176-01 BPVOGGI_imp - Banca Popolare di Vicenza
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PERIODICO DI INFORMAZIONE DEL GRUPPO BANCA POPOLARE DI VICENZA ANNO 5 - N. 18 - GENNAIO/MARZO 2001 Palazzo Thiene, sede storica della Banca Popolare di Vicenza Sala di Proserpina SOMMARIO pagina EVENTI Gianni Zonin Benvenuto dottor Gronchi ______________________________________________________________________________________________3 Luciano Zanini Sempre più banca di riferimento _________________________________________________________________________________4 INTERVENTI Fabio Barbieri Padova oggi con i suoi problemi __________________________________________________________________________________6 Roberto Capezzuoli L’importanza dell’oro per l’economia italiana ___________________________________________________________8 Istituto Poster La rete e i sistemi produttivi del Nord-Est _______________________________________________________________10 Maria Masau Dan I tesori del Museo Revoltella __________________________________________________________________________________________13 NOTIZIE DALLA CAPOGRUPPO Luciano Zanini Si rafforza la rete del gruppo ______________________________________________________________________________________16 I fondi distribuiti online _________________________________________________________________________________________________18 “Conto Country” per gli extracomunitari ________________________________________________________________20 Al servizio degli agricoltori __________________________________________________________________________________________22 Specialista nell’oro _________________________________________________________________________________________________________24 Una nuova ambulanza alla Croce Rossa di Vicenza ______________________________________________26 Virtù e rischi del mitico Nord-Est _______________________________________________________________________________28 Il piccolo Museo della Moneta a Palazzo Thiene ____________________________________________________30 1915-1918: la guerra sugli Altipiani ____________________________________________________________________________33 Nuova serie di incisioni ________________________________________________________________________________________________39 “La penisola del tesoro” a Palazzo Thiene _____________________________________________________________41 HTTP://WWW.POPVI.IT BPVOGGI EDITORE: BANCA POPOLARE DI VICENZA DIRETTORE RESPONSABILE: LUCIANO ZANINI REDAZIONE: RELAZIONI STAMPA BPV, VIA BTG. FRAMARIN, 18 36100 VICENZA - TEL. 0444 339624 - FAX 0444 963384 REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE DI VICENZA N. 907 DEL 08.04.97 STAMPA: TIPOGRAFIA RUMOR - VICENZA BENVENUTO DOTTOR GRONCHI Conosco il dottor Gronchi da qualche anno. Lo incontrai le prime volte in Chianti, quando era direttore generale del Monte Paschi di Siena e ricordo di averne apprezzato fin da subito non solo la competenza e la chiarezza di visione, ma anche lo stile personale, fatto di cordialità, umanità ed ottimismo. Divo Gronchi è un uomo dalla vastissima esperienza di banca. Cresciuto professionalmente nella Banca Toscana, fino a divenirne vice direttore centrale, è poi passato al Monte Paschi, guidandolo, prima come vice direttore e poi come direttore generale, in quella fase di veloce crescita che ha portato l’istituto di Rocca Salimbeni ad affermarsi, con una rete di 1900 sportelli, fra le banche più brillanti e reputate. Sono poche, nel mondo bancario italiano, le persone che godono, come lui, di una stima così ampia e diffusa: ne ho avuto conferma evidente in questi mesi, raccogliendo i complimenti ed i consensi che sono giunti al Consiglio di Amministrazione della nostra Banca, da ogni settore dell’economia e della finanza, per averlo scelto come direttore generale della Popolare di Vicenza. Il mio apprezzamento nei suoi confronti è ulteriormente cresciuto da quando, fin dai primi giorni di quest’anno, ho visto il dottor Gronchi presente fra di noi: semplice ed affabile nei rapporti interpersonali, profondo conoscitore di ogni aspetto dell’azienda banca, economista di rango, capace di penetrare la complessità dei fenomeni finanziari internazionali e di valutarne con lucidità a 360 gradi i riflessi e le connessioni con l’economia interna e con l’operatività bancaria. Sono certo che nella fase di sviluppo e di consolidamento che il nostro Istituto sta vivendo, un Direttore Generale come il dottor Gronchi porterà un contributo rilevantissimo di managerialità e capacità organizzativa. Ma nello stesso tempo saprà cementare e far crescere quello spirito di gruppo e di collaborazione che ha sempre contraddistinto, nei suoi 135 anni di storia, lo stile della Popolare di Vicenza. Qualche scelta nel recente passato non si è dimostrata congeniale al modo d’essere, alla cultura ed alle tradizioni del nostro Istituto e occorreva prenderne atto, come il Consiglio di Amministrazione ha fatto nella sua responsabilità di guida dell’Istituto. Sappiamo tutti che il mondo bancario è in costante evoluzione e nostro compito è quello di non restare indietro: bisogna avere il coraggio di guardare avanti, affrontare con determinazione nuovi traguardi, confrontarsi con nuove dimensioni e nuove sfide di mercato. Per fare questo, non potevamo porre al vertice esecutivo dell’Istituto persona più giusta del dottor Gronchi: per le sue doti professionali, per la larghissima competenza ed anche per quel suo naturale ascendente, che lo rende punto di riferimento ideale per ricreare nella “famiglia” della Popolare il clima di equilibrio e di serenità che tutti desideriamo per il nostro lavoro e per il successo della nostra Banca. Gianni Zonin 3 Luciano Zanini SEMPRE PIU’ BANCA DI RIFERIMENTO Ho sempre seguito con attenzione le vicende della Popolare di Vicenza con la sua immagine di banca dinamica, efficiente e solida. Tre caratteristiche che insieme fanno derivare una valutazione molto positiva. Ebbene, alla prova dei fatti, ossia avendo conosciuto l’Istituto dall’interno, seppur in un breve lasso di tempo, l’idea che mi ero fatto non solo è stata confermata, ma posso dire di avere scoperto delle potenzialità veramente notevoli. Parlo, soprattutto, del personale in generale e del management in particolare. Un team di giovani dirigenti di grande professionalità e preparazione, a capo dei vari settori, dal commerciale alla finanza, dal credito all’organizzazione. E all’esterno della Banca? Divo Gronchi 4 Dall’inizio dell’anno la Banca Popolare di Vicenza è diretta da Divo Gronchi, cui il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto ha affidato l’importante incarico di condurre il nostro Gruppo bancario con mano esperta e sicura verso nuovi e importanti traguardi. Il curriculum professionale del dottor Gronchi è di primissimo piano nel panorama bancario nazionale, avendo egli, tra l’altro, guidato uno tra i maggiori istituti di credito d’Italia, la Banca Monte dei Paschi di Siena. Dopo poche settimane dal suo insediamento il nuovo direttore generale si è fatto un quadro preciso della situazione e non nasconde il proprio compiacimento per quello che ha trovato in Popolare di Vicenza… BPVOGGI Ho avvertito sin dai primi contatti un forte attaccamento da parte della clientela nei confronti dell’Istituto. La sensazione è che il cliente della Banca Popolare di Vicenza sia legato in modo speciale alla “sua banca”, la consideri come un preciso punto di riferimento: ciò è molto importante per una banca che vuole avere col proprio territorio un approccio costruttivo e del tutto particolare. La nostra clientela ha già a disposizione un portafoglio prodotti di standing elevato sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, che abbraccia il settore tradizionale come pure quello del virtual banking. Quanto a gamma di prodotti e servizi sono convinto che non siamo secondi ad alcuno, tuttavia siamo tutti impegnati a migliorare la nostra presenza, mettendo veramente il cliente e le proprie esigenze al centro della nostra attenzione. La cura verso la clientela è quindi uno degli obiettivi primari? Lo considero l’obiettivo primario per eccellenza. La Banca Popolare di Vicenza deve diventare sempre più banca di riferimento. Il mio, e il nostro impegno, sarà quello di accrescere ancora di più il grado di vicinanza, la fidelizzazione della clientela tutta – privati, famiglie, imprese – proponendo l’utilizzazione dei nostri servizi bancari e finanziari a 360 gradi. Faremo ogni sforzo affinchè i nostri clienti siano convinti e posti in grado di utilizzare agevolmente tutti i nostri prodotti e servizi. E qui mi riferisco in particolare alla multicanalità, visto che stando a recenti studi statistici proprio nel Nord Est, per tanti altri versi all’avanguardia in campo economico, c’è una minore propensione che non altrove nei confronti dei servizi resi disponibili dalla rete Internet. Cinque anni fa la Banca superava di poco i cento sportelli, ora è sopra i quattrocento. Che programmi ci sono per il prossimo futuro? È vero, c’è stata una crescita molto forte. La Banca è stata, ed è, intensamente impegnata in questa sua evoluzione, tra l’al- tro integrando in un’unica rete commerciale le cinque reti di altrettante banche popolari ( Belluno, Castelfranco, Udine, Trieste e Valdobbiadene) con i propri mercati di riferimento, con le proprie culture che intendiamo preservare, nonché i 46 sportelli provenienti da sette realtà bancarie diverse. Tutta questa azione di sviluppo, pregevole per la razionalizzazione, necessita ora di un periodo di consolidamento sia a livello centrale che periferico, in modo da rendere la struttura perfettamente omogenea e pronta a futuri sviluppi. C’è qualche progetto immediato che riveste particolare interesse? Ho ritenuto opportuno dare piena continuità al progetto relativo al portale di Vicenza, denominato VicenzaCity.com, di cui Informatica Vicentina, società del Gruppo, intende diventaBPVOGGI re gestore in partnership con Telecom. Il sito si propone come importante punto di ingresso privilegiato al web sia per la popolazione che per qualunque altro soggetto interessato o correlato alla città e alla provincia di Vicenza. Ritengo inoltre più che opportuno implementare ulteriormente gli accordi e le convenzioni tra la Banca e le varie Associazioni di categoria ed Enti locali al fine di penetrare con incisività operativa ancora più forte nel tessuto economico dell’area. Come si può notare tutte azioni tese a privilegiare il rapporto tra la nostra Banca e il territorio sul quale vogliamo continuare a crescere ed essere protagonisti. 5 Fabio Barbieri Direttore del Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso e La Nuova Venezia Stavo cercando di riordinare le idee per rispondere alle domande su Padova e il suo futuro che mi avevano posto gli amici della Banca popolare di Vicenza quando Maurizio Mistri mi ha fatto arrivare la sua ultima fatica. Il libro, che s’intitola “L’economia di Padova tra vincoli e possibilità” (CEDAM), è la dimostrazione inequivocabile che quelle domande avevano una valenza oggettiva, che insomma non si trattava di fare solo esercizio di retorica a proposito del passato e del futuro di una “capitale politica” come la città del Santo. Padova oggi non è semplicemente il capoluogo di una delle sette province venete: Padova è una città che ormai da tempo manifesta seri problemi di identità (politica, economica, sociale, culturale) e – di conseguenza – è diventata un problema anche per il Veneto, visto il suo peso specifico nel complessivo assetto regionale. Credo che valga la pena, in questa occasione, di accennare alla dimensione delle questioni più importanti, lasciando agli specialisti (incominciando da Mistri) l’esegesi più approfondita dei temi del dibattito. Vediamo punto per punto. 6 1. La crisi politica. Oggi Padova, che pure esprime il presidente della Regione, soffre di un sottodimensionamento di rappresentanza politica a livello nazionale. Il rapporto con l’autorità centrale si è da tempo trasformato in un qualche cosa di episodico e contingente. Non c’è funzionalità, non c’è organi- PADOVA OGGI CON I SUOI PROBLEMI Palazzo del Bo’, sede dell’Università di Padova cità. Il peso dei parlamentari padovani è pari a quello espresso da una provincia di periferia. E ciò è avvenuto sia quando ha governato per pochi mesi Berlusconi sia nella successiva fase dei governi dell’Ulivo. Certamente ha influito la mancanza di un progetto o di progetti elaborati in sede locale; certamente ha influito la mancanza di una strategia di medio e lungo periodo. Ma altrettanto certamente l’amministrazione centrale nelle sue scelte ha privilegiato, grazie evidentemente a lobby politiche più aggressive, territori che dal punto di vista degli indicatori complessivi si trovavano e si trovano in condizioni di inferiorità rispetto a Padova. Il rapporto Padova-Roma va dunque ricondotto al più presto dentro i binari definiti dai dati materiali socioeconomici. Probabilmente non si riuscirà a riBPVOGGI pristinare le fludità dei tempi di Gui, di Bisaglia, di Fracanzani, di Carraro, di Bettiol. Certo è però che se una classe politica vuol essere degna di questo nome ha il dovere di provarci e, soprattutto, di riuscirci. 2. La crisi economica. Parlare di crisi economica sembra una contraddizione in termini. E in effetti lo è, se si pensa al concetto di economia solo in riferimento alla ricchezza attuale. Non è così se invece si distingue tra crescita e sviluppo, come ad esempio saggiamente suggerisce Mistri, tra dati cioè puramente quantitativi da un lato e dati qualitativi e strutturali dall’altro. Non c’è al momento, e non sembra prevedibile, crisi di accrescimento materiale di ricchezza; si riscontra invece, e personalmente mi sembra in maniera piuttosto palpabile, una crisi della qualità dello sviluppo. L’ex presidente degli industriali padovani Angelo Ferro ha sempre sostenuto che “Padova più degli altri capoluoghi del Veneto è il centro delle ambizioni, delle responsabilità e delle contraddizioni di un’area in cui la ricchezza è diffusa, il lavoro non manca e l’imprenditorialità è un fenomeno di popolo”. Tutto vero. Ma altrettanto vero è che se questo ragionamento non viene inserito in un contesto di progetto complessivo (condiviso dalla politica, dall’economia e dalla società) nell’ambito del quale “tutte” le componenti del processo di sviluppo fanno la loro parte al meglio, si corre il rischio non solo di disperdere quel meglio prodotto singolarmente da ogni parte ma addirittura di portare ad un annullamento per contrapposizione. 