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GALIZIA 2014
VIAGGIO SUL FRONTE RUSSO DELLA GRANDE GUERRA
Documentario 1 X 52’
Produzione
Regia soggetto
Ricerche soggetto
AV_Lab di Coop. Cassiopea in collaborazione con BisiaFilm
Ennio Guerrato
Davide Stocovaz
Consulenza storica
Roberto Todero
Marina Rossi
Lucio Fabi
Archivi
Archivi russi di Krasnogorsk
British Pathé
Istituto Luce
Cineteca del Friuli
Archivio Marina Rossi
Archivio Ass. Culturale Zenobi
Archivio Giuseppe Skerk
PROGETTO
Nell’autunno del 2014, degli storici e diversi appassionati partiranno da Trieste alla volta
della Galizia, diretti sul fronte orientale della Prima Guerra Mondiale. In questi luoghi,
teatro di duri scontri contro le armate zariste, combatterono migliaia di italiani provenienti
dal Litorale Austriaco, arruolati sotto bandiera asburgica e militanti sotto il 97° Reggimento
Imperial Regio.
Il documentario seguirà il “pellegrinaggio” di questi appassionati, alla riscoperta non solo
dei luoghi delle battaglie ma soprattutto dei cimiteri dove riposano molti italiani, rimossi
dalla memoria nazionale poiché combattenti nelle schiere austo-ungariche. L’intreccio
degli interessi personali dei vari partecipanti con le vicende dei soldati della Grande
Guerra sarà il filo conduttore del film.
Su questo filone s’innestano gli altri temi: la memoria nazionale dei vincitori che, con il suo
preponderante carico, s’impone a scapito della memoria dei vinti; le vicende personali
degli uomini del fronte orientale, dalla guerra alla prigionia sino al difficile ritorno in una
patria che non esiste più; la riscoperta della memoria da parte delle giovani generazioni
attraverso i ricordi di nonni e bisnonni che combatterono per l’Austria.
Scopo principale del documentario sarà raccontare queste storie ancora poco conosciute
ma di grande interesse in questo momento di riscoperta della memoria dei fatti della
Grande Guerra.
In Italia, infatti, si celebra la guerra del ‘15-‘18, mentre si tende a dimenticare che, per certi
italiani, la Grande Guerra iniziò nel 1914. Ancora oggi, nelle zone del confine giuliano,
questa vicenda vive il travaglio di una memoria riscoperta, dibattuta e non condivisa dal
resto della nazione.
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APPROFONDIMENTI TEMATICI
La memoria cimiteriale
Dopo milioni di morti con la fine del conflitto e la dissoluzione degli Imperi Centrali si
rimosse la memoria dei vinti, mentre le nazioni vincitrici ebbero modo di elaborare il lutto
della guerra.
Alla fine del conflitto, ognuna di esse sviluppò forme e luoghi di commemorazione, come
Cimiteri monumentali e Sacrari, Parchi della Rimembranza, Boschi degli Eroi, tutto questo
culminò nella liturgia civile del Milite ignoto che in Inghilterra e Francia si tenne nel 1920.
In Italia, su idea del colonnello
Giulio Douhet, il 26 ottobre 1921 la
salma del Milite Ignoto venne
scelta ad Aquileia tra undici salme
provenienti da vari campi di
battaglia.
Dopo un viaggio commosso
attraverso le città italiane, la salma
giunse il 4 novembre a Roma e
posta nell’Altare della Patria del
Vittoriano.
Vennero inoltre eretti diversi cimiteri monumentali e, in ogni città d’Italia, vi è un
monumento che commemora i caduti della Prima Guerra Mondiale.
Diversa sorte ebbero gli sconfitti la cui memoria spesso venne dimenticata oppure solo
tardivamente celebrata.
Sui diversi fronti dell’impero rimangono pochi luoghi di sepoltura, a volte incompiuti o
abbandonati.
Nella
sola
Galizia
occidentale furono oltre
400 i cimiteri realizzati in
un territorio di circa 10.000
kmq dal dipartimento per
le sepolture di guerra,
costituito a Vienna nel
1915.
