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01 cover e quartanew 7-03-2006 15:51 Pagina 1 L’ O S S E R V A T O R I O I N T E R N A Z I O N A L E S U L L E T E N D E N Z E D E L R E T A I L E D E I C O N S U M I a cura di Thomas Bialas numero_nove Survival diet 4 Survival marketing 6 Survival innovation 8 Survival positioning 10 Survival format I 12 Survival format II 14 Progetto grafico Walter Tinelli 2 Via Brescia 53/65 Cernusco s/Naviglio Survival revival Stampa Rotolito Lombarda Direttore Responsabile Luigi Rubinelli I CONTENUTI Retail survival trends o la va o la spacca 02e03f/1 7-03-2006 15:53 Pagina 2 2 nextfuture sur vival trends Survival revival Esercizi ricaduta Lezioni didi ricaduta 01 Ricadere Torna di moda la sopravvivenza. Una condizione o esercizio che non ci è famigliare, a noi nati dopo la guerra e durante i fasti del boom economico e della crescita perpetua. Non siamo pronti e attrezzati per il tramonto. Ma è meglio abituarsi all’idea. Non ci sarà la tanto auspicata e sbandierata ripresa perché è una parola del passato. Stiamo assistendo ad una colossale destrutturazione della società. Sopravvivere all’impatto, dunque. Perché il problema non è la caduta, ma l’atterraggio. Le cose poi si complicano se si continua a cadere. L’Italia è in ricaduta libera? E chi non lo è? Proviamo a declinare il declino con pochi recenti esempi. Come piano di sopravvivenza (nel gergo ufficiale definito, enfaticamente, piano di risanamento) la General Motors propone la chiusura di 12 fabbriche e il taglio di 30 mila posti, stessa musica per il gigante tedesco delle telecomunicazioni Deutsche Telekom che ha annunciato un drastico piano di riduzione del personale per un totale di 32 mila posti in meno. In Francia nella banlieu di Parigi esplode la rivolta di una generazione di miserabili e disperati che non ha più nessun tipo di avvenire. In Italia, in base a una recente ricerca di Acri-Ipsos, il 50% delle famiglie fatica ad arrivare a fine mese e a mantenere il proprio tenore di vita, aumentano le famiglie indebitate e drammaticamente anche quelle insolventi. E non a caso aumenta anche, come strategia di sopravvivenza, l’uso delle carte prepagate ricaricabili (tipo Bancoposta) per spendere e vivere senza i costi del conto corrente. Nel frattempo tutti devono fare i conti con la triade dei category killer. Category killer produzione, Cina, category killer modello retail, Ikea, category killer canale di vendita, Ebay. Parafrasando Humphrey Bogart “ è la globalizzazione baby, e tu non puoi farci niente”. Certo si potrebbe almeno fallire con dignità. Sarebbe già un ammirevole gesto. Ma non ne siamo più capaci. 02 Rialzarsi Lazzaro, alzati e cammina. Anzi, alza i tacchi e vai veloce a cercare fortuna e consumatori altrove. Già, il commercio interno langue. Bella forza: La fine del lavoro (titolo di un vecchio ma sempre attuale saggio di Jeremy Rifkin) segna anche la fine dello shopping. Non sorprende quindi che il “ragazzi me ne vado” stia diventando una delle strategie di sopravivenza più diffuse. Il settore degli imbottiti soffre? Allora si offre ai divani adeguati spazi di vendita nel ricco medio oriente. Natuzzi ha aperto a Dubai il suo più grande showroom nel mondo (2.200 mq). Andarsene dunque. Altre strategie: allontanare i poveri dalle città che contano (retail periferico vs retail imperiale). New York cerca di cambiare volto per trasformarsi in una città salotto per la bella e ricca gente di tutto il mondo (interessante e radicale posizionamento). Grazie a sofisticate e in parte spregiudicate operazioni immobiliari Harlem, Brooklyn e Bronx stanno cambiando fisionomia: fuori i poveri, che in futuro avranno città a loro dedicate, e dentro i ricchi o aspiranti tali. Altre considerazioni. La globalizzazione richiede imponenti verticalizzazioni: i retailer diventano produttori e viceversa. Swedwood di Ikea è il più grande produttore di mobili al mondo, il catalogo Ikea viene stampato in 145 milioni di copie (il prodotto editoriale più diffuso dopo la Bibbia e Harry Potter). Quasi impossibile competere con quella che è giusto definire la formula di discount più sofisticata del pianeta (anche se Ikea saggiamente evita di pronunciare questo termine). Ci si salva forse solo con la iper specializzazione per nicchie. Ma la vera ricetta salva commercio, almeno per il mercato interno, è un’altra e si chiama: un negozio per tutti. Se tutti gli italiani lavorano nel commercio la giostra ricomincia a girare. È semplice: tu vieni da me a comprare le scarpe e io vengo da te a comprare il telefonino. Altro che credito al consumo. Un’idea molto brillante. Curioso che non ci abbiano ancora pensato. 