3. La crisi sociale. Quanto è accaduto a Padova è sotto gli occhi di tutti. Il grande malessere si tocca con mano. E la cosa più preoccupante è che si tratta di un malessere psicologico prima ancora che materiale. Insomma, è semplicemente accaduto che nessuno tra coloro che ne avevano il dovere ha riflettutto a sufficienza sulle dure conseguenze che le leggi dell’economia e dello sviluppo comportano. E comunque, se qualcuno ha riflettuto a sufficienza, si è ben guardato dall’avvertire l’opinione pubblica di quanto si andava preparando. Laddove c’è ricchezza, là arrivano i disperati della terra per cercare di conquistarne un pezzo, la stragrande maggioranza legalmente, una minoranza in maniera illegale. Anche in questo settore Padova è stata ed è una “capitale politica”, è il crocevia di una immigrazione interna ed esterna in parte legale e in parte clandestina, il centro di passaggio e di smistamento di flussi di beni e persone. Tutto ciò ha portato ad una modificazione materiale e psicologica dei rapporti sociali che non è stata ancora sufficientemente metabolizzata; ha portato e porta ad un collasso culturale tra cittadinanza e territorio, con zone della città considerate impraticabili, con fasce orarie di presenza esterna ritenute proibitive. In questo settore il compito da portare a termine è immenso perché non sono coinvolte solamente le autorità politiche e di pubblica sicurezza, ma in particolar modo tutti gli enti e tutte le istituzioni che si occupano di territorio e di diffusione delle informazioni. Un compito che diventerà per altro sempre più duro visto che i fenomeni di immigrazione, clandestina e non, crescono tendenzialmente in maniera più che proporzionale rispetto all’incremento della ricchezza. 4. La crisi culturale. In senso lato, è un aspetto primario della crisi sociale. In senso stretto, è riconducibile al problema della proliferazione dei centri superiori di istruzione e ricerca, vale a dire delle università. Tolta Ca’ Foscari a Venezia, l’unica università del Veneto è sempre stata Padova. Ora discutere se BPVOGGI sia stato opportuna, intelligente, seria la politica del decentramento universitario negli ultimi quarant’anni, sarebbe tempo perso perché rimane il fatto incontrovertibile che la concorrenza alla Universa universis patavina libertas è fortissima. Forse per vincoli e norme esterne, ma forse anche per incapacità programmatica, oggi a Padova l’università appare come una grande azienda della old economy certamente in salute discreta e quindi in grado di garantire una buona “ordinaria amministrazione”, ma altrettanto certamente – al di là di alcune punte avanzatissime – non nella situazione di sostenere quelle potenzialità di sviluppo della ricerca indispensabili per mantenere un primato storico. Mancano parecchi strumenti legislativi ma manca anche una chiara strategia su che cosa potrà essere la seconda più antica università del mondo nei prossimi cinquant’anni al di là della gestione del puro dato quantitativo. Se questo progetto ci fosse e fosse convincente possiamo star certi che arriverebbero tanto i soldi quanto le leggi, come è sempre successo nella storia del mondo. 7 Roberto Capezzuoli “Il Sole 24 Ore” L’MPORTANZA DELL’ORO PER L’ECONOMIA ITALIANA La vocazione orafa italiana ha illustri antenati, che nei secoli hanno tramandato il know how, ma soprattutto il gusto e la capacità di innovazione degli artigiani che lavorano il metallo “nobile” per eccellenza. A renderlo evidente sono tutte le recenti mostre che hanno esposto a migliaia di visitatori veri e propri tesori: i manufatti degli orafi etruschi, i gioielli dell’antica Roma, quelli dei primi abitanti della Sardegna, gli ori dei Longobardi. 8 I PRIMATI Una tradizione che si è tradotta, ai giorni nostri, nelle statistiche che per l’intero dopoguerra attestano il primato dell’oreficeria italiana nel mondo. Fino al 1996 il nostro Paese è rimasto saldamente al primo posto tra i grandi trasformatori di oro, pur essendo lontano dai vertici della classifica che prende in considerazione i consumi interni, cioè gli acquisti di oggetti preziosi da parte degli abitanti. È solo degli ultimi quattro anni il “sorpasso” dell’India. Le cifre manifestano soprattutto il riflesso del grande favore che i gioielli incontrano nel subcontinente indiano, in un Paese enorme, con una popolazione avviata a superare il miliardo di esseri umani, ma in particolare con un crescente benessere economico, con facilitazioni offerte alle imprese artigiane, con progressive liberalizzazioni del commercio e della lavorazione di oro e preziosi. Ma l’Italia, nel pianeta oro, svolge sempre un ruolo di primissimo piano. Il calcolo è semplice. Il metallo ottenuto ogni anno dalle mi- niere mondiali si aggira intorno a 2.500-2.600 tonnellate; i dati del World Gold Council, che rappresenta gli interessi dei maggiori produttori occidentali, parlano di 2.568 tonnellate estratte nel 2000. Circa il 70% del totale si dirige verso il settore del gioiello (che naturalmente utilizza anche buona parte dell’oro “vecchio”, quello da riciclare). Ebbene, l’Italia nel ‘99, ultimo anno per cui sono disponibili le statistiche complete, ha leggermente diminuito la sua attività complessiva, ma ha comunque trasformato ben 511 tonnellate d’oro, un totale superato soltanto dalle 644 tonnellate dell’India. Ma le 416 tonnellate “riesportate” dopo la lavorazione sono un primato che anche il 2000 ha certamente confermato. I numeri italiani dei primi nove mesi dello scorso anno dicono infatti che l’export ha toccato punte superiori a tutti i precedenti record, iniziando la sua penetrazione anche in Paesi BPVOGGI di grandi prospettive come la Cina e la stessa India. Qualche battuta d’arresto è segnalata tuttavia sul mercato interno, che forse giustifica le stime preliminari fatte dal World Gold Council riguardo al 2000: nel suo ultimo rapporto il Wgc sostiene che il settore gioielleria nel mondo ha trasformato 3.191 tonnellate d’oro fino, l’1,2% in più rispetto all’anno precedente, ma con una flessione del 3% in Italia. Nulla, però, che possa scalfire l’immagine delle imprese italiane del settore, un tessuto che il mondo ci invidia. I NUMERI Solo le cifre possono dare un’idea dell’importanza che l’oro riveste per l’economia italiana. Il valore degli oggetti in oro prodotti nel nostro Paese, durante il 1999, da oltre 10mila aziende orafe è stimato in 13.600 miliardi di lire. Una produzione che ha richiesto l’opera di 130mila ad- detti, di cui 82mila solo per la distribuzione. Il 2000 ha accusato qualche incertezza sul mercato interno, forse per un inadeguato apporto delle campagne promozionali, ma ha confermato la vitalità del settore con esportazioni record. Di queste non sono ancora disponibili i dati precisi, ma superano certo gli 8mila miliardi toccati nel ‘99, con gli Stati Uniti ancora una volta in veste di mattatore, ad assorbire un terzo dei gioielli italiani venduti all’estero. I DISTRETTI La forza dell’industria italiana è nei suoi numerosi poli, tutti ad alta specializzazione, e nel gran numero di artigiani validissimi, presenti in tutto il territorio nazionale. I più noti centri di lavorazione sono i cosiddetti “distretti orafi”, cioé quei sistemi produttivi locali dove si è concentrata un’alta specializzazione, frutto di una presenza consistente per numero di aziende, di addetti e di fatturato. Tutti conoscono i poli di Vicenza, di Valenza Po, di Arezzo. Serviti da banchi metalli (società di servizio abilitate alla compravendita di oro grezzo) e assistiti da una rete di sportelli bancari dedicati al buon funzionamento dell’attività produttiva. In testa c’è Vicenza, con non meno di 12.200 addetti, con un fatturato che supera i 3mila miliardi l’anno (solo per l’oro), con un volume di oro trasformato ogni anno (oltre 113 tonnellate) che rende la provincia del Palladio la più scintillante area geografica del mondo. Ma anche le altre realtà sono di spicco, ognuna con precise specifiche: a Valenza Po, per esempio, prevale la lavorazione di gioielli con pietre preziose, Arezzo è sede di una delle maggiori aziende orafe mondiali, a Torre del Greco e Napoli si concentra la lavorazione di oro con corallo e cammei. I distretti sono forse troppo ingabbiati entro rigidi schemi normativi, che a volte frenano le possibilità di finanziamenti comunitari. Però le difficoltà con cui si devono confrontare gli addetti ai lavori sono anche altre. Una è la necessità di specializzazione e aggiornamento professionale, che non consente un facile reperimento di mano d’opera qualificata. Nei poli principali, ma anche in altre città, esistono centri di formazione importanti. La Scuola d’arte e mestieri di Vicenza ne è un valido esempio, con i corsi per la formazione professionale, per l’incisione, l’incastonatura, l’oreficeria, la modellistica. I PERICOLI Le insidie però non mancano. Per rimanere al passo con le richieste di un mercato globale occorrono investimenti, tecnologie, applicazioni sempre più sofisticate di strumenti come il laser, le macchine per il calcolo numerico, le altre attrezzature, che subiscono innovazioni continue e che costringono il settore a un movimento senza soste, dove la progettazione svolge spesso un ruolo fondamentale, pur senza scalzare i punti di forza classici, quelli della fantasia, del design e della qualità dell’esecuzione. Il mercato oggi può contaBPVOGGI re su una materia prima, l’oro, appunto, relativamente poco costosa, almeno in paragone con le situazioni verificate appena vent’anni fa. Le quotazioni del metallo in Europa mostrano che le punte di 850 dollari l’oncia raggiunte nel 1980 sono da considerare irripetibili, a meno di imprevedibili terremoti. Così gli utilizzatori possono fare i conti con un metallo ancorato a valori compresi tra 250 e 300 dollari, dove spesso è la variazione del rapporto dollaro/euro, più che il prezzo dell’oro, a guidare gli acquisti. Tutto ciò sta favorendo l’espansione del mercato del gioiello, che vede in questi anni una grande rinascita soprattutto in Asia. Per contro, sono favorite anche le manifatture nei Paesi in via di sviluppo, tecnologicamente meno preparate, ma avvantaggiate dal basso costo della mano d’opera. India, Turchia e Thailandia sono concorrenti agguerriti degli esportatori italiani di gioielleria, specialmente nelle fasce cosiddette basse. E nei Paesi avanzati i rivali temibili sono gli altri canali verso cui si può indirizzare la spesa dei potenziali acquirenti: il turismo, la telefonia mobile e l’high tech in genere sfornano quotidianamente proposte che, senza dubbio, tendono a comprimere gli spazi della gioielleria. Nulla di irreparabile, però. Per mantenere un primato – sono gli stessi operatori del settore ad ammetterlo – è obbligatorio accettare un confronto continuo, cercando di prevalere con le armi che finora si sono dimostrate vincenti: fantasia, design e qualità. 9 Ricerca, Formazione, E-projects LA RETE E I SISTEMI PRODUTTIVI DEL NORD-EST Lo sviluppo di aree come il Nord Est ha messo in evidenza l’importanza di modelli di crescita centrati sul ruolo dei sistemi economici locali. Partendo da ceppi di specializzazioni produttive fortemente radicate su limitate porzioni di territorio, hanno preso spunto processi di espansione che hanno garantito un elevato ritmo di crescita ad intere regioni. Tra i pregi di questo processo di crescita va segnalato anche quello di aver rinforzato l’apertura internazionale dell’economia italiana, indicando che proprio le formazioni distrettuali sono tra i principali motori della crescita dell’export nazionale. Questo risultato non dipende solo dalle principali imprese, che per dimensione e competenze si ritiene siano in grado di proiettarsi con più forza al di fuori dei confini nazionali, ma un rilevante contribuito viene garantito da molte piccole imprese: da quelle che sono presenti sui mercati finali accanto a concorrenti di maggior peso; a quelle che occupano nicchie specializzate di produzioni che coinvolgono interi sistemi produttivi (orafo, calzature, mobilio, ecc.); fino a quei produttori specializzati che si muovono di conserva ai distretti cogliendo l’opportunità di imboccare autonomi percorsi di crescita internazionale (come capita per i produttori di beni strumentali collegati a diverse categorie di industria). Alla luce di queste dinamiche, puntualmente registrate dalle statistiche economiche, vedi anche i recenti dati relativi agli andamenti dell’export regionale (vedi BPVOGGI n. 17/2000), è legittimo trarre considerazioni positive sulla capacità di questi sistemi economici locali di fronteggiare l’inasprimento dalla sfida competitiva che accompagna la globalizzazione dei mercati. Non va, però, dimenticato che l’evoluzione di un sistema economico come quello del Nord Est va misurata anche in base a valutazioni di lungo termine. Ciò richiede schemi interpretativi più problematici, che sottolineano il peso di aspetti del sistema produttivo locale che appaiono meno rassicuranti. Tra questi va ricordato il ruolo di alcune determinanti strutturali che divengono più critiche in una fase come questa di intensificazione della competizione internazionale. Questa chiave di lettura, pur non sottovalutando le grandi risorse produttive dell’area, rileva la crescente importanza di fattori di competizione quali l’innovazione tecnologica, la qualità dei prodotti, le politiche commerciali, l’azione di marketing, ecc. A fronte di ciò, i vantaggi tradizionali della piccola impresa locale, flessibilità operativa, rapidità di adattamento, personalizzazione del prodotto, ecc. rischiano di divenire meno rilevanti. È quindi naturale che ci si interroghi sulla capacità dei sistemi di piccola impresa di trasformare degli apparenti fattori di svantaggio in risorse distintive che possano permettere di rinnovare le proprie strategie di successo. Istituto Poster 10 BPVOGGI Analisi recenti (si vedano i dati dell’Osservatorio Tedis sulla diffusione delle tecnologie informatiche di rete nei distretti del Nord Est) sembrano mostrare che la piccola dimensione risulta penalizzata nella corsa a cogliere le opportunità che vengono offerte dalle innovazioni collegate all’information technology. Secondo queste rilevazioni, i distretti del Nord Est sono sistemi produttivi che operano secondo una strategia di reticolazione molto fitta, ma ciò avviene senza un’adeguata utilizzazione