilare significative ipotesi probabilistiche di superamento
dei TLV-TWA. Infine, è importante sottolineare come all’interno del reparto studiato i livelli di esposizione media dei lavoratori addetti alle diverse mansioni non risultino differire significativamente tra loro, consentendo di classificare gli addetti come appartenenti ad un unico gruppo
omogeneo.
Tabella I. Concentrazioni medie di polveri e quarzo nel reparto formatura anime
POLVERI
Area di lavoro
QUARZO
MG
mg/m3
MA*
mg/m3
DS
mg/m3
LF 95%
mg/m3
MG
MA
DS
LFSup
95%
A) FORMATURA
“A FREDDO” (7)
1,0
1,2
0,7
0,5-1,9
0,01
0,01
0
0,01
B) FORMATURA
“A CALDO” (8)
0,9
1,1
0,6
0,5-1,5
0,01
0,02
0,01
0,03
C) RIFINITURA (6)
1,2
1,4
0,7
0,6-2,2
0,02
0,03
0,02
0,04
( ) numero osservazioni
* TLV-TWA = 3 mg/m3 (frazione respirabile di polveri inerti)
TLV-TWA = 0,05 mg/m3 (polveri contenenti > 1% quarzo)
T di Student: A vs B = 0,53 p>0,05; A vs C = 0,46 p>0,05; B vs A = 1,0 p>0,05
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
445
Tabella II. Concentrazioni medie di polveri e quarzo nel reparto fusorio
POLVERI
Area di lavoro
QUARZO
MG
mg/m3
MA*
mg/m3
DS
mg/m3
LF 95%
mg/m3
MG
MA
DS
LFSup
95%
A) CARICAMENTO
FORNO (7)
2,5
2,8
1,4
1,4-4,2
0,05
0,06
0,03
0,08
B) CAPOTURNO (5)
2,2
2,6
1,3
0,8-4,5
0,04
0,05
0,02
0,07
C) MULETTISTA (5)
2,3
2,7
1,2
1,0-4,4
0,02
0,02
0,01
0,03
D) PULIZIA STAFFE (4)
2,3
2,4
0,9
0,7-4,0
0,06
0,06
0,01
( ) numero osservazioni
* TLV-TWA = 3 mg/m3 (frazione respirabile di polveri inerti)
TLV-TWA = 0,05 mg/m3 (polveri contenenti > 1% quarzo)
T di Student: A vs B = 0,53 p>0,05; A vs C = 0,46 p>0,05; B vs A = 1,0 p>0,05
Figura 1. Polveri nei reparti animisteria e fusorio
Va infine sottolineato il fatto che, risultando la percentuale
di quarzo nella polvere respirabile costantemente superiore
all’1%, ai fini igienistici la polvere in questione non può essere
considerata “inerte” e quindi un eventuale confronto con i TLVTWA non può che fare riferimento al valore indicato per il quarzo. Tale atteggiamento è peraltro in linea con quanto attualmente suggerito dall’ACGIH nel considerare "particelle inerti" soltanto quelle prive di un proprio TLV applicabile o comunque
aventi bassa tossicità. Caratteristica, quest’ultima, non facilmente trasferibile alle polveri di fonderia in relazione alla loro
contaminazione da solventi, idrocarburi, metalli ed altri inquinanti.
Quanto rilevato, quindi, non configura una condizione occupazionale priva di rischi specifici, infatti il quarzo è una sostanza dotata, secondo lo IARC (2), di effetti cancerogeni e come tale, ove rilevabile in concentrazioni apprezzabili, costituisce comunque un elemento di interesse preventivo. Ciò vale anche nel nostro caso e soprattutto nell’area forni fusori caratterizzata da un sostanziale superamento del TLV-TWA previsto
per il quarzo e da una elevata probabilità di superamento anche
di quello indicato per la frazione respirabile delle polveri inerti.
Pur in assenza di più precise (ed attese) emanazioni ministeriali in merito alla applicazione del DL 25/02, ed in accordo con le
correnti acquisizioni circa il rapporto tra rischio chimico e lavorazioni di fonderia (5), i dati presentati non consentono di
classificare come a rischio “moderato” la realtà studiata. Soprattutto se si considera il fatto che dai processi di lavoro descritti, contemporaneamente allo sviluppo di polveri, si ha la liberazione di altri composti volatili; tale evenienza determina
una sicura condizione di esposizione “combinata” a più agenti
tossici, aprendo la strada a possibili e complessi fenomeni di sinergia lesiva.
In conclusione riteniamo che l’esperienza presentata possa
trovare utili riscontri in molti momenti del processo di prevenzione, dalla valutazione del rischio alla programmazione delle
misure di tutela, siano esse di tipo tecnico, organizzativo e procedurale, di protezione individuale, di controllo sanitario ed infine di informazione/formazione dei lavoratori.
Figura 2. Quarzo nei reparti animisteria e fusorio
Bibliografia
Il reparto fusorio appare invece caratterizzato da una condizione
espositiva a polveri respirabili e quarzo decisamente più marcata. Per
quanto riguarda le polveri inerti si apprezza come i valori medi si attestino costantemente poco al disotto del valore limite, mentre l’estremo superiore dei limiti fiduciali al 95%, in virtù della elevata variabilità, viene
a posizionarsi largamente al di fuori del TLV-TWA deponendo per una
non accettabilità igienistica della condizione rilevata. Per il quarzo la
condizione appare ancor più impegnativa, infatti, addirittura tre delle
quattro mansioni studiate, ad eccezione del MULETTISTA, mostrano
concentrazioni medie di quarzo pari o superiori al TLV-TWA e lo stesso
andamento è confermato anche dalla distribuzione dei singoli valori. Il
confronto tra i valori medi delle diverse mansioni non ha mostrato gradienti statisticamente significativi se non nel confronto tra CARICAMENTO forno e CAPOTURNO deponendo per una situazione di rischio
sostanzialmente omogenea.
1) ACGIH Threshold Limit Values and Biological Exposure Indices. 2002.
2) IARC (International Agency for Research on Cancer. Silica, some silicates, coal dust end para-aramid fibrils. Monographs on the evaluation of carcinogenic risks to humans. Vol. 68, Lyon 1996.
3) Rimoldi B, Dapiaggi M, Artioli G. Inquinamento da cristobalite nella
produzione di piccoli particolari metallici. Giornale degli Igienisti Industriali; vol. 26, n. 4, ottobre 2001.
4) Pisanelli F, Rimoldi B, Santucciu P, Tripi L. Critical review on silica
exposure during foundry activities in Lombard Region. INAIL, Direzione Regionale Lombardia, Consulenza tecnica accertamento rischi
e prevenzione, Milano, Italy.
5) Beccastrini S, Tavassi S. Rischi, danni e soluzioni nel comparto fonderie di ghisa in terra di II fusione dell’area fiorentina. Fogli d’Informazione ISPESL 3/1999.
POSTER
446
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
P. Bianco1, V. Anzelmo2, V. Fiorespino3, R. Ieraci4, M. Comito4
Gli strumenti preventivi per il rischio di bioterrorismo negli operatori
dell’infomazione in missione all’estero
1
2
3
4
Servizio Sanitario Rai Radiotelevisione Italiana - Roma
Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma
Direzione Risorse Umane Rai Radiotelevisione Italiana - Roma
Travel Clinic ASL RME - Roma
Introduzione
La tutela della salute del lavoratore all’estero rappresenta una tematica
emergente nell’ambito della medicina del lavoro, che si inserisce nel più ampio contesto della medicina dei viaggi e del turismo, configurando l’area interdisciplinare della “travel occupational medicine”. I rischi per la salute e la
sicurezza di questa categoria professionale sono molteplici, ormai codificati,
rientrando a pieno titolo nei documenti di valutazione di rischio per le aziende di comparti produttivi che operano all’estero. I rischi derivano soprattutto
dall’esposizione ad agenti fisici, chimici, biologici, in rapporto alle diverse attività lavorative e ai diversi Paesi di destinazione (clima, area di residenza lavorativa, condizioni abitative, condizioni di vita, situazioni politico-sociali,
guerre e/o tensioni sociali). In aggiunta, vanno considerati i fattori psicologici relativi all’adattamento alla realtà locale e al carico prestazionale richiesto,
che in alcune situazioni può diventare elevato. Gli operatori dell’informazione (giornalisti, tecnici, amministrativi) rappresentano un settore peculiare di
questo comparto, e più frequentemente possono essere esposti a fattori di rischio legati alle condizioni di soggiorno e alle realtà sociali dei Paesi ospitanti, in ragione della loro specifica attività lavorativa. Essi infatti sono incaricati di seguire eventi internazionali che possono anche comprendere situazioni critiche, sia per eventi naturali calamitosi che per eventi politici e bellici.
Il bioterrorismo nel contesto del rischio NBC
Già da tempo, l’uso di armi non convenzionali in ambito militare configura l’area “NBC”, ovvero l’uso, in caso di conflitto, di armi nucleari
chimiche e batteriologiche. Le forze armate di tutti i paesi hanno considerato questi possibili scenari bellici ed hanno da tempo approntato sistemi
e procedure di difesa chimica, biologica e nucleare.
Un rischio aggiuntivo ed emergente per gli operatori dell’ informazione
in missione all’estero, rispetto a quelli già analizzati, ed in rapporto alla recente situazione politica internazionale, è rappresentato dalla minaccia di un
possibile uso di armi chimiche e biologiche nei confronti della popolazione
civile, come espressione di terrorismo. In particolare, allo stato attuale, l’uso
di agenti biologici come atto di terrorismo locale, configura il rischio di bioterrorismo in cui la disseminazione di virus o batteri come atto di aggressione può essere responsabile di epidemie con elevata morbilità e mortalità alla
popolazione civile. I CDC di Atlanta classificano gli agenti biologici che potrebbero essere impiegati a scopo bioterroristico, in tre differenti categorie: 1)
categoria A: il virus del vaiolo, il bacillo del carbonchio, il bacillo del botulismo, il bacillo della peste; 2) categoria B: il vibrione del colera, le salmonelle, le shigelle; 3) categoria C: sono inclusi agenti patogeni che attraverso tecniche di ingegneria genetica potrebbero essere modificati ed utilizzati ai fini
di disseminazione, in rapporto alla facilità di produzione e alla potenziale elevata morbilità e mortalità, come gli hantavirus e il virus della febbre gialla.
ro, con visite mediche, esami emato-chimici e strumentali, vaccinazioni di
base. Sono stati approntati percorsi formativi, con lezioni frontali ed esercitazioni pratiche, riguardanti la difesa biologica secondo le indicazioni e le
metodologie fornite da settori delle forza armate specializzate nella difesa
NBC. Sono stati descritti i principali agenti patogeni (modalità di trasmissione, manifestazioni cliniche, ecc.) ed i veicoli della minaccia biologica (alimenti, bevande, vestiario, terra, acqua e aria); sono stati indicati i sistemi della protezione biologica, consistenti nel contrastare la penetrazione (protezione individuale) e l’attività patogena (protezione sanitaria) degli agenti biologici; sono state indicate le misure di protezione individuale (misure igieniche
e uso di materiale di circostanza: telotenda, fazzoletti, coperte, sacchetti di
plastica); sono stati descritti gli strumenti di protezione sanitaria (profilassi
immunologica attiva e passiva, chemioprofilassi; terapia post-infezione). Sono stati inoltre presentati i dispositivi di protezione individuale (maschere e
filtri anti-NBC e tute protettive munite di guanti e stivali). Infine sono state
esplicate le modalità di decontaminazione (immediata a cura del singolo, differita a cura di personale specializzato). Sono stati inoltre forniti modelli di
procedura di evacuazione dalla zona a rischio, con simulazioni pratiche.
In particolare per l’antrace, dopo le specifiche informazioni, in caso di
esposizione confermata a spore di carbonchio aereosolizzate, i soggetti
esposti sono stati formati ad intraprendere la profilassi post-esposizione con
un antibiotico adeguato(fluorochinolonici come scelta, doxiciclina in alternativa), La vaccinazione post-esposizione (con vaccino inattivato acellulare
di carbonchio) è stata prevista in aggiunta alla chemioprofilassi a seguito di
incidente biologico provato. La vaccinazione consta in 3 somministrazioni,
di cui la prima da effettuare appena possibile dopo l’esposizione, e quindi a
2-4 settimane dall’esposizione. Per il rischio vaiolo, la vaccinazione è efficace anche dopo l’esposizione, purchè venga praticata dopo 2-3 gg. La vaccinazione può associarsi a reazioni avverse (encefalite da vaccino e la malattia da vaccino), pertanto l’orientamento attuale è quello della vaccinazione post-esposizione. Per il rischio peste, poiché il vaccino può non essere
completamente protettivo, anche in presenza di elevati valori anticorpali, i
soggetti che soggiornano in un’area in cui si manifesti un’epidemia di peste,
devono effettuare la chemioprofilassi con tetracicline, per 2-3 settimane.
Agli operatori con possibile destinazione in aree geografiche critiche sono
stati infine forniti kit sanitari di emergenza oltre all’equipagggiamento anti-NBC.
Conclusioni
L’esposizione a rischi emergenti e non ancora codificati coinvolge alcune
particolari categorie lavorative. L’applicazione della metodologia della valutazione del rischio, un’adeguata formazione ed informazione, settori aziendali dedicati e con specifiche esperienze, l’approccio multidisciplinare che coinvolge diverse professionalità, rappresentano gli strumenti idonei per affrontare, in tempi brevi, la gestione dei nuovi rischi e tutelare la sicurezza e la salute di lavoratori.
Interventi preventivi
Bibliografia
In relazione agli eventi internazionali verificatisi dopo la disseminazione di spore di carbonchio negli Stati Uniti, si è presentata per gli operatori
dell’informazione, la problematica della prevenzione del bioterrorismo. A
partire dal settembre 2001, 200 operatori dell’informazione (giornalisti, telecineoperatori, tecnici) che si recavano nelle aree geografiche critiche (ad es.
Iraq, Siria, Afghanistan), sono stati interessati a programmi preventivi nei
confronti del bioterrorismo, che hanno visto coinvolti i servizi sanitari di
aziende radiotelevisive, i medici del lavoro di testate giornalistiche e di strutture universitarie, la Travel Clinic della ASL RME e settori delle forze armate italiane specializzate nella difesa NBC. Gli strumenti preventivi utilizzati
sono stati: programmi di formazione e informazione specifici vaccinazioni,
chemioprofilassi, programmi di formazione e informazione specifici, dispositivi di protezione individuale. La maggior parte degli operatori aveva già effettuato programmi di sorveglianza sanitaria per l’attività lavorativa all’este-
1) Bianco P, Anzelmo V, Castellino N. La sorveglianza sanitaria del lavoratore all’estero: aspetti metodologici e riferimenti legislativi. Atti
del Convegno “La prevenzione del rischio biologico dei lavoratori all’estero”, Castegandolfo 28 giugno 2001, pp 11-26.
2) Bianco P, Anzelmo V, Castellino N, Ieraci R, Comito M. Prevention
strategies and sanitary surveillance for health protection of workers
travelling to foreign countries.Atti III European Conference on Travel
Medicine, Firenze 15-18 maggio 2002, pp 56.
3) Center for Diseases Control and Prevention. Update: Investigation of
bioterrorism-related antrx ad interim guidelines for rxposure management and antimicrobial therapy. October 2001, MMWR Morb Mortal
Wkly Rep. 2001; 50 (42): 909-19.
4) Ostroff MS. Biological and chemical terrorism and travel: overview. Atti III
European Conference on Travel Medicine, Firenze 15-18 maggio 2002, pp 1.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
447
P.L. Cocco, S. Cocco, G. Licheri, L. Marrocu
Rischio di Sclerosi Laterale Amiotrofica associato allo sport
professionistico
Dipartimento di Sanità Pubblica - Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Cagliari
Introduzione
L’osservazione di 33 casi di sclerosi laterale amiotrofica (ALS) in tre
anni tra i calciatori Italiani, che svolsero attività professionistica negli anni 1960-96, ha suggerito un legame tra lo sforzo fisico sopramassimale, o
altri fattori associati allo sport professionistico, ed il rischio di ALS. La
plausibilità dell’ipotesi è rinforzata dal fatto che la malattia è anche conosciuta come morbo di Lou Gehrig, dal nome di un famoso giocatore
professionista di baseball Americano, che ne fu affetto.
tettivo (Odds Ratio (OR) = 0.7; I.F.95% 0.6,0.8), mentre il rischio aumentava significativamente in rapporto alla condizione socioeconomica.
Quest’ultimo risultato potrebbe essere in relazione ad un accesso facilitato alle procedure diagnostico-terapeutiche nelle classi sociali più elevate. Sia la condizione socioeconomica, che lo stato civile sono stati inseriti come covariate nel modello di regressione logistica utilizzato per
la stima dei rischi di ALS associati all’attività lavorativa. Solo 5/5025
casi di sesso maschile e nessuno dei 4584 casi di sesso femminile riportavano l’attività di atleta professionista nel certificato di decesso. L’OR
nei casi di sesso maschile è risultato di 2.1 (I.F. 95% 0.7, 6.0, basato su
5 casi e 12 controlli).
Metodi
La disponibilità di un data-base pubblicamente accessibile, contenente i dati riportati in circa 6 milioni di certificati di 24 stati degli Stati Uniti nel periodo 1984-95, ha consentito l’esplorazione dei rischi occupazionali di ALS in questo Paese. Sono stati individuati in tutto 9614 casi (5030
uomini e 4584 donne) di decessi per ALS (ICD-9 335.2). Come controlli
sono stati selezionati 48070 soggetti deceduti per altre patologie, ad esclusione di quelle a carico del sistema nervoso centrale, accoppiati in rapporto di 5: 1 ai casi per area geografica di residenza, sesso, razza ed età.
Risultati
Il rischio di ALS non variava a seconda della residenza urbana o rurale. La condizione di coniugato mostrava un significativo effetto pro-
Conclusioni
Il fatto che solo cinque soggetti di sesso maschile e nessuno di sesso
femminile tra i 9614 casi di ALS identificati si fossero manifestati tra
atleti professionisti induce a ritenere che lo sforzo fisico sopramassimale,
o altri fattori associati alla pratica sportiva agonistica, forniscano un contributo scarsamente rilevante all’eziologia della ALS nel complesso.
D’altra parte, l’associazione osservata non è statisticamente significativa,
anche se il risultato va nella direzione attesa dall'ipotesi che ha motivato
lo studio. L’accesso al data-base aggiornato, che contiene un numero di
decessi pressoché doppio rispetto a quello analizzato in questo studio, potrebbe consentire di ottenere il potere statistico necessario per la valutazione del risultato.
POSTER
448
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
P.L. Cocco, M.E. Cocco, L. Paghi, G. Avataneo, S. Atzeri, A. Salis, A. Mastrodicasa, C.A. Lippi Serra,
M.G. Ennas1, T. Erren2
Escrezione urinaria del 6-idrossisolfato di melatonina ed esposizione domestica
a campi elettromagnetici a frequenza estremamente bassa (50 Hertz)
Dipartimento di Sanità Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Cagliari
1 Dipartimento di Citomorfologia, Università di Cagliari
2 Institute and Policlinic for Occupational and Social Medicine, University of Cologne, Cologne, Germany
Introduzione
Alcuni studi su animali da esperimento hanno indicato che l’esposizione a campi elettromagnetici a frequenza estremamente bassa (50-60
Hertz ELF-EMF) può ridurre la produzione di melatonina da parte della
ghiandola pineale nelle ore notturne (Lambrozo et al., 1996). Gli studi
nell’uomo hanno prodotto risultati contraddittori (Selmaoui et al., 1996;
davis et al., 2001). Poiché è stato suggerito che l’inibizione della ghiandola pineale potrebbe essere alla base dell’ipotetico aumento del rischio
oncogeno associato all’esposizione occupazionale ed ambientale ELFEMF (Stevens, 1987), abbiamo studiato l’escrezione urinaria del 6-idrossisolfato di melatonina (6-OHMS) in rapporto ai livelli medi del campo
ELF-EMF nella residenza dei soggetti partecipanti allo studio.
vano alcuna correlazione con l’escrezione di 6-OHMS con le urine del
mattino (Spearman’s ρ = 0.132; GL = 48; p = NS). L’escrezione mediana
6-OHMS con le urine del mattino era 40.5 ng/ml (range 2.9-160) per intensità medie di campo ELF-EMF ≤ 0.02 µT, 19.25 ng/ml (range 5-450)
per intensità medie comprese tra 0.03 e 0.1 µT, e 57.5.0 ng/ml (range 10150) per intensità medie ≥ 0.11 µT. Un campione delle urine emesse la
notte prima della misurazione del campo ELF-EMF era disponibile per
29 soggetti. I livelli di escrezione di 6-OHMS con le urine del mattino, riflettendo il picco notturno della funzione pineale e delle concentrazione
di melatonina nel siero, erano più elevati in 17/29 soggetti, mentre il ritmo era assente o invertito nei restanti 12/29 soggetti. Il tasso di prevalenza di soggetti con alterato ritmo di escrezione della melatonina non
mostrava cambiamenti sostanziali in rapporto all’intensità del campo
ELF-EMF in condizioni basali (0.46 a ≤ 0.02 µT, 0.30 a 0.03 - 0.1 µT, e
0.40 a ≥0.11 µT).
Materiali e metodi
Conclusioni
Misurazioni spot del campo ELF-EMF sono state condotte in 15
punti predefiniti all’interno delle abitazioni di 51 soggetti (29 uomini e
22 donne), sia ad elevato (con tutte le luci e gli elettrodomestici accesi)
che a basso carico elettrico (con tutte le luci e gli elettrodomestici spenti = livello di base), utilizzando uno strumento portatile programmabile
(EMDEX II, Ampere, Milano). Ai soggetti partecipanti allo studio, uno
per ogni abitazione, era richiesto di raccogliere un campione di urine alle 22 della sera precedente, ed un altro alle ore 8 della mattina nella quale si procedeva alla misurazione del campo ELF-EMF. La concentrazione urinaria del 6-OHMS è stata determinata con metodo immunoenzimatico.
Risultati
La concentrazione mediana del 6-OHMS nelle urine del mattino era
più elevata tra le donne (49 ng/ml, range 5-150) che tra gli uomini (35.5
ng/ml, range 2.9-350). L’escrezione urinaria di 6-OHMS tendeva a diminuire con l’età particolarmente tra le donne, sebbene i coefficienti di regressione non raggiungessero la significatività statistica (uomini: r =
-0.102; donne: r = -0,317). I valori medi del campo ELF-EMF ad elevato ed a basso carico erano tra loro fortemente correlati (r =.895; p
<0.001). pertanto, il contributo degli elettrodomestici e dell’apparato di
illuminazione all’intensità del campo nei punti predefiniti dell’abitazione
appariva trascurabile. I valori di base del campo ELF-EMF non mostra-
Il nostro studio non ha confermato l’ipotesi che l’esposizione a livelli
di campo ELF-EMF quali quelli comunemente misurati all’interno delle
abitazioni alteri la funzione pineale e quindi il livello ed il ritmo della
escrezione urinaria di 6-OHMS. Appare improbabile pertanto che un’alterazione delle funzione pineale sia alla base del presunto aumento del rischio oncogeno associato all’esposizione a campi ELF-EMF.
Bibliografia
1) Davis S, Kaune WT, Mirick DK, Chen C, Stevens RG. Residential
magnetic fields, light-at-night, and nocturnal urinary 6-sulfatoxymelatonin concentration in women. Am J Epidemiol 2001; 154: 591609.
2) Lambrozo J, Touitou Y, Dab W. Exploring the EMF-Melatonin connection: a review of the possible effects of 50/60 Hz electric and magnetic fields on melatonin secretion. Int J Occup Environ Health
1996; 2: 37-47.
3) Selmauoi B, Lambrozo J, Touitou Y. Magnetic fields and pineal function in humans. Evaluation of nocturnal acute exposure to extremely
low frequency magnetic fields on serum melatonin and urinary 6-sulfatoxymelatonin circadian rhythms. Life Sci 1996; 58: 1539-49.
4) Stevens RG. Electric power use and breast cancer: a hypothesis. Am
J Epidemiol 1987; 125: 556-61.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
449
S. Fustinoni, F. Vercelli, V. Foà
Esposizione personale a bassi livelli di 1,3-butadiene aerodisperso
in un impianto petrolchimico italiano
Laboratorio di Igiene Industriale e Tossicologia, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano e ICP - Milano
Introduzione
1,3-Butadiene (BD) è un probabile cancerogeno per l’uomo (1) ed un
inquinante aerodisperso degli ambienti di vita e di lavoro. Tra le possibili sorgenti di esposizione in ambito industriale e di vita vi sono gli impianti di produzione ed utilizzo del BD, le emissioni autoveicolari e il fumo di sigaretta (2-3). Scopo della presente ricerca è stata la valutazione
dell’esposizione personale a bassi livelli di BD in operatori di un impianto petrolchimico italiano.
Parte sperimentale
Sono stati selezionati 44 lavoratori di cui 11 addetti alla produzione
del BD (impianto A), 13 addetti alla produzione di polimero BD-stirene
in soluzione di cicloesano (impianto B), 9 addetti alla produzione di cispolibutadiene in soluzione di esano (impianto C), e 11 addetti alla produzione di lattice stirene-BD e polibutadiene in emulsione acquosa (impianto D). L’esposizione di questi soggetti è stata valutata attraverso 1-4
campionamenti personali effettuati durante differenti turni di lavoro (mattina, 6: 00-14: 00, pomeriggio 14: 00-22: 00, notte 22: 00-6: 00, giornaliero (circa 8: 00-17: 00). Per controllo è stata valutata l’esposizione a BD
di 43 soggetti impiegati in settori aziendali dove non vi è esposizione professionale a BD (amministrazione, altre produzioni), attraverso 1 campionamento effettuato durante il turno di lavoro giornaliero. Esposti e
controlli sono stati accoppiati per abitudine al fumo di sigaretta. In totale
sono stati raccolti 207 campioni d’aria. Il BD è stato adsorbito su tubi di
campionamento (Perkin Elmer) contenenti 500 mg di CarboSieve III (Supelco) posti in zona respiratoria e raccordati a pompe SKC Aircheck 52,
tarate al flusso di 50 ml/min (4). I campioni d’aria sono stati analizzati
utilizzando un desorbitore termico accoppiato ad un gascromatografo
munito di colonna HP-Plot Al2O3/KCl (50 mt lunghezza, 0.53 mm di
diametro interno) e rivelatore FID. Il limite di quantificazione (LD) del
metodo è 0.1 µg/m3.
