Numero 32 - Ricreatorio San Michele
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Numero 32 - Ricreatorio San Michele
ALTA UOTA Anno 6 Numero 32 doppia edizione Luglio-Agosto/Settembre-Ottobre 2010 Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005 Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121 www. fvgsolidale.regione.fvg.it Segreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.org Direttore responsabile: Andrea Doncovio Redattori: Simone Bearzot, Norman Rusin, Giuseppe Ancona, Lorenzo Maricchio, don Moris Tonso, Sandro Campisi, Silvia Lunardo, Vanni Veronesi, Sofia Balducci, Christian Franetovich, Marco Simeon, Alessandro Morlacco, Manuela Fraioli, Cristian Furfaro, Giulia Bonifacio. Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Graphic 2 - Cervignano RITA VRECH p. 3 © FLICKR/ph. LUFTBRUCKE SABATINO MANSI p. 3 LUCIANO TROMBIN p. 3 GIOVANNI SARDELLA p. 2 Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org ELISABETTA MATASSI p. 4 SANTI, POETI ED EVASORI Pagare le tasse è un dovere di ogni contribuente, cioè di ogni soggetto fisico o giuridico che produce ed utilizza ricchezza. Con i proventi della tassazione lo Stato, cioè la collettività, garantisce una serie di servizi che non sarebbe altrimenti possibile ottenere individualmente. Fatta questa affermazione di carattere generale, rispetto alla quale cercheremo di offrire conferme ed approfondimenti, mi colpisce una interpretazione tutta nostra del concetto. E per nostra intendo dire ‘italica’; sembra proprio che l’evasione fiscale sia lo sport nazionale e che l’entità ‘Stato’ sia del tutto estranea alla civile, solidale e partecipata comunità dei nostri connazionali. È un atteggiamento che poco ha a che fare con la dislocazione geografica e ancor meno con lo schieramento politico o con la posizione economica. Probabilmente però ha profonde radici storiche e culturali. Tutti noi di fronte alla possibilità di pagare un bene o un servizio un po’ meno, evitando la componente fiscale, non abbiamo dubbi. Si tratti del carrozziere che ci ripara il danno all’auto, o del dentista che ci cura una carie, se non lo fa lui lo chiediamo noi: si può fare un pochino a nero? Tutti sappiamo bene cosa significa, ma ancor peggio, ce ne vantiamo, o quantomeno lo riteniamo del tutto accettabile al punto da ritenere che vada bene così. Che ovunque al mondo vada così: non è assolutamente vero! Ribadisco, il vero problema non è tanto l’evasione fiscale. I furbi esistono da sempre e ovunque. Il vero problema è culturale; è la mentalità diffusa e radicata che non ci fa percepire quel sentimento rigoroso ed al contempo solidale ben noto nel resto del mondo: se le tasse non le paghi tu, vuol dire che io ne devo pagare di più. E non solo. Se i servizi a cui abbiamo diritto come contribuenti non rispondono appieno ai nostri bisogni, la soluzione non sta nella ‘raccomandazione’, ma nella civile rivendicazione. Diritto per chi il servizio lo percepisce e dovere per chi il servizio lo eroga. Ovviamente tutto questo è posto in termini generali. Esistono sicuramente eccezioni e particolarità virtuose, ma generalmente le cose stanno proprio così. Come pure la stessa fiscalità deve essere trattata in termini generali, evitando di contemplare distinzioni particolari; proprio in questo sta la giustizia del fisco: essere uguale per tutti significa sempre scontentare qualcuno. Nel trattare l’argomento ne conoscevamo fin dall’inizio la delicatezza e sapevamo che avremmo sentito lamentele e proteste, ma anche proposte e soluzioni fra le più bizzarre. Riporteremo tutto ciò che in tal senso può aiutarci a comprendere le ragioni più diffuse e approfondire il disagio che pare più acuto in momenti difficili come quello che stiamo vivendo. Personalmente ritengo che la causa originaria di questo nostro diffuso malessere verso le tasse e la cosa pubblica stia nella storia che ha visto la nascita della nostra comunità nazionale. È una storia molto recente in rapporto a tanti altri paesi ricchi e civili come il nostro. Il prossimo anno celebreremo i 150 anni dall’unità d’Italia: un’unità peraltro parziale, compiutasi solo dopo il primo conflitto mondiale e già modificatasi dopo il secondo. Una unità che non nasce per volontà popolare, ma per accordi internazionali di opportunità ed equilibrio continentale. Una unità che, sancita da poteri forti, è stata priva di partecipazione per oltre mezzo secolo (il suffragio universale maschile sarà solo del 1918, mentre le donne voteranno solo dopo la seconda guerra mondiale). Una unità che abbracciava popoli geograficamente distanti fra loro, che parlavano lingue diverse, dove il tasso di analfabetismo, ufficialmente superiore al 70%, di fatto era del 95%. Una unità rappresentata per oltre un secolo da uno Stato che mostrerà il pugno di ferro contro un popolo affamato e privo di diritti. I moti di protesta in Sicilia e Veneto saranno sedati dall’esercito e lo stesso fenomeno del banditismo diffusosi nel sud fu, di fatto, una forma di protesta economica messa a tacere nel sangue. Le vittime furono migliaia e fu introdotta la legge marziale. Poi ci fu una guerra. A ciò si avvicendò una dittatura. Non esprimo giudizi, ma ogni oggettivo miglioramento delle condizioni economiche e sociali non può trovare l’avallo della storia in condizioni di libertà negata. Il posizionamento inter- MANLIO GAROFALO p. 4 TRA FURBETTI E RESPONSABILITÀ: CHI PAGA PANTALONE? nazionale dell’Italia non è stato sicuramente tale da attirare le simpatie: in entrambi i conflitti mondiali abbiamo cominciato da una parte e terminato dalla parte opposta. Rendendoci odiosi ai nemici ed inaffidabili agli alleati. Risultato: di fatto sono solo poco più di cinquant’anni che in Italia esiste lo Stato sociale, la giustizia universale ed il riconoscimento internazionale. In un quadro così disastrato, abbiamo compiuto passi da gigante, entrando a far parte in breve tempo delle più grandi potenze economiche mondiali e diventando protagonisti dell’unità europea (ancora tutta da realizzare). E come sarebbe stato possibile se non con quella nostra tipica ed innata capacità di ‘arrangiarci’? Senza la nostra ‘creatività’ anche fiscale? Non so se ho trovato la giusta chiave di lettura di questo distorto e tutto italiano modo di rapportarci con il fisco. In realtà ci ho provato cercando di capire innanzi tutto me stesso ed i miei comportamenti e le ragioni profonde, quasi istintive, che li producono. Io penso in ultima analisi che sia un po’ come per i ‘condizionamenti ambientali’: se ci troviamo in un ambiente sporco, trascurato, disordinato ci risulta naturale gettare a terra la cartina della caramella, ma se ciò che ci circonda è lindo, pulito, ordinato, magari la stessa cartina ce la mettiamo in tasca. GIUSEPPE ANCONA 2 IL PUNTO Il 26 agosto scorso, a Bari, è stato presentato il Rapporto annuale 2010 dello Sportello del Contribuente: un momento importante per la conoscenza della situazione del fisco italiano. Ebbene, anche questa volta le notizie sono pessime, tanto per cambiare. Un dato su tutti deve far riflettere: il nostro paese incassa solamente il 10,4% di quanto il fisco non riesca ad accertare. Detto in termini rovesciati, il fisco italiano perde per strada il 90% di ciò che gli spetta. Diciamolo: è un dato semplicemente MOSTRUOSO. Specialmente se paragonato a quanto riescono a riscuotere gli altri paesi: USA 94%; Inghilterra 91%; Francia 87%; Belgio 84%; Spagna 81%; Svezia 80%; Romania 64%; Turchia 58%; Albania 44%; Grecia 31%. Ogni anno, in Italia, si evadono dai 125 ai 163 miliardi di euro, sparsi fra imposte dirette, IVA e IRAP; nel 2009, ad esempio, dei 26, 34 miliardi di euro accertati, il fisco ne ha guadagnati solo 2, 74: il 10,4%. 23,6 miliardi di euro in fumo, nonostante i tantissimi controlli - siamo fra i primi in Europa per numero di accertamenti - effettuati dalla Guardia di Finanza in tutta Italia: una cifra che corrisponde a una finanziaria annuale (l’ultima doveva essere inferiore ai 9 miliardi, ma a giugno si è aggiunta la manovra “correttiva” di altri 24,9 miliardi…). Oltre al dichiarato e non riscosso c’è, ovviamente, anche il non dichiarato: ben il 50,5% del reddito imponibile. Il Rapporto è chiaro a proposito dell’identità degli evasori fiscali, come dimostra il grafico in cui sono indicate le percentuali per categoria lavorativa: a primeggiare sono gli industriali, seguiti a ruota da bancari e assicurativi. Con grande distacco ecco poi commercianti, artigiani, professionisti e, ultimi, i lavoratori dipendenti. Non ci sono particolari dubbi nemmeno sulla loro localizzazione: a livello regionale, il primato per l’aumento dell’evasione nei primi mesi del 2010 spetta alla Lombardia (+10,1%), seguita da Veneto (+9,2%), Campania (+8,04%), Valle D’Aosta (+7,3%), Lazio (+7,1%), Liguria (+6,3%), Emilia Romagna (+6,1%), Toscana (+5,4%), Piemonte (+5,2%), Marche (+5,0%), Puglia (+4,5%), Sicilia (+4,5%) e Umbria (+4,4%). Ed ecco che riaffiora la solita, annosa domanda: quanto conta, nella nostra economia, il famoso sommerso? Ce lo dice l’Istat, che ha diffuso le stime aggiornate al 2008 della porzione di Prodotto Interno Lordo legato al sommerso: fra sottodichiarazioni di fatturati, lavoratori non registrati, rigonfiamento di costi intermedi, abusivismo edilizio e affitti in nero, si calcola che siamo compresi fra un minimo di 225 e un massimo di 275 miliardi di euro. In termini percentuali, ci aggiriamo fra il 16,3% e il 17,5% della nostra economia. GIOVANNI SARDELLA è un tenente-colonnello della Guardia di finanza in servizio a Trieste presso il comando regionale FVG dove è arrivato dopo incarichi operativi in terra ligure. Sposato, ha due bambini in tenera età e vive a Cervignano del Friuli. Italia Francia Germania Spesa pro capite dei cittadini € 7.350,00 € 7.438,00 € 6.919,00 Spesa sociale pro capite dello Stato € 8.023,00 € 10.776,00 € 9.171,00 Saldo finale € 664,00 € 3.339,00 € 2.251,00 Gli Italiani ricevono servizi sociali del valore di 664 € a testa, di contro ai 3.339 € dei Francesi e ai 2.251 € dei Tedeschi. Non serve commentare. VANNI VERONESI - Non sono forse troppe? «Non sta a me dirlo, ma forse è opportuno fare una ulteriore distinzione: in realtà esistono tasse, imposte e contributi. Le tasse hanno una relazione diretta con il sevizio per cui sono istituite: ad esempio le tasse scolastiche e quelle sanitarie. Le imposte vanno invece al fabbisogno generale dello Stato, per sostenere le necessità più diffuse e meno percettibili, ma di cui tutti beneficiamo: la giustizia, la sicurezza, l’assistenza alle fasce deboli della popolazione etc. I contributi sono quote parte di un servizio che è svolto dalle Pubbliche Amministrazioni e per il quale viene chiesta una partecipazione ai cittadini che ne usufruiscono, come il servizio scuolabus, lo smaltimento dei rifiuti ed altro ancora. Quando non vi è una diretta percezione del servizio ricevuto, o quando il servizio è carente, può sorgere la sensazione di subire una tassa ingiusta». - Quanto è diffuso il fenomeno dell’evasione fiscale ed esiste una categoria speciale di evasori? - Quante tasse esistono in Italia? ALTA UOTA Sempre lo scorso agosto la Cgia (associazione di artigiani e piccole imprese) di Mestre ha reso noti altri dati riguardanti il peso tributario annuo che grava in media su ciascun italiano. D’altro canto, ha voluto verificare quanto ci “ritorna” lo stato in termini di spesa sociale: in altre parole, quanto versa ogni italiano allo Stato e, per tutta risposta, quanto versa lo Stato per ogni cittadino in settori come scuola, sanità, trasporti e sicurezza? La differenza fra i due parametri indica il livello dei servizi che ogni italiano riceve. Gli stessi calcoli sono stati compiuti per la Francia e la Germania: il confronto, neanche a dirlo, è sconfortante. IL RUOLO DELLA GUARDIA DI FINANZA in uotattualità FISCO: FRA EVASIONI E SERVIZI SCADENTI «In realtà non conosco un numero preciso, ma posso dire che esistono due grandi famiglie di imposte: quelle dirette e quelle indirette. Le imposte dirette, per un lavoratore dipendente sono quelle che vengono trattenute sulle buste paga e che costituiscono una quota percentuale della retribuzione lorda; per i lavoratori autonomi le modalità di calcolo sono diverse e per certi aspetti più complesse, ma il principio è lo stesso. Le imposte indirette sono sostanzialmente una parte aggiuntiva al prezzo applicato ai beni e servizi che consumiamo e sono in numero maggiore. La principale imposta indiretta è l’IVA, ma ve ne sono anche altre. Solo per esempio, l’imposta di bollo e le accise. Sono imposte che a volte non ci accorgiamo nemmeno di pagare, eppure lo facciamo ogni volta che facciamo il pieno di carburante, che accendiamo il gas, ogni volta che consumiamo alcoolici e anche quando facciamo spesa». burba.pdf 15/02/2010 13.46.06 «Anche qui non ho dati relativi, solo assoluti: nella nostra Regione nel 2009 la Guardia di Finanzia ha accertato 253 evasori totali e paratotali, constatando violazioni all’IVA per 33 milioni di Euro e alle imposte dirette per 145 milioni. Ma in realtà non sono molti ed in una certa misura esiste una soglia fisiologica di evasione soprattutto in momenti di difficoltà e comunque è insita nella fallibilità dell’essere umano. Il fenomeno in particolare è più diffuso nella categoria della libera professione, laddove la capacità di produrre ricchezza è legato ad abilità e professionalità del tutto individuali. Nel mondo produttivo esistono criteri di misurazione più certi: chi produce beni o servizi deve acquistare materia prima, attrezzatura o semilavorati che di fatto costituiscono