di apposite tecnologie di rete. D’altro canto, i modelli manageriali adottati all’interno della piccola impresa sembrano poco consapevoli sia dei costi che dei vincoli connessi alla diffusione di forme di apprendimento tecnologico appropriate al nuovo contesto produttivo. La diffusione di tecnologie di rete ( intendendosi con questo termine tutte le tecnologie collegate ad internet) trova nella realtà delle piccole imprese più ostacoli di quanto non sia avvenuto in precedenza per altri tipi di innovazione produttiva, proponendo delle discontinuità nell’evoluzione delle imprese locali che contribuisce a rendere più incerta l’evoluzione dell’area. Una piccola impresa incontra difficoltà rilevanti nell’adottare dei criteri di gestione evoluta della rete; si pongono certo dei problemi di costo, per il livello di investimenti necessari a garantire il continuo rinnovamento delle infrastrutture, ma so- prattutto vi sono degli oneri di apprendimento, sovente mediante processi di prova ed errore, che le unità di piccola dimensione sono restie ad affrontare. Questa situazione di stallo può essere superata solo se all’interno del sistema produttivo, come peraltro è capitato anche nel passato, si producono dei tentativi di innovazione che distribuiscano su gruppi più ampi di imprese i costi della sperimentazione, consentendo nel frattempo alle aziende di apprendere l’uso delle nuove tecnologie senza dover sopportare in proprio un’azione rischiosa e dagli esiti incerti. Come segno di vitalità dell’area si può registrare che anche nel Nord Est stanno prendendo corpo delle iniziative che puntano a favorire questo passaggio: si tratta, in genere, di progetti che hanno anche una finalità “educativa”, giacché si propongono di aumentare la sensibilità delle piccole imprese per l’uso delle tecnologie di rete. Nello stesso tempo, hanno lo scopo di offrire alle singole aziende il tempo e le condizioni per sperimentare con rischi contenuti l’opportunità di strategie più innovative. I due tentativi più noti su questo terreno, funzionali alle politiche di riqualificazione dei distretti mediante gli strumenti della new economy, hanno per oggetto entrambi la filiera del mobile, anche se un’esperienza è collocata in Veneto e l’altra in BPVOGGI Friuli Venezia Giulia. Nel primo caso il promotore è la sezione e-projects dell’Istituto Poster, che ha avviato nel corso del 1999 un sito Internet specializzato nell’arredamento veneto (www.mobilexpo.it). L’iniziativa si configura come una vera e propria Fiera Virtuale permanente dell’Arredamento Veneto, con l’obiettivo di favorire la promozione dell’immagine delle aziende del settore e di mettere in relazione i produttori dell’arredamento veneto con il mondo dei distributori, importatori esteri, buyers, general contract, architetti e progettisti. Al sito, che dopo il periodo sperimentale è oggi in fase di rilancio su basi più ampie, hanno aderito oltre 70 aziende appartenenti ai quattro distretti mobilieri veneti (Bassano del Grappa, Cerea-Bovolone, Casale di Scodosia, Alto trevigiano). In questo periodo le aziende hanno potuto familiarizzare con la rete, hanno usufruito di una collocazione di primo piano nei motori di ricerca, con un’attività di promozione verso l’esterno e un servizio di trasmissione delle informazioni richieste da visitatori e aziende interessati ai loro prodotti. Mobilexpo si presenta come una fiera virtuale dove ogni azienda ha il proprio spazio ma è inserita in una vetrina collettiva che ne esalta le peculiarità produttive e territoriali. Le pagine del sito hanno registrato oltre 80.000 visite, con una media, nel Gennaio 2001, di 1.442 pagine visitate alla settimana. Inoltre, alle aziende 11 12 aderenti sono pervenute numerose richieste di preventivi e di cataloghi dei prodotti aziendali da parte di clienti nazionali ed esteri. L’esperienza ha modificato notevolmente la strategia comunicativa di queste piccole imprese. Esse hanno potuto presentare a migliaia di visitatori le foto dei loro principali prodotti, fornendo una descrizione dettagliata dell’impresa. Inoltre hanno beneficiato degli effetti di un’azione di promozione che ha riguardato l’intero sistema produttivo distrettuale, avviando dei contatti con dei potenziali clienti e visitatori che non avrebbero in altri casi potuto raggiungere. Nel progetto di arricchimento del portale dell’arredamento veneto in corso, si prevede di aumentare le informazioni a disposizione delle aziende (andamenti del settore, fiere, richieste del mercato), completando le funzioni offerte con una serie di servizi che possono migliorare la collaborazione tra le imprese e avviare la sperimentazione di prime azioni di e-commerce. L’altro esempio che merita di venire citato è quello che riguarda l’esperienza di Retedis srl, iniziativa rivolta alle aziende che operano nel distretto della sedia di Manzano in Friuli. Si tratta di un progetto per la costituzione di una rete telematica distrettuale; tra i fondatori troviamo una Banca locale (Banca di Credito cooperativo di Manzano) un partner tecnologico (Novacom) e sei delle principali aziende del settore. L’intervento si rivolge ad un distretto che con i 3.000 miliardi di fatturato e 40 milioni di sedie prodotte in un anno, realizza l’80% delle sedie italiane, il 50% di quelle europee e il 30% di quelle mondiali. Dati questi numeri, la strategia di valorizzare al meglio le opportunità offerte dalla rete appare una strada obbligata per mantenere/aumentare la propria quota di mercato. Retedis si propone di fungere da gestore per il distretto della trasmissione dei dati, avviando una “ridefinizione” del “business to business” per l’ambiente distrettuale, sia per quanto riguarda l’intenso traffico di subfornitura, sia per le relazioni commerciali con l’esterno. La creazione all’interno del Triangolo della Sedia di Retedis e, in modo specifico, di una rete telematica distrettuale porta con sé una serie di conseguenze/possibilità importanti. Si crea, all’interno dell’ambiente locale, un nuovo intermediario (Retedis) capace di inserire le imprese in un sistema globale di relazioni a rete. È ormai palese, infatti, come le forze della globalizzazione/internazionalizzazione stiano ridefinendo il modello organizzativo ed i confini dei sistemi distrettuali. Nel segno della crescita delle competenze tecnologiche del settore, è poi di estrema rilevanza il fatto che siano le stesse aziende distrettuali a creare, all’interno del tessuto locale, una società di ICT che permette la formazione di specifiche conoscenze sul territorio, adattando le tecnologie disponibili al modello economiBPVOGGI co in cui si trovano ad operare. A livello di servizi offerti al distretto, l’implicazione che oggi appare più interessante riguarda la possibilità di implementare un solido sistema di commercio elettronico distrettuale. Il progetto prevede che qualsiasi azienda del distretto che entri in rete sia messa nella condizione di realizzare sia una gestione elettronica dei rapporti di subfornitura, sia un commercio elettronico al di fuori del distretto. Dalla sintetica presentazione di queste due esperienze, che appaiono tra le più interessanti rispetto a quanto si sta muovendo nell’area, si traggono motivi di rassicurazione sulla capacità del sistema locale di mettersi al passo dei processi innovativi che guidano la competizione internazionale. Non va sottaciuto che i segni di una convergenza verso le esperienze più avanzate di utilizzo delle tecnologie ICT sono ancora deboli, e le stesse iniziative citate hanno il significato di progetti sperimentali piuttosto che di realizzazioni compiute, ma dopo aver ripetutamente sperimentato la reattività dei sistemi produttivi del Nord Est nel mettere in moto le proprie capacità di “inseguitori”, si può ragionevolmente ritenere che questi segni verranno ben presto rinforzati da nuove iniziative. Maria Masau Dan Direttore Civico Museo Revoltella di Trieste I TESORI DEL MUSEO REVOLTELLA Palazzo Revoltella. Veduta del Gabinetto degli Specchi Per il grande pubblico l’ immagine museale più forte di Trieste, anzi, l’unica immagine museale abbastanza conosciuta è senza dubbio il Castello di Miramare, che, assieme alla cattedrale di San Giusto e alla Piazza dell’ Unità, identifica questa città nel pensiero comune e costituisce la migliore chance per la promozione del turismo, almeno per quel turismo che si lascia attrarre soprattutto dall’emozione e da forti richiami storici e letterari. Se qualcuno, venendo a Trieste, cerca altre cose, più particolari, più nascoste, appartiene di solito alla categoria degli “addetti ai lavori” , supportata da quella cultura specifica (può essere nel campo scientifico come in quello letterario o artistico) che dà al viaggio un carattere molto diverso dalla gita turistica o dalla sosta casuale. Oppure in molti casi è uno straniero, meno influenzato degli italiani dalle frasi fatte e dalle immagini da cartolina. Tutto questo per spiegare , ad esempio, la fama ristretta di cui gode, al di fuori della dimensione cittadina e dal mondo dell’arte, un museo d’arte moderna tra i più importanti d’Italia come il Museo Revoltella, fondato nel 1872 e giunto in quasi centotrent’anni di storia a possedere una collezione di alcune migliaia di pezzi, tra pittura, scultura e grafica, in cui ci sono opere di grande prestigio e valore dell’Ottocento e del Novecento italiano, da Canova ad Hayez, da Fattori a de Nittis, da Previati a Sironi, da Morandi a Burri. Opere che figurano nelle mostre più importanti organizzate in Italia ma anche all’estero: tanto per citare i casi più BPVOGGI recenti il “Meriggio” di Felice Casorati è presente nella mostra sul Novecento italiano ospitata in questi mesi dalle Scuderie del Quirinale a Roma e il grande olio “Il giorno sveglia la notte” di Gaetano Previati è esposto, sempre a Roma, nella mostra “Italie 1880-1910” della Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Non sarebbe giusto però attribuire solo alla “concorrenza” di siti più celebrati, o all’ appeal romantico del castello di Massimiliano e Carlotta, la scarsa fama dei tesori del Revoltella, (che, peraltro, attira ogni anno quasi trentamila visitatori, cifra molto ragguardevole per un museo di questo tipo) bensì alla triste vicenda di una ristrutturazione iniziata nel 1968 su progetto di Carlo Scarpa e finita dopo molte interruzioni solo nel 1991, quando ormai non pochi avevano quasi perduto le speranze di potere vedere un giorno compiuta l’opera e disporre anche in questa città di una galleria d’arte moderna adeguata ai tempi. Più di vent’anni di inattività e di spazi ridotti al minimo hanno certamente fatto dimenticare questo museo nello stesso torno di tempo in cui un po’ovunque prendeva le mosse quel boom delle mostre che è progressivamente cresciuto, contribuendo non poco anche a far aumentare la conoscenza dei musei, e continua tuttora a costituire un richiamo fortissimo anche per il movimento turistico. Da dieci anni, però, da quando il museo ha potuto utilizzare, accanto alla fastosa dimora ottocentesca lasciata in eredità alla città dal barone Pasquale Revoltella, 13 Palazzo Revoltella, sala da pranzo 14 Galleria d’arte moderna del Museo Revoltella. La terrazza del quinto piano BPVOGGI una vasta ala moderna di oltre quattromila metri quadrati che ospita quasi quattrocento opere tra dipinti e sculture, la collezione ha cominciato a recuperare rapidamente la fama perduta e, grazie anche a un’intensa attività di mostre temporanee, ad aumentare di anno in anno il numero dei visitatori e l’interesse della critica. Merita ricordare, ad esempio la serie delle mostre dedicata ad artisti americani contemporanei, iniziata con James Rosenquist e Jim Dine, due protagonisti della pop art che allestirono personalmente, rispettivamente nel 1995 e nel 1996, le loro personali al quinto piano del museo, e proseguita con David Byrne, nel 1998 e Jean Michel Basquiat nel 1999. Ma un grande lavoro è stato fatto anche sui protagonisti dell’arte giuliana dell’Otto e del Novecento sia con le mostre antologiche dedicate a Cesare Sofianopulo (1993), Carlo Sbisà (1995), Nino Perizi (1996), Luigi Spacal (1997), Umberto Veruda (1998), Augusto Cernigoj (1998), Giannino Marchig (2000), cui vanno aggiunti anche i friulani Carlo Ciussi (1997) e Giuseppe Zigaina (2000), sia con grandi rassegne storiche come “Trieste, Venezia e la Biennale” (1995) e “Arte e Stato. Le esposizioni sindacali nelle Tre Venezie 1927-1944” (1997). Il ben fornito bookshop che accoglie il visitatore nel grande atrio di via Diaz testimonia efficacemente l’ampiezza dell’attività svolta nel campo della ricerca e dell’editoria. Una delle ragioni per le quali il Revoltella si è fatto conoscere dal grande pubblico, però, è l’inizia- tiva dell’apertura notturna nei mesi estivi, avviata già nel 1993 (cioè molti anni prima che questo fosse voluto dal Ministero Veltroni per tutti i maggiori musei statali) e resa ancor più attraente dalla possibilità di usufruire di un caffè aperto sulle terrazze panoramiche del quinto e sesto piano dalle 20 a mezzanotte. Questo orario inconsueto ha fatto scoprire il museo ai giovani e a tutte quelle categorie di persone che per gli impegni professionali non possono permettersi di frequentare mostre e musei negli orari normali. Certamente le grandi mostre e la ricchezza della collezione d’arte moderna sono stati un grosso punto di forza per la rinascita di questa gloriosa istituzione triestina, ma va detto che alla base del suo fascino inconsueto c’è anche la sua “doppia immagine”, il connubio fra un palazzo dell’Ottocento carico di decorazioni e arredi (anch’essi recuperati recentemente dopo che l’abitazione del barone Revoltella era stata progressivamente spogliata quasi del tutto per fare posto alla sempre più ricca collezione) e una galleria dall’architettura molto caratterizzata, fatta di spazi aperti, grandi superfici bianche, squarci di cemento armato a vista, ampie vetrate. Un’immagine che vorrebbe – al di là degli stereotipi e delle nostalgie – rappresentare anche l’identità più vera di Trieste, legata a un passato straordinario, che si deve ricordare e valorizzare, ma capace anche di slanci coraggiosi verso il futuro. Galleria d’arte moderna del Museo Revoltella. La sala del secondo Novecento 15 Galleria d’arte moderna del Museo Revoltella: scala del terzo piano (in alto “La donna che trattiene il tempo” marmo di Donato Barcaglia) BPVOGGI A seguito della cessione di 46 sportelli da Banca