casa convivenza - Comune di Foligno

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casa convivenza - Comune di Foligno
Le culture di genere a scuola
Cipss Società Cooperativa Sociale – Comune di Foligno
Ricerca realizzata in alcune scuole secondarie di
secondo grado di Foligno
A.S. 2012/2013 – 2013/2014
Su un muro di una scuola, a Foligno
A cura di
 dott. Federico Fanelli, Psicologo, psicoterapeuta, Cipss Società Cooperativa Sociale
 dott.ssa Nancy Annunziata Rizzo, Psicologa, psicoterapeuta Cipss Società Cooperativa
Sociale
LE CULTURE DI GENERE A SCUOLA
1. OBIETTIVO
Obiettivo della ricerca è stato la conoscenza dei modelli culturali prevalenti sulla differenza di
genere1 che organizzano la relazione di convivenza tra ragazze e ragazzi. La rilevazione, la
misurazione e l’analisi delle rappresentazioni emozionali rispetto alle differenze di genere hanno
portato alla costruzione degli indicatori qualitativi, le culture e loro articolazioni2, che in una
possibile fase successiva del lavoro orienteranno l’azione con i gruppi-classe.
Abbiamo chiesto ai ragazzi e alle ragazze di scrivere tutto quello che veniva loro in mente intorno
alla relazione maschile-femminile, ragazza-ragazzo, uomo-donna nel presente, e come la
immaginano nel futuro.
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Sulla categoria di “genere” riportiamo alcune nostre riflessioni, già contenute nel report pubblicato sul sito
www.maipiuviolenze.it/ricerca/scuola.asp:
La distinzione del maschile e del femminile in base agli organi riproduttivi e ai genitali esterni che per tanto tempo
hanno fatto identificare il sesso con il genere, ha portato a considerare il maschile ed il femminile con pari funzionalità
riproduttive ma con compiti, responsabilità e valore sociale diversi, trasfigurando gli elementi fisiologici in
considerazioni ideologiche. Il genere è stato così utilizzato in maniera gerarchica verticale e in rappresentanza di valori
altrettanto gerarchizzati, i quali corrono lungo una linea che va dall’alto in basso tra un ‘meglio’ ed un ‘peggio’. La
valenza differenziale dei sessi, (F. Héritier, 1996), rappresenta un modello di pensiero che si è imposto in modo
universale per aver trasfigurato nella dimensione culturale elementi ed umori naturali e questo, ha consentito la
costruzione della società così come la conosciamo.
Gayle Rubin (1975), è la prima che ha formalizzato la distinzione tra sesso e genere. Separando il sesso dal genere e
dalle forme di desiderio, ha posto le basi per il ripensamento della presunta naturalità e assolutezza di categorie quali
“maschile” e “femminile” che risultano essere socialmente e storicamente determinate. L’espressione “identità di
genere” sviluppatasi originariamente nell’ambiente dei woman’studies americani proprio a partire da questo saggio,
riassume in sé due classiche esigenze contrapposte. Da una parte si mette in evidenza come il genere sia socialmente
costruito e storicamente variabile al suo interno, dall’altra parte però proprio intorno alla ricerca sui “generi”, si è andata
ulteriormente articolando la consapevolezza che la dualità dell’esperienza umana resta un dato ineludibile con cui
misurarsi. La separazione di sesso come muto dato biologico e genere come impalcatura di significati culturali ha
segnato gran parte dell’elaborazione teorica sul genere, divisa tra posizioni essenzialiste e costruzioniste. L’impasse è
stata superata nelle posizioni postmoderne che guardano al genere come ad uno degli assi di costituzione della
soggettività. Interessante sembra il tentativo di Caterina Arcidiacono (2001) di costruire una definizione del costrutto di
genere, cercando di racchiudere le varie dimensioni che lo costruiscono: la componente biologica (come siamo fatti),
quella sociale (come gli altri ci vedono), quella soggettiva (come noi ci vediamo), quella educativa (come siamo stati
cresciuti), quella culturale (quale dimensione il maschile e il femminile hanno nel contesto in cui viviamo).
Maschile e femminile, sostiene Arcidiacono (2001) sono categorie astratte, “non c’è nessuna donna che è femminile,
non c’è nessun uomo che è maschile. Maschile e femminile sono costrutti, generalizzazioni, concetti che variano a
seconda dei contesti, delle regole e delle interazioni sociali. Esistono tante modalità femminili e maschili. Esiste, invece,
l’unitarietà e l’unicità della singola persona”.
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Crediamo che lo sviluppo della convivenza, cioè delle relazioni finalizzate allo scambio produttivo entro un dato
contesto relazionale, sia possibile a partire dalla conoscenza delle culture, intese come modalità simboliche ed
emozionali con cui si vive e costruisce il rapporto con l’altro/a, e dunque la convivenza stessa. Parliamo di culture
situate nei particolari contesti di vita, espressione di processi emozionali condivisi, che generano modi di pensare,
opinioni, atteggiamenti ed azioni tra loro anche molto differenti; essa dunque non è un blocco unico: al suo interno
interagiscono modelli culturali differenti, più o meno coerenti con gli scopi e le funzioni di adattamento/sviluppo degli
individui nei contesti. Ciò significa che in alcuni casi può rappresentare una risorsa importante per la convivenza, in
altri al contrario può esserne un ostacolo. La conoscenza delle culture permette, pertanto, di individuare le linee di
sviluppo endogene in funzione delle quali orientare le strategie di intervento volte alla promozione della convivenza
(Carli, Paniccia, 2002).
