Numero 32 - Ricreatorio San Michele

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Numero 32 - Ricreatorio San Michele
ALTA UOTA
Anno 6 Numero 32 doppia edizione Luglio-Agosto/Settembre-Ottobre 2010
Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005
Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro
Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121
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Direttore responsabile: Andrea Doncovio Redattori: Simone Bearzot, Norman Rusin, Giuseppe Ancona, Lorenzo Maricchio,
don Moris Tonso, Sandro Campisi, Silvia Lunardo, Vanni Veronesi, Sofia Balducci, Christian Franetovich, Marco Simeon,
Alessandro Morlacco, Manuela Fraioli, Cristian Furfaro, Giulia Bonifacio.
Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti
Stampa: Graphic 2 - Cervignano
RITA VRECH p. 3
© FLICKR/ph. LUFTBRUCKE
SABATINO MANSI p. 3
LUCIANO TROMBIN p. 3
GIOVANNI SARDELLA p. 2
Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org
ELISABETTA MATASSI p. 4
SANTI, POETI ED EVASORI
Pagare le tasse è un dovere di ogni contribuente, cioè di
ogni soggetto fisico o giuridico che produce ed utilizza
ricchezza. Con i proventi della tassazione lo Stato, cioè la
collettività, garantisce una serie di servizi che non sarebbe altrimenti possibile ottenere individualmente.
Fatta questa affermazione di carattere generale, rispetto alla quale cercheremo di offrire conferme ed approfondimenti, mi colpisce una interpretazione tutta nostra
del concetto. E per nostra intendo dire ‘italica’; sembra
proprio che l’evasione fiscale sia lo sport nazionale e che
l’entità ‘Stato’ sia del tutto estranea alla civile, solidale e
partecipata comunità dei nostri connazionali.
È un atteggiamento che poco ha a che fare con la dislocazione geografica e ancor meno con lo schieramento politico o con la posizione economica. Probabilmente però ha
profonde radici storiche e culturali. Tutti noi di fronte alla
possibilità di pagare un bene o un servizio un po’ meno,
evitando la componente fiscale, non abbiamo dubbi. Si
tratti del carrozziere che ci ripara il danno all’auto, o del
dentista che ci cura una carie, se non lo fa lui lo chiediamo
noi: si può fare un pochino a nero?
Tutti sappiamo bene cosa significa, ma ancor peggio, ce
ne vantiamo, o quantomeno lo riteniamo del tutto accettabile al punto da ritenere che vada bene così. Che ovunque
al mondo vada così: non è assolutamente vero!
Ribadisco, il vero problema non è tanto l’evasione fiscale.
I furbi esistono da sempre e ovunque. Il vero problema è
culturale; è la mentalità diffusa e radicata che non ci fa
percepire quel sentimento rigoroso ed al contempo solidale ben noto nel resto del mondo: se le tasse non le paghi
tu, vuol dire che io ne devo pagare di più. E non solo.
Se i servizi a cui abbiamo diritto come contribuenti non
rispondono appieno ai nostri bisogni, la soluzione non sta
nella ‘raccomandazione’, ma nella civile rivendicazione.
Diritto per chi il servizio lo percepisce e dovere per chi il
servizio lo eroga.
Ovviamente tutto questo è posto in termini generali. Esistono sicuramente eccezioni e particolarità virtuose, ma
generalmente le cose stanno proprio così. Come pure la
stessa fiscalità deve essere trattata in termini generali,
evitando di contemplare distinzioni particolari; proprio
in questo sta la giustizia del fisco: essere uguale per tutti
significa sempre scontentare qualcuno.
Nel trattare l’argomento ne conoscevamo fin dall’inizio
la delicatezza e sapevamo che avremmo sentito lamentele
e proteste, ma anche proposte e soluzioni fra le più bizzarre. Riporteremo tutto ciò che in tal senso può aiutarci
a comprendere le ragioni più diffuse e approfondire il disagio che pare più acuto in momenti difficili come quello
che stiamo vivendo.
Personalmente ritengo che la causa originaria di questo
nostro diffuso malessere verso le tasse e la cosa pubblica
stia nella storia che ha visto la nascita della nostra comunità nazionale. È una storia molto recente in rapporto a
tanti altri paesi ricchi e civili come il nostro. Il prossimo
anno celebreremo i 150 anni dall’unità d’Italia: un’unità
peraltro parziale, compiutasi solo dopo il primo conflitto
mondiale e già modificatasi dopo il secondo. Una unità
che non nasce per volontà popolare, ma per accordi internazionali di opportunità ed equilibrio continentale. Una
unità che, sancita da poteri forti, è stata priva di partecipazione per oltre mezzo secolo (il suffragio universale
maschile sarà solo del 1918, mentre le donne voteranno
solo dopo la seconda guerra mondiale). Una unità che
abbracciava popoli geograficamente distanti fra loro, che
parlavano lingue diverse, dove il tasso di analfabetismo,
ufficialmente superiore al 70%, di fatto era del 95%. Una
unità rappresentata per oltre un secolo da uno Stato che
mostrerà il pugno di ferro contro un popolo affamato e
privo di diritti. I moti di protesta in Sicilia e Veneto saranno sedati dall’esercito e lo stesso fenomeno del banditismo diffusosi nel sud fu, di fatto, una forma di protesta
economica messa a tacere nel sangue. Le vittime furono
migliaia e fu introdotta la legge marziale. Poi ci fu una
guerra. A ciò si avvicendò una dittatura. Non esprimo giudizi, ma ogni oggettivo miglioramento delle condizioni
economiche e sociali non può trovare l’avallo della storia
in condizioni di libertà negata. Il posizionamento inter-
MANLIO GAROFALO p. 4
TRA FURBETTI E RESPONSABILITÀ:
CHI PAGA PANTALONE?
nazionale dell’Italia non è stato sicuramente tale da attirare le simpatie: in entrambi i conflitti mondiali abbiamo
cominciato da una parte e terminato dalla parte opposta.
Rendendoci odiosi ai nemici ed inaffidabili agli alleati.
Risultato: di fatto sono solo poco più di cinquant’anni che
in Italia esiste lo Stato sociale, la giustizia universale ed
il riconoscimento internazionale. In un quadro così disastrato, abbiamo compiuto passi da gigante, entrando a far
parte in breve tempo delle più grandi potenze economiche mondiali e diventando protagonisti dell’unità europea
(ancora tutta da realizzare). E come sarebbe stato possibile se non con quella nostra tipica ed innata capacità di
‘arrangiarci’? Senza la nostra ‘creatività’ anche fiscale?
Non so se ho trovato la giusta chiave di lettura di questo
distorto e tutto italiano modo di rapportarci con il fisco.
In realtà ci ho provato cercando di capire innanzi tutto
me stesso ed i miei comportamenti e le ragioni profonde,
quasi istintive, che li producono. Io penso in ultima analisi che sia un po’ come per i ‘condizionamenti ambientali’:
se ci troviamo in un ambiente sporco, trascurato, disordinato ci risulta naturale gettare a terra la cartina della caramella, ma se ciò che ci circonda è lindo, pulito, ordinato,
magari la stessa cartina ce la mettiamo in tasca.
GIUSEPPE ANCONA
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IL PUNTO
Il 26 agosto scorso, a Bari, è stato presentato il Rapporto annuale 2010 dello Sportello
del Contribuente: un momento importante per la conoscenza della situazione del fisco
italiano. Ebbene, anche questa volta le notizie sono pessime, tanto per cambiare. Un
dato su tutti deve far riflettere: il nostro paese incassa solamente il 10,4% di quanto
il fisco non riesca ad accertare. Detto in termini rovesciati, il fisco italiano perde per
strada il 90% di ciò che gli spetta. Diciamolo: è un dato semplicemente MOSTRUOSO.
Specialmente se paragonato a quanto riescono a riscuotere gli altri paesi: USA 94%;
Inghilterra 91%; Francia 87%; Belgio 84%; Spagna 81%; Svezia 80%; Romania 64%;
Turchia 58%; Albania 44%; Grecia 31%.
Ogni anno, in Italia, si evadono dai 125 ai 163 miliardi di euro, sparsi fra imposte dirette,
IVA e IRAP; nel 2009, ad esempio, dei 26, 34 miliardi di euro accertati, il fisco ne ha
guadagnati solo 2, 74: il 10,4%. 23,6 miliardi di euro in fumo, nonostante i tantissimi
controlli - siamo fra i primi in Europa per numero di accertamenti - effettuati dalla
Guardia di Finanza in tutta Italia: una cifra che corrisponde a una finanziaria annuale
(l’ultima doveva essere inferiore ai 9 miliardi, ma a giugno si è aggiunta la manovra
“correttiva” di altri 24,9 miliardi…). Oltre al dichiarato e non riscosso c’è, ovviamente,
anche il non dichiarato: ben il 50,5% del reddito imponibile.
Il Rapporto è chiaro a proposito dell’identità degli evasori fiscali, come dimostra il
grafico in cui sono indicate le percentuali per categoria lavorativa: a primeggiare sono
gli industriali, seguiti a ruota da bancari e assicurativi. Con grande distacco ecco poi
commercianti, artigiani, professionisti e, ultimi, i lavoratori dipendenti. Non ci sono
particolari dubbi nemmeno sulla loro localizzazione: a livello regionale, il primato per
l’aumento dell’evasione nei primi mesi del 2010 spetta alla Lombardia (+10,1%), seguita da Veneto (+9,2%), Campania (+8,04%), Valle D’Aosta (+7,3%), Lazio (+7,1%),
Liguria (+6,3%), Emilia Romagna (+6,1%), Toscana (+5,4%), Piemonte (+5,2%), Marche (+5,0%), Puglia (+4,5%), Sicilia (+4,5%) e Umbria (+4,4%). Ed ecco che riaffiora
la solita, annosa domanda: quanto conta, nella nostra economia, il famoso sommerso?
Ce lo dice l’Istat, che ha diffuso le stime aggiornate al 2008 della porzione di Prodotto
Interno Lordo legato al sommerso: fra sottodichiarazioni di fatturati, lavoratori non registrati, rigonfiamento di costi intermedi, abusivismo edilizio e affitti in nero, si calcola
che siamo compresi fra un minimo di 225 e un massimo di 275 miliardi di euro. In termini percentuali, ci aggiriamo fra il 16,3% e il 17,5% della nostra economia.
GIOVANNI SARDELLA è un tenente-colonnello della
Guardia di finanza in servizio a Trieste presso il comando
regionale FVG dove è arrivato dopo incarichi operativi
in terra ligure. Sposato, ha due bambini in tenera età e
vive a Cervignano del Friuli.
Italia
Francia
Germania
Spesa pro capite dei
cittadini
€ 7.350,00
€ 7.438,00
€ 6.919,00
Spesa sociale pro
capite dello Stato
€ 8.023,00
€ 10.776,00
€ 9.171,00
Saldo finale
€ 664,00
€ 3.339,00
€ 2.251,00
Gli Italiani ricevono servizi sociali del valore di 664 € a testa, di contro ai 3.339 € dei
Francesi e ai 2.251 € dei Tedeschi. Non serve commentare.
VANNI VERONESI
- Non sono forse troppe?
«Non sta a me dirlo, ma forse è opportuno fare una ulteriore distinzione: in realtà esistono tasse, imposte e contributi. Le tasse hanno una relazione diretta con il sevizio per
cui sono istituite: ad esempio le tasse scolastiche e quelle
sanitarie. Le imposte vanno invece al fabbisogno generale
dello Stato, per sostenere le necessità più diffuse e meno
percettibili, ma di cui tutti beneficiamo: la giustizia, la sicurezza, l’assistenza alle fasce deboli della popolazione etc.
I contributi sono quote parte di un servizio che è svolto dalle Pubbliche Amministrazioni e per il quale viene
chiesta una partecipazione ai cittadini che ne usufruiscono, come il servizio scuolabus, lo smaltimento dei rifiuti
ed altro ancora. Quando non vi è una diretta percezione
del servizio ricevuto, o quando il servizio è carente, può
sorgere la sensazione di subire una tassa ingiusta».
- Quanto è diffuso il fenomeno dell’evasione fiscale ed esiste
una categoria speciale di evasori?
- Quante tasse esistono in Italia?
ALTA UOTA
Sempre lo scorso agosto la Cgia (associazione di artigiani e piccole imprese) di Mestre
ha reso noti altri dati riguardanti il peso tributario annuo che grava in media su ciascun
italiano. D’altro canto, ha voluto verificare quanto ci “ritorna” lo stato in termini di spesa
sociale: in altre parole, quanto versa ogni italiano allo Stato e, per tutta risposta, quanto
versa lo Stato per ogni cittadino in settori come scuola, sanità, trasporti e sicurezza? La
differenza fra i due parametri indica il livello dei servizi che ogni italiano riceve. Gli
stessi calcoli sono stati compiuti per la Francia e la Germania: il confronto, neanche a
dirlo, è sconfortante.
IL RUOLO DELLA GUARDIA DI FINANZA
in
uotattualità
FISCO: FRA EVASIONI E SERVIZI SCADENTI
«In realtà non conosco un numero preciso, ma posso dire
che esistono due grandi famiglie di imposte: quelle dirette
e quelle indirette. Le imposte dirette, per un lavoratore
dipendente sono quelle che vengono trattenute sulle buste
paga e che costituiscono una quota percentuale della retribuzione lorda; per i lavoratori autonomi le modalità di
calcolo sono diverse e per certi aspetti più complesse, ma
il principio è lo stesso. Le imposte indirette sono sostanzialmente una parte aggiuntiva al prezzo applicato ai beni
e servizi che consumiamo e sono in numero maggiore. La
principale imposta indiretta è l’IVA, ma ve ne sono anche altre. Solo per esempio, l’imposta di bollo e le accise.
Sono imposte che a volte non ci accorgiamo nemmeno
di pagare, eppure lo facciamo ogni volta che facciamo il
pieno di carburante, che accendiamo il gas, ogni volta che
consumiamo alcoolici e anche quando facciamo spesa».
burba.pdf 15/02/2010 13.46.06
«Anche qui non ho dati relativi, solo assoluti: nella nostra
Regione nel 2009 la Guardia di Finanzia ha accertato 253
evasori totali e paratotali, constatando violazioni all’IVA
per 33 milioni di Euro e alle imposte dirette per 145 milioni. Ma in realtà non sono molti ed in una certa misura esiste una soglia fisiologica di evasione soprattutto in
momenti di difficoltà e comunque è insita nella fallibilità
dell’essere umano. Il fenomeno in particolare è più diffuso nella categoria della libera professione, laddove la
capacità di produrre ricchezza è legato ad abilità e professionalità del tutto individuali. Nel mondo produttivo
esistono criteri di misurazione più certi: chi produce beni
o servizi deve acquistare materia prima, attrezzatura o
semilavorati che di fatto costituiscono un criterio di misurazione e valorizzazione sia del prodotto finale sia della
ricchezza prodotta».
mata, il cosiddetto tenore di vita?