Intesa SI RAFFORZA LA RETE DEL GRUPPO di Luciano Zanini Un notevole contributo al rafforzamento della rete distributiva del nostro Gruppo, e più in generale dell’intera sua struttura, è venuto dall’acquisizione di sportelli bancari da Banca Intesa. Nel mese di ottobre il più grande istituto di credito italiano – in linea con il suo piano industriale, presentato solo qualche mese prima al mercato – portava a compimento la prima fase di razionalizzazione della propria rete distributiva cedendo al nostro Istituto 46 sportelli. L’operazione è stata attuata sia per eliminare la sovrapposizione territoriale di alcune filiali, creatasi a seguito di integrazioni avvenute all’interno del gruppo Intesa, sia 16 L’esterno e l’interno della filiale di Parma BPVOGGI per adempiere agli obblighi assunti nei confronti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. La cessione ha coinvolto ben sette banche del Gruppo Intesa: Comit, Ambroveneto, Cariplo, Banca Friuladria, Banca Carime, Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza e Cassa di Risparmio di Rieti. Con riferimento ai volumi intermediati con la clientela gli sportelli acquisiti gestivano circa 520 miliardi di raccolta diretta, 864 di indiretta e 347 di impieghi. Il personale addetto alle filiali, 187 unità, è passato in toto a far parte del nostro Gruppo. L’intero processo è stato condotto con estrema rapidità e determinazione, tanto che con il 2 gennaio 2001 tutti i 46 sportelli hanno regolarmente iniziato ad operare secondo le procedure del Gruppo BPV. Non è stato semplice, perché c’era da concretizzare in tempi assai ristretti una corretta migrazione dei dati informativi provenienti da sette diverse realtà, però alla fine tutto è andato per il meglio. Si è intervenuto su aree diverse impiegando numerose risorse. In particolare sono stati approntati appositi gruppi di lavoro (sia per la BPV e che per Banca Intesa), si è dato vita ad un insieme di attività specifiche atte a realizzare i processi di migrazione dei dati, la predisposizione della struttura e la formazione delle risorse che in poco più di un mese avrebbero dovuto essere già pronte ad operare all’interno di un sistema completamente nuovo. È stata quindi curata tutta la comunicazione relativa La distribuzione territoriale degli sportelli acquisiti dal Gruppo Banca Intesa all’operazione con particolare attenzione nei confronti delle banche corrispondenti e della clientela. Proprio alla clientela è stata rivolta naturalmente la massima attenzione per garantire la continuità del rapporto intrattenuto con la banca cedente, cercando al contempo di arrecare il minor disagio possibile. L’UBICAZIONE DEGLI SPORTELLI Come detto, sette istituti bancari appartenenti al gruppo Intesa sono stati interessati all’operazione. La Banca Carime (Cassa di Risparmio di Messina) ha ceduto tutti i suoi diciannove sportelli calabresi, mentre la Cassa di Risparmio di Parma ne ha rilasciati quattordici, seguita dal Banco Ambrosiano Veneto con cinque, Banca Commerciale Italiana con tre, Friuladria e Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde con due e infine Cassa di Risparmio di Rieti con uno. Per quanto attiene all’ubicazione degli sportelli ceduti si può dire che sostanzialmente si è trattato di una ripartizione pressochè paritetica tra Nord e Sud d’Italia. Diciannove filiali risultano infatti dislocate a Sud, ventisei a Nord ed una al Centro, a Rieti città. Al Sud l’acquisizione ha riguardato totalmente la Calabria con sei sportelli in provincia di Catanzaro, sei in provincia di Cosenza, cinque in provincia di Reggio Calabria, uno ciascuno in provincia di Crotone e Vibo Valentia. Al Nord le provincie di BPVOGGI Milano e Pavia, entrambe con sei sportelli, di Parma con cinque, di Genova, Imperia, Piacenza e Pordenone con due e, infine, la provincia di Asti con una filiale ubicata in città. Al fine di una migliore razionalizzazione della rete le filiali del Centro Sud sono state assegnate a Banca Nuova, mentre le rimanenti sono passate alla Capogruppo. Grazie a questa importante operazione l’operatività del Gruppo penetra per la prima volta direttamente in cinque regioni (Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Liguria e Piemonte). 17 Cresce la gamma dei servizi offerti via Internet I FONDI DISTRIBUITI ONLINE 18 Navigare tra i fondi. Sembrerebbe un invito marinaresco, una frase da “Ventimila leghe sotto i mari” e invece parliamo di finanza. O meglio ancora di finanza via Internet. Navigare tra i fondi è infatti l’interessante opportunità che la Banca aveva messo a disposizione della clientela già a partire dallo scorso anno limitatamente ad alcuni fondi, e che ora, in questi primi mesi del 2001, ha trovato la sua completa definizione. Il primo passo era stato compiuto con l’avvio del nuovo sito Internet www.efondi.it, raggiungibile anche dall’home page del sito aziendale www.popvi.it, che permette di ottenere informazioni approfondite su tutti i fondi comuni d’investimento collocati dall’Istituto. In pratica chi vuole disporre solo di informazioni sui fondi comuni d’investimento non deve fare altro che entrare BPVOGGI nel sito e, tramite una semplice selezione iniziale da effettuare tra tipologia di fondi, società di gestione e divisa, accedere al catalogo contenente i fondi stessi nella selezione effettuata. Con pochi clic anche le persone non particolarmente esperte nell’operatività online si trovano in bella evidenza sul monitor tutte le varie tipologie di fondi presenti nell’offerta della Banca, come gli azionari (Italia, Europa, Globale, Tecnologico, etc.), obbligazionari, bilanciati, multimanager. Si può inoltre scegliere tra i vari gestori adottati dall’Istituto (Arca Fondi Sgr, American Express Wef, American Express Epic, Schroeder International) come pure tra le varie divise (dollaro, euro, sterlina inglese, franco svizzero). Proseguendo nella consultazione, totalmente gratuita, del sito possono quindi facilmente ricavarsi: scheda informativa sintetica, prospetto informativo, documentazione integrativa, analisi qualitativa e quantitativa approfondita. Andando per ordine, la scheda informativa sintetica consente di ottenere un quadro preciso su ogni singola tipologia di fondi. Prendiamo, a puro titolo di esempio, il fondo comune d’investimento “Arca Azioni Italia”: dalla scheda si legge la composizione a colori del fondo, la filosofia di investimento, l’obiettivo di gestione, l’entità delle commissioni di ingresso e di gestione, l’importo minimo d’ingresso, le principali società su cui il fondo investe, il valore delle quote espresse in lire e in euro. Un quadro insomma completo e di facile lettura. C’è anche, per gli investitori che vogliano maggiori approfondimenti, tutta una serie di indici significativi sull’andamento del fondo nel corso degli ultimi tre anni. L’indice di “volatilità totale” misura l’oscillazione in positivo e in negativo dei rendimenti mensili rispetto al rendimento medio ottenuto dall’investimento nel periodo preso in considerazione (1 anno - 3 anni). L’indice di “volatilità negativa” misura sinteticamente la frequenza e l’intensità con cui l’investimento ha realizzato performances inferiori rispetto a quelle del rendimentosoglia prescelto. L’indice di Sharpe evidenzia il premio di rendimento ottenuto per unità di rischio assunto: quanto più è elevato, tanto più l’investimento è efficiente. L’indice di Sortino si ottiene sottraendo il rendimento medio dell’investimento privo di rischio (BOT) al rendimento medio del fondo e, come l’indice precedente, più il suo valore è elevato, tanto più risulta maggiore l’efficienza dell’investimento. Questo per quanto attiene alla sola consultazione, peraltro importante. Poi si è passati – verso fine anno – alla possibilità di fare direttamente operazioni in fondi, ossia sottoscriverli, ordinare switch e rimborsi. Dapprima con la sottoscrizione di cinque dei vari fondi emessi da American Express Bank (al riguardo giova notare che proprio American Express Bank è stata la prima Società di Fondi in Italia autorizzata alla distribuzione online dei propri prodotti finanziari, e cioè le Sicav American Express Funds e World Express Fund). American Express Bank, sussidiaria di American Express Company, opera in tutto il mondo offrendo servizi finanziari personalizzati, servizi di private banking, di corporate e correspondent banking. Successivamente la distribuzione online dei fondi American Express è stata quindi estesa all’intera gamma offerta da questa Società che comprende diciassette comparti specializzati, suddivisi per area geografica e tipologia di titoli, oltre a cinque “porfolios” differenziati per profilo di rischio, dal prudente al dinamico. Il servizio sarà a breve esteso ai fondi delle altre società-prodotto. Così ora si può navigare tra i fondi, conoscerli meglio e sottoscriverli, stando comodamente seduti davanti al computer. BPVOGGI 19 Nato dalla collaborazione tra Assindustria e Banca “CONTO COUNTRY”, PER GLI EXTRACOMUNITARI 20 I rapporti di collaborazione da tempo in atto tra le varie Associazioni degli Industriali e il nostro Istituto stanno sempre più intensificandosi a tutto vantaggio delle imprese che da questa collaborazione traggono indubbi vantaggi. Si veda, ad esempio, il crescente ricorso da parte di tante aziende associate all’operatività dei vari consorzi fidi, tramite i quali possono ottenere a condizioni particolarmente vantaggiose finanziamenti per la loro operatività e per i loro investimenti. Di recente, nel quadro di questa fruttuosa collaborazione, è stata realizzata un’altra importante iniziativa che ha per destinatari gli extracomunitari. La loro presenza nelle nostre zone è ormai un fatto assodato. Con il loro lavoro contribuiscono in maniera consistente al successo e allo sviluppo delle nostre aziende che proprio per questo rivolgono ad essi sempre maggiore attenzione. È opportuno, se non necessario, favorirne al meglio l’integrazione nella società: per questo l’Associazione Industriali di Vicenza e il nostro istituto si sono unite pensando di offrire a queste persone ed alle loro famiglie maggiore accessibilità ai servizi bancari e finanziari. È stato così messo a punto un pacchetto di prodotti e servizi specifici studiati proprio sulla base delle particolari esigenze dei lavoratori stranieri, denominato “Conto Country”. L’offerta comprende una serie di servizi finanziari a trecentosessanta gradi pensati per facilitare l’approccio e la soluzione dei diBPVOGGI versi problemi concreti che si trova di fronte una persona che proviene da realtà molto diverse dalla nostra. Il primo servizio è un conto corrente a pacchetto, proposto ad un canone mensile minimo (7.000 lire) comprensivo di operazioni gratuite illimitate, diritti di chiusura, disposizioni permanenti di bonifico in conto, produzione e invio di estratti conto, pagamento utenze, accredito stipendio, carta di debito “PrelevaFacile”, carta di credito “Carta Viva”, e di una specifica polizza assicurativa di contenuto assistenziale e informativo (consulenza e invio del medico o del pediatra, trasporto salma, informazioni di natura burocratica, legale, fiscale, scolastica e altro fornite tramite numero verde e in quattro lingue straniere, compreso l’arabo). È poi prevista la possibilità di fare bonifici verso l’estero, ai quali la Banca applicherà commissioni forfettarie minime e comprensive di tutto, assicurando un trattamento di favore anche all’estero grazie ad accordi con le principali banche dei paesi destinatari. Un altro servizio previsto è quello di carte personali con la possibilità di richiedere “Carta Bancomat/PagoBancomat” e “Carta Viva”, carta di credito a pagamento rateale. Anche per l’accesso al credito sono previste condizioni particolari per i lavoratori assunti a tempo indeterminato, come i prestiti personali per importi da 3 a 20 milioni di lire e mutui ipotecari per l’acquisto della prima casa. Infine, il “pacchetto finanziario” comprende anche coperture fidejussorie che la banca offre a condizioni vantaggiose in relazione alle normali richieste presentate dai proprietari di casa (per il rilascio in buono stato dell’immobile e il pagamento dei canoni d’affitto) e da parte della Questura in occasione dell’ingresso in Italia di extracomunitari, per l’inserimento nel mercato del lavoro, a copertura delle spese del servizio sanitario nazionale. “Questa è un’iniziativa molto importante e significativa nel suo complesso – ha osservato il presidente dell’Assindustria vicentina Valentino Ziche – e in particolare per ciò che attiene al problema dei finanziamenti per la casa. Da parte dei lavoratori extracomunitari si tende sempre più a non dover ricorrere all’abitazione fornita dal titolare dell’azienda in cui lavorano. Ciò è dovuto al desiderio di non dipendere per l’abitazione dal datore di lavoro e di potersi sentire più liberi di cercare altre mansioni in un mercato del lavoro dove la manodopera preparata è molto ricercata. È dovuto anche al fatto che l’azienda può mettere a disposizione un alloggio solo con contratto di foresteria, il che significa per legge l’impossibilità di condividere l’abitazione con la famiglia, quando invece l’immigrato che è qui ormai da anni ha acquisito BPVOGGI spesso una buona stabilità economica che lo porta di conseguenza ad aumentare le sue aspettative personali, a volersi ricongiungere con la famiglia e perciò a cercare un’abitazione da non condividere più con i colleghi. Piuttosto che concentrare le forze sul reperimento di alloggi da parte delle aziende è più utile mettere a disposizione attraverso il canale bancario quegli strumenti finanziari in grado di agevolare l’accesso al credito agli immigrati.” 