2
I testi sono stati poi trascritti su file e raccolti in un unico corpus testuale, processato con un
programma informatico in grado di trattare staticamente il testo 3. Le variabili illustrative che
abbiamo preso in esame sono state il sesso e la classe scolastica di appartenenza.
2. LE SCUOLE COINVOLTE
Le scuole coinvolte nella città di Foligno sono state:
 Il Liceo Scientifico ed Artistico “G. Marconi”;
 L’Istituto Tecnico industriale e per geometri “Leonardo da Vinci”;
 L’Istituto Tecnico Commerciale di Stato e per il Turismo “Feliciano Scarpellini”;
 L’Istituto d’Istruzione Superiore “Orfini”.
Sono state coinvolte sei terze classi per un totale di 98 studenti/esse, 44 femmine e 40 maschi.
3. LO STRUMENTO METODOLOGICO
Sui testi raccolti è stata applicata la metodologia dell’Analisi emozionale del testo.
L’Analisi emozionale del testo (Aet) elaborata da SPS (Studio di Psicosociologia) è un strumento
psicologico di analisi di testi scritti; testi raccolti, di volta in volta, tramite colloqui, interviste, focus
group, domande aperte di questionari, collezione di scritti o documenti prodotti entro aree di una
specifica organizzazione. L’Aet consente di analizzare la cultura locale presente entro un gruppo
specifico di persone, caratterizzate “culturalmente”, all’interno della produzione linguistica presa in
esame, dalla relazione con un tema e contesto condiviso. Nel presente caso, si tratta di giovani
adolescenti interpellati a proposito della loro esperienza di rapporto con l’altro genere, attraverso
una domanda intenzionalmente aperta e generica. Le risposte hanno fornito il testo sul quale
abbiamo effettuato l’Aet.
Il rapporto tra Aet e Cultura Locale è istituito sulla base di precise premesse teoriche. Si ipotizza
che il linguaggio (parlato o scritto) risponda al principio della doppia referenza, postulato a suo
tempo da Fornari4 (Carli, Paniccia, 2002) e che le parole con cui è organizzata la produzione
linguistica possano essere suddivise in due grandi categorie: parole dense, con il massimo di
polisemia, se prese a se stanti, ed il minimo di ambiguità nel significato, e parole non-dense, con il
massimo di ambiguità di senso e, quindi, con il minimo di polisemia. Per polisemia si intende
l’infinita associazione di significati e di senso, attribuibili ad una parola se presa a se stante, se
3
Nel nostro caso il software utilizzato è Alceste (Analyse des Léxèmes Cooccurrents dans les Enoncés Simples d'un
Texte) di Max Reinert.
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“Ogni segno verbale, dice Fornari, porta con sé una simbolizzazione linguistica, propria del suo valore di segno, ed
una simbolizzazione affettiva, espressione dell’inconscio” (Carli, Paniccia, 2002, pag. 58).
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svincolata dal contesto linguistico che ne riduce la polisemia stessa. Si tratta, evidentemente, di una
polisemia “emozionale”, che viene trasformata nel “senso”, cognitivamente inteso, della parola
stessa quando questa sia iscritta entro il contesto linguistico. Le parole non-dense sono parole
ambigue (si pensi ad esempio a parole come “ritenere” o “tuttavia”), quelle che, per aver assegnato
un senso entro il linguaggio parlato o scritto, hanno bisogno di essere iscritte entro il contesto
linguistico. In questo, ambiguità e polisemia sono connotazioni inversamente proporzionali nel
definire le parole: le parole dense sono quelle caratterizzate da un massimo di polisemia e da un
minimo d’ambiguità; una volta individuate in un testo, vengono raggruppate in funzione della loro
ricorsività entro segmenti del testo stesso. Questa operazione di segmentazione del testo e di
identificazione di raggruppamenti ricorrenti di parole, entro specifici segmenti, è possibile grazie
all’analisi delle corrispondenze5 tra le parole dense evidenziate nel testo ed i segmenti del testo,
preventivamente individuati.
Dall’analisi fattoriale delle corrispondenze e dalla successiva analisi dei cluster6 è possibile ottenere
quindi dei raggruppamenti di parole dense che chiameremo repertori: “repertori culturali”
caratterizzati da parole dense co-occorrenti entro un insieme di segmenti ove le stesse parole dense
ricorrono con la più elevata probabilità. La funzione della co-occorrenza delle parole dense, entro lo
stesso Repertorio, è di ridurre gli infiniti significati di ciascuna parola densa; è come se ciascuna
parola considerata, nell’incontro di co-occorrenza con le altre parole, perdesse una quota di
polisemia; consentendo, così, la costruzione dei differenti Repertori. L’ipotesi che fonda l’Aet è
che tra la co-occorrenza, ottenuta dal trattamento informatico del testo, e il legame emozionale tra le
parole dense di ogni Repertorio Culturale rilevato, sia presente una sorta di isomorfismo,
riconducibile al modo di essere inconscio della mente (Carli, Paniccia, 2002).
I diversi raggruppanti di parole co-occorrenti rappresentano, dunque, le diverse dimensioni culturali in
cui si articola la rappresentazione dell’oggetto in esame.