02e03f/1 7-03-2006 nextfuture 3 15:53 Pagina 3 04e05f/1 7-03-2006 15:55 Pagina 4 4 nextfuture sur vival trends Survival diet Esercizi di ridimensionamento 04e05f/1 7-03-2006 15:55 Pagina 5 nextfuture 5 Imprese snelle 01 2020. Dopo una lunga e rigorosa dieta a zone il retail è tornato alla sua forma ideale. Un retail snello e scattante che rinuncia al peso superfluo. In futuro bisogna ragionare in termini di fitness. O come dicono in Inghilterra: diet or die, o ti metti a dieta oppure muori. Che significa: decrescita funzionale anziché crescita esponenziale. Ma non basta rimodellare il negozio e rassodare i prezzi (pratica assai diffusa ma spesso confusa). Una dieta terapeutica richiede metodo e costanza. Chi è a dieta assume poche calorie. Dunque, pochi dipendenti. Secondo le previsioni di The Executice Committee nel 2009 circa il 53% della produzione delle vecchie potenze industriali europee sarà data in outsourcing. Non solo si sposta nei paesi emergenti la produzione, ma a ritmi crescenti anche servizi e attività gestionali. E quel poco che resta nel proprio paese di appartenenza viene gestito in una logica di outsourcing locale (prestazioni a noleggio) o di partner smart mobs (flessibili aggregazioni temporanee senza vincoli). Chi è a dieta fa molte rinunce e mantiene solo alcune funzioni vitali e strategiche per sopravvivere con un radicale focus sul corporate business e conseguente riduzione degli assortimenti. Chi è a dieta punta su uno stile di vita spartano. Come Aldi che opera senza comunicazione, senza relazioni esterne, senza staff, senza ricerche di mercato, senza fronzoli tecnologici e via discorrendo. Ma attenzione, anche Ikea, nonostante gli impeccabili design e servizio, è spartano in ogni dettaglio. Chi è a dieta guarda con sospetto il commercio obeso. Quel gigantismo così sproporzionato e fuori luogo in tempi di endemica saturazione e calo dei consumi. Si continua a costruire enormi parchi e centri commerciali nonostante buon senso e prudenza suggeriscano l’esatto opposto: ridimensionare, snellire, rassodare e consolidare. Chi è a dieta talvolta opta per regimi drastici e radicali. La discountizzazione è una dieta molto hard e non sempre mantiene quello che promette. Come ampiamente evidenziato nello speciale Future Format di GDOWEEK la discountizzazione di molti format e concept (in primis iper e supermercati) è una dieta “o la va o la spacca”. Ma alla fine, chi è a dieta sopravvive? Forse, ma non è detto. Lo spettro del retail anoressico è in agguato. Consumi snelli 02 I consumatori, come ben sappiamo, sono già a dieta (forzata). Ma il retailer accorto può maneggiare questo termine con piglio innovativo per proporre formule e soluzioni che alleggeriscono il peso della spesa. Il prezzo di un prodotto non è l’unico costo con cui il consumatore deve fare i conti. Il risparmio di tempo e di energie incide oggi sempre di più nella scelta di prodotti e servizi. Alcuni pionieri del cosiddetto lean consumption sono Carglass (servizio basato sul one-stop-shopping, niente stress da attesa, prenotazione telefonica e montaggio immediato nell’officina più vicina), Zara (un simplify fast fashion ordinato e razionale) e il solito Aldi (profeta dell’assortimento ridotto e servizio rapido). Molto snella e scattante anche Capitalia, la prima banca italiana a posizionarsi sul mercato come money shop, easy da frequentare. Alcune piccole regole di buon senso del diet retail: 1) offrite al consumatore esattamente quello che vuole, dove lo vuole, come lo vuole e dove lo vuole evitando il giochetto assai diffuso di scaricare, per risparmiare, alcuni costi sul consumatore 2) i consumatori time poor pretendono una spesa leggera e senza attesa, concentrarsi quindi su soluzioni che fanno risparmiare tempo ed energie 3) non appesantite il prodotto-servizio con inutili fronzoli o promozioni che richiedono giorni solo per capirci qualcosa (la raccolta punti dell’Enel, per esempio, ha un peso mostruoso, finisce spesso nel cestino e serve in buona sostanza solo a far lavorare le agenzie di comunicazione e pubblicità). Ridurre dunque. Ottimi esempi provengono dal fronte tecnologico. I prodotti hi-tech si preparano alla grande dieta secondo il motto: meno funzioni e meno istruzioni. Perché per