21 Le proposte della Banca al settore primario AL SERVIZIO DEGLI AGRICOLTORI 22 Pur avendo anch’essa ben recepito i vantaggi che le moderne tecnologie sono in grado di offrirle, l’agricoltura è rimasta un’attività le cui caratteristiche di fondo ci tengono, più di altri settori produttivi, legati al passato e alla tradizione. Un’attività affascinante connaturata alla terra, alla ciclicità delle stagioni e, allo stesso tempo, pilastro di primaria importanza per l’economia nel suo complesso. Sebbene negli ultimi vent’anni gli addetti all’agricoltura in Veneto siano scesi da 220 mila a 140 mila, con una riduzione quindi del 36%, il prodotto agricolo, in termini reali, a parità cioè di potere d’acquisto, è cresciuto di quasi il 20%. La produttività degli agricoltori veneti è cresciuta, sempre in termini reali, da 19 a 35 milioni per addetto, valore largamente superiore al dato medio nazionale (29 milioni). Lungi dall’essere stata abbandonata, l’agricoltura veneta ha acquisito un’importanza crescente all’interno del panorama economico nazionale, seguendo le stesse tendenze che hanno portato il modello industriale veneto alla ribalta italiana e mondiale. Con questo mondo agricolo la Banca Popolare di Vicenza, da sempre fortemente radicata sul territorio, ha mantenuto una relazione strettissima, costante e diretta, cogliendone prontamenBPVOGGI te attese e bisogni con l’offerta di consulenza, assistenza, servizi specializzati e, non da ultimo, con il sostegno creditizio, assicurato sia in forma diretta, come pure per il tramite di finanziamenti agevolati dallo Stato o dagli Enti locali. Attualmente, in Veneto, il peso dei finanziamenti all’agricoltura sul totale dei crediti è pari al 4%, un peso analogo a quello che il settore rappresenta in termini di PIL; circa il 10% dei finanziamenti al settore agricolo deriva da agevolazioni di legge. Il rapporto intrattenuto dalla nostra Banca, sin dalla sua fondazione, con il mondo dell’agricoltura ha avuto modo di mani- festarsi sia nella conduzione della normale attività, sia nei momenti di difficoltà che di volta in volta colpiscono, talora duramente, chi lavora la terra. Ma, a parte i vari momenti di difficoltà, è comunque nella conduzione della normale attività agricola che il supporto della Banca si è fatto e si fa sentire sempre puntualmente grazie alla vasta gamma di servizi e finanziamenti ad hoc messi a disposizione delle imprese agricole; ciò permette loro di scegliere una soluzione specifica per ogni tipo di esigenza, sempre nella massima riservatezza e familiarità. Partendo dall’Agriconto, ossia il conto corrente affidato messo a disposizione di agricoltori, imprese agricole, cooperative e loro consorzi per un importo da determinarsi in relazione alle necessità di gestione. Agriconto – che non comporta garanzie particolari e presenta un tasso di favore, collegato alle condizioni di mercato – rappresenta uno strumento operativo di base, riferito all’ordinaria gestione, in grado di accompagnare adeguatamente la normale attività agricola. Sempre a tasso di favore è quindi disponibile una vasta e completa gamma di finanziamenti, per l’esercizio e per il miglioramento. I finanziamenti per l’esercizio fronteggiano tutte le necessità della produzione e la loro erogazione è prevista sotto forme diverse in relazione alle tipologie e alle dimensioni della produzione stessa. Per il loro rimborso si può optare tra unica soluzione e rate semestrali o annuali. Abbiamo così: – il prestito di conduzione, durata un anno, per fronteggiare necessità finanziarie dovute ad imprevisti ma anche per attività programmate; – il prestito, durata cinque anni, per fronteggiare l’acquisto e l’aggiornamento del parco macchine, allo scopo di modernizzare e migliorare la produzione; – il prestito per soccorso, durata cinque anni, predisposto per affrontare con successo le avversità impreviste; – il prestito per zootecnia, con durata da un minimo di 12 ad un massimo di 60 mesi, studiato apposta per poter conseguire un adeguato rinnovamento del parco bestiame in linea con le esigenze dei mercati e dei consumatori; – il finanziamento per anticipo ai soci in modo da garantire la liquidità in previsione di futuri incassi relativi alle vendite o trasformazioni o conservazioni di prodotti. Dai finanziamenti per l’esercizio passiamo a quelli per il miglioramento e, in particolare, per acquisto di terreno, esecuzione di opere di miglioramento, finalità agroindustriali. La caratteristica comune dei finanziamenti per il miglioramento è data dal fatto che l’importo erogabile, rapportato alle dimensioni dell’impresa ed al suo fabbisogno, parte da un minimo di 200 milioni. Si tratta quindi di un intervento finanziario di spessore la cui durata di rimborso può arrivare al massimo a 10 anni (con due anni di preammortamento) nella forma di rate semestrali BPVOGGI oppure trimestrali. Le imprese interessate a questo tipo di credito possono inoltre scegliere fra tasso fisso, indicizzato o misto. Le garanzie richieste possono essere reali o di firma. Per completare il quadro rimangono infine i finanziamenti a rientro libero di capitale e i finanziamenti agevolati. I primi hanno durata settennale, tasso indicizzato, rimborso del capitale a rate annuali costanti e rimborso degli interessi a periodicità trimestrale; è richiesta qui la garanzia ipotecaria. Per i secondi, data la continua evoluzione della legislazione in materia, è opportuno rivolgersi agli uffici dell’Ispettorato regionale per l’Agricoltura del territorio di competenza. 23 Prodotti e servizi per le imprese orafe SPECIALISTA NELL’ORO quasi 12.000 addetti, ossia circa il 20% dell’intero comparto nazionale. In termini di fatturato poi, le cifre risultano ancor più esplicative, visto che il giro d’affari espresso da Vicenza e provincia rappresenta quasi il 60% di quello italiano, mentre il flusso esportativo si attesta sul 45% del totale nazionale. Le imprese vicentine sono inoltre caratterizzate da una più marcata impostazione di tipo industriale, ciò confermato dal numero medio degli addetti per azienda, pari a 10, contro una media italiana di 6. La nostra Banca – che ha sempre intrattenuto un rapporto privilegiato con il settore dell’oro, con le sue imprese e con i suoi addetti – figura tra i leader nazionali nell’operatività e nell’intermediazione dell’oro destinato alla produzione industriale. Dispone di prodotti e servizi d’avanguardia che offre agli operatori orafi in relazione alle particolari esigenze del comparto. Vediamo più da vicino la gamma dei prodotti e servizi messi a disposizione dall’Istituto. 24 In Italia il settore orafo impiega circa 120.000 addetti (54.000 dei quali nella produzione e i rimanenti nel ciclo distributivo); le imprese di produzione sono circa 15.000, quelle distributive 22.000. Risalta in tale contesto il ruolo svolto dalla provincia di Vicenza che da sola annovera oltre 1.100 imprese di produzione (pari all’8% del totale nazionale) dove trovano impiego BPVOGGI PRESTITO IN USO Assumendo in prestito d’uso l’oro greggio, l’azienda orafa, invece che acquistare subito la quantità di oro da immettere in lavorazione, pagando un canone periodico, si riserva la facoltà di trasformare il contratto originario in acquisto a titolo definitivo o di restituire un’eguale quantità e qualità di metallo al mutuante. Grazie al tasso di interesse applicato molto conveniente, il prestito d’oro in uso rappresenta un’utile opportunità per gli operatori che hanno la possibilità di ridurre gli oneri finanziari sia per il mantenimento che per l’accrescimento delle scorte di magazzino. Col prestito d’uso l’operatore orafo è in grado di posticipare l’acquisto del metallo a momenti di mercato a lui più favorevoli, senza essere costretto ad immobilizzare subito grossi capitali ed evitando altresì i rischi legati all’oscillazione del prezzo dell’oro. manenza dalle 8 alle 17 di ogni giorno lavorativo sono espressi in $/Oz troy di fino (1 oncia = 31.1034807 gr.), in lire per grammo o in ogni valuta liberamente convertibile al prezzo del giorno sul mercato internazionale delle divise. La Banca applica i corsi dei mercati internazionali dei metalli preziosi. La determinazione del prezzo concerne in linea di principio i lingotti standard. Per unità di peso inferiori o di titolo superiore, questo prezzo viene maggiorato conformemente alla corrente pratica di mercato. APERTURA DI CREDITO IN ORO FINO CON UTILIZZO ROTATIVO OPERAZIONI A TERMINE Con questo tipo di contratto la Banca offre all’imprenditore la possibilità di disporre, in qualsiasi momento, di una certa quantità di metallo che potrà essere ritirata totalmente o parzialmente e solo nel caso in cui esistano effettive esigenze di lavoro, corrispondendo un canone periodico calcolato sull’effettivo utilizzo dell’apertura di credito. Si potrà successivamente pagare o restituire il metallo entro un termine temporale che verrà stabilito all’atto delle firma del contratto. Anche in questo caso l’offerta del servizio si abbina con un tasso di interesse molto vantaggioso. NEGOZIAZIONE La Banca opera nell’oro in qualità di contraente in proprio, ossia acquista e vende per proprio conto. I corsi fissati in per- La Popolare di Vicenza ha la facoltà di effettuare direttamente con le aziende orafe tutte le operazioni a termine. L’operatività sui mercati a termine consente di acquistare o di vendere una determinata quantità di metallo ad un prezzo ed a una scadenza prefissati, evitando di sostenere o scontare prezzi a pronti sfavorevoli, in momenti di necessario approvvigionamento o dismissioni di metallo, da parte delle aziende orafe. La conclusione di contratti di acquisto o di vendita a termine consente all’operatore di coprirsi dai rischi delle variazioni di prezzo. L’operazione a termine potrà essre collegata al “prestito d’uso” e alla “linea di credito con utilizzo rotativo per finanziamenti in oro fino”. L’imprenditore si troverà in condizioni di poter favorevolmente vendere gli oggetti prodotti con l’oro ricevuto in prestito, acquistando BPVOGGI a termine le quantità di metallo che dovrà successivamente restituire. A differenza dell’operazione a pronti (spot), in quella a termine, l’impegno e l’adempimento (consegna a pagamento) hanno luogo in date diverse. VENDITA DI ORO GREGGIO A NON RESIDENTI PER CONSEGNA IN “CONTO LAVORAZIONE” AD AZIENDE RESIDENTI La vendita di oro greggio a soggetti non residenti, per la consegna in conto lavorazione a ditte orafe residenti, rientra nel quadro di una sempre maggiore e completa assistenza che la Banca intende offrire agli operatori orafi. Ciò costituisce un valido punto di riferimento e di fondamentale importanza per la reale armonizzazione dei sistemi operativi in campo internazionale. Con l’acquisto diretto del metallo presso la Popolare di Vicenza, l’operatore non residente beneficia di un risparmio finanziario sui costi di trasporto e assicurazione, oltre al fatto che, consegnando la Banca in tempi brevissimi il metallo al fabbricante residente, potrà ricevere il prodotto finito in tempi altrettanto brevi. 25 Consegnata nel corso di una cerimonia a Palazzo Thiene UNA NUOVA AMBULANZA ALLA CROCE ROSSA DI VICENZA 26 Nel corso di una cerimonia svoltasi all’interno di Palazzo Thiene – alla presenza di Autorità civili e militari, dei rappresentanti della Croce Rossa regionale e provinciale e di un folto pubblico – il presidente dell’Istituto Gianni Zonin ha consegnato ufficialmente le chiavi di una nuova ambulanza al Comitato Provinciale della CRI di Vicenza. Si tratta più precisamente di una “ambulanza terapia intensiva” basata su FIAT Ducato vetrato (14 q.li), appositamente allestita dal gruppo SAVIO, carrozziere ufficiale di FIAT-IVECO, che vanta un’esperienza specifica nel campo degli allestimenti sanitari, maturata dal dopoguerra ad oggi. L’ambulanza, realizzata secondo le più moderne tecnologie, è stata resa personalizzata in ragione delle specifiche esigenze della Croce Rossa sia per quanto riguarda la disposizione dei posti a sedere degli assistenti, sia degli armadietti/conteni- tori portamedicinali ed attrezzature, sempre nell’ottica della massima ergonomicità e nel rispetto delle vigenti normative in materia. Nel suo intervento di saluto il presidente Zonin ha sottolineato che l’iniziativa assunta “ha per obiettivo quello di sostenere concretamente il mondo del volontariato in generale e vicentino in particolare; una realtà importante e variegata in cui operano, silenziosamente, ma con encomiabile impegno, tantissime persone, uomini e donne, giovani e anziani. La consegna del nuovo automezzo vuole anche essere un segno preciso dell’attenzione che anima la Banca Popolare di Vicenza nei confronti della comunità vicentina, non solo in termini di interessi economici e finanziari, ma anche sociali.” Enrica Giovannucci, presidente della Sezione femminile della CRI di Vicenza – cui si deve l’interessamento che ha portato l’Istituto alla donazione dell’autoBPVOGGI mezzo – ha da parte sua vivamente ringraziato la Banca per il nobile gesto, sottolineando che essa “ ha negli anni costituito per la CRI vicentina un valido e sicuro punto di riferimento, culminato nella consegna di una modernissima ambulanza. Un atto che non va considerato solo come un semplice dono alla Croce Rossa Italiana, bensì un omaggio all’intera collettività, vivo nella sua utilità come nella sua esemplarità”. Anche il presidente della Croce Rossa di Vicenza, Ernesto Gallo, ha espresso parole di gratitudine per l’iniziativa della Banca ed ha messo in rilievo l’operato dell’associazione a supporto degli organismi sanitari ed enti locali. L’assegnazione dell’ambulanza viene così a potenziare sensibilmente la dotazione di mezzi a disposizione del Comitato vicentino, consentendo un migliore e più efficace espletamento dell’opera svolta da tanti appassionati volontari. LA CROCE ROSSA ITALIANA La Croce Rossa è oggi la più importante associazione umanitaria. Per la diversità delle azioni che sviluppa nel campo del soccorso, della salute e della solidarietà testimonia uno spirito all’avanguardia nella lotta a tutte le forme di sofferenza. Le sue componenti operative sono ripartite tra i Volontari del Soccorso, i Pionieri, il Comitato Nazionale Femminile, il Corpo Militare, le Infermiere volontarie e i Donatori di sangue. Il presidente dell’Istituto Gianni Zonin con i rappresentanti della CRI I Volontari del Soccorso rappresentano la componente più numerosa in servizio attivo: uomini e donne che dedicano il loro tempo libero e le loro capacità al prossimo in maniera completamente gratuita e volontaria. L’attività principale che da sempre caratterizza questi volontari è quella del pronto soccorso e del trasporto infermi con autoambulanza, effettuata in molte località 24 ore su 24. Le altre attività sono tutte quelle in cui è impegnata quotidianamente la Croce Rossa, dalla protezione civile all’educazione sanitaria, dall’assistenza alle fasce più deboli della popolazione all’intervento a favore degli immigrati, dai soccorsi internazionali di emergenza alle operazioni di sviluppo a favore delle Consorelle del Terzo Mondo. Attualmente i Volontari del Soccorso in Italia sono 65.098 (di cui il 60% maschi e il 40% femmine) e la gran parte di essi è operativa nel Nord (44.609), seguita