un criterio di misurazione e valorizzazione sia del prodotto finale sia della ricchezza prodotta». mata, il cosiddetto tenore di vita? «Non parliamo di controllo nello specifico, ma in senso generale noi dobbiamo muovere i nostri passi dentro la legge: la normativa fiscale, che è materia complessa e in continua evoluzione. Il sistema a volte può sembrare non equo, ma non ci si può fermare al caso particolare, altrimenti ci vorrebbe una legge per ogni contribuente. La normativa deve tenere presente gli interessi generali e va rispettata dalla generalità dei cittadini. Affermato il principio, devo dire che in realtà esistono diverse misure del problema. Mi spiego. Per assurdo, anche un evasore totale che vive e lavora nel nostro territorio paga in qualche misura le tasse. Come si diceva prima, produrre ricchezza che viene consumata nel territorio nazionale per sua natura contribuisce al gettito fiscale. Non che sia bene; questi sono fenomeni che vengono rilevati e puniti, ma il vero nemico, il vero evasore, è chi produce ricchezza all’interno del territorio nazionale e la trasferisce fuori dai confini. Questo oggi è il nemico numero uno. Mi spiego meglio: si tratta in particolare di società di capitale, normalmente con vita assai breve, che grazie a ‘giri’ di fatture sono in grado di eludere il pagamento di tasse. Quasi sempre ciò avviene con transazioni internazionali che trasferiscono all’estero ingenti capitali, magari al di fuori dei normali canali finanziari». - E quindi? «Questo non solo sottrae entrate tributarie per mancato pagamento di imposte e tasse, ma crea un ulteriore ingiustizia ai danni dell’economia sana: quella della concorrenza sleale. In pratica è in grado di offrire al mercato beni e servizi non gravati dal costo accessorio della fiscalità creando disparità e proventi illeciti. È l’evasione fiscale più pericolosa ed anche la più odiosa». - Ma quindi ai fini del controllo esiste una correlazione fra il patrimonio detenuto, il reddito prodotto e la ricchezza consu- zanon.pdf 15/02/2010 13.51.28 GIUSEPPE ANCONA 3 SUL FISCO LA VOCE DELLA GENTE di CHRISTIAN FRANETOVIC e SANDRO CAMPISI LUCIANO TROMBIN, FOTOGRAFO «Conviene fare i dipendenti...» ALESSANDRO SCUTTARI, FRUTTIVENDOLO «Tasse spoporzionate rispetto alla qualità dei servizi» - Il nostro è un fisco giusto? - Il nostro è un fisco giusto? «Per come la vedo io, non è uguale per tutti. Certe categorie, come noi commercianti, sono fin troppo tartassate. Le tasse che dobbiamo pagare sono molte e costose sia per l’apertura sia per la gestione dell’attività. Mi verrebbe da dire che buona parte del fatturato va al fisco». - Ti sono mai capitati dei controlli da parte della Guardia di Finanza? «I controlli della Guardia di Finanza, negli ultimi anni, sono frequenti. Non solo per me, ma per tutti i commercianti. In negozio da me vengono due o tre volte all’anno, proprio qualche giorno fa sono venuti a controllare il registro dei corrispettivi e il registratore di cassa. Sinceramente, non ho mai avuto problemi di questo tipo». - È conveniente aprire un attività? - Ti sono mai capitati controlli da parte della Guardia di Finanza? «Spesso, più o meno approfonditi: dal controllo dello scontrino all’accertamento fiscale vero e proprio. Mi è capitato proprio pochi mesi fa che l’ufficio delle entrate mi abbia chiesto tutte le documentazioni riguardanti la parte economica dell’attività. Posso dire di essere sotto la lente di ingrandimento! I controlli sono molto capillari, ma trovo vergognoso che l’accertatore in borghese alle volte stia a controllare di nascosto oppure a ridosso della cassa per ore le varie operazioni che vengono eseguite. Non è più un semplice controllo, ma è quasi una persecuzione!» - È conveniente aprire un’ attività commerciale in proprio? RITA VRECH, COMMERCIANTE «Responsabilità e rispetto dei propri ruoli». - Il nostro è un fisco giusto? «La giusta valutazione dovrebbe essere vedere che attività un soggetto possiede, la metratura del locale, di quanto personale necessita e le spese inerenti la propria attività; di conseguenza lo Stato valuta tali parametri e stabilisce una tassazione fissa. Tutto ciò che un commerciante riesce a guadagnare oltre al dovuto nei confronti del fisco non dovrebbe essere ulteriormente aggravato da altre tassazioni, anche perché la parte di guadagno rimanente è un premio al proprio lavoro e alla propria professionalità, perciò dovrebbe poterne usufruirne totalmente. Questo ti concede di investire ulteriormente nella tua attività, assumendo personale qualora ce ne fosse bisogno, oppure investendo in opere di ristrutturazione e manutenzione del locale, permettendo così di incentivare il naturale ciclo economico, dal grossista al dettagliante. Quello che spesso ci si dimentica è che quando il commerciante è in difficoltà questi non ha alcun sostegno da parte dello Stato, a differenza delle grandi aziende». - Vi sono mai capitate visite della Guardia di Finanza? «A quindici giorni dall’apertura della mia attività ho ricevuto il primo controllo dalla finanza: sono rimasta sbalordita, perché i controlli a cui sono stata sottoposta si sono ripetuti più volte nell’arco del primo anno. Non metto in dubbio che questo sia il loro mestiere, ed è giusto che lo svolgano, ma con maggior correttezza nei nostri confronti, cercando una collaborazione con la categoria senza avere un atteggiamento prevenuto. In generale non dovrebbero presupporre di trovare a priori qualcosa di irregolare, ma cercare di avere quel buon senso per una migliore collaborazione di entrambi». - È conveniente oggi aprire un’attività? crogiolo.pdf 15/02/2010 13.47.03 - Il nostro è un fisco giusto? «Non è giusto: è parecchio alto e questo è causato dall’alto costo della macchina dello Stato. Oggettivamente abbiamo troppi servizi mal funzionanti anche per colpa nostra. Ci dobbiamo lamentare di meno e avere una coscienza civica senza troppo moralismo». - Vi sono mai capitate visite della Guardia di Finanza? «La nostra azienda riceve mediamente almeno dieci controlli l’anno, senza nessun riscontro positivo. Le forze dell’ordine sono deboli nel cercare l’elusione che sicuramente crea dei danni notevoli allo Stato, di milioni se non di miliardi di euro, mentre l’evasione non raggiunge il punto di pareggio perché lo Stato, checché se ne dica, è molto burocratizzato e non dà la possibilità ai piccoli e medi imprenditori di operare con sistemi snelli e agevoli per poter rispettare tutte le regole. Finché in parlamento continueranno con le loro lotte di quartiere e non si preoccuperanno dell’Italia non ci saranno alternative». - È conveniente oggi aprire un’attività? «Oggi non c’è più spazio per nuove attività: penso, anzi, che nel giro di dieci anni ci sarà una razionalizzazione di attività, ovvero la chiusura di parecchi micro punti vendita. Di questi resteranno quelli che sapranno crearsi un lavoro di nicchia, quindi con una forte personalizzazione. Solo i grandi gruppi possono stare in piedi, finché il rapporto finanziario ha un equilibrio. Penso che chiunque oggi entri in un negozio o ristorante o bar di Cervignano si accorga se c’è un evoluzione o una sorta di decadenza, rappresentate dall’aspetto estetico ed etico dell’ambiente». comelli.pdf 15/02/2010 13.46.30 ALTA UOTA «Sicuramente è una decisione da ponderare molto attentamente. Bisogna valutare il tipo di attività, in che zona, la preparazione (che non è poco), la voglia di sacrificio e la capacità di essere ‘formichina’ durante i primi anni, in modo da poter affrontare la prima tassazione (che non è immediata, ma si innesca dopo circa un anno e mezzo) con responsabilità e consapevolezza. Questo può spiegare come mai alcune attività chiudano dopo 3 o 4 anni. La convenienza non esiste come concetto iniziale: tutto sta nella perseveranza, nell’intraprendenza e nel senso di responsabilità». SABATINO MANSI, IMPRENDITORE «Andranno avanti quelli che sapranno specializzarsi». uotattualità «Un’attività come la mia, di frutta e verdura, la sconsiglio. Ho iniziato questo lavoro perché era l’attività di famiglia e ormai la porto avanti, però sconsiglierei anche a mio figlio di farlo. Le ore di lavoro e l’impegno messo non vengono corrisposti dai guadagni. La nostra giornata inizia circa alle 6.30 del mattino e non finisce prima delle 20, senza pause e turni di riposo, molte volte sabato e domenica compresi. Non ne vale la pena. Oggi, inoltre, la grande distribuzione rovina il commercio, perché c’è stato un appiattimento dei consumi: uno standard medio. Al supermercato trovi la merce di ogni qualità ad un prezzo standard; invece, nella vendita al dettaglio, hai un rapporto personale con il cliente e puoi agevolare anche i meno agiati. A Cervignano, come dappertutto, la concorrenza è dettata dalle esigenze di mercato, ma almeno tra noi fruttivendoli c’è molto rispetto e cordialità. Posso parlare solo bene dei miei colleghi: mi è capitato addirittura di chiedere un aiuto per la conservazione della mia merce e di riceverlo senza alcuna esitazione. Completiamo le esigenze del territorio senza tuttavia doverci scontrare». in «È conveniente fare il dipendente…. Certo, a essere in proprio fai quello che più ti piace o che ritieni più vantaggioso per te; ad esempio io ho sempre avuto la passione della fotografia. Quindi, appena ho potuto, ho aperto questo studio fotografico. Ma a livello economico e problematiche varie, come permessi, autorizzazioni etc, sicuramente hai meno inconvenienti facendo il dipendente. Personalmente non ho mai lavorato come dipendente, ma credo che certe problematiche non ci siano; a livello remunerativo, non guadagni molti più soldi di un dipendente, proprio a fronte delle tante spese di gestione dell’attività. Infatti, ci sono tante attività commerciali, anche nella nostra Cervignano, che aprono ma dopo poco tempo sono costrette a chiudere. La mia fortuna è stata rilevare l'attività ‘foto Gennaro’ che era gia ben avviata, quindi mi è stato più facile farmi conoscere e offrire un buon servizio alla clientela. La vera concorrenza, sleale da parte loro, è con i cosìddetti fotografi abusivi che si trovano su internet per esempio: sono persone, magari anche appassionate di fotografia e quindi brave nello scatto, ma senza partita IVA, che non pagano le tasse come noi, ma si pubblicizzano in rete soprattutto dopo l’avvento del digitale che ha reso la cosa più facile. Per un fotografo in regola, questo è un problema». «Non è adeguato, perché il carico fiscale non è corrisposto dai servizi effettivamente erogati; i servizi in alcuni casi ci sono, però sproporzionati rispetto al gettito fiscale. Una cosa che non condivido, e che succede anche nel comune di Cervignano, è spendere tanto per fare lavori di urbanistica fin troppo di lusso nel centro della città; poi, però, andando verso la periferia troviamo tutt’altra situazione. Credo sia più corretto pagare meno tasse, quindi avere meno lussi, ma servizi usufruibili per tutti; la soluzione sarebbe razionalizzare le spese che impegnano queste tasse. Molti degli introiti che ho dall’attività commerciale mi vanno per pagare le tasse». 4 LA PAROLA ALL’ESPERTO NON SOLO ICI Pagare le tasse, anche quando sembrano eccessive e inique, è l’unico modo per godere di servizi efficienti. Ne è convinta ELISABETTA MATASSI, dal 2006 assessore ai Servizi Finanziari del comune di Cervignano. 37 anni, insegnante di matematica al liceo scientifico di Latisana, Matassi è entrata per la prima volta in consiglio comunale nell’ormai lontano 1993: «Ero praticamente una bambina», ricorda divertita. - Assessore, una curiosità mia personale, oltre che di molti lettori: quali sono precisamente le tasse che pa- uotattualità ghiamo al Comune? «I contributi che i cittadini versano all’amministrazione sono di due tipi: tasse e imposte. Le prime sono somme corrisposte dai privati e dalle aziende in cambio di un servizio specifico, richiesto dalla comunità. L’esempio più noto è quello della TARSU (tassa sui rifiuti solidi urbani), che fornisce al comune 1,3 milioni di euro, il 99% dei quali impiegato per coprire le spese del servizio di nettezza urbana. La TARSU è spesso oggetto di polemiche: si critica, in particolare, il fatto che la cifra da pagare venga calcolata sulla metratura dell’abitazione e non sulle persone presenti o sulla reale produzione di rifiuti. Pensiamo però a come verrebbero colpite le famiglie numerose, magari meno abbienti, se l’importo fosse calcolato sul numero di componenti il nucleo familiare! Altre tasse sono la TOSAP, corrisposta da chi richiede di occupare il suolo pubblico, e il contributo sulle pubbliche affissioni. Il totale delle entrate provenienti da tasse è di 1,4 milioni di euro». - E la parte rimanente? «I restanti 1,6 milioni derivano appunto da imposte, tributi versati all’amministrazione senza che a ciascuno di essi corrisponda un servizio specifico. La parte più consistente viene sicuramente dall’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili), che frutta al comune circa 1,4 milioni. Come è noto, il governo ha recentemente abolito l’ICI sulla prima casa. Il mancato introito nel 2008 è stato di circa 800.000 euro, sostituiti da contributi regionali. Le principali fonti di gettito ICI sono attualmente fabbricati commerciali, industriali o in affitto (48%), mentre il 32% proviene da terreni agricoli e il 16% da terreni edificabili. Altre imposte sono quella sulla pubblicità, per un valore di 65.000 euro all’anno, e l’addizionale sul consumo di energia elettrica, che frutta 125.000 euro». - Quali sono invece le uscite? «Da quanto detto finora, emerge come le entrate da tasse e imposte comunali ammontino a circa tre milioni di euro. Consideri però che il nostro bilancio pareggia a 21 milioni: il grosso dei finanziamenti deriva dai trasferimenti regionali e statali. 