Risultati
L’esposizione personale media (2-4 campionamenti) a BD è risultata
pari a 1.5 µg/m3 (mediana), nell’intervallo 0.1-220.7 µg/m3 nei soggetti
esposti e 0.4, <0.1-3.8 µg/m3 nei controlli. In figura 1 sono illustrati i grafici a scatole con le distribuzioni dei livelli di BD riscontrate nelle casistiche dei soggetti esposti e dei controlli. La differenza di esposizione tra
i due gruppi è risultata significativa. Durante il turno di mattina sono state riscontrate le più elevate esposizioni a BD (1.7 vs. 0.8 e 0.9 µg/m3 per
i turni pomeridiano e notturno, rispettivamente). L’esposizione a BD nei
diversi impianti mostra differenze significative ed in particolare con gli
operatori dell’impianto D risultano maggiormente esposti (9.3 vs. 2.6, 0.7
e < 0.1 µg/m3 negli impianti A, B e C, rispettivamente).
Discussione
La elevata sensibilità del metodo utilizzato per il monitoraggio dell’esposizione a BD ha consentito di evidenziare differenze significative
Figura 1. Metodo di valutazione dell’esposizione a specifici
pesticidi
tra esposti e controlli, anche se le due casistiche mostrano esposizioni in
parte sovrapponibili. La esposizione personale a BD negli addetti alla
produzione e polimerizzazione ha mostrato livelli molto al di sotto dei valori limite per gli ambienti di lavoro raccomandati o prescritti dalle differenti agenzie regolatorie con valori che al massimo sono circa pari a 1/20
del valore limite di soglia TLV-TWA pari a 4400 µg/m3, attualmente raccomandato dall’associazione degli igienisti industriali americani (5).
Bibliografia
1) International Agency for Research on Cancer. 1,3-Butadiene. In:
IARC monographs on the evaluation of carcinogenic risks to humans.
Re-evaluation of some organic chemicals, hydrazine and hydrogen
peroxide, Vol 71. Lyon, France: World Health Organization, 1999,
109-225.
2) Brunnemann KD, Kagan, MR, Cox JE, Hoffmann D. Analysis of 1,3butadiene and other selected gas-phase components in cigarette mainstream and sidestream smoke by gas chromatography-mass selective
detection. Carcinogenesis 1990; 11: 1863-1868.
3) Kim, YM, Harrad S, Harrison RM. Concentration and sources of
VOCs in urban domestic and public microenvironments. Environ Sci
Technol 2001; 35: 997-1004.
4) Health and Safety Executive. 1,3-Butadiene in air. Laboratory method
using molecular sieve diffusion samplers, thermal desorbtion and gas
chromatography N 63. In: Methods for the determination of hazardous substances. Sheffield, United Kingdom: HSE, 1989.
5) American Conference of Governmental Industrial Hygienists. Threshold limit values and biological exposure indices. Cincinnati, Ohio,
USA: ACGIH, 2002.
POSTER
450
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
S. Fustinoni, I. Bonomi, F. Vercelli, V. Foà
Valutazione di concordanza tra campionamento attivo e passivo
per determinare bassi livelli di 1,3-butadiene aerodisperso (µg/m3)
Laboratorio di Igiene Industriale e Tossicologia, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano e ICP - Milano
Introduzione
Per il monitoraggio dell’esposizione ambientale a inquinanti aerodispersi presenti negli ambienti di vita e di lavoro, possono essere utilizzati sia
il campionamento attivo che quello passivo. Nel presente studio le due modalità di campionamento sono state messe a confronto per determinare basse concentrazioni (nell’ordine dei µg/m3), di 1,3-butadiene (BD), un probabile cancerogeno per l’uomo [1] ed un inquinante degli ambienti di vita e di
lavoro [2]. Scopo di questa valutazione era proporre la sostituzione del campionamento attivo, tipicamente impiegato per questi dosaggi e che implica
l’utilizzo di sistemi di aspirazione (pompe) per forzare l’aria attraverso un
tubo contenete una sostanza adsorbente, con un campionamento passivo.
Materiale e metodi
Per il campionamento sono stati utilizzati tubi in acciaio (90 mm lunghezza X 5 mm diametro, Perkin Elmer) contenenti 500 mg di CarboSieve III
(Supelco). Nel caso di campionamento attivo i tubi sono stati raccordati a
pompe SKC Aircheck 52, tarate al flusso di 50 ml/min. Nel caso di campionamento passivo i tubi sono stati muniti di camera di diffusione; come velocità di diffusione (up-take rate) è stato utilizzato il valore di 0.59 ml/min [3].
I sistemi di campionamento sono stati collocati, per 4-6 ore, in parallelo in 14
postazioni fisse di un impianto per la produzione e polimerizzazione del BD,
e in zona respiratoria di 6 lavoratori dell’impianto. I campioni d’aria raccolti
sono stati analizzati utilizzando un desorbitore termico (Perkin Elmer), accoppiato ad un gascromatografo munito di colonna HP-Plot Al2O3/KCl (50
mt lunghezza X 0.53 mm di diametro interno) e rivelatore FID. Il limite di
quantificazione (LD) del metodo è 1 ng di BD sul tubo, ovvero, in termini di
concentrazione aerodispersa, e tenuto conto dei volumi campionati, 0.1 e 4.0
µg/m3 per la modalità attiva e passiva, rispettivamente.
Risultati
Campionando attivamente la concentrazione di BD aerodisperso è risultata di 10.8 µg/m3 (mediana), nell’intervallo 1.9-333.7 µg/m3. Campionando passivamente il 50% dei campioni è risultato non quantificabile (BD
< LD). Assegnando un valore pari a 1/2 LD a questi campioni, la concentra-
zione di BD aerodisperso è risultata 4.3, nell’intervallo < 4.0-162.1 µg/m3.
La valutazione di concordanza è stata effettuata sui dati trasformati nei rispettivi logaritmi naturali, con l’uso del t-test per dati accoppiati (t = 3.87),
del coefficiente di correlazione di Pearson (r = 0.916), e del coefficiente di
correlazione di interclasse (ri = 0.398) [4]. In figura 1 è mostrata la correlazione lineare ottenuta tra le copie di dati. In figura 2 è mostrato lo scarto percentuale tra i livelli di BD ottenuti utilizzando il campionamento attivo e
quello passivo.
Discussione
I risultati del t-test e il basso valore di ri negano la concordanza tra i
due metodi di campionamento. Questo è in parte imputabile alla minore
sensibilità del campionamento passivo, infatti la massima discrepanza è
rilevata sulle concentrazioni inferiori a 7.0 µg/m3, ma anche ad una probabile sovrastima della velocità di diffusione, per cui i livelli di BD ottenuti con il campionamento passivo risultano sistematicamente più bassi
rispetto a quelli ottenuti con il campionamento attivo. In conclusione, per
il monitoraggio di basse concentrazioni di BD aerodisperso, la metodologia che implica il campionamento attivo risulta essere quella di scelta per
applicazioni future.
Bibliografia
1) International Agency for Research on Cancer. 1,3-Butadiene. In:
IARC monographs on the evaluation of carcinogenic risks to humans.
Re-evaluation of some organic chemicals, hydrazine and hydrogen
peroxide, Vol 71. Lyon: World Health Organization, 1999, 109-225.
2) Kim YM, Harrad S, Harrison RM. Concentration and sources of
VOCs in urban domestic and public microenvironments. Environ. Sci
Technol 2001; 35: 997-1004.
3) Health and Safety Executive. 1,3-Butadiene in air. Laboratory method
using molecular sieve diffusion samplers, thermal desorbtion and gas
chromatography N 63. In: Methods for the determination of hazardous substances. Sheffield: UK HSE, 1989.
4) Lee J, Koh D, Ong CN. Statistical evaluation of agreement between
two methods for measuring a quantitative variable. Comput Biol Med
1989; 19: 61-70.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
451
B. Papaleo, L. Caporossi, M. De Rosa, S. Signorini, A. Pera
Esposizione professionale a distruttori endocrini: attuali conoscenze
e prospettive future
ISPESL - Dipartimento di Medicina del Lavoro - Roma
L’esposizione a sostanze chimiche, in ambienti di vita e di lavoro, ha
un posto di rilievo fra i fattori di rischio per la salute riproduttiva. La ricerca si sta orientando su sostanze in grado di interferire, attraverso diversi
meccanismi, con il funzionamento del sistema endocrino (1, 2), soprattutto
con l’omeostasi degli steroidi sessuali e della tiroide (3). Ancora oggi sono
numerosi i punti da chiarire riguardo i meccanismi biologici alla base delle correlazioni tra esposizione e sviluppo di patologie, gli eventuali fattori
di suscettibilità e/o di rischio concomitanti e soprattutto l’intero spettro
di patologie potenzialmente associabili a questo genere di esposizione.
Un elenco di queste sostanze include certamente: i contaminanti alogenati persistenti (diossine, policlorobifenili) che hanno mostrato un’azione antiestrogenica e l’alterazione dei livelli di ormoni tiroidei in animali; antiparassitari, pesticidi, fitofarmaci (tiocarbammati, clororganici,
imidazoli, triazoli, triazine), che conducono ad una forte azione antiandrogenica demascolinizzante fino all’ermafroditismo in animali; sostanze di uso industriale, come gli alchilfenoli che hanno mostrato effetti antiandrogenici e gli ftalati come modulatori estrogenici; alcuni metalli pesanti come Cd e As; pur non essendoci risultati univoci per l’ interazione
dello stirene con i recettori estrogenici si ritiene comunque che possa
rientrare nel gruppo dei modulatori endocrini, ed alcuni autori suggeriscono inoltre un suo possibile effetto sull’attività tiroidea (3, 4).
L’ubiquitarietà di questi contaminanti ambientali rende difficile valutare le condizioni di esposizione, gli studi clinico-epidemiologici sui lavoratori in serra e agricoltori, in contatto con pesticidi di diversa natura,
hanno mostrato un ritardo significativo nel concepimento (5, 6) e un incremento del rischio di aborti spontanei (7), in particolare l’esposizione a
organofosfati ha mostrato l’induzione dell’ovulazione, il decremento dei
livelli di LH e progesterone nel sangue e l’insorgere di fetotossicità (8).
Il monitoraggio biologico di professionalmente esposti a stirene mostra
una alterazione dei livelli degli ormoni tiroidei (9), mentre il dosaggio di
bisfenolo A in urine di spruzzatori di resine epossidiche ha mostrato livelli indicativi di ridotta secrezione degli ormoni gonadotropici negli uomini (10). Tuttavia gli studi condotti finora, e i dati prodotti, non possono considerarsi conclusivi, ciò è da attribuirsi al diverso approccio tossicologico che queste sostanze impongono. In particolare occorre che l’esposizione ambientale sia di tipo cronico, per cui il paradigma dose/risposta risulta difficilmente applicabile; in secondo luogo gli effetti dell’esposizione potrebbero essere latenti e manifestarsi a distanza di anni
dall’esposizione; infine, ancora non sembra possibile individuare la dose
minima cui non si osservano effetti.
La necessità di indirizzare gli studi in questa direzione è stata ribadita anche dalla Commissione Europea, con specifico riferimento all’urgenza di definire una strategia comunitaria per il controllo di questi inquinanti; è stata indicata la necessità di organizzare studi epidemiologici
per ampliare la conoscenza sulle correlazioni tra EDC e patologie, particolarmente del sistema neurologico, immunitario ed endocrino, con attenzione ai meccanismi di azione e alle vie di esposizione; si vogliono incrementare le conoscenze sui composti potenzialmente tireostatici e antiandrogenici e tutto ciò richiederà la definizione di nuove metodiche, da
standardizzare, per la valutazione dell’esposizione, con riferimenti specifici alle basse dosi a lungo termine e ai casi di esposizioni multiple (11).
Nell’ambito della Ricerca Finalizzata del Ministero della Salute è
stato avviato, partendo da queste considerazioni, un progetto sullo studio
degli effetti biologici dei modulatori endocrini sul sistema endocrino e
sulla salute riproduttiva. Si stanno studiando le interferenze che alcune di
queste sostanze (particolarmente i PCB) determinano nei processi di neurogenesi e sulla steroidogenesi; si sta valutando la relazione esistente tra
l’esposizione a modulatori endocrini e alcune patologie endocrine di tipo
riproduttivo; si stanno inoltre mettendo a punto tecniche analitiche tradizionali e innovative per la determinazione e caratterizzazione di questi
contaminanti chimici sia in matrici ambientali che biologiche. Gli obiettivi principali sono quelli di definire degli specifici sistemi e protocolli
sperimentali, approfondire le conoscenze sui meccanismi di interazione
xenobiotico/sistema ormonale, definire con maggior dettaglio le patologie riproduttive, con particolare attenzione alla salute riproduttiva della
donna, legate a specifiche esposizioni con l’impostazione di un disegno
epidemiologico mirato.
Bibliografia
1) Baccarelli A, Pesatori AC, Bertazzi PA. Occupational and environmental agents as endocrine disruptors: experimental and human evidence, J Endocrinol Invest 2000; 23 (11): 771-81.
2) Figa-Talamanca I, Traina ME, Urbani E. Occupational exposures to
metals, solvents and pesticides: recent evidence on male reproductive effects and biological markers, Occup Med (Lond) 2001; 51 (3):
174-88.
3) Brucker-Davis F. Effects of environmental synthetic chemicals on
thyroid function, Thyroid 1998; 8 (9): 827-56.
4) Singleton DW, Khan SA. Xenoestrogen exposure and mechanisms of
endocrine disruption, Front Biosci 2003; 1; 8: S110-8.
5) Koifman S, Koifman RJ, Meyer A. Human reproductive system disturbances and pesticides exposure in Brazil, Cad Saude Publica
2002; 18 (2): 435-45.
6) Petrelli G. Musti M, Figà-Talamanca I. Esposizione a pesticidi in serra e fertilità maschile, G Ital Med Lav Erg 2000; 22 (4): 291-295.
7) Petrelli G, Figà-Talamanca I, Tropeano R, Tangucci M, Cini C, Aquilani S, Gasperini L, Meli P. Reproductive male-medeiated risk: spontaneous abortion among wives of pesticide applicators, Eur J Epidemiol 2000; 16 (4): 391-3.
8) Sharara FI, Seifer DB, Flaws JA. Environmental toxicants and female reproduction, Fertility and Sterility 1998; 70 (4): 613-622.
9) Mutti A, Vescovi PP, Falzoi M, Arfini G, Valenti G, Franchini I. Neuroendocrine effects of styrene on occupationally exposed workers,
Scand J Work Environ Health 1984; 10 (4): 225-8.
10) Hanaoka T, Kawamura N, Hara H, Tsugane S. Urinary bisphenol A
and plasma hormone concentrations in male workers exposed to bisphenol A diglycidyl ether and mixed organic solvents, Occup Environ Med 2002; 59: 625-628.
11) European Commision 2001, European Workshop on Endocrine Disruptors (Aronsborg 18-20 June 2001).
POSTER
452
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
A. Pera, P. Tomao, C. D’Ovidio, N. Vonesh
Infezione da Citomegalovirus (CMV): gestione del rischio da esposizione
nelle lavoratrici del settore sanitario
ISPESL - Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro Dipartimento di Medicina del Lavoro
Introduzione
Il citomegalovirus (CMV) è un virus a DNA appartenente alla famiglia Herpesviridae, sottofamiglia Betaherpesvirinae, caratterizzato da: ristretto spettro d’ospite, lento ciclo replicativo, capacità di indurre latenza
in differenti tipi di cellule. Il virus è altamente infettivo ma scarsamente
patogeno, l’eliminazione avviene intermittentemente con la saliva. L’infezione, una volta esaurito lo stato acuto, si mantiene nell’organismo allo stato latente con la possibilità di successive riattivazioni dell’infezione
produttiva. Il decorso è di solito asintomatico con andamento generalmente benigno, tranne nei bambini e negli adulti immunocompromessi,
rappresentando un problema grave nei soggetti trapiantati, nei pazienti in
terapia per cancro, nei malati di AIDS, negli emodializzati, nelle donne in
gravidanza, e nei neonati molto prematuri.
Razionale
Negli ultimi 15 anni, l’incidenza nella popolazione generale dell’infezione da CMV è diminuita in seguito al miglioramento delle condizioni sociali, economiche, ed igieniche. Infatti lo stato socio-economico,
l’età e le abitudini sessuali sono tutti fattori che possono influenzare la
prevalenza degli anticorpi anti-CMV (1, 13). In ambito lavorativo, tali
variabili rendono difficile riconoscere “l’occupazione” quale unico/prevalente rischio di infezione da CMV. In ogni caso il rischio occupazionale della contaminazione da CMV, benché contestato anche da alcuni autori (5, 4, 3), è stato ampiamente documentato. In particolare i gruppi
maggiormente a rischio sono i lavoratori a contatto con bambini o con
adulti immunocompromessi (11, 8, 9, 12, 14, 7, 6). Le lavoratrici in gravidanza, aggiungono un ulteriore problema a questa “attività”, poiché
l’acquisizione dell’infezione da CMV in tale periodo può causare gravi
malformazioni (neurosensoriali) neonatali. Nel 1969, in seguito all’os-
Tabella I. Percentuali di sieroconversioni in lavoratori
potenzialmente esposti: dati dalla letteratura
servazione che le infermiere a contatto con bambini nati con difetti congeniti, avevano a loro volta avuto figli nati con difetti congeniti, venne
suggerito, per la prima volta, il possibile aumentato rischio di infezione
occupazionale da CMV (10). Successivamente numerosi studi epidemiologici condotti su personale sanitario (infermieri e medici) e personale
medico a contatto con pazienti che eliminavano il virus, hanno confermato tali risultati. Il primo di questi dimostrò che le infermiere inizialmente sieronegative, mostravano, in un anno, percentuali di sieroconversione comprese tra il 4.1% ed il 7.7% (16), con una incidenza maggiore
tra quelle più giovani (8,12). Studi iniziali stabilirono che una percentuale compresa tra il 62-77% possedeva anticorpi anti-CMV (11, 14), mentre altri più recenti hanno dimostrato che il 55.75% delle lavoratrici in età
fertile, potenzialmente esposte, non è immune al CMV, al contrario del
44.25% di lavoratrici con anticorpi anti-CMV (15). In relazione a questi
risultati, ed al verificarsi di infezioni primarie nel corso della gravidanza
in 2 infermiere pediatriche (2), è aumentato l’interesse per lo studio della sieroprevalenza agli anticorpi anti-CMV tra le donne lavoratrici a contatto con bambini o con pazienti immunocompromessi.
Alla luce di tali risultati e del rischio occupazionale, sembra cruciale
l’implementazione di un programma di prevenzione finalizzata specifica-
Tabella II. Percentuali di sieropositività in lavoratori
potenzialmente esposti: dati dalla letteratura
62 -77%
Haneberg et al. Acta Pediatr Scand 1980;
3: 407-409
42%
Gerberding et al. J Infect Dis 1987;156: 1-8
62.5 - 67%
Pass et al. Pediatr Infect Dis 1990; 7: 465-470
Ford-Jones et al. Pediatr Infect Dis J 1996;
6: 507-514
44.25%
Sobaszek et al. J Occup Environ Med 2000;
42: 1109-1114
35.5% *
Sobaszek et al. J Occup Environ Med 2000;
42: 1109-1114
Sobaszek et al. J Occup Environ Med 2000;
42: 1109-1114
4.1 - 7.7%
Yager J. Clin Microbiol 1975; 2: 448-452
57.3% °
7.2%
Friedman et al. Pediatr Infect Dis J
1984; 3: 233-235
Donne in gravidanza:
1.8 - 4.4%
Adler. Pediatr Infect Dis 1986; 5: 239-246
1 - 2.3%
Balfour and Balfour. JAMA 1986; 14: 1909-1914
4.7%
Brady et al. Infect Control 1987; 8: 329-332
0 - 4.3%
Demmler et al. J Infect Dis 1987;156: 9-16
5.1%
2.2 - 5.7%
43.9% Belgio
Gaudy et al. J Gynecol Obstet Biol Reprod
1992; 7: 779-790
Gerberding et al. J Infect Dis 1987; 156: 1-8
75% Spagna
Ory et al, Med Clin 1998; 8: 290-291
Balcarek et al. JAMA 1990; 263: 840-844
75% Italia
Natali et al, New Microbiol 1997; 2: 123-133
Donne in gravidanza:
2.5 - 6.8%
36 - 51.5% Francia Ruellan-Eugene et al. J Med Virol.1996; 50: 9-15
Gratacap-Cavallier et al. Eur J Epidemiol
1998; 2: 147-152
Stagno et al. JAMA 1986; 256: 945-949
* Lavoratrici che esercitano sui bambini “manovre” tipo caterteri ecc. che usano i DPI
° Lavoratrici che sono a contatto con bambini che non eseguono “manovre” e che
non usano DPI
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
mente alla prevenzione dell’infezione da CMV. Infatti la soluzione di trasferire la lavoratrice in gravidanza da un’area a più alto rischio ad una a
più basso, per minimizzare l’esposizione a CMV, non può essere considerata l’unica. Non essendo ancora disponibile un vaccino è necessario,
quindi: i) effettuare sistematicamente test sierologici per valutare lo stato
immunitario nei confronti del CMV; ii) effettuare visite mediche per determinare lo stato della lavoratrice in caso di gravidanza, o in caso intenda iniziare una gravidanza; iii) informare in maniera dettagliata sul rischio che si incontra in caso di gravidanza; iv)raccomandare l’utilizzo dei
DPI insieme con le raccomandazioni sulla protezione individuale. Deve
essere inoltre sottolineato che attualmente, non viene prescritto uno
screening sistematico per CMV, dai ginecologi/ostetrici. Donne sieronegative possono quindi essere protette dall’esposizione e dai potenziali rischi dell’infezione primaria. Nell’ambito della ricerca: “Rischio professionale da CMV: Caratterizzazione dell’infezione, gestione dell’esposizione occupazionale e misure preventive” ci proponiamo di raggiungere tali obiettivi.
Bibliografia
1) Ahlfors CA, Stagno S, Pass RF. Ciba Found. Symp 1980; 77: 125-147.
2) Ahlfors K, Ivarsson SA, Johnson T et al. Acta Paediatr Scand 1981;
70: 819-823.
POSTER
453
3) Balcarek KB, Bagley R, Cloud GA et al. JAMA 1990; 263: 840-844.
4) Balfour CL, Balfour HH Jr. JAMA 1986; 14: 1909-1914.
5) Dworsky ME, Welch K, Cassady G et al. N Engl J Med 1983; 16:
950-953.
6) Flowers RH III, Torner JC, Farr BM. Infect Hosp Epidemiol 1998;
11: 491-496.
7) Ford-Jones EL, Kiati I, Davis L et al. Pediatr. Infect Dis J 1996; 6:
507-514.
8) Friedman HM, Lewis MR, Nemerofsky DM et al. Pediatr Infect Dis
J 1984; 3: 233-235.
9) Gerberding JL, Bryant-LeBlanc CE, Nelson K et al. J Infect Dis
1987; 156: 1-8.
10) Haldane EV, Van Rooyen CE, Embil JA et al. Am J Obst Gynecol
1969; 195: 1032-1040.
11) Haneberg B, Bertnes E, Haukenes G. Acta Pediatr. Scand 1980; 3:
407-409.
12) Murph JR, Baron JC, Brown CK et al. JAMA 1991; 5: 603-608.
13) Onorato I, Morens DM, Martone WJ et al. Rev. Infect Dis 1985; 7:
479-497.
14) Pass RF, Hutto C, Lyon MD et al. Pediatr Infect Dis 1990; 7: 465470.
15) Sobaszek A, Fantoni-Quinton S, Frimai P et al J Occup Environ Med
2000; 42: 1109-1114.
16) Yeager AS. J Clin. Microbiol 1975; 2: 448-452.
POSTER
454
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
I. Polito1, T. Crudo2, C. Costa1, G. Romeo1, M. Sailis1, C. Simonetti3, S. Napoli2
Patologia neoplastica professionale in Calabria
1
2
3
Medicina del Lavoro Università di Messina
Dirigente Medico Inail Regione Calabria
Cultore della materia
Introduzione
È estremamente complesso e difficoltoso fornire stime affidabili dell’incidenza delle neoplasie attribuibili a cause occupazionali,sia per il fatto che molte di queste neoplasie non si differenziano dal punto di vista
clinico e biologico da quelle con diversa etiologia, sia per la scarsa conoscenza, a livello di medicina di base della correlabilità tra neoplasia e attività lavorativa, nonché per il fatto che spesso tra l’esposizione lavorativa e la comparsa della malattia neoplastica intercorre un lungo periodo di
latenza.Partendo da tali premesse, nel tentativo di dare un contributo se
pur minimo, in tema di statistiche, ci siamo avvalsi di dati INAIL relativi alle denuncie di malattie professionali pervenute presso le 5 sedi
INAIL della Regione Calabria nel triennio 2000/2002.
Materiali e risultati
I dati presi in esame e le relative considerazioni sono stati, per motivi editoriali, conglobati nella tabella I.
è basso (8 su 22 casi definiti dei 33 casi denunciati) in linea con il basso
tasso di incidenza di neoplasie (Ministero Salute - Relazione 2000) e con
il basso tasso di mortalità per tumori (Dati Istat 2000) riferiti a questa regione.Se da un lato il basso numero di neoplasie professionali denunciate e riconosciute in Calabria può trovare giustificazione nel basso rischio
dei settori lavorativi tipici di questa regione, dal confronto con i dati epidemiologici attesi (4% Doll e Peto 1981), emerge la sicura sottostima di
tali patologie che potrebbero rientrare nelle cosidette “malattie professionali perdute” (D’Amico, Mochi, Salvati 2002). In conclusione, a nostro
avviso per far si che tutte le malattie di origine professionale vengano denunciate e quindi riconosciute, nell’ottica di una sempre più oculata prevezione, è necessario che oltre all’istituzione di un osservatorio nazionale dei tumori professionali, sia attuato un capillare piano di formazione ed
informazione rivolto ai medici di base, prevalentemente incentrato sulla
correlabilità tra attività lavorativa e patologia professionale anche neoplastica, nonché la continua formazione-informazione degli operatori
esposti sui periodi di latenza che possono intercorrere tra l’esposizione lavorativa e l’insorgenza di malattia al fine di incentivare il ricorso alla denuncia e quindi alla riconoscibilità.
Conclusioni
Bibliografia
L’attività lavorativa calabrese è prevalentemente incentrata sull’edilizia, sull’industria manifatturiera, sul commercio, attività immobiliari ed
imprenditoriali, servizi pubblici, trasporti, settore alberghiero e della ristorazione, con una distribuzione delle attività abbastanza omogenea tra
le provincie principali. Il tipo di attività fa si che non si riscontrino le patologie professionali delle regioni più industrializzate. Il numero di neoplasie professionali denunciate e riconosciute nel periodo preso in esame
Notiziario statistico Inail 2002.
Ministero della Salute - Relazione “Lo stato della salute dei cittadini”.
2000.
D’Amico F, Mochi S, Salvati A. Le malattie professionali in Italia: Evoluzione storica, tendenze in atto e prospettive future. Rivista degli
infortuni e delle malattie professionali. Aprile 2002.
Tabella
Mal. Prof. definite/indennizzate
in Italia dal 1990 al 1999
Numero M.P
100.543
Mal. Prof. definite/indennizzate
in Calabria dal 1990al 1999
Numero M.P.