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Difficile risulta – ancor più nell’area orientale dove il regime cancellò molte testimonianze –
ritrovare tutti i luoghi di sepoltura e di memoria, situati spesso in luoghi isolati e ardui da
raggiungere, come in Ucraina.
I prigionieri in Russia
Particolarmente appassionante è la vicenda dei molti prigionieri giuliani e trentini che dopo
le prime sfortunate campagne militari in Galizia, finirono nei campi di prigionia russi. Molti
di questi appartenevano al 97° Reggimento.
Dalle testimonianze, il regime di prigionia appare eterogeneo. Nei ricordi di certuni esso
non appare particolarmente severo, agevolato dal blando lavoro presso i civili, dagli ampi
spazi e dalla relativa libertà di movimento. Non mancano peraltro resoconti in cui il regime
di vita interno ai campi appare drammaticamente difficile, segnato dalle vessazioni, dalla
fame, dall’individualismo.
Scarsità d’igiene, malattie infettive, ferite di guerra, deperimento provocarono diversi
decessi.
I prigionieri erano divisi per
nazionalità, poiché la politica russa
mirava ad incidere sul sentimento
nazionale dei prigionieri di origine
slava per incrinare l’unità del
multinazionale
impero
degli
Asburgo.
Successivamente, dopo l’entrata in guerra dell’Italia ai prigionieri di nazionalità italiana
venne offerta la possibilità di venir rilasciati per entrare a far parte del Regio esercito. Il
governo italiano non mancò di svolgere un’intensa propaganda in tal senso. Per le autorità
italiane, integrare nel proprio esercito i “fratelli irredenti” sarebbe stato un colpo
propagandistico non indifferente.
Le procedure tuttavia furono molto lente. Kirsanov, a sudest di Mosca, fu il campo
principale di raccolta per i prigionieri giuliani optanti per il rimpatrio. Alcune migliaia di
soldati accettarono. In altri prevalsero sentimenti lealistici o, ancor più diffusi, di rifiuto della
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ripresa delle armi.
Solo nel 1916 giunse nel campo una Commissione militare incaricata di provvedere al
rientro dei militari giuliani volontari. Dopo lunghe attese, i prigionieri “redenti” furono
trasferiti in Italia via mare, dal porto di Arcangelo attraverso scali in Inghilterra e in Francia
a partire dalla fine del 1916.
In totale vennero rimpatriati quasi quattromila prigionieri. Si soprassedette però alla loro
utilizzazione nell’esercito italiano. I comandi nutrivano dubbi sulla loro affidabilità
patriottica. Le vicende di Battisti, Filzi e Sauro – catturati ed impiccati dagli austriaci consigliavano maggior cautela nell’impiego di volontari irredenti.
La Commissione operò in Russia anche nel periodo della rivoluzione, mentre la situazione
interna precipitava e diveniva sempre più caotica, in assenza di un potere statale certo.
Nei primi mesi del 1918, la gran parte dei prigionieri, lasciati di fatto al loro destino nel
tumulto degli eventi, fu trasferita nella Siberia orientale, dove operava l’esercito
antibolscevico dell’ammiraglio Kolčak
Qui gli ex prigionieri – oltre 900 provenivano dal Litorale – vennero dapprima inclusi in
alcuni distaccamenti autonomi, poi rappresentarono un primo nucleo attorno al quale
venne costituito il Regio Corpo di Spedizione in Estremo Oriente, la forza militare che il
governo italiano, al pari di quelli britannico, francese, nipponico e statunitense, aveva
deciso di inviare nello scacchiere per impedire l’affermazione del potere dei Soviet. A
lungo inattivi, i soldati giuliani e trentini vennero impiegati in operazioni di presidio della
Transiberiana nella zona di Krasnojarsk e in altre limitate operazioni militari. Alcuni
internati, soprattutto di radicato credo socialista, scelsero invece l’impegno dalla parte
rivoluzionaria.
Il ritorno dalla guerra
A guerra finita per quelli che tornarono dai reparti dell'Austria-Ungheria ci fu solo scherno e
derisione. Un esempio su tutti ci arriva dalla triste vicenda del Comandante Giraldi.
