Pet therapy

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Pet therapy
Pet Therapy
Animali terapeuti
Il termine pet therapy indica una serie complessa di utilizzi del rapporto uomo-animale in campo medico
e psicologico.
Nei bambini con particolari problemi, negli anziani e in alcune categorie di malati e di disabili fisici e
psichici il contatto con un animale può aiutare a soddisfare certi bisogni (affetto, sicurezza, relazioni
interpersonali) e recuperare alcune abilità che queste persone possono aver perduto.
La soddisfazione di tali bisogni, necessaria per il mantenimento di un buon equilibrio psico-fisico, è uno
degli scopi della pet therapy che offre, attraverso alcune Attività Assistite dagli Animali (AAA),
soprattutto quelli detti d'affezione o da compagnia, cui si riferisce il termine pet nella lingua inglese, una
possibilità in più per migliorare la qualità della vita e dei rapporti umani.
La pet therapy può anche contribuire, affiancando ed integrando le terapie mediche tradizionali, al
miglioramento dello stato di salute di chi si trova in particolari condizioni di disagio, attraverso Terapie
Assistite dagli Animali (TAA), interventi mirati a favorire il raggiungimento di funzioni fisiche, sociali,
emotive e/o cognitive.
È stato infatti rilevato da studi condotti già negli scorsi decenni e oggi comprovati da sempre più
numerose esperienze, che il contatto con un animale, oltre a garantire la sostituzione di affetti mancanti
o carenti, è particolarmente adatto a favorire i contatti inter-personali offrendo spunti di conversazione,
di ilarità e di gioco, l'occasione, cioè, di interagire con gli altri per mezzo suo.
Può svolgere la funzione di ammortizzatore in particolari condizioni di stress e di conflittualità e può
rappresentare un valido aiuto per pazienti con problemi di comportamento sociale e di comunicazione,
specie se bambini o anziani, ma anche per chi soffre di alcune forme di disabilità e di ritardo mentale e
per pazienti psichiatrici.
Ipertesi e cardiopatici possono trarre vantaggio dalla vicinanza di un animale: è stato, infatti, dimostrato
che accarezzare un animale, oltre ad aumentare la coscienza della propria corporalità, essenziale nello
sviluppo della personalità, interviene anche nella riduzione della pressione arteriosa e contribuisce a
regolare la frequenza cardiaca.
Che si tratti di un coniglio, di un cane, di un gatto o di altro animale scelto dai responsabili di programmi
di pet therapy, la sua presenza solitamente risveglia l'interesse di chi ne viene a contatto, catalizza la
sua attenzione, grazie all'instaurazione di relazioni affettive e canali di comunicazione privilegiati con il
paziente, stimola energie positive distogliendolo o rendendogli più accettabile il disagio di cui è portatore.
I bambini ricoverati in ospedale, ad esempio, soffrono spesso di depressione, con disturbi del
comportamento, del sonno, dell'appetito e dell'enuresi dovuti ai sentimenti di ansia, paura, noia e dolore
determinati dalle loro condizioni di salute, e dal fatto di essere costretti al ricovero, lontani dai loro
familiari, dalla loro casa, dalle loro abitudini. Alcune recenti esperienze, condotte in Italia su bambini
ricoverati in reparti pediatrici nei quali si è svolto un programma di Attività Assistite dagli Animali,
dimostrano che la gioia e la curiosità manifestate dai piccoli pazienti durante gli incontri con l'animale
consentono di alleviare i sentimenti di disagio dovuti alla degenza, tanto da rendere più sereno il loro
approccio con le terapie e con il personale sanitario. Le attività ludiche e ricreative organizzate in
compagnia e con lo stimolo degli animali, il dare loro da mangiare, il prenderli in braccio per accarezzarli
e coccolarli hanno lo scopo di riunire i bambini, farli rilassare e socializzare tra loro in modo da sollecitare
contatti da mantenere durante il periodo più o meno lungo di degenza, migliorare, cioè la qualità della
loro vita in quella particolare contingenza.