4,5 milioni vengono spesi ogni anno per il personale, mentre altri 10 sono impiegati per i numerosi servizi erogati dal comune. La somma residua è destinata agli investimenti, la cui natura dipende da precise scelte politiche dell’amministrazione». - Un’altra curiosità: quanti sono e come vengono utilizzati i fondi derivanti dalle multe comminate dalla polizia municipale? «Le entrate sotto questa voce sono di circa 135.000 euro. Per legge, la metà deve essere utilizzata per finanziare attività collegate con la sicurezza stradale: illuminazione pubblica, manutenzione dei semafori, sorveglianza sugli scuolabus eccetera. Il resto viene invece utilizzato per le spese ordinarie». in - Si sente spesso dire che le amministrazioni pubbliche stanno facendo pagare tasse sempre più alte a fronte di servizi sempre peggiori. Che cosa ne pensa? «Il tema si presta a facili strumentalizzazioni politiche. Credo che il motivo principale per cui le tasse vengono percepite come troppo alte è che non tutti, nel nostro Paese, le pagano. Ma è proprio grazie al contributo dei cittadini che possono essere mantenuti attivi molti servizi essenziali, di cui spesso non ci accorgiamo nemmeno. Penso innanzitutto all’assistenza sanitaria gratuita, che pur con tutti i suoi punti deboli è una grande conquista di civiltà. Attività importanti, in cui il comune investe risorse ingenti, sono lo scuolabus, il servizio mense e la casa di riposo». - È solo un problema di senso civico, dunque? «In buona parte sì, e devo purtroppo riconoscere che nell’ultimo periodo anche la classe politica sta diffondendo un pericoloso messaggio di promozione dell’evasione fiscale. Ben venga la riflessione su una modifica in senso federale del sistema contributivo, che contribuisca a rendere responsabili gli enti locali e a ridurre gli sprechi, ma non possiamo permetterci di essere ambigui». ALTA UOTA - A proposito di federalismo fiscale, qual è la sua opinione? «Non credo che il federalismo fiscale sia un bene in assoluto, è un’idea che può essere vantaggiosa se applicata correttamente. Il primo decreto attuativo prevederebbe una cedolare comunale sugli affitti e una imposta municipale propria, la quale dovrebbe sostituire fra le altre ici, irpef e imposta catastale. L’opportunità è certamente interessante, ma bisogna considerare che non tutti i comuni sono pronti a sfruttarla appieno. Altro problema aperto è quello della lotta all’evasione, per la quale i comuni hanno attualmente scarse risorse. Infine, non dobbiamo dimenticare che una parte del Paese non è affatto pronta a riscuotere e utilizzare autonomamente le proprie risorse: la solidarietà nazionale impone di non abbandonare a se stessi i cittadini del Meridione. Venendo ad aspetti più concreti, non sappiamo ancora se il nostro comune avrà da guadagnare o da perdere dal federalismo fiscale, perché il governo non ha ancora fornito dati precisi. Tuttavia, l’elevato senso civico dei nostri concittadini, la bassa evasione fiscale e la sostanziale solidità dei bilanci comunali ci fanno ben sperare». COME TI EVADO IL FISCO Evadere il fisco? Facile, se anche coloro che dovrebbero controllare non sono persone competenti... È chiaro e netto MANLIO GAROFALO, ex direttore dell’ufficio del Registro di Cervignano dal 1961 al 1973, poi vicedirettore dell’ufficio Iva di Udine per un breve periodo fino alla quiescenza. Attualmente è iscritto all’ordine dei dottori Commercialisti ed esercita la professione. - Come vede oggi il nostro sistema fiscale? «Il nostro fisco non è giusto nella maniera più assoluta perché le aliquote da pagare sono troppo alte, l’evasione è anch’essa molto alta e quindi non si riesce a modificare le storture e a portare il sistema ad un certo equilibrio. Questo è dovuto anche al fatto che in Italia non ci sono sufficienti controlli da parte degli uffici preposti, ma non c’è neanche il personale adeguato a tale controllo. C’è una forte sperequazione tra la tassazione dei redditi di natura finanziaria e i redditi di lavoro dipendente. Inoltre non c’è collaborazione tra i vari enti interessati al controllo fiscale, ovvero l’agenzia delle entrate, i comuni, la guardia di finanza e l’ispettorato del lavoro. I troppi condoni spingono ad evadere il fisco in previsione di altri condoni futuri. Lo stesso dicasi per le residenze fittizie in paradisi fiscali e per il rientro dei capitali dall’estero con una tassazione irrisoria del 4%, rendendo quindi facili i passaggi di consistenti somme di denaro. Spesso succede che ci sia una forte discrepanza tra i dati della Banca d’Italia e quelli che dà il governo». - Quali sono le modalità che vengono utilizzate per frodare il fisco? «Ci sono tre tipologie: l’evasione fiscale, l’elusione fiscale e la frode fiscale. Nell’evasione rientrano tutti quei metodi volti a ridurre o eliminare il prelievo fiscale attraverso la violazione di specifiche norme di legge. L’elusione consiste nel falsificare la natura dell’operazione con lo scopo di beneficiare di minori imposte. A differenza dell’evasione, l’elusione non si presenta come illegale; essa infatti rispetta formalmente le leggi vigenti, ma le aggira nel loro aspetto sostanziale. La frode fiscale avviene con sofisticati meccanismi che creano un’apparenza di regolarità, al di sotto della quale si cela però l’evasione, rendendo così difficoltosa l’opera di accertamento dell’amministrazione finanziaria. Ne è un esempio l’inserimento in contabilità di fatture d'acquisto false per ridurre l’imponibile fiscale». - Perché noi italiani ci sentiamo più bravi come evasori invece di percepire il pagamento delle tasse come una virtù comune? «Se so che c’è la possibilità di evadere e resto impunito, avrò sempre e comunque lo stimolo ad evadere le imposte». - Che differenza c’è tra i controlli eseguiti ai grandi imprenditori e i piccoli imprenditori? «È più facile controllare i piccoli imprenditori o commercianti o artigiani, mentre per i grandi gruppi è più difficile: come ho detto precedentemente, non c’è neppure personale adeguato, ma soprattutto ci sono pochi controlli. C’è da considerare che dietro una grande evasione normalmente c’è un consulente fiscale che consiglia il modo di evadere: c’è sempre una regia dietro a tutto ciò, però la responsabilità di tali consulenti non viene mai sanzionata, anche perché non ci sono specifiche normative in materia. Ci sono tantissime società che sono perennemente in perdita e nonostante ciò restano in vita nel tempo, non pagano le tasse e i controlli sono molto limitati in questo genere di evasione; lo stesso vale per società che vengono create e disfatte nel giro di un anno». - Come sono cambiate negli anni le strutture interne degli uffici fiscali? «Fino a circa la metà degli anni ’70 esistevano tre uffici preposti ai controlli: l’ufficio del registro, l’ufficio imposte dirette e l’ufficio Iva. In quegli anni unificarono questi tre uffici: venne quindi creata l’agenzia delle entrate. Fu un errore: sia i dirigenti sia gli impiegati si trovarono improvvisamente a ricoprire ruoli di cui non avevano conoscenza tecnica, di conseguenza non erano preparati a questo cambio di mansione». - Nella situazione attuale consiglierebbe ad una persona di aprire un’attività commerciale? «Oggi, se non hai un po’ di soldi da parte o altre garanzie da offrire alla banca, non puoi accedere a mutui o prestiti; inoltre, i costi di gestione sono parecchio alti, quindi risulta complicato aprire un’attività in proprio». SANDRO CAMPISI - Quali strumenti si possono utilizzare, secondo lei, per distinguere le amministrazioni virtuose da quelle che non lo sono? «Attualmente è in via di sviluppo un nuovo sistema per definire il costo di un servizio: mentre in passato si riconosceva un costo ‘storico’ a una prestazione erogata da una determinata amministrazione, oggi si va verso l’adozione di costi ‘standard’, calcolati in comuni considerati virtuosi. Se la discrepanza tra costo storico e costo standard è notevole, l’ente locale sarà tenuto a prendere le contromisure opportune. Personalmente credo che, oltre alla formazione, sia soprattutto il senso di responsabilità degli amministratori a fare la differenza tra buona e cattiva gestione della cosa pubblica». ALESSANDRO MORLACCO luilei 83x26.pdf 15/02/2010 13.45.19 5 LA PAROLA ALL’ESPERTO L’EVASIONE FISCALE: COME E PERCHÉ ALESSANDRO SANTORO insegna Scienza delle Finanze e Politica economica all’Università di Milano-Bicocca. È stato esperto tributario presso il ministero delle Finanze dal 1999 al 2004 e dal 2006 al 2008 e, fra le altre cose, collaboratore del Vice-ministro Visco. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni scientifiche riguardanti in particolare i temi della tassazione, dell’evasione e delle disuguaglianza. Nel 2010 ha pubblicato per Il Mulino il libro L’evasione fiscale: quanto, come, perché, all’interno della collana scientifico-divulgativa Farsi un’idea. Lo abbiamo intervistato per questo numero. -Professore, perché spesso i dati sull’evasione sono ingannevoli? Lei invita in particolare a maneggiare con attenzione quelli di Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate. «Il modello italiano è fondato sulle piccole e medie imprese e sulla diffusione della libera iniziativa imprenditoriale privata: ne è dimostrazione il fatto che sono attive oltre 5 milioni di partite IVA, una ogni 10 abitanti, compresi vecchi e bambini. Il nostro sistema produttivo è dotato quindi di un dinamismo e di una capacità di resistenza alle crisi superiore rispetto a quello dei paesi europei dove domina la grande industria. Tuttavia, esistono anche dei costi che paghiamo a questa struttura produttiva: una bassa propensione alla ricerca e all'innovazione di medio periodo ed un'alta evasione. La propensione all'evasione, intesa come occultamento della ricchezza, è superiore nelle attività economica di dimensione molto ridotta e condotta su scala familiare, perché si tratta di strutture produttive largamente basate sull'informalità e sui rapporti diretti, dove l'alterazione della contabilità, necessaria per l'evasione, non ha un costo». - Sostanzialmente, a colpire ancora è la ʻforza socialeʼ della famiglia italiana. - Un’altra causa è la struttura del sistema fiscale. In particolare, questo permette ai lavoratori autonomi di dichiarare da soli i propri redditi, così che per questi è molto più facile evadere le tasse rispetto ai dipendenti. «Certo: è l'occasione che fa l'evasione. Tuttavia questo riguarda non solo l'Italia e la difficoltà a evadere spesso non è per i soli redditi da lavoro dipendente: anche alcuni redditi da capitale sono difficili da evadere per la stessa ragione. Cioè perché esiste un sostituto d'imposta, un soggetto che calcola e versa le imposte al posto del contribuente. Proprio come fa il datore di lavoro o lo Stato per i dipendenti». - Certo, ma si potrebbe dire che l’autonomo si sente anche più autorizzato ad evadere, in quanto sostiene maggiori rischi nel suo lavoro rispetto a un dipendente? «Senza dubbio. Possono poi intervenire anche considerazioni di questo tipo, come la (auto) giustificazione di un comportamento alla luce del rischio. O come ideale punizione per i mancati o inefficienti servizi pubblici. Ma è bene distinguere tra elementi psicologici effettivi e pseudo-giustificazioni che l’evasore tende a concedere a se stesso». - Non sembra invece che le norme esistenti siano troppo lassiste, né che i controlli siano numericamente troppo esigui, come spesso si pretende. In particolare, le nostre pene per gli evasori non sono molti diverse da quelle degli U.S.A., spesso indicati come monumento di severità. «Le cito alcuni dati tratti dal documento dell’OECD (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ndr) Tax Administration in OECD and selected non-OECD countries del febbraio 2007. In Italia le sanzioni per la dichiarazione infedele arriva fino al 240% dell’importo evaso e le sanzioni penali fino a 6 anni di detenzione; in Francia si va fino all’80% e fino a 5 anni, in Germania l’importo delle sanzioni è variabile e la detenzione è anch’essa fino a 5 anni; in USA è prevista solo la sanzione amministrativa, per un importo che arriva al 75% dell’imposta evasa. Il problema non è quello di avere sanzioni più elevate, quanto quello di essere coerenti e continui nell’applicarle. Del resto, l’Italia ha avuto negli anni Ottanta una disciplina penale ancora più severa (la cosiddetta legge sulle manette agli evasori) risultata fallimentare». - Sempre a proposito di leggi, quali sono gli effetti di un condono fiscale sull’evasione? «Un condono fiscale ha un effetto positivo nel breve periodo per le casse dello Stato, ma presumibilmente negativo nel medio-lungo periodo, perché riduce le potenzialità di deterrenza delle politiche ordinarie di controllo. In pratica, si tende a evadere di più in una prospettiva lunga, quando si ha sufficiente certezza di essere poi condonati. Per tentare di arginare questo fenomeno, ogni volta che viene annunciato un condono, in Italia ma anche altrove, si tende a dire che chi non lo utilizzerà verrà controllato con maggiori probabilità e/o sanzioni. Ma è molto difficile rendere questa minaccia credibile, in particolare quando i condoni si succedono, come è accaduto nella storia recente del nostro Paese, a breve distanza l'uno dall'altro». - I dati sembrano indicare che la moralità fiscale degli italiani sia medio-alta rispetto a quella di paesi come il Belgio, che hanno una quota di