Dopo il crollo dell'Impero austro-ungarico nel 1918, questi divenne automaticamente
cittadino italiano. Nel 1920, recatosi a Pirano, sua città natia, venne riconosciuto da alcuni
ex militari del 97° , evidentemente non dimentichi della durezza con cui aveva tenuto la
disciplina nel reparto, e insultato mentre la gente lo voleva gettare a mare. Salvato dai
Carabinieri, fu portato in arresto preventivo.
Il Governo italiano cercò di sollevare un'accusa contro di lui per le fucilazioni di soldati del
97° durante la guerra. Liberato però da altri appartenenti al 97° Reggimento, dopo
un’audace fuga in una notte di nebbia, si trasferì in Austria.
Nella primavera del 1924 morì in una via di Graz, a causa di un infarto dovuto da una forte
sottoalimentazione dopo che per anni, giornalmente, non viveva che di alcuni cucchiai di
riso, caffè nero e nicotina.
Il viaggio del 2014
Nel 2014, l'associazione Zenobi organizza un viaggio sui luoghi del fronte orientale in cui
combatterono i giuliani del 97° Reggimento.
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Come prima tappa si raggiungerà Nowy Sacz, l’antica Neu Sandez. Durante la Prima
Guerra mondiale, la città esercitava importanti funzioni strategiche: infatti disponeva di una
guarnigione che ospitò diversi ospedali militari e, nell’ottobre del 1914, fu sede del
Comando Supremo austro-ungarico. Qui si visiteranno, inoltre, 5 cimiteri di guerra che
hanno al loro interno sepolture di caduti dei reggimenti del Litorale.
Dopo ci si sposterà nella città fortezza di Przemysl, la cui struttura è rimasta praticamente
inalterata, con i suoi forti della cintura difensiva. Dopo essere stata un punto strategico
militare per più di 1000 anni, Przemyśl gode oggi di una relativa tranquillità; anticamente fu
la più grande fortezza dell'Impero austro-ungarico, circondata da una doppia cerchia di
difesa, poi una città di spie al tempo della guerra fredda, ma oggi preferisce vivere della
fabbricazione artigianale di pipe e campane, famosa in tutto il Paese. L'impetuoso fiume
San separa la città moderna da quella storica. Le sue rive hanno visto tragici episodi di
guerra, come la ritirata dell'armata austro-ungarica. Nell'autunno del 1914, furono
moltissimi i soldati che morirono nel tentativo di guadare il fiume.
Il viaggio di ritorno passerà per Cracovia, meravigliosa città davanti alla cui cinta fortificata
per ben due volte l’esercito austro-ungarico è riuscito a fermare il celebre “rullo
compressore” russo.
La memoria riscoperta
Con l’avvicinarsi del centenario della Grande Guerra vi è stata una riscoperta di memorie e
ricordi di nonni o bisnonni militanti nell’esercito austro-ungarico. Il giornale triestino Il
Piccolo ha ospitato numerose lettere e fotografie di chi desiderava ricordare e condividere
questi lontani parenti, una moltitudine di storie che per quasi un secolo aveva attesa in
silenzio. Ne sono emersi racconti dal fronte russo, così come le vicende di quanti, rimasti
in patria, hanno vissuto la dissoluzione dell’impero. Ancora più interessanti sono i diari di
quei soldati che hanno potuto fare rientro a casa solo dopo lunghi e travagliati anni,
compiendo quasi un giro intorno al mondo.
Sono testimonianze che si aggiungono a quelle da tempo raccolte dagli storici, ma che
hanno avuto sempre una circolazione limitata a pochi studiosi ed appassionati, mentre
invece evocano la storia dolente di una parte consistente della popolazione giuliana: una
storia cui, dopo un secolo, è forse il caso di offrire piena cittadinanza nella memoria
collettiva ed in quella pubblica.
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APPROFONDIMENTI STORICI
Il litorale austriaco
Il Litorale Austriaco nacque nel 1849, dalla soppressione del previgente Regno d'Illiria.
Confinava a ovest con il Regno Lombardo-Veneto, a nord, per un breve tratto, con la
Carinzia, ad est con la Carniola e a sudest con la Croazia.