La relazione tra le diverse dimensioni emozionali dei differenti Repertori, entro lo spazio fattoriale7,
viene considerata come la cultura locale situata nello specifico contesto in analisi; cultura espressa
da chi quel testo ha contribuito a costruire.
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Come tutti i metodi di analisi fattoriale, l'analisi delle corrispondenze consente di estrarre nuove variabili - i fattori
appunto - che hanno la proprietà di riassumere in modo ordinato l'informazione. Consente inoltre di predisporre grafici
atti a rappresentare - in uno o più spazi - le entità linguistiche raggruppate per co-occorrenza.
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Insieme di tecniche statistiche il cui obiettivo è costituito dall'individuare raggruppamenti di oggetti (nel nostro caso,
di parole dense) che abbiano due caratteristiche complementari: al loro interno, la massima somiglianza tra gli elementi
che li costituiscono (le parole appartenenti a ciascun cluster); tra di loro, la massima differenza.
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Nell’analisi delle corrispondenze ciascun fattore organizza una dimensione spaziale - rappresentabile come una linea o
un asse - al cui centro è il valore "0" e che si sviluppa in modo bi-polare verso le estremità "negativa" (-) e "positiva"
(+); in modo tale che i diversi cluster di parole dense collocati sui poli opposti sono quelli più diversi tra loro, un po’
come la "sinistra" e la "destra" sull'asse della politica. I risultati delle analisi dunque vengono sintetizzati attraverso
grafici (del tipo piani cartesiani) che consentono di apprezzare le relazioni di prossimità/distanza - ovvero di
somiglianza/differenza - tra i diversi raggruppamenti di parole considerati. Interpretare un asse fattoriale significa infatti
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4. L’ANALISI EMOZIONALE DEL TESTO
Di seguito verranno discusse e analizzate le cultura di genere che caratterizzano gli/le adolescenti
delle scuole coinvolte.
Iniziamo dal considerare ed analizzare gli incontri di co-occorrenza, a partire da quelli tra le parole
dense a più elevata centralità nel Repertorio; vale a dire dalle parole che più hanno contribuito, in
termini di significatività statistica, alla costituzione del Repertorio. L’ipotesi che regge l’analisi è
che l’insieme delle co-occorrenze analizzate consenta di comprendere la “cultura” che caratterizza
quel Repertorio8.
Nella figura 1 è rappresentato lo spazio fattoriale (per noi Spazio Culturale), definito dall’incrocio
dei tre assi cartesiani, denominati fattori, che spiegano il massimo della varianza totale dei dati.
L’Aet ha evidenziato la presenza di 3 Repertori Culturali, posizionati nel modo seguente nello
Spazio Culturale: sul I° fattore, quello orizzontale, si collocano in posizioni polari e contrapposte il
R.C. 3 a sinistra, e il R.C. 1 a destra; sul II° fattore, quello verticale, troviamo soltanto il R.C. 2,
posizionato nella parte alta dello spazio fattoriale (o culturale); sul III° fattore, che va immaginato
perpendicolare alla pagina, non ci sono repertori culturali.
Cominciamo dalla descrizione delle dinamiche simbolico-collusive che caratterizzano i singoli
Repertori Culturali emersi con il trattamento statistico del testo, successivamente approfondiremo le
relazioni tra le dinamiche simboliche presenti nei tre Repertori con l’obiettivo di rilevare la
specifica Cultura in analisi, così come si è organizzata entro lo Spazio Culturale.
La successione dei repertori culturali descritti è funzionale alle loro reciproche posizioni sul piano
fattoriale: partiremo dai R.C. 3 e 1 situati sul I° fattore per poi passare al R.C. 2 collocato sul II°
fattore. Possiamo anticipare che non ci sono repertori culturali associati alle singole classi e alle
scuole di appartenenza. La variabile “sesso”, invece, interviene nel R.C. 2 dove a parlare sono le
ragazze; gli altri due R.C. sono generati dalle narrazioni di entrambi i sessi.
trovare ciò che vi è di analogo, da una parte tra tutto ciò che è situato a destra dell'origine, dall'altra tra tutto ciò che è
alla sinistra di questo, ed esprimere poi con concisione ed esattezza l'opposizione tra i due estremi.
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L’analisi degli incontri di co-occorrenza parte prendendo in considerazione l’etimologia delle parole dense che
compongono i Repertori o raggruppamenti Culturali. Come mettono in evidenza R. Carli e R.M. Paniccia (2002, p.
169), “il ricorso all’etimo delle parole ha la funzione di orientare il ricercatore, entro la polisemia della parola densa,
individuando aree emozionali ove la mente può associare”. Abbiamo preso in esame le etimologie utilizzando i seguenti
dizionari: Devoto G., Avviamento all’etimologia italiana, Le Monnier, Firenze, 1989; Cortellazzo M., Zolli P.,
Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 1984; Castiglioni L., Mariotti S., Vocabolario della
lingua latina, Loesher, Torino, 1966; De Mauro T., Grande Dizionario italiano dell’Uso, Utet, Torino, 2003.
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R.C. 2
PRIMO FATTORE
SECONDO FATTORE
R.C. 3
R.C. 1
Fig. 1 Lo spazio fattoriale (o culturale)
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4.1.REPERTORIO CULTURALE 3: LAVORO, FAMIGLIA, FIGLI, SPOSARSI, SPERANZA, DESIDERIO...