economia sommersa analoga. «Diciamo che la moralità degli italiani rispetto al fisco, la cosiddetta tax morale, non è inferiore a quella di Paesi che sembrerebbero mostrare una maggiore fedeltà fiscale (in realtà intesa come minore quota stimata di economia sommersa)». - Siamo quindi un paese di ipocriti, oltre che di evasori? Insomma, come vanno interpretati questi dati? È fondato dire che esista una sorta di carattere italiano, o almeno mediterraneo, tendente all’evasione fiscale? «Esistono Paesi che effettivamente mostrano una morale fiscale bassa ed un’alta economia sommersa (il Portogallo) o, viceversa, un’alta moralità fiscale e una bassa economia sommersa, come Svizzera e Stati Uniti. Questo ci dice che la moralità fiscale è un elemento importante, ma non è l’unico. In sostanza, i profili culturali sono fondamentali per comprendere il fenomeno evasione, ma probabilmente hanno un’importanza inferiore rispetto a fattori strutturali». - Fra le cause dell’eccessiva evasione in Italia, lei non annovera l’eccessiva pressione delle tasse. O meglio, non ritiene che una riduzione delle aliquote porterebbe con certezza a una riduzione dell’evasione fiscale. Perché? «Non sono io a ritenerlo, ma tutta la letteratura economica. Il problema è che non sappiamo esattamente come gli individui reagiscono alla riduzione delle imposte. Si può pensare che questo renda l’evasione meno conveniente (o meno necessaria) e quindi inferiore, ma c’è anche chi si può ritenere più ricco e quindi più in condizione di rischiare sfidando il fisco ed evadendo di più. Del resto, in Italia si evadeva tanto anche quando le aliquote erano basse ed esistono Paesi, tipicamente quelli scandinavi, dove la pressione fiscale è elevata anche se l’evasione è inferiore alla nostra (anche se non irrilevante, come si tende a credere)». - Ma si può dire che le tasse sono alte perché si evade troppo? E in questo caso, la riduzione dell’evasione dovrebbe portare a una riduzione delle tasse? Il vecchio adagio: “Se tutti pagassero si pagherebbe di meno”… «Per quanto detto sopra, e prendendo ancora l’esempio dei Paesi scandinavi, è evidente che l’evasione non è l’unica causa di aliquote elevate, che dipendono in primis dal livello di spesa pubblica, dall’ampiezza del sistema di welfare ecc. Quindi, non si può dire con certezza che, semplicemente con meno evasione, le tasse sarebbero più basse». - Una curiosità: è possibile stabilire se il grosso dell’evasione italiana sia da imputare alle numerose ma esigue transazioni in nero o ai cosiddetti grandi evasori? In sintesi, fa più male all’economia pagare l’imbianchino senza fattura o Valentino Rossi che evade per 60 milioni? «Preso singolarmente, fa più male Valentino Rossi: il problema è che di imbianchini ce ne sono centinaia di migliaia e la loro evasione sommata è sicuramente superiore a quella dei piloti o delle rockstar». MARCO SIMEON ALTA UOTA «Più o meno. Per capirsi, il piccolo spaccio a gestione familiare non fa gli scontrini ed è sicuro che questo maggior guadagno finirà nelle tasche della famiglia; il grande supermercato non può permettersi questa forma di evasione, perché non sa se la cassiera terrà i soldi per sé o li metterà nella contabilità in nero. La contabilità, insomma, è uno strumento di controllo interno prezioso per la grande impresa. Questo non vuol dire che la grande impresa non evada; semplicemente, sceglie forme di evasione e di elusione più sofisticate e difficili da quantificare. Credo non sia un caso che i paesi con la più alta quota di economia sommersa (Grecia, Italia, Portogallo, Spagna) siano tutti caratterizzati da strutture produttive frammentate». «Il soggetto che non ha un sostituto d'imposta, cioé che deve dichiarare e versare le imposte tirandole fuori dal suo portafoglio, ha come punto di riferimento il guadagno lordo, ossia la somma di denaro che, per qualche tempo, prima che intervenga il fisco, è rimasta a sua disposizione. Viceversa, il lavoratore dipendente (e gli altri contribuenti tassati alla fonte) quelle somme, letteralmente, non le vedono mai. È quindi chiaro come in quest’ottica si comprenda facilmente la maggior evasione degli autonomi». uotattualità - Leggendo il suo libro, appare chiaro come a monte dell’evasione fiscale italiana stiano un’insieme di concause. Una delle principali mi sembra di capire sia la struttura del sistema produttivo, in particolare la prevalenza della piccola impresa. Ci spieghi sinteticamente perché. -Privato e autonomo partono da punti di vista diversi, dunque. in «I dati dell'Agenzia delle Entrate e della Gdf non si riferiscono, nella maggior parte dei casi, a stime dell'evasione vera e propria, ma, invece, agli esiti dell'azione di accertamento che questi corpi svolgono per contrastare l'evasione. Tra le stime dell'evasione e quelle sugli accertamenti c'è quindi, innanzitutto, una differenza concettuale: l'evasione si verifica a monte del processo (cioé quando i contribuenti decidono quanto e come dichiarare i redditi e i patrimoni) mentre gli accertamenti si verificano a valle (cioé quando l'amministrazione decide se, quali ed in che misura queste dichiarazioni non siano credibili). Inoltre, l'importo accertato da Agenzia e Gdf si riferisce a più annualità ed è normalmente molto superiore all'importo effettivamente riscosso, sia perché i contribuenti possono ricorrere contro gli accertamenti e i giudici possono dar loro ragione in tutto o in parte, sia perché molti contribuenti risultano nullatenenti o falliti nel momento del pagamento. Mediamente, si riscuote il 6-7% di quanto accertato, e questa percentuale odierna è superiore a quella relativa a qualche anno fa, che era decisamente più bassa». 6 le foto uriose i c o lo s r e p o n i d a t n «co !» Gennaro Riccardi di Manuela Fraioli OLTRE LO SPECCHIO E « s o g n i d ’o r o o .. .» ba eka CAMBIAMENTO Tornare a casa è come voltarsi. Tornare a casa è come rimettersi le scarpe comode. Tornare a casa è sicuro. I sapori, gli angoli, le scorciatoie, l’ombra che un albero fa a primavera e in autunno, i colori. Certezze. So di tornare a casa quando inizio a scorgere, dal finestrino del treno, le distese di campi, ampi, con qualche macchia di case. Quando il cielo in estate è terso e in inverno è plumbeo, e l’atmosfera grigia. So di essere a casa quando passeggio e poco mi sorprende, se non la calma che provo, che è come una piccola oasi di serenità. A casa ogni cosa è al suo posto, ogni volto è familiare, ogni distanza è un tempo che non ha necessità di essere calcolato. A casa il mondo è quello che conosciamo. Ma il tempo passa, le stagioni cambiano, il sole appare al mattino per scomparire alla sera, dal primo giorno dell’anno sino all’ultimo. ALTA UOTA la strip neostyle.pdf 15/02/2010 19.49.06 Il cambiamento è presente: impercettibile, inevitabile, intransigente. E quello che cambia è l’umore delle persone, il paesaggio con case nuove, il vicino che occupa la casa di chi ci ha lasciato. E cambiamo noi: in altezza, in saggezza, in elasticità di adattamento, nel colore di capelli o nel contrario di tutto questo. Alcuni cambiamenti ci sorprendono, altri ci lasciano indifferenti, altri ci cambiano. Altri invece ci commuovono: quelli che modificano le certezze, quelli che si stringono ai ricordi, che ci chiedono di guardare indietro, per l’ultima volta. Se qualcuno mi domandava «Dov’è la Casa del formaggio?», dovevo rifletterci un attimo perché io non andavo alla Casa del formaggio, andavo da Ivo. Mia madre mi mandava da Ivo, con una lista della spesa scritta con la biro blu su un biglietto di carta. Spesso, un attimo prima di sedersi a tavola, o quando pioveva. Di fronte alla saracinesca abbassata quel cambiamento mi ha chiesto di chiudere una scatola dove conservare un ricordo: il ricordo di un luogo che era parte di ʻcasaʼ. Toni e Meni di Luca “snoop” Di Palma alessiopaolo.pdf 20/04/2010 7.53.31 7 Altri tempi Bombardamenti a Cervignano, 17 maggio 1917. Si ringrazia Luciano Trombin. Alta ucina i Padre Picuozzo. Era un laico mai diventato sacerdote che svolgeva mansioni di famiglio, cuoco, cameriere, sagrestano, coadiuvato, nelle pulizie della chiesa, da qualche donna. Insegnava a noi chierichetti l’uso del turibolo, il momento in cui spostare il messale, il giusto modo di versare il vino e l’acqua nel calice, i tempi del suono del campanello alla consacrazione. Essendo il gruppo dei chierichetti formato da una quindicina di ragazzini dai 10 ai 12 anni, ci ‘seccava’ enormemente che padre Picuozzo rispondesse al nostro «Buongiorno don Angelo» (il ʻdonʼ di rispetto e non per il sacerdozio che non c’era) con «Buongiorno bambini»... Si sa che i ragazzini sanno essere cattivissimi ed un giorno aspettammo che ci salutasse allo stesso modo e risuonò in risposta un forte «Buongiorno Picuozzo», suggeritoci dal fratello di uno del gruppo, dove per Picuozzo, dialettale di Picozzo, intendevasi il frate laico che va in giro a questuare. papaveriepapere.pdf 19/04/2010 16.40.11 Ma il meglio di sé padre Picuozzo lo dava nei dolci poveri, stando all’epoca, quali le ciambelle, i pasticciotti, i biscottini che allietavano i tre giorni più tristi dell’anno per la Chiesa cattolica: quelli dal Giovedì al Sabato Santo. La sera del Giovedì Santo, alle 22, quando si diradavano le visite al Santo Sepolcro, iniziava la veglia da parte dei ragazzi, autorizzati a non tornare a casa. La notte, generalmente già tiepida, trascorreva tra qualche momento, a turno, di veglia, qualche ora di sonno nei comodi confessionali, lunghe corse sul sagrato giocando alla cavallina, di cui ricordo ancora qualche verso. Al mattino, quando riprendeva il flusso delle vecchiette, Padre Picuozzo ci riuniva nel refettorio (i sacerdoti erano tenuti al digiuno) e ci serviva cioccolata calda e pasticcini. Poi a casa a dormire e, nel pomeriggio verso le 16, in chiesa per la processione del Venerdì Santo con padre Picuozzo che incolonnava i vari gruppi che precedevano il Cristo morto, seguito dalla Madre, e dava il via. Percorse le vie del paese, la processione saliva l’erta della Castelluccia (un castello aragonese di proprietà della famiglia dei principi Strongoli - Pignatello) disseminata di olivi, per ricordare la Via Crucis. Verso le 22, al rientro, ancora cioccolata calda e dolcetti. E siamo al sabato sera, quando padre Picuozzo indicava gli otto ragazzini, considerato lo spazio angusto della cella campanaria, che avrebbero avuto l’onore di ʻsparareʼ la gloria, proprio sparare, per indicare l’esplosione di gioia nel salutare Cristo risorto. E non c’erano lamentele perché, servendo la S. Messa i giovani dell’azione cattolica, un posto era riservato al capo chierichetto e gli altri sette a quelli che avevano servito più messe (padre Picuozzo aveva compilato scrupolosamente l’elenco) e che avevano maggiormente partecipato ai funerali ed a funzioni particolari. E, al termine della Messa, ancora cioccolata e pasticcini, questa volta con il parroco ed i sacerdoti ed i genitori. Ora di tutto questo non è restato più nulla, se non la piccola chiesa ed il campanile collegato, che regolarmente vado a salutare nei ritorni alle origini. E guardando le campane e le corde pendenti ed ondeggianti, mi sembra che, come i carducciani «cipressi alti e schietti», mi dica «Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’». Ma bando alla commozione: asciughiamo una lacrima e via a gustare (la dieta la riprenderemo al rientro) schiaffoni, involtini, mozzarelline, soppressata, sfogliatelle, babà, cannoli e chi più ne ha più ne metta. ALBERTO LANDI credifriuli.pdf 15/02/2010 13.46.47 ALTA UOTA Ed eccoci alla succulenta ricetta. Ho scritto rigatoni riservandomi di specificare che non intendesi quelli di una notissima marca, corti meno di 3 cm e larghi uno, bensì i paccheri della penisola sorrentina o gli schiaffoni (i due termini sono sinonimi) salernitani, lunghi 5/6 cm e larghi circa due che, da qualche tempo, si trovano anche nei negozi che vendono prodotti ʻdi nicchiaʼ (un termine - l’ho imparato da poco - che fa chic), ma anche nei supermercati, a Cervignano, anche se non in tutti. In uno lontano dal centro, sì. Fatevi tagliare dal macellaio di fiducia delle fettine giustamente spesse dalle quali ottenere degli involtini. Preparate un abbondante trito di prezzemolo ed aglio al quale unirete uva passa e pinoli ed irroratelo di olio. Sempre extra vergine. Salate ogni singola fettina man mano che la farcite e, se avete pazienza e manualità, legatela con del filo. Altrimenti vanno benissimo anche pezzetti di stuzzicadenti. Ponete gli involtini in un capace recipiente di coccio giustamente unto, versatevi il trito che dovrà essere avanzato, iniziate a cuocere gli involtini aiutandovi con un cucchiaio di legno e poi, al momento giusto (è l’esperienza che insegna), versatevi dell’ottima polpa di pomodoro abbondante. Un niente di peperoncino rosso non guasta. Controllate il fuoco, il pomodoro deve ʻpippiareʼ, fare cioè piiih, piiih: si devono rompere le bollicine, come hanno scritto Marotta ed Eduardo in un racconto del celebre Oro di Napoli, altrimenti non è «ragù ma carne cu’ ‘a pummarola». Quando il sugo è quasi ben ristretto, cuocete i paccheri o gli schiaffoni in abbondante acqua salata, scolate bene, condite, cospargete di parmigiano. E buon appetito. Sposiamo Sud e Nord con Refosco e/o Cabernet e gustatevi, di seguito, gli involtini. Le patatine fritte completano il piatto. ba eka Confesso che ho provato una punta di invidia nel corso dei festeggiamenti per il mezzo secolo del Ricreatorio San Michele, e son tornato, con commozione e nostalgia, al mio ricreatorio. Il mio ricreatorio era costituito da due