La provincia era ulteriormente suddivisa in tre länder autonomi: il territorio imperiale di
Trieste, la Contea di Gorizia e Gradisca e il Margraviato d'Istria, ciascuno dei quali aveva
amministrazioni indipendenti sotto il controllo del governatore della regione che aveva
sede a Trieste, suo capoluogo.
Nel 1910, la regione aveva una superficie di
7.969 km² e una popolazione di 894.287
composta in prevalenza da italiani, sloveni
e croati.
Secondo il censimento del 1910, la Contea di Gorizia e Gradisca contava 154.564 sloveni
e 90.119 italiani e friulani. Trieste contava 118.959 italiani, 56.916 sloveni e 2.403 croati.
Il Margraviato d'Istria contava 168.193 croati, 147.467 italiani e 55.152 sloveni.
In tutta la regione risiedevano inoltre 29.077 austriaci di lingua tedesca, per lo più
funzionari di stato e ufficiali dell’esercito.
Nel Goriziano la delimitazione nazionale appariva più netta, su una direttrice nord-sud;
etnicamente mista era solo la città di Gorizia, dove il numero degli sloveni era però
crescente, tanto da fare ritenere, ad autori politici sloveni alla vigilia della prima guerra
mondiale, che il conseguimento di una maggioranza slovena nella città isontina fosse
ormai imminente.
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Trieste era a maggioranza italiana, ma il suo circondario era sloveno. Anche in questo
caso la popolazione slovena appariva in ascesa.
In Istria gli sloveni erano presenti nelle zone settentrionali, per la precisione nel circondario
delle cittadine costiere a prevalenza italiana. In tutta l'Istria il movimento politico-nazionale
degli sloveni si saldava con quello croato, rendendo talora difficile una trattazione distinta
delle due componenti della realtà slavo-meridionale della penisola.
Il fronte orientale
Contrariamente a quanto accadde sul fronte occidentale, a oriente la guerra di manovra
non finì mai completamente, la guerra di posizione si alternava alle manovre a livello
operativo. Questo fu dovuto anche dalla conformazione geografica del territorio di
combattimento: le foreste della Lituania e le vaste pianure e acquitrini della Polonia,
Ucraina e Russia si rivelarono troppo ampie per poter essere saturate di uomini e armi.
Oggigiorno la Galizia è una regione divisa tra la Polonia e l’Ucraina, ma all’inizio del
conflitto apparteneva all’Impero austro-ungarico.
In Galizia fu combattuta una guerra simile a quella che si aspettavano le alte gerarchie
militari, quella tipica dell’Ottocento fatta di scontri diretti con i soldati armati di sola
baionetta, di avanzate e ritirate, di marce senza fine, di grandi battaglie e di molti
prigionieri.
Nel settembre 1914, i russi riuscirono a occupare Leopoli, capitale amministrativa della
regione. Poco dopo fu assediata la fortezza di Przemyśl. Gli austriaci dovettero
riorganizzare le loro posizioni circa a 50 km ad ovest di Leopoli, con lo scopo di riprendere
la capitale. Dopo la sconfitta nella battaglia di Rawa-Ruska, l’esercito asburgico tentò un
secondo ripiegamento verso il fiume San, affluente della Vistola, ma anche questo fallì.
Grazie al supporto dell’alleato tedesco, gli austriaci riuscirono a ricostruire il loro esercito e
a ottobre finì l’assedio alla roccaforte di Przemyśl. Questa situazione durò poco: i russi,
per alleggerire il fronte occidentale, passarono all’offensiva, con lo scopo di spingersi
fino a Vienna. A dicembre gli asburgici costrinsero i russi ad una parziale ritirata a sud di
Cracovia. Il 1915 si aprì con la volontà austriaca di riconquistare totalmente la Galizia. Il
lungo assedio russo alla fortezza di Przemyśl costrinse il baluardo alla resa.
Nell’aprile del 1915 la sconfitta austriaca sembrava inevitabile, l’Impero era stato costretto
a trasferire parte dei suoi contingenti dal fronte orientale a quello meridionale per
fronteggiare l’Italia. Verso la fine dell’agosto del 1916 iniziò un’altra fase del conflitto:
guerra di trincea, di posizione.
In seguito alla Rivoluzione russa e alla conseguente dissoluzione dell’esercito russo, fu
firmata, nel marzo del 1917, la pace di Brest-Litowsk.