far ri-innamorare il consumatore la tecnologia deve essere più snella e leggera (in Usa già due americani su tre hanno perso interesse nei prodotti troppo complessi). Il nuovo pay off della rinata Olivetti è simple is beautiful. Ed è vero non solo per il consumatore ma anche per il business come dimostrano i casi di semplificazione vincente in campo hi-tech come l’iPod (di cui non si finisce mai di parlare) il Game Boy (un vero precursore dell’easy trend) che nato nel 1989 con un piccolo schermo in bianco e nero, tre pulsanti e una performance inferiore a tutte le altre console da gioco portatile ha umiliato la concorrenza per quindici anni di fila. Dietetico e semplice da usare come le chiavette Usb. 06e07f/1 7-03-2006 15:57 Pagina 6 6 nextfuture sur vival trends Survival marketing Esercizi di riconquista 06e07f/1 7-03-2006 15:57 Pagina 7 nextfuture 7 Marketing alleato 01 In una recente intervista all’Espresso, il Global Marketing Officer della Procter&Gamble Jim Stengel ha dichiarato “fino a ieri il nostro marketing serviva per vendere. Oggi, prima di vendere, bisogna coinvolgere il cliente, costruire un legame affettivo”. Insomma meno tv, meno focus group, più web e cellulari e soprattutto più contatto diretto con i clienti e alleanze fluide per progettare assieme nuove soluzioni di prodotti e servizi. In altri termini: frequentare i consumatori anziché convincerli. Lungimirante. Nextfuture lo sostiene da tempo e più precisamente fin dal primo numero. Il customer made marketing (vedi Nextfuture n° 8 dedicato alla consumocrazia) è l’ultima frontiera per la riconquista. Anche perché la futura generazione digitale è una generazione di consumatori smaliziata e indipendente. Sul web sta imparando a distribuire consigli e richieste e a documentarsi in modo autonomo. Per fare un esempio: in Germania il 54% dei consumatori si documenta sui prodotti prima dell’acquisto, il 94% utilizza internet per la decisione d’acquisto e il 64% compara i prezzi e cerca l’offerta migliore online. Come dice ancora P&G: “i consumatori sono su internet e noi dobbiamo essere lì con loro”. Come con il portale Club Olay (brand per la cura della pelle) o i vari corporate blog. Brand community per scambio di idee e impulsi che sempre più spesso sfociano in una partecipazione diretta dei consumatori per definire assieme concept del prodotto, caratteristiche del packaging o contenuti delle campagne pubblicitarie. Perché una cosa è chiara: se le aziende cercano fedeltà allora devono rivolgersi ai cani. La futura fidelizazzione umana invece si basa sulla co-progettazione. Procter&Gamble, Philips, Coca-Cola, BMW, Nike, Ikea e Mattel: sempre più aziende e settori sperimentano sofisticate piattaforme e comunità interattive di co-marketing con i consumatori. Il connected marketing è ancora in fase sperimentale ma una cosa è già evidente: le multinazionali più attente ai cambiamenti sociali stanno investendo in quella direzione. Chiaramente tutte devono fare i conti anche con la crescente diffidenza dei consumatori. Disorientato e traumatizzato da anni di continui e ripetuti scandali o frodi, il consumatore è diventato cinico o sospettoso. Forse prima di pensare alla riconquista del portafogli del consumatore bisognerebbe pensare alla riconquista della sua fiducia non giocando sporco. Un comportamento onesto e trasparente alla fine paga sempre. Marketing regalato 02 Scrive Thomas More in Utopia: “Quando il capofamiglia ha bisogno di qualcosa, per sé o per la famiglia, non deve fare altro che recarsi in uno di questi negozi e avanzare la sua richiesta: egli stesso può prendere quello di cui ha bisogno, senza dover pagare nulla, né con il denaro né con prestazioni di lavoro”. Forse non si arriverà a tanto, ma dopo tante strategie svendute, sottocosto e liquidate è giunta l’ora della strategia del dono, per chiedere perdono e riconquistare il consumatore assente. Che invece è ben presente quando si tratta di scartare dei regali. Campioni omaggio, campioni prova per provare a stimolare i consumi. Negli Stati Uniti molti consumatori “sopravvivono” grazie ai campioni omaggio messi a disposizione dalle aziende. E ancora una volta è internet a regalare questa opportunità (basta digitare su Google free stuff o gratis per rendersene conto). Alcuni siti sono dei veri e propri shopping center del gratuito (utilizzati dalle stesse aziende). Ma non si tratta solo di campioni omaggio. La strategia del dono è molto più articolata e