Io come donna desidero di essere sempre amata e rispettata e di trovare un buon lavoro che possa
soddisfare i mie bisogni. Non so bene cosa succederà, o per meglio dire, non mi resta che sperare
che il mio sogno possa avverarsi. In futuro spero di sposarmi, avere dei figli e di trovare un lavoro
dello stesso indirizzo della mia scuola. (Ragazza)
Spero di poter mandare avanti il lavoro che mio padre ha iniziato lavorando nel suo studio e laureandomi in
economia. Nel futuro spero ancora di avere tanti amici e di avere il tempo di uscire e confidarmi con loro
nonostante abbia poco tempo per via della famiglia. (Ragazzo)
In futuro mi vedo con una famiglia, un cane, una bella casa tutta nostra, viaggeremo molto, perché tutti e
due amiamo viaggiare, in ogni caso le persone che per tutta la vita saranno le più importanti sono i propri
genitori, figli, nonni e marito ed eventuali animali casalinghi. (Ragazza)
Credo che in un rapporto sia importantissimo imparare confrontarsi. A 30 anni mi vedo sposato con dei figli
e spero un lavoro che mi permetta di mantenere la mia famiglia e di togliermi belle soddisfazioni.(Ragazzo)
Queste sono alcune frasi da cui è nato il R.C. 3. Si è scelto di partire dall’analisi di questo
raggruppamento perché è il più esteso dei tre che compongono lo Spazio Culturale; la percentuale
di testo analizzato che appartiene ad esso è pari al 63% del testo complessivo.
Si tratta del R.C. che definisce, in modo statisticamente significativo, la parte più ampia
dell’universo simbolico espresso dai gruppi di ragazzi e ragazze delle 6 classi in cui ci si è
confrontati sul tema.
Come vedremo siamo di fronte ad una cultura che guarda al futuro. Le parole dense che
costituiscono il nucleo profondo del repertorio sono: lavoro, famiglia, figli, sposarsi, speranza,
desiderio.
Partiamo dall’etimo della principale parola densa, lavoro, dal latino labare “vacillare sotto un peso”
“operare faticando”, una dimensione emozionale che nel suo significato più arcaico evoca le
“sofferenze” (dal latino sufferre ‘sopportare’, ‘patir dolori’) legate al portare avanti un mestiere, una
professione. Se ora prendiamo in esame le parole successive che in ordine di co-occorrenza
ritornano maggiormente con “lavoro” si apre un universo simbolico, proprio della cultura in esame,
estremamente chiaro.
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Famiglia – da faama, “casa”, “i membri della casa uniti da legami di sangue” – e figli – dal latino
filiu(m), che risale a fellàre “succhiare”, nel significato di “suggere”, “allattare”, dalla radice dhe(i)
‘generare, nutrire’ – definiscono una prospettiva di vita legata alla sfera del privato e dei legami più
intimi e profondi. Se teniamo insieme tutte e tre le parole principali sembra emergere una cultura
che immagina il lavoro in primis come attività pensata a “nutrimento” degli affetti e
dell’appartenenza famigliare.
Utilizziamo anche le parole successive per ridurre ulteriormente la polisemia emozionale. Sposarsi
delinea un universo simbolico in cui l’investire sui figli e il “metter su” famiglia sono pensati dentro
la tradizione, dentro cioè la cornice istituzionale del matrimonio; speranza – cioè “l’attesa fiduciosa
di qualcosa in cui si è certi o ci si augura che consista il proprio bene, o di qualcosa che ci si augura
avvenga secondo i propri desideri” – e desiderio – dal latino desiderare, composto di de- ‘de-’ e un
derivato di sidus –eris ‘stella’, “smettere di guardare le stelle a scopo augurale”, da cui “sentire la
mancanza”, quindi “desiderare”, ‘bramare’, “sentire la mancanza di ciò che è piacevole, buono,
necessario, e tendere a ottenerne il godimento, il possesso” – ribadiscono l’universo simbolico sin
qui delineato, una cultura proiettata “in avanti”, in cui ciò che si desidera e si spera è poter contare
su un lavoro e su un matrimonio per il “bene” della famiglia.
Una lettura confermata dal gruppo di parole dense successive: marito, sognare, ideale, genitori,
padre, bambino, casa, madre, moglie. Chi parla in questo repertorio sogna per sé un’adultità
ideale che evoca l’immaginario pubblicitario, quello – per intenderci – della famiglia del “mulino
bianco”, entro cui sono “fatte fuori” le inevitabili ambivalenze, complessità e problematicità che
contraddistinguono le famiglie reali, vere; si tratta, infatti, di un’adultità organizzata intorno ai ruoli
di moglie, di marito, di padre, di madre, di genitori, che in quanto tali configurano sul piano
emozionale delle modalità astratte e precostituite di entrare in rapporto con l’altro e con l’altra.
Si delinea, pertanto, un futuro cristallizzato intorno a miti rassicuranti e stereotipali, e pertanto poco
emotivamente pensato dai ragazzi e dalle ragazze.
L’ultimo gruppo di parole dense consolida ed approfondisce quanto fin qui ipotizzato:
soddisfazioni, amici, amore, soldi, macchina, viaggiare.