capannoni, cosiddetti residuato bellico, ognuno largo circa 8 metri e lungo 40, con una semplice copertura di lamiere ricurve. Un soppalco fungeva da palcoscenico e l’arredamento era costituito da qualche sedia spagliata, recuperata da sotto le macerie, qualche tavolino più o meno traballante, due tavoli da ping pong. Una festa per l’arrivo del calciobalilla. Un capannone era riservato ai ragazzi dell’azione cattolica e ai boy scout, il secondo ai giovani dell’azione cattolica. Non si parlava di presenza giovanile femminile. Una volta per settimana, nel pomeriggio, in orario stabilito, si riunivano, separatamente, per l’incontro con il sacerdote responsabile, le giovani e le donne dell’azione cattolica. Così come, ma di sera, gli uomini. Il paese contava circa 5.000 abitanti, vi era una sola chiesa con un parroco e nove sacerdoti, ad ognuno dei quali era affidato un gruppo. Ricordo don Luigi Marsicovetrio che seguiva i ragazzi dell’azione cattolica ed i chierichetti; ho avuto la ventura di reincontrarlo nella casa di riposo di Udine dove, anziano, si era ritirato. Oggi, con 65.000 abitanti, i sacerdoti sono tre quando va bene. Di fronte ai capannoni, sul retro della caserma dei Carabinieri, su un ampio spazio in terra battuta era stato ricavato un campo da basket e, sul lato di essi, il cortile della canonica chiuso da mattoni grezzi come quelli dei capannoni, 70 x 25, in terra battuta e brecciolino, sede di accanite partite a palla che d’estate duravano dalle 14 alle 20.30 quando faceva buio (l’ora legale fu riadottata soltanto nel 1965). Per palla intendesi ciuffi di lana sottratti da ognuno dei giocatori, dai materassi dell’epoca, avvolti in un canovaccio, il tutto, a sua volta, avvolto in qualche calza di nylon che i soldati americani avevano portato al loro seguito per... comprensibili motivi. Altra grande festa l’arrivo delle palle di gomma! INVOLTINI E RIGATONI DI (ALLA) PADRE PICUOZZO – VITA VISSUTA: IL MIO RICREATORIO 8 di Norman Rusin i più uotati Raggiungere, qui a Philadelphia, le bottiglie di latte crudo a Clark Park non è più così facile in queste ultime settimane. Il mio cammino verso questo agognato involucro di vetro a forma di pera da mezzo gallone (quasi 2 litri) è ostacolato da una folla enorme, schiacciata in una striscia di cemento non più larga di un metro e mezzo. E così il mercato degli agricoltori della Dutch County (in cui vivono gli Amish) si trasforma in una Bombay formato ridotto, tra il caldo, il sudore, le urla dei bambini e quelle dei cani. Hanno ristretto il marciapiede perchè stanno ristrutturando il parco. Così, mentre cerco di farmi largo tra la folla, mi fermo qualche istante (avrei altra scelta?) a salutare la statua di Charles Dickens a pochi metri da me. Ci separa l’immancabile barriera metallica che segnala i lavori in corso. Magro, una mano a sostenere il volto, mentre dall’alto del trono su cui è stato posto guarda con simpatia Little Nell, personaggio della Bottega dell’antiquario (The Old Curiosity Shop, 1840). Apprezzata in modo particolare da Edgar Allan Poe (che ha vissuto a Philadelphia tra il 1834 e il 1847, i suoi anni FRANCESCO NARDI più produttivi), La bottega dell’antiquario è la storia di Nell e del nonno, costretti ad abbandonare la loro attività a Londra per sfuggire all’avidità di un deforme affarista. Peregrinando nel sud dell’Inghilterra, trovano riparo in un piccolo villaggio grazie alla generosità di un professore; di lì a poco, però, Nell morirà di malinconia nel cimitero locale. Narrazione che ha incontrato uno straordinario successo di pubblico, si presta, come molti lavori letterari, a molteplici letture. Ma la statua fisserà per sempre l’immagine di Nell e del suo creatore. Dickens non avrebbe mai voluto essere ricordato attraverso una statua, ma soltanto attraverso le proprie opere letterarie e il ricordo delle persone che lo avevano conosciuto direttamente. Costretto, come i suoi personaggi, a seguire un destino indesiderato, lo scrittore diventa egli stesso personaggio di un racconto che ha come co-protagonista un prodotto della sua fantasia. Realtà e fantasia si mescolano nel bronzo modellato dal genio di Francis Edwin Elwell nel 1890, inscenando il paradosso del ricordo. La memoria, imprigionata in un’effige metallica, diventa di nuovo parola di un nuovo racconto, che genererà migliaia di ricordi differenti, eppure fatti della medesima eterna sostanza: la parola, con il suo potere evocativo, creatrice di mondi tra i più diversi, che passando di bocca in bocca modella e trasforma la realtà e il nostro rapporto col mondo, tanto che uno stesso racconto non può mai suscitare la stessa emozione o il medesimo ricordo in due persone diverse. Eppure Dickens resta immobilizzato in questa pluridecorata memoria metallica. L’opera, vincitrice di numerosi premi, è sul lato opposto rispetto alla pietra commemorativa dei soldati caduti durante la guerra civile americana. Una lapide non basta a restituirci i nomi e i volti di queste persone; ma è bello pensare che il ricordo delle loro azioni a difesa della libertà risuoni ancora tra gli alberi di Clark Park. E che questa memoria trasparente e fluida riscaldi per un istante l’effige metallica del grande narratore. Una gomitata nelle reni mi riporta all’umida realtà del mercato settimanale d’illusioni: una pera di due litri di latte non scremato e non pastorizzato proveniente da un mondo immobile da trecento anni (gli Amish). È come bere un sorso d’eternità. Sabato 13, domenica 14 e lunedì 15 novembre ritorna SAN MARTINO! Vieni a visitare anche tu l’imperdibile stand organizzato dal Ricreatorio San Michele presso il piazzale del Duomo e all’interno della Sala Parrocchiale. Tutte le info sul programma le puoi trovare nei giorni antecedenti l’evento sul sito www.ricre.org! Ti aspettiamo!!! la ban a della memoria Non ho conosciuto personalmente il signor Francesco Nardi (classe 1899), vissuto a Cervignano negli ultimi anni della sua vita, ma ho avuto occasione di sfogliare un libro scritto di suo pugno, intitolato E continuo… a vivere, pubblicato nel 1974, su cui si basa questa puntata della rubrica. In quest’opera sono raccolte le sue memorie, che ci fanno capire che la sua storia si intreccia con gli eventi più importanti e tragici del Novecento: partecipò alla Prima Guerra Mondiale; dopo essere stato congedato iniziò le sue esperienze lavorative, fino a diventare dirigente tecnico in industrie di elettrochimica, raion e cellulosa. Per motivi di lavoro si trasferì nelle Isole Filippine da dove ritornò in patria, dopo un lungo soggiorno a Shangai e in Giappone, nel 1942. L’episodio che vorrei riportare è tratto dall’ultimo capitolo del libro sopracitato e si riferisce al 15 ottobre 1944, giorno in cui il signor Nardi si concesse un po’ di svago all’aria aperta da Torviscosa verso San Giorgio di Nogaro, con il figlio Gino. All’altezza della piscina, però, due soldati tedeschi con mitra in bella vista lo fermarono e lo spintonarono fin dentro la Sala del Dopolavoro, dove era stipata la maggior parte della popolazione maschile di Torviscosa, risultato di un rastrellamento nel paese. In mezzo al salone giaceva il cadavere di un giovane che il sig. Nardi scoprì poi essere un partigiano chiamato Primo dal Pol. Il giovane aveva tentato la fuga fuggendo in bicicletta prima di essere ferito e aver cercato di scappare salendo sulla torre del campanile: qui fu ulteriormente colpito, finché non cadde e venne finito brutalmente a colpi di scarponi chiodati sul viso. Intanto nella sala i soldati impedivano qualsiasi tipo di conversazione o di movimento sospetto (era proibito anche frugare nelle tasche). Ad uno ad uno i prigionieri vennero interrogati, con i mitra ben puntati addosso e in modo arrogante, davanti al tavolo degli ufficiali; tutti venivano anche perquisiti, alla ricerca di documenti compromettenti. Alcuni degli uomini nella sala, racconta il narratore, riuscirono a gettare per terra o addirittura a inghiottire alcuni pezzi di carta che avrebbero potuto metterli nei guai. Visto che la perquisizione non ebbe successo, l’ufficiale Pagliacciotti pronunciò un discorso che gelò agli astanti il sangue nelle vene: lo scopo del rastrellamento era scoprire i nomi dei partigiani. Se nessuno avesse avuto il coraggio di parlare, aggiunse l’ufficiale, avrebbe fatto fucilare dieci di loro, e poi ancora dieci, e avanti così finchè non avesse avuto informazioni utili. Nessuno, però, sebbene molti tra i presenti conoscessero tanti nomi di partigiani, fece la spia. C’erano più di duecento persone e il sig. Nardi racconta che ognuno era convinto che non avrebbe avuto la sfortuna di essere scelto per la fucilazione, invece lui stesso fu il secondo a essere indicato dai tedeschi per essere ucciso. Mentre veniva spinto in malo modo verso il luogo dell’esecuzione, il nostro narratore si rendeva conto che erano «i suoi ultimi minuti di vita (…) e che doveva accettare la morte, non esisteva via di scampo». Ma l’assurdità della situazione e la disperazione lo spinsero a immaginare una fuga senza speranza, che non potè neanche tentare a causa di uno sbarramento non previsto. I soldati disposero i dieci prescelti contro il muro… «ed ebbe inizio la macabra farsa»: venne loro spiegato che la /7 di Sofia Balducci fucilazione sarebbe stata solo una finzione, e che al rumore degli spari i dieci civili avrebbero dovuto accasciarsi al suolo, immobili. Andò proprio così, e intanto una grossa folla si era radunata vicino a una vetrata per osservare quella che per loro era una fucilazione a tutti gli effetti. La pressione sul vetro fu così forte che esso si spezzò, creando così una via di fuga per tutti i prigionieri che, presa al volo l’occasione, fuggirono a gambe levate. Tempo dopo si seppe che uno degli astanti, non sopportando più la tensione, prima della fucilazione aveva rivelato i nomi di alcuni partigiani e fu probabilmente questo episodio a salvare gli uomini da un inseguimento o da un’ulteriore rappresaglia. I dieci finti-morti, invece, rimasero a terra, immobili, per oltre quaranta minuti finchè fu loro ordinato che potevano finalmente alzarsi e ricongiungersi alle loro famiglie. la finestra sul ortile Semplici occhiate buttate qua e là di Simone Bearzot ALTA UOTA DIETRO LE QUINTE DELLA CRISI Nel 2009 le presenze degli italiani a teatro sono aumentate dell’1% (dati Siae). Una cifra forse di poco conto, ma che in realtà apre la porta a una serie di considerazioni che non sono poi così scontate. Perchè un aumento di questo tipo nel bel mezzo della più grande crisi economica degli ultimi ottant’anni non è affatto qualcosa di scontato, anzi. In un momento storico in cui gli italiani dimostrano - alla pari con i tedeschi - la capacità di trasformarsi all’occorrenza in ʻformichineʼ parsimoniose, risparmiatrici e attente al bilancio familiare, stupisce che si vada a teatro di più. Considerando tra l’altro che il numero di spettacoli offerti è diminuito e il costo dei biglietti è aumentato. C’è una spiegazione per tutto questo? Sicuramente si, ma io non la so. E quindi abbozzo un’ipotesi: nei momenti difficili, il teatro è terapeutico, così come lo sono il cinema o lo sport. Scriveva il regista Lucignani: «Il teatro continua ad esistere, e non soltanto come abitudine, come modo d’impiego del tempo libero, ma come esigenza profonda e ineliminabile della vita sociale». Sul palco prendono forma l’analisi, la critica e la descrizione di quello che succede nel mondo. Solo che, a differenza della realtà, cambiano i modi per trasmettere le idee: che sia satira o favola, dramma o commedia, ciò che avviene dietro le quinte riesce ad essere vicino e lontano allo stesso tempo. L’operazione che fanno in letteratura Orwell e Manzoni, raccontando la fattoria e gli spagnoli ma avendo bene in testa il regime sovietico e gli austriaci, a teatro si ripete ogni volta. Con l’aggiunta che la finzione, non essendo la realtà vera e propria, risulta ʻdigeribileʼ e meno drammatica. Con una carta in più da giocare: lo spettatore partecipe, che vede ascolta ride piange o s’indigna a pochi metri di distanza dal palco. E di questi tempi essere partecipi e non passivi è già un lusso. Magari si tira la cinghia, si cena qualche volta di meno al ristorante e si rinvia l’acquisto della macchina, ma non si smette di pensare, di porsi domande e di cercare risposte, anche se scegliendo strade alternative, tortuose o apparentemente cieche. Certo, sono briciole. Ma briciole di speranza. E se si vuole spaziare con lo sguardo sul ruolo del teatro nella società, si vede come a fronte della crisi dei grandi palcoscenici e alla chiusura dell’Ente Teatrale Italiano, avvenuta lo scorso maggio, facciano da contraltare i circa seicento gruppi nati negli ultimi anni così come le sale riaperte o ristrutturate in una miriade di piccole realtà comunali, segno di un fermento che non manca né tra chi promuove e mette in scena né soprattutto tra chi partecipa come pubblico. E allora, citando il grande Gigi Proietti, «viva il teatro, dove tutto è finto e niente è falso». TRE ANNI DOPO... Quasi tre anni fa, Alta Quota usciva con un numero dedicato ai due mali oscuri del mondo contemporaneo: l’anoressia e la bulimia. Fra le tante testimonianze riportate, una suscitò particolare interesse e commozione: quella di Stella, una delle mie amiche più care, all’epoca già uscita dall’incubo. Ecco cosa scrivevo per introdurre la sua lettera: Così è stato per me nei riguardi di Stella. In un certo senso, è stata lei stessa ad aprirsi per prima. Questa lettera, che arriva dall’Inghilterra, dove Stella si trova in Erasmus, è una testimonianza diretta di anni trascorsi nell’inferno dell’anoressia. E di una risalita che ha avuto successo. Quando chiedi a una tua carissima amica di parlare di certe esperienze, hai sempre il timore di compromettere un rapporto, perché non sai quanto in là ti puoi spingere nel porre domande. Rifletti a lungo, meditando sul confine fra il dimostrarsi sensibili e partecipi al dolore altrui, e il scivolare nella violazione di quei segreti e di quella intimità che ogni persona ha necessità di creare attorno a sé. Lo scorso agosto, Stella si è sposata: un matrimonio semplice, a cui ho partecipato con grande gioia, specialmente grazie alla presenza del suo figlioletto… Pochi giorni prima, però, Stella ha voluto mandarmi un’altra testimonianza relativa al suo antico problema: quasi un bilancio, ma c’è molto di più. Alta Quota ha quindi voluto ripubblicare l’articolo di due anni fa, affiancandolo a questo nuovo, intenso scritto. 