sofisticata. Il gratis è nell’aria e sta per spiccare il volo. Dal 2007 Ryanair introdurrà la roulette e altri giochi d’azzardo sui suoi voli a basso costo. Se l’iniziativa avrà successo tutti i biglietti potranno essere gratis. Dunque regalare il prodotto/servizio primario e guadagnare con altri “accessori”. Come anche nel caso di Philips che con Senseo regala in sostanza il prezzo della macchina da caffè (a buon mercato) e si rifà con le costose ricariche di caffè di Sara Lee’s. Esselunga e Gillette hanno invece recentemente inviato in dono (e crediamo a buona parte dei clienti abituali) il nuovo rasoio Mach3 Turbo. Un bel regalo, non c’è che dire. Ma il vero business sono le nuove e costosissime lamette. Sempre Gillette, questa volta in Australia, ha distribuito 2,2 milioni di campioni di Brush Ups. Altri esempi: regalare, far provare e far promuovere i prodotti ai consumatori come nella caso di P&G che con l’iniziativa tremor.com e moms.tremor ha attivato una sofisticata operazione peer to peer oppure e più in generale far provare gratuitamente prodotti e servizi nel loro contesto d’uso (come per esempio le nuove telecamere Sony messe a disposizione nello zoo di Londra o le scarpe Nike durante le prove per la maratona a Vancouver). Regalate dunque, regalate. Prima o poi il consumatore vi gratificherà. Poiché come è noto fin dall’antichità: chi riceve un dono si sente quasi sempre obbligato a ricambiare. 08e09f/1 7-03-2006 15:58 Pagina 8 8 nextfuture sur vival trends Survival innovation Esercizi di rinnovamento 08e09f/1 7-03-2006 15:58 Pagina 9 nextfuture 9 Opinioni 01 Alcuni opinionisti del Financial Times e Economist affermano in modo perentorio: siamo in piena innovation economy. È vero, e ci faremo molto male. Innovazione: la parola più usata e abusata da giornalisti, economisti, manager e politici. Per tutti un’infallibile panacea che guarisce tutti i mali del deconsumismo. Già, ma che c’è di nuovo? Niente, o meglio tutto è nuovo ma quasi niente è una vera novità. Il mercato viene sommerso periodicamente da presunte innovazioni (e infatti ogni anno spariscono dagli scaffali circa il 50% delle miracolose novità). Questa fissa per la novità oscura poi la vista e fa dimenticare che spesso è anche il vecchio che rinnova il mercato (vedi molti prodotti o servizi retrò). Le vere innovazioni rispondono a vere esigenze e desideri dei consumatori. Banale ma spesso fatalmente ignorato, soprattutto quando creativi e inventori (brava gente, ma molto egocentrica) sono all’opera coadiuvati dal whishfull thinking del marketing. Le vere innovazioni le noti subito. L’iPod è innovativo? Sì, perché risponde ad una chiara e manifestata esigenza dei consumatori. Così come Swiffer Dusters di P&G, Actimel di Danone e alcuni ready to drink. Il future store Extra di Metro (in Germania) è innovativo? Tema delicato e controverso. Il supermercato del futuro è indubbiamente un concentrato di innovazioni tecnologiche. Ma bisogna pur dire che la tecnologia è strumentale, ma non sostanziale. Il famoso carrello della spesa dotato di computer e navigatore interattivo è una novità. Ma se poi salta fuori che il consumatore sbadiglia annoiato di fronte a tale meraviglia, allora diventa un inutile gadget (come molti prodotti gonfi di inutili funzioni e accessori che nessuno aveva richiesto). E siamo di nuovo daccapo: che cos’è l’innovazione? Qualcosa che non c’è, qualcosa che non c’è più, qualcosa che c’è nella testa del consumatore. Certo l’innovazione si può anche imporre: la storia dei consumi è ricca di questi esempi. Ma bisogna avere le spalle molto grosse. Meglio osservare scrupolosamente le tendenze e interpretarle in modo innovativo. Semplice e logico come metodo. Ma alla fine un dubbio resta sempre: quanta innovazione può sopportare l’uomo? Innovazioni 02 Andare a caccia di innovazioni non è facile. Si rischia sempre di prendere un abbaglio, di lasciarsi sedurre dalla sorpresa. Ma proviamo lo stesso a citare qualche esempio di approccio innovativo raccolto in giro per il mondo. Innovazione economica e rapida: qbnet è una catena giapponese di negozi di parrucchieri completamente automatizzata e quasi senza personale (cassa, lavaggio e pulizia negozio automatici) che ha avuto il maggior tasso di sviluppo del settore. Sembra quasi di entrare in un autolavaggio self service. Risvolto pratico dell’innovazione: tariffe più basse del quasi 60% rispetto alla media e servizio ultrarapido (10 minuti incluso