Il futuro è immaginato come un percorso ideale che porterà a sicure “soddisfazioni” non tanto sul
piano della realizzazione professionale – parole assenti nel R.C. 3 – ma nella vita privata, a cui
rimandano le parole dense del gruppo: “amici”, “amore”, “soldi”, “macchina” e “viaggi”.
Ad una visione d’insieme, quasi un “totale” su quanto emerso sino ad ora dagli scritti dei ragazzi e
delle ragazze che hanno partecipato alla ricerca, possiamo affermare di trovarci di fronte ad una
cultura ove la relazione tra i generi è onnipotentemente idealizzata entro la sfera privata della
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famiglia e dei ruoli ad essa intrinsecamente connessi. La sfera del lavoro si inaridisce fino ad essere
identificata a supporto esclusivo di un forte investimento sul privato, la famiglia, i figli, la casa, gli
amici, la moglie, il marito; sembra non esserci altra possibilità per una relazione adulta tra i generi
che non sia quella dell’appartenenza familistica.
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4.2.
REPERTORIO CULTURALE 1:
UOMO, DONNA, MASCHIO, FEMMINA, DIVERSITÀ,
SENSIBILITÀ, FORZA ...
I maschi pensano sempre diversamente dalle femmine. Io penso che le donne si possano descrivere con le
seguenti parole: sensibili, generose, uniche, che sopportano molti dolori e delusioni, capaci di andare
avanti, romantiche, ingenue, vanitose, sincere, deboli. (Ragazza)
Secondo me ci dovrebbe essere maggior rispetto per le donne perché la donna e più delicata, più sensibile,
più sentimentale. Per come la penso io l’unico pensiero di un maschio è solo uno, invece la donna ne ha
cento, e quindi questa cosa ci riguarda noi uomini perché qualcuno dovrebbe pensare anche agli oggetti
dell’animo della donna. (Ragazzo)
Prima di tutto bisogna dire che l’uomo la maggior parte delle volte è diverso dalla donna. Mentre la donna
è un essere più fragile talvolta anche discriminato, l’uomo rappresenta la forza. La forza non solo in senso
fisico ma anche psicologica. (Ragazzo)
Le cose nella società non cambieranno, ci saranno sempre uomini che violentano, uomini che stuprano,
uomini che sottomettono, uomini che massacrano le donne. (Ragazza)
Queste sono alcune frasi del 1° Repertorio Culturale, pari al 27% del testo.
Si tratta di un R.C. che caratterizza il discorso prodotto da un gruppo misto di ragazze e ragazzi.
Ecco le principali parole dense – quelle con maggior peso statistico – che lo compongono: uomo,
donna, maschio, femmina, diversità, sensibilità, forza.
Il discorso simbolico si organizza intorno alle coppie di parole dense uomo-donna e maschiofemmina. Siamo di fronte a due gruppi di parole che dal punto di vista etimologico rimandano a
due universi di significato chiari e distinti, da un lato un’appartenenza che ci caratterizza in quanto
esseri umani adulti, dall’altro a delle parole, maschio e femmina, che definiscono un’appartenenza
intorno alle proprietà e caratteristiche special-specifiche di tipo biologico e fisiologico, proprie degli
organismi a sessi separati. Le coppie di parole dense rimandano, pertanto, ad una prima distinzione
categoriale rilevante, quella tra sesso e genere, intesi come dimensioni che contrappongono gli
aspetti biologico-naturali a quelli storico-culturali e sociali: “definiamo ‘sesso’ il contenitore
simbolico che in relazione al tema della differenza sessuale utilizza criteri di categorizzazione
fondati su dati biologico-naturali e ‘genere’ il costrutto che rispetto al medesimo tema individua il
focus della riflessione sulla considerazione della rilevanza di specifiche istanze o determinanti
culturali” (Taurino, 2005, p. 9).
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Le parole successive ci aiutano a definire ancora meglio l’ordine simbolico entro cui si iscrive il
discorso dei ragazzi e delle ragazze. La parola diversità, dal latino divertere ‘volgere (vertere) in
opposta direzione (dis-) sembra definire delle appartenenze – l’uomo in quanto maschio e la donna
in quanto femmina – contrapposte, che “vanno in opposte direzioni”, la forza e la sensibilità.
L’appartenenza di genere e la relazione tra di essi, è associata simbolicamente ad una divaricazione,
ad un polo la forza, a cui possiamo associare emozionalmente il vigore fisico, l’energia, la
fermezza, la decisione, l’intensità, l’impeto, la potenza, l’efficacia, il valore, l’attitudine ad
influenzare i comportamenti, l’imporsi, la durezza e la violenza (parole quest’ultime, scritte in
grassetto, presenti nel R.C. in analisi), all’altro polo la sensibilità, “facoltà di ricevere impressioni
mediante i sensi” (Cortellazzo, Zolli, 1988), “attitudine a sentire vivamente le emozioni, gli affetti, i
sentimenti” (Zanichelli, 2002), a cui possiamo associare la delicatezza, la gentilezza, l’emotività,
parole presenti più avanti nel repertorio.
Si va configurando una rappresentazione dell’identità di genere, di un “noi” e di un “loro”, fondate
sull’utilizzo generalizzante e divaricante delle categorie emozionali di “forza” e di “sensibilità”,
assunte come contrapposte e caratterizzanti profondamente i generi.