«Non parliamo di controllo nello specifico, ma in senso
generale noi dobbiamo muovere i nostri passi dentro la
legge: la normativa fiscale, che è materia complessa e in
continua evoluzione. Il sistema a volte può sembrare non
equo, ma non ci si può fermare al caso particolare, altrimenti ci vorrebbe una legge per ogni contribuente. La
normativa deve tenere presente gli interessi generali e va
rispettata dalla generalità dei cittadini. Affermato il principio, devo dire che in realtà esistono diverse misure del
problema. Mi spiego. Per assurdo, anche un evasore totale che vive e lavora nel nostro territorio paga in qualche
misura le tasse. Come si diceva prima, produrre ricchezza
che viene consumata nel territorio nazionale per sua natura contribuisce al gettito fiscale. Non che sia bene; questi
sono fenomeni che vengono rilevati e puniti, ma il vero
nemico, il vero evasore, è chi produce ricchezza all’interno del territorio nazionale e la trasferisce fuori dai confini.
Questo oggi è il nemico numero uno. Mi spiego meglio:
si tratta in particolare di società di capitale, normalmente
con vita assai breve, che grazie a ‘giri’ di fatture sono in
grado di eludere il pagamento di tasse. Quasi sempre ciò
avviene con transazioni internazionali che trasferiscono
all’estero ingenti capitali, magari al di fuori dei normali
canali finanziari».
- E quindi?
«Questo non solo sottrae entrate tributarie per mancato
pagamento di imposte e tasse, ma crea un ulteriore ingiustizia ai danni dell’economia sana: quella della concorrenza sleale. In pratica è in grado di offrire al mercato
beni e servizi non gravati dal costo accessorio della fiscalità creando disparità e proventi illeciti. È l’evasione
fiscale più pericolosa ed anche la più odiosa».
- Ma quindi ai fini del controllo esiste una correlazione fra il
patrimonio detenuto, il reddito prodotto e la ricchezza consu-
zanon.pdf 15/02/2010 13.51.28
GIUSEPPE ANCONA
3
SUL FISCO
LA VOCE DELLA GENTE
di CHRISTIAN FRANETOVIC
e SANDRO CAMPISI
LUCIANO TROMBIN, FOTOGRAFO
«Conviene fare i dipendenti...»
ALESSANDRO SCUTTARI, FRUTTIVENDOLO
«Tasse spoporzionate rispetto alla qualità dei servizi»
- Il nostro è un fisco giusto?
- Il nostro è un fisco giusto?
«Per come la vedo io, non è uguale per tutti. Certe
categorie, come noi commercianti, sono fin troppo
tartassate. Le tasse che dobbiamo pagare sono molte
e costose sia per l’apertura sia per la gestione dell’attività. Mi verrebbe da dire che buona
parte del fatturato va al fisco».
- Ti sono mai capitati dei controlli da parte della Guardia di Finanza?
«I controlli della Guardia di Finanza, negli ultimi anni, sono frequenti. Non solo per me,
ma per tutti i commercianti. In negozio da me vengono due o tre volte all’anno, proprio
qualche giorno fa sono venuti a controllare il registro dei corrispettivi e il registratore di
cassa. Sinceramente, non ho mai avuto problemi di questo tipo».
- È conveniente aprire un attività?
- Ti sono mai capitati controlli da parte della Guardia di Finanza?
«Spesso, più o meno approfonditi: dal controllo dello scontrino all’accertamento fiscale
vero e proprio. Mi è capitato proprio pochi mesi fa che l’ufficio delle entrate mi abbia
chiesto tutte le documentazioni riguardanti la parte economica dell’attività. Posso dire
di essere sotto la lente di ingrandimento! I controlli sono molto capillari, ma trovo vergognoso che l’accertatore in borghese alle volte stia a controllare di nascosto oppure a
ridosso della cassa per ore le varie operazioni che vengono eseguite. Non è più un semplice controllo, ma è quasi una persecuzione!»
- È conveniente aprire un’ attività commerciale in proprio?
RITA VRECH, COMMERCIANTE
«Responsabilità e rispetto dei propri ruoli».
- Il nostro è un fisco giusto?
«La giusta valutazione dovrebbe essere vedere che attività un soggetto possiede, la metratura del locale, di
quanto personale necessita e le spese inerenti la propria attività; di conseguenza lo Stato valuta tali parametri e stabilisce una tassazione fissa. Tutto ciò che un
commerciante riesce a guadagnare oltre al dovuto nei
confronti del fisco non dovrebbe essere ulteriormente
aggravato da altre tassazioni, anche perché la parte di guadagno rimanente è un premio
al proprio lavoro e alla propria professionalità, perciò dovrebbe poterne usufruirne totalmente. Questo ti concede di investire ulteriormente nella tua attività, assumendo personale
qualora ce ne fosse bisogno, oppure investendo in opere di ristrutturazione e manutenzione
del locale, permettendo così di incentivare il naturale ciclo economico, dal grossista al
dettagliante. Quello che spesso ci si dimentica è che quando il commerciante è in difficoltà
questi non ha alcun sostegno da parte dello Stato, a differenza delle grandi aziende».
- Vi sono mai capitate visite della Guardia di Finanza?
«A quindici giorni dall’apertura della mia attività ho ricevuto il primo controllo dalla
finanza: sono rimasta sbalordita, perché i controlli a cui sono stata sottoposta si sono
ripetuti più volte nell’arco del primo anno.
Non metto in dubbio che questo sia il loro mestiere, ed è giusto che lo svolgano, ma con
maggior correttezza nei nostri confronti, cercando una collaborazione con la categoria
senza avere un atteggiamento prevenuto. In generale non dovrebbero presupporre di trovare a priori qualcosa di irregolare, ma cercare di avere quel buon senso per una migliore
collaborazione di entrambi».
- È conveniente oggi aprire un’attività?
crogiolo.pdf 15/02/2010 13.47.03
- Il nostro è un fisco giusto?
«Non è giusto: è parecchio alto e questo è causato
dall’alto costo della macchina dello Stato. Oggettivamente abbiamo troppi servizi mal funzionanti
anche per colpa nostra. Ci dobbiamo lamentare di
meno e avere una coscienza civica senza troppo moralismo».
- Vi sono mai capitate visite della Guardia di Finanza?
«La nostra azienda riceve mediamente almeno dieci controlli l’anno, senza nessun
riscontro positivo. Le forze dell’ordine sono deboli nel cercare l’elusione che sicuramente crea dei danni notevoli allo Stato, di milioni se non di miliardi di euro, mentre
l’evasione non raggiunge il punto di pareggio perché lo Stato, checché se ne dica, è
molto burocratizzato e non dà la possibilità ai piccoli e medi imprenditori di operare
con sistemi snelli e agevoli per poter rispettare tutte le regole.
Finché in parlamento continueranno con le loro lotte di quartiere e non si preoccuperanno dell’Italia non ci saranno alternative».
- È conveniente oggi aprire un’attività?
«Oggi non c’è più spazio per nuove attività: penso, anzi, che nel giro di dieci anni
ci sarà una razionalizzazione di attività, ovvero la chiusura di parecchi micro punti
vendita. Di questi resteranno quelli che sapranno crearsi un lavoro di nicchia, quindi
con una forte personalizzazione. Solo i grandi gruppi possono stare in piedi, finché il
rapporto finanziario ha un equilibrio. Penso che chiunque oggi entri in un negozio o ristorante o bar di Cervignano si accorga se c’è un evoluzione o una sorta di decadenza,
rappresentate dall’aspetto estetico ed etico dell’ambiente».
comelli.pdf 15/02/2010 13.46.30
ALTA UOTA
«Sicuramente è una decisione da ponderare molto attentamente. Bisogna valutare il tipo
di attività, in che zona, la preparazione (che non è poco), la voglia di sacrificio e la capacità di essere ‘formichina’ durante i primi anni, in modo da poter affrontare la prima
tassazione (che non è immediata, ma si innesca dopo circa un anno e mezzo) con responsabilità e consapevolezza. Questo può spiegare come mai alcune attività chiudano dopo
3 o 4 anni. La convenienza non esiste come concetto iniziale: tutto sta nella perseveranza, nell’intraprendenza e nel senso di responsabilità».
SABATINO MANSI, IMPRENDITORE
«Andranno avanti quelli che sapranno specializzarsi».
uotattualità
«Un’attività come la mia, di frutta e verdura, la sconsiglio. Ho iniziato questo lavoro perché era l’attività di famiglia e ormai la porto avanti, però sconsiglierei anche a mio figlio
di farlo. Le ore di lavoro e l’impegno messo non vengono corrisposti dai guadagni. La
nostra giornata inizia circa alle 6.30 del mattino e non finisce prima delle 20, senza pause
e turni di riposo, molte volte sabato e domenica compresi. Non ne vale la pena. Oggi,
inoltre, la grande distribuzione rovina il commercio, perché c’è stato un appiattimento
dei consumi: uno standard medio. Al supermercato trovi la merce di ogni qualità ad un
prezzo standard; invece, nella vendita al dettaglio, hai un rapporto personale con il cliente e puoi agevolare anche i meno agiati. A Cervignano, come dappertutto, la concorrenza
è dettata dalle esigenze di mercato, ma almeno tra noi fruttivendoli c’è molto rispetto e
cordialità. Posso parlare solo bene dei miei colleghi: mi è capitato addirittura di chiedere
un aiuto per la conservazione della mia merce e di riceverlo senza alcuna esitazione.
Completiamo le esigenze del territorio senza tuttavia doverci scontrare».
in
«È conveniente fare il dipendente…. Certo, a essere in proprio fai quello che più ti piace
o che ritieni più vantaggioso per te; ad esempio io ho sempre avuto la passione della
fotografia. Quindi, appena ho potuto, ho aperto questo studio fotografico. Ma a livello
economico e problematiche varie, come permessi, autorizzazioni etc, sicuramente hai
meno inconvenienti facendo il dipendente. Personalmente non ho mai lavorato come
dipendente, ma credo che certe problematiche non ci siano; a livello remunerativo, non
guadagni molti più soldi di un dipendente, proprio a fronte delle tante spese di gestione
dell’attività. Infatti, ci sono tante attività commerciali, anche nella nostra Cervignano,
che aprono ma dopo poco tempo sono costrette a chiudere. La mia fortuna è stata rilevare l'attività ‘foto Gennaro’ che era gia ben avviata, quindi mi è stato più facile farmi
conoscere e offrire un buon servizio alla clientela. La vera concorrenza, sleale da parte
loro, è con i cosìddetti fotografi abusivi che si trovano su internet per esempio: sono
persone, magari anche appassionate di fotografia e quindi brave nello scatto, ma senza
partita IVA, che non pagano le tasse come noi, ma si pubblicizzano in rete soprattutto
dopo l’avvento del digitale che ha reso la cosa più facile. Per un fotografo in regola,
questo è un problema».
«Non è adeguato, perché il carico fiscale non è corrisposto dai servizi effettivamente
erogati; i servizi in alcuni casi ci sono, però sproporzionati rispetto al gettito fiscale. Una
cosa che non condivido, e che succede anche nel comune di Cervignano, è spendere
tanto per fare lavori di urbanistica fin troppo di lusso nel centro della città; poi, però,
andando verso la periferia troviamo tutt’altra situazione. Credo sia più corretto pagare
meno tasse, quindi avere meno lussi, ma servizi usufruibili per tutti; la soluzione sarebbe
razionalizzare le spese che impegnano queste tasse. Molti degli introiti che ho dall’attività commerciale mi vanno per pagare le tasse».
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LA PAROLA ALL’ESPERTO
NON SOLO ICI
Pagare le tasse, anche quando sembrano eccessive
e inique, è l’unico modo per godere di servizi efficienti. Ne è convinta ELISABETTA MATASSI, dal
2006 assessore ai Servizi Finanziari del comune di
Cervignano. 37 anni, insegnante di matematica al
liceo scientifico di Latisana, Matassi è entrata per
la prima volta in consiglio comunale nell’ormai
lontano 1993: «Ero praticamente una bambina»,
ricorda divertita.
- Assessore, una curiosità mia personale, oltre che di
molti lettori: quali sono precisamente le tasse che pa-
uotattualità
ghiamo al Comune?
«I contributi che i cittadini versano all’amministrazione sono di due tipi: tasse e imposte. Le
prime sono somme corrisposte dai privati e dalle aziende in cambio di un servizio specifico, richiesto dalla comunità. L’esempio più noto è quello della TARSU (tassa sui rifiuti solidi urbani),
che fornisce al comune 1,3 milioni di euro, il 99% dei quali impiegato per coprire le spese del
servizio di nettezza urbana. La TARSU è spesso oggetto di polemiche: si critica, in particolare,
il fatto che la cifra da pagare venga calcolata sulla metratura dell’abitazione e non sulle persone
presenti o sulla reale produzione di rifiuti. Pensiamo però a come verrebbero colpite le famiglie numerose, magari meno abbienti, se l’importo fosse calcolato sul numero di componenti
il nucleo familiare! Altre tasse sono la TOSAP, corrisposta da chi richiede di occupare il suolo
pubblico, e il contributo sulle pubbliche affissioni. Il totale delle entrate provenienti da tasse è
di 1,4 milioni di euro».
- E la parte rimanente?
«I restanti 1,6 milioni derivano appunto da imposte, tributi versati all’amministrazione senza
che a ciascuno di essi corrisponda un servizio specifico. La parte più consistente viene sicuramente dall’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili), che frutta al comune circa 1,4 milioni.
Come è noto, il governo ha recentemente abolito l’ICI sulla prima casa. Il mancato introito nel
2008 è stato di circa 800.000 euro, sostituiti da contributi regionali. Le principali fonti di gettito
ICI sono attualmente fabbricati commerciali, industriali o in affitto (48%), mentre il 32% proviene da terreni agricoli e il 16% da terreni edificabili. Altre imposte sono quella sulla pubblicità,
per un valore di 65.000 euro all’anno, e l’addizionale sul consumo di energia elettrica, che frutta
125.000 euro».
- Quali sono invece le uscite?