Altre esperienze di Attività Assistite dagli Animali riguardano anziani ospiti di case di riposo. Si è
osservato che a periodi di convivenza con animali è corrisposto un generale aumento del buon umore,
una maggiore reattività e socievolezza, contatti più facili con i terapisti. Un miglioramento nello stato
generale di benessere per chi spesso, a causa della solitudine e della mancanza di affetti, si chiude in se
stesso e rifiuta rapporti interpersonali.
Nel campo delle Terapie Assistite dagli Animali, dove le prove di un effettivo miglioramento dello stato
di salute di alcuni pazienti si stanno accumulando nella letteratura scientifica, la pet therapy propone coterapie dolci da affiancare alle terapie mediche tradizionali e, attraverso un preciso protocollo terapeutico,
è diretta a pazienti colpiti da disturbi dell’apprendimento, dell’attenzione, disturbi psicomotori, nevrosi
ansiose e depressive, sindrome di Down, sindrome di West, autismo, demenze senili di vario genere e
grado, patologie psicotiche, ma anche a quanti necessitano di riabilitazione motoria come chi è affetto da
sclerosi multipla o reduce da lunghi periodi di coma. L’intervento degli animali, scelti tra quelli con
requisiti adatti a sostenere un compito così importante, è mirato a stimolare l’attenzione, a stabilire un
contatto visivo e tattile, un’interazione sia dal punto di vista comunicativo che emozionale, a favorire il
rilassamento e a controllare ansia ed eccitazione, ad esercitare la manualità anche per chi ha limitate
capacità di movimento, a favorire la mobilitazione degli arti superiori, ad esempio accarezzando l’animale,
o di quelli inferiori attraverso la deambulazione con conduzione dell’animale la cui presenza rende gli
esercizi riabilitativi meno noiosi e più stimolanti.
Le attività di Pet Therapy sono caratterizzate, tuttavia, da una grande eterogeneità, sia per quanto
riguarda il percorso formativo degli operatori, sia per la tipologia degli utenti e le metodologie adottate. Il
crescente interesse in materia e la mancanza di strumenti legislativi che regolino le terapie svolte con
l’ausilio degli animali, ha fatto sorgere la necessità di effettuare da parte dell'Istituto Superiore di Sanità
una ricognizione delle attività svolte a livello nazionale.
Il rapporto include i risultati di un censimento delle terapie e attività assitite in alcune regioni italiane e
presenta alcuni esempi di attività svolte sul campo. Vengono esaminati i problemi etici legati all’utilizzo
degli animali a fini terapeutici e di assistenza e suggerite linee guida per una corretta pratica di queste
attività.
Consulta il rapporto:
Istituto Superiore di Sanità
Terapie e attività assistite con gli animali: analisi della situazione italiana e proposta di linee
guida
Centro di referenza nazionale
Il Ministero, con decreto del 18 giugno 2009, ha attivato presso la sede territoriale di Verona e Vicenza
dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie il Centro di Referenza Nazionale per gli
interventi assistiti dagli animali (Pet therapy).
Le principali attività del Centro riguardano:
•
la promozione della ricerca per la standardizzazione di protocolli operativi per il controllo
sanitario e comportamento degli animali impiegati nei programmi di IAA (interventi assistiti
con gli animali)
•
il potenziamento delle collaborazioni fra medicina umana e veterinaria per individuare sinergie
operative e di ricerca in grado di garantire un miglioramento dei risultati delle attività svolte
nel settore di interesse
•
il miglioramento delle conoscenze circa l’applicabilità di tali interventi in determinate categorie
di pazienti (anziani, bambini affetti da autismo, disabili psichici)
•
l’organizzazione e gestione di percorsi formativi
•
la raccolta di dati e la diffusione di informazioni alla comunità scientifica internazionale.