l’attesa). Innovazione finanziaria convenience: Capitalia è la prima banca italiana ad osare la formula money shop, una banca supermercato accessibile e easy da frequentare con servizi decisamente nuovi per il supponente settore bancario di casa nostra. Già una case history anche all’estero. Innovazione servizievole: Il retailer americano best buy (elettronica di consumo) anziché dannarsi l’anima con la sfiancante guerra all’ultimo prezzo ha puntato tutto sulle squadre mobili di pronto intervento per la riparazione a domicilio. Circa 5.500 persone fanno parte del team. Lo slogan, molto promettente (come servizio): “ ripariamo ogni computer, ovunque voi lo abbiate comprato, a qualunque ora e in ogni luogo”. Non male. Risvolto pratico dell’innovazione: crescita del fatturato 17%. Innovazione abbinata: Procter&Gamble sta investendo molte risorse per trasformare i propri brand in servizio secondo il principio “prodotto + servizio d’impiego”. Per esempio per un perfetto make up P&G propone non solo il prodotto cosmetico ma anche un dosatore per una perfetta applicazione (test in Giappone e Inghilterra). Stesso discorso per i detergenti auto a cui è stato abbinato un dosatore a spruzzo (mr clean auto dry). 10e11f/2 7-03-2006 15:59 Pagina 10 10 nextfuture sur vival trends Survival positioning Esercizi di riposizionamento Radical Cheap convenienza estrema > Aldi, Costco, easyGroup, Tosi, Mac Geiz, QBNET, Ryanair, auto cinesi Chery, Zhongua e Landwind Come tutte le guerre anche la guerra all’ultimo prezzo lascerà sul campo parecchi morti, anzi troppi. I vari modelli delle auto cinesi, prossimamente anche in Italia, costano mediamente il 40% in meno dei loro diretti concorrenti per categoria. Devastante! Reggere i ritmi della discountizzazione coatta non è facile. Ci sarà sempre qualcuno che azzarda un prezzo più basso o promozione audace. Ma non sempre il radical cheap è un gioco a perdere. La Coop sta abbinando magistralmente la convenienza estrema con il consumerismo estremo. La nuova linea di prodotti a marchio Coop per celiaci e quella lanciata lo scorso anno per i lattanti sfidano le aziende e farmacie che fanno cartello con prodotti che costano quasi la metà rispetto a quelli più diffusi sul mercato. Il prodotto come lotta sociale di emancipazione dai prezzi spesso ingiustificatamente troppo elevati. Coerente con la mission. Cheap Chic convenienza con design > Target, H&M, Zara, Ikea, Muji, Decathlon Il cheap chic è una formula discount o piccola alchimia che abbina sapientemente convenienza con design. In sostanza un gioco di equilibrio: il prezzo come elemento accessorio del design e viceversa. Mica tanto facile. Il cheap fashion di Zara o H&M che propongono abiti di tendenza a pochi euro e modelli disegnati da stilisti di fama come Lagerfeld sono esempi di low cost design. Ma chi più di tutti interpreta il cheap chic alla perfezione è Ikea. Un discount nobilitato dal design di qualità senza inutili fronzoli. La piccola lezione: per essere chic non bisogna per forza essere vip. Democratizzazione dell’estetica. Stesso discorso per molti articoli a marchio Decathlon (vedi bici). Ma anche un banale hamburger si può nobilitare con un pochino di buon design. I nuovi McDonald’s alzano il tiro e cambiano look con suggestioni postmoderne e minimal chic. . Cheap Premium esclusività allargata > Häagen-Dazs, Samsung, Starbucks, Sony, iPod, Il confine fra premuim e cheap premium è molto labile e incerto, ma quando il premium diventa “troppo accessibile” e quasi una piccola pratica di mass, beh, allora è cheap. Una volta un weekend a Londra era un lusso, oggi grazie ai pacchetti low cost un lusso cheap. Il televisore Sony costava un tempo anche il doppio rispetto ai prodotti più economici. Non più oggi: basta fare un giro da Media World per rendersene conto. I gelati Häagen-Dazs venduti da Esselunga o Blockbuster sono cheap premium così come il “troppo caro” caffè di Starbucks o il blockbuster tecnologico dell’anno iPod, status symbol accessibile a molte tasche. Un buon esempio simbolico è Sixt Rental Benz. Pochi si possono permettere l’acquisto di una Mercedes Benz cabrio, ma molti il noleggio a 119 euro. Premium per un giorno? Premium esclusività di nicchia > Coach, Lufthansa, Bulgari Hotels, Prada, Apple, Godiva e le edizioni limitate di Nike, Adidas, Coca-Cola o Nokia Ci sono molti modi di interpretare il premium e non sempre il prezzo è l’elemento più appariscente. Anzi, da tempo il lusso non è più