«Da quanto detto finora, emerge come le entrate da tasse e imposte comunali ammontino a circa
tre milioni di euro. Consideri però che il nostro bilancio pareggia a 21 milioni: il grosso dei
finanziamenti deriva dai trasferimenti regionali e statali. 4,5 milioni vengono spesi ogni anno
per il personale, mentre altri 10 sono impiegati per i numerosi servizi erogati dal comune. La
somma residua è destinata agli investimenti, la cui natura dipende da precise scelte politiche
dell’amministrazione».
- Un’altra curiosità: quanti sono e come vengono utilizzati i fondi derivanti dalle multe comminate
dalla polizia municipale?
«Le entrate sotto questa voce sono di circa 135.000 euro. Per legge, la metà deve essere utilizzata per finanziare attività collegate con la sicurezza stradale: illuminazione pubblica, manutenzione dei semafori, sorveglianza sugli scuolabus eccetera. Il resto viene invece utilizzato per le
spese ordinarie».
in
- Si sente spesso dire che le amministrazioni pubbliche stanno facendo pagare tasse sempre più alte
a fronte di servizi sempre peggiori. Che cosa ne pensa?
«Il tema si presta a facili strumentalizzazioni politiche. Credo che il motivo principale per cui
le tasse vengono percepite come troppo alte è che non tutti, nel nostro Paese, le pagano. Ma è
proprio grazie al contributo dei cittadini che possono essere mantenuti attivi molti servizi essenziali, di cui spesso non ci accorgiamo nemmeno. Penso innanzitutto all’assistenza sanitaria gratuita, che pur con tutti i suoi punti deboli è una grande conquista di civiltà. Attività importanti,
in cui il comune investe risorse ingenti, sono lo scuolabus, il servizio mense e la casa di riposo».
- È solo un problema di senso civico, dunque?
«In buona parte sì, e devo purtroppo riconoscere che nell’ultimo periodo anche la classe politica
sta diffondendo un pericoloso messaggio di promozione dell’evasione fiscale. Ben venga la
riflessione su una modifica in senso federale del sistema contributivo, che contribuisca a rendere responsabili gli enti locali e a ridurre gli sprechi, ma non possiamo permetterci di essere
ambigui».
ALTA UOTA
- A proposito di federalismo fiscale, qual è la sua opinione?
«Non credo che il federalismo fiscale sia un bene in assoluto, è un’idea che può essere vantaggiosa se applicata correttamente. Il primo decreto attuativo prevederebbe una cedolare comunale
sugli affitti e una imposta municipale propria, la quale dovrebbe sostituire fra le altre ici, irpef e
imposta catastale. L’opportunità è certamente interessante, ma bisogna considerare che non tutti
i comuni sono pronti a sfruttarla appieno. Altro problema aperto è quello della lotta all’evasione, per la quale i comuni hanno attualmente scarse risorse. Infine, non dobbiamo dimenticare
che una parte del Paese non è affatto pronta a riscuotere e utilizzare autonomamente le proprie
risorse: la solidarietà nazionale impone di non abbandonare a se stessi i cittadini del Meridione.
Venendo ad aspetti più concreti, non sappiamo ancora se il nostro comune avrà da guadagnare o
da perdere dal federalismo fiscale, perché il governo non ha ancora fornito dati precisi. Tuttavia,
l’elevato senso civico dei nostri concittadini, la bassa evasione fiscale e la sostanziale solidità
dei bilanci comunali ci fanno ben sperare».
COME TI EVADO IL FISCO
Evadere il fisco? Facile, se anche coloro che
dovrebbero
controllare
non sono persone competenti... È chiaro e netto
MANLIO GAROFALO, ex
direttore dell’ufficio del
Registro di Cervignano
dal 1961 al 1973, poi vicedirettore dell’ufficio Iva
di Udine per un breve periodo fino alla quiescenza. Attualmente è iscritto all’ordine dei dottori Commercialisti ed esercita
la professione.
- Come vede oggi il nostro sistema fiscale?
«Il nostro fisco non è giusto nella maniera più assoluta perché le aliquote da
pagare sono troppo alte, l’evasione è anch’essa molto alta e quindi non si
riesce a modificare le storture e a portare il sistema ad un certo equilibrio.
Questo è dovuto anche al fatto che in Italia non ci sono sufficienti controlli
da parte degli uffici preposti, ma non c’è neanche il personale adeguato a
tale controllo. C’è una forte sperequazione tra la tassazione dei redditi di
natura finanziaria e i redditi di lavoro dipendente. Inoltre non c’è collaborazione tra i vari enti interessati al controllo fiscale, ovvero l’agenzia delle
entrate, i comuni, la guardia di finanza e l’ispettorato del lavoro.
I troppi condoni spingono ad evadere il fisco in previsione di altri condoni
futuri. Lo stesso dicasi per le residenze fittizie in paradisi fiscali e per il
rientro dei capitali dall’estero con una tassazione irrisoria del 4%, rendendo
quindi facili i passaggi di consistenti somme di denaro. Spesso succede che
ci sia una forte discrepanza tra i dati della Banca d’Italia e quelli che dà il
governo».
- Quali sono le modalità che vengono utilizzate per frodare il fisco?
«Ci sono tre tipologie: l’evasione fiscale, l’elusione fiscale e la frode fiscale.
Nell’evasione rientrano tutti quei metodi volti a ridurre o eliminare il prelievo fiscale attraverso la violazione di specifiche norme di legge. L’elusione
consiste nel falsificare la natura dell’operazione con lo scopo di beneficiare di minori imposte. A differenza dell’evasione, l’elusione non si presenta
come illegale; essa infatti rispetta formalmente le leggi vigenti, ma le aggira
nel loro aspetto sostanziale. La frode fiscale avviene con sofisticati meccanismi che creano un’apparenza di regolarità, al di sotto della quale si cela però
l’evasione, rendendo così difficoltosa l’opera di accertamento dell’amministrazione finanziaria. Ne è un esempio l’inserimento in contabilità di fatture
d'acquisto false per ridurre l’imponibile fiscale».
- Perché noi italiani ci sentiamo più bravi come evasori invece di percepire il
pagamento delle tasse come una virtù comune?
«Se so che c’è la possibilità di evadere e resto impunito, avrò sempre e comunque lo stimolo ad evadere le imposte».
- Che differenza c’è tra i controlli eseguiti ai grandi imprenditori e i piccoli imprenditori?
«È più facile controllare i piccoli imprenditori o commercianti o artigiani,
mentre per i grandi gruppi è più difficile: come ho detto precedentemente,
non c’è neppure personale adeguato, ma soprattutto ci sono pochi controlli.
C’è da considerare che dietro una grande evasione normalmente c’è un consulente fiscale che consiglia il modo di evadere: c’è sempre una regia dietro
a tutto ciò, però la responsabilità di tali consulenti non viene mai sanzionata,
anche perché non ci sono specifiche normative in materia. Ci sono tantissime società che sono perennemente in perdita e nonostante ciò restano in
vita nel tempo, non pagano le tasse e i controlli sono molto limitati in questo
genere di evasione; lo stesso vale per società che vengono create e disfatte
nel giro di un anno».
- Come sono cambiate negli anni le strutture interne degli uffici fiscali?
«Fino a circa la metà degli anni ’70 esistevano tre uffici preposti ai controlli:
l’ufficio del registro, l’ufficio imposte dirette e l’ufficio Iva. In quegli anni
unificarono questi tre uffici: venne quindi creata l’agenzia delle entrate. Fu
un errore: sia i dirigenti sia gli impiegati si trovarono improvvisamente a
ricoprire ruoli di cui non avevano conoscenza tecnica, di conseguenza non
erano preparati a questo cambio di mansione».
- Nella situazione attuale consiglierebbe ad una persona di aprire un’attività
commerciale?
«Oggi, se non hai un po’ di soldi da parte o altre garanzie da offrire alla
banca, non puoi accedere a mutui o prestiti; inoltre, i costi di gestione sono
parecchio alti, quindi risulta complicato aprire un’attività in proprio».
SANDRO CAMPISI
- Quali strumenti si possono utilizzare, secondo lei, per distinguere le amministrazioni virtuose da
quelle che non lo sono?
«Attualmente è in via di sviluppo un nuovo sistema per definire il costo di un servizio: mentre
in passato si riconosceva un costo ‘storico’ a una prestazione erogata da una determinata amministrazione, oggi si va verso l’adozione di costi ‘standard’, calcolati in comuni considerati
virtuosi. Se la discrepanza tra costo storico e costo standard è notevole, l’ente locale sarà tenuto
a prendere le contromisure opportune. Personalmente credo che, oltre alla formazione, sia soprattutto il senso di responsabilità degli amministratori a fare la differenza tra buona e cattiva
gestione della cosa pubblica».
ALESSANDRO MORLACCO
luilei 83x26.pdf 15/02/2010 13.45.19
5
LA PAROLA ALL’ESPERTO
L’EVASIONE FISCALE: COME E PERCHÉ
ALESSANDRO SANTORO insegna Scienza delle Finanze
e Politica economica all’Università di Milano-Bicocca. È
stato esperto tributario presso il ministero delle Finanze
dal 1999 al 2004 e dal 2006 al 2008 e, fra le altre cose,
collaboratore del Vice-ministro Visco. Ha al suo attivo
numerose pubblicazioni scientifiche riguardanti in particolare i temi della tassazione, dell’evasione e delle disuguaglianza. Nel 2010 ha pubblicato per Il Mulino il
libro L’evasione fiscale: quanto, come, perché, all’interno della collana scientifico-divulgativa Farsi un’idea. Lo
abbiamo intervistato per questo numero.
-Professore, perché spesso i dati sull’evasione sono ingannevoli? Lei invita in particolare a maneggiare con attenzione
quelli di Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate.
«Il modello italiano è fondato sulle piccole e medie imprese e sulla diffusione della libera iniziativa imprenditoriale
privata: ne è dimostrazione il fatto che sono attive oltre 5
milioni di partite IVA, una ogni 10 abitanti, compresi vecchi e bambini. Il nostro sistema produttivo è dotato quindi
di un dinamismo e di una capacità di resistenza alle crisi
superiore rispetto a quello dei paesi europei dove domina
la grande industria. Tuttavia, esistono anche dei costi che
paghiamo a questa struttura produttiva: una bassa propensione alla ricerca e all'innovazione di medio periodo
ed un'alta evasione. La propensione all'evasione, intesa
come occultamento della ricchezza, è superiore nelle attività economica di dimensione molto ridotta e condotta su
scala familiare, perché si tratta di strutture produttive largamente basate sull'informalità e sui rapporti diretti, dove
l'alterazione della contabilità, necessaria per l'evasione,
non ha un costo».
- Sostanzialmente, a colpire ancora è la ʻforza socialeʼ della
famiglia italiana.
- Un’altra causa è la struttura del sistema fiscale. In particolare, questo permette ai lavoratori autonomi di dichiarare
da soli i propri redditi, così che per questi è molto più facile
evadere le tasse rispetto ai dipendenti.
«Certo: è l'occasione che fa l'evasione. Tuttavia questo
riguarda non solo l'Italia e la difficoltà a evadere spesso
non è per i soli redditi da lavoro dipendente: anche alcuni
redditi da capitale sono difficili da evadere per la stessa
ragione. Cioè perché esiste un sostituto d'imposta, un soggetto che calcola e versa le imposte al posto del contribuente. Proprio come fa il datore di lavoro o lo Stato per
i dipendenti».
- Certo, ma si potrebbe dire che l’autonomo si sente anche
più autorizzato ad evadere, in quanto sostiene maggiori rischi nel suo lavoro rispetto a un dipendente?
«Senza dubbio. Possono poi intervenire anche considerazioni di questo tipo, come la (auto) giustificazione di
un comportamento alla luce del rischio. O come ideale
punizione per i mancati o inefficienti servizi pubblici.
Ma è bene distinguere tra elementi psicologici effettivi e
pseudo-giustificazioni che l’evasore tende a concedere a
se stesso».
- Non sembra invece che le norme esistenti siano troppo lassiste, né che i controlli siano numericamente troppo esigui,
come spesso si pretende. In particolare, le nostre pene per gli
evasori non sono molti diverse da quelle degli U.S.A., spesso
indicati come monumento di severità.
«Le cito alcuni dati tratti dal documento dell’OECD
(organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ndr) Tax Administration in OECD and selected
non-OECD countries del febbraio 2007. In Italia le sanzioni per la dichiarazione infedele arriva fino al 240%
dell’importo evaso e le sanzioni penali fino a 6 anni di
detenzione; in Francia si va fino all’80% e fino a 5 anni,
in Germania l’importo delle sanzioni è variabile e la detenzione è anch’essa fino a 5 anni; in USA è prevista solo
la sanzione amministrativa, per un importo che arriva al
75% dell’imposta evasa. Il problema non è quello di avere sanzioni più elevate, quanto quello di essere coerenti e
continui nell’applicarle. Del resto, l’Italia ha avuto negli
anni Ottanta una disciplina penale ancora più severa (la
cosiddetta legge sulle manette agli evasori) risultata fallimentare».
- Sempre a proposito di leggi, quali sono gli effetti di un condono fiscale sull’evasione?
«Un condono fiscale ha un effetto positivo nel breve periodo per le casse dello Stato, ma presumibilmente negativo nel medio-lungo periodo, perché riduce le potenzialità di deterrenza delle politiche ordinarie di controllo. In
pratica, si tende a evadere di più in una prospettiva lunga,
quando si ha sufficiente certezza di essere poi condonati.
Per tentare di arginare questo fenomeno, ogni volta che
viene annunciato un condono, in Italia ma anche altrove,
si tende a dire che chi non lo utilizzerà verrà controllato
con maggiori probabilità e/o sanzioni. Ma è molto difficile rendere questa minaccia credibile, in particolare quando i condoni si succedono, come è accaduto nella storia
recente del nostro Paese, a breve distanza l'uno dall'altro».
- I dati sembrano indicare che la moralità fiscale degli italiani
sia medio-alta rispetto a quella di paesi come il Belgio, che
hanno una quota di economia sommersa analoga.
«Diciamo che la moralità degli italiani rispetto al fisco,
la cosiddetta tax morale, non è inferiore a quella di Paesi
che sembrerebbero mostrare una maggiore fedeltà fiscale
(in realtà intesa come minore quota stimata di economia
sommersa)».
- Siamo quindi un paese di ipocriti, oltre che di evasori? Insomma, come vanno interpretati questi dati? È fondato dire
che esista una sorta di carattere italiano, o almeno mediterraneo, tendente all’evasione fiscale?