Bioetica
La pet therapy deve rappresentare l’applicazione di una precisa cornice teorica, la zooantropologia, che
studia il significato beneficiale della relazione con l’animale e le diverse leve che ne permettono
l’applicazione corretta e ad hoc rispetto alla varietà dei problemi su cui è chiamata ad intervenire.
Differenti sono i bisogni specifici dei vari pazienti e differenti dovranno essere i percorsi di cambiamento
che essi dovranno compiere per ottenere beneficialità.
In altre parole per dare un servizio adeguato, non si deve realizzare una relazione generica uomoanimale, bensì una dimensione di relazione specifica capace di produrre quei contributi al cambiamento di
cui necessita la persona.
Al fine dunque di realizzare una pet therapy in linea con le ricerche della zooantropologia e cioè non
svincolata dalla conoscenza scientifica, si è deciso nel 2000 di realizzare un tavolo di lavoro tra tutti
coloro cha a vario titolo negli ultimi dieci anni si erano occupati di pet therapy.
Ne è sorto un progetto definito Carta Modena (pdf, 24 KB), per la sede che ha ospitato i lavori, teso a
sancire i principi ed i valori dell’approccio relazionale ossia dell’utilizzo della relazione uomo animale a
scopo beneficiale.
Carta Modena siglata nel 2002, ha ricevuto il patrocinio del Ministero della Salute e resta tuttora un
cantiere aperto giacché quotidianamente riceve le adesioni di Comuni, Istituti, Università, Regioni,
Associazioni, etc.
La Carta costituisce un documento importante in una logica di salvaguardia del diritto, del principio di
relazione, della professionalità, in un’ottica di sviluppo e di ampliamento della pet therapy che può
rappresentare fonte di benessere per molte persone e bacino di occupazione per molti giovani.
La relazione terapeutica o assistenziale con l’animale, che ha come finalità la promozione del benessere e
della salute degli esseri umani, ha determinato anche l’esigenza di approfondire i problemi etici che
possono derivare da questo particolare impiego degli animali. Tali problemi sono stati ritenuti oggetto di
interesse da parte del Comitato Nazionale per la Bioetica che nel 2002 ha istituito un gruppo di lavoro
in materia.
Dopo vivaci discussioni, nella seduta plenaria del 21 ottobre 2005 il Comitato ha poi approvato
all’unanimità il documento: Problemi bioetici relativi all’impiego di animali in attività correlate
alla salute e al benessere umani (pdf, 306 KB).
Il documento esamina in particolare la pet therapy, l’addestramento degli animali da assistenza e la
convivenza con un animale da compagnia (in un luogo di ricovero o nella propria abitazione) di un
individuo particolarmente fragile da un punto di vista psicologico o fisico.
A riprova del fatto che gli animali abbiano assunto nel tempo un’importanza crescente sia in ambito
bioetico che giuridico, oltre che presso l’opinione pubblica, c’è anche l’approvazione da parte del consiglio
nazionale FNOVI (Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani), del nuovo Codice deontologico per
medici veterinari che introduce un cambiamento sostanziale definendo gli animali come “esseri
senzienti”.
Ippoterapia
L'ippoterapia, o equitazione a scopo terapeutico, ha origine empiriche antiche perché il cavallo, con le sue
straordinarie doti di sensibilità, di adattamento, di intelligenza è ritenuto, da sempre, e non a torto,
"straordinaria medicina".
L’uso dell’equitazione a scopo terapeutico ha avuto inizio già nell’opera di Ippocrate di Coo (460-370
a.C.), che consigliava lunghe cavalcate per combattere l'ansia e l'insonnia. Una prima documentazione
scientifica sull'argomento la dobbiamo al medico Giuseppe Benvenuti (1759).
Alla fine della prima guerra mondiale il cavallo è entrato nei programmi di riabilitazione, inizialmente in
Scandinavia e in Inghilterra, poi in numerosi altri paesi.