solo una questione di prezzo, ma di servizi esclusivi, di tempo regalato (nuovo lusso) e anche di riduzione di possibilità. Limitare l’accesso, limitare la disponibilità e aumentare l’attesa. Il famoso Nike ID Design Lab di New York, negozio specializzato nella personalizzazione di scarpe su misura, riceve solo su appuntamento e non più di tre consumatori per volta. Fa molto club shopping. Il resto è il solito mercato del lusso che per ragioni ben note (aumentano i poveri, ma anche i ricchi) promette assai bene (i ricavi delle 56 aziende che aderiscono ad Altagamma sono cresciuti nel 2005 del 10%) per chi indovina una luxury leadership tematica. Radical Premium esclusività come privilegio > Mybach, Ferrari, PremiumAir, NetJets, Dubai, rivista Absolute Fuori dalla portata per almeno il 99% dei consumatori. Elite allo stato puro. Un posizionamento che dà grandi soddisfazioni per chi sa soddisfare le pretese assai capricciose del vasto e crescente universo dei super ricchi globali. Il successo di Millionaire Fair, la fiera itinerante per nababbi in cerca di costose ostentazioni, o del negozio a Mosca che vende solo prodotti a partire da un milione di dollari piuttosto che gli alberghi giunti ormai a sette stelle sono segnali di un mercato decisamente “privilegiato”. Ma attenzione: esiste anche un radical premium slegato dal vile denaro. Prodotti accessibili per pochi intimi perché solo pochi intimi ne conoscono l’esistenza o le virtù. Il pane di Prata distribuito da Foodoldtime, il cioccolato Amedei, gli sciroppi della Weleda al prugnolo od olivello spinoso, la stessa birra Menabrea & Figli che costa relativamente poco ma che pochi conoscono. La profonda conoscenza e l’arte di saper scegliere come vero ed esclusivo privilegio del futuro? Slow Food come radical premium? In parte sì. 10e11f/2 7-03-2006 15:59 Pagina 11 ea pc hic nextfuture 11 ch Premium o discount. O da una parte o dall’altra. La tanto celebrata polarizzazione del mercato è una semi bufala, già andata a male. In realtà i retailer più ispirati si stanno riposizionando sfruttando nuove posizioni intermedie dove eccellere. Anche perché la spartizione del mercato tra lusso e primo prezzo più che una vera e propria pratica è una teoria o meglio pericolosa dicotomia. Più saggio è ri-interpretare il moribondo mercato della fascia media con nuove formule e posizionamenti. Dunque da polarizzazione a ibridazione. È questione di sfumature: gli esperimenti sono in corso. Proviamo a classificarli. 12e13f/1 7-03-2006 16:11 Pagina 12 12 nextfuture sur vival trends Survival format I Esercizi di riformattazione Il negozio teatro ll negozio laboratorio Su il sipario. Il negozio come luogo di rappresentazione di opere commerciali e di vendita. Prodotti, personale ma anche clienti recitano la parte assegnatagli. Un negozio teatro può essere lirico, tragico, comico, farsesco, d’avanguardia e tutto quello che la nomenclatura di tale attività può suggerire. Esempi: i vari Epicenter di Prada a New York, Tokio e Los Angeles. Luoghi per ospitare eventi culturali che si fondono con la rappresentazione culturale e teatrale dei prodotti. Gli stessi consumatori hanno un ruolo da attori compiacenti. Anche una fabbrica può diventare teatro, come la trasparente Volkswagen di Dresda. Elementi chiave: scale come palcoscenici, percezione del negozio come uno spazio continuo che offre inquadrature inedite, zone che invitano all’azione e interazione. Rivisitazione della vecchia bottega con laboratorio nel retro. Da luogo di aggregazione a luogo di creazione. Nel negozio laboratorio il consumatore viene coinvolto per sperimentare realmente o solo virtualmente la realizzazione di prodotti. Negozi mini fabbrica. Il mega trend del futuro. Esempi: il famoso Nike ID Design Lab di New York, negozio specializzato nella personalizzazione di scarpe, Footsoldier a Tokio che mette in scena un ambiente da fabbrica, la cabina scanner di Levi’s che prende le misure del cliente in una ambientazione tecno lab, lo showroom della Nissan sempre a Tokio e in certo senso anche la Dechatlon con i servizi laboratorio per i clienti. Elementi chiave: sterilità, acciaio, vetro, luci fredde, monitor e interfacce, ambientazione scientifica. Il negozio tempio Il negozio emporio Inebriante come un’esperienza mistica. Il luogo del logo come tempio sacro ha la funzione di dilatare il brand e di raccogliere le anime devote in uno spazio che santifica l’acquisto. Chiaramente trasformare lo shopping