Veniamo al successivo gruppo di parole dense: corpo, società, stereotipi. Chi parla entro questo
repertorio sembra assumere delle differenze, relative all’uomo in quanto maschio e alla donna in
quanto femmina, originarie e fondative, iscritte entro le corporeità, gli aggregati sociali, le leggi e le
norme che dovrebbero regolamentare i processi di convivenza.
Si tratta di qualità naturali, peculiari, essenziali, che omogeneizzano i generi al loro interno, delle
“impronte rigide”, stereotipali; in altre parole dei modelli simbolici normativi dell’appartenenza di
genere dagli effetti pragmatici rilevanti poiché costruiscono entro lo spazio pubblico delle
distinzioni e compartimentazioni.
Si conferma, dunque, l’ipotesi di senso emozionale fin qui delineata: “forza” e “sensibilità”
definiscono le matrici simboliche di universi polari e contrapposti, il fondamento simbolico di
codici corporei e sociali, rigidi, cristallizzati, irriducibili l’uno all’altro.
Una divaricazione profonda che sembra costruire delle appartenenze di genere che esitano in
rapporti asimmetrici e drammatici come l’ultimo gruppo di parole dense sembra evidenziare:
imporsi, influenzare, durezza, delicatezza, gentilezza, emotività, superiore, inferiore,
sottomettere, violenza, pregiudizi.
Per i ragazzi e le ragazze che si esprimono in questo R.C., “forza” e “sensibilità”, intese come
qualità originarie proprie dei corpi sessuati, vengono utilizzate socialmente nella costruzione di
identità di genere – l’uomo “privo” di sensibilità, la donna “priva” di forza – che organizzano e
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alimentano pregiudizi e distanze, fino ad organizzare uno spazio pubblico gerarchizzato e destinato
a divenire il “teatro” ove le differenze in caso di conflitto divengono violenza e sopraffazione
dell’uno sull’altro, dell’uomo sulla donna.
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4.3.REPERTORIO CULTURALE 2:
RAGAZZI, RAGAZZE, NASCONDERE, SCHERZARE, SENTIMENTI,
IMMATURI, INFANTILI, VERGOGNA, FALSITA’…
I ragazzi ne parlano sempre in maniera scherzosa e superficiale non affrontando mai l’argomento come lo è
realmente. Tendono sempre a nascondere i loro veri sentimenti, come se si vergognassero di amare o tenere
ad una ragazza e dicendo ai propri amici che il fine del loro rapporto con una ragazza sia esclusivamente il
sesso, e in molti casi lo è. (Ragazza)
I maschi scherzano spesso anche sulle proprie ragazze nascondendo i sentimenti che provano per loro,
apparendo ciò che non sono realmente. Le ragazze invece sono molto più aperte e non sentono il bisogno di
dimostrare di essere superiori e non si vergognano di ciò che provano e di quello che fanno, anche
sull’argomento sesso non cercano di farsi più grandi. (Ragazza)
Secondo la mia opinione i maschi parlano di sesso e di argomenti personali sempre in maniera superficiale
e scherzano sull’argomento per evitare di dire realmente le loro esperienze personali e per farsi vedere
sempre superiori. (Ragazza)
Quando i ragazzi affrontano questi discorsi fanno sempre i super uomini elogiando le doti che spesso non
hanno. Le femmine invece sono molto più aperte e mettono molto più a vedere i loro sentimenti non
vergognandosi di dire se tengono a un ragazzo. (Ragazza)
Diversamente dagli altri repertori culturali, che riguardavano entrambi i generi contemporaneamente, il
R.C. 2 caratterizza il discorso prodotto da un gruppo di ragazze, ed è pari al 14% del testo complessivo.
Dalla lettura di alcune frasi emerge con chiarezza come le ragazze tendano a costruire un senso del “noi”
contrapponendosi al gruppo “altro”, i ragazzi.
Ecco le parole dense che lo compongono: ragazzi e ragazze, nascondere, scherzare, sentimenti,
immaturi, infantili, vergogna, falsità, evitare, gruppo, paura, mature, fare sesso.
Il rapporto tra i generi sembra caratterizzato affettivamente dal parlare alla leggera, senza serietà,
dicendo battute di spirito, prendendosi gioco della relazione per nascondere le parti intime di sé, i
propri sentimenti. Emergono dei primi elementi interessanti: il focus delle ragazze sulla sfera dei
sentimenti e la loro difficoltà a metterla in gioco – facendone un oggetto condiviso – nel rapporto
con i ragazzi.
Le ragazze costruiscono simbolicamente i loro coetanei maschi come coloro che non sono capaci di
manifestare pienamente e compiutamente, nelle relazioni di genere, i propri sentimenti, anzi devono
saperli nascondere davanti al gruppo, evitare che possano essere colti.
Ecco allora che le ragazze parlano dell’immaturità dei loro coetanei, in antitesi alla loro maturità.
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Li definiscono infantili – dal latino infantem, ‘che non (in-) può ancora parlare (fantem), “proprio
dei bimbi piccoli” – perché non sanno accettare pienamente dentro di sé quelle parti interne più
profonde, riconoscendole come legittime ed esprimendole.
