Vincere: il Mussolini tragico di Bellocchio

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Vincere: il Mussolini tragico di Bellocchio
Vincere: il Mussolini tragico di Bellocchio
Alessia Mazzenga e Luca Bonaccorsi
CANNES — Arriva in sala da oggi la nuova opera del regista piacentino. Un film epico, antico,
dai toni forti. Magistrale interpretazione dei protagonisti Filippo Timi e Giovanna Mezzogiorno in
odore di Palma d’oro —
Un capolavoro tragico. Assoluto. È la nuova fatica di Marco Bellocchio, “Vincere”, unica opera
italiana in concorso a Cannes presentata ieri alla kermesse, che esce oggi in Italia. Il film si
apre sul primo incontro tra Ida Dalser e Mussolini nel 1907, durante un’accesa riunione in cui il
giovane Benito infiamma gli animi con le sue idee rivoluzionarie, contro la morale religiosa: «Se
entro cinque minuti Dio non mi fulmina. Dio non esiste!», dirà.
Con Ida è amore a prima vista, almeno per lei che, bella, colta e intraprendente vende ogni
cosa per finanziare il Popolo d’Italia. Futuro organo del Partito fascista, che Mussolini dirigerà
dopo aver lasciato l’Avanti per diventare nazionalista e interventista. La prima parte del film ci
racconta, attraverso i bellissimi chiaroscuri della fotografia di Daniele Ciprì, i molti orgasmi dei
due amanti, mentre sullo sfondo l’Italia, a suon di slogan futuristi, corre verso la guerra.
Attraverso il sapiente montaggio di Francesca Calvelli, che alterna i filmati futuristi che incitano
alla guerra e i cinegiornali d’epoca, alla storia d’amore, tutta giocata sui corpi nudi e i primi piani
dei due protagonisti, si giunge alla seconda parte del film in cui la Dalser si trasforma nella
vittima sacrificale di un meccanismo di potere.
Mussolini sposerà Rachele il 17 dicembre 1915, solo un mese dopo la nascita di Benito Albino,
il figlio nato dalla relazione con la Dalser e da lui riconosciuto. Sceglierà una ragazza del suo
paese, obbediente massaia, in grado di “portare le corna” come, secondo lui, avrebbero dovuto
fare tutte le brave donne. Bravissimi gli interpreti, da Filippo Timi che rende tutta la ferocia e
lucidità dell’uomo Mussolini a una splendida Giovanna Mezzogiorno, candidata alla vittoria
come migliore attrice.
In una sorprendente aderenza al suo ruolo, mostra tutta la tragicità delle donne che non
accettano di diventare docili mogli e madri scialbe. Quelle, irriducibilmente belle, fiere e
intelligenti, che pagano con la solitudine e la follia la propria ribellione. “Vincere” è un film duro,
difficile, monumentale, che reclama mille aggettivi. Antimoderno, per una serie di motivi. Film
così non li fa più nessuno.
“Vincere” si iscrive nella storia del cinema tra le “corazzate Potemkin” e i “Ben Hur”, per
1/3
Vincere: il Mussolini tragico di Bellocchio
estensione epica e ambizione narrativa. In secondo luogo, perché è una pellicola in cui non ti
puoi identificare con nessuno. Non c’è nessuna concessione alla logica dei buoni e dei cattivi, e
anche l’eroina Ida è una ribelle assurda che ti fa solo arrabbiare: sceglie l’uomo sbagliato, gli
resta avvinghiata, e segue con una coerenza autodistruttiva la sua verità fino in fondo.
Le vuoi bene ma la odi, anche. Poi perché non concede nulla al minimalismo contemporaneo: è
grandioso, epico, vive solo di emozioni forti e straripanti. Le scene sono ricche, le musiche di
una tensione estenuante. Infine perché non concede nessuno spazio al buonismo, o a lieti fine
di sorta. Un film nietszchiano nella sua integrale tragicità che rifiuta qualsiasi mediazione.
Nietszchiano perché emerge da un uomo che, dal vivo, emana tranquillità e benessere.
Forse quel benessere che solo, come diceva il filosofo, può permettersi il gusto di affondare
nella tragedia pura di una Antigone che va verso la morte pur di non tradire se stessa.
Antimoderno perché è un film sul ’900,del ’900, fatto da un maestro del ’900. L’immagine
femminile, tema ormai onnipresente e centrale nei lavori di Bellocchio, qui si divide in due: la
moglie scema borghese (esilarante la scena di Rachele che nutre e chiacchiera con le galline
nel pollaio personale, dei giardini di Villa Torlonia), e l’eroina ribelle (e martire).
Ida Dalser è ribelle e sessuata. Il suo sesso lo espone senza timore, con disinvoltura
sessantottina, alla mostra futurista. In questo senso il film denuncia assai bene la violenza che
si abbatte su una donna libera. Che la ribellione di Ida porti all’emarginazione, follia e morte può
essere accettato solo come rappresentazione di una condizione storica e culturale.
Visto che chiaramente, non corrisponde all’idea delle possibilità rivoluzionare delle donne,
rappresentate da Bellocchio in modo assai meno disperato in altri suoi film. Infiniti sono gli
affreschi e i cameo. La vecchia psichiatria è rappresentata nel consulto a Ida, con le domande
idiote («quante dita ci sono in una mano?»). Numerose le citazioni dei grandi maestri del
cinema e le autocitazioni. Dall’insofferenza al lenzuolo nell’amplesso di Diavolo in corpo, al
volto della Mezzogiorno Detmers durante il discorso dello psichiatra esaminatore.
Ma non hanno sapore narcisistico, perché è come se “Vincere” dovesse comprendere tutto
Bellocchio. Dai Pugni in tasca a oggi. E tutta la storia del grande cinema. Infinite le scene che
restano impresse. Il volto deforme di Timi Mussolini junior, prossimo alla morte per follia, ricorda
la faccia deforme del protagonista dei Pugni in tasca. O Ida che emerge dal fumo degli scontri
spingendo sicura la sua carrozzina con bimbo.
2/3
Vincere: il Mussolini tragico di Bellocchio
O Ida e Benito novelli innamorati, sulla panchina di notte, nella piazza attraversata da una
comitiva di ciechi. O Ida che si arrampica verso il cielo innevato, nella immensa gabbia
manicomio. E poi le suore, i matti del manicomio, i discorsi scemi e delinquenti della madre
superiora. C’è tutto il repertorio di immagini e di vita del regista piacentino. “Vincere” è un film
che disorienta, colpisce, annichilisce.
È una citazione infinita, eppure assolutamente originale. Strizza l’occhio ai melodrammi della tv
di prima serata ma non lo è. Racconta bene la nuova poetica di Bellocchio: parlare di temi
assolutamente popolari in modo totalmente originale. È il cinema d’autore per le masse, sulla
scia de “L’ora di religione” e “Buongiorno notte”. “Vincere” farà discutere. Ma soprattutto, è un
film da non perdere.
3/3

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