(0,8% del tot)
804
Mal. Prof. denunciate
in Calabria -Triennio 2000/02
Numero M.P.
1390
compreso il n. di tumori
Prevalenza di CS e RC > lavoratori dell’edilizia,
industrie manufatturiere, ferrovie dello Stato
Tumori Prof. denunciati
in Calabria - Triennio 2000/02
Numero T.P.
33
Dati omogenei nelle tre provincie principali: RC - CS - CZ
Tipologia: K polmone, seni nasali, vescica, prostata, reni;
mesoteliomi, leucemie
Tum. Prof. definiti/indennizzati
in Italia dal 1994 al 2002
Numero T.P.
2404
Tum. Prof. Definiti
in Calabria dal 2000 al 30.03.03
Numero casi definiti:
Tasso di mortalità per Tumori
in Italia (Dati Istat 2000)
2,3 x 1000
22
> Ipoacusia, mal. cutanee, silicosi, mal. non tabellate,
mal. osteoarticol./angioneurosi, asbestosi
> Ipoacusia, mal. cutanee, silicosi
> Tumori da asbesto (n. 1642), meno numerosi seguono i tumori
da polveri di legno, IPA, radiazioni ionizzanti. Il dato è sostenuto
prevalentemente dalle realtà lavorative del nord-Italia
Di cui soltanto 8 sono stati riconosciuti di natura professionale:
2 per amianto - 3 per polveri di legno - 1 per silice
- 2 per esposizione a radiazioni
Tasso minimo di mortalità: Calabria 1,6 x 1000
Tasso massimo di mortalità: Liguria - Friuli V.G. 3,7 x 1000
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
455
A.G. Sisinni, V. Puzzo, F. Murdaca, L. Flori1, P. Sartorelli
Ricerca attiva delle malattie professionali “perse”
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Sezione di Medicina del Lavoro
1 Sezione di Dermatologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Università degli Studi di Siena
Introduzione
È lecito nutrire dubbi sul fatto che il calo delle denunce di malattia professionale rifletta realmente una riduzione dei casi di patologia da lavoro. Infatti rispetto al passato anche recente la patologia professionale che il medico
del lavoro si trova ad affrontare ha subito forti mutazioni. Il progresso tecnologico e la campagna di prevenzione apportata nei diversi settori di produzione hanno contribuito non poco alla riduzione di casi di malattie professionali
più frequenti in passato (1). D’altra parte esiste una maggiore sensibilità dei
medici rispetto a patologie che, pur non costituendo un pericolo immediato per
la vita del lavoratore, risultano tuttavia di difficile guarigione e talvolta invalidanti al punto da costringere il paziente ad abbandonare l’attività lavorativa.
Esempi di tali malattie professionali di sempre più frequente riscontro sono costituiti dai Cumulative Trauma Disorders, dalle dermatiti da contatto (irritanti,
da latice, ecc.), dalle riniti allergiche professionali, da alcune forme di asma
bronchiale (da persolfati e farine), dalle patologie asbesto-correlate (asbestosi
iniziale e placche pleuriche) osservabili negli ex esposti. La diagnosi di queste
forme morbose si avvale spesso di tecniche ad alta specializzazione non ben
conosciute data la loro recente introduzione (2). Per tale motivo l’origine professionale di tali affezioni spesso non viene riconosciuta.
Materiali e metodi
Lo scopo dello studio era quello di individuare nell’ambito dei casi trattati presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese eventuali patologie
professionali perse di natura dermatologica, ricostruendo la storia lavorativa
dei pazienti ed inoltrando il primo certificato di malattia professionale ed il
referto quando necessario. L’indagine si è svolta in collaborazione con la Sezione di Dermatologia del Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche dell’Università degli Studi di Siena. La ricerca attiva di patologie da lavoro si è limitata alle dermatiti da contatto allergiche ed agli epiteliomi spinocellulari in lavoratori outdoor.
Tabella I. Casi di dermatite allergica da contatto rilevati
per settore produttivo
Professioni
Numero di casi
% dei casi
Parrucchieri
6
17,6%
Orafi
5
14,7%
Metalmeccanici
5
14,7%
Falegnami
4
11,7%
Operai Edili
3
8,8%
Operai tessili
3
8,8%
Conciatori
2
5,9%
Pasticceri
2
5,9%
Serigrafi
2
5,9%
Estetisti
1
3%
Operaio settore plastico
1
3%
Totale
34
100%
Tabella II. Sensibilizzazioni ad apteni professionali
di più frequente riscontro
Allergeni professionali
Sensibilizzazioni
PARAFENILENDIAMINA
8
POTASSIO BICROMATO
8
COBALTO CLORURO
9
FENOTIAZINE
3
DIBUTILFTALATO
2
OLIO DI PEPPERMINT
2
Risultati
Sono stati visionati cartelle cliniche, registri ambulatoriali e registri del
Day Hospital relativi agli anni 2000-2001 per un totale di 2899 pazienti. Sono stati così individuati 6 carcinomi squamocellulari in lavoratori professionalmente fotoesposti (4 agricoltori, 2 operai edili), 35 epiteliomi non istologicamente specificati, 34 casi di dermatite da contatto allergica professionale. I settori professionali relativi ai casi di dermatite allergica da contatto sono riassunti in tabella I. Le più frequenti sensibilizzazioni ad apteni professionali sono elencate nella tabella II. Solo per 17 pazienti è stato possibile risalire ai recapiti telefonici, 6 dei quali hanno accettato di sottoporsi a visita
specialistica per la denuncia di malattia professionale.
per la prevenzione. Da ciò risulta sicuramente importante la capacità di individuare il numero e tipo di malattie che colpiscono i lavoratori durante la loro attività. Il numero di casi individuati è rilevante se si considera che è limitato alle patologie sicuramente etichettabili come professionali sulla scorta delle scarse informazioni riguardanti l’attività lavorativa contenute nei registri e nelle cartelle. Si deve poi tener conto che un gran numero di patologie dermatologiche di possibile origine lavorativa, quali le cheratosi attiniche
e le dermatiti da contatto irritante, non sono in genere registrate come diagnosi essendo trattate in regime ambulatoriale.
Bibliografia
Discussione
Lo studio (che ad oggi prosegue) conferma come la ricerca attiva delle
malattie professionali sia in grado di rilevare la presenza di patologie da lavoro non riconosciute come tali. Si può parlare dunque di “malattie professionali perse” con ricadute non solo ai fini della tutela assicurativa ma, in particolar modo, per la programmazione di tempestive ed appropriate politiche
1) Marconi M, Montanari P, Passerini M, Campo G, Leva A. Sistema
Informativo Prevenzionale. Rapporto sui casi di malattia professionale - Industria, Anni di definizione 1990-1999, ISPESL.
2) Sartorelli P. Seminario di aggiornamento: Nuove prospettive di Medicina del Lavoro e Medicina Legale in tema di patologie professionali
emergenti (Siena, 15 Febbraio 2002). Med Lav 93: 351-355, 2002.
POSTER
456
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
G. Massacci1, P.L. Cocco, C. Manca2, G. Avataneo, G. Gigli, G. Usala
Utilizzo di stime retrospettive di esposizione ad asbesto nella
valutazione del diritto ai benefici previsti dalla legge 271/93
Dipartimento di Sanità Pubblica - Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Cagliari
1 Dipartimento di Ingegneria Ambientale, Università di Cagliari
2 INAIL, direzione regionale, Cagliari
Le leggi 257/92 e 271/93 hanno introdotto dei benefici previdenziali per i lavoratori che sono stati esposti per almeno 10 anni all’inalazione
di fibre d’asbesto, alle concentrazioni indicate dagli articoli 24 e 31 del
DL 277/91, come limite per l’adozione di misure preventive da parte dei
datori di lavoro. La circolare INAIL N. 252 del 23.11.95 ha previsto il riconoscimento dei benefici per i lavoratori che si trovino nelle seguenti
condizioni:
1. Abbiano svolto attività che comportano l’impiego dell’amianto come
materia prima (estrazione; produzione di manufatti in cementoamianto o di freni e frizioni, guarnizioni, corde o tessuti; posa in opera di coibentazioni per l’edilizia, carrozze ferroviarie, costruzioni navali, condotte di fluidi caldi, o caldaie; lavori di demolizione di coibentazioni nei settori edili ed industriali).
2. Abbiano svolto attività diverse dalle precedenti, ma con esposizione
anche saltuaria all’amianto, purché la concentrazione media annuale,
rapportata ad una giornata lavorativa di otto ore, possa essere stimata come superiore a 0,1 fibre/cm3.
Un vasto contenzioso giudiziario, probabilmente inatteso dal legislatore, ha seguito l’introduzione di queste leggi, scoperchiando la realtà di
un’esposizione spesso misconosciuta, raramente controllata, e sempre
sottovalutata, e di una diffusissima evasione da parte dei datori di lavoro
privati e pubblici, di piccole come di grandi dimensioni, degli obblighi
previsti dalla legge 277/91. In non poche circostanze, si è verificato che
lavoratori titolari di rendita INAIL per asbestosi si sono visti negare dall’INPS i benefici previsti dalla legge 271/93, in quanto i datori di lavoro
non avevano mai riconosciuto né misurato l’esposizione ad asbesto, evitando così l’assunzione dei costi dell’adozione delle misure preventive
previste dalla 277/91.
La penuria, e molto frequentemente la mancanza, di programmi di
monitoraggio dell’esposizione ad asbesto negli ambienti di lavoro, che si
siano protratti per tempi sufficientemente lunghi nel passato, non consente che una determinazione approssimativa dei livelli d’esposizione. In
queste circostanze, la ricerca epidemiologica nel campo dell’oncogenesi
professionale ha sviluppato una serie di metodologie per la stima retrospettiva delle esposizioni attraverso la valutazione di misurazioni disponibili in lavoratori addetti alle stesse mansioni o similari, la ricerca di dati della letteratura, ed il ricorso a tutte le possibili fonti d’informazione
sulle circostanze e modalità della presunta esposizione. L’INAIL svolge
un ruolo di supporto importante al riguardo, estendendo queste procedure al campo assicurativo, mettendo a disposizione in rete la banca dati
Amyant, e pubblicando una serie di articoli al riguardo nella sua Rivista
degli Infortuni e delle Malattie Professionali. In uno di questi articoli
(Verdel e Ripanucci, 1996) è riportato un algoritmo per il calcolo dell’esposizione media ad asbesto, che noi abbiamo riscritto allo scopo di rendere conto delle variazioni succedutesi nel corso della storia lavorativa
individuale:
E = [ΣTiFi x (Te/T0)]/([ΣTi)
dove:
E = concentrazione media giornaliera delle fibre cui il lavoratore è stato
esposto nel corso di una carriera lavorativa (non meno di 10 anni per
poter accedere ai benefici previdenziali);
Fi = concentrazione delle fibre nell’ambiente nell’iesimo periodo di lavoro, rilevabile da stime elaborate sulle misurazioni disponibili, sulla base di simulazione di condizioni di lavoro non più esistenti, o, in
loro sostituzione, approssimabile in maniera critica a partire da dati
pubblicati (Verdel e Ripanucci, 1996) o reperibili nella banca dati
Amyant dell’INAIL;
Ti = durata dell’iesimo periodo di lavoro;
Te = durata dell’esposizione riferita ad un anno;
T0 = durata standard dell’attività lavorativa nel corso di un anno, corrispondente ad 8 ore al giorno per 240 giorni all’anno, equivalente a
48 settimane lavorative all’anno o a circa 11 mesi all’anno.
Conclusioni
L’estensione all’ambito giuridico di metodologie di stima retrospettiva delle esposizioni professionali, finora impiegate quasi esclusivamente negli studi di Epidemiologia Occupazionale, apre la prospettiva di una
maggiore obiettività e uniformità di giudizio nelle valutazioni legali di
singoli casi individuali, ed offre ulteriori opportunità di sviluppo alla ricerca in tema di oncogenesi negli ambienti di lavoro.
Bibliografia
1) Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni e le Malattie
professionali. Internet. http: //www.inail.it/pubblicazionieriviste/tutti
titoli/rischio/amyant.ht
2) Verdel U, Ripanucci G. Valutazione dell’esposizione all’amianto ai fini dei benefici previdenziali. Rivista degli Infortuni e delle Malattie
Professionali 1996; 4-5: 419-29.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
457
M.A. Tringali, L. Barbaro Martino, G. Relo, C. Alibrando, S. Abbate, C. Giorgianni
Rischio infettivo e vaccinazione antiepatite B in una azienda
ospedaliera
Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio Sezione di Medicina del lavoro - Università di Messina A.O.U. Policlinico “G. Martino” U.O. di
Medicina del Lavoro
Introduzione
Nelle strutture sanitarie, sia ospedaliere che territoriali, il rischio biologico rappresenta una evenienza codificata (1, 2, 3) che coinvolge tutti
gli operatori, sia sanitari che non (4). In questo ambito un aspetto particolare è rivestito dalla profilassi vaccinale antiepatite che, come descritto da Goggi 1994, è pratica non molto utilizzata.
Scopo della presente nota è valutare, in un grande ospedale del Sud
Italia, l’incidenza, tra gli operatori, delle infezioni epatite-correlate nonché la diffusione della vaccinazione anti virus B.
ni 2001-2002, del personale di un Ospedale del Sud Italia appartenente al personale medico, para-sanitario e tecnico ritenuti, ai sensi dello
Articolo 4 del DL gs 626/94, a rischio biologico. Le caratteristiche del
campione esaminato sono riportate nella tabella I. Dalla scheda sanitaria sono stati estrapolati: sesso, età, anzianità lavorativa, qualifica professionale degli operatori, titolo anticorpale HBV e HCV e la copertura vaccinale. Contestualmente è stato valutato l‘andamento degli infortuni con rischio biologico denunciati alla direzione sanitaria in tutto
l’anno 2001.
Risultati
Metodologie
I dati del presente studio sono stati rilevati da un campione costituito da 2256 schede sanitarie relative alla Sorveglianza Sanitaria, an-
Tabella I. Campione di studio distinto per sesso e suddiviso
tra le diverse categorie professionali
Categorie
Schede
Maschi
Femmine
Medici
390
232
158
Infermieri
1014
366
648
Tecnici Laboratorio
150
86
64
Agenti S.S.
566
122
444
Autisti
60
56
4
Barbieri
10
10
–
Servizi esterni
46
40
6
Portieri
Personale esaminato
20
20
–
2256
932
1324
La tabella II riporta, in assoluto ed in percentuale, il numero dei soggetti HBV e HCV positivi ed il numero di quelli vaccinati anti B, suddivisi per sesso e categoria professionale.
La tabella mostra una più alta incidenza di vaccinazione nel personale medico ed infermieristico rispetto alle categorie non sanitarie ed
maggiore incidenza di infezione nel personale tecnico.
La tabella III riporta il numero totale degli infortuni a rischio biologico denunciati nel periodo 2001-2002 nell’azienda ospedaliera esaminata.
L’incidenza degli infortuni (n. infortuni/n. esposti a rischio ×%) risultata pari al 5%.
Conclusioni
Lo studio della popolazione osservata ha mostrato 1. una incidenza
di infezioni epatitiche pari al 35%; 2. una percentuale di soggetti vaccinati pari al 30%. Relativamente all’incidenza dell’infezione è stato osservato che la categoria professionale più a rischio è rappresentata dal personale tecnico con una incidenza pari al 8%, probabilmente in relazione
ad una minore formazione specifica.
Tabella II. Diffusione della patologia infettiva da HBV ed HCV correlata e copertura vaccinale per HBV
Categoria
HBV +
n°-%
HCV +
n°-%
HBV + e HCV +
n° tot-%
Vaccinati HBV
n°-%
Vaccinati HBV
n° tot-%
Medici
M
F
12-5.2
2-1.3
–
–
14-3.6
94-40.5
50-31.6
144-37
Infermieri
M
F
30-8.2
18-2.8
4 -1.1
4-0.6
48-4.7
8-0.8
146-39.8
292-45.1
438-43
Ag.s.s
M
F
10-8.2
6-1.4
6-4.9
4-0.9
16-2.8
10-1.8
32-26.2
48-10.8
80-14
Tecnici
M
F
8-9.3
6-9.4
6-7
–
14-9.3
6-6.9
2-2.3
6-9.4
8-5
–
2-5
–
2-5
–
–
2-20
2-20
–
Serv. Esterni M
F
Barbieri
M
POSTER
458
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
Tabella III. Numero degli infortuni denunciati distinti per sesso e categoria professionale
Mansione
Medici
Infermieri
Agenti s.s.
Tecnici
Tot. Personale
Infortuni denunciati M F
18 1
34 46
4 3
6 4
116
I dati vaccinali mettono in evidenza una significativa riduzione dell’incidenza dei soggetti vaccinati rispetto alle casistiche presentate da
altri autori (Briani 1997, Oderino 1997, Giuliani 1998). Il dato disaggregato conferma le osservazioni della letteratura mostrando una più
bassa percentuale di vaccinati tra il personale tecnico e socio sanitario
pur in presenza di una alta percentuale di infezione nei tecnici di laboratorio.
L’analisi degli infortuni a rischio biologico che ha evidenziato una
incidenza pari al 5%, lievemente ridotta rispetto ad altre casistiche, risulta abbastanza confrontabile con quella osservata da Goggi (1994) sul personale di alcuni nosocomi del milanese pari all’8.1%.
In conclusione le osservazioni effettuate, che mostrano una sottostima del problema legato al rischio biologico nel personale ospedaliero, individua la necessità di promuovere ulteriori e diffuse campagne di sensibilizzazione rivolte agli operatori allo scopo di colmare le lacune esistenti sulla protezione dal rischio.
Spetta ai medici competenti, proporre, in corso di sorveglianza sanitaria, idonei protocolli vaccinali.
Bibliografia
1) Garlanda P, Ravanelli PL, Tallone M. Fronteggiare il rischio biologico in ambiente sanitario. Edizioni vincenzi audiovisivi 1997.
2) Giuliani C, Maschio M, Nardin D et al. Vaccinazione anti-epatite b e
rischio biologico in un ospedale di rete.Atti III° cong Naz Med Prev
Lav Sanità 1998 420-422.
3) Toffoletto F, Majno E, Goggi E et al. Infortuni a “rischio” biologico:
rischio reale? Criteri per una valutazione più approfondita del rischio
infettivo. Atti III Cong Naz Med Prev Lav Sanità 1998; 408-410.
4) Giogianni C, Musarra P, Tringali MA et al. Rischio Infettivo in ambito sanitario.Valutazione e proposte operative per la degenza. Congr
Naz “Il rischio biologico nelle strutture socio-sanitarie pubbliche e
private” Abano Terme, 2001; 104.
5) Goggi E, Maggioni L, Ros O et al. Infortuni Ospedalieri a rischio biologico: monitoraggio di 738 episodi infortunistici in tre nosocomi. Atti II Cong Nazionale Med Prev Lav Sanità 1994; 614-617.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
459
M. Ronchin1, E. Ariano2, S. Savi2, G. De Paschale3, L. Settimi4, F. Frangi5, F. Alborghetti6, M. Della Torre1,
V. Carreri7, M. Maroni1, 8
Promozione e verifica dell’applicazione delle norme di igiene e di sicurezza sul lavoro
nelle aziende del comparto agricolo della Lombardia. Risultati della fase pilota
1
2
3
4
International Centre for Pesticides and Health Risk Prevention (ICPS)
- Ospedale Luigi Sacco (MI)
Dipartimento di Prevenzione, ASL Provincia di Lodi
Dipartimento di Prevenzione, ASL Provincia di Pavia
Dipartimento di Prevenzione, ASL Provincia di Como
Introduzione
Il comparto agricolo presenta alcune peculiarità come la struttura organizzativa in genere basata su un ridotto numero di familiari per azienda, la forte dispersione delle aziende sul territorio, la coincidenza tra ambiente di vita e di lavoro, l’eterogeneità delle attività svolte e la pluralità
dei fattori di rischio.
Tali caratteristiche del comparto, congiuntamente ad alcune complessità interpretative delle norme, hanno reso più difficile l’applicazione
operativa delle attività di prevenzione, come invece è accaduto, ad esempio, nel settore industriale o nel “terziario”.
Un aspetto particolare nell’agricoltura, inoltre, è il carattere estremamente variabile dell’esposizione ai fattori di rischio (antiparassitari, rumore, agenti biologici, vibrazioni, ecc.) in funzione delle diverse attività
e fasi lavorative.
Nel comparto agricolo, inoltre, si assiste a una generale assenza/carenza di dati sulla morbosità della popolazione lavorativa e ad una elevata frequenza del fenomeno infortunistico.
Per tali ragioni la Unità Organizzativa Prevenzione della Direzione
Generale Sanità della Regione Lombardia ha ritenuto opportuno verificare gli interventi in atto nelle aziende agricole per la prevenzione dei rischi
per la sicurezza e la salute, con particolare riguardo, per questo secondo
aspetto, per i rischi correlati all’uso di antiparassitari.
Materiali e metodi
Le attività di promozione e verifica sono state condotte complessivamente in 59 aziende agricole raccogliendo, tramite un questionario dedicato, le seguenti informazioni:
– principali caratteristiche aziendali,
– verifica delle modalità di esecuzione e qualità della valutazione dei
rischi,
– individuazione dei principali rischi lavorativi, ponendo grande attenzione al rischio infortunistico,
– preliminare caratterizzazione del rischio da antiparassitari,
– valutazione dello stato di attuazione della sorveglianza sanitaria.
Principali risultati
Solo un’azienda agricola (2%) non ha eseguito la valutazione dei rischi prevista dal D.Lgs 626/94; tra le aziende restanti, tredici (25%) hanno prodotto l’autocertificazione e trentuno (58%) hanno compilato il do-
5
6
7
8
Dipartimento di Prevenzione, ASL Provincia di Milano 3
Dipartimento di Prevenzione, ASL Provincia di Milano 2
Unità Organizzativa Prevenzione Direzione Generale Sanità
Lombardia
Università degli Studi di Milano
cumento di valutazione dei rischi. Soltanto due aziende (4%) non avevano provveduto alla nomina del Responsabile del Servizio Prevenzione e
Protezione, che, laddove presente, nel 55% dei casi coincide con la figura del titolare. La valutazione del rischio rumore è stata effettuata da trentuno aziende (59%) e non eseguita solo da undici (22%).
La nomina del Medico Competente, tra le 51 aziende agricole con dipendenti, è stata effettuata in ventisei casi (44%), mentre diciotto aziende (31%) non avevano ancora provveduto.
Per ogni azienda è stato espresso, infine, un giudizio sintetico variabile da 1 (situazione di grave carenza) a 5 (situazione ottimale), facendo
riferimento ad una griglia di giudizi-tipo, sui seguenti parametri: sicurezza, igiene del lavoro, aspetti documentali, prodotti fitosanitari, applicazione del D.Lgs 626/94.
Discussione e conclusioni
Il questionario utilizzato si è dimostrato un’utile strumento di lavoro
in grado di rendere omogeneo l’approccio alle aziende esaminate; considerando la comunque possibile variabilità inter-operatore nella compilazione del questionario, la ridotta numerosità del campione analizzato e i
possibili “bias” di selezione dello stesso si impone una generale cautela
nella valutazione dei dati ottenuti e, soprattutto, nell’estrapolare le conclusioni all’intera realtà agricola della Lombardia.
Seppure con le riserve derivanti dalle precedenti considerazioni i dati raccolti evidenziano una condizione non del tutto negativa sul livello di
tutela della salute e sicurezza, tra cui l’applicazione del D.Lgs. 626/94,
soprattutto se si considera che la tipologia aziendale, prevalentemente di
tipo familiare, comporta maggior difficoltà nel reclutare risorse interne in
grado di affrontare e gestire l’applicazione delle norme preventive.
Tra i risultati positivi raccolti si segnala che più della metà delle
aziende analizzate evidenzia una discreta manutenzione delle attrezzature, discreta attenzione alle condizioni igieniche, all’applicazione del
D.Lgs. 626/94, agli adempimenti documentali; tra gli aspetti esaminati la
gestione degli antiparassitari invece evidenzia ancora un’alta percentuale
(più del 50%) di scarsa conoscenza/cattiva gestione delle problematiche
e abitudini comportamentali e attrezzature inadeguate.
È possibile ipotizzare che gli interventi già svolti dai Dipartimenti di
Prevenzione, possano aver sviluppato in modo significativo le attività di
prevenzione in alcuni ambiti territoriali tra quelli presi in considerazione,
in cui maggiore è stata la percentuale di valutazioni soddisfacenti.
Ciò indicherebbe che gli interventi sviluppati e il metodo operativo
scelto portano ad un miglioramento delle condizioni oggettive di sicurezza
e a una maggiore coscienza del problema da parte di imprese e lavoratori.
POSTER
460
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
C. Colosio1, M. Tiramani1, M. Maroni1, 2
Esposizione ad insetticidi organofosforici a basse dosi:
effetti neurocomportamentali
1
2
International Centre for Pesticides and Health Risk Prevention (ICPS) - Ospedale Luigi Sacco (MI)
Università degli Studi di Milano
Introduzione
Conclusioni
Gli effetti sulla salute umana conseguenti all’assorbimento di alte dosi di insetticidi organofosforici (OP) sono ben noti e studiati; poco è invece noto sui rischi per la salute conseguenti ad una esposizione cronica
a basse dosi negli ambienti di vita e di lavoro. Dato che alcune funzioni
superiori, tra le quali il comportamento, sembrano essere particolarmente sensibili all’azione di prodotti chimici neurotossici, la valutazione di
alcune funzioni comportamentali in soggetti esposti ad OP potrebbe portare un contributo di conoscenza in questo ambito.
In conclusione, il corpo dei dati disponibili suggerisce che un’intossicazione acuta da antiparassitari organofosforici di entità tale da aver
comportato ospedalizzazione e trattamento con atropina e antidoti possa
causare alcune alterazioni neurocomportamentali come esiti permanenti;
resta tuttavia un dubbio sulla specificità di tali effetti, che essendo simili
a quelli osservati in soggetti che hanno manifestato una intossicazione
acuta da CO, con anossia cerebrale (Raub et al, 2000), o in soggetti che
hanno subito in passato un grave trauma cranico (Deb et al, 1999), potrebbero essere attribuiti ad un generico danno cerebrale e non ad uno
specifico effetto neurotossico. È opportuno inoltre ricordare che alcuni di
tali studi sono stati criticati per una selezione poco chiara dei soggetti allo studio e dei rispettivi controlli, e per l’incerto significato di alcuni dei
test neurocomportamentali utilizzati (Lotti, 1992).
Per quanto concerne effetti a lungo termine conseguenti ad esposizione cronica, i dati attualmente disponibili non sono sufficienti a dimostrare una potenzialità neurotossica degli OP in queste condizioni di esposizione. I limiti principali degli studi disponibili sono la debolezza o l’assenza dei dati sui livelli di esposizione, una selezione dei controlli poco
chiara, la mancanza di concordanza tra i risultati ottenuti da diversi studi,
e una grande difficoltà nell’interpretazione prognostica delle alterazioni
osservate.