9 LEI TRE ANNI FA Coventry, 29 novembre 2007 Trieste, 30 luglio 2010 i più uotati ALTA UOTA I mass media e le modelle magre fino all'osso; gli amici che scherzano sui nostri fianchi un po' “tondetti”; la mania di Lo sapete cosa succede quando si grida in cima a una montagna? Il perfezione che ci portiamo dietro da quando abbiamo memoria; il bisogno di sentirsi belle, per affrontare una società primo effetto, evidente a tutti, è che il suono squarcia il silenzio che che discrimina i brutti; ma, soprattutto, lo specchio. c'era prima. Il secondo effetto, che molti notano e che sfugge solo Perché quando si parla con una persona ci si può nascondere dietro a frasi fatte, si può essere la maschera di se stessi. ai più distratti, è l'eco, che rimanda quel grido al mittente, due... tre Ma quando ci si guarda allo specchio siamo noi, e un giorno ci accorgiamo che mentirci da soli non ha proprio senso. volte. Poi più niente. Ma questo non è del tutto esatto: chi ama la Ci siamo appena alzate dal letto dopo l’ultimo mancamento: fortunatamente, con noi c'era la solita amica, che non ha montagna sente che quell'eco ne ha scosso l'imperturbabilità più a mancato di portarci acqua e zucchero anche questa volta, sollevandoci piano le gambe per mandare un po' di sangue fondo: non importa il conteggio oggettivo del tempo di durata, conta al cervello (dove intanto i neuroni, senza ossigeno, stavano morendo irrimediabilmente). Abbiamo passato la consueta l'effetto. La montagna ha tremato, e solo chi le è devoto lo sa. Per mezz'ora su quel dannato letto, cercando le forze dentro di noi: prima per aprire di nuovo gli occhi, poi per far uscire questo gli alpinisti sono persone schive e silenziose. qualche lettera dalla nostra gola, infine per chiedere al'’amica «Chiama al lavoro, di' che non vado». Perché lo sappiaA volerci pensare davvero, si può prendere questa banale osservamo che non ce la faremmo proprio ad arrivare fino a lì. Ora quel pezzo di dolce che abbiamo mangiato ieri mattina ci zione come una riflessione valida per molte circostanze della vita: ha dato l'energia per trascinarci fino al bagno, e lavarci il viso; sopra il lavandino, lo specchio. Come abbiamo potuto ciò che arriva come un grido, perdura a lungo in chi l'ha vissuto, ridurci così? ma poche persone intorno se ne accorgono. Succede anche con la Le occhiaie ormai sono più grandi delle stesse guance, gli occhi hanno perso ogni luce, il pallore è quello di un morto. E, cronaca: un fatto drammatico scuote le coscienze; poi, la massa lo dentro di noi lo sappiamo: o ci mettiamo in regola, o quello sarà esattamente il nostro destino. Pensiamo che potremmo dimentica. E solo i familiari della vittima sanno che per essa il dolore andare in cucina, e mangiare un pezzo di pane; no, il pane no, contiene carboidrati. Allora magari un chicco d'uva: non è passato. Ma passerà mai? no, ci sono gli zuccheri. Niente, tra un po' passa, è sempre passato. Allora restiamo lì, senza energie, a guardare nello Dipende, ovviamente. specchio un'immagine che mai vorremmo vedere. E ricordiamo come siamo arrivate a questo punto: anni di sacrifici Sono passati quasi tre d'anni da quando ho scritto il mio secondo e e sofferenze. Certo non solo da parte nostra: abbiamo ucciso amicizie, pur di apparire come volevamo; abbiamo tolto ultimo articolo sull'anoressia. Ne ero uscita con successo. Eppure la vita ai nostri genitori, strillando perché pretendevamo di non avere fame; abbiamo fatto preoccupare gli insegnanti, Lei non è mai uscita realmente da me. Troppe volte ho pensato ai con intervalli di totale vuoto della concentrazione in classe. E, intanto, abbiamo ferito noi stesse: ci girava la testa, e ci momenti peggiori della malattia, troppe volte ho raccontato il mio tenevamo impegnate per non farci caso; le gambe tremavano, e ci dicevamo che con una corsa si sarebbero riprese; ci dolore a chi lo voleva conoscere, troppe volte ho rivissuto nella mente siamo costruite una personalità “anomala”, dicendo a gran voce che non ci piacciono né i dolci né la cioccolata, per fare le tappe che avevo passato, troppe volte mi ero interrogata su come in modo che nessuno ce ne offrisse; ci siamo infilate due dita in gola quando per sbaglio avevamo ingerito 20 calorie fosse potuto succedere. Avrei dovuto capirlo: per essere così prepiù dell'indispensabile. sente, doveva essere ancora dentro di me. Ero stata una montagna, Abbiamo odiato il nostro corpo: l'abbiamo nascosto dietro abiti larghi, affinché nessuno vedesse com'era grosso e mal e Lei era il grido. Tutti mi avevano visto dimagrire tanto, troppo, tutti fatto; in qualche breve istante, abbiamo provato ribrezzo per le costole che si sentivano sfiorando la pelle, eppure ci siaavevano contato con me i chili che mancavano al raggiungimento del mo subito dette che non eravamo ancora magre abbastanza; ci siamo afferrate la pancia, ci siamo picchiate e graffiate normopeso. Tanti avevano visto l'eco, la fatica della risalita, le cadute, fino a sanguinare, perché avevamo mangiato qualcosa. Abbiamo avuto paura delle persone, perché ogni bocca è pronta la volontà che mi ha convinto a rialzarmi. Solo una persona ha visto il a sputare sentenze senza capire quello che dice. Abbiamo odiato i giudizi degli altri, ci siamo chiuse in noi stesse, ma tremito. E non l'ha visto due anni fa, l'ha visto due giorni fa. siamo finite dentro al nostro corpo, quella prigione che la natura non ci ha voluto risparmiare. Siamo entrate nella Lui, il mio fidanzato e prestissimo mio marito (Stella si è sposata lo vita di altre persone, l’abbiamo invasa di paranoie, abbiamo catapultato altri in un mondo di calorie grassi proteine… scorso agosto, ndr), ha capito che il grido non si spegne con l'eco. Abbiamo tolto a chiunque ci stesse attorno il piacere di sedersi a tavola, e perfino la spontaneità di mangiare un piatto Ha scoperto una difficoltà che negavo anche a me stessa. Non sono di pasta. anoressica, non più; ho attraversato splendidamente una gravidanza E cosa abbiamo risolto? faticosa; alla nascita di mio figlio Lei era solo un brutto ricordo. Ma c'è Siamo brutte. La pelle è pallida, al punto che in alcune parti il colore dei capillari è più forte ed emerge; il viso non qualcosa che resta dentro. Nell'articolo di due anni fa scrivevo: «Ricoha vita, il sorriso non emana gioia. I nostri pantaloni preferiti cadono, non li possiamo più indossare; loro e quella minciare a mangiare è più difficile che smettere. Ma è possibile». Lo maglietta così bella, che segnava con un po' di malizia quel seno che ora è solo un ricordo. Ma non ci interessa, perché penso ancora: quello che non sapevo, però, è che il rapporto con il cibo, noi non vogliamo essere corpi, vogliamo essere persone. Certo, in questo senso i miglioramenti non sono stati notevoli: con il proprio corpo, si è logorato. Come un dialogo tra madre e figlio che abbiamo paura di andare da qualche parte da sole, perché negli ultimi giorni ci siamo perse nelle strade che percorsi sia interrotto in tempi atavici non può essere ricucito per il semplice riamo da anni; ci sono momenti in cui i capogiri sono così forti che pensiamo di camminare dritte e invece andiamo fatto che nelle famiglie normali questo è ‘naturale’, così una sensazione a sbattere contro un lampione dall'altra parte del marciapiede; i colori si confondono, e non sappiamo se il rosso del nota a tutti - quella della fame - sfugge a chi tanto a lungo l'ha negata. semaforo è per noi o per le macchine. Il tempo è passato. Avevo quattordici anni la prima volta che ho deAbbassiamo gli occhi mentre questi pensieri monopolizzano la nostra mente, perché non possiamo guardare le sole ciso di dimagrire; ne avevo 21 quando ho pensato di essere guarita. colpevoli di questa situazione: noi. Ma ora alziamo nuovamente lo sguardo, e ci chiediamo semplicemente “perché”. Oggi ne ho 23, e scopro con lo stupore schifato di una bimba diQuanto è superficiale perdere la testa all'inseguimento dell'apparenza (che, tra l’altro, non ci soddisfa e non ci sodsgustata che l'eco è rimasto. Che io lo coprivo con le risate per non disferà mai); quanto sarebbe più importante curare la nostra cultura, il nostro sapere; nutrire (ebbene sì) i nostri sentirlo, ma che - in realtà - ho ancora bisogno di essere guidata. ideali, il nostro impegno nel mondo, la nostra conoscenza di esso. Quanto più bene vogliamo a un'amica simpatica Mio figlio ha quasi nove mesi: quando ha fame strilla. Io la fame non e divertente piuttosto che a una ragazza con misure perfette che appena apre bocca esprime tutta la sua nullità. E, so più nemmeno cosa sia. E mi scopro debitrice verso chi non ha con gelo, ci accorgiamo di essere quella ragazza. Che non parla perché non ha le forze per farlo; ma che se anche lo creduto all'incanto della guarigione e mi ha sempre tenuta d'occhio, facesse, non avrebbe più niente da dire, perché ha trascorso i suoi ultimi giorni a letto, o a casa, muovendosi il minimo con l'amore di un uomo ma con l'apprensione di un padre. Scopro indispensabile. di dovergli la mia rinascita, quella che mi impongo di far iniziare da È allora che proviamo schifo per noi stesse. adesso per non distruggere con il mio inutile dolore la famiglia che È allora che le cose cambiano. Lentamente, dolorosamente, con l'aiuto di amici che nonostante tutto non ci hanno insieme stiamo costruendo. Vorrei poter dire che Lei non ne farà mai abbandonate, con il supporto di una famiglia che piange le sue lacrime in silenzio, che ci supporta e ci incoraggia, che parte, ma non ne ho la certezza. So però che l'amore che si respira gioisce con noi a ogni piccolo successo. Con la guida di medici che sanno tacere nel momento in cui tocca a noi capire in casa nutrirà le mie speranze, e grazie a questa forza io nutrirò me il guaio in cui ci siamo cacciate, e che sono lì quando noi chiediamo, finalmente, aiuto. stessa. Ma non amerò mai più il cibo. Lei è dentro di me. Come un Forse è strano da immaginare per chi non c'è passato: iniziare a mangiare è molto più difficile che smettere. Ma è ricordo, come un monito, come un incubo, come una minaccia. Si possibile. trasforma, si nasconde e poi viene fuori di nuovo. Ma è dentro di me. peterpan.pdf 15/02/2010 13.47.50 automotor.pdf 1 11/10/2010 11.26.07 STELLA STELLA 10 CERVIGNANO RITORNA i più uotati IL PERCHÉ DI UN VIAGGIO Non è certamente la prima volta che su Alta Quota si parla di Costa d’Avorio. Era poco più di un anno fa, precisamente dal 26 gennaio al 4 febbraio 2009, che una delegazione di persone della nostra diocesi, cui appartenevano anche alcuni nostri parrocchiani compreso don Moris, ha fatto visita alle missioni goriziane di quel paese. L’occasione di tale viaggio era tra l’altro legata alla scomparsa di don Silvano e all’impegno della nostra comunità che, in sua memoria, si era adoperata per donare una cappella al villaggio di Seman. A seguito di ciò, Alta Quota era uscito in un’edizione speciale che sono andato a recuperare sul sito internet del ricreatorio (www.ricre.org) per vedere cosa fosse stato detto, prima di accingermi a scrivere questo piccolo resoconto della mia esperienza. Sono rimasto davvero colpito nel rileggere quelle pagine e nel rivedere le foto pubblicate, in quanto vi ho riconosciuto gran parte delle esperienze che anch’io ho vissuto: le stesse sensazioni, i sentimenti provati, le descrizioni dei luoghi e i fatti narrati. Mi è venuto da pensare che, se volete conoscere cosa ha significato per me il viaggio in Costa d’Avorio, oltre che avere notizie ampie e circostanziate riguardo le missioni goriziane, basta andare a rileggere quelle pagine: lì c’è già scritto praticamente tutto quello che avrei da dire anch’io. Tuttavia, proprio l’aver vissuto direttamente l’esperienza dell’Africa mi ha fatto rendere conto di quanto sia stato importante recarmi là di persona, a vedere con i miei occhi le cose e a conoscere direttamente le persone e le situazioni, perché qui da noi sappiamo ancora troppo poco di tale realtà e spesso i pregiudizi che abbiamo ci impediscono di comprenderla meglio. Proverò quindi a raccontare alcune delle mie impressioni su ciò che maggiormente mi ha colpito, per provare a dare qualche elemento di conoscenza in più su quei luoghi ancora così lontani dalla nostra esperienza comune. Come premessa, tra la visita dell’anno scorso e quella di quest’anno c’è stata qualche differenza. Questa volta a partire era una delegazione di giovani (ad eccezione di me e don Nicola, gli altri avevano età comprese tra i 18 e i 30 anni) su impulso del Centro Missionario Diocesano, provenienti da varie parrocchie della diocesi (erano rappresentate Gorizia, Cervignano, Cormons, Gradisca e Sagrado). Il programma era di alcuni giorni più lungo e