«Esistono Paesi che effettivamente mostrano una morale fiscale bassa ed un’alta economia sommersa (il Portogallo) o, viceversa, un’alta moralità fiscale e una bassa
economia sommersa, come Svizzera e Stati Uniti. Questo
ci dice che la moralità fiscale è un elemento importante, ma non è l’unico. In sostanza, i profili culturali sono
fondamentali per comprendere il fenomeno evasione, ma
probabilmente hanno un’importanza inferiore rispetto a
fattori strutturali».
- Fra le cause dell’eccessiva evasione in Italia, lei non annovera l’eccessiva pressione delle tasse. O meglio, non ritiene
che una riduzione delle aliquote porterebbe con certezza a
una riduzione dell’evasione fiscale. Perché?
«Non sono io a ritenerlo, ma tutta la letteratura economica. Il problema è che non sappiamo esattamente come gli
individui reagiscono alla riduzione delle imposte. Si può
pensare che questo renda l’evasione meno conveniente (o
meno necessaria) e quindi inferiore, ma c’è anche chi si
può ritenere più ricco e quindi più in condizione di rischiare sfidando il fisco ed evadendo di più. Del resto,
in Italia si evadeva tanto anche quando le aliquote erano
basse ed esistono Paesi, tipicamente quelli scandinavi,
dove la pressione fiscale è elevata anche se l’evasione
è inferiore alla nostra (anche se non irrilevante, come si
tende a credere)».
- Ma si può dire che le tasse sono alte perché si evade troppo? E in questo caso, la riduzione dell’evasione dovrebbe
portare a una riduzione delle tasse? Il vecchio adagio: “Se
tutti pagassero si pagherebbe di meno”…
«Per quanto detto sopra, e prendendo ancora l’esempio
dei Paesi scandinavi, è evidente che l’evasione non è l’unica causa di aliquote elevate, che dipendono in primis
dal livello di spesa pubblica, dall’ampiezza del sistema
di welfare ecc. Quindi, non si può dire con certezza che,
semplicemente con meno evasione, le tasse sarebbero più
basse».
- Una curiosità: è possibile stabilire se il grosso dell’evasione
italiana sia da imputare alle numerose ma esigue transazioni
in nero o ai cosiddetti grandi evasori? In sintesi, fa più male
all’economia pagare l’imbianchino senza fattura o Valentino
Rossi che evade per 60 milioni?
«Preso singolarmente, fa più male Valentino Rossi: il problema è che di imbianchini ce ne sono centinaia di migliaia e la loro evasione sommata è sicuramente superiore a
quella dei piloti o delle rockstar».
MARCO SIMEON
ALTA UOTA
«Più o meno. Per capirsi, il piccolo spaccio a gestione familiare non fa gli scontrini ed è sicuro che questo maggior
guadagno finirà nelle tasche della famiglia; il grande supermercato non può permettersi questa forma di evasione,
perché non sa se la cassiera terrà i soldi per sé o li metterà
nella contabilità in nero. La contabilità, insomma, è uno
strumento di controllo interno prezioso per la grande impresa. Questo non vuol dire che la grande impresa non
evada; semplicemente, sceglie forme di evasione e di elusione più sofisticate e difficili da quantificare. Credo non
sia un caso che i paesi con la più alta quota di economia
sommersa (Grecia, Italia, Portogallo, Spagna) siano tutti
caratterizzati da strutture produttive frammentate».
«Il soggetto che non ha un sostituto d'imposta, cioé che
deve dichiarare e versare le imposte tirandole fuori dal
suo portafoglio, ha come punto di riferimento il guadagno
lordo, ossia la somma di denaro che, per qualche tempo,
prima che intervenga il fisco, è rimasta a sua disposizione.
Viceversa, il lavoratore dipendente (e gli altri contribuenti tassati alla fonte) quelle somme, letteralmente, non le
vedono mai. È quindi chiaro come in quest’ottica si comprenda facilmente la maggior evasione degli autonomi».
uotattualità
- Leggendo il suo libro, appare chiaro come a monte dell’evasione fiscale italiana stiano un’insieme di concause. Una delle principali mi sembra di capire sia la struttura del sistema
produttivo, in particolare la prevalenza della piccola impresa.
Ci spieghi sinteticamente perché.
-Privato e autonomo partono da punti di vista diversi, dunque.
in
«I dati dell'Agenzia delle Entrate e della Gdf non si riferiscono, nella maggior parte dei casi, a stime dell'evasione vera e propria, ma, invece, agli esiti dell'azione di
accertamento che questi corpi svolgono per contrastare l'evasione. Tra le stime dell'evasione e quelle sugli accertamenti c'è quindi, innanzitutto, una differenza concettuale:
l'evasione si verifica a monte del processo (cioé quando i
contribuenti decidono quanto e come dichiarare i redditi e
i patrimoni) mentre gli accertamenti si verificano a valle
(cioé quando l'amministrazione decide se, quali ed in che
misura queste dichiarazioni non siano credibili). Inoltre,
l'importo accertato da Agenzia e Gdf si riferisce a più annualità ed è normalmente molto superiore all'importo effettivamente riscosso, sia perché i contribuenti possono ricorrere contro gli accertamenti e i giudici possono dar loro
ragione in tutto o in parte, sia perché molti contribuenti
risultano nullatenenti o falliti nel momento del pagamento. Mediamente, si riscuote il 6-7% di quanto accertato, e
questa percentuale odierna è superiore a quella relativa a
qualche anno fa, che era decisamente più bassa».
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Gennaro Riccardi
di Manuela Fraioli
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ba eka
CAMBIAMENTO
Tornare a casa è come voltarsi. Tornare a casa è
come rimettersi le scarpe comode. Tornare a casa è
sicuro. I sapori, gli angoli, le scorciatoie, l’ombra
che un albero fa a primavera e in autunno, i colori.
Certezze.
So di tornare a casa quando inizio a scorgere, dal finestrino del treno, le distese di campi,
ampi, con qualche macchia di case. Quando il cielo in estate è terso e in inverno è plumbeo, e l’atmosfera grigia. So di essere a casa quando passeggio e poco mi sorprende, se
non la calma che provo, che è come una piccola oasi di serenità.
A casa ogni cosa è al suo posto, ogni volto è familiare, ogni distanza è un tempo che non
ha necessità di essere calcolato. A casa il mondo è quello che conosciamo.
Ma il tempo passa, le stagioni cambiano, il sole appare al mattino per scomparire alla
sera, dal primo giorno dell’anno sino all’ultimo.
ALTA UOTA
la strip
neostyle.pdf 15/02/2010 19.49.06
Il cambiamento è presente: impercettibile, inevitabile, intransigente.
E quello che cambia è l’umore delle persone, il paesaggio con case nuove, il vicino che
occupa la casa di chi ci ha lasciato. E cambiamo noi: in altezza, in saggezza, in elasticità
di adattamento, nel colore di capelli o nel contrario di tutto questo.
Alcuni cambiamenti ci sorprendono, altri ci lasciano indifferenti, altri ci cambiano. Altri
invece ci commuovono: quelli che modificano le certezze, quelli che si stringono ai ricordi, che ci chiedono di guardare indietro, per l’ultima volta.
Se qualcuno mi domandava «Dov’è la Casa del formaggio?», dovevo rifletterci un attimo perché io non andavo alla Casa del formaggio, andavo da Ivo. Mia madre mi mandava da Ivo, con una lista della spesa scritta con la biro blu su un biglietto di carta. Spesso,
un attimo prima di sedersi a tavola, o quando pioveva.
Di fronte alla saracinesca abbassata quel cambiamento mi ha chiesto di chiudere una
scatola dove conservare un ricordo: il ricordo di un luogo che era parte di ʻcasaʼ.
Toni e Meni
di Luca “snoop” Di Palma
alessiopaolo.pdf 20/04/2010 7.53.31
7
Altri
tempi
Bombardamenti a Cervignano,
17 maggio 1917.
Si ringrazia Luciano Trombin.
Alta ucina
i
Padre Picuozzo. Era un laico mai diventato sacerdote
che svolgeva mansioni di famiglio, cuoco, cameriere,
sagrestano, coadiuvato, nelle pulizie della chiesa, da
qualche donna. Insegnava a noi chierichetti l’uso del
turibolo, il momento in cui spostare il messale, il giusto modo di versare il vino e l’acqua nel calice, i tempi
del suono del campanello alla consacrazione. Essendo
il gruppo dei chierichetti formato da una quindicina di
ragazzini dai 10 ai 12 anni, ci ‘seccava’ enormemente
che padre Picuozzo rispondesse al nostro «Buongiorno
don Angelo» (il ʻdonʼ di rispetto e non per il sacerdozio che non c’era) con «Buongiorno bambini»... Si sa
che i ragazzini sanno essere cattivissimi ed un giorno
aspettammo che ci salutasse allo stesso modo e risuonò
in risposta un forte «Buongiorno Picuozzo», suggeritoci
dal fratello di uno del gruppo, dove per Picuozzo, dialettale di Picozzo, intendevasi il frate laico che va in giro
a questuare.
papaveriepapere.pdf 19/04/2010 16.40.11
Ma il meglio di sé padre Picuozzo lo dava nei dolci poveri, stando all’epoca, quali le ciambelle, i pasticciotti,
i biscottini che allietavano i tre giorni più tristi dell’anno per la Chiesa cattolica: quelli dal Giovedì al Sabato
Santo.
La sera del Giovedì Santo, alle 22, quando si diradavano le visite al Santo Sepolcro, iniziava la veglia da
parte dei ragazzi, autorizzati a non tornare a casa. La
notte, generalmente già tiepida, trascorreva tra qualche
momento, a turno, di veglia, qualche ora di sonno nei
comodi confessionali, lunghe corse sul sagrato giocando alla cavallina, di cui ricordo ancora qualche verso.
Al mattino, quando riprendeva il flusso delle vecchiette, Padre Picuozzo ci riuniva nel refettorio (i sacerdoti
erano tenuti al digiuno) e ci serviva cioccolata calda e
pasticcini. Poi a casa a dormire e, nel pomeriggio verso
le 16, in chiesa per la processione del Venerdì Santo con
padre Picuozzo che incolonnava i vari gruppi che precedevano il Cristo morto, seguito dalla Madre, e dava
il via. Percorse le vie del paese, la processione saliva
l’erta della Castelluccia (un castello aragonese di proprietà della famiglia dei principi Strongoli - Pignatello)
disseminata di olivi, per ricordare la Via Crucis. Verso
le 22, al rientro, ancora cioccolata calda e dolcetti. E siamo al sabato sera, quando padre Picuozzo indicava gli
otto ragazzini, considerato lo spazio angusto della cella
campanaria, che avrebbero avuto l’onore di ʻsparareʼ la
gloria, proprio sparare, per indicare l’esplosione di gioia
nel salutare Cristo risorto. E non c’erano lamentele perché, servendo la S. Messa i giovani dell’azione cattolica,
un posto era riservato al capo chierichetto e gli altri sette
a quelli che avevano servito più messe (padre Picuozzo
aveva compilato scrupolosamente l’elenco) e che avevano maggiormente partecipato ai funerali ed a funzioni
particolari. E, al termine della Messa, ancora cioccolata
e pasticcini, questa volta con il parroco ed i sacerdoti ed
i genitori.
Ora di tutto questo non è restato più nulla, se non la piccola chiesa ed il campanile collegato, che regolarmente
vado a salutare nei ritorni alle origini. E guardando le
campane e le corde pendenti ed ondeggianti, mi sembra
che, come i carducciani «cipressi alti e schietti», mi dica
«Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’». Ma bando alla
commozione: asciughiamo una lacrima e via a gustare
(la dieta la riprenderemo al rientro) schiaffoni, involtini,
mozzarelline, soppressata, sfogliatelle, babà, cannoli e
chi più ne ha più ne metta.
ALBERTO LANDI
credifriuli.pdf 15/02/2010 13.46.47
ALTA UOTA
Ed eccoci alla succulenta ricetta. Ho scritto rigatoni riservandomi di specificare che non intendesi quelli di una
notissima marca, corti meno di 3 cm e larghi uno, bensì
i paccheri della penisola sorrentina o gli schiaffoni (i
due termini sono sinonimi) salernitani, lunghi 5/6 cm e
larghi circa due che, da qualche tempo, si trovano anche
nei negozi che vendono prodotti ʻdi nicchiaʼ (un termine - l’ho imparato da poco - che fa chic), ma anche nei
supermercati, a Cervignano, anche se non in tutti. In uno
lontano dal centro, sì.
Fatevi tagliare dal macellaio di fiducia delle fettine giustamente spesse dalle quali ottenere degli involtini. Preparate un abbondante trito di prezzemolo ed aglio al quale unirete uva passa e pinoli ed irroratelo di olio. Sempre
extra vergine. Salate ogni singola fettina man mano che
la farcite e, se avete pazienza e manualità, legatela con
del filo. Altrimenti vanno benissimo anche pezzetti di
stuzzicadenti. Ponete gli involtini in un capace recipiente di coccio giustamente unto, versatevi il trito che
dovrà essere avanzato, iniziate a cuocere gli involtini
aiutandovi con un cucchiaio di legno e poi, al momento
giusto (è l’esperienza che insegna), versatevi dell’ottima
polpa di pomodoro abbondante. Un niente di peperoncino rosso non guasta. Controllate il fuoco, il pomodoro
deve ʻpippiareʼ, fare cioè piiih, piiih: si devono rompere
le bollicine, come hanno scritto Marotta ed Eduardo in
un racconto del celebre Oro di Napoli, altrimenti non è
«ragù ma carne cu’ ‘a pummarola». Quando il sugo è
quasi ben ristretto, cuocete i paccheri o gli schiaffoni in
abbondante acqua salata, scolate bene, condite, cospargete di parmigiano. E buon appetito. Sposiamo Sud e
Nord con Refosco e/o Cabernet e gustatevi, di seguito,
gli involtini. Le patatine fritte completano il piatto.
ba eka
Confesso che ho provato una punta di invidia nel corso
dei festeggiamenti per il mezzo secolo del Ricreatorio
San Michele, e son tornato, con commozione e nostalgia, al mio ricreatorio.
Il mio ricreatorio era costituito da due capannoni, cosiddetti residuato bellico, ognuno largo circa 8 metri e
lungo 40, con una semplice copertura di lamiere ricurve.