Il fatto che le alterazioni siano in genere osservate in sottogruppi di
lavoratori esposti a concentrazioni più elevate, e che si evidenziano al
confronto fra esposti a controlli, indicano la necessità di concentrare l’attenzione sulle mansioni caratterizzate dai livelli di esposizione più elevati e sulle attività che comportano esposizione protratta nel tempo.
Alla luce dei limiti degli studi retrospettivi, si ritiene che l’approccio
più promettente potrebbe essere rappresentato da studi prospettici, nei
quali l’esposizione e gli effetti potrebbero essere misurati in modo accurato. Ovviamente, tali studi sono costosi e di difficile realizzazione.
Anche la selezione dei soggetti allo studio rappresenta un aspetto critico in questo tipo di indagini, perché pone numerosi problemi metodologici quali, in particolare in agricoltura, il profilo culturale più basso dei
soggetti allo studio.
Discussione
I composti organofosforici rappresentano il gruppo più ampiamente
e da più tempo studiato: effetti neurocomportamentali quali disturbi della memoria, confusione, ansia, depressione ed irritabilità sono stati segnalati sin dagli anni ’50 e ’60 in soggetti esposti ad alte dosi (Grob et al,
1950, Gerson et al, 1961, Dille et al, 1964, Durham et al, 1965, Metcalf
et al, 1969). In un periodo successivo, l’attenzione dei ricercatori si è concentrata sugli effetti neurocomportamentali insorti come conseguenza di
un episodio di intossicazione acuta. Gli effetti più frequentemente riscontrati sono stati riduzione dell’attenzione verbale, della memoria visiva, dell’affettività e della motricità e sono stati osservati in soggetti che
presentavano all’anamnesi anche un singolo episodio di intossicazione
che ha richiesto assistenza medica (Rosenstock et al, 1991, Savage et al,
1988). Le alterazioni più gravi sono state in genere osservate nei soggetti che hanno manifestato i quadri più severi di intossicazione (Steenland
et al, 1994) mentre una semplice inibizione, anche significativa, dell’attività colinesterasica senza un quadro di intossicazione conclamata non
sembra sufficiente a causare effetti (Ames et al, 1995).
È opportuno ricordare che alterazioni analoghe sono state riscontrate in pazienti coinvolti nell’episodio di intossicazione da sarin avvenuto
nella metropolitana di Tokio qualche anno fa (Yokoyama et al, 1998).
Per quanto concerne soggetti esposti cronicamente, in assenza di episodi di intossicazione acuta, i dati disponibili sono di assai difficile interpretazione: alcuni studi non evidenziano alcun effetto (Durham et al,
1965; Rodnitzky et al, 1975, London, 1997), mentre in altri casi gli effetti osservati sono sfumati e i parametri variano tra diversi studi. I parametri più frequentemente interessati sono il tono dell’umore, la vigilanza, la
capacità di concentrazione. È interessante sottolineare che talora in genere gli effetti sono osservati in gruppi di lavoratori adibiti ad attività caratterizzate da livelli di esposizione più elevati di quelli tipiche del lavoro
agricolo, quali applicatori professionali (Levin et al, 1976; Steenland et
al, 2000) o soggetti addetti al trattamento di ovini (“sheep dipping”). Anche in questi gruppi, le alterazioni sono spesso evidenziabili in sottogruppi di soggetti particolarmente esposti (Stephens, 1995; Pilkington et
al, 2001).
In alcuni casi, infine, le indagini effettuate non mostrano differenze
nei parametri esaminati al confronto fra inizio e fine esposizione, ma tra
esposti e controlli (Maizlish et al, 1987; Beach et al, 1996; BazylewiczWalczak et al, 1999), suggerendo che l’effetto osservato, se presente, dipende principalmente dall’esposizione prolungata.
Bibliografia
1) Ames RG, Steeland K, Jenkins B, Chrislip D, Russo J. Chronic neurologic sequelae to cholinesterase inhibition among agricultural pesticide applicators. Arc Environm Health 50 1995; (6): 440-444.
2) Bazylewicz-Walckzak B, Majkzakova W, Szymczak M. Behavioral
effects of occupational exposure to organophosphorous pesticides in
femal grennhouse plantin workers. Neurotoxicology 1999: 20 (5):
819-826.
3) Beach JR, Spurgeon A, Stephens R, Heafield T, Calvert IA, Levy LS,
Harrington JM. Abnormalities on neurological examination among
sheep farmers exposed to organophosphate pesticides. Occ Environm Med 1996; 53 (8): 520-525.
4) Deb S, Lyons J, Kotzoukis C. Neurobehavioral symptoms one year
after a head injury. Brit J Psychiatry 1999; 174: 360-365.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
5) Dille JR, Smith PW. Central nervous system effects of chronic exposure to organophosphate insecticides. Aerosp Med 1964; 35: 325334.
6) Durham WF, Wolfe HR, Quinby GE. Organophosphorous Insecticides and Mental Alertness. Arch Environm Health 1965; 10: 55-66.
7) Gerson S, Shaw FB. Psychiatric sequelae of chronic exposure to organophosphorous insecticides. Lancet 1961; 1: 1371-1374.
8) Grob D, Garlick WL, Harvey AM. The toxic effect in man of parathion (p-nitrophenyl diethyl thiofosfate) Bull Johns Hopkins Hosp
1950; 87: 106-129.
9) Levin HS, Levin HS, Rodnitzsky RL, Mick DL. Anxiety associated
with exposure to organophosphorous compounds. Arch Gen Psychiatr 1976; 33: 225-228.
10) London L, Myers JE, Neil V, Taylor T, Thompson ML. An investigation into neurologic and neurobehavioral effects of long-term
agrochemical use among deciduous fruit farm workers in the Western Cape, South Africa. Environmental Research 1997; 73 (1-2):
132-45.
11) Lotti M. Central neurotoxicity and behavioral effects of anticholinesterases. In: Clinical and Experimental Toxicology of Organophosphates and Carbamates (Ballantyne B, Marrs TC, Eds), Butterworth-Heinemann, London, 1992; Chp 8, 75-83.
12) Maizlish N, Schenker M, Weisskopf C, Seiber J, Samuels A. A behavioral evaluation of pest control workers with short term, low level
exposure to the organophosphate diazinon. Am J Ind Med 1987; 12:
153-172.
13) Metcalf DR, Homes JH. EEG, Psychological, and neurological alterations in humans with organophosphorous exposure. Ann NY Academy of Sci 1969; 160: 357-365.
14) Pilkington A, Buchanan D, Jamal GA, Gillham R, Hansen S, Kidd M,
POSTER
461
15)
16)
17)
18)
19)
20)
21)
22)
Hurley JF, Soutar CA. An epidemiological study of the relations
between exposure to organophosphate pesticides and indices of chronic
peripheral neuropathy and neurophysiological abnormalities in sheep
farmers and dippers. Occ Environm Med 2001; 58 (11): 702-710.
Raub JA, Mathieu-Nolf M, Hampson NB, Thom SR. Carbon monoxyde poisoning: a public health perspective. Toxicology 2000; 145
(1): 1-14.
Rodnitzky RL, Levin HS, Mick DL. Occupational exposure to organophosphate pesticides. Arch Environm Health 1975; 30: 98-103.
Rosesnstock L, Keifer M, Daniell WE, McConnnell R, Claypoole K,
and the Pesticide Health Effects Study Group. Chronic central nervous system effects of acute organophosphate pesticide intoxications. Lancet 1991; 338; 223-227.
Savage EP, Keffe TJ, Mounce ML, Heaton RK, Lewis JA, Burcar PJ.
Chronic neurologic sequelae of acute organophosphate pesticide poisoning. Arch Env Health 1988; 43 (1): 38-45.
Steenland K, Dick RB, Howell RJ, Chrislip DW, Hines CK, Reid
TM, Lehman E, Laber P, Krieg EF jr, Knott C. Neurological function
among termiticide applicator exposed to chlorpyrifos. Env Health
Perspect 2000; 108 (4): 293-300.
Steenland K, Jenkins B, Amex GR, O’Malley, Chrislip D, Russo J.
Chronic neurological sequelae to organophosphate pesticide poisoning. Am J Public Health 1994 May; 1994; 84 (5): 731-6.
Stephens R, Spurgeon A, Calvert IA, Beach JR, Levy LS, Berry H,
Harrington M. Neurological effects of long term exposure to organophosphates in sheep dip. Lancet 1995; 345: 1135-1139.
Yokoyama K, Araki S, Murata K, Nishikitani M, Okumura T, Ishimatsu S, Takasu N, White RF. Chronic neurobehavioral effects of
Tokio subway Sarin poisoning in relation to posttraumatic stress disorder. Arch Environm Health 1998; 53 (4): 249-256.
POSTER
462
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
M. Tiramani1, S. Birindelli1, S. Visentin1, C. Colosio1, M. Maroni1, 2
La valutazione probabilistica del rischio
1
2
International Centre for Pesticides and Health Risk Prevention (ICPS), Ospedale Luigi Sacco - Milano
Università degli Studi di Milano
Storicamente, l’approccio regolatorio alla valutazione del rischio per
la salute e per l’ambiente è sempre stato di tipo deterministico. In base ad
esso, l’esposizione a sostanze potenzialmente pericolose viene calcolata
assegnando stime “puntuali” ai vari parametri che si combinano a determinare una stima anch’essa puntiforme dell’esposizione. Tale approccio
è caratterizzato da semplicità e facilità di applicazione a ambiti diversi
nonché di comunicazione del rischio. I principali limiti della valutazione
deterministica del rischio risiedono nel fatto che non considera informazioni sulla variabilità dell’esposizione all’interno di una data popolazione ai quali si aggiungono le difficoltà di definire quantitativamente il livello di incertezza.
In alternativa, l’approccio di tipo probabilistico alla valutazione dell’esposizione tenta di quantificare alcune delle incertezze presenti nella
stima dell’esposizione, incorporando direttamente la variabilità all’interno dei parametri in analisi. L’approccio probabilistico è un processo stocastico, ovvero una successione di variabili casuali con cui si tende rappresentare un sistema che si evolve secondo leggi probabilistiche.
In base a tale approccio una distribuzione di valori viene usata per
uno o più parametri giudicati maggiormente significativi presenti nel modello espositivo. Attraverso metodi statistici, come ad esempio il Monte
Carlo, la stima dell’esposizione viene così espressa come range di valori
ordinati in base alla probabilità che essi si verifichino, e non come singolo punto offrendo così maggiori possibilità di comprensione ed interpretazione dei dati.
L’approccio probabilistico è indubbiamente più laborioso e complesso rispetto al deterministico; la qualità del risultato dipende dalla qualità
dei dati usati come input del modello, così come dalla validità del modello espositivo stesso.
Le criticità emerse nella comunità scientifica internazionale relativamente a questo approccio sono le seguenti:
• necessità di criteri standardizzati per la scelta dell’approccio probabilistico rispetto a quello deterministico
• selezione dei dati da utilizzare come input nel modello: caratteristiche, analisi di sensibilità…
•
•
•
identificazione della popolazione e delle sottopopolazioni da studiare
identificazione delle variabili temporali
interpretazione e comunicazione dei risultati.
Le stime dell’esposizione degli applicatori di antiparassitari in fase
di registrazione europea di prodotti fitosanitari (dir. EU 91/414) sono stati fino ad oggi condotte secondo l’approccio deterministico. L’accettabilità del rischio viene stabilita dal confronto tra le stime espositive ottenute con i modelli attualmente utilizzati (inglese e tedesco) con il limite accettabile per l’operatore. Tale valutazione mostra alcuni limiti, in parte
dovuti alla struttura dei modelli utilizzati, in parte al fatto che la stima deterministica, altamente conservativa, non rispecchia la variabilità degli
scenari espositivi possibili. Come negli Stati Uniti anche in Europa un
gruppo di esperti sta mettendo a punto i criteri per la valutazione probabilistica del rischio per l’operatore agricolo, come già sta avvenendo per
la valutazione del rischio per il consumatore esposto a residui di antiparassitari con la dieta.
Bibliografia
1) Hamey PY. An example to illustrate the potential use of probabilistic
modeling to estimate operator exposure to pesticides. Ann Occup Hyg
(Special Issue) 2001; 45, S55-S64, 2001.
2) Julien EA. Towards harmonized guidance on applying probabilistic
methods to assess operator exposure to plant protection products. A report prepared for the commission of the European Communities. Directorate General Health and Consumer Protection by the International
Life Sciences Institute under contract B1-3330/01/001141, 2002.
3) Lunchick C. Probabilistic exposure assessment of operator and residential non-dietary exposure. Ann Occup Hyg (Special Issue) 2001;
45, S29-S42.
4) Van Drooge HL and van Haelst AG. Probabilistic exposure assessment is essential for assessing risks. Summary and discussion. Ann
Occup Hyg (Special Issue) 2001; 45, S159-S162.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
463
S. Parrello, G. Beninato, A. Buscemi1, C. Sturniolo2
Epicondilite tecnopatica in odontoiatra. Case report
Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio, Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Messina
1 Dipartimento di Biomorfologia e Biotecnologia
2 Dirigente Medico ASL 2 Castrovillari (CS)
Nel settore sanitario ed in particolare in ambito odontoiatrico sono
state rilevate fin dagli anni ’50 patologie peculiari che per la maggior parte riguardavano l’apparato muscolo scheletrico, con forme flogistico-degenerative di tendini, guaine, strutture legamentose, profili articolari di
capi ossei, complicate da alterazioni distrettuali del microcircolo e/o da
turbe neurosensoriali (1, 2).
Scopo dello studio è quello di contribuire a chiarire l’influenza dell’attività lavorativa e della posizione di lavoro nella etiologia di una epicondilite in arto superiore dominante in operatore medico odontoiatra.
Caso clinico
L.P., di anni 54, sesso maschile, odontoiatra ospedaliero dal 1984
svolge attività assistenziale e di ricerca, occupandosi sia dell’ambulatorio
che della pratica chirurgica.
Tale attività è caratterizzata da sedute operatorie plurisettimanali rivolte specificatamente a soggetti affetti da diabete, ipertensione e patologie infettive (HIV ed Epatiti conclamate di tipo B e C).
Nel gennaio 2003 in corso di visita richiesta al medico competente ai
sensi dell’art. 17 comma 1 lett. I del D.Lgs. 626/94, veniva diagnosticata
epicondilite gomito dx (arto dominante); la diagnosi veniva confermata
dall’esecuzione Rx articolazione gomito dx che evidenziava osteofitosi
dell’olecrano ulnare senza alterazioni del trofismo articolare, dall’ecografia del gomito dx che evidenziava all’inserzione del tendine comune
degli estensori un minuto spot calcifico di circa 2mm e dalla visita specialistica ortopedica.
La consulenza neurologica non evidenziava invece turbe neurovascolari e neurosensoriali.
Dall’esame anamnestico il soggetto risultava non praticare alcuna attività sportiva che lo esponesse a traumi ripetuti muscoli tendinei dell’arto esaminato, né di avere subito negli anni precedenti traumatismi accidentali o fratture.
L’igiene dentale ed in particolare il trattamento di gengiviti, carie,
pulpiti e disodontiasi prevede l’utilizzo di specchietto, aspiratore, pinze
chirurgiche ed estrattive e la preparazione di impasti per impacchi chirurgici in corso di otturazioni ed emostasi.
Le pinze per le estrazioni dentarie impugnate manualmente sfruttano
meccanismi di leva vantaggiose con la forza prodotta dai muscoli della
mano e del braccio dell’operatore che effettua movimenti ripetuti di forte trazione.
La partecipazione alle sedute ambulatoriali e chirurgiche ha evidenziato un elevato coinvolgimento del sistema muscolare nella regione del
collo e della spalla combinato con atteggiamenti in flessione ed in rotazione del rachide cervicale dovuto alle esigenze di elevata precisione che
l’attività dentistica richiede.
L’utilizzo delle pinze chirurgiche durante le estrazioni dentarie con
presa di forza isometrica mantenuta per più di 5 sec, deviazione ulnare e
radiale del polso maggiore di 20°, flesso-estensione del polso maggiore
di 20° evidenziava uno sforzo ripetuto e continuo sul sistema osteo-articolare mano-braccio; le vibrazioni trasmesse dall’utilizzo di strumenti
vibranti erano più accentuate dall’utilizzo del trapano munito di micromotore sull’impugnatura e ciò comportava l’assunzione di posture obbligate scorrette come quella di lavorare seduti senza appoggio per gli
arti superiori e conseguente sovraccarico delle strutture muscolo-scheletriche.
L’attività lavorativa così descritta (identificando l’arto superiore dominante nel suo complesso come organo bersaglio di microtraumatismi),
ha messo in evidenzia una assunzione di orientamenti forzati della mano
e del polso durante l’impugnatura degli strumenti chirurgici, una postura
incongrua degli arti superiori in particolare del polso, del gomito e della
spalla con azioni ripetitive ed insufficienti pause di riposo.
Conclusioni
Il caso descritto, epicondilite laterale in arto superiore dominante di
natura tecnopatica, ipotizza nella sua genesi la sinergia di due fattori di rischio, quali i movimenti ripetitivi degli arti superiori e le vibrazioni. Queste ultime sono chiamate in causa nello sviluppo di patologie muscolo
scheletriche anche in presenza di strumenti a basso peso e sostenute da
una contrazione muscolare non massiva.
L’iter diagnostico eseguito e l’analisi dell’attività lavorativa ha confermato il sospetto.
Si ritiene pertanto opportuno inserire i medici del settore odontoiatrico tra i gruppi a rischio per i disturbi muscolo-scheletrici dell’arto superiore su cui intervenire con strategie di tipo preventivo con programmi
di formazione- informazione, fornitura di sistemi di lavoro ergonomici,
diminuzione degli stress lavorativi e conseguentemente prevenzione degli stati di affaticamento.
Bibliografia
1) Keiserling WM, Stetson DS, Silverstein BA, Brouwer ML. A checklist for evaluating ergonomic risk factors associated with upper extremity cumulative trauma disorders. Ergonomics 36: 807-831; 1993.
2) Moore JS, Garg A. The strain index: a proposed method to analyze
jobs for risk of distal upper extremity disorders. Am Ind Hyg Assoc J
56: 443-458; 1995.
3) OSHA’S draft standard for prevention related muscoloskeletal disorders. Appl Occup Environ Hyg 18: 443-458; 1995.
POSTER
464
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
V. Molinaro, E. Badellino, S. Palmi, F. Draicchio
Parametri fisiologici dell'assistente di volo durante l'attività
a corto raggio
ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Laboratorio di Fisiologia ed Ergonomia
L’attività dell’assistente di volo si caratterizza per i compiti assegnati
in materia di sicurezza del volo (briefing di sicurezza), assistenza ai passeggeri in condizioni di emergenza ed in condizioni normali, informazioni
ai passeggeri mediante i sistemi di diffusione sonora, procedure di armamento e disarmo degli scivoli. Tuttavia il servizio svolto a bordo degli aeromobili dagli assistenti di volo è rappresentato principalmente dalla preparazione e distribuzione ai passeggeri di cibi e bevande. Durante l’imbarco dei passeggeri inoltre gli assistenti di volo collaborano alla sistemazione nelle cappelliere del bagaglio a mano. Sia i pasti che gli articoli in vendita vengono movimentati mediante appositi carrelli (trolley) che nelle fasi di decollo e di atterraggio sono ancorati all’interno di spazi (galley) dove vengono predisposti i cibi e le bevande da distribuire nella fase di crociera. I galleys sono complessi strutturali dedicati allo stivaggio degli inserti, progettati per contenere pasti e materiali destinati al servizio passeggeri ed appositamente attrezzati per la conservazione e la preparazione dei
pasti. Il blocco di questi inserti è assicurato da appositi elementi di vincolo
presenti sul galley stesso, che garantiscono il blocco di trolleys e standard
units durante il volo. Al termine del servizio ai passeggeri gli assistenti di
volo sono impegnati nelle attività di riordino dei carrelli e di predisposizione degli stessi per la tratta successiva. In genere l’attività in ciascun turno di lavoro sulle rotte nazionali è costituita da una successione di più tratte in alcuni casi intervallate da un pernottamento in uno scalo intermedio.
La mansione dell’assistente di volo comporta l’esposizione ad una
serie di fattori di rischio che interagiscono in maniera complessa. In let-
teratura sono presenti innumerevoli segnalazioni su alcuni di questi fattori tra i quali: Radiazioni cosmiche, Alterazioni del ritmo circadiano e
fatica operazionale, Stress, Microclima, Ozono, Ipossia, Accelerazioni,
Pressurizzazione della cabina, Attività di movimentazione manuale dei
carichi, Posture incongrue, Rumore e Vibrazioni. Alcune condizioni di rischio peculiari sono riportate nella tabella I. Al fine di valutare le caratteristiche dell’impegno metabolico che l’attività comporta, abbiamo proceduto, con l’autorizzazione di una compagnia aerea, alla registrazione
mediante un cardiofrequenzimetro Polar Advantage NV, dell’attività cardiaca di un assistente di volo su una tratta nazionale. La registrazione è
stata effettuata in modalità R-R, che consente di valutare la frequenza cardiaca battito per battito. La registrazione (fig. 1) è stata iniziata in coincidenza dell’annuncio alla preparazione al decollo da parte del comandante, ed è proseguita fino ad atterraggio avvenuto. Il tracciato ha evidenziato una prima fase di incremento della frequenza cardiaca, che è stato messo in relazione col decollo e con la fase di pressurizzazione della cabina.
Una successiva fase di incremento dell’attività cardiaca (con valori
di picco di 40 bpm al di sopra della frequenza di riposo) è stato riferito
invece al servizio offerto ai passeggeri. A tale fase ha fatto seguito una fase di recupero ed una successiva di mantenimento con valori di 20-30
bpm al di sopra della frequenza di riposo. Tale fase coincideva con le attività svolte all’interno del galley e finalizzate al riordino dei materiali e
alla predisposizione dei carrelli. Una fase finale di incremento della frequenza cardiaca è stata infine riferita alla fase di atterraggio.
Tabella I
• Turbolenze di media intensità e sforzo muscolare per il mantenimento della stazione eretta
• Turbolenze elevate e ripercussioni al sistema muscoloscheletrico
• Svolgimento del servizio con volo “cabrato”
• Forza centrifuga in virata con rischio articolare
• Attività svolta in stazione eretta prolungata, con inclinazioni,
torsioni, azioni di spinta e traino
• Eccessiva altezza delle cappelliere per l’alloggio del bagaglio a
mano
• Turni prolungati con inizio al mattino presto
• Soste progressivamente ridotte
• Tratte giornaliere numerose (anche 5,5/die)
• Turni irregolari
• Incremento dei servizi a bordo
• Servizio precipitoso
• Carenza di strutture di sosta
Figura 1
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
465
E. Badellino1, M. Ciavarella2, V. Molinaro1, A. Papale1, S. Rovetta2, F. Draicchio1
Valutazione di parametri metabolici, biomeccanici e posturali
dell’attività di trasporto e consegna delle carni
1
2
ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Laboratorio di Fisiologia ed Ergonomia
ASL Roma B, Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro
Il ciclo di produzione delle carni prevede diverse fasi e tipologie di
attività quali l’allevamento, la macellazione, il trattamento e la distribuzione. Tali attività sono spesso effettuate in comparti lavorativi distinti e
richiedono l’intervento di figure professionali diverse.
Sono presenti in letteratura numerosi studi riguardanti attività che
comportano l’effettuazione di movimenti ripetuti dell’arto superiore durante la lavorazione delle carni. Taluni compiti richiedono l’uso di forza
per la presa di utensili od oggetti, associata a velocità, a posture inadeguate del polso e della mano e all’uso di strumenti vibranti. Molte attività
obbligano inoltre il lavoratore a mantenere per lungo tempo posture incongrue non solo del polso e della mano, ma anche del tronco (torsione,
flessione, estensione). A queste condizioni critiche vanno aggiunti altri
fattori di rischio quali, ad esempio, condizioni microclimatiche sfavorevoli, rumorosità ambientale, stress.
Pochi riferimenti scientifici si hanno invece per quanto riguarda la
valutazione del rischio da movimentazione manuale dei carichi durante
alcune fasi della lavorazione e trasformazione della carne: particolarmente critiche risultano infatti le operazioni di facchinaggio, insacco e
immagazzinamento che prevedono attività di sollevamento, trasporto,
spinta e traino.
In relazione al rischio da movimentazione manuale dei carichi, poco
esplorata risulta in particolare la mansione di trasporto e consegna delle
carni ai rivenditori nella quale sono chiaramente evidenti alcuni aspetti
critici dovuti principalmente al tipo di carico movimentato, alle modalità
operative e al contesto in cui tale attività viene effettuata.
La presente indagine, finalizzata ad evidenziare le peculiarità metaboliche, biomeccaniche e posturali della predetta attività, è stata effettuata su due addetti di un’azienda di trasporto carni che opera presso un mattatoio, al fine di valutarne i parametri fisiologici e biomeccanici durante
le fasi di consegna della carne agli esercizi di vendita al dettaglio.
La mansione comporta il trasferimento e lo smistamento delle carni
nella sala mercato del mattatoio e, da questo locale, il trasporto sulla banchina di carico per il caricamento dei camion frigo. La carne in varie pezzature viene quindi trasportata e consegnata alla piccola distribuzione. Al
rientro, gli operatori si occupano della sanificazione dell’automezzo.
Al soggetto addetto alla guida del veicolo e alla consegna della carne è stata monitorata la frequenza cardiaca (misurata in battiti per minuto) mediante un cardiofrequenzimetro Polar Advantage NV e, utilizzando
la ripresa effettuata con videocamera digitale, è stato stimato, mediante
un apposito software (Apalys 3.0), il carico discale a livello lombo-sacrale.
I valori della frequenza cardiaca riscontrati durante 4 ore e 50 minuti di registrazione raggiungevano livelli critici (140 bpm) nelle fasi più
impegnative di consegna, con valori medi di 99 bpm a fronte di una frequenza cardiaca di base di 70 bpm. Inoltre, le manovre di trasporto di carichi consistenti, anche superiori a 120 Kg, richiedendo posture e movimenti inadeguati del tronco, comportavano spesso un superamento del
“Maximum Permissible Limit” (MPL) a livello dell’unità disco-vertebra
L5-S1, stimato dal NIOSH a 6400 N; infatti, per carichi movimentati di
75 Kg, le forze di compressione discale stimate risultavano pari a 10117
N, per carichi di 85 Kg erano pari a 12053 N e per carichi di 100 Kg raggiungevano i 12801 N. Anche l’“Action Limit” (AL), pari a circa 3400 N,
viene superato movimentando carichi di 55 Kg, dove le forze di compressione discale stimate risultavano pari a 5635 N.