prevedeva una sosta anche a Bouakè, nella nuova missione di Belleville, dove si è recentemente insediato don Michele. Non partivamo per qualche occasione particolare come poteva essere un’inaugurazione, ma neanche per fare i volontari o dare un qualche aiuto. La nostra visita aveva come scopo la conoscenza: dei luoghi, delle opere realizzate dalle missioni diocesane, del modo di vivere della gente, delle persone. E alla fine devo dire che, se questo era l’obiettivo, è stato pienamente centrato. Il particolare modo in cui abbiamo fatto questo viaggio, ospiti delle missioni, ci ha permesso di incontrare le persone del luogo e vivere vari momenti con loro. Siamo rimasti piacevolmente stupiti dal desiderio degli africani di incontrare gli ospiti che dall’Europa si erano presi la briga di andarli a trovare. Nelle nostre uscite eravamo sempre accompagnati da qualcuno e numerose sono state le occasioni di festa. Queste erano sempre accompagnate dal pranzo o cena e talvolta anche da balli e danze. Ma la cosa più confortante è stata ritrovare anche là l’organizzazione tipica delle nostre comunità. Anche là ci sono tante persone che si trovano insieme, si danno da fare per organizzare le varie attività parrocchiali, ci sono dei responsabili dei gruppi, gli scout, le corali, i gruppi di catechesi ecc. Insomma, cambia l’aspetto dell’ambiente, che è più povero e trasandato, ma le persone nel profondo restano le stesse. Uno degli aspetti più interessanti dell’Africa è vedere come le persone, pur nella scarsità di mezzi e denaro, riescano ad affrontare le varie situazioni e ad arrangiarsi in qualche modo. Un esempio è dato dalla radio diocesana di Yamoussoukro, che è in grado di funzionare senza contributi né della curia né pubblici, solamente con le donazioni e con le attività da essa promosse per l’autofinanziamento, dando lavoro a qualche decina di persone seriamente preparate. Un altro esempio ci è venuto dalla visita al cantiere edile della scuola di Sopim (finanziata in parte anche con i proventi dell’operazione Uomini come noi) dove, in condizioni di (non) sicurezza che da noi non potremmo neanche immaginare, uomini e donne si improvvisano per portare a compimento le opere. Ciò dimostra la vitalità di questa gente, qualora gli sia data la possibilità di dimostrarla. Una cosa che mi ha colpito è il senso di appartenenza dei cristiani e dei catecumeni (che sono una fetta consistente, visto che il battesimo arriva solo dopo diversi anni di catechesi) alle comunità e l’importanza di queste nella società, che si manifesta anche nel bisogno di avere dei simboli evidenti (le chiese, le campane, ecc.). Il battesimo è una scelta radicale, che avviene pubblicamente e cambia definitivamente la vita. Tenendo conto che nei villaggi molti professano ancora le religioni animiste tradizionali e che, di conseguenza, spesso la conversione al cristianesimo è fonte di tensioni tra i gruppi, si può comprendere quale convinzione e forza d’animo interiore sia richiesta per fare questo passo. Mi ha molto colpito, inoltre, l’importanza dell’opera delle nostre missioni e delle congregazioni religiose soprattutto laddove ci sia da prendersi cura delle situazioni più difficili, come quelle dei malati di mente, della cura al morbo di Burulì o del recupero di donne e ragazze vittime degli orrori della guerra. Per questi casi il governo non fa praticamente nulla e non ci sarebbe nessuno a farsene carico se non ci fosse la Chiesa. Chiesa che, nel caso delle missioni goriziane, ha lasciato numerosissimi segni, come abbiamo potuto vedere, nelle varie scuole e chiese costruite negli anni. Fa un certo effetto vedere ripetutamente targhe commemorative che riportano i nomi di persone a noi note o le decorazioni ispirate ai mosaici della basilica di Aquileia. Abbiamo potuto anche assistere alle cerimonie di benedizione ed inaugurazione di due delle tre campane che erano state donate e inviate l’anno scorso ad alcuni villaggi. È stato toccante vedere quanto la gioia delle persone fosse viva nel poter finalmente disporre di un simbolo forte di identità per la comunità cristiana, in un paese dove i cristiani non sono certamente la maggioranza. È stato commovente provare la loro riconoscenza, quando hanno saputo che erano presenti dei rappresentanti delle comunità che avevano donato loro quelle campane. È rimasto impresso nella nostra mente il fatto che su quelle campane, collocate in villaggi dispersi della foresta africana, sono incisi nel bronzo i nomi di persone conosciute: coloro che le hanno donate. Mi pare che in questo racconto emerga più volte la questione dei legami che uniscono la nostra terra a quella terra di missione, che sono tanti, sono importanti e sono forti. Io credo che una delle cose più importanti che derivano da questo viaggio siano proprio i legami. La cosa straordinaria è che ormai Narcisse, Kadher, Eric, Patricia, Brigitte, Laurent, père Gerard, per citarne solo alcuni a caso, non sono più dei semplici nomi, ma sono nomi di amici. E questa è una condizione imprescindibile per dare un senso compiuto a parole come Chiesa e comunità. Poi magari non tutti potranno seguire il consiglio che il vescovo di Yamoussoukro, Marcellin Yao Kouadio, ci ha dato nella sua recente visita in diocesi, ovvero «Venite a trovarci». Tuttavia è evidente che Gorizia, come diocesi, molto ha fatto per quelle genti e che loro ci sono davvero riconoscenti, e che il rapporto costruito in tanti anni merita non solo di essere mantenuto, ma anche rinvigorito e rinforzato. PAOLO TONELLO ALTA UOTA DALLA RACCOLTA UOMINI COME NOI... AL RISULTATO FINALE Ogni tanto, scorrazzando per Cervignano sopra le camionette dell’operazione Uomini come noi, mi capitava di pensare a come sarebbe stato bello ed interessante andare a visitare quei posti così lontani per cui, ogni anno, tantissimi giovani della nostra comunità dedicano un po’ del loro tempo libero con l’obiettivo finale di realizzare qualcosa di concreto attraverso i numerosi progetti promossi dal Centro missionario di Gorizia. Dunque, quando, durante la veglia missionaria dello scorso novembre, sono venuto a conoscenza di un apposito viaggio di conoscenza in Costa d’Avorio organizzato dalla diocesi per alcuni giovani, ho capito con grande gioia che finalmente si presentava davanti a me la possibilità di realizzare questo mio grande desiderio! Finalmente avrei potuto vedere con i miei occhi tutte le opere realizzate dalla nostra diocesi e di cui avevo tanto sentito parlare, ma che avevo potuto ammirare solamente in qualche piccola riproduzione fotografica. Quando in- vece mi sono ritrovato davanti a queste opere - ospedali, scuole, strutture per accogliere e curare i malati mentali, chiese (fra cui anche quella del nostro don Silvano), campane, motocoltivatori ecc. -, non nascondo di avere provato un po’ di emozione, soprattutto nel constatare l’immensa gioia e riconoscenza dei fedeli locali. In quei momenti ho capito che tutti gli sforzi fatti finora non sono stati vani. Tuttavia, dietro a tutto questo c’è l’immenso ed imprescindibile lavoro dei nostri missionari, don Flavio, don Michele, don Giovanni e di tutti i loro collaboratori: per me è stato un vero onore poterli conoscere. Persone veramente straordinarie, di cui mi ha impressionato la capacità di coordinare progetti così importanti e complessi, ed il grande affetto, anzi l’amore che la gente nutre per loro. La gente, appunto, è talmente riconoscente con loro e con chi li ha preceduti da sentirsi in dovere di ringraziare anche noi, che nonostante fossimo, di fatto, i rappresen- tanti della diocesi, in fondo abbiamo fatto ben poco per meritare tanta attenzione . Ovunque siamo stati accolti con calore e gratitudine, al punto da farci sentire quasi in imbarazzo. Voglio sottolineare ancora come, durante la recente guerra civile ivoriana, i nostri missionari siano stati gli unici a non fuggire ed anzi si sono fin da subito prodigati, a rischio della loro stessa vita, per rimanere al fianco dei più deboli, aiutandoli a risollevarsi da questa ennesima ingiustizia. A questo proposito, per quello che ho potuto vedere, lo stato sembra totalmente assente nell’assistere la popolazione, anche nei bisogni più banali e scontati (almeno per noi); non fosse per l’opera delle nostre missioni, la gente ivoriana subirebbe ancora ulteriori offese ai loro diritti, proprio da chi dovrebbe invece tutelarne il benessere. Ecco, la gente rappresentava per me la curiosità più grande: il conoscere uomini e donne che per cultura, abitudini IN COSTA D’AVORIO 11 9-25 AGOSTO 2010: IL DIARIO DI BORDO Riassumiamo brevemente le tappe salienti del nostro viaggio, pur sapendo di non poter essere esaustivi, vista l’enorme mole di aneddoti, esperienze, curiosità. Tentiamo quindi di proporre una sorta di ʻdiario di bordoʼ. 9 agosto – Dopo aver viaggiato tra Venezia, Bruxelles e Ouagadougou, giungiamo nella vecchia capitale ivoriana, Abidjan. Trascorriamo una notte presso una struttura religiosa e ci svegliamo in un ambiente caotico metropolitano: capiamo subito di essere giunti in una realtà completamente diversa dalla nostra. Per il resto della mattinata poi viaggiamo con il nostro furgone in direzione Morofè, la missione gestita da don Flavio Zanetti. Subito dopo essere arrivati visitiamo Kossu, villaggio dove le missioni goriziane hanno iniziato ad operare negli anni ’70 e dove troviamo l’ex scuola di falegnameria, chiusa dopo il conflitto; l’amarezza è grande nel trovare queste strutture abbandonate, vista anche la grande abilità dei falegnami locali. 12 agosto – Visitiamo prima l’ospedale oftalmologico ʻSan Camilloʼ e successi- 15 agosto – Giornata impegnativa ma che ricorderemo con molto piacere. La mattina ci rechiamo a Djebonoua, dove partecipiamo alla processione e quindi alla messa per la Festa dell’Assunzione. La messa stessa per noi è una continua sorpresa: infatti dura più di due ore ed è scandita da canti ed inni ritmati espressi da una bravissima corale. 17 agosto – È il giorno del saluto a Buakè, dove lasciamo tante nuove amicizie ed una comunità che ci ha fatto sentire parte di essa. In tarda mattinata torniamo quindi a Morofè, presso Yamoussoukro, ospiti della missione gestita da don Flavio Zanetti. Approfittiamo per effettuare un tour della città. Le reazioni per ciò che vediamo sono fra le più svariate: grandiosi palazzi che vengono percepiti da alcuni come delle immense cattedrali nel deserto, da altri invece come simboli del progresso e della 19 agosto – La sveglia suona presto e ci dividiamo in tre gruppi: partecipiamo alle attività lavorative di alcuni componenti della comunità cattolica. Al rientro ci confrontiamo tra di noi: un po' stanchi ed accaldati constatiamo di aver conosciuto tanto e di aver toccato con mano le ricchezze agricole ed i manufatti di questa terra rigogliosa. 20 agosto – Le prime ore le dedichiamo ad alcune spese al mercato. Restiamo molto colpiti dall’infinita varietà di colori, suoni, chiacchiere, odori che pervadono quel labirinto di strette stradine. Siamo poi ospiti della Radio cattolica, un altro esempio di modernità e rinascita, completamente autofinanziata. Visitiamo dunque il moderno ospedale psichiatrico di Yamoussoukro; altamente all’avanguardia, segue ogni malato in maniera indipendente. Molti ospiti sono raccolti per strada e seguiti con una cartella clinica personale ed uno studio accurato della terapia farmacologica da seguire. 21 agosto – Giornata ricca di incontri. Nella mattinata ci rechiamo a Zaugounou e Allyaokro, due villaggi dove, grazie all’aiuto significato una volta raggiunto il traguardo finale. Un cambiamento radicale nella vita di questa gente, che è conscia di entrare a far parte di una comunità solidale e fraterna in cui superare divisioni e differenze. Se ripenso a ciò che è già stato realizzato e a ciò che è in programma, credo che il destino della Costa d’Avorio potrà essere più roseo di quello attuale. L’obiettivo primario della chiesa ivoriana, e più in generale di tutta la società, è il raggiungimento della autonomia! A tal proposito è stata molto interessante la chiacchierata con padre Herve Djezou, parroco della Cattedrale di Yamoussoukro, che interrogato su quale fosse il desiderio più grande a livello ecclesiale ha risposto a botta sicura: «Il riuscire ad essere più indipendenti, per una chiesa africana capace di reggersi sulle proprie gambe». Per concludere, rimarrà sicuramente nel mio cuore la grande gioia degli ivoriani e soprattutto i sorrisi dei bambini, la prima cosa che ho notato ed apprezzato. Un entusiasmo travolgente e contagioso, una semplicità e genuinità disarmanti. Sotto questo punto di vista abbiamo molto da imparare; avere poco ed essere felici, questo atteggiamento mi ha fatto molto riflettere. Anche per 22 agosto – Questa domenica viviamo due momenti di vita comunitaria: prima la Santa messa a Morofè e quindi la celebrazione in lingua baulè nei villaggi. Alla sera siamo gli ospiti d’onore al Festival delle corali a Kamì. Saliamo anche noi sul palco: pur non essendo un coro riusciamo ugualmente a strappare gli applausi del pubblico. 23 agosto – Giornata all’insegna dello scambio culinario, sempre a Kamì: loro ci preparano le loro specialità tipiche e noi facciamo lo stesso, con grande soddisfazione reciproca. Nel pomeriggio, poi, l’ultimo incontro ufficiale è proprio con don Flavio, che ci illustra il progetto e il disegno della futura cattedrale di Morofè. Ultima opera del compianto architetto Miani, sarà una grande struttura capace di raccogliere fino a 3.000 persone. 