Il bilancio energetico nell`uomo - dieta e metabolismo

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Il bilancio energetico nell`uomo - dieta e metabolismo
2
Stato e valutazione
del metabolismo
nell’obesità
&
RICERCA
CLINICA
Pietro Morini
Sabrina Severi
Indice
Il bilancio energetico nell’uomo
3
Sabrina Severi
Dieta e metabolismo
Pietro Morini
38
Il bilancio energetico nell’uomo
Sabrina Severi
Specialista in Scienza dell’Alimentazione, Dottoranda in Fisiologia dei Distretti - Università di Modena
Possiamo definire come bilancio energetico l’equilibrio esistente tra l’e­
nergia immagazzinata e l’energia spesa.
L’energia in entrata, corrispondente all’energia derivata dagli alimenti,
deve essere in equilibrio con l’energia in uscita, quella relativa alle quo­
te per il mantenimento della dimensione corporea, per il ripristino del­
le componenti tessutali perse, per consentire l’attività fisica, motoria e ri­
creativa. Nel caso in cui l’introito calorico sia minore o maggiore della
spesa energetica avremo rispettivamente perdita o aumento di peso e,
quindi, variazioni nelle riserve energetiche corporee.
L’introito energetico alimentare, mostrato in figura 1, è costituito da car­
boidrati, proteine e grassi.
Come è noto la completa utilizzazione dei macro nutrienti ai fini ener­
getici - ossidazione - richiede ossigeno, che viene trasportato alle cel­
lule attraverso il sistema circolatorio. Al termine dei processi di ossida­
zione i prodotti finali del metabolismo vengono eliminati attraverso la su­
dorazione (evaporazione), la respirazione (acqua e CO2) e la diuresi
(acqua e urea).
Vanno considerate anche le piccole perdite di energia nelle feci (cibi
non digeriti, cellule derivate dalla desquamazione delle pareti delle mu­
cose, batteri) e nella miscellanea dei tessuti demoliti (capelli, cute, flus­
so mestruale ecc.). L’introito dei nutrienti deve essere tale da bilanciare
le perdite descritte affinché i depositi di energia e la massa corporea ri­
mangano costanti.
FIGURA 1
Diagramma di flusso dell’energia nel corpo umano, da Heymsfield S.B. (1995).
ES rappresenta l’energia immagazzinata dal corpo sottoforma di riserve di grasso (F), di glicogeno (G), e di proteine (P).
O2
F
CO2 H2O
G
P
CHO
EI
F
Efeci
P
ES
Calore
Misc. Urea
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
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È altrettanto noto (tabella 1) che i principali depositi di energia del cor­
po sono rappresentati da grassi e proteine; l’altra piccola componente
è rappresentata dal glicogeno, generalmente ignorata negli studi per­
ché poco significativa dal punto di vista calorico e comunque difficil­
mente misurabile. È difficile stabilire il ruolo effettivo di ciascun nu­
triente nella formazione dei depositi corporei in quanto ognuno mostra
interazioni con l’altro: gli aminoacidi possono essere convertiti a gluco­
sio o acidi grassi; il glucosio può essere convertito a grasso (figura 1).
TEE-TDEE
Il dispendio energetico totale (Total Energy Expenditure o Total Daily Ex­
penditure Energy) viene definito dalla somma di tre diverse componenti:
metabolismo basale, termogenesi e attività fisica. La sua valutazione nell’uomo è di notevole importanza in quanto ci dà la possibilità di stabili­
re le necessità “energetiche-nutrizionali”. Sulla base della TEE vengono
infatti elaborati i fabbisogni nutrizionali della popolazione sana, intesi
come livelli di energia derivata dal cibo per bilanciare il dispendio ener­
getico individuale. Il concetto di bilancio energetico per l’uomo sano è
codificato come quota calorica necessaria per mantenere costante la di­
mensione e la composizione corporea, per supportare l’attività fisica
giornaliera e per garantire la salute nel lungo termine e, inoltre, per man­
tenere l’attività fisica necessaria nelle attività socialmente ed “economi­
camente” desiderabili. Quest’ultima definizione più moderna e olistica,
in quanto espressione del fabbisogno energetico vincolato al benessere
psicofisico individuale, viene proposta sia dall’OMS che dalla FAO e dal­
la Commissione Europea. È stato evidenziato il rapporto esistente tra
TEE e il peso corporeo e il BMR; tuttavia l’uso di un fattore moltiplicati­
vo del BMR per ottenere TEE, potrebbe essere fonte di un errore signi­
ficativo nel calcolo del dispendio giornaliero sul singolo individuo.