Figura 1. Ricostruzione del modello tridimensionale relativa
alla fase di trasporto di un carico del peso di 85 Kg.
Sono stati proposti alcuni interventi correttivi di tipo strutturale, fra
cui una riduzione delle pezzature da trasportare in contenitori adeguati o
tramite appositi ausili elettrici; l’utilizzo di pedane di continuità per coprire i dislivelli e le distanze fra i livelli; l’adozione di pavimenti antisdrucciolo; la predisposizione di reti di rotaie comandate elettricamente
sia nella sala mercato che nel camion; l’impiego di sponde o palchi di salita/discesa dei pezzi dal camion; la presenza di bracci di calata dei pezzi
e di scale elettriche retraibili. Sarebbe opportuno inoltre intervenire anche
con misure organizzative, adeguando il numero di addetti e degli automezzi, agendo sui turni, sulle pause di lavoro e sulla pianificazione delle
consegne. È importante predisporre un’adeguata formazione e informazione dei lavoratori e una sorveglianza sanitaria mirata. Andrebbe, infine,
eseguito un monitoraggio per la verifica dell’efficacia degli interventi
correttivi approntati.
Bibliografia
1) Ayoub MM. Problems and solution in manual material handling: the
state of the art. Ergonomics 1992; 35: 7/8, 713-28.
2) Chen HC, Ayoub MM. Dynamic biomechanical model for risk asymmetric lifting. In: Aghaza F Ed. Trends in Ergonomics/Human Factors
V (North-Holland); 1988.
3) NIOSH. A Work practices guide for manual lifting. Tech Report Publication No. 81-122. U.S. Department of Health and Human Services. Cincinnati, OH; 1981.
4) Recommandations et manutention manuelle de charges (J.O., 11 aout
1993). Arch Mal Prof 1993; 54: 7, 629-30.
5) Recommandation CNAMTS. Manutention des quartes ou carcasses
de viande de boucherie. R 393. Mautention manuelle. Aide-mémoire
juridique. INRS, TJ 18. Evaluation des risques professionnels. Guide
pour les PME-PMI. INRS, ED 840. Méthode d’analyse des manutentions manuelles. INRS, ED 776; 2002.
POSTER
466
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
F. Draicchio, E. Badellino, V. Molinaro, A. Papale
Indicatori fisiologici di esposizione per le attività di movimentazione
manuale dei pazienti
ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Laboratorio di Fisiologia ed Ergonomia
Nel lavoro viene proposto un confronto fra il consumo di ossigeno
nelle operazioni di trasferimento di un paziente dal letto alla carrozzina
eseguite sia manualmente sia mediante tecniche di ausiliazione. I dati
proposti evidenziano come tale parametro fisiologico sia in grado di differenziare adeguatamente le attività condotte con tecnica manuale da
quelle eseguite mediante l’utilizzo di ausiliatori. Viene anche proposto
come indicatore fisiologico di esposizione per le attività di movimentazione dei pazienti il costo cardiaco relativo.
A tale scopo è stata simulata in laboratorio una serie di operazioni di
trasferimento pazienti da un comune letto di degenza ospedaliera ad una
carrozzina effettuando tali prove sia manualmente che mediante un sollevatore a corsetto. La figura 1 mostra i dati relativi al consumo di ossigeno registrato mediante il sistema telemetrico Cosmed K2.
L’apparecchio veniva montato sull’operatore 10-15 minuti prima
della registrazioni per favorire l’adattamento. Sono stati eliminati i soggetti che presentavano una risposta iperventilatoria all’apparecchio stesso. Le operazioni iniziavano dopo 3 minuti di registrazione in condizione di riposo. Nel tracciato a linea continua vengono rappresentati i dati
relativi al consumo di ossigeno delle manovre manuali, nelle quali i valori di picco superano i 2 l/min. La manovra ausiliata è rappresentata invece dal tracciato segmentato con i simboli circolari. I valori di picco si
collocano a 1.5 l/min. Risulta inoltre evidente la diversa durata delle operazioni manuali e ausiliate. Al termine della prova è possibile osservare il
graduale ritorno alle condizioni di riposo.
Va infine sottolineato che i dati riportati sono riferiti, nel caso della
manovra manuale, ad uno dei due operatori impegnati nell’attività, mentre nel caso della manovra ausiliata i dati provengono dall’unico operatore che effettua la manovra. Quindi, supponendo che l’impegno metabolico della manovra manuale sia suddiviso equamente tra i due operatori, si
può ritenere plausibile un confronto fra il doppio del dispendio energetico dell’operatore impegnato nella manovra manuale ed il dispendio energetico dell’unico operatore impegnato nella manovra ausiliata. Va comunque osservato che anche le manovre ausiliate possono essere eseguite da due operatori, in particolare utilizzando il sollevatore a corsetto, nella fase di posizionamento del corsetto al disotto del paziente, manovra
che richiede il posizionamento del paziente su di un fianco. L’opportunità
di adibire due operatori alla manovre ausiliate appare tanto maggiore
quanto più grave è il livello di disabilità o il peso del paziente.
L’altro indicatore fisiologico proposto per le attività di movimentazione manuale dei pazienti è il costo cardiaco relativo.
Il costo cardiaco relativo (CCR) è ottenuto mettendo in rapporto l’aumento della frequenza cardiaca con l’aumento massimo probabile, tenuto conto della frequenza di riposo e della frequenza massima (220-l’età).
In pratica il costo cardiaco relativo esprime in percentuale il rapporto fra
il costo cardiaco netto (CCN) e la differenza fra la frequenza cardiaca
massima (maxHr) e la frequenza cardiaca di riposo (rHR). Il costo cardiaco netto non è altro che la differenza fra la frequenza cardiaca media
Figura 1
di lavoro e la frequenza cardiaca media di riposo. La frequenza cardiaca
massima può essere stimata in modo teorico secondo la formula di
Astrand (220-età in anni) oppure può essere estrapolata mediante prove
sottomassimali al cicloergometro.
La formula del costo cardiaco relativo risulta pertanto:
CCR = CCN/maxHR-rHR
Il carattere di questo indicatore suggerisce che esso debba essere riferito alle sole attività di movimentazione e non all’intero ciclo lavorativo. Ad esempio appare opportuna la sua applicazione ad attività quali
l’assistenza al letto del paziente. Spesso queste attività vengono condotte
da due operatori in coppia. In tal caso è possibile calcolare il CCR per entrambi gli operatori.
Per una più completa valutazione delle attività di movimentazione
manuale dei pazienti appare comunque utile associare alla misura del costo cardiaco relativo, quella del costo cardiaco netto e la registrazione dei
picchi con i relativi livelli di frequenza cardiaca. Ciò consentirà di identificare all’interno dell’attività, eventuali sporadiche fasi di maggior impegno che potrebbero essere sottostimate con la sola misura del CCR.
Bibliografia
1) Garg A, Owen BD, Beller D, and Banaag J. A biomechanical and ergonomic evaluation of patient transferring tasks: bed to wheelchair
and wheelchair to bed. Ergonomics 34: 289, 1991.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
467
P. Benevento, G. Sciaudone
Il rischio chimico “moderato”, indicazioni pratiche per la sua
individuazione
Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro II, Seconda Università degli Studi di Napoli
Premesse
Il Decreto Legislativo n. 25 del 2 febbraio 2002 costituisce il recepimento italiano della Direttiva 98/24/CE, fornendo i requisiti minimi per
la salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori nei confronti degli
agenti chimici presenti negli ambienti di lavoro.
Il nuovo Decreto risulta per alcuni aspetti profondamente innovativo,
in prima istanza per l’ampliamento del campo di applicazione.
Quest’ultimo viene infatti esteso a sostanze chimiche (medicinali,
cosmetici, esplosivi, etc.) in precedenza escluse dai campi applicativi del
D.Lgs. 626/94, ma anche a quegli agenti che, pur non essendo classificabili come pericolosi in base ai D.Lgs. n. 52/97 e n. 258/98, possono mettere a rischio la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa di loro proprietà chimico-fisiche, tossicologiche, o in relazione alle loro modalità di
utilizzo, comprese le sostanze cui è stato assegnato un TLV.
Tuttavia l’elemento di maggiore novità del Decreto è sicuramente
l’individuazione di una soglia di rischio, quella del cosiddetto “rischio
moderato”, che consente al datore di lavoro di evitare misure di prevenzione primaria (la sostituzione dell’agente pericoloso, la riprogettazione
dei processi lavorativi, il miglioramento della ventilazione, l’adozione di
DPI), e di prevenzione secondaria (sorveglianza sanitaria, monitoraggio
ambientale e biologico, etc.).
È chiaro a tutti che la legge, in attesa dell’emanazione del Decreto
ministeriale relativo, attribuisce al datore di lavoro l’obbligo di identificare e definire il rischio.
Tale temporanea assenza di una identificazione giuridica del rischio
moderato, lascia spazio a non poche perplessità.
La maggiore fra queste è senz’altro rappresentata dall’aleatorietà
dell’ aggettivo moderato che può avere diverse interpretazioni, assumendo varie connotazioni a seconda dell’esaminatore, sia esso il datore di lavoro al momento della valutazione del rischio, sia esso l’organo di vigilanza al momento dell’ispezione, con l’imbarazzante eventualità, in quest’ultimo caso, di differenti posizioni degli organi di controllo.
Occorre altresì mettere in evidenza la differenza che esiste nella definizione di rischio moderato fra la Direttiva CE ed il D.Lgs 25/02.
Nella prima il rischio moderato viene individuato solo dal parametro
quantità dell’agente chimico mentre nel recepimento italiano i parametri
presi in considerazione sono:
• il tipo di agente chimico,
• la quantità,
• le modalità e la frequenza dell’esposizione.
In entrambi i testi i parametri individuati devono coesistere con la
condizione che le misure di prevenzione e protezione siano sufficienti a
ridurre il rischio.
Ma le perplessità non sono soltanto relative alla definizione del rischio moderato sotto gli aspetti interpretativi della Direttiva 98/24/CE, in
quanto vi sono difficoltà nella sua definizione anche di ordine tecnico e
scientifico
In primo luogo richiamiamo l’attenzione sulla complessità della valutazione del rischio chimico, ed in particolare sul fatto che l’esposizione
agli agenti chimici è pressocchè sempre una multiesposizione, sia essa
contemporanea che sequenziale. Nell’ottica di tale multiesposizione è
possibile inoltre che si sviluppino effetti sinergici fra le sostanze in uso,
laddove cioè l’effetto tossico ottenuto su un organo bersaglio risulta maggiore della sommatoria dei singoli effetti delle sostanze.
Da quanto detto emerge che vengano valutati gli effetti complessivi
sulla salute di diverse sostanze, alle quali possono essere o meno stati attribuiti valori limite di esposizione, con ulteriori difficoltà nel caso, per
alcune di esse, di un assorbimento che si realizzi in massima misura attraverso la via cutanea.
In secondo luogo non bisogna dimenticare che i lavoratori possono
avere una diversa suscettibilità ai vari tossici per diverse ragioni (soprattutto di ordine fisio-patologico), motivo stesso per il quale si legge
chiaramente nella definizione dei TLV, che tali limiti di soglia indicano le
concentrazioni di sostanze aerodisperse al di sotto delle quali si ritiene
che solo la maggioranza dei lavoratori possa rimanere esposta ripetutamente giorno dopo giorno senza subire effetti negativi sulla salute.
Criteri per la definizione del rischio moderato
Fermo restando quanto previsto dall’art. 72-terdecies D.Lgs. 626/94
relativo all’emanazione di un Decreto Ministeriale per l’individuazione
del rischio moderato e, nelle more di questo, che la valutazione del rischio moderato è comunque effettuata dal datore di lavoro, si ritiene di
fornire alcune indicazioni relative all’individuazione della soglia del rischio moderato secondo i seguenti criteri:
Rischio tossicologico
1) ATTRAVERSO L’USO DEI VALORI LIMITE OCCUPAZIONALI
In tal senso fa riferimento la norma UNI EN 689 (Allegato VII sexies
Titolo VII bis D.Lgs 626/94) dove all’APPENDICE C viene fornita una
procedura formale per la valutazione dell’esposizione di addetti.
In merito ai valori di esposizione rilevati si può evitare la misurazione periodica dell’agente (art. 72-sexies comma 2 D.Lgs 626/94) e terminare il processo di miglioramento, in quanto ci sono sufficienti garanzie
che non sia superato il TLV, quando:
• Su di un turno di lavoro il valore di esposizione risulta inferiore ad
1/10 del valore limite.
• Su tre diversi turni il valore di esposizione risulta inferiore ad 1/4 del
valore limite.
Pertanto è ragionevole e praticabile indicare che i valori di 1/10 su di
un turno e di 1/4 su tre turni fissano la soglia al di sotto della quale si può
classificare il rischio moderato per inalazione di un agente chimico.
In alternativa la stessa norma UNI EN 689 offre un approccio di valutazione statistica rispetto al valore limite (APPENDICE D).
Qui il numero di misurazioni delle esposizioni deve risultare più alto (almeno 6 è il numero minimo accettabile) e sono previste tre zone
di riferimento in funzione delle percentuali previste di superamento del
valore limite:
• Situazione rossa con probabilità di superamento del valore limite
maggiore del 5%.
• Situazione arancio con probabilità di superamento del valore limite
fra lo 0,1 ed il 5%.
• Situazione verde con probabilità di superamento del valore limite inferiore allo 0,5%.
POSTER
468
Nel caso di applicazione di questo criterio statistico la soglia del rischio moderato è individuabile quando si rientra nella situazione verde.
2) SENZA L’AUSILIO DI VALORI LIMITE
I modelli o algoritmi per la valutazione del rischio permettono, attraverso un giudizio sintetico finale, di inserire il risultato delle valutazioni
in classi; risulta pertanto indispensabile, per l’applicazione di ogni modello, oltre alla conoscenza dettagliata, riferirsi alla specifica graduazione in esso contenuta.
Nel caso delle piccole imprese artigiane, che si distinguono per un’elevata variabilità delle mansioni lavorative degli addetti e dei relativi tempi di esposizione nonché delle modalità d’uso degli agenti chimici, gli algoritmi o modelli possono rappresentare uno strumento di particolare utilità nelle valutazione del rischio.
Risulta comunque consigliabile, nei casi dubbi, confermare il risultato dei modelli con una o alcune misurazioni dell’esposizione.
3) ESPOSIZIONE CUTANEA
Nel campo della valutazione dell’esposizione cutanea non sono attualmente disponibili valori limite di esposizione dermica mentre sono
disponibili metodiche per la misurazione.
Nel caso di valutazione dell’esposizione cutanea per classificare il rischio moderato sono disponibili due vie (di diversa validità):
• Senza misurazioni, attraverso un modello (per esempio quello proposto in allegato B) in cui ci si può classificare nel rischio moderato
quando la valutazione porta alle classi “molto basso” e “basso” che
devono comunque escludere il contatto o lo prevedono solo per casi
sporadici o incidentali.
• Con misurazioni, da utilizzare ogni qual volta esistano dubbi sull’esposizione cutanea; in questo caso per classificarsi in rischio moderato un approccio conservativo (tutelante) potrebbe essere quello di
determinare quantità, in concentrazione (µg/cm2/giorno), al di sotto
di 10 volte il limite di rilevabilità del metodo (valore di concentrazione trovato < 10 L.R.).
Rischio di incendio e/o esplosione
Per la classificazione al di sotto della soglia del rischio moderato nel
caso della valutazione di incendio si individua il D.M. 10/03/1998 “Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’ emergenza nei
luoghi di lavoro” quale punto di riferimento.
Nel D.M. vengono individuate tre classi di rischio di incendio: luoghi di lavoro a rischio di incendio elevato, medio e basso e, nell’allegato
IX, sono individuati, a titolo esemplificativo e non esaustivo, elenchi di
attività che rientrano nelle attività a rischio di incendio medio ed elevato.
Per tali attività si ritiene automatico classificare il rischio di incendio
superiore al moderato.
Per attività non indicate nell’allegato IX si deve effettuare la valutazione del rischio incendio ed è possibile classificare al di sotto della soglia del rischio moderato quelle attività per cui tali valutazioni hanno portato all’identificazione delle seguenti condizioni (punto 1.4.4 del D.M.
10/03/1998 rischio di incendio basso):
• Sostanze a basso tasso di infiammabilità.
• Condizioni locali di esercizio con scarsa possibilità di sviluppo di
principi d’incendio.
• Probabilità di propagazione limitata in caso di eventuale incendio.
Inoltre possono essere di ausilio nella valutazione di incendio e/o
esplosione e nella relativa classificazione in rischio moderato:
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
1) La norma CEI EN 60079-10 (Classificazione dei luoghi pericolosi);
CEI 31-35 e CEI 31-35/A (Guide per l’applicazione della norma
CEI-EN 60079-10).
2) La norma CEI 64-2 (Prescrizione specifica per la presenza di polveri infiammabili e sostanze esplosive).
3) La direttiva 1999/92/CE del 16/12/1999 relativa alle prescrizioni minime per il miglioramento della tutela della sicurezza e della salute
dei lavoratori che possono essere esposti a rischio di atmosfere esplosive (quindicesima direttiva particolare ai sensi dell’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE).
Conclusioni
In definitiva dalle diverse considerazioni fatte emerge un concetto di
primaria importanza: la valutazione del rischio chimico per la sua particolare complessità richiede delle competenze professionali alte che in genere fanno parte del bagaglio formativo del solo medico competente il cui
ruolo attivo di collaborazione con il datore di lavoro al momento della valutazione diventa come mai in precedenza momento decisivo ed imprescindibile nella definizione del rischio stesso.
Bibliografia
1) Iavicoli N, Gragnaniello V, Benevento P, Improta A, Esposito G.
Quale sorveglianza sanitaria in presenza di rischio moderato ai sensi
del D.Lgs. 25/2002. Giornate di Corvara, IX Congresso Nazionale
AIDII, Atti del convegno,19-21 Marzo 2003.
2) D.Lgs 2 febbraio 2002, n. 25. Attuazione della direttiva 98/24/CE
sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i
rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro. Supplemento
G.U. n. 40/L dell’8/03/2002.
3) Direttiva CE del 1998 n. 24.
4) Marchesini B. Le novità contenute nel D.Lgs. 25/02 rispetto a quanto previsto dal D.Lgs. 626/94. Atti del seminario: La nuova legge sugli agenti chimici: quali le novità per lavoratori ed RLS, Atti del convegno, Bologna 7 Novembre 2002.
5) Arcari C. La Valutazione del rischio moderato: aspetti critici e difficoltà interpretative. Collana INFOSIRS, Volume n. 2, 2002.
6) D.Lgs. n. 626/94 Titolo VII.
7) D.P.R. del 19/03/1956 n. 303.
8) D.P.R. del 27/04/1955 n. 547.
9) D.Lgs. del 15/08/1991 n. 277.
10) D.Lgs. del 17/03/1995 n. 230.
11) D.L.gs del 03/02/1997 n. 52.
12) D.Lgs del 16/07/1998 n. 285.
13) D.M. del 28/04/1997, All. VI.
14) Norma UNI-EN 689/1997.
15) Direttiva CE dell’8/06/2000 n. 39.
16) Norma UNI-EN 481/1994.
17) Norma UNI-EN 482/1998.
18) D.M. del 10/03/1998.
19) Norma CEI EN 60079-10.
20) Norma CEI 31-35.
21) Norma CEI 64-2.
22) Direttiva CEE del 1989 n. 391.
23) Direttiva CE del 16/12/1999 n. 92.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
469
G Marino, B. Rori, B. Pucci, V. Gilet, U. Iannaccone, A. Magrini
Formazione degli addetti al pronto soccorso. Note interpretative
sull’art. 3 comma 2 del nuovo Decreto
Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Il nuovo decreto sull’organizzazione del pronto soccorso prevede lo
svolgimento di corsi di formazione teorico-pratica dei lavoratori addetti al
pronto soccorso, designati dal datore di lavoro con l’incarico di attuare le
misure di primo soccorso, salvataggio e gestione dell’emergenza. qualche
difficoltà interpretativa potrebbe sorgere sull’applicazione fedele alla volontà del legislatore circa il secondo comma dell’art. 3 del decreto, come
così proposto: “2. La formazione dei lavoratori designati è svolta da personale medico. Nello svolgimento della parte pratica della formazione il
medico può avvalersi della collaborazione di personale infermieristico professionale o di altro personale specializzato”. Tale comma è costituito da
due frasi che si possono interpretare nei termini seguenti: Prima frase: “La
formazione dei lavoratori designati è svolta da personale medico.” …la
formazione… ai fini degli adempimenti di legge “il datore di lavoro…, sentito il Medico Competente ove previsto, prende i provvedimenti necessari
in materia di pronto soccorso” (art. 15 D.Lgs. 626/94). La formazione dei
lavoratori incaricati di attuare le misure di pronto soccorso, alla luce del
decreto, sarà: …svolta da personale medico… la legge non parla in questo
caso di Medico Competente. L’unico riferimento al Medico Competente è
nel citato art. 15 della 626 quando indica “sentito il Medico Competente,
ove previsto”. Deve esserci il parere del Medico Competente come intenzione del legislatore a monte del decreto. Pertanto è da ritenersi implicita
la previsione di legge circa la scelta di concerto tra datore di lavoro e Medico Competente del personale medico incaricato di formare il personale
addetto alle attività di pronto soccorso. Sembrerebbe pertanto inopportuno
che il datore di lavoro scelga unicamente egli stesso a quale personale medico delegare la formazione per il pronto soccorso dei suoi dipendenti. Il
Medico Competente inoltre concorre col datore di lavoro ad 'individuare
quale lavoratore potrà essere candidato alla formazione al pronto soccorso.
Il decreto inoltre indica “personale medico” il che non equivale a medico
del lavoro, né tantomeno a Medico Competente. È lecito che gli obiettivi
didattici della formazione dei lavoratori siano percorsi anche da una equipe di medici, i quali potrebbero suddividersi i compiti formativi, le ore di
didattica e la parte pratica. Nella seconda frase: “Nello svolgimento della
parte pratica della formazione il medico può avvalersi della collaborazione di personale infermieristico professionale o di altro personale specializzato”. …parte pratica… Prevede l’acquisizione di capacità di intervento
pratico. Deve essere formato ogni singolo lavoratore designato su ogni singola tecnica prevista dagli allegati 3 e 4, i quali prevedono che in 4-6 ore
si acquisiscano capacità su n. 7 (sette) tecniche individuate dalla legge, ma
che didatticamente possono essere ricapitolate in n.4 (quattro) tecniche
fondamentali, ossia BLS, Emorragie, Trasporto infermi, Posizioni di primo
soccorso. …Il medico… ossia la parte pratica è svolta dal medico. È lui ad
essere presente ed a fare formazione. …può avvalersi della collaborazione
di personale infermieristico professionale… Viene introdotta nell’ambito
del decreto la figura dell’infermiere professionale, con un suo ruolo, in collaborazione con il medico, nell’istruzione dei lavoratori sulle tecniche d’emergenza. Viene in questo caso scelto unicamente dal medico, e non dal
datore di lavoro, l’infermiere professionale che dovrà collaborare. È compito del medico individuare i casi in cui necessita la collaborazione dell’infermiere; è tuttavia auspicabile che nell’abito della scelta dei collaboratori didattici, ci si avvalga di personale esperto e in possesso di titoli che
ne caratterizzino la professionalità. Si intendono proporre i seguenti criteri per individuare il tipo di collaborazione legalmente ineccepibile, come
indicato in tabella I.
Tabella I. Casi in cui è suggerita la collaborazione
con l’infermiere professionale
1. Personale infermieristico dell’Azienda Sanitaria competente sul
territorio e con buone capacità didattiche
2. Personale infermieristico del 118 o impiegato presso un Pronto
Soccorso
3. Infermiere con esperienza referenziata in formazione dei
soccorritori professionali. (Tutor BLS)
4. Infermiere esperto in emergenze extraospedaliere
5. Infermiere che si occupi prevalentemente di didattica
…altro personale specializzato… interpretando in maniera estensiva,
può intendersi chiunque si dichiari “esperto in pronto soccorso”, o abbia in
curriculum un qualsiasi attestato, anche di sola frequenza, ad un corso di
pronto soccorso. Il buon senso del medico in tal caso guiderà la scelta di collaboratori fra i non addetti ai lavori, i laici del soccorso, i volontari di diverse associazioni ed enti. Si potrebbe proporre il caso di un medico che richieda la collaborazione di equipe di soccorritori volontari iscritti in prestigiose
associazioni, quali ad esempio la Croce Rossa, tra cui molti volontari diffondono costantemente i principi del primo soccorso e sono didatticamente ben
motivati. Non sempre però l’appartenenza ad associazioni volontaristiche è
requisito sufficiente alla collaborazione col medico ai fini della formazione
di lavoratori addetti al pronto soccorso. Sarà diligenza del medico accertarsi
che detto personale sia effettivamente capace di formare i lavoratori a capacità pratiche d’intervento. I rischi insiti nell’interpretazione della norma sono
costituiti dalla possibilità che l’azione formativa venga svolta in modo frammentario, da personale che sia scarsamente preparato sia per l’esperienza nelle procedure di primo soccorso, che per la capacità didattiche. Si vuole richiamare l’attenzione sul ruolo che Il Medico Competente ed il Servizio di
Prevenzione e Protezione svolgono nella definizione dei “soggetti” impegnati nelle attività formative, tale ruolo risulta particolarmente delicato anche
in considerazione dell’ampliamento delle figure didattiche, che l’art. 3 comma 2 della bozza di decreto sul primo soccorso prevede; pertanto in assenza
di criteri specifici dovranno essere loro ad esercitare una selezione dei formatori con caratteristiche che soddisfino gli obiettivi previsti dal legislatore.
È giudizio del medico che richiede la collaborazione accertarsi che tali formatori esperti sulle procedure di primo soccorso, siano in grado di trasmettere ai lavoratori le abilità richieste. Un ulteriore timore derivato dall’applicazione della norma è generato dal rischio della frammentazione dell’evento
formativo, a discapito dell’efficacia dell’azione didattica. L’appalto della formazione specifica del primo soccorso, inoltre potrebbe far perdere alcuni
aspetti specifici quali la “personalizzazione delle procedure in relazione ai
rischi specifici della realtà lavorativa”.
Bibliografia
1) D.Lgs. 626/94
2) Bozza testo decreto primo soccorso http: //www.bencafamily.it/lex
57-00/2002_11_18_PRIMO%20SOCCORSO_BOZZA.pdf
POSTER
470
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
E. Pagliari, E. Santacroce, L. Trento, U. Iannaccone, A. Magrini
Rischio occupazionale da bioterrorismo
Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Introduzione
Cosa è il bioterrorismo? Il bioterrorismo è l’uso deliberato a scopo terroristico di agenti biologici chimici o nucleari. Negli ultimi anni, ed in particolare dal 2001, si sente parlare sempre più spesso di bioterrorismo; l’attentato alle torri gemelle ha mutato profondamente la sensibilità verso questo problema;
il terrorismo da allora ha fatto un salto di qualità, arrivando al cuore del potere economico della più potente nazione occidentale. La diffusione di antrace
con la posta nel Distretto di Columbia, in Florida e nel New Jersey completò
il quadro: terroristi senza scrupolo avevano iniziato una guerra non convenzionale con l’uso delle più temibili armi di distruzione.