in un culto religioso e la merce in una divinità è facile sulla carta ma per niente scontato nella realizzazione pratica. Non bastano bravi architetti e maghi del marketing. Bisogna andare in profondità e prendere confidenza con le faccende religiose. Esempi: Niketown a Londra, un luogo visionario dove il prodotto trascende e diventa una vera icona da ammirare e pregare. Anche alcuni Apple Store più che dei negozi sono dei santuari candidamente e biancamente immacolati. Elementi chiave: altari, soffitti alti, spazi generosi, enormi gigantografie, illuminazione. Grande scelta di specialità o merce alla rinfusa in spazi ristretti. Ambiente a prima vista caotico e mal gestito. Apparentemente un’anacronistica e disordinata accozzaglia di prodotti spesso sfusi che non può funzionare nell’era del retail ipermoderno. Invece funziona. Chiaramente non basta recuperare i linguaggi e le atmosfere del passato. Bisogna avere anche la “sostanza” e personale vocato per l’impresa. Come a Parigi l’enoteca La Cave D’Antan o la formagerie P.Troote e a Milano la farmacia Legnani o la trattoria il Tagiura. Approcci comunque riproducibili con un minimo di sforzo come dimostra il caso del retailer australiano Lush, che fa molto bancarella ambulante e le stesse Crai e Auchan con i dispenser di merce sfusa. Elementi chiave: merce sfusa, promozione e comunicazione scritta a mano, vocazione del personale. Il negozio galleria Il negozio temporaneo Il negozio concepito come un complesso di sale e spazi, spesso comunicanti, dove esporre la merce come piccole opere d’arte. Non necessariamente bisogna ricalcare un ambiente da Triennale, basta ispirarsi in senso lato all’arte e/o alla purezza estetica. Esempi: Camper Infoshop a Londra, dove non è il prodotto a mettersi in mostra ma le idee e le informazioni con un patchwork artistico. Esposizione artistica ma anche razionale per l’enoteca Lavinia di Parigi, dove ogni bottiglia trova la giusta cornice e spazio per raccontare la sua storia. Prosciutto Bar che mette in mostra il prosciutto con rigore estetico. Ma anche un ipermercato può regalare piccole narrazioni artistiche o comunque estetiche impaginando alcuni reparti come dei quadri. Per esempio Iper di Finiper. Negozi in turneé nelle città che contano, concepiti come un evento esclusivo o servizio di catering, aperti pochi mesi, settimane, o addirittura giorni in magazzini e spazi abbandonati, fiere, gallerie d’arte, o anche centri commerciali. Esempi: il Levi’s Temporary Store di Corso Vittorio Emanuele a Milano, lo storico Guerrilla Store des Garcons di Berlino, Unilever che ha aperto a New York e Chicago per pochi giorni dei temporary coiffeur per promuovere lo shampoo Suave, Nike con l’iniziativa Nike Runner’s Lounge e poi i vari Target, Vacant, Sharp Electronics e JCPenney. Tutti a sperimentare la formula del retail stagionale. Elementi chiave: il tempo, la location, esclusività ed edizioni limitate, ma anche stock invenduti. nextfuture 13 Proviamo a riformattare il concetto di format. Che forma può prendere un format, dunque una profumeria, una libreria, un supermercato, un department store o un negozio di abbigliamento? Nextfuture propone 12 profili di come interpretare la forma del format (vedi pag. 12 e 14). Ovviamente scatole vuote da riempire con sostanza vera. Altrimenti è un inutile esercizio di retail design e codifica modelli. E sappiamo dove spesso porta: all’ammirazione, ma non all’acquisto 14e15f/1 7-03-2006 16:02 Pagina 14 14 nextfuture sur vival trends Survival format II Esercizi di riformattazione BLOG SHOP IL NEGOZIO PER La futura generazione digitale pretende che il negozio fisico sia una risorsa aperta. La sfida per il retail: progettare il punto vendita come un blog. L’HOMO S@PIENS P 14e15f/1 7-03-2006 16:02 Pagina 15 nextfuture 15 Il negozio borsa Il negozio cassaforte Il negozio che oscilla continuamente e sposa le logiche della Borsa Valori. Giocare al rialzo, giocare al ribasso. Quotazioni just in time. Classificare, recensire, giudicare, votare, comparare, contrattare e poi comprare. Su internet un classico da tempo (vedi Froogle). Lo shopping si trasforma in ranking. Esempio: Ranking Ranqueen a Tokio, negozio innovativo e postmoderno che basa l’assortimento sulla classifica dei prodotti più venduti e votati in un ambiente che evoca le convulse trattative in Borsa. Elementi chiave: ranking, interattività, riduzione e disponibilità limitata nel tempo dell’assortimento. Variante