Emerge chiaramente il nodo problematico che contraddistingue l’universo simbolico delle ragazze:
la costruzione generalizzante del maschile come immaturo e infantile può farle sentire competenti e
mature. Entro il discorso in analisi, infatti, sono all’opera quei meccanismi difensivi che
caratterizzano simbolicamente i rapporti di appartenenza e contro-appartenenza: la svalorizzazione
dell’altro, la scissione tra dimensione giudicate negative (attribuite al gruppo “esterno”) e positive
(attribuite a sé e al proprio gruppo), la difficoltà ad integrarle in immagini coese, e dunque la
tendenza a proiettare sull’altro quelle parti di sé, quelle difficoltà, quei sentimenti e pensieri
giudicati inaccettabili e da cui ci si può sentire minacciati.
Le altre parole dense confermano quanto fin qui ipotizzato e ci aiutano ad approfondire il senso
della cultura in analisi.
Vergogna è la scoperta della falsità: “falso”, dal latino falsu(m), derivato di fàllere, ‘ingannare’,
“che non corrisponde al vero, alla realtà”. La dialettica vero/falso, intrinseca alla parola densa
“falsità”, ci rimanda alla simbolizzazione emozionale ‘davanti/dietro’ quale dinamica collusiva che
attraversa il repertorio culturale in analisi. “Davanti” come luogo della comunicazione, della
reciprocità, dello scambio, della narrazione di sé, ciò che le ragazze recuperano e si riconoscono
come loro competenze, “dietro” come luogo in cui si ci nasconde, attribuito ai ragazzi, per
immaturità e per paura. Nella “vergogna” quindi si assiste allo svelamento della realtà, contro la
pretesa di far apparire le cose in modo diverso, falsando la realtà stessa.
Come già messo in evidenza, le ragazze utilizzano questo modo di simbolizzare l’altro, questo
pregiudizio generalizzante, per rinforzare il proprio sé, per autorizzarsi a potenziare il proprio essere
femminile, la propria identità di genere. Si tratta della dinamica sociale nota come favoritismo per
l’in-group: la tendenza cioè ad operare in modo da favorire i membri del gruppo di appartenenza, in
questo caso il “noi” femminile, le cui modalità relazionali, opinioni ed azioni vengono considerate
più positive e degne di quelle che caratterizzano i ragazzi.
Una dinamica che segnala anche la non scontatezza dell’incontro tra i generi; siamo di fronte,
infatti, alla narrazione di una difficoltà relazionale tra soggettività portatrici di premesse diverse e
non riconosciute, perché mai divenute oggetto di comunicazione e di scambio autentico. Il fare
sesso scisso dai sentimenti come attribuzione che caratterizza la maschilità ne è un esempio chiaro.
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Il riconoscimento di sé e del proprio saper essere e saper fare nel rapporto con l’altro genere si
delinea, pertanto, come un processo in evoluzione e dunque intimamente contraddittorio, confuso,
fragile, caratterizzato emozionalmente da posizionamenti difensivi quali la svalorizzazione
dell’altro, la scissione tra buono e cattivo, positivo e negativo, e la proiezione di parti di sé
sull’altro.
Tuttavia siamo confrontati con delle criticità che segnano una linea di sviluppo interessante nelle
costruzione dell’identità di genere femminile. Le ragazze infatti recuperano e valorizzano proprio
quelle competenze di genere ritenute culturalmente “inferiori” e da cui la maschilità ha preso le
distanze.
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5. RIFLESSIONI CONCLUSIVE
Procediamo ora dando una visione d’insieme di quanto emerso dall’analisi. Riportiamo il grafico
(fig.2) che illustra le posizioni e le dimensioni entro lo Spazio culturale dei tre repertori appena
analizzati.
Ragazzi, ragazze, nascondere,
scherzare, sentimenti, immaturi,
infantili, vergogna, falsità, evitare,
gruppo, paura, mature, fare sesso,
R.C. 2
PRIMO FATTORE
Lavoro, famiglia, figli, sposarsi,
speranza,
desiderio,
marito,
sognare, ideale, genitori, padre,
bambino, casa, madre, moglie,
soddisfazioni, amici, amore, soldi,
macchina, viaggiare.
R.C. 1
SECONDO FATTORE
R.C. 3
Uomo/donna,
maschio/femmina,
diversità, sensibilità, forza, corpo,
società,
stereotipi,
imporsi,
influenzare, durezza, delicatezza,
gentilezza,
emotività,
superiore,
inferiore, sottomettere, violenza,
pregiudizi.
Fig. 2 Posizione e dimensioni dei Repertori Culturali entro lo Spazio Culturale
Quali possibili significati assumono i tre Repertori Culturali, così come sono posizionati entro lo
Spazio Culturale?
Sul primo fattore – l’asse orizzontale – si situano in posizione contrapposta il R.C. 3 ed il R.C. 1.
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Riprendiamo quanto emerso.
Al 3° Repertorio appartengono, come già detto, il 63% delle frasi del testo: si tratta del repertorio
più esteso della Cultura in analisi, la cui dinamica simbolica caratterizza il discorso elaborato da un
gruppo misto di ragazze e ragazzi.