Obiettivi
Il personale delle emergenze si trova coinvolto in situazioni che oramai
sono ben individuate e per le quali vi sono precisi protocolli di intervento, precisi criteri di valutazione del rischio e, nella gran parte dei casi, gli operatori
sono adeguatamente attrezzati e formati per rispondere a questo tipo di evenienze; ma sarebbero pronti ad intervenire in sicurezza in un ipotetico scenario di un attentato bioterroristico? con il quadro internazionale attuale, vi potrebbero essere rischi aggiuntivi a causa del bioterrorismo per questo personale? ci sono operatori, che proprio per il lavoro che sono chiamati a compiere,
possono subire danni da un rischio bioterroristico per il quale non sono preparati? Queste ed altre domande ci hanno spinto ad analizzare più profondamente il problema cercando di non cedere a facili allarmismi, ma esaminando in
maniera più razionale possibile i dati a nostra disposizione.
Materiali e metodi
Il reperire dati è stata la fase più difficile del nostro lavoro: gli attentati bioterroristici veri e propri sono stati molto pochi, il rischio reale varia grandemente in base alla situazione internazionale e nella realtà dei fatti è assai poco
quantificabile, molte delle informazioni che potevano essere utili per una analisi corretta del problema sono informazioni classificate in quanto ritenute essenziali per la sicurezza e la difesa. Con queste premesse abbiamo attuato una analisi basata sugli eventi storici più eclatanti e su alcune simulazioni che alcuni enti della sicurezza hanno effettuato e solo da poco sono state rese accessibili.
Risultati
Abbiamo individuato tre eventi che secondo noi rappresentano, per caratteristiche diverse, un ampio spettro delle dinamiche che potrebbero presentarsi in un evento bioterroristico. L’evento più paradigmatico è sicuramente quello che si verificò a Tokyo nel 95, dove gli adepti della setta della “suprema verità” liberarono gas Sarin (un potente gas nervino) nella metropolitana. Ci furono 12 vittime, 5 di queste erano operatori di sanità, inoltre il non riconoscimento dell’agente causale (agli inizi si penso ad una intossicazione da monossido di carbonio per un incendio) provocò la contaminazione di circa 250 operatori della sanità tra coloro che erano addetti alle ambulanze e quelli che negli ospedali si occupavano della accettazione dei pazienti. Un altro episodio
che a noi è sembrato importante fu la diffusione di Antrace a mezzo posta nel
2001 in diversi stati degli USA; in quel frangente vi furono 2 vittime tra gli addetti allo smistamento e distribuzione posta e 5 contrassero forme gravi di antrace polmonare. Altro evento che abbiamo deciso di prendere in considerazione è l’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre 2001; questa nostra scelta richiede ulteriori precisazioni: questo non fu un attentato bioterroristico ma
due caratteristiche principali ci hanno convinto ad utilizzarlo come un importate modello di studio, innanzitutto il gran numero di persone coinvolte: questo è stato un banco di prova per la “macchina dell’emergenza” che secondo
molte testimonianze successive non funzionò sempre al meglio, ulteriore caratteristica che ci ha spinto ad analizzare questo episodio è stata il protrarsi del
rischio, nello specifico di quello occupazionale, oltre il “tempo zero” dell’impatto degli aerei sulle torri: il maggior numero di vittime occupazionali (343
vigili del fuoco e 28 poliziotti) si ebbe qualche ora dopo quando le torri collassarono. Questi episodi possono darci diverse informazioni: il rischio fu sottostimato o identificato molto tardivamente, gli operatori si trovarono ad agire
senza essere formati per un rischio che li colse del tutto impreparati. Queste
vittime “storicamente accertate” sono a nostro avviso la conferma che esiste
un rischio occupazionale da bioterrorismo, gli operatori che rimasero coinvolti risultarono vittime dell’impreparazione ad eventi che allora non erano, se
non molto difficilmente, ipotizzabili.
Commenti e conclusioni
Noi possiamo pertanto ragionevolmente concludere che è presente un rischio lavorativo di tipo bioterroristico, l’entità del quale è assolutamente difficile da quantificare in quanto strettamente dipendente dalla situazione politica
internazionale, e come ci aspettavamo questo lavoro più che dare risposte ha
generato una serie di interrogativi: innanzitutto come dicevamo, come quantificare questo rischio? Che misure adottare in merito alla formazione del personale e alla distribuzione eventuale di DPI? In questo contesto che ruolo può
avere il Medico Competente? Non è facile rispondere a queste domande, quello che auspichiamo è una maggiore sensibilità da parte dei Medici Competenti che operano in queste strutture “a rischio” verso questo problema, una percettività maggiore verso gli input che provengono dalla situazione internazionale e l’attuazione di procedure che in molti casi possono richiedere l’impiego
di un limitato numero di risorse ma possono, nel malaugurato caso di un evento simile, salvare un numero di vite potenzialmente molto alto.
Bibliografia
1) Ministero della salute Direzione Generale della Prevenzione. Protocolli emergenza antrace. Agenti biologici potenzialmente utilizzabili.
2) MMWR 49(RR04); 1-14, Aprile 2000. Health Aspects of Biological
and Chemical Weapons. Organizzazione Mondiale della Sanità (Bozza
non ufficiale, Agosto 2000).
3) Ministero della Salute Direzione Generale della Prevenzione. Agenti
biologici categoria A (alta priorità)” http: //www.sanita.it/malinf/Rischi/
comunicati/noteinf.htm
4) MMWR. Use of Antrax Vaccine in United States. Reccomendations of
Advisory Committee on Immunization Practice (ACIP); Vol. 49, No.
RR-15, 2000.
5) WHO Expert Committee on Plague: Third Report. Geneva, Switzerland:
World Health Organization; 1970: 1-25. Technical Report Series 447.
6) Simon JD. Biological terrorism: preparing to meet the threat. JAMA.
1997; 278: 428-430. Medline.
7) US Army Medical Research Institute of Infectious Diseases, Centers for
Disease Control and Prevention, and US Food and Drug Administration. Medical Response to Biological Warfare and Terrorism. Gaithersburg, Md: US Army Medical Research Institute of Infectious Diseases,
Centers for Disease Control and Prevention, and US Food and Drug
Administration; 1998.
8) World Health Organization. Health Aspects of Chemical and Biological
Weapons. Ginevra, Switzerland: World Health Organization; 1970: 98.
9) Ministero della salute. Direzione Generale della Prevenzione. Schede relative ad agenti chimici che potrebbero essere usati per aggressione bellica e terroristica. http: //www.sanita.it/malinf/Rischi/comunicati/noteinf.htm
10) Da Goodman G. Le basi farmacologiche della terapia. Editrice Zanichelli, 1992.
11) Santoni et al. Le armi Chimiche. Stabilimento Chimico Farmaceutico
Militare, 1991.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
471
R. Giammattei, S. Bonomo, F. Pastorelli, G. Ricciardi Tenore, S. Girardi, A. Magrini
AIDV: prevalenza dei disturbi astenopeici in addetti al call center
Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Introduzione
Materiali e metodi
La grande diffusione della tecnologia informatica ha determinato in
quasi tutti i settori lavorativi, la necessità di utilizzare il computer. La nascita di nuove attività occupazionali diverse dal tradizionale impiego in ufficio, come ad esempio il diffondersi dei call center nelle aziende, determina la necessità di studi mirati e distinti per tipologie di utilizzo del VDT.
L’attività nei call center è svolta da operatori costantemente collegati al
cliente con l’utilizzo di cuffie monoaurali, tale attività si differenzia dalle
classiche mansioni impiegatizie per la presenza di una maggiore costrittività posturale, dalla ripetitività delle operazioni svolte, dal contatto continuo con il cliente e dai ritmi di lavoro spesso estremamente impegnativi.
La mansione di addetto al call center costituisce una delle figure professionali, oggi più diffuse; per il suo rapido diffondersi e per la scarsa conoscenza delle criticità occupazionali legate sia all’utilizzo del AIVD che al
contatto con il cliente mediante cuffia monoaurale, sono scarsamente presenti in letteratura esperienze di studio del disagio occupazionale.
Lo studio è stato effettuato nel corso della campagna di sorveglianza
sanitaria per dipendenti addetti all’utilizzo del VDT, condotta nel 2002.
Le caratteristiche dell’operatore videoterminalista sono state definite in
accordo alla legislazione vigente.
Il protocollo sanitario prevedeva una visita medica generale, eseguita dal Medico del Lavoro, una visita oculistica eseguita da un medico
specialista in oculistica e la somministrazione di un questionario per la
verifica della presenza di sintomatologia astenopeica. I dati sono stati registrati su supporto informatizzato e analizzati con adeguato software
(SPSS ver. 8).
Scopo dello studio
L’obiettivo del presente studio è valutare, tramite la somministrazione del questionario suggerito dal Gruppo Italiano Lavoro e Visione, la
prevalenza di sintomatologia astenopeica in due distinti gruppi di lavoratori: operatori di call center, in ambiente lavorativo unico aperto (open
space), con circa 60 dipendenti, ed impiegati addetti ad attività lavorativa tradizionale all’interno di uffici, con la presenza di 5-6 dipendenti.
Con astenopia si intende in oftalmologia un quadro caratterizzato da disturbi oculari e/o visivi di tipo irritativo e disfunzionale che insorgono
quando l’apparato visivo tenta di conseguire, mediante artifici stressanti,
risultati funzionali eccedenti le proprie possibilità fisiologiche.
Risultati
Nello studio sono stati arruolati 1487 dipendenti di una società addetta al trasporto aereo; 229 addetti ad attività di call center e 1258 impiegati addetti ad attività d’ufficio classico. Le principali caratteristiche
della popolazione esaminata sono riassunte nella tabelle.
Le caratteristiche principali analizzate nei due gruppi descrivono popolazioni sostanzialmente diverse: la popolazione addetta ad attività di call
center presenta un’età più giovane, con scolarità medioalta e risulta prevalentemente costituita da donne. I dati della visita oculistica non hanno sostanzialmente evidenziato delle differenze per quanto concerne la frequenza
di disturbi del visus ad eccezione della presbiopia maggiormente rappresentata nel gruppo degli impiegati. I principali sintomi astenopeici sono stati
analizzati in base alla frequenza nei due gruppi di operatori ed il confronto
tra frequenze è stato effettuato con il test del X2. La prevalenza dei disturbi
oculovisivi non è risultata discordante nei due gruppi considerati, ad ecce-
Tabella I
Mansione
N°
Media
Significatività
ETÀ
Operatore Call C.
Impiegato
229
1258
31,97 ± 7,77
41,42 ± 9,81
P < 0,01
ANNI DI LAVORO AL VDT
Operatore Call C.
Impiegato
229
1258
7,51 ± 6,36
12,88 ± 8,23
P < 0,01
ORE DI LAVORO AL VDT
Operatore Call C.
Impiegato
229
1258
5,21 ± 1,19
5,69 ± 1,77
P < 0,01
Mansione
N°
Femmina
Maschio
Significatività
Operatore Call C.
Impiegato
229
1258
183 (79,9%)
352 (28,0%)
46 (20,1%)
906 (72%)
P < 0,01
Mansione
N°
Libero
Coniugato
Significatività
Operatore Call C.
Impiegato
229
1258
159 (69,4%)
489 (38,9%)
70 (30,6%)
769 (61,1%)
P < 0,01
Mansione
N°
Non Fumat.
Fumatore
Significatività
Operatore Call C.
Impiegato
229
1258
147 (64,2%)
850 67,6%)
82 (35,8%)
408 (32,4%)
P = ns
SESSO
STATO CIVILE
FUMO
POSTER
472
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
Tabella II. Prevalenza sintomi astenopeici considerati
Sintomo
Call Center
Impiegato
Sig.
Call Center
Impiegato
Sig.
4.4
3,9
P = ns
Percezione aloni col.
0,9
0,2
P = ns
0
1
P = ns
Cefalea
7,4
3,0
P = 0,03
Bruciore oculare
9,2
9,6
P = ns
Rigidità cervicale
2,6
1,7
P = ns
Fotofobia
0,4
0,5
P = ns
Nausea
0,9
0,4
P = ns
Lacrimazione
3,9
3,1
P = ns
Dolori del rachide
10
9,5
P = ns
Ammiccamento freq.
2,1
1,1
P = ns
Dolori dell’arto sup.
0,9
1,3
P = ns
Visione sfuocata
4,4
3,2
P = ns
Ansia
0
0,1
P = ns
Visione sdoppiata
0,4
0,2
P = ns
Senso di peso oculare
Prurito oculare
Sintomo
Tabella III. Distribuzione dei sintomi per persona
Numero di sintomi astenopeici riferiti per persona
0
1
2
3
4
Operatore Call Center
141 (61,6%)
69 (30,1%)
17 (7,4%)
2 (0,9%)
0
Impiegati
868 (69,0%)
309 (24,6%)
64 (5,1%)
15 (1,2%)
2 (0,2%)
zione del sintomo cefalea la cui differente prevalenza è risultata statisticamente significativa.
Conclusioni
L’analisi dei dati sull’astenopia nelle due popolazioni considerate non
evidenzia sostanziali differenze. In particolare i risultati ottenuti dallo studio non si discostano dalle esperienze maturate in letteratura. La popolazione di call center entrata nello studio costituisce un campione numericamente limitato, che non si discosta per la frequenza della sintomatologia
irritativa oculare dalle frequenze registrate nella popolazione impiegatizia
di controllo. Ulteriori studi sono necessari per evidenziare il ruolo esercitato dall’utilizzo della cuffia monoaurale e dal contatto continuo con il
cliente sulla insorgenza di disagio occupazionale. Sarà necessario tuttavia
utilizzare opportuni strumenti di verifica per identificare la comparsa di disturbi correlati allo svolgimento di mansioni (call center) con caratteristiche sostanzialmente differenti rispetto al concetto di impiegato classico.
Bibliografia
1) Rubino GF, Maina G et al. Indagini longitudinale sugli operatori ai videoterminali. Atti del 55° Congresso Nazionale SIMLII, 1992; II:
993-1003.
2) Giorgianni C, Abbate C et al. Addetti a VDT. Valutazione temporale
della funzione visiva. Acta Medica Mediterranea, 1997, 13S, 179-181.
3) Scansetti G. Possibili effetti sulla salute del lavoro al videoterminale.
Professione. Sanità. Pubblica e medicina pratica. Ed. Medico Scientifiche, 1994, anno III, 18.
4) Bergqvist U. Possible effects of working with VDU. Br J Ind Med
1989, 46, 217.
5) Apostoli P, Bergamaschi A et al. Funzione visiva ed idoneità al lavoro. Folia Med 1998; 69; 13-34.
6) Piccoli B, Assini R et al. Microbiological and ocular infection in CAD
operators: an on-site investigation, Ergonomics 2001, vol. 44 no. 6,
658-667.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
473
R. Giammattei, F. Pastorelli, G. Ricciardi Tenore, S. Girardi, A. Magrini
Studio del disagio ambientale in un call center
Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
l’ambiente esterno, in particolare tale disagio può essere accentuato in
soggetti con deficit uditivi di diversa natura. Anche la struttura fisica dell’ambiente di lavoro ha subito degli adeguamenti con la creazione di openspace in grado di ospitare numerose postazioni di lavoro nello stesso ambiente. Gli ambienti open space si caratterizzano per la loro vastità e per
la rigidità delle caratteristiche microclimatiche e strutturali, la personalizzazione del posto di lavoro e delle caratteristiche microclimatiche consente di ridurre gli eventuali disagi provocati dalle condizioni ambientali, il
venir meno di questa possibilità rende ragione di una maggiore frequenza
di disagi evidenziati durante il corso della campagna di sorveglianza sanitaria. Per questo la definizione dei rischi presenti è stata aggiornata identificando delle criticità, in grado di peggiorare il disagio del lavoratore come: condizioni microclimatiche, il costante rumore di fondo (surmenage
vocale), lavoro a turni, utilizzo di cuffie o telefono, organizzazione del lavoro a ritmi intensi, postura fissa e attività ripetitive e poco complessi, l’isolamento degli operatori (sono isolati dal resto dell’organizzazione),
scarsa identità professionale e mancanza di prospettive di crescita.
Introduzione
L’evoluzione del lavoro in ufficio ha determinato un radicale cambiamento nelle modalità di esecuzione della mansione classica di impiegato.
La crescita costante delle assunzioni di personale addetto all’utilizzo di
AIDV avviene in prevalenza, sia in Italia che in Europa, per lo svolgimento di mansioni di customer service. Con il termine di call center si intende un’organizzazione che svolge, all’interno di aziende ed enti o all’esterno, ma per loro conto, servizi specializzati di interazione mediante telefono e/o altri media (fax, e-mail, internet) con clienti e/o utenti (customer care), e in modo strutturato. I call center rappresentano un nuovo modo di lavorare: mentre la conversazione è attiva l’operatore interroga una
o più banche dati, richiede o immette informazioni nel terminale ricerca la
procedura appropriata per risolvere il problema del cliente, attiva le necessarie procedure d’intervento delle unità tecniche interessate. Questa
mansione, si distingue rispetto al passato, per il costante contatto con il
cliente e l’utilizzo di cuffie monoaurali con microfono che permettono all’operatore di parlare con l’utente e contemporaneamente utilizzare il terminale per immettere o cercare informazioni. L’introduzione delle cuffie
ha ridotto il rischio di disturbi alle spalle e al collo legate all’utilizzo della cornetta e all’abitudine di schiacciare la stessa tra spalle e testa per utilizzare entrambe le mani. L’utilizzo della cuffia monoaurale può però
comportare una distorta percezione dei segnali acustici provenienti dal-
Obiettivo dello studio
Verificare la prevalenza di disagio legato a condizioni igienico ambientali, verificare lo stato di salute dei lavoratori e la differenza, dove
esistente, tra disagio ambientale in ufficio tradizionale e nei call center.
Tabella I. Prevalenza disturbi ambientali considerati
Operatore Call Center
Impiegato
Significatività
Rumore ambientale
2,2
2,9
P = ns
Postura incongrua
4,8
6,9
P = ns
Fumo passivo
6,1
3,5
P = ns
Correnti d’aria
11,8
2,9
P < 0,01
Aria viziata
18,3
8,8
P < 0,01
Ricircolo inadeguato
16,6
14,8
P < 0,01
Illuminazione
25,3
29,9
P = ns
Orario di lavoro
0,4
0,2
P = ns
Organizzazione del lavoro
0,9
2,8
P = ns
Tabella II
Numero di criticità riferite per soggetto
0
1
2
3
4
totale
Operatore
Call Center
113
49,3%
62
27,1%
29
12,7%
22
9,6%
3
18,8%
229
100%
Impiegati
659
52,4%
372
29,6%
152
12,1%
62
4,9%
13
1,0%
1258
100%
POSTER
474
Materiale e metodi
Lo studio è basato sulla valutazione di una popolazione di 229 operatori del call center, operanti in sale con 60 operatori nello stesso ambiente, a confronto con una popolazione di 1258 impiegati tradizionali,
operanti in uffici tradizionali con 5-6 operatori per stanza, mediante somministrazione di un opportuno questionario sulla percezione individuale
delle criticità menzionate. I dati sono stati raccolti nel corso della campagna sanitaria e registrati su supporto informatizzato e analizzati con adeguato software (SPSS ver. 8).
Risultati
La prevalenza delle risposte che identificano una cattiva percezione
dell’ambiente di lavoro, in particolare per parametri microclimatici quali: correnti d’aria, aria viziata e ricircolo inadeguato, appare significativamente maggiore nel gruppo dei call center. Questo dato risulta particolarmente interessante in considerazione della relativamente recente esperienza sulla predisposizione di oppurtuni open space. Inoltre il numero di
criticità riferite dagli addetti al call center risulta prevalente per 3-4 disturbi associati.
Conclusioni
Il presente studio ha evidenziato la differente percezione del disagio
ambientale nei due gruppi considerati, dato significativo rispetto a studi
analoghi improntati sui sintomi oculovisivi o astenopeici che al contrario
non determinano variazioni rilevanti.
Il problema fondamentale è correlato al fatto che, in un ambiente
confinato, caratterizzato da una forte concentrazione di postazioni di la-
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
voro, l’efficacia dei sistemi di aereazione non soddisfa le singole necessità creando inevitabilmente situazioni di disagio. Dalla successiva verifica eseguita sui luoghi di lavoro è emerso come i dati evidenziati durante la raccolta anamnestica corrispondano ad una reale situazione di possibile inefficienza sia del sistema di condizionamento che dell’abbattimento del rumore. Dai nostri dati emerge la necessità di valutare con
estrema accuratezza le problematiche di disagio ambientale riferite dai lavoratori nei call center; questo in relazione anche, nel caso dei call center, al frequente riscontro in ambito di sorveglianza sanitaria non solo di
disagio ma anche di patologie correlabili all’attività svolta; in particolare
disturbi anche lievi delle alte vie respiratorie, e disturbi della fonazione
legati all’eccessivo rumore disturbante e alle caratteristiche microclimatiche (umidità etc.). Tali evidenze costituiscono una costante prova del
ruolo giocato dalle caratteristiche ambientali degli open space nel determinare le condizioni di salute e benessere degli operatori.
Bibliografia
1) Apostoli P, Bergamaschi A et al. Funzione visiva ed idoneità al lavoro. Folia Med 1998; 69; 13-34.
2) Bergqvist U. Possible effects of working with VDU. Br J Ind Med
1989, 46, 217.
3) Piccoli B, Assini R. Microbiological and ocular infection in CAD
operators: an on-site investigation, Ergonomics 2001, vol. 44 no. 6,
658-667.
4) Piccoli B. The visual system and work, Ergophthalmology, 2001, volume 1, page 212-218.
5) Raw G, Aizlewood C et al. Proceedings of the 8th International Conference on Indoor Air Quality and Climate, Edinburgh 1999.
6) Rubino GF, Di Bari A et al. Epidemiological analysis of discomforts
signs. Bull Ocul 1989, suppl. 7, 68-74.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
475
B. Sed, Murri L., M.T. De Pietro, G. De Luca, A. Francia, A. Magrini
Legge 14/2003 modifiche all'art. 55 del D.lgs 626/94.
Dispostivi speciali di correzione, note interpretative
Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Introduzione
Gli effetti sulla salute che il lavoro al videoterminale può comportare
sono in relazione alla durata dell’esposizione, alle caratteristiche del lavoro svolto, alle caratteristiche dell’hardware e del software, alle caratteristiche del posto di lavoro e dell’ambiente. Per la tutela della salute e della sicurezza di questi lavoratori si fa riferimento al titolo VII del D.Lgs 626/94
e successive modifiche. Relativamente all’idoneità dei lavoratori che utilizzano attrezzature munite di videoterminale, tranne casi particolari o
malformazioni strutturali e funzionali condizionanti una rilevante compromissione della capacità lavorativa specifica (es. quelle determinanti una
grave ipovisione, o l’impossibilità dell’uso delle mani), non esiste un’incompatibilità assoluta tra lavoro con AIVD e le più comuni patologie oftalmologiche e muscoloscheletriche osservabili nella popolazione in età lavorativa. I risultati degli accertamenti sanitari possono evidenziare la necessità di dispositivi speciali di correzione, di cui si fa menzione all’art. 55
comma 5 del D.Lgs 626/94, specificando che la loro fornitura è a carico del
datore di lavoro. Bisogna ricordare, inoltre, che la Circolare del Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale n. 30 del 05.03.1998 chiarisce che per “dispositivi speciali di correzione” di cui all’art. 55,
comma 5, del D.Lgs n. 626/94 si devono intendere quei particolari dispositivi che consentono di eseguire in buone condizioni il lavoro al videoterminale quando si rivelino non adatti i dispositivi
normali di correzione, cioè quelli usati dal lavoratore nella vita
quotidiana. L’articolo di cui sopra è stato modificato come segue:
“il datore di lavoro fornisce, a sue spese, ai lavoratori i dispositivi speciali di correzione, in funzione dell’attività svolta, qualora i
risultati degli esami di cui ai commi 1,3-ter e 4 ne evidenzino la necessità e non sia possibile utilizzare i dispositivi normali di correzione” dall’articolo 7 della legge 3 febbraio 2003, n. 14 “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza
dell’Italia alle Comunità Europee. Legge comunitaria 2002”. La
norma è stata introdotta a seguito di una sentenza della Corte di
Giustizia della Comunità Europea, sesta sezione, del 24/10/2002,
con la quale si condanna l’Italia per non aver recepito correttamente nella propria legislazione l’art. 9, n. 3, 90/270/CEE relativa
alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminale. I Giudici
infatti hanno ritenuto che le disposizioni del DPR n. 547/55 e quelle del
D.Lgs 626/94 prescrivono in maniera non sufficientemente chiara e precisa che i lavoratori debbono ricevere i dispositivi speciali di correzione in
funzione dell’attività svolta qualora i risultati dell’esame degli occhi, della
vista e di un esame oculistico ne evidenzino la necessità e non sia possibile utilizzare dispositivi di correzione normali. Il medico del lavoro può trovarsi a dover esprimere il proprio parere sulla necessità di fornire tali dispositivi, senza peraltro che la legge chiarisca quali sono i criteri per l'assegnazione degli stessi, la modifica apportata può creare,infatti, confusione
sull’assegnazione di tali dispositivi. Si è ravvisata la necessità di fornire
delle informazioni che possano aiutare il medico in tale compito dal momento che un numero sempre maggiore di persone utilizza per lavoro attrezzature munite di videoterminale. A tale scopo si rimanda a quanto proposto dalla Circolare del Ministere du Travail, de l’emploi et de la formation
professionelle (tab. I), e viene suggerito, nella figura 1, un percorso valutativo finalizzato alla eventuale fornitura di dispositivi speciali di correzione.
Tabella I
Ministere du Travail, de l’emploi et de la formation professionelle
DRT 91-18 del 4/11/1991, capo III
– questi dispositivi sono esclusivamente rappresentati dalle lenti
correttive per la visione intermedia
– sono escluse le lenti progressive o multifocali, che non possono
essere considerate tra i dispositivi speciali di correzione
– analogamente escluse sono le lenti correttive normalmente utilizzate dal lavoratore nella vita quotidiana
– la dotazione delle lenti correttive utilizzate per la visione intermedia
è necessaria solo quando la riorganizzazione ergonomia del posto
di lavoro (cioè soprattutto la sistemazione del monitor e portadocumenti ad una stessa distanza, opportunamente scelta in funzione
della miglior messa a fuoco del lavoratore) si rivela inefficace
Figura 1
Bibliografia
Circolare Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale n° 30 del 05/03/1998.