dal Centro (13.060) e dal Sud (7.429). Molto dinamico è comunque anche il Comitato Femminile che in Italia conta 252 sezioni, tra cui appunto quella vicentina, e ben 25.000 volontarie attiBPVOGGI ve. Loro compito primario è assistere i meno abbienti e le categorie a rischio: immigrati da zone extracomunitarie, nomadi, profughi, ma anche carcerati, tossicodipendenti, emarginati in genere. Le volontarie del Comitato Femminile sostengono pure iniziative come il telesoccorso, l’ippoterapia, l’ambulatorio odontoiatrico per portatori di handicap con assistenza domiciliare per malati non trasportabili, l’assistenza a famiglie di bambini trapiantati o malati di cancro, assistenza ai malati terminali di AIDS. 27 Incontro promosso dalla Federmanager di Vicenza presso la sede centrale dell’Istituto VIRTU’ E RISCHI DEL MITICO NORD-EST Gianantonio Stella 28 Gianantonio Stella è un noto cronista di razza, oltre che apprezzato scrittore, autore di libri originali, tra cui i più conosciuti “Schei” e “Chic”. Dalle colonne del “Corriere della Sera” racconta da anni alla sua maniera, con uno stile particolare, corredato di dati, spunti, osservazioni e allietato da una vena ironica amabile, ma non per questo meno pungente, fatti e misfatti d’Italia. È giornalista all’antica, di quelli che si muovono, non solo per guardare, ma per vedere all’interno delle varie realtà, spaziando agevolmente dalla politica al costume, dalla cronaca all’economia. Un testimone non solo attento e sensibile ma anche imparziale della scena italiana. Lui, vicentino di nascita e di formazione, è sempre stato strettamente legato alla sua terra d’origine, al Veneto ed al Nord-Est, anche se la professione l’ha portato a Milano e a girovagare per tutta l’Italia. Sul Nord-Est ha scritto tanto, articoli, commenti, libri, con piena cognizione di causa essendo appunto veneto doc. Per questo l’Associazione Diri- genti Aziende Industriali di Vicenza – nell’ambito di uno specifico programma formativoculturale dedicato ai giovani dirigenti e incentrato su una serie di incontri con personaggi importanti del mondo della cultura e del lavoro – l’ha chiamato a parlare del Nord-Est, anzi del mitico Nord-Est con i suoi rischi e le sue virtù. L’incontro si è svolto presso la Sala Pavesi della nostra sede centrale di fronte ad un pubblico numeroso e molto interessato. Per l’Istituto ha fatto gli onori di casa il vicepresidente Marino Breganze che ha tra l’altro messo in evidenza il ruolo di primo piano svolto dalla Banca Popolare di Vicenza, per il comparto finanziario e bancario, nell’ambito del Nord-Est, divenendone a tutti gli effetti un primario polo di riferimento. Dopo gli interventi del presidente di Federmanager-Vicenza, Luigi Aldighieri, il quale ha tracciato un significativo profilo di Gianantonio Stella, e di Luciano Colombini, vicedirettore Affari della Banca che, a sua volta, ha brevemente ripercorso le tappe del cammino di sviluppo concernente la nostra Popolare negli ultimi decenni, è stata la volta del moderatore dell’incontro, Luigi Bacialli, direttore del “Giornale di Vicenza” – legato a Stella da antica conoscenza e amicizia – ad introdurre i lavori indirizzandoli su temi concreti riguardanti il NordEst: politica, economia, società, costume. In apertura Gianantonio Stella ha messo subito in risalto una BPVOGGI grave carenza di fondo che contraddistingue questo territorio – per altri versi giustamente mitico ove si guardi alla capacità d’impresa del singolo, alla sua inventiva, tenacia, capacità di penetrazione in ogni parte del globo –ossia il non riuscire pienamente a fare gruppo, ad essere “formicaio, mentre invece abbiamo tante bravissime formichine, ognuna delle quali tende ad andare un po’ per conto suo”. In sostanza manca per le circa 450.000 imprese presenti sul territorio la capacità di fare un lobbing adeguato, di fare sistema in maniera soddisfacente nei confronti dell’esterno. Sul versante politico – ha poi osservato Stella – bastano solo alcuni semplici dati per far comprendere quanta distanza separi questa realtà produttiva dalla politica nazionale. Un’ area, in cui vive 1/9 dell’intera popolazione italiana, vi è insediato 1/6 degli sportelli bancari nazionali e si esporta 1/5 dell’intero flusso complessivo del nostro Paese, dispone a livello governativo di una rappresentanza pari ad 1/26; mentre il Sud, tanto per fare un altro esempio numerico, ha un ministro ogni 40.000 mld di beni e servizi prodotti, il Nord-Est ogni 254.000. Qui, a livello politico, si è privilegiato l’immediato del produrre, del fare azienda anche a discapito di una visione più rivolta verso il futuro, ossia concentrata su una viabilità all’altezza, su infrastrutture adeguate, sui servizi pubblici efficienti e via di questo passo. Quanto al federalismo Stella ri- tiene ci sia molta meno ideologia di quanto non si creda: se ci fosse uno Stato centrale veramente efficiente (non a caso i Veneti rimpiangono spesso e volentieri Venezia e l’Austria che certamente federalisti non erano) non ci sarebbero particolari velleità autonomiste. Comunque, ha sottolineato il giornalista, il modello nordestino e veneto è oggi più che mai vincente. E come potrebbe essere altrimenti quando, facciamo alcuni esempi, nell’area della Riviera del Brenta si è passati, nel periodo tra il ‘96 e il 2000, da novemila a tredicimila addetti e da 270 a 444 aziende; solo in Veneto nel corso del 1999 sono stati creati 28.000 nuovi posti di lavoro: se gli Stati Uniti nell’era di Clinton hanno creato un posto di lavoro ogni 13 abitanti, nel rodigino, ritenuto estrema periferia del Nord-Est, i dati parlano di un posto di lavoro ogni 26 abitanti; nonostante l’export sia andato maluccio nel ‘98, la provincia di Vicenza ha registrato una crescita pari al 6%. Piuttosto – ha ammonito Stella – qualche appunto andrebbe rivolto al sistema finanziario e bancario che non sempre ha accompagnato in maniera adeguata l’azione di sviluppo intrapresa dalle aziende. Quanto al problema dell’immigrazione e dell’integrazione dei lavoratori extracomunitari nel tessuto sociale non si intravvedono al momento particolari difficoltà: le aziende hanno bisogno di braccia che svolgano lavori che qui la gente non vuole più fare, per cui è conse- Al tavolo dei relatori il saluto del Vicepresidente Marino Breganze guente sia l’accettazione e l’integrazione degli immigrati. Certo, qualche problema comincerà a porsi quando anche gli extracomunitari svolgeranno mansioni di livello, subentrando anche qui ai veneti, ai friulani, ai trentini. In questo senso è significativo che ci siano già alcune centinaia di aziende create e condotte da extracomunitari. Il discorso è quindi approdato a due temi che a parere di Gianantonio Stella presentano elementi di rischio notevole per la tenuta del modello Nord-Est. Il primo riguarda il cosiddetto fenomeno della delocalizzazione: sono ormai circa duemila le imprese venete che hanno investito nei Paesi postcomunisti dell’Est europeo, come la Romania in particolare, puntando su un costo molto più conveniente della manodopera. Così facendo, però, il Nord Est tende ad avvitarsi su se stesso perché continua a realizzare prodotti di bassa qualità con la maggiore specializzazione. L’altra nota dolente riguarda la scuola, la formazione. In questo BPVOGGI campo il Veneto registra il tasso più elevato di abbandono scolastico rispetto ad aree analoghe alla nostra quanto ad industrializzazione (Baviera, Francia). La percentuale di laureati nel Nord Est è eccessivamente bassa dato che qui i ragazzi tendono ad entrare in azienda molto presto, abbandonando gli studi dato che ritengono più che sufficiente l’esperienza diretta in fabbrica. Ma se è vero – ha sottolineato Stella – che sinora, quanto a tecnica, ogni imprenditore nordestino può dirsi idealmente laureato, ciò tuttavia non sarà più vero per il prossimo futuro. Con l’avanzata della new economy, per vincere la sfida del futuro è necessario studiare, è necessario frequentare sino in fondo l’università. Il rischio sta proprio qui, nel non prendere sul serio questa fondamentale esigenza. Del resto, i primi segnali in tal senso ci sono già: non è un caso, infatti, se tra i vari imprenditori emergenti della new economy non sia presente un rappresentante del Nord Est. 29 In esposizione monete antiche, oselle veneziane, proclami, editti e rare edizioni d’epoca IL PICCOLO MUSEO DELLA MONETA A PALAZZO THIENE Ludovico I il Pio, Denaro Osella Anno I – 1539 Ludovico Manin, multiplo da 10 zecchini 30 Era la notte di Natale dell’800 quando Carlo Magno re dei Franchi divenne Imperatore del Sacro Romano Impero. Papa Leone III lo incoronò solennemente in San Pietro e l’avvenimento passò alla storia come uno tra i più significativi del primo millennio dell’era cristiana. Parliamo di un fatto accaduto oltre milleduecento anni orsono. Come dire una distanza di tempo enorme, un episodio anni luce lontano da noi, dai nostri giorni. E invece a Vicenza, a Palazzo Thiene, sede storica della nostra Banca, quegli anni sono riaffiorati così, quasi per incanto, grazie ad una piccola moneta. Ad un denaro d’argento fatto coniare a Venezia da Ludovico I detto il Pio, figlio di Carlo Magno e di Ildegarda, salito al trono, alla morte del celeberrimo padre, nell’anno 814. Trovarsi di fronte ad un simile reperto suscita emozione: chissà quante mani avrà passato, di quanti episodi sarà stato testimone visto, tra l’altro, che queste monete rimasero in circolazione per lungo tempo e anche nei secoli successivi si ebbero ulteriori coniazioni con le medesime caratteristiche, sempre a nome degli imperatori franchi succedutisi sul trono. E se il denaro d’argento di Ludovico il Pio è stato segnalato come il pezzo pregiato, di maggior richiamo tra tutti quelli esposti, nondimento la mostra intitolata “Il Piccolo Museo della Moneta”si è rivelata un’autentica “miniera” di monete antiche, di oselle veneziaBPVOGGI ne, di proclami, editti e rare edizioni d’epoca aventi per oggetto il denaro e la sua storia. Con l’allestimento di questa esposizione – inaugurata ufficialmente ai primi di dicembre dall’eurodeputato Lia Sartori, alla presenza di varie Autorità civili e militari al piano attico di Palazzo Thiene – il nostro Istituto offre al pubblico una nuova e interessante opportunità, ossia ripercorrere la storia della monetazione italiana, con particolare riguardo all’area veneta, dal Medioevo all’unità d’Italia. L’esposizione è stata impostata seguendo un criterio didattico, sulla scorta di un percorso ideale in grado di accompagnare il visitatore alla scoperta delle vicende che caratterizzarono, soprattutto nell’area geopolitica veneta, l’evoluzione della moneta. Per prima, la Sala degli Editti, suddivisa in quattro sezioni, in cui sono stati raccolti documenti d’epoca, bandi, proclami e libri antichi che testimoniano come, a partire dal Cinquecento, l’invenzione della stampa avesse giocato un ruolo fondamentale nella diffusione dell’informazione monetaria e nella divulgazione delle regole di circolazione della moneta. La prima sezione è stata dedicata ai libri di numismatica antica o classica; la seconda alla raccolta di testi dal XVI al XVIII secolo inerenti gli innumerevoli quesiti giuridici posti dall’uso del denaro (come usura, prestiti, interessi, ipoteche); la terza ad una interessante sequenza di manuali e libri dedicati ai Alcune delle Autorità intervenute all’inaugurazione cambi e ai ragguagli tra le varie monete in corso nei vari stati italiani nel ‘700 ed ‘800; infine, l’ultima sezione contenente libri d’epoca illustranti zecche, monete e medaglie coniate dal Medioevo alla fine del Settecento nelle città italiane. Dalla Sala degli Editti al cuore della collezione, rappresentato dalle sale dedicate alla monetazione della Repubblica di Venezia. Tra i numerosissimi tipi di monete battuti nel corso dei mille anni di vita della Serenissima, l’”osella” è quella che più di ogni altra ha espresso l’equilibrio politico e amministrativo del Governo Veneto. Questa moneta ha una sua storia decisamente particolare: venne coniata per la prima volta nel 1521 allorquando, essendo venuta a mancare la selvaggina (specialmente anitre selvatiche, chiamate “mazzorini” o “oselli”) di cui il Doge faceva omaggio a tutti i membri del Maggior Consiglio e alle altre cariche dello Stato, si pensò di ovviare offrendo loro in dono appunto una moneta, che prese il nome di osella. Le prime oselle ebbero impronte simili alle monete in circolazione, portando impresso il nome del Doge, l’anno, l’annata del dogato e in quasi tutte l’iscrizione di “Munus”, ossia dono. Successivamente la scritta posta sul retro venne sostituita da un’ immagine o da simboli BPVOGGI che, di volta in volta, assunsero funzione di messaggio dal contenuto politico, religioso o semplicemente celebrativo. Tutte le oselle ebbero corso come denaro e furono sempre comprese nelle “tariffe” ufficiali. Tante le oselle in esposizione, a partire da quella più antica, risalente al 1539, fatta coniare dal Doge Pietro Lando nel suo primo anno in carica, sino all’ ultima osella della Repubblica fatta coniare nel 1796 dal Doge Ludovico Manin. Per ben 275 anni ininterrottamente, questa moneta, considerata fra le più interessanti del mondo per significato storico e bellezza artistica, venne coniata dalla Serenissima. La collezione di Oselle pre- 31 32 sentate dal nostro Istituto è indubbiamente di altissimo valore, in grado di competere, per ampiezza e rarità, con quelle presenti nelle maggiori raccolte numismatiche pubbliche ma, a differenza di queste ultime, raramente esibite in pubblico, potrà d’ora in avanti essere ammirata nello stupendo scenario di Palazzo Thiene. Dulcis in fundo, la Sala delle monete veneziane. Sebbene Venezia fin dalla sua nascita, per ragioni sia politiche che economiche, fosse legata al mondo bizantino di Costantinopoli, dove era corrente il “solido”, le sue prime monete tuttavia vennero impresse nella tipologia del sistema monetario occidentale o franco, iniziando proprio sotto il regno di Ludovico il Pio con il “denaro” di cui, come detto, abbiamo un esemplare presente in mostra. Le coniazioni attribuite alla Zecca di Venezia prendono avvio nel IX secolo, appunto con il “denaro”, per arrivare quasi mille anni dopo all’ultimo pezzo coniato sotto Ludovico Manin, Doge dal 1789 al 1797, ossia il multiplo da 10 zecchini. In mostra si possono ammirare diverse monete suddivise tra monetazione argentea e aurea e tra i vari periodi storici. Per