L' ippoterapia, detta Terapia con il Mezzo del Cavallo (TMC), è stata introdotta in Italia nel 1975 dalla
dottoressa belga Danièle Nicolas Citterio che ha contribuito all’uso terapeutico del cavallo attraverso
anche l’opera dell’Associazione Nazionale Italiana per la Riabilitazione Equestre (ANIRE).
L’ippoterapia agisce grazie all’interazione uomo-cavallo a livello neuro-motorio e a livello neuropsicologico.
L’International Therapeutic Riding Congress di Amburgo del 1982 ha definito tre diverse fasi o
metodologie d’intervento terapeutico all’interno della riabilitazione equestre:
1.
Ippoterapia propriamente detta
costituisce l’approccio iniziale al cavallo e al suo ambiente, si svolge quindi prima a terra e
successivamente sull’animale accompagnato da un istruttore. E' riservata dunque a disabili
incapaci di mantenere la posizione in sella e di condurre il cavallo in modo autonomo.
2.
Rieducazione equestre
vede il cavaliere impegnato nella conduzione attiva del cavallo, sotto il controllo del terapista, e
mira a raggiungere quegli obiettivi tecnico-riabilitativi specifici secondo il programma terapeutico
prestabilito per quel paziente.
3.
Equitazione sportiva per disabili
rappresenta il raggiungimento di una notevole autonomia del soggetto, con possibilità di svolgere
normale attività di scuderia e di equitazione, a volte agonistica.
Perché la terapia a cavallo funziona così bene?
•
perché il cavallo si muove alle varie andature con movimenti ritmici e per questo prevedibili, ai
quali perciò è più facile adattarsi con i movimenti del corpo
•
perché il cavallo è estremamente sensibile al linguaggio del corpo inteso come gestualità e,
essendo un animale altamente sociale, è comunque molto recettivo verso tutti i tipi di
comunicazione
•
perché per andare a cavallo, alle varie andature, si impegnano numerosi gruppi muscolari e si
coinvolgono vari campi della psicofisiologia e della psicomotricità
•
perché in grado di generare sentimenti ed emozioni intense; è ormai riconosciuto il valore del
coinvolgimento emotivo nel processo di apprendimento
•
perché le stimolazioni visuo-spaziali fornite dal particolare ambiente del maneggio con variazioni
cromatiche e di luminosità in relazione anche con il movimento del cavallo sollecitano
un’attenzione visiva finalizzata, facilitando così l’acquisizione della dimensione dello spazio
•
perché gli ambienti dove vivono i cavalli hanno rumori ed odori caratteristici e per questo molto
evocativi
•
perché si ottiene una stimolazione tattile intensa tramite il contatto con un animale di grandi
dimensioni, che aiuta la presa di coscienza e la conoscenza di sé e del proprio corpo
•
perchè il cavallo è un essere che esprime emozioni proprie come la paura in cui ci si può
riconoscere e dove si può assumere un ruolo rassicurante; allo stesso tempo, montare a cavallo,
cioè su un animale grande e potente, offre sensazioni di protezione, di autostima e fiducia in se
stessi
•
perché possiede tutte le qualità - calore, morbidezza, odore, movimenti regolari, grandi occhi con
sguardo intenso - necessarie a stimolare il processo di attaccamento fondamentale per lo sviluppo
dell’essere umano
•
perché andare a cavallo permette di stabilire contatti fisici e permette anche di essere gratificati,
sia dall’offrire cure, carezze e massaggi, sia dal ricevere come risposta ai nostri comportamenti
manifestazioni di gratificazione da parte dell’animale.
Delfinoterapia
La DAT (Dolphin Assisted Therapy = terapia assistita con i delfini) è una terapia molto controversa e
prevede una stretta interazione con i delfini di solito nuotando con questi animali in cattività o nel loro
ambiente naturale, ed è proposta come trattamento o palliativo di malattie e invalidità. La sua efficacia
non è tuttavia scientificamente dimostrata.