Qui siamo confrontati con un universo simbolico intessuto di miti rassicuranti che costruiscono un
senso di appartenenza ideale alla sfera privata. Nel pensarsi entro una relazione con l’altro genere ci
si rifugia nella famiglia. La carriera lavorativa non è pensabile come relazione finalizzata ad un
prodotto pubblico, extra-famigliare: si è dentro una dimensione esclusivamente affiliativa che
appaga e tranquillizza, che non prevede riscontri e verifiche su obiettivi, prodotti, relazioni con
l’altro/a al di fuori di ruoli scontati e predefiniti. Sembra che qui la sfera privata abbia la funzione di
inaridire le dimensioni professionale e sociale e si connoti come un contesto di vita che esaurisce al
suo interno il senso dell’adultità e delle relazioni di genere.
Si vive nell’assenza di consapevolezza sociale oltre che di progettualità e investimento su di sé
nell’ambito professionale, ci si concentra sul privato e ci si rapporta alla dimensione lavorativa
considerandola soltanto fonte di soldi e di soddisfazioni da investire nel privato, l’unica dimensione
che conta per un rapporto di genere adulto, eludendo così ogni possibile alternativa di realizzazione
personale e di costruzione sociale della propria identità lavorativa e di genere.
Il 1° Repertorio, che rappresenta il 27% del frasi del testo, anche in questo caso di un gruppo misto
di ragazze e ragazzi, sembra configurare un universo emozionale che definisce simbolicamente lo
spazio pubblico come caratterizzato dalla rottura ineludibile ed irrimediabile della relazione tra i
generi. “Forza” e “sensibilità”, pensate come qualità originarie, essenziali e divaricanti, iscritte nei
corpi sessuati, imprigionano ed annullano le differenze individuali entro false appartenenze di
genere che esitano, quasi fosse un destino a cui rassegnarsi, in rapporti socialmente asimmetrici e
dominati dalla legge del più forte.
La collocazione polare delle due culture si spiega, pertanto, come contrapposizione tra sfera privata
e sfera pubblica; la prima centrata sull’idealizzazione del “privato”, una cultura “chiusa” entro la
sfera dei legami familiari, disinteressata a costruire nuove e diverse appartenenze in grado di
prefigurare dei valori pubblici, un ethos comunitario, qualcosa di esterno ed estraneo alla sfera
famigliare – il lavoro da questo punto di vista potrebbe rappresentare una dimensione fondante
l’apertura alla consapevolezza sociale e all’assunzione di responsabilità verso la comunità a cui si
appartiene – la seconda che rappresenta il rovescio della medaglia della prima: il modello ideale
della appartenenza tra i generi, costruita sull’immagine mitica della famiglia con i suoi ruoli
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predefiniti e rassicuranti, che “proteggono” dalla scoperta perturbante dell’autenticità dell’altro/a, si
rompe entro la sfera pubblica organizzata dagli stereotipi e dai pregiudizi di genere.
La famiglia come mito, rifugio, isola felice; unico spazio dove possa esistere la morale ed il bene,
perché il male è fuori di essa, nel contesto pubblico, divenuto un luogo senza regole, anomico, in
cui è assente un qualsiasi senso del ‘noi’ che fondi legami d’appartenenza altri da quello familistico.
Il lavoro, pertanto, viene oscurato quale possibile luogo pubblico ove problematizzare le differenze
di genere.
La problematicità della cultura in analisi sembra attenuarsi con il R.C. 2, situato sul secondo fattore,
l’asse verticale. Abbiamo visto che si tratta di una declinazione dell’universo simbolico che
caratterizza in modo significativo le ragazze.
Se il 3° ed il 2° repertorio rappresentano per motivi diversi ed opposti il fallimento di un senso del
“noi” autentico, vero, ancorato alla realtà, in grado di tenere insieme e non scindere, collusivamente
e drammaticamente il privato dal pubblico, il maschile dal femminile, il R.C. 1, pur presentando
anch’esso delle dimensione difensive e scisse riguardanti proprio le caratterizzazioni simboliche di
genere, sembra configurare un luogo di riconoscimento di un’identità femminile, di un “noi”, che
riesce a dare senso e valore a quelle competenze relazionali ed emozionali costruite storicamente
come indicatori di differenze connotate gerarchicamente, fondanti cioè la retorica sociale del sesso
“forte” versus sesso “debole”.
Quanto emerge dalla lettura dei tre repertori culturali contiene delle informazioni preziose da
mettere in gioco con i/le dirette interessati/e. Le ipotesi che abbiamo costruito infatti non
rappresentano delle “verità” sui/sulle ragazzi/e coinvolti/e, un sapere su di loro chiuso e definito, al
contrario delle tracce di senso intorno alle mappe culturali che li/le orientano nella realtà da un
punto di vista di genere.
Le articolazione della Cultura Locale che abbiamo sopra evidenziato costituiscono pertanto delle
risorse conoscitive preziose per attivare con i ragazzi e le ragazze un pensiero riflessivo sui loro
sguardi di genere, sui bisogni, sulle attese, sulle ambivalenze e sulla modalità collusive che li
caratterizzano in rapporto all’Altro/a e ai loro contesti di appartenenza, reali e simbolici.
Ciò significa dare loro l’opportunità di esprimersi entro il gruppo-classe per conoscere, riconoscere, scambiare parole per nominare e decodificare vissuti e stereotipi di genere, per
confrontarsi sugli orientamenti sessuali, sulla costruzione delle identità di genere, sulle diversità
culturali e sulle relazioni sentimentali e d’amicizia. Temi che riguardano i “compiti di sviluppo” di
ogni adolescente, e come tali intrisi di paure, di non detti, e di conflitti.
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6. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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