Un soppalco fungeva da palcoscenico e l’arredamento
era costituito da qualche sedia spagliata, recuperata da
sotto le macerie, qualche tavolino più o meno traballante, due tavoli da ping pong. Una festa per l’arrivo
del calciobalilla. Un capannone era riservato ai ragazzi
dell’azione cattolica e ai boy scout, il secondo ai giovani
dell’azione cattolica. Non si parlava di presenza giovanile femminile. Una volta per settimana, nel pomeriggio, in orario stabilito, si riunivano, separatamente, per
l’incontro con il sacerdote responsabile, le giovani e le
donne dell’azione cattolica. Così come, ma di sera, gli
uomini. Il paese contava circa 5.000 abitanti, vi era una
sola chiesa con un parroco e nove sacerdoti, ad ognuno dei quali era affidato un gruppo. Ricordo don Luigi
Marsicovetrio che seguiva i ragazzi dell’azione cattolica
ed i chierichetti; ho avuto la ventura di reincontrarlo nella casa di riposo di Udine dove, anziano, si era ritirato.
Oggi, con 65.000 abitanti, i sacerdoti sono tre quando va
bene. Di fronte ai capannoni, sul retro della caserma dei
Carabinieri, su un ampio spazio in terra battuta era stato
ricavato un campo da basket e, sul lato di essi, il cortile
della canonica chiuso da mattoni grezzi come quelli dei
capannoni, 70 x 25, in terra battuta e brecciolino, sede
di accanite partite a palla che d’estate duravano dalle 14
alle 20.30 quando faceva buio (l’ora legale fu riadottata
soltanto nel 1965). Per palla intendesi ciuffi di lana sottratti da ognuno dei giocatori, dai materassi dell’epoca,
avvolti in un canovaccio, il tutto, a sua volta, avvolto in
qualche calza di nylon che i soldati americani avevano
portato al loro seguito per... comprensibili motivi. Altra
grande festa l’arrivo delle palle di gomma!
INVOLTINI E RIGATONI
DI (ALLA) PADRE PICUOZZO –
VITA VISSUTA: IL MIO RICREATORIO
8
di Norman Rusin
i più
uotati
Raggiungere, qui a Philadelphia, le bottiglie di latte crudo
a Clark Park non è più così facile in queste ultime settimane. Il mio cammino verso questo agognato involucro
di vetro a forma di pera da mezzo gallone (quasi 2 litri) è
ostacolato da una folla enorme, schiacciata in una striscia
di cemento non più larga di un metro e mezzo. E così il
mercato degli agricoltori della Dutch County (in cui vivono gli Amish) si trasforma in una Bombay formato ridotto,
tra il caldo, il sudore, le urla dei bambini e quelle dei cani.
Hanno ristretto il marciapiede perchè stanno ristrutturando il parco. Così, mentre cerco di farmi largo tra la folla,
mi fermo qualche istante (avrei altra scelta?) a salutare la
statua di Charles Dickens a pochi metri da me. Ci separa l’immancabile barriera metallica che segnala i lavori
in corso. Magro, una mano a sostenere il volto, mentre
dall’alto del trono su cui è stato posto guarda con simpatia Little Nell, personaggio della Bottega dell’antiquario
(The Old Curiosity Shop, 1840).
Apprezzata in modo particolare da Edgar Allan Poe (che
ha vissuto a Philadelphia tra il 1834 e il 1847, i suoi anni
FRANCESCO NARDI
più produttivi), La bottega dell’antiquario è la storia di
Nell e del nonno, costretti ad abbandonare la loro attività
a Londra per sfuggire all’avidità di un deforme affarista.
Peregrinando nel sud dell’Inghilterra, trovano riparo in un
piccolo villaggio grazie alla generosità di un professore;
di lì a poco, però, Nell morirà di malinconia nel cimitero locale. Narrazione che ha incontrato uno straordinario
successo di pubblico, si presta, come molti lavori letterari, a molteplici letture. Ma la statua fisserà per sempre
l’immagine di Nell e del suo creatore.
Dickens non avrebbe mai voluto essere ricordato attraverso una statua, ma soltanto attraverso le proprie opere
letterarie e il ricordo delle persone che lo avevano conosciuto direttamente. Costretto, come i suoi personaggi, a
seguire un destino indesiderato, lo scrittore diventa egli
stesso personaggio di un racconto che ha come co-protagonista un prodotto della sua fantasia. Realtà e fantasia
si mescolano nel bronzo modellato dal genio di Francis
Edwin Elwell nel 1890, inscenando il paradosso del ricordo. La memoria, imprigionata in un’effige metallica, diventa di nuovo parola di un nuovo racconto, che genererà
migliaia di ricordi differenti, eppure fatti della medesima
eterna sostanza: la parola, con il suo potere evocativo,
creatrice di mondi tra i più diversi, che passando di bocca
in bocca modella e trasforma la realtà e il nostro rapporto
col mondo, tanto che uno stesso racconto non può mai
suscitare la stessa emozione o il medesimo ricordo in due
persone diverse. Eppure Dickens resta immobilizzato in
questa pluridecorata memoria metallica. L’opera, vincitrice di numerosi premi, è sul lato opposto rispetto alla
pietra commemorativa dei soldati caduti durante la guerra
civile americana. Una lapide non basta a restituirci i nomi
e i volti di queste persone; ma è bello pensare che il ricordo delle loro azioni a difesa della libertà risuoni ancora tra
gli alberi di Clark Park. E che questa memoria trasparente
e fluida riscaldi per un istante l’effige metallica del grande
narratore.
Una gomitata nelle reni mi riporta all’umida realtà del
mercato settimanale d’illusioni: una pera di due litri di
latte non scremato e non pastorizzato proveniente da un
mondo immobile da trecento anni (gli Amish). È come
bere un sorso d’eternità.
Sabato 13, domenica 14 e lunedì 15 novembre ritorna
SAN MARTINO!
Vieni a visitare anche tu l’imperdibile stand organizzato dal Ricreatorio San Michele presso il piazzale
del Duomo e all’interno della Sala Parrocchiale.
Tutte le info sul programma le puoi
trovare nei giorni antecedenti l’evento sul sito
www.ricre.org!
Ti aspettiamo!!!
la ban a della memoria
Non ho conosciuto personalmente il signor Francesco Nardi
(classe 1899), vissuto a Cervignano negli ultimi anni della
sua vita, ma ho avuto occasione di sfogliare un libro scritto
di suo pugno, intitolato E continuo… a vivere, pubblicato
nel 1974, su cui si basa questa puntata della rubrica. In
quest’opera sono raccolte le sue memorie, che ci fanno capire che la sua storia si intreccia con gli eventi più importanti
e tragici del Novecento: partecipò alla Prima Guerra Mondiale; dopo essere stato congedato iniziò le sue esperienze
lavorative, fino a diventare dirigente tecnico in industrie di
elettrochimica, raion e cellulosa. Per motivi di lavoro si trasferì nelle Isole Filippine da dove ritornò in patria, dopo un
lungo soggiorno a Shangai e in Giappone, nel 1942.
L’episodio che vorrei riportare è tratto dall’ultimo capitolo del libro sopracitato e si riferisce al 15 ottobre 1944,
giorno in cui il signor Nardi si concesse un po’ di svago
all’aria aperta da Torviscosa verso San Giorgio di Nogaro, con il figlio Gino. All’altezza della piscina, però, due
soldati tedeschi con mitra in bella vista lo fermarono e lo
spintonarono fin dentro la Sala del Dopolavoro, dove era
stipata la maggior parte della popolazione maschile di Torviscosa, risultato di un rastrellamento nel paese. In mezzo
al salone giaceva il cadavere di un giovane che il sig. Nardi
scoprì poi essere un partigiano chiamato Primo dal Pol. Il
giovane aveva tentato la fuga fuggendo in bicicletta prima
di essere ferito e aver cercato di scappare salendo sulla
torre del campanile: qui fu ulteriormente colpito, finché
non cadde e venne finito brutalmente a colpi di scarponi
chiodati sul viso.
Intanto nella sala i soldati impedivano qualsiasi tipo di
conversazione o di movimento sospetto (era proibito anche frugare nelle tasche). Ad uno ad uno i prigionieri vennero interrogati, con i mitra ben puntati addosso e in modo
arrogante, davanti al tavolo degli ufficiali; tutti venivano
anche perquisiti, alla ricerca di documenti compromettenti. Alcuni degli uomini nella sala, racconta il narratore, riuscirono a gettare per terra o addirittura a inghiottire alcuni
pezzi di carta che avrebbero potuto metterli nei guai.
Visto che la perquisizione non ebbe successo, l’ufficiale
Pagliacciotti pronunciò un discorso che gelò agli astanti il
sangue nelle vene: lo scopo del rastrellamento era scoprire
i nomi dei partigiani. Se nessuno avesse avuto il coraggio
di parlare, aggiunse l’ufficiale, avrebbe fatto fucilare dieci
di loro, e poi ancora dieci, e avanti così finchè non avesse
avuto informazioni utili. Nessuno, però, sebbene molti tra i
presenti conoscessero tanti nomi di partigiani, fece la spia.
C’erano più di duecento persone e il sig. Nardi racconta
che ognuno era convinto che non avrebbe avuto la sfortuna
di essere scelto per la fucilazione, invece lui stesso fu il
secondo a essere indicato dai tedeschi per essere ucciso.
Mentre veniva spinto in malo modo verso il luogo dell’esecuzione, il nostro narratore si rendeva conto che erano
«i suoi ultimi minuti di vita (…) e che doveva accettare la
morte, non esisteva via di scampo». Ma l’assurdità della
situazione e la disperazione lo spinsero a immaginare una
fuga senza speranza, che non potè neanche tentare a causa
di uno sbarramento non previsto.
I soldati disposero i dieci prescelti contro il muro… «ed
ebbe inizio la macabra farsa»: venne loro spiegato che la
/7
di Sofia Balducci
fucilazione sarebbe stata solo una finzione, e che al rumore degli spari i dieci civili avrebbero dovuto accasciarsi
al suolo, immobili. Andò proprio così, e intanto una grossa folla si era radunata vicino a una vetrata per osservare
quella che per loro era una fucilazione a tutti gli effetti. La
pressione sul vetro fu così forte che esso si spezzò, creando
così una via di fuga per tutti i prigionieri che, presa al volo
l’occasione, fuggirono a gambe levate. Tempo dopo si seppe che uno degli astanti, non sopportando più la tensione, prima della fucilazione aveva rivelato i nomi di alcuni
partigiani e fu probabilmente questo episodio a salvare gli
uomini da un inseguimento o da un’ulteriore rappresaglia.
I dieci finti-morti, invece, rimasero a terra, immobili, per
oltre quaranta minuti finchè fu loro ordinato che potevano
finalmente alzarsi e ricongiungersi alle loro famiglie.
la
finestra
sul
ortile
Semplici occhiate buttate qua e là
di Simone Bearzot
ALTA UOTA
DIETRO LE QUINTE DELLA CRISI
Nel 2009 le presenze degli italiani a teatro sono aumentate dell’1% (dati Siae). Una cifra
forse di poco conto, ma che in realtà apre la porta a una serie di considerazioni che non
sono poi così scontate. Perchè un aumento di questo tipo nel bel mezzo della più grande
crisi economica degli ultimi ottant’anni non è affatto qualcosa di scontato, anzi. In un
momento storico in cui gli italiani dimostrano - alla pari con i tedeschi - la capacità di trasformarsi all’occorrenza in ʻformichineʼ parsimoniose, risparmiatrici e attente al bilancio
familiare, stupisce che si vada a teatro di più. Considerando tra l’altro che il numero di
spettacoli offerti è diminuito e il costo dei biglietti è aumentato.
C’è una spiegazione per tutto questo? Sicuramente si, ma io non la so. E quindi abbozzo
un’ipotesi: nei momenti difficili, il teatro è terapeutico, così come lo sono il cinema o lo
sport. Scriveva il regista Lucignani: «Il teatro continua ad esistere, e non soltanto come
abitudine, come modo d’impiego del tempo libero, ma come esigenza profonda e ineliminabile della vita sociale». Sul palco prendono forma l’analisi, la critica e la descrizione
di quello che succede nel mondo. Solo che, a differenza della realtà, cambiano i modi per
trasmettere le idee: che sia satira o favola, dramma o commedia, ciò che avviene dietro le
quinte riesce ad essere vicino e lontano allo stesso tempo.
L’operazione che fanno in letteratura Orwell e Manzoni, raccontando la fattoria e gli
spagnoli ma avendo bene in testa il regime sovietico e gli austriaci, a teatro si ripete
ogni volta. Con l’aggiunta che la finzione, non essendo la realtà vera e propria, risulta
ʻdigeribileʼ e meno drammatica. Con una carta in più da giocare: lo spettatore partecipe,
che vede ascolta ride piange o s’indigna a pochi metri di distanza dal palco. E di questi
tempi essere partecipi e non passivi è già un lusso. Magari si tira la cinghia, si cena qualche volta di meno al ristorante e si rinvia l’acquisto della macchina, ma non si smette di
pensare, di porsi domande e di cercare risposte, anche se scegliendo strade alternative,
tortuose o apparentemente cieche.
Certo, sono briciole. Ma briciole di speranza. E se si vuole spaziare con lo sguardo sul
ruolo del teatro nella società, si vede come a fronte della crisi dei grandi palcoscenici e
alla chiusura dell’Ente Teatrale Italiano, avvenuta lo scorso maggio, facciano da contraltare i circa seicento gruppi nati negli ultimi anni così come le sale riaperte o ristrutturate
in una miriade di piccole realtà comunali, segno di un fermento che non manca né tra chi
promuove e mette in scena né soprattutto tra chi partecipa come pubblico. E allora, citando il grande Gigi Proietti, «viva il teatro, dove tutto è finto e niente è falso».
TRE ANNI DOPO...
Quasi tre anni fa, Alta Quota usciva con un numero dedicato ai due mali oscuri del
mondo contemporaneo: l’anoressia e la bulimia. Fra le tante testimonianze riportate, una
suscitò particolare interesse e commozione: quella di Stella, una delle mie amiche più
care, all’epoca già uscita dall’incubo. Ecco cosa scrivevo per introdurre la sua lettera:
Così è stato per me nei riguardi di Stella. In un certo senso, è stata lei stessa ad aprirsi
per prima. Questa lettera, che arriva dall’Inghilterra, dove Stella si trova in Erasmus, è
una testimonianza diretta di anni trascorsi nell’inferno dell’anoressia. E di una risalita
che ha avuto successo.
Quando chiedi a una tua carissima amica di parlare di certe esperienze, hai sempre il
timore di compromettere un rapporto, perché non sai quanto in là ti puoi spingere nel
porre domande. Rifletti a lungo, meditando sul confine fra il dimostrarsi sensibili e partecipi al dolore altrui, e il scivolare nella violazione di quei segreti e di quella intimità
che ogni persona ha necessità di creare attorno a sé.