24 agosto – È il giorno della partenza. Don Flavio, Patrizia e Narcisse ci accompagnano verso Abidjan. Prima di andare in aeroporto facciamo ancora in tempo a vedere lo spettacolo naturale dell’oceano e a fermarci a Gran Bassam. La cittadina, nel 1895, ha accolto i primi missionari, ben coscienti che difficilmente avrebbero fatto ritorno a casa per via delle terribili malattie che avrebbero facilmente contratto. Un sacrificio che ha però pernesso tutto quanto di buono è stato fatto poi in questo paese. Infine, in aeroporto, salutiamo commossi chi ci ha ospitato con tanto affetto per fare ritorno in Italia. LUCA DI PALMA questo consiglierei a tutti, almeno una volta nella vita, di andare a visitare e vivere una situazione simile in prima persona. Certo, c’è sempre il rovescio della medaglia: girando per le città, o meglio, i villaggioni, il panorama è composto principalmente da strutture vecchie e fatiscenti, strade a dir poco dissestate che denotano una mancanza di manutenzione e più in generale di progettualità, di operazioni lungimiranti nella mentalità ivoriana. Nonostante queste contraddizioni, posso dire senza dubbio di essere tornato da questo viaggio arricchito ed entusiasta per ciò che ho visto! Partivo con molti dubbi e poche certezze su ciò a cui andavo incontro: ho trovato molto più di quello che immaginavo. Ora, quando salirò nuovamente sulle camionette della raccolta di Uomini come noi, lo farò con rinnovato slancio e cercherò, per quello che mi sarà possibile, di trasmetterlo anche a chi mi starà vicino, perché finalmente ho capito che anche donando un poco del proprio tempo si possono realizzare grandissime cose! LUCA DI PALMA ALTA UOTA ed esperienze sono molto diversi da noi. Ho scoperto un popolo fiero e dignitoso che, pur in una società ricca di contraddizioni (ma d'altronde non lo è forse anche la nostra?), mi ha trasmesso una grande vitalità. Una società giovanissima, una mentalità da ʻdopoguerraʼ, dove si cerca nonostante tutto di guardare al futuro e si ha ancora una ʻfameʼ ed una genuinità che probabilmente, in una società come la nostra in cui si ha tutto, non esistono più. Le comunità cristiane che abbiamo incontrato e con cui abbiamo avuto modo di scambiare molte esperienze e riflessioni mi hanno dato l’idea di una chiesa entusiasta e, come detto in precedenza, ʻgiovaneʼ: una chiesa in cui si riesce a percepire e a riscoprire il bello di diventare cristiani. Abbiamo visto la felicità, la liberazione negli occhi di tutte le persone che ci parlavano del perché volevano diventare cristiani e della bellezza dell’essere tale. I missionari fanno affrontare un percorso ai catecumeni (coloro che vogliono diventare cristiani e si preparano perciò al battesimo): esso diventa una scelta di vita consapevole, fatta in età adulta e non decisa da altri nei primi mesi di vita; questo, a mio parere, rende il cammino di conversione ancora più emozionante e denso di 18 agosto – Giornata vissuta tra la visione di alcune foto scattate durante la recente guerra e la visita di due tra i più grandi edifici presenti a Yamoussoukro: la fondazione Huphouet Boigny per la Pace e la Basilica di Santa Maria della Pace (copia di San Pietro). La prima è maestosa, ma ci lascia l’amaro in bocca il sapere che non viene sfruttata adeguatamente, inutilizzata da molto tempo. La seconda (su cui avevamo molti pregiudizi) ci colpisce invece in positivo e veniamo a sapere che questo colossale edificio è motivo di grande orgoglio anche per i non cattolici, i quali riconoscono in essa un simbolo della forza del loro amato ex presidente e di tutto lo stato. della comunità di Cervignano, oggi si suoneranno per la prima volta a festa le loro nuove campane. Le sensazioni sono quelle di una grande serenità e commozione. Poi ci spostiamo a Kossou per visitare la chiesa costruita negli anni ’70. Nel pomeriggio proseguiamo gli incontri con le comunità cattoliche di Seman, Sakiarò e Kofianokro. Alcuni membri ci raccontano di come si siano avvicinati alla comunità cattolica. uotati 11 agosto – Ci dirigiamo verso un’altra città, Buakè, dove per una settimana saremo ospiti di don Michele Stevanato, nella missione di Belleville. Alla sera per la prima volta abbiamo l’opportunità di incontrare una comunità cristiana, composta in maggior parte da giovani e molto attiva nel campo dell’associazionismo. L’incontro è più che positivo e veniamo accolti a braccia aperte; percepiamo subito in loro una grande volontà d’apprendere esperienze nuove e modi di lavorare diversi da quelli a cui sono abituati. 13 agosto – Incontriamo Brigitte, un’altra figura chiave nella recente storia ivoriana. È una donna di Djebonoua che è riuscita a creare un’associazione tra donne capace di trarre maggiori ricavi dalla vendita di prodotti agricoli e farine. L’associazione si è poi ampliata anche agli uomini, diventando una ONG coordinata dal fratello Remi, che sottolinea come per queste terre una cooperativa sia una totale novità. Alla sera siamo di nuovo a Belleville dove gli Scout ci preparano uno dei loro falò invitandoci a prendere parte al cerchio, tra canti e balli nella loro lingua. modernita, se collocati nel periodo rigoglioso antecedente il conflitto. i più 10 agosto – Visitiamo il dispensario di Kongouanou, una struttura specializzata nella cura del morbo di Burulì, malattia terribile che crea piaghe le quali, se non curate, sfigurano il corpo fino alla necessità di dover amputare gli arti interessati. Veniamo invitati ad entrare per assistere ad una medicazione, tuttavia io ed una mia compagna decidiamo di rimanere all’esterno, dove già possiamo sentire forte il lamento del bambino in cura. Chi ha assistito è rimasto molto scosso dall’esperienza. vamente il manicomio. In questa struttura opera Gregoire, personaggio noto in Costa d’Avorio per la sua lotta per i diritti del malato mentale, che qui spesso viene legato ai ceppi o nascosto e segregato in casa. Qui i malati, nonostante gli spazi esigui e le condizioni igieniche precarie, sembrano felici: hanno un luogo dove dormire, un pasto caldo e, cosa più importante, non sono reclusi! 12 I SONDAGGI DI WWW.RICRE.ORG!!! A meno di 2 anni dalle elezioni amministrative, secondo voi quale sarà la sfida per la poltrona di Sindaco di Cervignano nel 2012? Vota che tu su ww.ricre.org, nella sezione "Sondaggi" all'interno di Alta Quota! RIPARTE IL DOPOSCUOLA DEL RICREATORIO ri rreatorio o Proposte differenziate per elementari e medie. Con un filo diretto con gli insegnanti degli alunni. Partirà lunedì 18 ottobre per proseguire fino alla fine di maggio l’attività del doposcuola del Ricreatorio San Michele, progetto riproposto anche quest’anno al fine di aiutare i bambini e i ragazzi nello svolgimento dei compiti con una costante attenzione alle esigenze scolastiche di ognuno. Il doposcuola si rivolge sia ai bambini della scuola primaria sia ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado. Ovviamente le attività e le proposte saranno differenziate; per i bambini delle elementari il focus sarà sullo svolgimento dei compiti in piccoli gruppi con un rapporto di un educatore ogni cinque bambini, mentre per i ragazzi delle scuole medie si proporranno attività individualizzate o da eseguirsi in coppia e finalizzate all’approfondimento e al ripasso. Diversi anche i giorni: - per gli studenti della scuola primaria il doposcuola si svolgerà il martedì e il giovedì pomeriggio, - per gli studenti della scuola media, invece, il lunedì e il mercoledì. Verranno contattati anche gli insegnanti dei ragazzi con lo scopo di coordinare il lavoro scolastico e quello svolto al doposcuola. Gli incontri avranno per tutti la durata di due ore e mezza, dalle 14.15 alle 16.45, e si svolgeranno nei locali del ricreatorio. I prezzi, che quest’anno sono aumentati a causa del mancato contributo regionale, contributo ottenuto, invece, l’anno scorso, sono pari a 40 € mensili per i bambini delle elementari e 50 € per i ragazzi delle medie. Per ulteriori informazioni è possibile visitare il sito www. ricre.org o rivolgersi ad Alex Zanetti (cell. 340.3611418). SILVIA LUNARDO www.ricre.org .:. i blog da non perdere! OCCHIO DI BUE - Il blog su cucina e salute di Alessandro Morlacco IL PASSATOR CORTESE - Il blog di varia umanità a cura di Vanni Veronesi Ora in internet: Le gioie del tonno «Lu tunnu è veru beddu». Mi scuseranno gli amici siciliani se ho commesso qualche errore nella trascrizione. Ma, da solo, questo antico detto ci fa comprendere quale fosse il modo in cui i tonnaroti, i pescatori di tonno della Trinacria, guardassero al gustoso pesce. Una vacanza a Favignana, splendida isola delle Egadi, mi ha permesso di entrare nell’affascinante mondo delle tonnare... ...continua su http://www.ricre.org/Occhio-di-Bue.166.0.html Ora in internet: Liberamente librarsi con i libri - Quinta e ultima parte: dalla carta all’e-book Grecia, Roma, Europa, Bisanzio: d’accordo, ma il resto del mondo? Non ho la presunzione di rispondere a questa domanda: questa serie di puntate sulla storia del libro sottintendevano la locuzione “in Occidente”. La scrittura non è certo un’invenzione nostra: Cina e India producono libri da svariati millenni, da ben prima di noi, ma le comunicazioni fra Asia ed Europa non sono state mai così intense come oggi, anzi. Per millenni, i due continenti sono stati mondi separati: la seta e le spezie erano gli unici (o quasi) punti di contatto. Questa volta, però, il nostro discorso dovrà partire proprio dalla Cina... ...continua su http://www.ricre.org/Il-Passator-Cortese.159.0.html BUONA LA PRIMA! – Il blog sul cinema di Marco Simeon Ora in internet: Somewhere, di Sofia Coppola Sofia Coppola ha vinto la 67esima edizione della mostra del cinema di Venezia con Somewhere, opera quarta della talentuosa (su questo non c’è dubbio) figlia di Francis Ford. La piccola Sofia dimostra già coraggio ad avere intrapreso la professione del papà pur avendone uno tale... ...continua su http://www.ricre.org/Buona-la-prima.164.0.html RADIO PRESENZA l’avventura continua! SOSTIENI ANCHE TU RADIO PRESENZA CON UNA SEMPLICE DONAZIONE! IL TUO AIUTO PER DARE VOCE OGNI GIORNO A TUTTA LA COMUNITÀ! IBAN IT89 V070 8563 7300 0021 0017 163, Parrocchia San Michele Arcangelo, gestione Radio Presenza Continua imperterrito il viaggio della nuova Radio Pre- ha bisogno sì di sogni, ma anche di sudore, disponibilità senza di Cervignano del Friuli: trasmissioni, spot, mu- e, perché no, di rimboccarsi le maniche nel momento in sica… e tanto lavoro dietro le quinte. Sì, perché dietro cui è richiesto. «Con i se e con i ma non si va da nessuogni grande generale c’è sempre un glorioso esercito che na parte, bisogna essere coscienti del fatto che nella vita si rispetti, ed è per questo che l’attenzione è giusto si qualsiasi cosa si faccia bisogna amarla e portarla a termine sposti verso coloro che sono l’anima della radio, coloro nel migliore dei modi», commenta un sorridente Soranzo. che dirigono l’orchestra da dietro le quinte, coloro che in Secondo il tecnico, infatti, la parola data è un impegno e biregia mettono in moto questa fantastica macchina d’in- sogna quindi rispettarlo. Esigente e protettivo nello stesso formazione e di condivisione: i tecnici. È proprio questa, momento, Soranzo desidera insegnare ai suoi ragazzi più forse, la fortuna della nuova Rp, vale a dire disporre di cose possibili: «Non voglio che eseguano solo il compitino un glorioso esercito di ragazzi appassionati, abili e com- richiesto da copione», commenta divertito, «ma desidero petenti, sotto la guida del grande generale Soranzo, colui fortemente che imparino più cose possibili, anche per una che addirittura per missione vuole far crescere oltre che professione futura; questo per me sarebbe molto appagante». Tuttavia non nasconde il sogno più grande, vale a dire umanamente anche professionalmente i suoi soldati. Viene chiamato affettuosamente da tutti Sauf, sopranno- portare la web radio, in maniera tale che tutto il mondo posme già da tempo affibbiatogli, e tra sogni e realtà porta sa sentire radio Presenza: «Sarebbe un sogno fantastico riuavanti questa favolosa avventura, certo di farla diventare scire a farci conoscere ovunque nel mondo» dice Soranzo, «sono ottimista su questo progetto, è una mia prerogativa e giorno dopo giorno più emozionante. «Non mi pongo limiti, e non li pongo neanche a questi ra- farò di tutto affinché io possa raggiungere il mio obiettivo». gazzi», dice Soranzo, «voglio siano in grado di saper risol- L’augurio di cuore è doveroso, quindi, per questa nuova vere ogni problema, soli, senza il mio aiuto qualora ce ne realtà cervignanese che a suon di musica, gag e tanto buon fosse bisogno. Bisogna entrare nell’ottica che tutti siamo umore sta cercando di entrare nei cuori delle persone, attrautili, ma nessuno è indispensabile». Ha le idee chiare dun- verso il lavoro splendido dei soldati del general Soranzo. SALVO BARBERA que il nostro generale, convinto del fatto che questa radio INAUGURAZIONE DEL PARCO SCOUT ALTA UOTA …e su www.ricre.org/Inaugurazione-baracca.205.0.htm capocasale.pdf 15/02/2010 19.42.54 DA • • • • • NON PERDERE SU RADIO PRESENZA La Bibbia in radio, dal lunedì al venerdì, 14 - 14.30 (in replica alle 22.30 e alle 7.30), con don Bruno e Carla Aita Il Santo del giorno, ogni giorno alle ore 7 (in replica alle 8 e alle 9.30), con don Moris Tribe, ogni lunedì alle ore 16.30, con Gaia e Gavin Rainbow, ogni lunedì alle ore 20.30, con Salvo e Fabio Siete pronti per lo show?, ogni sabato alle ore 19.30, con Luca e Michele E tanto altro, grazie ai tecnici Davide, Gabriele, Michele,15/02/2010 Fabio e 19.52.07 Alessandro! Il palinsesto aggiornato di Radio Presenza lo trovi arteottica.pdf sul sito www.ricre.org.