la monetazione argentea oltre al “denaro” di Ludovico il Pio sono esposte diverse monete risalenti al periodo dogale che va dal 1156 al 1471, come il “bianco”, il “soldino” o il “quattrino”; nel periodo tra il il 1471 il 1797 abbiamo “gazzette”, “soldi”, “lire”, “lirette”, “ducati” e “talleri”. Infine la monetaBPVOGGI zione aurea con alcuni esemplari particolarmente significativi, come il “ducato d’oro”, coniato tra il 1289 e il 1311 e tra il 1343 e il 1354, detto anche fiorino veneziano, e dalla seconda metà del ‘500, zecchino ( va sottolineato che Il ducato d’oro è stata in assoluto la più importante moneta veneziana); quindi lo “scudo d’oro” e il “mezzo scudo d’oro”, vari “zecchini d’oro” sino al “multiplo da 10 zecchini” che in pratica chiude anche la raccolta di monete della Banca. Una raccolta che può veramente definirsi preziosa non solo dal punto punto di vista numismatico, ma anche da quello storico e culturale. Accolta con grande favore l’opera curata da Mario Rigoni Stern 1915-1918 LA GUERRA SUGLI ALTIPIANI Il tavolo dei relatori Ha ottenuto un grande favore di pubblico il volume “1915-1918 La Guerra sugli Altipiani. Testimonianze di soldati al fronte “ curato da Mario Rigoni Stern, edito dalla Casa Editrice Neri Pozza e promosso dalla nostra Banca. L’opera era stata presentata al Capo dello Stato da parte di una delegazione vicentina guidata dal presidente dell’Istituto Gianni Zonin; successivamente, prima della fine dell’anno, il volume è stato presentato ufficialmente a Palazzo Thiene con l’intervento di numerose Autorità civili, militari e religiose, di esponenti del mondo imprenditoriale, finanziario, della cultura e dell’arte e di un foltissimo pubblico. Il presidente Zonin ha fatto gli onori di casa sottolineando il notevole spessore culturale dell’opera, mentre da parte sua lo storico di guerra Mario Isnenghi l’ha definita un vero e proprio manuale di storia sociale, di vita della gente in divisa e in trincea, una testimonianza viva della sofferenza e della paura. Il direttore del “Giornale di Vicenza” Luigi Bacialli ha, tra l’altro, tenuto a sottolineare la grande attualità dell’opera che soprattutto i giovani dovrebbero leggere per sapere, capire e riflettere. Un concetto questo ribadito anche dallo stesso Rigoni Stern il quale ha sottolineato che lo scopo principale del suo lavoro è stato quello di dare memoria alle giovani generazioni di quanto accadde sulle nostre montagne, proprio per non dimenticare. BPVOGGI DAL 24 MAGGIO 1915 …… Dal 24 maggio 1915 al 4 novembre 1918, il territorio compreso tra il Pasubio e la Valle del Brenta è stato teatro, tragicamente privilegiato, della Grande Guerra. Qui si sono affrontati milioni di soldati appartenuti a tante diverse nazionalità: da un lato italiani di ogni regione e poi, dal 1918, francesi, inglesi e quindi americani, con speciali reparti di volontari per la raccolta e l’assistenza di feriti; dall’altro austriaci, ungheresi, croati, tedeschi, sloveni, cecoslovacchi, rumeni, polacchi, ucraini. Il volume “1915-1918. La guerra sugli Altipiani. Testimonianze di soldati al fronte”, si può definire – come dice lo stesso curatore – un’antologia della Grande Guer- 33 Mario Rigoni Stern 34 ra nel territorio vicentino, in cui compaiono testimonianze di grandi e ottimi scrittori, di semplici cittadini, di qualche storico che descrisse i fatti appena avvenuti, di qualche generale che aveva responsabilità di comando. Il fronte italo-austriaco era molto esteso: dallo Stelvio per trecento chilometri tra le Alpi Retiche e Noriche, le Dolomiti, sino alle Alpi Carniche, il Carso e il mare. Di fronte, il generale Cadorna comandante supremo dell’esercito italiano e il Maresciallo Conrad per quello austroungarico, portatori di due diverse concezioni strategiche. Il primo aveva in animo di attaccare sul fronte del medio e basso Isonzo per poi proseguire verso Lubiana; il secondo intendeva scendere dagli Altipiani alla pianura vicentina per prendere alle spalle gli italiani attestati sul Carso. Nel mag- gio 1916 gli austriaci lanciarono l’offensiva contro il Veneto, la famosa “Strafexpedition”, ma vennero fermati seppur a fatica e non senza aver costretto tutte le popolazioni dell’Altipiano dei Sette Comuni e delle valli limitrofe ad abbandonare le loro case che stavano rovinando sotto i bombardamenti. Sul Carso, dal 1915 sino all’ottobre del 1917, i nostri soldati si sacrificarono contro le difese nemiche in combattimenti che richiesero enormi sacrifici senza produrre in pratica alcun risultato tangibile; appunto nell’ottobre del 1917 le truppe austroungariche riuscirono alfine a sfondare il fronte italiano a Caporetto – che divenne così emblema di sconfitta, di rovescio, per antonomasia – facendo perdere al nostro esercito quasi seicentomila uomini e il materiale, creando una massa di profughi disperati, oltre cinquecentomila, costretti a lasciare le loro case alla ricerca di un rifugio e del cibo. Tuttavia proprio dal tracollo in pochi mesi si passò alla resurrezione: c’era il suolo della Patria da difendere e il nostro esercito seppe ritrovare coesione, forza, voglia di combattere e vincere. La “Battaglia di Vittorio Veneto” sigillò la fine del conflitto e la vittoria d’Italia. Il libro ripercorre questi quattro anni così importanti per la nostra storia in terra vicentina sulla base dei diari e delle testimonianze di alcuni protagonisti delle vicende di allora partendo dal 1915, primo anno di guerra, che non registra avvenimenti “grandiosi” in un contesto di geBPVOGGI nerale impreparazione ad un conflitto di tipo nuovo come mezzi e durata: con uno scarso quantitativo di mitragliatrici, un’artiglieria antiquata, un misero equipaggiamento e con molti reparti sprovvisti finanche di elmetto. Attilio Frescura, richiamato come tenente e assegnato alla Milizia territoriale, composta da classi anziane destinate nei servizi di retrovia e di presidio, racconta dei primi mesi di guerra vissuti appunto da un “territoriale”. Fritz Weber, “alfiere” e quindi ufficiale dell’esercito imperiale, fa memoria dei bombardamenti e degli attacchi degli italiani contro i forti austriaci, delle notti d’inferno vissute sotto il fuoco, dei dieci giorni ininterrotti di bombardamento durante i quali tremila granate da 300 mm e almeno seimila da 280 schiantano e fanno a pezzi le coperture e le corazze del forte. Il generale Pasquale Oro, comandante la 34.ma divisione, schierata sul fronte di Vezzena, composta dalle brigate Treviso e Ivrea e dai battaglioni Bassano e Valbrenta, ricorda gli assalti a Cima Vezzena e al Basson, in particolare la brillante azione della 63.ma compagnia alpina, l’eroico comportamento del colonnello Riveri e del 115mo reggimento di fanteria. Luigi Gasparotto, volontario interventista, fa rivivere il passaggio dall’atmosfera romana, con la folla entusiasta che saluta i soldati partenti per il fronte, al battesimo del fuoco a Campomolon; infine, il grande scrittore austriaco Robert Musil descrive il suo “incontro” molto partico- lare con un aeroplano nemico. Nel corso del 1916 gli eventi bellici più significativi si susseguono proprio sulle montagne vicentine in tutta la loro drammaticità e asprezza. Quasi un milione di uomini complessivamente vengono coinvolti nella famosa “Strafexpedition”, spedizione punitiva voluta dall’alto comando austroungarico contro l’Italia, che avrebbe dovuto aprire un varco decisivo, e non più rimarginabile, tra le fila del nostro esercito passando per l’Altipiano dei Sette Comuni. La battaglia divampa cruenta e senza esclusione di colpi sulle nostre montagne ma, alla fine, il fronte italiano tiene a costo di tantissime perdite. La notte del 25 giugno 1916 gli austro-ungarici sono costretti a ritirarsi su posizioni più arretrate e per i nostri è l’inizio del contrattacco. Poi la stasi e di nuovo in autunno l’iniziativa italiana, volta a spingere all’indietro il nemico, ma le forti nevicate costringono i duellanti all’immobilità. Della vita di Asiago e dell’Altipiano, nella primavera del 1916, poco prima dell’avvio della “Strafexpedition”, si fa cronista Mario Puccini: il vecchio contadino seduto davanti al focolare, la vecchietta intenta al paiolo, una madre che allatta un piccino. Asiago, che gli sembra costruita da cento mani frettolose per una festa in grande, nel periodo di Pasqua è tutta “in ghingheri”: donne che vanno in giro a fare la spesa; giovinette che passeggiano, soldati d’ogni arma fermi davanti alle vetrine. All’alba del 15 maggio, però, scatta l’offensiva austriaca cui partecipa Fritz Weber: già la sera del 20 maggio, scrive, gli italiani sotto il fuoco e gli attacchi dell’esercito imperiale si ritirano su tutta la linea; lontano, sull’orizzonte, si vedono bruciare le foreste. L’aspetto di Colle Costesin è terrificante, il bombardamento lo ha trasformato in un carnaio, i rantoli e i lamenti dei feriti nella foresta rimarranno scolpiti per BPVOGGI sempre nella memoria. È suonata l’ora della distruzione e della morte per tutto l’Altipiano: il cannone comincia a colpire Asiago, poi Gallio. Attilio Frescura descrive la fuga disperata di uomini, donne e bambini fuori dalla portata del cannone. Sfilano carri, carretti e bestiame. Asiago è in fiamme. Gli austriaci si muovono contro le trincee, fanno ressa – racconta Robert 35 La piazza principale di Asiago dopo i bombardamenti dell’estate 1916 Bersaglieri in trincea a Cima Echar, giugno 1918 36 Musil – per aprire con le pinze, sotto il fuoco ravvicinato del nemico, un varco tra il filo spinato, operazione che richiede il più sublime spirito di sacrificio. Dall’altra parte i granatieri italiani – nella memoria di Giani Stuparich, volontario, irredentista triestino, ferito e decorato – disposti dietro le rocce coi fucili carichi, baionette innestate e cartucce a portata di mano, decisi a resistere a qualsiasi costo per impedire al nemico di dilagare giù per la dolce pianura vicentina. Come i valorosi soldati e ufficiali della leggendaria brigata Sassari, tra i quali il capitano Emilio Lussu, ai quali per ragioni strategiche viene ordinato il ritiro dalla posizione di Monte Fior – sino allora eroicamente difesa dagli assalti BPVOGGI dei battaglioni nemici – da cui si può scorgere la pianura veneta, tutta illuminata dal sole, come un immenso manto ricoperto di perle scintillanti. L’estate del 1916 si snoda, come scrive Carlo Emilio Gadda – uno dei massimi scrittori del Novecento, ufficiale degli alpini nelle “sezioni mitragliatrici” – tra duelli di artiglieria e nevrosi. Si fa fuoco di notte sui lavori di trinceramento e d’appostamento del nemico per costringerlo ad interrompere l’attività, per disturbarlo; si fanno gli esperimenti d’emissione di gas asfissianti, si distribuiscono maschere e occhiali di nuovo tipo e foggia. Italo Maffei, giovane ufficiale di fanteria, racconta di quell’estate tra i prati e le macerie di un’Asiago, straziata, incendiata, terremotata, con la cattedrale in completa rovina, l’altare saltato. Ci sono azioni belliche dirette come i tentativi di riconquistare Coni Zugna e Zugna Torta, descritti da Luigi Regazzola, e gli assalti tra le asperità del Pasubio di cui fa memoria Michele Campana. Con l’autunno la guerra si stabilizza tra creste e pareti del Pasubio, ma non mancano episodi particolarmente significativi, come quello della conquista austriaca del Cimone, ricordato da Fritz Weber alla stregua di un dramma eroico che fa onore ad entrambi gli avversari, un piccolo episodio in sè nel contesto della grande guerra ma di così tragica grandezza da meritare perenne ricordo. Arriva il 1917 con tanta di quella neve, che a memoria d’uomo non si ricorda in tale abbondanza. Ci sono grossi problemi per far giungere i rifornimenti e sgomberare gli ammalati; sull’Altipiano i rifornimenti per gli austriaci vengono fatti solo con le teleferiche. Scrive Fritz Weber: nevica giorno e notte senza interruzione; contro la neve non si lotta, è come un subdolo e misterioso flagello che toglie ogni forza di volontà e spegne la vita. Nel corso di quell’inverno del ‘17 migliaia e migliaia di uomini muoiono perché finiti nei crepacci o assiderati. Alla fine di aprile e maggio con il rialzo della temperatura, e lo scioglimento delle nevi, affiorano i cadaveri dei soldati caduti e la guerra di trincea mostra i rifiuti che per sei mesi le straordinarie nevicate hanno celato. Mentre gli stati maggiori rinforzano le armate, si aumenta la produzione di cannoni, munizioni, aeroplani e si migliorano le armi, sull’Altipiano riprendono i preparativi per l’offensiva. Poi tra giugno e luglio il contrattacco italiano nelle pagine di Emilio Lussu che fa rivivere, tra l’altro, alcune scene particolarmente drammatiche: un plotone di esecuzione si rifiuta di sparare contro propri commilitoni accusati di ammutinamento e colpisce invece l’ufficiale che aveva ordinato l’esecuzione. Anche il grande giornalista Paolo Monelli, tenente e poi capitano degli alpini, decorato al valore, nel giugno del 1917 combatte sull’Ortigara, dove “escono battaglioni, rientrano barelle e morti”. In novembre e dicembre, si torna a guerreggiare senza esclusione di colpi. Nelle pagine di Paolo Monelli, Luigi Regazzola e Pompilio Schiarini sono proposti i combattimenti sul Tondarecar e sul Castelgomberto, la battaglia di Monte Badenecche e il “Natale di sangue” del 1917. Da una parte gli austro-ungarici decisi a giocare il tutto per tutto per dilagare in pianura, dall’altra gli italiani determinati a fermarli, costi quel che costi. Alla fine i nostri soldati, dando prova di grande coraggio e di fede, hanno la meglio. Frattanto giungono a rinforzo i corpi di spedizione alleati francesi e inglesi. Arriviamo così al 1918, all’ultimo capitolo di questa terribile guerra. Nei primi mesi dell’anno gli italiani ritrovano la voglia di combattere, come nella “battaglia dei Tre Monti” che consente la riconquista del Valbella, del Col del Rosso e del Col d’Ecchele. Proprio su queste alture – dice Pompilio Schiarini, allora ufficiale della I Armata, poi generale – si delinea l’alba della nostra rinascita militare e si dimostra inaspettatamente al nemico come, malgrado i dolorosi avvenimenti degli ultimi mesi, non sia venuto meno nel soldato italiano lo spirito combattivo. Si diffonde parimenti la sensazione che lo sforzo nemico sia ormai fiaccato. Si provvede frattanto anche a riordinare i reparti sbandati, si migliora il vitto, si curano i turni in trincea. Ai nostri militi viene insomma riservato un trattamento più umano, non