Il 97° Reggimento
Il 97° Reggimento di fanteria ha mantenuto un grande rilievo nei ricordi collettivi: per la
tipicità della sua provenienza territoriale, per le animate e drammatiche vicende che lo
hanno visto protagonista, per i motivetti popolari che ne hanno perpetuato il ricordo, per
l’uso pubblico, nei sensi di una forzosa rilettura patriottica, di cui furono investite nel
dopoguerra le sue azioni belliche.
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Il Reggimento nacque nel 1883 durante le riforme e le innovazioni dell'Imperial Regio
Esercito, era costituito dall'incorporamento di quattro battaglioni e formato da soldati di
diversa nazionalità: Italiana, Slovena, Croata, provenienti dalle Province meridionali
dell’Impero, in particolare da Trieste, suo distretto principale di reclutamento, dall’Istria e
dal Friuli Austriaco.
Il 97° Reggimento fu coinvolto nella mobilitazione generale dopo il proclama
dell'Imperatore Francesco Giuseppe ”Ai miei popoli”, del 31 luglio 1914. L'11 agosto 4.300
uomini partirono dalla Caserma Grande di Trieste per salire sui treni che li condussero
verso il fronte orientale. Destinazione: Leopoli
L’impatto con la guerra fu drammatico. Il battesimo del fuoco avvenne a Gliniany dove,
assieme al resto dell’armata, gli uomini furono falciati dal fuoco nemico. La ritirata fu
disastrosa e si trasformò presto in una fuga incontrollata.
Alcune gravi infrazioni disciplinari vennero immediatamente punite sul posto: l'allora
Maggiore Giraldi, fece fucilare uno dei disertori di fronte al Battaglione e il Tenente
Krainovich uccise personalmente due o tre uomini.
Nonostante l’ordine venne ristabilito il Reggimento divenne subito il capro espiatorio della
sconfitta. Ebbe così inizio la triste fama del Reggimento come massa di disertori, che
durerà a lungo. Gli Alti Comandi infatti, più volte cercheranno di sciogliere il Reggimento.
Durante la ritirata verso i Carpazi, giunse improvvisamente l'ordine del III° Corpo d'Armata
di raccogliere tutti gli elementi definiti “politicamente sospetti” e di trasferirli verso l'interno.
Da ogni Compagnia vennero tolti parecchi italiani: circa 400 uomini; questi vennero
impiegati nella costruzione della testa di un ponte a Krems, sul Danubio, e tornarono al
Reggimento verso capodanno.
Il 4 ottobre, continuò l'avanzata per liberare dall'assedio Przemysl.
Il 27 gennaio, i russi attaccarono nel folto della foresta vergine. Durante gli scontri, un
Tenente di nazionalità ceca passò col suo drappello dalla loro parte.
Nonostante la vittoria a Przemysl le calunnie contro il Reggimento ricominciarono.
Arrivò addirittura un ordine riservato con il quale si minacciava che, qualora si fossero
ripetuti casi di diserzione, dietro al Reggimento stesso sarebbero state poste delle
mitragliatrici, pronte ad aprire il fuoco sui disertori.
Nel frattempo, nel maggio del 1915 il 10° Battaglione viene scorporato dal Reggimento e
stanziato presso il III° Corpo d’Armata presso il fronte meridionale contro l’Italia.
Combatterà le battaglie del Carso fino al 1916, per poi essere trasferito in Trentino.
L’infausto soprannome del 97°
Tra novembre e dicembre, alcuni russi disertori raggiunsero il 97° Reggimento, che nel
frattempo aveva perduto, a sua volta, circa 30 uomini per diserzione. Si sparse
ulteriormente la voce che il Reggimento fosse una massa di disertori. Pur non potendo mai
sapere se quegli uomini fossero effettivamente disertori o prigionieri dei nemici il 97°
venne soprannominato Reggimento “Demoghela”, con il quale si intendeva “diamocela a
gambe”.