Circulaire DRT n° 91-18 4/11/1991 relative à l’application du décret n°
91-451 du 14/05/1991 concernant la prévention des risques liés au travail sur des équipements comportant des écrans de visualisation.
Direttiva CEE/CEEA/CE n° 270 del 29/05/1990.
Legge n° 14/2003.
Linee Guida su articolo VI. Uso di attrezzature munite di videoterminali.
Regione referente: Lombardia.
Sentenza della Corte (Sesta Sezione) 24 ottobre 2002 “Inadempimento di
uno Stato - Art. 9, n. 3, della Direttiva 90/270/CEE - Protezione degli
occhi e della vista dei lavoratori - Dispositivi speciali di correzione in
funzione dell’attività svolta”.
POSTER
476
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
B. Pucci, A. Primavera, B. Sed, S. Macchiaroli, A. Magrini
Andamento degli infortuni sul lavoro in un distretto ASL, ipotesi
di prevenzione e ruolo del medico competente nella sicurezza
Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Introduzione
Conclusioni
L’infortunio sul lavoro costituisce un fenomeno rilevante, sia sul piano
umano che sul piano economico, fenomeno che non può essere trascurato.
In occasione del “Worker’s Memorial Day” nell’Aprile 2002, l’ILO ha presentato alcune stime di patologie da lavoro a livello mondiale: ogni anno due
milioni di lavoratori perdono la vita a causa di lesioni o malattie professionali, circa 350.000 persone muoiono per incidenti sul lavoro con una media
di 14 vittime ogni 100.000 lavoratori, in media 3 ogni minuto; per ogni incidente mortale si stimano circa 1.000 infortuni non mortali molti dei quali
con invalidità permanenti.
Nonostante il continuo impegno normativo degli ultimi anni e lo sforzo
concreto che ha contraddistinto l’apertura del nuovo millennio ci dirigiamo
verso una diminuzione dei risultati positivi in termini di effettiva prevenzione
degli infortuni. La drammatica situazione che tuttora esiste in questo campo è
testimoniata anche dagli ultimi dati diffusi dall’Inail. Tuttavia, nonostante i risultati non ottimali, la normativa vigente in tema di sicurezza ed igiene del lavoro evidenzia e sottolinea che la fase preliminare per avviare una adeguata
opera di prevenzione in ambiente di lavorativo è costituita dalla valutazione
del rischio, che consente l’elaborazione di un piano di sicurezza. Gli aspetti
fondamentali da considerare sono, quindi, quelli relativi alla reale efficacia,
validità, aggiornamento e concretezza della valutazione del rischio e di ciò
che ne consegue ai fini di prevenzione. Da queste considerazioni, scaturisce
la necessità di ricorrere, ed utilizzare a pieno, il parere del medico competente in tutte le situazioni lavorative a potenziale rischio; ciò in una più moderna
e realistica pratica della prevenzione nell’interesse prioritario del cittadino, la
cui tutela della salute è, pertanto, un diritto sancito dalla Cassazione. L’obbiettivo del Medico Competente è concorrere alla diminuzione del numero e
della gravità degli effetti degli incidenti sul lavoro, formando i lavoratori stessi sia su cosa devono o non devono fare in caso di infortunio, attraverso l’analisi dei principali eventi infortunistici e relative patologie indotte, ma soprattutto cercando di realizzare un intervento preventivo alla fonte, basato su
metodologie comportamentali che i singoli lavoratori dovranno utilizzare per
meglio tutelare la propria sicurezza. Alla luce di tali considerazioni, deve essere ulteriormente avvalorata la figura del medico competente, sia nella gestione della sicurezza “tecnica” che, e soprattutto, nella gestione della sicurezza “umana”. In tal modo il lavoratore entrerà in possesso degli elementi
idonei a valutare esattamente, così da evitarlo, il rischio infortunistico; e non
solo nei riguardi della conoscenza della manualità operativa ma, anche, delle
conseguenze di manovre errate, e comportamenti non idonei così da comprendere i rischi connessi agli errori umani.
Materiali e metodi
I dati presentati in questo studio sono dati ricavati dalle denuncie di
infortunio sul lavoro pervenute ufficialmente nell’anno 2001 e nel 2002
presso tutti i Servizi PRESAL del Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda USL RM-H. I dati presentati non esprimono la totalità degli eventi accaduti a livello territoriale nel biennio 2001-2002, in quanto escludono gli
infortuni capitati a lavoratori non assicurati presso l’Inail e quelli relativi ad
alunni che si sono infortunati in corso di attività sportive nella scuola. I dati presenti nel modulo di denuncia ovvero il certificato medico, sono stati inseriti in un database (archivio) informatizzato.
Risultati
Gli infortuni sul lavoro denunciati negli anni 2001-2002 a livello territoriale (ASL RMH) sono stati 659, di cui 640 nell’industria e soltanto 19 nel
settore agricoltura; il sesso maschile costituisce il sesso di gran lunga più
colpito in entrambe le gestioni (uomini 459, donne 200). I casi mortali non
si sono verificati, nel periodo considerato.
La percentuale di infortuni con invalidità temporanea (98,2%) è maggiore nell’industria rispetto all’agricoltura in entrambi i sessi, ed in tutti i comuni considerati. L’età media del campione è di 40 anni: nell’industria la
frequenza è maggiore nelle classi di età intermedie (>30-55) che sono anche
quelle con maggior numero di occupati, mentre per l’agricoltura l’esiguo
numero di casi non consente una elaborazione significativa in ordine di frequenza; non si evidenziano differenze significative tra uomini e donne. Nell’insieme i dati indicano che le età a maggior rischio di infortunio sul lavoro sono quelle in cui inizia l’attività lavorativa (>30 sono 137 casi) e quelle
in cui tende a diminuire l’efficienza psico-fisica.
Altri risultati di particolare interesse sono quelli che si riferiscono alla
frequenza di infortuni nelle diverse tipologie industriali: si riscontra un rischio maggiore per la Sanità, l’industria dei metalli, le costruzioni ed il commercio al dettaglio nei confronti di tutte le altre attività industriali. Una riflessione particolare spetta ai risultati dell’analisi relativa alla sede della lesione; la sede della lesione più frequentemente interessata dagli infortuni sono le mani. Di 659 infortuni totali ben 177 sono a carico delle mani; le lesioni alle mani costituiscono il ( )% degli infortuni e sono ugualmente frequenti nei diversi settori industriali considerati.
In tutti i settori industriali le più frequenti lesioni alle mani sono risultate le ferite, e la prima osservazione da fare è che queste possono essere facilmente evitate con l’uso appropriato dei guanti di protezione. Per quanto
riguarda il tipo di lesioni si è riscontrata la seguente frequenza in ordine crescente: ferite, contusioni, distorsioni e fratture, a cui non si associa una frequenza statisticamente significativa dei giorni di prognosi.
Bibliografia
1) Gobbato F. Infortuni sul lavoro, Masson, Medicina del Lavoro, 2002.
2) Iavicoli S, Soleo L, Palmi S, Persechino B. Il medico del lavoro e le strategie per la prevenzione degli infortuni alcol correlati. Giornale Italiano
di medicina del Lavoro ed Ergonomia 24: 3; 288-292: 2002.
3) Messineo A, Aiello C, Allocca A et al. Prevenzione, igiene e sicurezza
nei laboratori, poliambulatori, studi medici ed odontoiatrici. Ordine provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri. Anno 2003.
4) Messineo A, Leone M, Barbato M. Alcune notazioni sul fenomeno infortunistico: ruolo del medico competente negli interventi di prevenzione.
Giornale Italiano di medicina del Lavoro ed Ergonomia 24: 3; 284-287:
2002.
5) Messineo A. Guida alla scelta dei DPI, la parola alle norme UNI. Ambiente e sicurezza sul lavoro. Gennaio 2002.
6) Soleo L, Abbritti G, Ossicini A et al. Medico del lavoro e prevenzione
infortuni. Giornale Italiano di medicina del Lavoro ed Ergonomia 24: 3;
303-308: 2002.
7) Zocchetti C (Servizio epidemiologia Clinica del Lavoro di Milano), Bertazzi PA (Clinica del Lavoro di Milano). Epidemiologia degli infortuni
sul lavoro, Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS, Pavia 1997 - I Documenti 13.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
477
E. Romeo, L. Coppeta, L. Murri, S. Skossyreva, A. Magrini
Funzionalità respiratoria in soggetti esposti a polvere di cemento
Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Tabella I. Caratteristiche delle coorti
Introduzione
Numerosi studi epidemiologici sono stati effettuati sugli effetti prodotti dall’inalazione cronica di polvere di cemento sull’apparato respiratorio. I
primi studi standardizzati (Kalacic, 1973; Saric et al 1976; Maestrelli et al
1979; Attfield et al, 1985) hanno evidenziato, nelle popolazioni esposte a
polveri di cemento, una maggiore prevalenza di affezioni respiratorie di tipo ostruttivo rispetto a quelle non esposte. Tali risultati sono confermati da
studi più recenti condotti in regioni in cui le condizioni ambientali e di lavoro sono rimaste immodificate rispetto al passato e in cui non vengono
adottate misure di protezione collettiva e individuale (Saric et al, 1992; Laraqui et al, 2001; Al Neaimi YI et al, 2001). Scopo del nostro studio è quello di valutare se l’evoluzione del ciclo produttivo del cemento, l’introduzione di strumenti di protezione e le modificazioni comportamentali occorse negli ultimi 20 anni abbiano modificato la prevalenza di alterazioni della funzionalità respiratoria a carattere ostruttivo in 2 popolazioni di lavoratori esposti in due diverse decadi successive.
Materiuali e metodi
Sono state esaminate 2 coorti di lavoratori valutate mediante visita medica, spirometria statica e dinamica. Le due popolazioni sono state osservate
con controlli annuali in due diverse decadi di esposizione. La prima popolazione comprende 138 lavoratori impiegati presso il cementificio nel periodo
1980-1990; la seconda popolazione è composta da 259 lavoratori impiegati
nel periodo 1990-2000. Sono stati valutati per ciascuna decade i lavoratori assunti nel periodo e non precedentemente esposti a polveri di cemento. Sono
stati considerati fumatori coloro che fumano più di 5 sigarette al giorno da almeno 3 anni e ex fumatori coloro che non fumano più da almeno 3 anni. In
base alle informazioni sul ciclo tecnologico e alle indagini sulla polverosità
ambientale abbiamo suddiviso le 2 popolazioni in 4 categorie di esposizione
crescente: nessuna esposizione (impiegati, portieri); basso livello di esposizione (addetti alle spedizioni, carropontisti); moderato livello di esposizione
(addetti alle pulizie, palisti, fochini, sondatori), alto livello di esposizione (insacchini, manutentori). Sono stati esclusi lavoratori con anamnesi positiva per
malattie polmonari, o patologie sistemiche in grado di alterare la performance della prova spirometrica. Gli esami spirometrici sono stati effettuati in entrambe le occasioni con spirometri a pneumotocografo. I valori spirometrici
sono stati espressi in valori assoluti e in percentuale del corrispondente valore teorico secondo le tabelle CECA 71. I dati sono espressi come media e deviazione standard. L’analisi delle variabili continue è stata eseguita con il test
t-student. Abbiamo considerato statisticamente significativi valori di p minori di 0,05. Il software usato per l’analisi dei dati è SPSS 10.
Risultati
Le caratteristiche delle due popolazioni per quanto riguarda età, BMI,
anzianità lavorativa, abitudine al fumo e indice di kalacic sono descritte
nella tabella I. Non ci sono differenze per quanto riguarda la distribuzione
dei lavoratori tra le varie mansioni (P=0,217). Gruppo 1: esposti tra il
1980 e il 1990; Gruppo 2: esposti tra il 1990 e il 2000 Il test χ2 ha mostrato nel gruppo 1 un’aumentata prevalenza di alterazioni respiratorie, anche escludendo come variabile confondente la diversa abitudine al fumo di
sigaretta (vedi tabella I).
Età
Anz lav
BMI
Kalacic
Non fumatori
Fumatori
Ex fumatori
PFR alterate
PFR alterate tra
i non fumatori
Gruppo 1
34,80 ± 8,94
5,98 ± 3,03
25,68 ± 3,18
148,22 ± 170,98
51/138 (37%)
84/138 (60,9%)
3/138 (2,2%)
39/138 (28,3%)
13/51 (68,4%)
Gruppo 2
Significatività
34,98 ± 7,35
P=ns
5,93 ± 2,91
P=ns
25,52 ± 3,53
P=ns
128,22 ± 159,18
P=ns
120/259 (46,3%)
92/259 (35,5%)
P<0.000
47/259 (18,1%)
20/259 (7,7%)
P<0.000
6/120 (31,6%)
P<0.000
Conclusioni
Questo studio dimostra come la prevalenza di alterazioni della funzionalità polmonare determinate dall’esposizione a polvere di cemento
sia notevolmente ridotta in confronto al passato. Sebbene il fumo di sigaretta sia noto favorire l’insorgenza dell’affezione respiratoria in popolazioni esposte a polveri di cemento (Kalacic, 1973; Maestrelli et al, 1979;
Mengesha et al, 1998), la differente prevalenza di alterazioni respiratorie
viene comunque confermata, anche escludendo i fumatori dalle popolazioni studiate (vedi tabella I). In conclusione la significativa riduzione di
alterazioni respiratorie riscontrata può essere certamente attribuita da una
parte ad interventi sull’ambiente, effettuati mediante sostanziali modifiche del ciclo tecnologico (es. meccanizzazione delle operazioni di insacco) che hanno portato ad una riduzione della polverosità ambientale documentata dalle indagini ambientali, dall’altra ad interventi sul lavoratore centrati soprattutto sugli aspetti di formazione-informazione e di educazione sanitaria (necessità e modalità corretta di impiego dei DPI).
Bibligrafia
1) AlNeaimi YI, Gomes J, Lloyd OL. Respiratory illnesses and ventilatory function among workers at a cement factory in a rapidly developing country. Occup Med (Lond) 2001; 51: 367-373.
2) Kalacic I. Chronic non specific lung disease in cement workers. Arch
Environ Health 1973; 26: 78-83.
3) Laraqui CH, Laraqui O, Tripodi D, Yazidi AA. Prevalence of respiratory probelms in workers at two manifacturing centers of ready-made
concrete in Morocco. Int J Tubers Lung Dis 2001; 5: 1051-1058.
4) Maestrelli P, Simonato L, Gemignani C, Maffessanti MM. Distribuzione della pneumoconiosi e della bronchite cronica negli addetti alla
produzione del cemento. Med Lavoro 1979; 3: 195-202.
5) Mengesha YA, Bekele A. Relative chronic effects of different occupational dusts on respiratory indices and health of workers in three
ethiopian factories. Am J Ind Med 1998; 34: 373- 380.
6) Saric M, Kalacic I, Holetic A. Follow up of ventilatory lung function
in a group of cement workers. Brit J Ind Med 1976; 33: 18.
7) Saric M. Occupational and environmental exposures and nonspecific lung
disease a review of selected studies. Isr J Med Sci 1992; 28: 509-512.
8) Yang CY, Huang CC, Chiu HF, Chiu J F, Ko YC. Effects of occupational dust exposure on the respiratory health of Portland cement
workers. J Toxicol Environ Health 1996; 581-588.
POSTER
478
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
G. Ales, A. Imperatore, L. Murri, S. Perrone, A. Magrini
Analisi della radioattività naturale dovuta al gas radon presente negli
ambienti sotterranei della metropolitana di Roma
Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Introduzione
Il Radon è un gas radioattivo incolore estremamente volatile, prodotto dal decadimento di tre nuclidi capostipiti che danno luogo a tre diverse
famiglie radioattive: il Thorio 232, l’Uranio 235 e l’Uranio 238. Il decadimento naturale dell’uranio (U-238) produce in totale altri tredici prodotti radioattivi. I rappresentanti più noti della serie sono il radon (Rn- 222)
ed il suo diretto predecessore, il radio (Ra-226). La catena di decadimento termina con il piombo (Pb-206) stabile. Nel 1988 l’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha
identificato il Radon e i suoi prodotti di decadimento come sostanze cancerogene del gruppo 1: l’effetto sanitario di maggiore rilevanza, legato al
radon, è un aumento di rischio di sviluppo di tumori polmonari.
Materiali e metodi
Ambienti oggetto delle misurazioni e tecniche di misura. Oggetto delle misurazioni sono stati sia le vetture che l’aria delle gallerie. Sono state
individuate due vetture per ciascuna linea, ed un cunicolo di servizio che
accede direttamente sui binari nella galleria della linea B. Le misurazioni
effettuate in galleria avevano lo scopo di valutare la dinamica di emanazione del gas radon dal sottosuolo e dai materiali edili utilizzati.
L’indagine della radioattività naturale è stata effettuata mediante misurazione della concentrazione in aria di radon-222. Sono state utilizzate
due diverse tecniche di misura:
• Misurazioni integrate in tempi lunghi.
• Monitoraggio continuo con campionamenti orari.
Risultati
La valutazione della concentrazione in aria di radon-222 in galleria è
stata effettuata sia mediante misurazioni integrate con dosimetri passivi
che mediante monitoraggio continuo con strumentazione attiva.
I risultati relativi ai 129 campionamenti, effettuati durante il monitoraggio continuo, evidenziano periodiche e frequenti variazioni delle concentrazioni di radon-222, difficilmente imputabili alle dinamiche d’emanazione del radon dal materiale geologico del sottosuolo e/o di quello edile
utilizzato nelle strutture, ma piuttosto determinate dai grossi flussi d’aria
derivati dagli spostamenti dei treni in servizio. Infatti, durante il servizio,
l’aria viene spinta dalla massa e dalla velocità dei treni nell’intera rete delle gallerie, provocando contemporaneamente fenomeni di soprapressione e
di depressione “effetto stantuffo”. Questo effetto provoca bruschi e massicci ricambi d’aria con l’esterno, in quanto l’aria compressa viene in parte spinta verso l’esterno (in particolare attraverso le stazioni di fermata) e
poi integrata con l’aspirazione (che avviene in particolare attraverso i condotti verso l’esterni). Analizzando i valori medi della concentrazione in aria
del Radon-222 in galleria, durante la fascia oraria in cui è attivo il servizio
metropolitano e durante le 6 ore notturne di non servizio, si evidenzia che
non sussistono differenze rilevanti tra le due diverse fasce orarie: 646 - 712
(Bq m-3), anche se, a treni fermi, il ricambio d’aria provocato dal servizio
risulta diminuito. Questo fenomeno si realizza in quanto le condizioni edili delle gallerie della metropolitana (notevoli dimensioni con grandi volumi d’aria presenti nelle gallerie, la presenza di numerosi condotti e stazioni comunicanti direttamente con l’esterno) non consentono il raggiungimento dell’equilibrio radioattivo del gas radon, con il conseguente accumulo di gas radon-222 ed incremento delle concentrazioni di radon in aria.
La valutazione della concentrazione in aria di radon-222 nelle vetture è stata effettuata mediante misurazioni integrate con dosimetri passivi.
I risultati ottenuti mostrano che le concentrazioni del radon-222 presente nelle cabine dei conduttori e nei vagoni passeggeri sono confrontabili e comprese nell’intervallo (97÷126) (Bq m-3). Tali valori sono tutti relativi alla linea B della metropolitana di Roma (non è stato possibile recuperare i rivelatori passivi posti nelle due vetture in servizio sulla linea metropolitana A). Per una corretta interpretazione di questi valori, è necessario
puntualizzare che le vetture della linea B percorrono in galleria circa il 50%
dell’intera tratta, mentre il restante 50% della tratta si trova all’esterno.
Conclusioni
I risultati dei valori ottenuti mediante l’esecuzione del monitoraggio
continuo nelle gallerie della linea B, evidenziano concentrazioni di radon
in aria che variano tra i 270 e i 2000 (Bq m-3) ed una media totale di 698
(Bq/m3). Tale risultato è confermato anche dalle misurazioni integrate con
dosimetri passivi effettuate nello stesso punto dove è stato effettuato il monitoraggio continuo. La concentrazione media, misurata con il rivelatore
passivo, è stata infatti di 665 (Bq/m3) con una differenza in percentuale
con la media rilevata con il monitoraggio di circa il 5%. Il valore misurato ed il valore atteso risultano simili e questo mostra la consistenza dei risultati ottenuti. I risultati delle misurazioni effettuate con i rivelatori passivi, posizionati in due vetture della linea B, hanno evidenziato una concentrazione in aria media del radon-222 di 103 (Bq/m3) nella cabina del
conduttore e 114 (Bq m-3) nel vagone passeggeri. Le valutazioni effettuate sulla base delle misurazioni eseguite nel corso di questa analisi preliminare sono di un valore della concentrazione in aria media di radon-222 di
698 (Bq/m3) nelle gallerie, e di 114 (Bq/m3) nelle vetture (cabina conduttore e vagone passeggeri). Detti risultati, relativi alla concentrazione media massima, presente nei luoghi in cui sono state effettuate le misure, debbono necessariamente essere valutati alla luce di alcune considerazioni.
La normativa vigente (D.L. 241) fissa il limite di 500 (Bq/m3) di concentrazione media annua del radon-222, riferendosi chiaramente al radon
presente negli ambienti di lavoro e non a quello presente in galleria o simili. Il valore della concentrazione in aria media di radon-222 ottenuto
nelle gallerie risulta quindi superiore al valore limite di circa il 40%, mentre quello ottenuto nelle vetture risulta inferiore al valore limite di circa il
340%. L’ambiente di lavoro cui è sottoposto per lunghi periodi il personale che opera nelle gallerie della metropolitana di Roma (linea A e B), è prevalentemente quello dei conduttori delle vetture, pertanto in base alle rilevazioni effettuate non risulta essere un ambiente a rischio da radon-222.
Per il personale che opera nelle gallerie (manutenzione) debbono essere
effettuate valutazioni sulla base delle ore effettive di permanenza in galleria. Occorre peraltro sottolineare che la consistenza geologica (tufacea) del
tratto considerato, rappresenta una delle più importanti sorgenti del gas radon, non riscontrabile in altri distretti della stessa Metropolitana.
Bibliografia
1) Darby S, Hill D, Doll R. Radon: a likely carcinogen at all exposures.
Ann Oncol. 2001 Oct, 12 (10): 1341-51.
2) Haus BM, Razavi H, Kuschner WG. Occupational and environmental
causes of bronchogenic carcinoma. Curr Opin Pulm Med 2001 Jul; 7
(4): 220-5.
3) Kim DS, Kim YS. Distributions of airborne radon concentrations in Seoul
metropolitan subway stations. Health Phys. 1993 Jul; 65 (1): 12-6.
4) Decreto Legislativo 26 maggio 2000, n. 241. Attuazione della direttiva 96/29/Euratom in materia di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i rischi derivanti da radiazioni ionizzanti.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
479
L. Coppeta, M.R. Marchetti, B. Rori, A. Primavera, A. Magrini
Differenti criteri classificativi nell’individuazione di deficit ventilatori
di tipo ostruttivo
Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Introduzione
Risultati
Le maggiori associazioni scientifiche hanno emanato, anche recentemente, numerose linee guida relative all’inquadramento diagnostico e terapeutico della BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva): in ordine
cronologico ricordiamo le classificazione CECA 1983, ATS (American
Thoracic Society) 1995, ERS (European Respiratory Society) 1995 (Viegi G et al, 2000), BTS (British Thoracic Society) 1997, GOLD (Global
initiative for Chronic Obstructive Lung disesase) 2001. I diversi criteri
classificativi adottati sono riassunti in tabella I.
Scopo del nostro studio è stato quello di verificare l’effetto dell’adozione dei differenti criteri diagnosticii nella valutazione della prevalenza
dei deficit ventilatori di tipo ostruttivo in una vasta popolazione di soggetti professionalmente esposti in grado variabile a polveri di cemento.
L’età media della popolazione è di 40,4 anni (d.s. 8,94). L’anzianità
lavorativa media è risultata di 13,77 anni(d.s. 8,64). 82 soggetti (38,0%)
sono stati classificati come “fumatori”, 57 (26,4%) come “ex fumatori” e
77 soggetti (35,6%) come “non fumatori”. Il numero di quadri ostruttivi
per le diverse associazioni risultavano i seguenti: 51 soggetti su 216
(23,6%) per l’ATS, 18 (8,3%) per l’ERS, 6 (2,3%) per la BTS, 21 (9,7%)
per la CECA, 22 (10,6%) per la GOLD. Abbiamo successivamente condotto una analisi sulla condizione di “ostruito” in base all’abitudine al fumo di sigaretta. Il dato della maggior frequenza di deficit ostruttivi rilevati con l’utilizzo dei criteri ATS si conferma anche in tutte le classi di
abitudine al fumo (tabella II).
La frequenza delle alterazioni ostruttive è stata successivamente valutata per classi di anzianità lavorativa. La differenza tra le varie classi
appare evidente solo per quanto riguarda i dati relativi alla classificazione ATS. Abbiamo infine valutato il grado di concordanza per le diverse
metodiche interpretative mediante analisi statistica del kappa di Cohen.
I risultati sono espressi in tabella III. I più alti valori di concordanza si rilevano tra criteri ERS e GOLD.
Materiali e metodi
I dati relativi alla nostra indagine sono stati raccolti nel 2003 da esami spirometrici eseguiti su 216 lavoratori (213 maschi e 3 femmine) operanti a vario titolo in 5 stabilimenti di produzione del cemento. L’esame
spirometrico è stato condotto mediante apparecchio V20c (Vmax series)
della ditta SENSORMEDICS. Nel corso dell’esame sono stati determinati i volumi polmonari statici ed i flussi respiratori forzati. I valori predetti sono stati calcolati utilizzando le formule dell’ECCS (European Comunity for Coal and Steel) per popolazioni lavorative adulte. Gli esami
sono stati refertati secondo i criteri illustrati in tabella I. Per ogni soggetto sono state raccolte le informazioni anamnestiche di base, l’anamnesi
lavorativa, l’anamnesi pneumologica remota e prossima e l’abitudine al
fumo di sigaretta. La quantificazione del dato relativo al fumo di sigaretta è stata raccolta come pack/year (p/y: numero di pacchetti fumati al
giorno per anni di abitudine al fumo) ed i soggetti sono stati classificati
come “fumatori leggeri” (p/y fino a 10), “fumatori moderati” (p/y da 10
a 30) e “forti fumatori” (p/y superiore a 30). I dati raccolti sono stati elaborati mediante programma SPSS 8.1.
Discussione
La prevalenza di deficit spirometrici di tipo ostruttivo nella nostra popolazione varia, secondo le differenti strategie interpretative dal 2,3% (criteri BTS) al 23,6% (criteri ATS). La prevalenza complessiva di alterazioni funzionali compatibili con quadro disventilatorio di tipo ostruttivo non
si discosta con quanto riportato in letteratura per la popolazione generale.