La WDCS - Whale and Dolphin Conservation Society (North America), che è una delle associazioni
mondiali più importanti per la conservazione delle balene e dei delfini, in una recente relazione dal titolo
"possiamo fidarci della terapia assistita con i delfini?" ha messo, inoltre, in luce la scioccante verità che
sta dietro a questa industria in rapido espansione.
La WDCS auspica perciò un totale divieto della terapia assistita con i delfini visto che tale terapia, oltre a
non avere dei supporti scientifici riguardo alla sua efficacia, risulta essere potenzialmente pericolosa sia
per le persone che per gli animali.
Con un’azione sostenuta dall’Istituto per la ricerca sull’autismo, la WDCS ha richiesto tale divieto, dopo
che le ricerche sulla terapia assistita con i delfini hanno messo in evidenza che:
non c’è nessuna prova scientifica che dimostri che questa terapia sia efficace;
non esiste nessuno standard ufficiale o regola che governi questa industria;
i delfini sono prelevati dal loro ambiente naturale per rifornire il crescente numero di impianti
dove si effettua la DAT, e questo ha delle serie implicazioni nella conservazione e nel benessere di
questi animali;
sia le persone che gli animali possono essere esposti ad infezioni e lesioni quando partecipano alla
DAT;
la DAT è molto costosa a dispetto della mancanza di prove della sua efficacia mentre ci sono altre
terapie disponibili che sono sia più economiche che più facili da ottenere.
Molti ricercatori concordano con questa relazione evidenziando anche l’alto rischio di speculazione visto lo
stato di necessità dei pazienti e delle loro famiglie.
Un altro aspetto inquietante è la terribile mattanza di delfini effettuata dai pescatori giapponesi i quali
sostengono che uccidere i delfini rappresenta la modalità migliore per preservare le risorse ittiche. Questa
discutibile pratica sembra invece più motivata dalla domanda dei delfinari che richiedono sempre nuovi
esemplari cuccioli da utilizzare nei "programmi di nuoto con delfini", che sono diventati il nuovo grande
business delle strutture di cattività di tutto il mondo.
La cattura di questi animali giovani, separati, sia dalle loro madri che vengono uccise, sia dal loro
ambiente naturale, è una esperienza incredibilmente stressante tanto che molti soggetti muoiono proprio
a seguito di tale cattura; inoltre le aspettative di vita di tali animali in cattività sono sensibilmente
inferiori a quelle allo stato libero.
Questa pratica brutale è stata già denunciata da alcuni Onorevoli (Bonelli, Balducci, Boato, Cassola, De
Zulueta, Francescato, Fundarò, Lion, Pellegrino, Camillo Piazza, Poletti, Trepiccione, Zanella), i quali nel
settembre 2006, con una mozione (n.1-00031), impegnavano il governo a:
chiedere ufficialmente al Governo Giapponese di porre fine a una pratica barbara e cruenta come
il massacro di migliaia di cetacei ogni anno;
prevedere l’adozione immediata di iniziative sia in ambito nazionale che in ambito comunitario,
per la condanna di simili atti, considerando che i cetacei, quali specie migratorie, non possono
essere considerate di "proprietà" di un singolo Stato e che sono protetti da normative
internazionali quali la Convenzione di Washington".
In Italia, grazie al Decreto n. 468, del 6 dicembre 2001, del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio è vietato fare il bagno con i delfini.
Infatti nella parte B (Requisiti minimi necessari per il mantenimento in cattività di esemplari di delfini
appartenenti alla specie Tursiops Truncatus - Strutture, spazi, attività, gruppi sociali) dell’allegato al
Decreto il punto 37 dispone che "il nuoto con i delfini è vietato; è invece permesso solo all’addestratore.
Al veterinario, al biologo e al curatore è consentito di effettuare immersioni con i delfini allo scopo di
provvedere alla loro cura o alla ispezione delle strutture. Altri soggetti possono essere autorizzati,
solamente per scopi scientifici, dall’Autorità di gestione CITES, sentita l’Autorità scientifica CITES".