Lo scorso agosto, Stella si è sposata: un matrimonio semplice, a cui ho partecipato con
grande gioia, specialmente grazie alla presenza del suo figlioletto… Pochi giorni prima,
però, Stella ha voluto mandarmi un’altra testimonianza relativa al suo antico problema:
quasi un bilancio, ma c’è molto di più. Alta Quota ha quindi voluto ripubblicare l’articolo di due anni fa, affiancandolo a questo nuovo, intenso scritto.
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LEI
TRE ANNI FA
Coventry, 29 novembre 2007
Trieste, 30 luglio 2010
i più
uotati
ALTA UOTA
I mass media e le modelle magre fino all'osso; gli amici che scherzano sui nostri fianchi un po' “tondetti”; la mania di
Lo sapete cosa succede quando si grida in cima a una montagna? Il
perfezione che ci portiamo dietro da quando abbiamo memoria; il bisogno di sentirsi belle, per affrontare una società
primo effetto, evidente a tutti, è che il suono squarcia il silenzio che
che discrimina i brutti; ma, soprattutto, lo specchio.
c'era prima. Il secondo effetto, che molti notano e che sfugge solo
Perché quando si parla con una persona ci si può nascondere dietro a frasi fatte, si può essere la maschera di se stessi.
ai più distratti, è l'eco, che rimanda quel grido al mittente, due... tre
Ma quando ci si guarda allo specchio siamo noi, e un giorno ci accorgiamo che mentirci da soli non ha proprio senso.
volte. Poi più niente. Ma questo non è del tutto esatto: chi ama la
Ci siamo appena alzate dal letto dopo l’ultimo mancamento: fortunatamente, con noi c'era la solita amica, che non ha
montagna sente che quell'eco ne ha scosso l'imperturbabilità più a
mancato di portarci acqua e zucchero anche questa volta, sollevandoci piano le gambe per mandare un po' di sangue
fondo: non importa il conteggio oggettivo del tempo di durata, conta
al cervello (dove intanto i neuroni, senza ossigeno, stavano morendo irrimediabilmente). Abbiamo passato la consueta
l'effetto. La montagna ha tremato, e solo chi le è devoto lo sa. Per
mezz'ora su quel dannato letto, cercando le forze dentro di noi: prima per aprire di nuovo gli occhi, poi per far uscire
questo gli alpinisti sono persone schive e silenziose.
qualche lettera dalla nostra gola, infine per chiedere al'’amica «Chiama al lavoro, di' che non vado». Perché lo sappiaA volerci pensare davvero, si può prendere questa banale osservamo che non ce la faremmo proprio ad arrivare fino a lì. Ora quel pezzo di dolce che abbiamo mangiato ieri mattina ci
zione come una riflessione valida per molte circostanze della vita:
ha dato l'energia per trascinarci fino al bagno, e lavarci il viso; sopra il lavandino, lo specchio. Come abbiamo potuto
ciò che arriva come un grido, perdura a lungo in chi l'ha vissuto,
ridurci così?
ma poche persone intorno se ne accorgono. Succede anche con la
Le occhiaie ormai sono più grandi delle stesse guance, gli occhi hanno perso ogni luce, il pallore è quello di un morto. E,
cronaca: un fatto drammatico scuote le coscienze; poi, la massa lo
dentro di noi lo sappiamo: o ci mettiamo in regola, o quello sarà esattamente il nostro destino. Pensiamo che potremmo
dimentica. E solo i familiari della vittima sanno che per essa il dolore
andare in cucina, e mangiare un pezzo di pane; no, il pane no, contiene carboidrati. Allora magari un chicco d'uva:
non è passato. Ma passerà mai?
no, ci sono gli zuccheri. Niente, tra un po' passa, è sempre passato. Allora restiamo lì, senza energie, a guardare nello
Dipende, ovviamente.
specchio un'immagine che mai vorremmo vedere. E ricordiamo come siamo arrivate a questo punto: anni di sacrifici
Sono passati quasi tre d'anni da quando ho scritto il mio secondo e
e sofferenze. Certo non solo da parte nostra: abbiamo ucciso amicizie, pur di apparire come volevamo; abbiamo tolto
ultimo articolo sull'anoressia. Ne ero uscita con successo. Eppure
la vita ai nostri genitori, strillando perché pretendevamo di non avere fame; abbiamo fatto preoccupare gli insegnanti,
Lei non è mai uscita realmente da me. Troppe volte ho pensato ai
con intervalli di totale vuoto della concentrazione in classe. E, intanto, abbiamo ferito noi stesse: ci girava la testa, e ci
momenti peggiori della malattia, troppe volte ho raccontato il mio
tenevamo impegnate per non farci caso; le gambe tremavano, e ci dicevamo che con una corsa si sarebbero riprese; ci
dolore a chi lo voleva conoscere, troppe volte ho rivissuto nella mente
siamo costruite una personalità “anomala”, dicendo a gran voce che non ci piacciono né i dolci né la cioccolata, per fare
le tappe che avevo passato, troppe volte mi ero interrogata su come
in modo che nessuno ce ne offrisse; ci siamo infilate due dita in gola quando per sbaglio avevamo ingerito 20 calorie
fosse potuto succedere. Avrei dovuto capirlo: per essere così prepiù dell'indispensabile.
sente, doveva essere ancora dentro di me. Ero stata una montagna,
Abbiamo odiato il nostro corpo: l'abbiamo nascosto dietro abiti larghi, affinché nessuno vedesse com'era grosso e mal
e Lei era il grido. Tutti mi avevano visto dimagrire tanto, troppo, tutti
fatto; in qualche breve istante, abbiamo provato ribrezzo per le costole che si sentivano sfiorando la pelle, eppure ci siaavevano contato con me i chili che mancavano al raggiungimento del
mo subito dette che non eravamo ancora magre abbastanza; ci siamo afferrate la pancia, ci siamo picchiate e graffiate
normopeso. Tanti avevano visto l'eco, la fatica della risalita, le cadute,
fino a sanguinare, perché avevamo mangiato qualcosa. Abbiamo avuto paura delle persone, perché ogni bocca è pronta
la volontà che mi ha convinto a rialzarmi. Solo una persona ha visto il
a sputare sentenze senza capire quello che dice. Abbiamo odiato i giudizi degli altri, ci siamo chiuse in noi stesse, ma
tremito. E non l'ha visto due anni fa, l'ha visto due giorni fa.
siamo finite dentro al nostro corpo, quella prigione che la natura non ci ha voluto risparmiare. Siamo entrate nella
Lui, il mio fidanzato e prestissimo mio marito (Stella si è sposata lo
vita di altre persone, l’abbiamo invasa di paranoie, abbiamo catapultato altri in un mondo di calorie grassi proteine…
scorso agosto, ndr), ha capito che il grido non si spegne con l'eco.
Abbiamo tolto a chiunque ci stesse attorno il piacere di sedersi a tavola, e perfino la spontaneità di mangiare un piatto
Ha scoperto una difficoltà che negavo anche a me stessa. Non sono
di pasta.
anoressica, non più; ho attraversato splendidamente una gravidanza
E cosa abbiamo risolto?
faticosa; alla nascita di mio figlio Lei era solo un brutto ricordo. Ma c'è
Siamo brutte. La pelle è pallida, al punto che in alcune parti il colore dei capillari è più forte ed emerge; il viso non
qualcosa che resta dentro. Nell'articolo di due anni fa scrivevo: «Ricoha vita, il sorriso non emana gioia. I nostri pantaloni preferiti cadono, non li possiamo più indossare; loro e quella
minciare a mangiare è più difficile che smettere. Ma è possibile». Lo
maglietta così bella, che segnava con un po' di malizia quel seno che ora è solo un ricordo. Ma non ci interessa, perché
penso ancora: quello che non sapevo, però, è che il rapporto con il cibo,
noi non vogliamo essere corpi, vogliamo essere persone. Certo, in questo senso i miglioramenti non sono stati notevoli:
con il proprio corpo, si è logorato. Come un dialogo tra madre e figlio che
abbiamo paura di andare da qualche parte da sole, perché negli ultimi giorni ci siamo perse nelle strade che percorsi sia interrotto in tempi atavici non può essere ricucito per il semplice
riamo da anni; ci sono momenti in cui i capogiri sono così forti che pensiamo di camminare dritte e invece andiamo
fatto che nelle famiglie normali questo è ‘naturale’, così una sensazione
a sbattere contro un lampione dall'altra parte del marciapiede; i colori si confondono, e non sappiamo se il rosso del
nota a tutti - quella della fame - sfugge a chi tanto a lungo l'ha negata.
semaforo è per noi o per le macchine.
Il tempo è passato. Avevo quattordici anni la prima volta che ho deAbbassiamo gli occhi mentre questi pensieri monopolizzano la nostra mente, perché non possiamo guardare le sole
ciso di dimagrire; ne avevo 21 quando ho pensato di essere guarita.
colpevoli di questa situazione: noi. Ma ora alziamo nuovamente lo sguardo, e ci chiediamo semplicemente “perché”.
Oggi ne ho 23, e scopro con lo stupore schifato di una bimba diQuanto è superficiale perdere la testa all'inseguimento dell'apparenza (che, tra l’altro, non ci soddisfa e non ci sodsgustata che l'eco è rimasto. Che io lo coprivo con le risate per non
disferà mai); quanto sarebbe più importante curare la nostra cultura, il nostro sapere; nutrire (ebbene sì) i nostri
sentirlo, ma che - in realtà - ho ancora bisogno di essere guidata.
ideali, il nostro impegno nel mondo, la nostra conoscenza di esso. Quanto più bene vogliamo a un'amica simpatica
Mio figlio ha quasi nove mesi: quando ha fame strilla. Io la fame non
e divertente piuttosto che a una ragazza con misure perfette che appena apre bocca esprime tutta la sua nullità. E,
so più nemmeno cosa sia. E mi scopro debitrice verso chi non ha
con gelo, ci accorgiamo di essere quella ragazza. Che non parla perché non ha le forze per farlo; ma che se anche lo
creduto all'incanto della guarigione e mi ha sempre tenuta d'occhio,
facesse, non avrebbe più niente da dire, perché ha trascorso i suoi ultimi giorni a letto, o a casa, muovendosi il minimo
con l'amore di un uomo ma con l'apprensione di un padre. Scopro
indispensabile.
di dovergli la mia rinascita, quella che mi impongo di far iniziare da
È allora che proviamo schifo per noi stesse.
adesso per non distruggere con il mio inutile dolore la famiglia che
È allora che le cose cambiano. Lentamente, dolorosamente, con l'aiuto di amici che nonostante tutto non ci hanno
insieme stiamo costruendo. Vorrei poter dire che Lei non ne farà mai
abbandonate, con il supporto di una famiglia che piange le sue lacrime in silenzio, che ci supporta e ci incoraggia, che
parte, ma non ne ho la certezza. So però che l'amore che si respira
gioisce con noi a ogni piccolo successo. Con la guida di medici che sanno tacere nel momento in cui tocca a noi capire
in casa nutrirà le mie speranze, e grazie a questa forza io nutrirò me
il guaio in cui ci siamo cacciate, e che sono lì quando noi chiediamo, finalmente, aiuto.
stessa. Ma non amerò mai più il cibo. Lei è dentro di me. Come un
Forse è strano da immaginare per chi non c'è passato: iniziare a mangiare è molto più difficile che smettere. Ma è
ricordo, come un monito, come un incubo, come una minaccia. Si
possibile.
trasforma, si nasconde e poi viene fuori di nuovo. Ma è dentro di me.
peterpan.pdf 15/02/2010 13.47.50
automotor.pdf 1 11/10/2010 11.26.07
STELLA
STELLA
10 CERVIGNANO RITORNA
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IL PERCHÉ DI UN VIAGGIO
Non è certamente la prima volta che su Alta Quota si parla di Costa d’Avorio. Era poco più di un anno fa, precisamente dal 26 gennaio al 4 febbraio 2009, che una delegazione di persone della nostra diocesi, cui appartenevano
anche alcuni nostri parrocchiani compreso don Moris, ha
fatto visita alle missioni goriziane di quel paese. L’occasione di tale viaggio era tra l’altro legata alla scomparsa
di don Silvano e all’impegno della nostra comunità che,
in sua memoria, si era adoperata per donare una cappella
al villaggio di Seman.
A seguito di ciò, Alta Quota era uscito in un’edizione speciale che sono andato a recuperare sul sito internet del
ricreatorio (www.ricre.org) per vedere cosa fosse stato
detto, prima di accingermi a scrivere questo piccolo resoconto della mia esperienza.
Sono rimasto davvero colpito nel rileggere quelle pagine
e nel rivedere le foto pubblicate, in quanto vi ho riconosciuto gran parte delle esperienze che anch’io ho vissuto:
le stesse sensazioni, i sentimenti provati, le descrizioni
dei luoghi e i fatti narrati. Mi è venuto da pensare che,
se volete conoscere cosa ha significato per me il viaggio
in Costa d’Avorio, oltre che avere notizie ampie e circostanziate riguardo le missioni goriziane, basta andare
a rileggere quelle pagine: lì c’è già scritto praticamente
tutto quello che avrei da dire anch’io.
Tuttavia, proprio l’aver vissuto direttamente l’esperienza
dell’Africa mi ha fatto rendere conto di quanto sia stato
importante recarmi là di persona, a vedere con i miei occhi le cose e a conoscere direttamente le persone e le situazioni, perché qui da noi sappiamo ancora troppo poco
di tale realtà e spesso i pregiudizi che abbiamo ci impediscono di comprenderla meglio. Proverò quindi a raccontare alcune delle mie impressioni su ciò che maggiormente mi ha colpito, per provare a dare qualche elemento di
conoscenza in più su quei luoghi ancora così lontani dalla
nostra esperienza comune.
Come premessa, tra la visita dell’anno scorso e quella di
quest’anno c’è stata qualche differenza. Questa volta a
partire era una delegazione di giovani (ad eccezione di
me e don Nicola, gli altri avevano età comprese tra i 18
e i 30 anni) su impulso del Centro Missionario Diocesano, provenienti da varie parrocchie della diocesi (erano
rappresentate Gorizia, Cervignano, Cormons, Gradisca e
Sagrado). Il programma era di alcuni giorni più lungo e
prevedeva una sosta anche a Bouakè, nella nuova missione di Belleville, dove si è recentemente insediato don
Michele.