Dall’analisi della concordanza delle differenti interpretazioni viene evidenziata l’ omogeneità delle classificazioni ERS e GOLD, tra le più utilizzate in ambito clinico insieme alla ATS (la quale mostra tuttavia una
concordanza assai minore con le altre due). In accordo con quanto trovato in letteratura l’utilizzo della metodica ATS può portare ad una sovrastima dei deficit ostruttivi più evidente nei soggetti al disopra dei 50 anni di
Tabella I. Classificazione dei deficit spirometrici di tipo ostruttivo
Definizione
Grado
ERS
FEV1/SVC < 88% del teorico (M)
< 89% del teorico (F)
lieve:
severo:
FEV1 ≥ 75%, moderato: 50% ≤ FEV1 > 75%
FEV1 < 50%
ATS
FEV1/VC* < 0,75 (75% in valore assoluto)
lieve:
severo:
FEV1 ≥ 70%, moderato: 60% ≤ FEV1 > 70%
34% ≤ FEV1 > 50%
GOLD
FEV1/FVC < 0,70 (70% in valore assoluto)
lieve:
severo:
FEV1 > 80%, moderato: 50% ≤ FEV1 ≥ 80%
FEV1 < 50%
CECA
FEV1 < 75% del teorico
lieve:
severo:
FEV1 > 70%, moderato: 50% ≤ FEV1 ≥ 70%
FEV1 < 50%
BTS
FEV1 < 80% del teorico e
FEV1/FVC < 0,70
lieve:
severo:
60% ≤ FEV1 > 80%, moderato: 40% ≤ FEV1 > 60%
FEV1 < 40%
POSTER
480
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
Tabella II. Prevalenza di ostruzione (%) nelle varie classi
di abitudine al fumo
ERS
ATS
GOLD
BTS
CECA
Non fumatori
5,2
12,9
5,2
2,6
10,4
Ex fumatori
8,6
25,9
10,3
3,4
10,3
Fumatori lievi
2,5
10,0
2,5
0
5,0
Fumatori moderati
13,9
47,2
16,7
5,6
13,9
Forti fumatori
50,0
83,3
83,3
0
0
Tabella III. Valori di concordanza tra tecniche
interpretative
ERS
ATS
GOLD
BTS
CECA
ERS
–
0,45
0,89
0,39
0,18
ATS
0,45
–
0,54
0,17
0,26
GOLD
0,89
0,54
–
0,40
0,19
BTS
0,39
0,17
0,40
–
0,42
CECA
0,18
0,26
0,19
0,42
–
età (l’associazione prende in considerazione il rapporto FEV1/VC in valore assoluto). La mancata integrazione con i dati antropometrici e anagrafici rende ragione delle scarse possibilità di utilizzo di una simile classificazione nella pratica della Medicina del Lavoro, a causa del rischio di
sovrastimare gli effetti patogeni degli inquinanti aerodispersi nell’ambiente lavorativo. Le classificazioni ERS e GOLD hanno manifestato nel nostro studio un eccellente livello di concordanza. In particolare la classificazione ERS (prevedendo un confronto del Tiffenau misurato con il valore predetto) appare appropriata nello screening di ampie popolazioni lavo-
rative disomogenee per i dati anagrafico ed antropometrico. Per tale motivo risulta idonea all’utilizzo nella sorveglianza sanitaria del settore cementifero nel quale, nonostante la notevole riduzione dei livelli di polverosità attuali rispetto al passato, può essere considerato ancora attuale il rischio di insorgenza di quadri bronchitici (Noor H et al, 2000; Yang C et al,
1996). La classificazione della British Thoracic Society, invece, è sembrata nel nostro campione restrittiva nella stima della prevalenza dei deficit
ostruttivi. La vecchia classificazione CECA appare oggi assolutamente
inadeguata a causa dell’utilizzo dei valori di FEV1 nell’individuazione
dell’ostruzione polmonare. Dal nostro studio appare evidente come l’utilizzo di differenti criteri diagnostici, pur di largo impiego clinico, possa
causare variazioni di un ordine di grandezza nella stima della prevalenza
delle alterazioni spirometriche. Andrebbe definita una strategia interpretativa univoca, almeno per quanto concerne l’interpretazione del danno alla persona, passibile oggetto di provvedimenti medico-legali adeguati.
Bibliografia
1) American Thoracic Society. Standard for the diagnosis and care of patients with chronic obstructive pulmonary disease. Am J Respir Care
Med 1995; 152: S77-S120.
2) American Thoracic Society. Evaluation of impairment/disability secondary ti respiratory disorders. Am Rev Respir Dis 1986; 133: 12051209.
3) British Thoracic Society. Diagnosis and management of stable COPD.
Thorax 1997; 52: S7-S15.
4) Yang C, Huang C, Chiu F, Lan S, Ko Y. Effects of occupational dust
exposure on the respiratory health of Portland cement workers. J
Toxicol Environ Health 1996; 49 (6): 581-588.
5) Noor H, Yap CL, Zolkepli O. Faridah M. Effect of exposure to dust
on lung function of cement factory workers. Med J Malaysia 2000;
55(1): 51-57.
6) Viegi G, Pedreschi M, Pistelli F, Di Pede F, Baldacci S, Carrozzi L,
Giuntini C. Prevalence of Airway Obstruction in a General Population. European Respiratory Society vs America Thoracic Society Definition. Chest 2000; 117: S339-S345.
G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl
www.gimle.fsm.it
POSTER
481
E. Romeo, L. Coppeta, M.R. Marchetti, G. D’Orazio, A. Magrini
Tecnica oscillometrica e funzionalità polmonare
Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Tabella I. Caratteristiche delle popolazioni
Introduzione
L’Oscillometria è una metodica non invasiva, molto rapida, di facile
applicabilità, che consente lo studio della meccanica respiratoria con la
minima collaborazione del soggetto. Numerosi Autori hanno mostrato
l’utilità clinica dello studio dell’impedenza respiratoria mediante oscillometria forzata (Forced Oscillation Technique) per individuare precocemente la presenza di un’ostruzione delle vie aeree e per valutare la funzione polmonare in pazienti affetti da BPCO (Farrè R et al, 1990; Van
Noord J et al, 1991). Risultati incoraggianti derivano da alcuni studi effettuati in differenti setting occupazionali considerati a rischio di indurre
patologie polmonari, ponendo a confronto tale metodica con l’esame spirometrico (Pasker HG et al, 1997; Keman S, 1996). Lo scopo di questo
studio è quello di valutare la sensibilità della metodica nei confronti dell’esame spirometrico tradizionale nell’individuare precocemente i soggetti con minime alterazioni dell’apparato respiratorio. A tal fine abbiamo confrontato il pattern di resistenze delle vie aeree in 2 gruppi di soggetti asintomatici; uno dei due gruppi era costituito da soggetti fumatori.
Gruppo 1
50
Gruppo 2
49
Significatività
26/50 (52%);
24/50 (48%)
19/49 (38,8%);
30/49 (61%)
0,228
età
Media: 38,48;
SD: 8,64
Media: 39,16;
SD: 9,89
0,715
Xrs
Media: 0,915;
SD: 0,472
Media: 1,149;
SD: 0,620
Media: 0,929;
SD: 0,149
Media: 1,01;
SD: 0,149
sesso
FR
p < 0,005
Gruppo 1: non fumatori Gruppo 2: fumatori
non ci sono differenze per nessuno dei parametri spirometrici. Xrs e FR
sono risultati correlati (p< 0,005) con i principali parametri spirometrici
FEV1 e FEF25-75.
Materiali e metodi
Lo studio è stato effettuato su un campione di 99 soggetti afferenti al
Servizio di Medicina Del Lavoro dell’Università di Roma Tor Vergata, in
corso di Sorveglianza Sanitaria. Tutti i soggetti coinvolti nello studio erano anamnesticamente esenti da patologie polmonari e toracico-diaframmatiche. Gli esami spirometrici sono stati effettuati con spirometro Vmax
della Sensor Medics s.r.l. e refertati secondo i criteri dell’ European Respiratory Society (ERS). L’impedenza del sistema respiratorio è stata studiata mediante “ROS Oscilink” della Sensor Medics s.r.l. L’oscillazione
forzata inviata dallo strumento induce nel soggetto, che respira per 17 sec
tranquillamente attraverso un boccaglio, un flusso oscillatorio inversamente proporzionale all’impedenza meccanica dell’intero sistema respiratorio (Zrs), che quindi viene calcolata indirettamente. Al termine della
prova, si ottengono 2 curve: una relativa alla variazione della resistenza
(Rrs) ed una alla variazione della reattanza (Xrs) in funzione delle diverse frequenze applicate. La Xrs è correlata a compliance ed inertanza; la
frequenza alla quale questi 2 fattori coincidono è detta frequenza di risonanza (FR). La Rrs varia in funzione del calibro delle vie aeree. La reattanza può essere considerata come espressione dell’elasticità polmonare
e del comportamento delle piccole vie aeree. I dati sono espressi come
media e deviazione standard. L’analisi delle variabili è stata eseguita con
il test t-student. La correlazione tra indici spirometrici e parametri oscillometrici è stata effetuata con il test di Pearson. Abbiamo considerato statisticamente significativi valori di p < 0, 05.
Risultati
Le caratteristiche delle popolazioni sono descritte in tabella I.
Tra le 2 popolazioni, mediante un confronto fra medie, risultano statisticamente significative (p< 0,005) le differenze relative al rapporto in%
tra i valori misurati e i valori predetti di 2 indici oscillometrici: Xrs e FR;
Conclusioni
Dai risultati preliminari da noi ottenuti sembrerebbe che i parametri Xrs
e FR siano correlabili ad alterazioni precoci a livello delle vie aeree. Anche
altri Autori hanno evidenziato un aumento della frequenza di risonanza in
una popolazione di fumatori rispetto ai non fumatori; tale dato concorda con
altri studi che descrivono come indice di ostruzione precoce i valori di Xrs
(Brochard et al, 1987; Kohlhaufl et al, 2001). La modificazione di Xrs può
essere interpretata come la modificazione delle proprietà elastiche del polmone che potrebbe essere determinata da una bronchiolite subclinica diffusa, ancora non evidenziabile né con le metodiche tradizionali, né con modificazioni significative dagli altri indici impedenzometrici. I dati ottenuti confermano quindi l’oscillometria come valido strumento nello screening di popolazioni lavorative con minime e precoci alterazioni funzionali.
Bibliografia
1) Brochard L, Pelle G, Carre A, Harf A. Density and frequency dependance of resistance in early airway obstruction. Am Rev Resp Dis
1987; 135: 579-584.
2) Farrè R, Peslin R, Rotger M, Barbera JA, Navajas D. Eur Resp J
1999; 14: 172-178.
3) Keman S, Willemse B, Wesseling GJ, Kuster E, Borm PJA. Eur Respir J 1996; 9: 2109-2115.
4) Kohlhaufl M, Brand P, Scheuch G, Schulz H, Haussinger K, Heyder
J. J Aerosol Med 2001; 14: 1-12.
5) Pasker HG, Peeters M, Genet P, Clement J, Nemery B, Van de Woestijne KP. Eur Respir J 1997; 10: 1523-1529.
6) Van Noord J, Clement J, Van de Woestijne. Am Rev Resp Dis 1991;
143: 922-927.
Pagina 482
Bianca
LE PUBBLICAZIONI
DELLA
FONDAZIONE “S. MAUGERI”
1. I “Quaderni di Medicina del Lavoro e Medicina Riabilitativa” con i quali si propone di rendere disponibile in forma organica argomenti e problemi attuali in Medicina del Lavoro e Riabilitazione, di presentare elaborazioni di materiale informativo e didattico riguardante i vari settori di attività della Fondazione.
Volumi pubblicati:
1. G. Pezzagno: Rischio da Benzene. 1989
2. G. Franco: Attività umane e rischio per la salute. 1990
3. M. Imbriani, S. Ghittori, G. Pezzagno, E. Capodaglio: Esposizione professionale ad anestetici per inalazione. 1990
4 F. Franchignoni: Aggiornamenti in Riabilitazione 2. 1990
5. E. Capodaglio, L. Manzo: Esposizione a Stirene. 1990
6. G. Pezzagno, E. Capodaglio: Criteri di valutazione energetica delle attività fisiche. 1991
7. G. Franco: Acidi biliari e xenobiotici. 1991
8. S. Cerutti, G. Minuco: Spectral Analysis of Heart Rate Variability Signal. Methodological and Clinical
Aspects. 1991
9. F. Franchignoni: Aggiornamenti in Riabilitazione 3. 1991
10. M. Imbriani, A. Di Nucci: Effetti della interazione tra etanolo e solventi. 1991
11. F. Cupella, R. Turpini: La riabilitazione in gastroenterologia. 1991
12. L. Manzo, M. Imbriani, L.G. Costa: Current Issues in Alcoholism. 1992
13. C. Rampulla, N. Ambrosino: Muscoli respiratori e patologia: valutazione e trattamento. 1992
14. S. Della Sala, M. Laiacona: Laboratorio di Neuropsicologia. 1992
15. F. Franchignoni: Aggiornamenti in Riabilitazione 4. 1992
16. E. De Rosa, G.B. Bartolucci, V. Cocheo: Atti 11° Congresso Nazionale A.I.D.I.I. 1992
17. B. Carù, R. Tramarin: New trends in cardiac rehabilitation. 1992
18. L. Manzo, D.F. Weetman: Toxicology of combustion products. 1992
19. C. Minoia, E. Sabbioni, P. Apostoli, A. Cavalleri: Valori di riferimento di elementi in traccia in tessuti
umani. 1992
20. D. Cottica, G.F. Peruzzo: Atti 12° Congresso Nazionale A.I.D.I.I. 1993
21. G. Pezzagno: Strategie di campionamento ambientale. Alcune applicazioni statistiche per lo studio degli
inquinanti ambientali. 1993
22. M. Casacchia, R. Casale, E. Ferrari, C. Setacci: Stress. Riunione operativa sottoprogetto stress - Progetto
finalizzato CNR - FATMA. 1993
23. G. Moscato: Asma professionale. 1993
24. A. Cavalleri, G. Catenacci: Obbligo di referto e malattie professionali. 1993
25. G. Bazzini: Nuovi approcci alla riabilitazione industriale. 1993
26. P. Pinelli, G. Minuco: Il controllo motorio della mano e della parola: teoria e applicazioni. 1993
27. F. Candura, G. Sardo: L’Ispettorato Medico Centrale del Lavoro in Italia: storia e prospettive. 1994
28. G. Bertolotti, E. Sanavio, G. Vidotto, A.M. Zotti: Un modello di valutazione psicologica in Medicina Riabilitativa. 1994
29. D. Cottica, M. Imbriani: Atti 13° Congresso Nazionale A.I.D.I.I 1994
30. S. Della Sala, A.M. Zotti: Psicologia dell’invecchiamento ed epidemiologia della demenza: uno studio di
popolazione. 1994
31. A. Cavalleri: Lavanderie a secco: rivalutazione del rischio da solventi. 1994
32. G.D. Pinna, R. Maestri: Spectral analysis of cardiovascular variability signals. 1995
33. R. Casale, A. Tango: Le algodistrofie. Dalla diagnosi alla prevenzione. 1995
34. D. Cottica, V. Prodi, M. Imbriani: Atti 14° Congresso Nazionale A.I.D.I.I. 1995
35. C. Rampulla, A. Patessio, A. Rizzo, F. Iodice: Valutazione funzionale del danno respiratorio. 1995
36. R.F.E. Pedretti, P. Della Bella: Le Tachiaritmie Ventricolari Maligne dopo Infarto Miocardico. 1995
37. K. Foglio: La ventiloterapia domiciliare nei pazienti broncopneumatici con insufficienza respiratoria
cronica. 1996
38. L. Riboldi, C. Ravalli: Lo stress nel mondo del lavoro: quali soluzioni per un problema in espansione. 1996
39. A. Molfese: Piattaforme Petrolifere. Igiene, Sanità e Sicurezza a bordo. 1996
40. R. Gibellini, A. Ferrari Bardile, M. Zambelli, M. Fanello: La riabilitazione in angiologia. 1996
41. S. Binaschi: Medicina del Lavoro. 1997
2. I “Documenti” della Fondazione Salvatore Maugeri, nei quali vengono pubblicati gli Atti di Convegni di particolare interesse organizzati dagli Istituti della Fondazione.
Volumi pubblicati:
1. C. Passerino: La nuova riforma sanitaria. 1995
2. Serials with an Institute for Scientific Information (ISI). Impact Factor. 1995
3. F. Candura: Atti del Convegno: Metodologia di indagine sul danno ambientale. Inquinamento atmosferico
e acustico nel territorio di Pavia. 1995
4. N. Ambrosino, G. Bazzini, F. Cobelli, F. Franchignoni, P. Giannuzzi, C. Rampulla, M. Vitacca: Percorsi valutativi e terapeutici in Medicina Riabilitativa. 1995
5. G. Franco: Rischi lavorativi in ambiente sanitario: patologia da guanti. 1996
6. G.B. Bartolucci, D. Cottica, M. Imbriani: Atti 15° Congresso Nazionale A.I.D.I.I. 1996
7. E. Capodaglio, C. Passerino: Atti del Convegno: Sistemi classificativi dei pazienti in degenza riabilitativa. 1996
8. A. Borgo: L’analisi in componenti principali come studio di correlazioni. 1996
9. F. Pisano: Valutazione e trattamento delle compromissioni motorie centrali: stato dell’arte e recenti acquisizioni. 1996
10. G. Vittadini, I. Giorgi: Dalla cibernetica dell’io all’approccio ecologico: alcolismo e servizi nell’ottica sistemica. 1996
11. N. Ambrosino, G. Bazzini, F. Cobelli, F. Franchignoni, P. Giannuzzi, C. Rampulla, M. Vitacca: Percorsi valutativi e terapeutici in Medicina Riabilitativa. 1997
12. C. Minoia, G. Scansetti, G. Piolatto, A. Massola: L’amianto: dall’ambiente di lavoro all’ambiente di vita.
Nuovi indicatori per futuri effetti. 1997
13. A.M. Cirla, G. Catenacci: Organizzazione dell’emergenza sanitaria e del primo soccorso nei luoghi di lavoro. 1997
14. G.B. Bartolucci, D. Cottica, M. Imbriani, D. Sordelli: Atti 16° Congresso Nazionale A.I.D.I.I. 1997
15. G. Catenacci, G.B. Bartolucci, P. Apostoli: III Congresso Nazionale di Medicina Preventiva dei Lavoratori
della Sanità. 1998
16. D. Cottica, G.B. Bartolucci, M. Imbriani, E. Grignani, D. Sordelli: Atti 17° Congresso Nazionale A.I.D.I.I. 1998
3. “Advances in Occupational Medicine & Rehabilitation” “Aggiornamenti in Medicina Occupazionale
e Riabilitazione”, rivista quadrimestrale.
Volumi pubblicati:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
G. Bazzini: Efficacia e qualità in riabilitazione motoria. 1995
M. Imbriani, S. Ghittori, G. Pezzagno E. Capodaglio: Update on Benzene. 1995
M.R. Strada, G. Bernardo: Interventi riabilitativi in Oncologia. 1996
J. Nilsson, M. Panizza, F. Grandori: Advances in Magnetic Stimulation. 1996
S. Della Sala, C. Marchetti, O.H. Turnbull: An interdisciplinary approach to the rehabilitation of the neurological patient: A cognitive perspective. 1996
P. Capodaglio, G. Bazzini: L’attività motoria degli arti superiori: aspetti in medicina occupazionale e riabilitativa. 1997
G. Pezzagno, M. Imbriani: Cinetica e Monitoraggio Biologico dei Solventi Industriali. 1997
L. Manzo, J. Descotes, J. Hoskins: Volatile Organic Compounds in the Environment. Risk Assessment
and Neurotoxicity. 1997
P. Capodaglio, M.V. Narici: Muscle Atrophy: Disuse and Disease. 1998
G. Moscato: Allergia respiratoria. 1998
G. Miscio, P. Pinelli: Prefrontal cortex, Working memory and Delayed reactions: from the theory to the clinical application. 1998
4. “Advances in Rehabilitation” “Aggiornamenti in Medicina Riabilitativa”.
Volumi pubblicati:
1. F.M. Cossa, L. Mazzini: Assistenza clinica e ricerca scientifica: validità dell’approccio multidisciplinare al
traumatizzato cranico. 1999
2. P. Capodaglio, M.V. Narici: Physical Activity in the Elderly. 1999
3. G. Miscio, F. Pisano: Spasticity: mechanisms, treatment and rehabilitation. 1999
4. M. Buonocore, C. Bonezzi: Il dolore neurogeno: dalla definizione alla terapia. 1999
5. A. Salvadeo: Insufficienza renale acuta. 1999
6. P. Pinelli, R. Colombo, S. Onorato: Analisi dell’attenzione protratta nelle reazioni verbali. Sistema prefrontale e Processi riverberanti. Le reazioni dilazionate in Neuropsichiatria (with an English Outline). 1999
7. N. Ambrosino, C.F. Donner, C. Rampulla: Topics in Pulmonary Rehabilitation. 1999
8. A.M. Zotti, G. Bertolotti, P. Michielin, E. Sanavio, G. Vidotto: Linee guida per lo screening di tratti di personalità, cognizioni e comportamenti avversi alla salute. Manuale d’uso per il CBA Forma Hospital. 2000
9. P. Capodaglio, M.V. Narici: The ageing motor system and its adaptations to training. 2000
10. F. Rengo, R. O. Bonow, M. Gheorghiade: Heart Failure in the Elderly. Implication for Rehabilitation. 2000
11. G. Megna, S. Calabrese: Riabilitazione neuromotoria 2000. 2000
12. P. Pinelli & Coll.: Freud in a Psychophysiological Framework or About Unconscious and Soul. 2001
13. F. Rengo, R.O. Bonow, M. Gheorghiade: Chronic Heart Failure In The Elderly. The Evolution Of Chronic
Heart Failure. 2002
14. G. Bazzini: ll Day-Hospital Riabilitativo. 2003
5. “Advances in Occupational Medicine” “Aggiornamenti in Medicina Occupazionale”.
Volumi pubblicati:
1. L. Alessio, P.A. Bertazzi, A. Forni, G. Gallus, M. Imbriani: Il monitoraggio biologico dei lavoratori esposti a
tossici industriali. Aggiornamenti e sviluppi. 2000
2. L. Ambrosi, L. Soleo, S. Ghittori, L. Maestri, M. Imbriani: Mercapturic Acids as Biomarkers of Exposure to
Industrial Chemicals. 2000
3. C. Meloni, M.T. Querciolli, S. Verdirosi, M. Imbriani: Aggiornamenti in Scienze Infermieristiche. 2002
6. “Symposia” “I Congressi della Fondazione Maugeri”.
Volumi pubblicati:
1. D. Cottica, F. Benvenuti, E. Grignani, M. Casciani, M. Imbriani: Il rischio microbiologico negli ambienti di
lavoro: approccio, valutazione, interventi. Convegno AIDII - ISPESL, Centro Congressi Fondazione Salvatore Maugeri. Pavia, 29 ottobre 1998. 1999
2. L. Soleo, P. Apostoli, D. Cavallo, D. Cottica, G. Nano, L. Ambrosi: II Congresso Europeo di Igiene Industriale - I Congresso Mediterraneo di Igiene Industriale - Convegno AIDII, Centro Internazionale Congressi. Bari, 30 giugno - 3 luglio 1999. 2000
3. M. Buonocore, C. Bonezzi: La gestione del paziente con dolore neuropatico: indicazioni diagnostiche e terapeutiche. II incontro sul dolore neurogeno. Pavia, 12 maggio 2000. 2000
4. D. Cottica, G.B. Bartolucci, G. Nano, M. Imbriani: Atti 18° Congresso Nazionale AIDII. Trento, 21-24
giugno 2000. 2000
5. C. Minoia, R. Turci, G.B. Bartolucci, S. Signorini, P. Apostoli: Progressi nella valutazione del rischio espositivo da chemioterapici antiblastici. Convegno Nazionale, Centro Congressi Fondazione Salvatore Maugeri. Pavia, 14-15 ottobre 1999. 2000
6. C. Bonezzi, M. Buonocore: Dolori radicolari e pseudoradicolari: indicazioni diagnostiche e terapeutiche.
Centro Congressi Fondazione Salvatore Maugeri. Pavia, 4 maggio 2001. 2001
7. M. Buonocore, C. Bonezzi: Sindromi algodistrofiche: dall’inquadramento diagnostico al trattamento riabilitativo. Centro Congressi Fondazione Salvatore Maugeri. Pavia, 17 maggio 2002. 2002
8. Simposio in occasione dell’80° compleanno del Prof. Paolo Pinelli: Funzioni nervose e processi mentali.
Centro Congressi Fondazione Salvatore Maugeri. Pavia, 16 dicembre 2001. 2003
7. “I Manuali della Fondazione Maugeri”.
Volumi pubblicati:
1. L. Bianchi, S. Nava, E. Zampogna: Manuale dei Metodi e delle Procedure Fisioterapiche in Riabilitazione
Respiratoria. 2002
2. E. Banco, B. Cattani, G. Fugazza: I disturbi di deglutizione. Opuscolo informativo per pazienti e familiari.
2002
3. M. Schmid, S. Compiano: Degenerazione maculare: nuove strategie. Informazioni utili a persone anziane
con degenerazione maculare. 2002
8. “Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale”, rivista quadrimestrale che pubblica articoli che contribuiscano allo sviluppo delle conoscenze teoriche ed al progresso della prassi clinica in psicoterapia cognitiva e
comportamentale.
9. “Monaldi Archives for Chest Disease”, Rivista scientifica internazionale di Medicina Cardiopolmonare e
Riabilitatazione.
10. “Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia”, Rivista trimestrale di Prevenzione, Patologia,
Ergonomia e Riabilitazione.
11.“Cyanus”, periodico di Igiene Ambientale e Industriale.
MODULO PER ABBONAMENTO
GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA
Per il 2004, l’abbonamento per l’intero anno ammonta a € 41,31 per quattro numeri.
Vogliate registrare il mio abbonamento
■
Per l’anno 2004
■
Allego un assegno non trasferibile per l’importo di
Pagabile alla Tipografia PI-ME Editrice S.r.l. - Via Vigentina 136 - 27100 PAVIA, ITALIA
o
■
Pagamento dell’importo di
per mezzo di bonifico bancario sul nostro conto numero 10/1532 presso l’ISTITUTO BANCARIO
SAN PAOLO - IMI, Filiale 2, C.so Garibaldi 52, Pavia - ABI 1025 - CAB 11304
Si prega di trascrivere con cura l’indirizzo a cui si desidera ricevere la rivista ed eventuale corrispondenza.
Cognome
Nome
Titolo professionale e qualifica
Indirizzo
Codice Postale
Città
Inviare il seguente modulo di richiesta all’indirizzo:
Tipografia PI-ME Editrice Srl
Via Vigentina 136 - 27100 PAVIA
Tel. 0382/572169 - Fax 0382/572102
E-mail: [email protected]