collegata, l’auction shooping. L’eBay generation cresce e impone una svolta. I retailer devono soddisfare la crescente mania per la contrattazione e proporre, con varie modalità, le aste nel proprio negozio. Merce da nascondere e quasi da sottrarre alla vista del potenziale cliente. Il negozio che custodisce prodotti o servizi di presunto valore superiore. D’istinto viene in mente Tiffany. In realtà la forma della cassaforte o stanza del tesoro si presta per qualunque genere di prodotto e non solo per quelli pregiati o ultra costosi. Il settore dell’abbigliamento evoca in molti casi l’ambientazione della gioielleria o addirittura della banca. Esempi: Baccarat a Parigi, luci soffuse, per il consumatore un’esperienza quasi “proibita”, prodotti che si possono a malapena intravvedere: negozio di ottica Michel Guillon a Londra, esposizione da caveau e richiamo alle cassette di sicurezza delle banche. Elementi chiave: ambiente buio e illuminazione mirata, guardare ma non toccare, personale con un aria da security guard. Il negozio ristoratore Il negozio comunitario Si consumano sempre più pasti fuori casa. Viene naturale abbinare lo shopping all’eating. Il negozio come luogo dove riprendere fiato e ricaricarsi, magari sorseggiando e addentando qualcosa di buono. Niente di nuovo ma se ben concepito il punto vendita ristoratore è quasi sempre un plus o side business per qualunque merceologia come dimostra il caso delle lavanderie self service Cleanicum (in Germania) che propone alla clientela un’ampia zona relax con internet caffè. Altri esempi: Windsor ad Amburgo con le sue atmosfere da lounge caffè, i punti ristoro dei flagship dell’insegna Feltrinelli affidati a specialisti del settore e con sempre maggiore frequenza le catene food della grande distribuzione che anche in Italia stanno sperimentando aree di ristorazione professionale nei propri pdv. Il negozio che aggrega interessi comuni. Si può imparare molto dalle comunità o più semplicemente dalle botteghe del mondo (vedi commercio equo solidale). Ma anche retailer “normali” si avvantaggiano della formula del relationship e community retail per creare aggregazione attorno alle novità da collaudare magari in anteprima. Esempi: Shiseido a Berlino, prodotti da provare e contemplare ma non da comprare; Samsung Experience Showroom a New York, 930 mq di pura esperienza e visione prodotti futuri e la solita Apple che con i flagship Apple Store e con i nuovi Apple Mini Retail Stores punta (da sempre) al community retail esperienziale. Elementi chiave: coinvolgimento e frequentazione consumatori, ambiente open source, anteprima prodotti, condivisione interessi e passioni. Il negozio soggiorno Il negozio esemplare “Ti invito a casa mia”. Soggiornare in un negozio. Il retail come rito casalingo, luogo ospitale dove trascorrere serenamente e comodamente il proprio tempo. Esempi: 55 DSL a Londra, piccolo spazio raccolto e domestico che coccola il consumatore; il flagship Ralph Lauren di Via Montenapoleone a Milano, praticamente una grande e raffinata casa con tanto di veri tappeti persiani, poltrone di pelle, o (in una logica di facilities e servizio) Marks&Spencer che conscio del fatto che per molti uomini non c’è tortura peggiore che accompagnare la moglie a fare shopping ha allestito nei propri pdv angoli relax con divani e tv sintonizzata sui canali di sport. Elementi chiave: atmosfere morbide e avvolgenti, cura dei dettagli (come a casa), intimità, apparente casualità nella disposizione (ambiente vissuto). Puntare sulla forma unica. Può una catena abbinare il principio seriale a una radicale diversificazione e moltiplicarsi con esemplari unici? Sembra un azzardo ma MPreis, catena di supermercati austriaca, ha proprio puntato su questa strategia. Ogni supermercato è un’opera a sé concepita tenendo conto delle peculiarità, anche architettoniche e paesaggistiche, del territorio. In sostanza il classico “pensa globalmente ma agisci localmente”, con rispetto per la storia e la gente del posto. L’esatto contrario dell’invadenza estetica a cui ci hanno abituati molti retailer in franchising. Anche gli Epicenter Prada sono esemplari unici, quelli però non sono negozi per vendere ma solo per pretendere rispetto per il brand. Elementi chiave: unicità del progetto, rispetto per il contesto ambientale, personalizzazione e diversificazione dell’ offerta. 01 cover e quartanew 7-03-2006 15:51 Pagina 2 “Il futuro è già scritto. Leggetelo in anteprima” Firmato