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Esiste al riguardo un aneddoto, non si sa quanto rispondente al vero1:
“Was bedeutet dieses Wort «demoghéla»?” (“Cosa significa questa parola
“«démoghela»?”), chiese un ufficiale austriaco;
“Es ist ein Kriegsruf!”, (“È un grido di guerra!”), rispose un soldato in fuga
Si sa per certo invece che una canzonetta rese popolari le vicende dei fanti giuliani,
allargando l’orizzonte delle scarse virtù militari all’imboscamento, alla ricerca di funzioni
militari poco esposte.
“Qua se magna, qua se bevi, qua se lava la gamela, zigheremo “demoghéla” sin
che l’ultimo sarà, sin che l’ultimo sarà”
[Qui si mangia, qui si beve, qui si lava la gavetta, grideremo “diàmocela!” fin che
l’ultimo sarà]
Un altro motivo ancora, sull’aria di una famosa canzone popolare (“El tram de Opcina”),
irrideva alle mancate capacità di diserzione del confratello Landwehr n° 5, altro reggimento
arruolato nel Litorale:
“E anche el Lanver cinque xe nato disgrazia / Andando su in Galizia Un fraco el ga
ciapà / Ma inveze el novantasete / Più furbo el xe sta / ‘l ga fato piramide / de là el
ghe la ga dà”
[E anche il Landwehr numero cinque è nato disgraziato, andando in Galizia ha
preso un sacco di botte. Ma invece il Novantasette è stato più furbo, ha fatto un
fascio d’armi - Pyramìde, nel linguaggio militare tedesco - e se l’è data a gambe
all’altra parte]
La fama negativa del 97° si consolidò e nella notte tra il 31 dicembre 1915 e il primo
gennaio 1916, il Reggimento venne improvvisamente allontanato dalla posizione, per
essere trasferito come riserva nella località di Zalezyki. In tale occasione il Generale di
Cavalleria Pflanzer-Baltin diede ordine di sospendere i permessi e di vietare la proposta a
onorificenze gli ufficiali del Reggimento presentarono in gran segreto una protesta presso
l’Alto Comando, che venne accolta solo nel febbraio 1916.
In seguito, il Maggiore Giraldi divenne Tenente Colonnello e, nell'ottobre 1917, venne
nominato definitivamente Comandante del 97° Reggimento di Fanteria, che guidò sino
alla sua fine. Vi furono ripetute lodi nei suoi confronti e quando, il 13 marzo 1918, il
Reggimento, dopo un breve combattimento contro i bolscevichi presso Radjelnaja, entrò
quale prima truppa dinnanzi Odessa, aveva già una buona reputazione e una fama
irreprensibile.
La rilettura irredentista
Le vicende apparentemente ingloriose del Reggimento vennero interpretate dalla cultura
patriottica ed irredentista, dominante a Trieste e nella Venezia Giulia del primo
dopoguerra, come espressione di aperto, seppure non sempre cosciente, sentimento
antiasburgico. Così in pieno regime fascista uno storico descriveva lo spirito patriottico dei
triestini
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(Carmela Rossi-Timeus Attendiamo le navi. Diario di una giovinetta triestina 1914-1918,
Bologna-Rocca San Casciano 1934)
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“L’anima di Trieste la troveremo in più posti diversi: sul fronte a combattere, nei campi
d’internamento a soffrire, presso il colle di San Giusto e perfino nelle file dell’esercito
austriaco a resistere e boicottare. È in fondo lo stesso stato d’animo in tre espressioni
diverse: l’eroica, la martirologica, e quella senza nome e senza gloria della vita quotidiana
e grigia di chi non è né eroe né martire” (Gaeta, 1938)
Contemporaneamente, l’attenzione venne concentrata sul fenomeno del volontarismo
irredentista, oscurando il fatto che tale fenomeno riguardò solo una forte minoranza dei
giuliani coinvolti in armi nel conflitto.
E’ interessante notare che la lettura antiaustriaca dell’esperienza del 97° Reggimento
venne ripresa in chiave antinazista durante il periodo dell’occupazione tedesca della
Venezia Giulia dopo l’8 settembre 1943. Risulta che i triestini ed istriani deportati in
Germania come lavoratori coatti cantassero la nota “demoghéla”, adattandone le parole
alla contingenza, non senza rischi se taluno dei sorveglianti ne avesse compreso il
significato.
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