Numerosi studi, infatti, confermano l’assenza di una stretta relazione tra
il TEE e la percentuale di massa grassa corporea.
TABELLA 1
Caratteristiche dei depositi corporei dei macronutrienti
Proteine
Carboidrati
Grassi
12 (0.06) *
0.7
12 - 18
Intake giornaliero (g)
100
300
100
% di riserva giornaliera
0.8
0.7
0.5 - 0.8
Pool corporeo (kg)
Soggetti non obesi, nella norma, con uno stile di vita alimentare di stampo occidentale
* I valori fanno riferimento al pool corporeo degli amminoacidi liberi
Il bilancio energetico nell’uomo
5
Negli obesi, ad esempio, possono verificarsi le seguenti condizioni, tra
loro contrastanti:
■ il dispendio energetico aumenta per l’incremento della massa magra
che deve supportare nel tempo l’incremento di peso.
■ il dispendio energetico diminuisce se correlato a individui con
elevate percentuali di FAT corporeo.
■ il dispendio energetico aumenta per consentire il “trasporto” di
individui con peso superiore alla norma.
■ il dispendio per l’attività fisica giornaliera diminuisce se l’obeso ha
uno stile di vita prettamente sedentario.
Una quota variabile della spesa energetica è data dall’attività fisica ed
intellettuale. Più l’attività fisica e intellettuale è intensa, tanto maggiore
sarà il consumo calorico (tabella 2). Le suindicate condizioni possono tra-
TABELLA 2
Spesa energetica giornaliera di individui con occupazioni varie.
occupazione
media
minima
massima
UOMO
Pensionato anziano
2390
1750
2810
Impiegato
2520
1820
3270
Tecnico di laboratorio
2840
2240
3820
Lavoratore anziano industria
2840
2180
3710
Muratore
3000
2440
3730
Studente università
2930
2270
4410
Operaio acciaierie
3280
2600
3960
Agricoltore
3420
2900
4000
Cadetto militare
3490
2990
4100
Minatore di carbone
3660
2970
4560
Boscaiolo
3670
3860
4600
DONNA
Casalinga anziana
1990
1490
2410
Casalinga mezza-età
2090
1760
2320
Tecnica di laboratorio
2130
1340
2540
Commessa
2250
1820
2850
Studentessa università
2290
1380
2500
Operaia
2320
1970
2980
Fornaia
2510
1980
3390
(da Davidson e Passmore, 1969)
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
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dursi in valori sovrapponibili di TEE tra obesi e normopesi, o in valori
differenti tra un obeso e l’altro, questi ultimi anche a parità di peso.
Tutti questi aspetti rendono il calcolo teorico del TEE estremamente
aleatorio, qualora lo si voglia applicare nella routine clinica sul singolo
individuo; mentre lo rendono accettabile nella ricerca epidemiologica
su gruppi selezionati per stato nutrizionale.
Riassumendo: la spesa energetica totale (TEE) è data dalla spesa ener­
getica basale (BEE), dall’energia spesa nell’attività fisica (AEE) e dalla
termogenesi indotta dalla dieta (SDA):
TEE = BEE + SDA + AEE
Qui brevemente tracciamo la definizione delle tre componenti princi­
pali della TEE:
BMR-BEE
Viene definito col termine di Metabolismo Basale (Basal Metabolic Ra­
te o BMR) o spesa energetica basale (Basal Energy Expenditure o BEE),
la quantità di energia spesa da un individuo nelle seguenti condizioni:
■ a digiuno da almeno 10-12 ore
■ in posizione supina e rilassata, tale da ridurre al minimo l’attività
muscolare
■ con temperatura corporea normale
■ a una temperatura ambiente neutrale (27-29°) per mantenere
l’omeostasi termica
■ in assenza di stimoli o stress psicologici e fisici.