più e soltanto carne da macello ma cittadini in armi pronti a difendere la Patria. Intanto gli austro-unBPVOGGI Una donna porta fiori sulla tomba di un caduto garici e i tedeschi si predispongono a quell’offensiva finale che dovrebbe portare alla loro definitiva vittoria. In maggio la situazione è ormai chiara per lo stato maggiore italiano come emerge dalle valutazioni del generale Armando Diaz, comandante Supremo del nostro Esercito, subentrato al collega Cadorna nel novembre 1917: il nemico, non appena le condizioni atmosferiche siano favorevoli, attaccherà in grande stile sul fronte del Piave, supportato da analoga azione, pure in forze, nel settore montano, nelle zone del Grappa e dell’Altipiano di Asiago. In giugno arriva lo scontro finale, la resa dei conti: con la “battaglia del Solstizio” dal 15 al 24 giugno si dà fondo, da parte di entrambi gli eserciti, ad ogni mezzo, ad ogni energia per prevalere. Il valore indiscusso dei soldati austroungarici e la capacità dei loro comandanti devono 37 38 però soccombere di fronte ai nostri che si battono come leoni spinti da una sola volontà, quella di salvare il sacro suolo della Patria. Aldo Valori, giornalista e scrittore, descrive il piano di guerra austro-ungarico, benissimo concepito, che in caso di completo successo porterebbe all’annientamento dell’esercito italiano, ma anche in caso di parziale successo costringerebbe comunque l’intero schieramento italiano a spostarsi precipitosamente verso sud con la conseguente inevitabile perdita dell’intera regione veneta. Alla “battaglia del Solstizio” partecipano con noi anche le truppe straniere alleate. L’inglese Norman Gadden, già veterano della Grande Guerra per aver combattuto sulla Somme, ci fa rivivere gli scontri a fuoco, gli assalti alla baionetta, gli episodi di eroismo che costellano le sue memorabili giornate, come quello che ha per protagonisti il capitano Stirling e un gruppo di volontari, lanciati intrepidi contro il nemico con l’impeto di una catapulta. La “battaglia del Solstizio” è la battaglia meglio condotta di tutta la nostra storia moderna; nella relazione dello stato maggiore austriaco si legge che con essa comincia il crollo dell’esercito austro-ungarico, della Monarchia danubiana e della Germania. La battaglia di Vittorio Veneto e l’armistizio del 4 novembre ne sono in sostanza una logica conseguenza. Sino alla fine, comunque, gli austriaci dimostrano tutto il loro valore e la loro elevatissima qualità di soldati e di uomini, come si ricava dalle pagine di Otto Gallian, l’ultimo ufficiale asburgico ad abbandonare Monte Asolone nell’ottobre del 1918 a pochi giorni dall’armistizio finale. Il vicentino Giuseppe De Mori, inviato di guerra e autore di precisi resoconti sulle operazioni belliche, racconta gli ultimi giorni del conflitto, gli scontri finali, il ritiro delle truppe austriache, il delirio di gioia delle popolazioni liberate, l’entrata degli italiani a Trento dove sul Castello del Buon Consiglio viene issato il tricolore a rivendicare Cesare Battisti, Fabio Filzi e quanti per la liberazione della città avevano dato la fede, il sangue, la vita. Infine, gli interventi di Mario Rigoni Stern, dedicato a tutti coloro che con grande volontà e amore contribuiscono a ricostruire Asiago e gli altri Comuni del territorio distrutti dalla Grande Guerra, e di Giani Stuparich che rievoca i suoi pellegrinaggi sui campi di battaglia dell’Altipiano. A chiusura del volume cinquantadue immagini fotografiche dell’epoca danno consistenza visiva alle tante testimonianze scritte raccolte in questa opera così importante e significativa. BPVOGGI LE OPERE DI MARIO RIGONI STERN Mario Rigoni Stern nasce ad Asiago il 1° novembre 1921. Montagna e lettura divengono ben presto le sue passioni. A 17 anni si arruola volontario negli alpini, partecipa alla campagna contro la Francia e poi va in Albania. Quindi riparte per la Russia dove è testimone della disfatta. Rientra in Italia, viene fatto prigioniero dai tedeschi e internato in un campo di concentramento a Innsbruck. Nel ‘45 evade, torna ad Asiago, sposa Anna che gli darà tre figli e comincia a ricopiare minuziosamente gli appunti presi in Russia. Nasce così (1953) “Il sergente nella neve” con cui si rivela al grande pubblico. Nel 1958, il suo secondo libro, “Concorso per esami”; quindi nel 1962 “Il bosco degli urogalli” che vince il premio Puccini-Senigallia; “Quota Albania” e “Ritorno sul Don” che nel 1974 giunge finalista al Premio Napoli per la narrativa. Nel 1978 vince il Premio Bagutta prima e poi il Campiello con il racconto “La storia di Tonle”. Sempre per Einaudi, nel 1980, scrive “Uomini, boschi e api” e i due romanzi “L’anno della vittoria (1985) e “Amore di confine” (1986). Nel 1990 “Il libro degli animali” e nel ‘91 “Arboreto selvatico”; nel 1995 “Le stagioni di Giacomo” e nel 1998 “Sentieri sotto la neve”. Infine, l’ultimo libro pubblicato (1999) “Inverni lontani”. Dalla lastra in rame realizzata ai primi dell’Ottocento da Luigi Pizzi NUOVA SERIE DI INCISIONI Prima della chiusura dell’ Anno Giubilare l’Istituto ha concretizzato un’ulteriore interessante iniziativa culturale che è valsa a riportare in auge un’opera già da tempo appartenente alle proprie collezioni d’arte. A quasi cent’anni dall’ultima tiratura, è stata infatti tratta una serie limitata di incisioni da una preziosa lastra in rame realizzata ai primi dell’Ottocento da Luigi Pizzi, riproducente il dipinto “Convito di San Gregorio Magno” di Paolo Veronese, custodito nel Santuario di Monte Berico in Vicenza. La lastra, che fa parte delle collezioni d’arte della Popolare, è stata nell’occasione preventivamente sottoposta, con l’utilizzo di antiche tecniche artigianali, ad un attento intervento di pulitura e restauro dalla Stamperia d’Arte di Giuliano Busato che ha quindi tirato a mano con il torchio a stella, nella sua Bottega di ViBPVOGGI cenza, trecento esemplari dell’incisione. La carta per la tiratura è stata appositamente fabbricata dalle Cartiere Enrico Magnani di Pescia con un impasto speciale. Non si conosce la data precisa in cui la Banca è venuta in possesso della lastra, né la sua provenienza, ma certamente l’acquisizione è da collocarsi fra il 1866, data di fondazione dell’Istituto e il 1907: proprio nel 1907, infatti, la Banca Popolare di Vicenza fece realizzare una serie numerata di incisioni, che su ciascun esemplare portava la scritta a stampa “Tiratura in 100 esemplari eseguita nel febbraio 1907 dalla Reale Calcografia di Roma”. Sulle tirature dalla lastra originale che hanno preceduto quella del 1907 non si hanno a tutt’oggi notizie certe. Sicuro è invece che una tiratura, forse solo di prova, è stata realizzata prima che sulla lastra ve- 39 40 nisse incisa la dedica autografa del Pizzi al Principe Eugenio Napoleone di Francia, Vicerè d’Italia e Principe di Venezia. L’apposizione della dedica sulla lastra fa peraltro supporre che tra il 1808, data con cui il Pizzi firma la sua opera, e il 1813, anno della caduta del Regno d’Italia di Napoleone, almeno un esemplare dell’incisione sia stato tirato, se non altro per farne dono al Vicerè d’Italia al quale l’autore l’aveva dedicata. Luigi Pizzi, nato a Verona nel 1739 e morto a Padova nel 1821, fu un grande disegnatore e incisore, nonché apprezzato calcografo di riproduzioni. Dopo gli studi di disegno e incisione sotto la guida di Gio Domenico Lorenzi, famoso intagliatore in rame, lavorò a Padova, Verona, Roma e Venezia. Insegnò inoltre, come maestro di disegno ad intaglio, prima all’Accademia delle Belle Arti di Venezia e successivamente nella Regia Università di Padova. Fra le opere d’intaglio a bulino che gli valsero fama e considerazione vanno annoverate “La Madonna detta della Seggiola” tolta da Raffaello e appunto il “Convito di San Gregorio Magno”, esistente nel convento della Madonna di Monte Berico. Il dipinto, da cui è tratta la lastra, venne eseguito nel 1572 da Paolo Veronese su commissione dei religiosi del celebre Santuario e raffigura una delle cene che il Papa San Gregorio Magno era solito offrire ai poveri: vi partecipa in veste di pellegrino, Cristo stesso, seduto alla destra del Pontefice. A seguito della Il Santuario di Monte Berico a Vicenza soppressione del Convento dei Servi di Maria di Monte Berico, disposta dai Decreti napoleonici di soppressione degli Ordini Religiosi, il dipinto fu trasferito nel 1811 a Milano nella Pinacoteca di Brera. Nel 1813, avendo il Comune di Vicenza acquistato dal Demanio l’intero complesso di Monte Berico, la Città reclamò per sé il dipinto , tanto che nel 1816 l’imperatore Francesco I. ne ordinò la restituzione: così nel 1817, per ordine imperiale, l’opera tornò nel Santuario. Durante i BPVOGGI moti risorgimentali del 1848, nel corso della battaglia del 10 giugno per la difesa di Vicenza, la grande tela fu ridotta in ben trentadue pezzi dai soldati austriaci. Restaurata a Venezia a spese dell’imperatore Francesco Giuseppe, venne infine ricollocata dieci anni più tardi, il 21 aprile 1858, nell’antico refettorio del Convento, sala che ancora oggi l’accoglie. Un’iniziativa del Touring Club d’Italia “LA PENISOLA DEL TESORO” A PALAZZO THIENE Ha fatto tappa a Vicenza prima della fine dell’anno “La Penisola del Tesoro”, l’interessante iniziativa ideata, promossa e condotta dal Touring Club Italiano nell’intento di divulgare la conoscenza e la valorizzazione di musei, monumenti e luoghi d’arte d’Italia che, seppur di grande rilevanza, rimangono spesso e volentieri al di fuori dei consueti itinerari turistici. Il Touring Club aveva proposto, per la prima volta nel 1999, il programma “La Penisola del Tesoro” riscuotendo ampio favore tra i vari operatori culturali, i mezzi di comunicazione e soprattutto tra i propri soci, i quali hanno poi partecipato sempre numerosi e con grande entusiasmo alle “tappe” previste in tutta Italia. L’iniziativa, patrocinata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è destinata a continuare ed a consolidarsi nel tempo: se nel primo anno l’attenzione degli organizzatori si era in particolare rivolta ai musei, con il 2000 si è ritenuto invece di uscirne per andare di più nelle piazze, nelle città, nei centri storici, nelle riserve naturali. E così i responsabili del TCI hanno pensato di porre Palazzo Thiene nell’elenco dei luoghi da visitare. D’altra parte l’edificio palladiano, sede storica della nostra Banca, può vantare come noto alcune referenze di assoluto rilievo: è stato inserito dall’Unesco nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità e nel 1999 è stato insignito del prestigioso Premio Europa Nostra per il miglior restauro realizzato. BPVOGGI I visitatori soci del Touring Club sono stati veramente numerosi, circa millecinquecento. Grazie all’ottima organizzazione predisposta ( quattro guide turistiche hanno accompagnato, seguendo un programma temporale preciso, altrettanti gruppi formati da 30/40 persone ciascuno) tutti i soci hanno potuto visitare senza assembramenti o intoppi questo straordinario esempio di architettura rinascimentale, opera del Palladio. Hanno ammirato i fastosi cicli decorativi ad affresco e stucco dovuti a celebri artisti del Cinquecento, da Alessandro Vittoria a Bartolomeo Ridolfi, da Bernardino India ad Anselmo Canera; i preziosi arredi in stile d’epoca che ne arricchiscono le stanze; la collezione di dipinti antichi di proprietà della Banca, dedicata alla pittura vicentina e veneta dal XV al XVIII secolo, comprendente capolavori di grandi maestri, fra i quali, Giandomenico Tiepolo, Jacopo Bassano, Bartolomeo Montagna, Palma il Giovane, Jacopo Tintoretto, Gaspare Diziani e Giulio Carpioni, cui è riservata una sala intera. Molto apprezzata dai visitatori è stata anche la raffinata raccolta di sculture di Arturo Martini, artista tra i più rappresentativi del Novecento. C’è stato anche il momento dell’ufficialità con l’incontro tra i rappresentanti del TCI, il vicepresidente marchese Giuseppe Roi, il direttore generale Armando Peres e il console per il veneto Vladimiro Riva, con il Consigliere d’Amministrazione dell’Istituto Zeffirino Filippi 41 che ha portato ai graditi ospiti il benvenuto della Banca. A Palazzo Thiene, insomma, “la Penisola del Tesoro” ha trovato quello che cercava! IL TOURING CLUB ITALIANO, UNA GRANDE ASSOCIAZIONE 42 Il Touring Club Italiano è la maggiore istituzione turistico culturale italiana, costituita nella forma di una libera associazione che ha ormai superato i cento anni di vita. Nel corso della sua lunga storia si è distinta per il prestigio e l’importanza delle sue molteplici iniziative intraprese e per i servizi resi alla collettività. Grazie ad un’imponente produzione editoriale e all’organizzazione di viaggi, vacanze, servizi informativi, il Touring mette a disposizione dei propri iscritti – che raggiungono oggi la bella cifra di circa cinquecentomila unità – gli strumenti indispensabili per praticare un turismo consapevole e civile, ossia ispirato a quegli ideali che sin dall’origine aveva posto a suo fondamento. Nei suoi cento anni di vita il TCI ha promosso tantissime iniziative volte a diffondere il turismo e proteggere il patrimonio culturale e ambientale. Tra queste ne citiamo solo alcune tra le più significative. Nel 1897 installa i primi cento cartelli segnaletici stradali; nel 1909 lancia una campagna per il rimboschimento e la conservazione dei pascoli; nel 1913 accoglie nella sua sede il Comitato Nazionale per la Difesa del Paesaggio e dei Monumenti Italici; Palazzo Thiene, Sala di Nettuno nel 1914 istituisce a Milano la prima scuola alberghiera; nel 1922 inaugura, ai piedi della Marmolada, i primi campeggi. Negli anni ‘40 istituisce a Milano la prima scuola alberghiera, mentre negli anni ‘60 promuove campagne contro l’inquinamento e il rumore, contro l’abbattimento degli alberi lungo le strade e per lo scaglionamento delle ferie. Negli anni ‘80 incentiva, mediante pubblicazioni e convegni, il turismo nel “minore”. Negli anni ‘90 promuove infine due carte etiche, la prima sul turismo e la seconda sull’ospitalità; pubblica tre libri bianchi indirizzati alla Pubblica Amministrazione sui temi del turismo, ambiente e beni culturali; attiva BPVOGGI un monitoraggio sui musei con una valutazione sulla loro fruibilità; ancora sui musei avvia una collana di guide in collaborazione con il Corriere della Sera; sigla un accordo con l’Istituto Centrale del Restauro per l’utilizzo delle Guide Rosse ai fini della catalogazione del patrimonio culturale italiano.