Non partivamo per qualche occasione particolare come
poteva essere un’inaugurazione, ma neanche per fare i
volontari o dare un qualche aiuto. La nostra visita aveva
come scopo la conoscenza: dei luoghi, delle opere realizzate dalle missioni diocesane, del modo di vivere della
gente, delle persone. E alla fine devo dire che, se questo
era l’obiettivo, è stato pienamente centrato.
Il particolare modo in cui abbiamo fatto questo viaggio,
ospiti delle missioni, ci ha permesso di incontrare le persone del luogo e vivere vari momenti con loro. Siamo rimasti piacevolmente stupiti dal desiderio degli africani di
incontrare gli ospiti che dall’Europa si erano presi la briga
di andarli a trovare. Nelle nostre uscite eravamo sempre
accompagnati da qualcuno e numerose sono state le occasioni di festa. Queste erano sempre accompagnate dal
pranzo o cena e talvolta anche da balli e danze. Ma la cosa
più confortante è stata ritrovare anche là l’organizzazione
tipica delle nostre comunità. Anche là ci sono tante persone che si trovano insieme, si danno da fare per organizzare
le varie attività parrocchiali, ci sono dei responsabili dei
gruppi, gli scout, le corali, i gruppi di catechesi ecc. Insomma, cambia l’aspetto dell’ambiente, che è più povero
e trasandato, ma le persone nel profondo restano le stesse.
Uno degli aspetti più interessanti dell’Africa è vedere
come le persone, pur nella scarsità di mezzi e denaro, riescano ad affrontare le varie situazioni e ad arrangiarsi
in qualche modo. Un esempio è dato dalla radio diocesana di Yamoussoukro, che è in grado di funzionare senza contributi né della curia né pubblici, solamente con le
donazioni e con le attività da essa promosse per l’autofinanziamento, dando lavoro a qualche decina di persone
seriamente preparate.
Un altro esempio ci è venuto dalla visita al cantiere edile della scuola di Sopim (finanziata in parte anche con i
proventi dell’operazione Uomini come noi) dove, in condizioni di (non) sicurezza che da noi non potremmo neanche immaginare, uomini e donne si improvvisano per
portare a compimento le opere. Ciò dimostra la vitalità
di questa gente, qualora gli sia data la possibilità di dimostrarla.
Una cosa che mi ha colpito è il senso di appartenenza
dei cristiani e dei catecumeni (che sono una fetta consistente, visto che il battesimo arriva solo dopo diversi anni
di catechesi) alle comunità e l’importanza di queste nella
società, che si manifesta anche nel bisogno di avere dei
simboli evidenti (le chiese, le campane, ecc.). Il battesimo
è una scelta radicale, che avviene pubblicamente e cambia definitivamente la vita. Tenendo conto che nei villaggi
molti professano ancora le religioni animiste tradizionali
e che, di conseguenza, spesso la conversione al cristianesimo è fonte di tensioni tra i gruppi, si può comprendere
quale convinzione e forza d’animo interiore sia richiesta
per fare questo passo.
Mi ha molto colpito, inoltre, l’importanza dell’opera delle
nostre missioni e delle congregazioni religiose soprattutto
laddove ci sia da prendersi cura delle situazioni più difficili, come quelle dei malati di mente, della cura al morbo
di Burulì o del recupero di donne e ragazze vittime degli
orrori della guerra. Per questi casi il governo non fa praticamente nulla e non ci sarebbe nessuno a farsene carico
se non ci fosse la Chiesa.
Chiesa che, nel caso delle missioni goriziane, ha lasciato
numerosissimi segni, come abbiamo potuto vedere, nelle varie scuole e chiese costruite negli anni. Fa un certo
effetto vedere ripetutamente targhe commemorative che
riportano i nomi di persone a noi note o le decorazioni
ispirate ai mosaici della basilica di Aquileia.
Abbiamo potuto anche assistere alle cerimonie di benedizione ed inaugurazione di due delle tre campane che erano state donate e inviate l’anno scorso ad alcuni villaggi.
È stato toccante vedere quanto la gioia delle persone fosse
viva nel poter finalmente disporre di un simbolo forte di
identità per la comunità cristiana, in un paese dove i cristiani non sono certamente la maggioranza. È stato commovente provare la loro riconoscenza, quando hanno saputo che erano presenti dei rappresentanti delle comunità
che avevano donato loro quelle campane. È rimasto impresso nella nostra mente il fatto che su quelle campane,
collocate in villaggi dispersi della foresta africana, sono
incisi nel bronzo i nomi di persone conosciute: coloro che
le hanno donate.
Mi pare che in questo racconto emerga più volte la questione dei legami che uniscono la nostra terra a quella
terra di missione, che sono tanti, sono importanti e sono
forti. Io credo che una delle cose più importanti che derivano da questo viaggio siano proprio i legami. La cosa
straordinaria è che ormai Narcisse, Kadher, Eric, Patricia,
Brigitte, Laurent, père Gerard, per citarne solo alcuni a
caso, non sono più dei semplici nomi, ma sono nomi di
amici. E questa è una condizione imprescindibile per dare
un senso compiuto a parole come Chiesa e comunità. Poi
magari non tutti potranno seguire il consiglio che il vescovo di Yamoussoukro, Marcellin Yao Kouadio, ci ha
dato nella sua recente visita in diocesi, ovvero «Venite a
trovarci». Tuttavia è evidente che Gorizia, come diocesi,
molto ha fatto per quelle genti e che loro ci sono davvero
riconoscenti, e che il rapporto costruito in tanti anni merita non solo di essere mantenuto, ma anche rinvigorito e
rinforzato.
PAOLO TONELLO
ALTA UOTA
DALLA RACCOLTA UOMINI COME NOI... AL RISULTATO FINALE
Ogni tanto, scorrazzando per Cervignano sopra le camionette dell’operazione Uomini come noi, mi capitava di
pensare a come sarebbe stato bello ed interessante andare
a visitare quei posti così lontani per cui, ogni anno, tantissimi giovani della nostra comunità dedicano un po’ del
loro tempo libero con l’obiettivo finale di realizzare qualcosa di concreto attraverso i numerosi progetti promossi
dal Centro missionario di Gorizia. Dunque, quando, durante la veglia missionaria dello scorso novembre, sono
venuto a conoscenza di un apposito viaggio di conoscenza in Costa d’Avorio organizzato dalla diocesi per alcuni giovani, ho capito con grande gioia che finalmente si
presentava davanti a me la possibilità di realizzare questo
mio grande desiderio!
Finalmente avrei potuto vedere con i miei occhi tutte le
opere realizzate dalla nostra diocesi e di cui avevo tanto
sentito parlare, ma che avevo potuto ammirare solamente
in qualche piccola riproduzione fotografica. Quando in-
vece mi sono ritrovato davanti a queste opere - ospedali,
scuole, strutture per accogliere e curare i malati mentali, chiese (fra cui anche quella del nostro don Silvano),
campane, motocoltivatori ecc. -, non nascondo di avere
provato un po’ di emozione, soprattutto nel constatare
l’immensa gioia e riconoscenza dei fedeli locali. In quei
momenti ho capito che tutti gli sforzi fatti finora non sono
stati vani.
Tuttavia, dietro a tutto questo c’è l’immenso ed imprescindibile lavoro dei nostri missionari, don Flavio, don
Michele, don Giovanni e di tutti i loro collaboratori: per
me è stato un vero onore poterli conoscere. Persone veramente straordinarie, di cui mi ha impressionato la capacità di coordinare progetti così importanti e complessi, ed
il grande affetto, anzi l’amore che la gente nutre per loro.
La gente, appunto, è talmente riconoscente con loro e
con chi li ha preceduti da sentirsi in dovere di ringraziare
anche noi, che nonostante fossimo, di fatto, i rappresen-
tanti della diocesi, in fondo abbiamo fatto ben poco per
meritare tanta attenzione . Ovunque siamo stati accolti
con calore e gratitudine, al punto da farci sentire quasi in
imbarazzo.
Voglio sottolineare ancora come, durante la recente guerra civile ivoriana, i nostri missionari siano stati gli unici
a non fuggire ed anzi si sono fin da subito prodigati, a
rischio della loro stessa vita, per rimanere al fianco dei
più deboli, aiutandoli a risollevarsi da questa ennesima
ingiustizia. A questo proposito, per quello che ho potuto
vedere, lo stato sembra totalmente assente nell’assistere
la popolazione, anche nei bisogni più banali e scontati
(almeno per noi); non fosse per l’opera delle nostre missioni, la gente ivoriana subirebbe ancora ulteriori offese
ai loro diritti, proprio da chi dovrebbe invece tutelarne il
benessere.
Ecco, la gente rappresentava per me la curiosità più grande: il conoscere uomini e donne che per cultura, abitudini
IN COSTA D’AVORIO
11
9-25 AGOSTO 2010: IL DIARIO DI BORDO
Riassumiamo brevemente le tappe salienti del nostro viaggio, pur sapendo di non poter essere esaustivi, vista l’enorme mole di aneddoti, esperienze, curiosità. Tentiamo quindi di
proporre una sorta di ʻdiario di bordoʼ.
9 agosto – Dopo aver viaggiato tra Venezia, Bruxelles e Ouagadougou, giungiamo
nella vecchia capitale ivoriana, Abidjan.
Trascorriamo una notte presso una struttura religiosa e ci svegliamo in un ambiente
caotico metropolitano: capiamo subito di
essere giunti in una realtà completamente diversa dalla nostra. Per il resto della
mattinata poi viaggiamo con il nostro
furgone in direzione Morofè, la missione
gestita da don Flavio Zanetti. Subito dopo
essere arrivati visitiamo Kossu, villaggio
dove le missioni goriziane hanno iniziato
ad operare negli anni ’70 e dove troviamo
l’ex scuola di falegnameria, chiusa dopo il
conflitto; l’amarezza è grande nel trovare
queste strutture abbandonate, vista anche
la grande abilità dei falegnami locali.
12 agosto – Visitiamo prima l’ospedale
oftalmologico ʻSan Camilloʼ e successi-
15 agosto – Giornata impegnativa ma che
ricorderemo con molto piacere. La mattina ci rechiamo a Djebonoua, dove partecipiamo alla processione e quindi alla messa per la Festa dell’Assunzione. La messa
stessa per noi è una continua sorpresa:
infatti dura più di due ore ed è scandita da
canti ed inni ritmati espressi da una bravissima corale.
17 agosto – È il giorno del saluto a Buakè,
dove lasciamo tante nuove amicizie ed una
comunità che ci ha fatto sentire parte di
essa. In tarda mattinata torniamo quindi a
Morofè, presso Yamoussoukro, ospiti della missione gestita da don Flavio Zanetti.
Approfittiamo per effettuare un tour della città. Le reazioni per ciò che vediamo
sono fra le più svariate: grandiosi palazzi
che vengono percepiti da alcuni come delle immense cattedrali nel deserto, da altri
invece come simboli del progresso e della
19 agosto – La sveglia suona presto e ci
dividiamo in tre gruppi: partecipiamo alle
attività lavorative di alcuni componenti della comunità cattolica. Al rientro ci
confrontiamo tra di noi: un po' stanchi ed
accaldati constatiamo di aver conosciuto
tanto e di aver toccato con mano le ricchezze agricole ed i manufatti di questa
terra rigogliosa.
20 agosto – Le prime ore le dedichiamo ad
alcune spese al mercato. Restiamo molto
colpiti dall’infinita varietà di colori, suoni,
chiacchiere, odori che pervadono quel labirinto di strette stradine. Siamo poi ospiti
della Radio cattolica, un altro esempio di
modernità e rinascita, completamente autofinanziata. Visitiamo dunque il moderno
ospedale psichiatrico di Yamoussoukro; altamente all’avanguardia, segue ogni malato
in maniera indipendente. Molti ospiti sono
raccolti per strada e seguiti con una cartella clinica personale ed uno studio accurato
della terapia farmacologica da seguire.
21 agosto – Giornata ricca di incontri. Nella mattinata ci rechiamo a Zaugounou e Allyaokro, due villaggi dove, grazie all’aiuto
significato una volta raggiunto il traguardo finale. Un
cambiamento radicale nella vita di questa gente, che è
conscia di entrare a far parte di una comunità solidale e
fraterna in cui superare divisioni e differenze.
Se ripenso a ciò che è già stato realizzato e a ciò che è
in programma, credo che il destino della Costa d’Avorio
potrà essere più roseo di quello attuale.
L’obiettivo primario della chiesa ivoriana, e più in generale di tutta la società, è il raggiungimento della autonomia!
A tal proposito è stata molto interessante la chiacchierata
con padre Herve Djezou, parroco della Cattedrale di Yamoussoukro, che interrogato su quale fosse il desiderio
più grande a livello ecclesiale ha risposto a botta sicura:
«Il riuscire ad essere più indipendenti, per una chiesa africana capace di reggersi sulle proprie gambe».
Per concludere, rimarrà sicuramente nel mio cuore la
grande gioia degli ivoriani e soprattutto i sorrisi dei
bambini, la prima cosa che ho notato ed apprezzato. Un
entusiasmo travolgente e contagioso, una semplicità e
genuinità disarmanti. Sotto questo punto di vista abbiamo molto da imparare; avere poco ed essere felici, questo atteggiamento mi ha fatto molto riflettere. Anche per
22 agosto – Questa domenica viviamo due
momenti di vita comunitaria: prima la Santa messa a Morofè e quindi la celebrazione
in lingua baulè nei villaggi. Alla sera siamo gli ospiti d’onore al Festival delle corali a Kamì. Saliamo anche noi sul palco: pur
non essendo un coro riusciamo ugualmente a strappare gli applausi del pubblico.
23 agosto – Giornata all’insegna dello
scambio culinario, sempre a Kamì: loro
ci preparano le loro specialità tipiche e
noi facciamo lo stesso, con grande soddisfazione reciproca. Nel pomeriggio, poi,
l’ultimo incontro ufficiale è proprio con
don Flavio, che ci illustra il progetto e il
disegno della futura cattedrale di Morofè.
Ultima opera del compianto architetto
Miani, sarà una grande struttura capace di
raccogliere fino a 3.000 persone.
24 agosto – È il giorno della partenza.
Don Flavio, Patrizia e Narcisse ci accompagnano verso Abidjan. Prima di andare in
aeroporto facciamo ancora in tempo a vedere lo spettacolo naturale dell’oceano e a
fermarci a Gran Bassam. La cittadina, nel
1895, ha accolto i primi missionari, ben
coscienti che difficilmente avrebbero fatto
ritorno a casa per via delle terribili malattie
che avrebbero facilmente contratto. Un sacrificio che ha però pernesso tutto quanto
di buono è stato fatto poi in questo paese.