Si devono quindi evitare rumori esterni che inducono stimolazioni al si­
stema nervoso autonomo o che provocano anche le più lievi contra­
zioni muscolari, evitare condizioni patologiche, o stati febbrili, e qual­
siasi squilibrio termico. Il freddo infatti induce un aumento del tono mu­
scolare e vasocostrizione, con conseguente maggior produzione di ca­
lore; mentre il caldo aumenta la vasodilatazione periferica, la sudora­
zione e l’attività cardiorespiratoria per consentire i meccanismi di ter­
moregolazione.
I fattori che aumentano il BMR possono essere così riassunti:
età
■ sesso
■ temperatura corporea
■ peso corporeo
■ composizione corporea
■
Il bilancio energetico nell’uomo
7
fattori genetici
■ condizioni fisiopatologiche
■ ormoni
■
Massa magra, età e sesso sono i principali determinanti del metaboli­
smo basale, poiché spiegano circa l’80% della variabilità inter indivi­
duale.
Età. La spesa energetica basale varia in funzione dell’età (LARN - tabel­
la 3). Espressa come kcal m-2 hr-1, è massima alla nascita (53 kcal a 1
anno) e decresce fino ai valori minimi dopo i 70 anni (31 kcal a 75 an­
ni). Se consideriamo invece la spesa calorica giornaliera (TEE - tabella
4), questa aumenta dalla nascita fino all’età dello sviluppo per raggiun­
gere il massimo a 14-15 anni nelle femmine e 18-19 anni nei maschi e
decresce col progredire degli anni. La diminuzione del metabolismo con
l’età si correla con la diminuzione della massa magra e con un pro­
gressivo rallentamento del metabolismo energetico cellulare.
TABELLA 3
LARN. Equazioni di predizione del Metabolismo di Base (MB) a partire dal peso corporeo (Pc), espresso in kg, e, per bambini e adolescenti,
peso corporeo e statura (A) espressi in metri. Il metabolismo di Base risulta espresso in MJ/giorno.
età in anni
MB (a partire dal peso)
MB (a partire da peso e statura)
MASCHI
<3
0,2490 Pc - 0,13
0,0007 Pc + 6,35 A - 2,58
3-9
0,0950 Pc + 2,11
0,0820 Pc +0,55 A +1,74
10-17
0,0740 Pc + 2,75
0,0680 Pc + 0,57 A + 2,16
18-29
0,0640 Pc + 2,84
30-59
0,0485 Pc + 3,67
60-74
0,0499 Pc + 2,93
≥75
0,0350 Pc + 3,43
FEMMINE
<3
0,2440 Pc - 0,13
0,068 Pc + 4,28 A - 1,73
3-9
0,0850 Pc + 2,03
0,071 Pc + 0,68 A + 1,55
10-17
0,0560 Pc + 2,90
0,035 Pc + 1,95 A + 0,84
18-29
0,0615 Pc + 2,08
30-59
0,0364 Pc + 3,47
60-74
0,0386 Pc + 2,88
≥75
0,0410 Pc + 2,61
(dati derivati dal rapporto FAO/WHO/ONU -1985- e da Schofield et al. -1985-. Nell’anziano, i dati sono stati completati con studi italiani -Ferro-Luzzi, 1987-)
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
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TABELLA 4
LARN. Livelli di assunzione giornalieri raccomandati di energia per bambini, ragazzi, adolescenti e adulti di riferimento (TEE).
ETÀ
anni
<3 mesi
MASCHI
FEMMINE
peso
Kcal
Kcal
kg
per kg
pro capite
4.6
120
552
MJ
peso
Kcal
Kcal
kg
per kg
pro capite
2.3
4.5
120
540
MJ
2.3
3-5 mesi
6.7
115
770
3.2
6.4
115
736
3.1
6-8 mesi
8.3
110
913
3.8
8.0
110
880
3.7
9-11 mesi
9.6
105
1008
4.2
9.2
105
966
4.0
<1
7.3
112
818
3.4
7.0
112
784
3.3
1
10.3
103
1061
4.4
9.9
106
1049
4.4
2
12.6
100
1260
5.3
12.3
100
1230
5.1
3
14.6
100
1460
6.1
14.3
99
1416
5.9
4
16.7
99
1653
6.9
16.8
96
1613
6.8
5
18.9
91
1720
7.2
18.7
90
1683
7.0
6
21.0
87
1827
7.6
21.1
85
1794
7.5
7
23.2
83
1926
8.1
23.6
80
1888
7.9
8
25.6
79
2022
8.5
26.3
76
1999
8.4
9
28.2
76
2143
9.0
28.9
733
2110
8.8
10
30.9
74
2287
9.6
32.5
68
2210
9.2
11
34.1
71
2421
10.1
36.9
62
2288
9.6
12
38.3
67
2566
10.7
41.9
57
2388
10.0
13
43.5
61
2654
11.1
46.8
52
2434
10.2
14
49.6
56
2778
11.6
50.5
50
2525
10.6
15
54.6
53
2894
12.1
53.2
48
2554
10.7
16
28.4
51
2978
12.5
54.0
45
2430
10.2
17
59.6
50
2980
12.5
54.0
43
2322
9.7
18
61.0
49
2989
12.5
54.0
42
2268
9.5
19
62.0
47
2914
12.2
54.0
40
2160
9.0
20-39
65.0
46
2990
12.5
54.0
40
2160
9.0
attività moderata
20-39
-10% (leggera)
20% (pesante)
40-50
-5%
50-60
-10%
60-70
-20%
70-80
-30%
(raccomandazioni FAO/OMS)
91% (leggera)
+13.6 (pesante)
Il bilancio energetico nell’uomo
9
Sesso. Il metabolismo basale dipende dalla massa cellulare metaboli­
camente attiva (BCM, appartenente alla massa magra FFM o Fat Free
Mass) che a parità di età, altezza e peso è minore nelle donne rispetto
agli uomini; di conseguenza le donne hanno un BMR più basso. Que­
sta differenza nel BMR, inizia all’età di 3 anni e aumenta rapidamente al­
la pubertà, alla quale corrisponde un aumento della muscolatura sche­
letrica nei maschi e di cellule adipose nelle femmine.
All’età di 20 anni circa, questa comincia ad attenuarsi, in quanto dimi­
nuisce la differenza tra i due sessi in quantità di muscolo e cellule adi­
pose (figura 2).
Peso e Composizione Corporea. La massa magra, soprattutto nella
sua frazione metabolicamente attiva (BCM), è il maggior determinante.
Vanno comunque approfondite le diverse componenti della FFM, in
quanto gli organi e il cuore, pur rappresentando mediamente il 5,5% del
peso di un uomo di 70 kg spiegano il 58% del BMR; mentre i muscoli,
che a loro volta costituiscono il 40% del peso spiegano solo il 22% del
BMR. Gli stati ipermetabolici potrebbero essere la conseguenza di un
alto contributo nel lavoro degli organi. Il continuo turnover proteico e l’at­
tività della pompa sodio potassio nell’insieme producono il 40% del BMR.
Anche se il peso e l’altezza risultano altamente correlati al metabolismo
individuale, a tal punto da essere considerati predittori di metabolismo
nelle equazioni specifiche, è certo che la FFM è direttamente e mag­
giormente proporzionale al reale fabbisogno basale. Ne consegue che,
a parità di peso, ad una percentuale di massa magra superiore corri-
FIGURA 2
100
100
LBM = 7,36 + 0,2929 ossigeno
A sinistra, rapporto tra massa magra e
LBM = 20,97 + 0,5161 creatinina
90
consumo d’ossigeno basale in 48
studenti delle scuole superiori.