Infine, in aeroporto, salutiamo commossi
chi ci ha ospitato con tanto affetto per fare
ritorno in Italia.
LUCA DI PALMA
questo consiglierei a tutti, almeno una volta nella vita, di
andare a visitare e vivere una situazione simile in prima
persona.
Certo, c’è sempre il rovescio della medaglia: girando per
le città, o meglio, i villaggioni, il panorama è composto
principalmente da strutture vecchie e fatiscenti, strade a
dir poco dissestate che denotano una mancanza di manutenzione e più in generale di progettualità, di operazioni
lungimiranti nella mentalità ivoriana.
Nonostante queste contraddizioni, posso dire senza dubbio di essere tornato da questo viaggio arricchito ed entusiasta per ciò che ho visto! Partivo con molti dubbi e
poche certezze su ciò a cui andavo incontro: ho trovato
molto più di quello che immaginavo. Ora, quando salirò nuovamente sulle camionette della raccolta di Uomini
come noi, lo farò con rinnovato slancio e cercherò, per
quello che mi sarà possibile, di trasmetterlo anche a chi
mi starà vicino, perché finalmente ho capito che anche
donando un poco del proprio tempo si possono realizzare
grandissime cose!
LUCA DI PALMA
ALTA UOTA
ed esperienze sono molto diversi da noi. Ho scoperto un
popolo fiero e dignitoso che, pur in una società ricca di
contraddizioni (ma d'altronde non lo è forse anche la nostra?), mi ha trasmesso una grande vitalità. Una società
giovanissima, una mentalità da ʻdopoguerraʼ, dove si cerca nonostante tutto di guardare al futuro e si ha ancora una
ʻfameʼ ed una genuinità che probabilmente, in una società
come la nostra in cui si ha tutto, non esistono più.
Le comunità cristiane che abbiamo incontrato e con cui abbiamo avuto modo di scambiare molte esperienze e riflessioni mi hanno dato l’idea di una chiesa entusiasta e, come
detto in precedenza, ʻgiovaneʼ: una chiesa in cui si riesce a
percepire e a riscoprire il bello di diventare cristiani.
Abbiamo visto la felicità, la liberazione negli occhi di
tutte le persone che ci parlavano del perché volevano
diventare cristiani e della bellezza dell’essere tale. I
missionari fanno affrontare un percorso ai catecumeni
(coloro che vogliono diventare cristiani e si preparano perciò al battesimo): esso diventa una scelta di vita
consapevole, fatta in età adulta e non decisa da altri nei
primi mesi di vita; questo, a mio parere, rende il cammino di conversione ancora più emozionante e denso di
18 agosto – Giornata vissuta tra la visione
di alcune foto scattate durante la recente
guerra e la visita di due tra i più grandi
edifici presenti a Yamoussoukro: la fondazione Huphouet Boigny per la Pace e la
Basilica di Santa Maria della Pace (copia
di San Pietro). La prima è maestosa, ma ci
lascia l’amaro in bocca il sapere che non
viene sfruttata adeguatamente, inutilizzata
da molto tempo. La seconda (su cui avevamo molti pregiudizi) ci colpisce invece
in positivo e veniamo a sapere che questo
colossale edificio è motivo di grande orgoglio anche per i non cattolici, i quali riconoscono in essa un simbolo della forza del
loro amato ex presidente e di tutto lo stato.
della comunità di Cervignano, oggi si suoneranno per la prima volta a festa le loro
nuove campane. Le sensazioni sono quelle
di una grande serenità e commozione. Poi
ci spostiamo a Kossou per visitare la chiesa costruita negli anni ’70. Nel pomeriggio
proseguiamo gli incontri con le comunità
cattoliche di Seman, Sakiarò e Kofianokro.
Alcuni membri ci raccontano di come si siano avvicinati alla comunità cattolica.
uotati
11 agosto – Ci dirigiamo verso un’altra
città, Buakè, dove per una settimana saremo ospiti di don Michele Stevanato, nella missione di Belleville. Alla sera per la
prima volta abbiamo l’opportunità di incontrare una comunità cristiana, composta
in maggior parte da giovani e molto attiva
nel campo dell’associazionismo. L’incontro è più che positivo e veniamo accolti a
braccia aperte; percepiamo subito in loro
una grande volontà d’apprendere esperienze nuove e modi di lavorare diversi da
quelli a cui sono abituati.
13 agosto – Incontriamo Brigitte, un’altra
figura chiave nella recente storia ivoriana.
È una donna di Djebonoua che è riuscita
a creare un’associazione tra donne capace
di trarre maggiori ricavi dalla vendita di
prodotti agricoli e farine. L’associazione
si è poi ampliata anche agli uomini, diventando una ONG coordinata dal fratello
Remi, che sottolinea come per queste terre
una cooperativa sia una totale novità. Alla
sera siamo di nuovo a Belleville dove gli
Scout ci preparano uno dei loro falò invitandoci a prendere parte al cerchio, tra
canti e balli nella loro lingua.
modernita, se collocati nel periodo rigoglioso antecedente il conflitto.
i più
10 agosto – Visitiamo il dispensario di
Kongouanou, una struttura specializzata
nella cura del morbo di Burulì, malattia
terribile che crea piaghe le quali, se non
curate, sfigurano il corpo fino alla necessità di dover amputare gli arti interessati.
Veniamo invitati ad entrare per assistere
ad una medicazione, tuttavia io ed una mia
compagna decidiamo di rimanere all’esterno, dove già possiamo sentire forte il lamento del bambino in cura. Chi ha assistito
è rimasto molto scosso dall’esperienza.
vamente il manicomio. In questa struttura
opera Gregoire, personaggio noto in Costa
d’Avorio per la sua lotta per i diritti del
malato mentale, che qui spesso viene legato ai ceppi o nascosto e segregato in casa.
Qui i malati, nonostante gli spazi esigui e
le condizioni igieniche precarie, sembrano felici: hanno un luogo dove dormire,
un pasto caldo e, cosa più importante, non
sono reclusi!
12
I SONDAGGI DI WWW.RICRE.ORG!!!
A meno di 2 anni dalle elezioni amministrative,
secondo voi quale sarà la sfida per la poltrona di
Sindaco di Cervignano nel 2012?
Vota che tu su ww.ricre.org, nella sezione "Sondaggi" all'interno di Alta Quota!
RIPARTE IL DOPOSCUOLA
DEL RICREATORIO
ri rreatorio
o
Proposte differenziate per elementari e medie.
Con un filo diretto con gli insegnanti degli alunni.
Partirà lunedì 18 ottobre per proseguire fino alla fine di
maggio l’attività del doposcuola del Ricreatorio San Michele, progetto riproposto anche quest’anno al fine di
aiutare i bambini e i ragazzi nello svolgimento dei compiti
con una costante attenzione alle esigenze scolastiche di
ognuno. Il doposcuola si rivolge sia ai bambini della scuola
primaria sia ai ragazzi della scuola secondaria di primo
grado. Ovviamente le attività e le proposte saranno differenziate; per i bambini delle elementari il focus sarà sullo
svolgimento dei compiti in piccoli gruppi con un rapporto
di un educatore ogni cinque bambini, mentre per i ragazzi
delle scuole medie si proporranno attività individualizzate
o da eseguirsi in coppia e finalizzate all’approfondimento
e al ripasso. Diversi anche i giorni:
- per gli studenti della scuola primaria il doposcuola si
svolgerà il martedì e il giovedì pomeriggio,
- per gli studenti della scuola media, invece, il lunedì e
il mercoledì.
Verranno contattati anche gli insegnanti dei ragazzi con
lo scopo di coordinare il lavoro scolastico e quello svolto
al doposcuola.
Gli incontri avranno per tutti la durata di due ore e mezza, dalle 14.15 alle 16.45, e si svolgeranno nei locali del
ricreatorio.
I prezzi, che quest’anno sono aumentati a causa del mancato contributo regionale, contributo ottenuto, invece,
l’anno scorso, sono pari a 40 € mensili per i bambini delle
elementari e 50 € per i ragazzi delle medie.
Per ulteriori informazioni è possibile visitare il sito www.
ricre.org o rivolgersi ad Alex Zanetti (cell. 340.3611418).
SILVIA LUNARDO
www.ricre.org .:. i blog da non perdere!
OCCHIO DI BUE - Il blog su cucina e salute di Alessandro
Morlacco
IL PASSATOR CORTESE - Il blog di varia umanità a cura
di Vanni Veronesi
Ora in internet: Le gioie del tonno
«Lu tunnu è veru beddu». Mi scuseranno gli amici siciliani se ho
commesso qualche errore nella trascrizione. Ma, da solo, questo
antico detto ci fa comprendere quale fosse il modo in cui i tonnaroti, i pescatori di tonno della Trinacria, guardassero al gustoso
pesce. Una vacanza a Favignana, splendida isola delle Egadi, mi
ha permesso di entrare nell’affascinante mondo delle tonnare...
...continua su http://www.ricre.org/Occhio-di-Bue.166.0.html
Ora in internet: Liberamente librarsi con i libri - Quinta e ultima
parte: dalla carta all’e-book
Grecia, Roma, Europa, Bisanzio:
d’accordo, ma il resto del mondo? Non ho la presunzione di
rispondere a questa domanda:
questa serie di puntate sulla
storia del libro sottintendevano
la locuzione “in Occidente”. La
scrittura non è certo un’invenzione nostra: Cina e India producono libri da svariati millenni, da ben
prima di noi, ma le comunicazioni fra Asia ed Europa non sono
state mai così intense come oggi, anzi. Per millenni, i due continenti sono stati mondi separati: la seta e le spezie erano gli unici
(o quasi) punti di contatto. Questa volta, però, il nostro discorso
dovrà partire proprio dalla Cina...
...continua su http://www.ricre.org/Il-Passator-Cortese.159.0.html
BUONA LA PRIMA! – Il blog sul cinema di Marco Simeon
Ora in internet: Somewhere, di Sofia Coppola
Sofia Coppola ha vinto la 67esima edizione della mostra del cinema di Venezia con Somewhere, opera quarta della talentuosa
(su questo non c’è dubbio) figlia di Francis Ford. La piccola Sofia
dimostra già coraggio ad avere intrapreso la professione del papà
pur avendone uno tale...
...continua su http://www.ricre.org/Buona-la-prima.164.0.html
RADIO PRESENZA
l’avventura continua!
SOSTIENI ANCHE TU RADIO PRESENZA CON UNA SEMPLICE DONAZIONE!
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Parrocchia San Michele Arcangelo, gestione Radio Presenza
Continua imperterrito il viaggio della nuova Radio Pre- ha bisogno sì di sogni, ma anche di sudore, disponibilità
senza di Cervignano del Friuli: trasmissioni, spot, mu- e, perché no, di rimboccarsi le maniche nel momento in
sica… e tanto lavoro dietro le quinte. Sì, perché dietro cui è richiesto. «Con i se e con i ma non si va da nessuogni grande generale c’è sempre un glorioso esercito che na parte, bisogna essere coscienti del fatto che nella vita
si rispetti, ed è per questo che l’attenzione è giusto si qualsiasi cosa si faccia bisogna amarla e portarla a termine
sposti verso coloro che sono l’anima della radio, coloro nel migliore dei modi», commenta un sorridente Soranzo.
che dirigono l’orchestra da dietro le quinte, coloro che in Secondo il tecnico, infatti, la parola data è un impegno e biregia mettono in moto questa fantastica macchina d’in- sogna quindi rispettarlo. Esigente e protettivo nello stesso
formazione e di condivisione: i tecnici. È proprio questa, momento, Soranzo desidera insegnare ai suoi ragazzi più
forse, la fortuna della nuova Rp, vale a dire disporre di cose possibili: «Non voglio che eseguano solo il compitino
un glorioso esercito di ragazzi appassionati, abili e com- richiesto da copione», commenta divertito, «ma desidero
petenti, sotto la guida del grande generale Soranzo, colui fortemente che imparino più cose possibili, anche per una
che addirittura per missione vuole far crescere oltre che professione futura; questo per me sarebbe molto appagante». Tuttavia non nasconde il sogno più grande, vale a dire
umanamente anche professionalmente i suoi soldati.
Viene chiamato affettuosamente da tutti Sauf, sopranno- portare la web radio, in maniera tale che tutto il mondo posme già da tempo affibbiatogli, e tra sogni e realtà porta sa sentire radio Presenza: «Sarebbe un sogno fantastico riuavanti questa favolosa avventura, certo di farla diventare scire a farci conoscere ovunque nel mondo» dice Soranzo,
«sono ottimista su questo progetto, è una mia prerogativa e
giorno dopo giorno più emozionante.
«Non mi pongo limiti, e non li pongo neanche a questi ra- farò di tutto affinché io possa raggiungere il mio obiettivo».
gazzi», dice Soranzo, «voglio siano in grado di saper risol- L’augurio di cuore è doveroso, quindi, per questa nuova
vere ogni problema, soli, senza il mio aiuto qualora ce ne realtà cervignanese che a suon di musica, gag e tanto buon
fosse bisogno. Bisogna entrare nell’ottica che tutti siamo umore sta cercando di entrare nei cuori delle persone, attrautili, ma nessuno è indispensabile». Ha le idee chiare dun- verso il lavoro splendido dei soldati del general Soranzo.
SALVO BARBERA
que il nostro generale, convinto del fatto che questa radio
INAUGURAZIONE
DEL PARCO SCOUT
ALTA UOTA
…e su www.ricre.org/Inaugurazione-baracca.205.0.htm
capocasale.pdf 15/02/2010 19.42.54
DA
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NON PERDERE SU RADIO PRESENZA
La Bibbia in radio, dal lunedì al venerdì, 14 - 14.30 (in replica alle 22.30 e alle 7.30), con don Bruno e Carla Aita
Il Santo del giorno, ogni giorno alle ore 7 (in replica alle 8 e alle 9.30), con don Moris
Tribe, ogni lunedì alle ore 16.30, con Gaia e Gavin
Rainbow, ogni lunedì alle ore 20.30, con Salvo e Fabio
Siete pronti per lo show?, ogni sabato alle ore 19.30, con Luca e Michele
E tanto altro, grazie ai tecnici Davide, Gabriele,
Michele,15/02/2010
Fabio e 19.52.07
Alessandro! Il palinsesto aggiornato di Radio Presenza lo trovi
arteottica.pdf
sul sito www.ricre.org.