80
A destra, rapporto tra massa magra e
70
escrezione di creatinina in 43 studenti
60
80
60
delle scuole superiori.
50
40
Massa magra (kg)
Massa magra (kg)
40
30
20
10
0
0 50 100 150 200 250 300 350
Consumo di ossigeno (ml/min)
20
0
0
20
40
60
80 100
Escrezione di creatinina (mg/h)
120
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
10
sponde un metabolismo basale più elevato. Contrariamente alle aspet­
tative, nei soggetti obesi i valori di BMR risultano elevati se confrontati
con quelli dei soggetti magri, dato che la quantità di FFM presente è a
sua volta superiore.
Ciò è in parte spiegabile dalle considerazioni sopra enunciate e cioè
dall’aumento della massa magra che sempre accompagna l’eccessivo
aumento del FAT. Poiché anche l’attività fisica incrementa la massa ma­
gra è buona norma non considerare il valore assoluto di BMR, ma il rap­
porto BMR/FFM (cal/kg) come sinonimo di efficienza metabolica indi­
viduale e come base per gli studi di ricerca e di clinica applicativa. Va
inoltre ricordato che anche il tessuto adiposo ha un ruolo metabolico
non trascurabile e questo alla luce delle recenti acquisizioni relative al
tessuto adiposo bruno e bianco. In generale si ritiene che il tessuto adi­
poso nell’uomo adulto contribuisca per il 4-5% del BMR.
Nei regimi fortemente ipocalorici il declino rapido del BMR appare stret­
tamente correlato alla diminuzione della BCM, ma come vedremo più
avanti trova spiegazioni anche in una ridotta termogenesi da dieta.
Temperatura Corporea. La temperatura corporea dell’uomo è costante,
come in tutti gli animali omeotermi, ed è indipendente dalla tempera­
tura ambiente. Un aumento della temperatura corporea dovuto a feb­
bre, provoca un incremento della richiesta di ossigeno e aumenta il
BMR. È stato calcolato un aumento di circa il 13% nei valori di metabo­
lismo basale per ogni aumento di 1 grado di temperatura corporea; ma
attenzione: questo incremento della temperatura corporea non nasce
da influenze esterne, ovvero dagli scambi con l’ambiente, quanto dal
lavoro metabolico interno di un organismo soggetto a ipertermia. La di­
mensione corporea incide nel fabbisogno basale anche attraverso la ca­
pacità di ritenzione termica individuale: un soggetto obeso, ad esem­
pio, mostra per la sua maggiore superficie di tessuto adiposo sottocutaneo
una maggiore ritenzione termica e quindi un minor dispendio energe­
tico. Inoltre la tipologia del tessuto adiposo (adiposo bruno o adiposo
bianco) costituisce l’elemento fondamentale nella conservazione o nel­
la dispersione termica corporea.
Anche la temperatura ambiente influenza in modo sensibile la spesa ca­
lorica. La temperatura alla quale si dice che il corpo umano è in “omeo­
stasi termica” (27-29°C in assenza di vapore acqueo) è quella in cui si ha
il minimo dispendio energetico. Quando la temperatura scende al di
sotto del valore di neutralità termica (27°C), si verifica un aumento del­
la spesa energetica come conseguenza della produzione del calore che
va a compensare quello perso. Al di sotto dei 12°C il corpo non riesce
più a compensare la perdita di calore; di conseguenza, rimanendo per
un tempo sufficientemente lungo al di sotto di questa temperatura si ha
Il bilancio energetico nell’uomo
11
la morte per assideramento. Sopra i 29°C viene dissipata energia attra­
verso la sudorazione per mantenere la temperatura corporea a 37°C, di
conseguenza si ha aumento della spesa energetica. Il corpo riesce a
compensare temperature ambientali piuttosto elevate, fino a che la tem­
peratura interna non comincia a salire. Quando quest’ultima raggiunge
i 42°C circa si ha la morte dell’individuo. L’esercizio fisico prodotto in un
ambiente sfavorevole (temperature superiori o inferiori ai 27°C) com­
porta quindi un maggior dispendio energetico, in quanto alla componente
calorica dovuta al lavoro muscolare si aggiunge quella dovuta ai pro­
cessi di termoregolazione corporea. Nell’ambito di un progetto di in­
cremento del dispendio energetico per soggetti obesi, optare per un
esercizio in un ambiente caldo piuttosto che per uno in ambiente fred­
do, non dovrebbe mutare l’ordine delle risultanze: in entrambi i casi il
dispendio risulta aumentato. Tuttavia da alcune considerazioni legate al
ruolo del tessuto adiposo bianco, come organo di conservazione o ri­
duzione della dispersione termica, e ai fattori limitanti la termoregolazione
in ambiente caldo, quali gli alti livelli di umidità, si dovrebbe arguire
che l’esercizio in ambiente freddo porterebbe a maggiori dispendi ener­
getici: esattamente il contrario delle proposte di mercato che promuo­
vono cappe riscaldate, saune, infrarossi e simili.
Condizioni Fisiopatologiche. Tra le condizioni fisiologiche che in­
ducono un lieve incremento del BMR per la necessità di supportare l’ac­
crescimento “in toto” o di parti dell’organismo, sono presenti l’infanzia,
l’adolescenza e la gravidanza, anche se in quest’ultima condizione nu­
merosi lavori dimostrano un effetto compensatorio sul TEE per una ri­
dotta termogenesi e attività fisica giornaliera.
La fase mestruale rappresenta un periodo in cui il fabbisogno energeti­
co basale può aumentare relativamente alle perdite ematiche e tessuta­
li con fluttuazioni del 6-7 % sui valori basali; mentre la fase del sonno è
caratteristica di un ridotto (il minimo giornaliero) fabbisogno energetico.
Tra le condizioni patologiche che incrementano il BMR vi sono gli sta­
ti febbrili, lo scompenso cardiaco congestizio, l’ipertensione, le neo­
plasie, le malattie muscolo-scheletriche che inducono movimenti in­
volontari.
Tra le condizioni che riducono il BMR: l’anoressia nervosa, l’ascite, la
malnutrizione calorico-proteica, i regimi fortemente ipocalorici (-15/25%
del fabbisogno calorico giornaliero), alcune endocrinopatie come il mor­
bo di Addison, la sindrome di Cushing.
Fattori genetici. Gli studi più suggestivi legati alla relazione tra la ge­
netica e la spesa energetica sono stati ricavati dall’osservazione di una
particolare etnia di indiani americani, i Pima, che secolarmente hanno
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
12
vissuto in condizioni climatiche sfavorevoli con lunghi periodi di care­
stia. Tali condizioni hanno abituato l’organismo a tesaurizzare l’energia
introdotta (Thrifty gene o gene della frugalità) a tal punto che l’adesio­
ne al costume occidentale più ricco in fonti alimentari ha prodotto una
popolazione mediamente obesa e diabetica. Analizzando i Pima obesi,
si è riscontrata la presenza di livelli di adiposità ascrivibili a precise ag­
gregazioni familiari, suggerendo una caratterizzazione genetica con un
metabolismo basale basso per quelli suscettibili a un maggior sviluppo
di obesità. La disposizione dei distretti adiposi in altre etnie (boscimani
e altre popolazioni africane e australi) suggerirebbero una stretta relazione
tra metabolismo e riserve energetiche corporee, dimostrando una alta
efficienza metabolica nell’immagazzinamento delle calorie ingerite.
Studi recenti su modelli animali (ratti ob/ob) suggerirebbero l’esistenza
di alcuni difetti genetici a livello del tessuto adiposo, causa di una ri­
duzione nella produzione di leptina, o di una iperproduzione di lepti­
na inefficiente, con conseguente iperfagia e riduzione del metabolismo
basale. Trasportate tali esperienze sull’uomo, si è ipotizzato che l’obe­
sità non sia tanto ascrivibile all’ipotesi leptino-priva quanto a una in­
sensibilità recettoriale, o a una resistenza, nei confronti della leptina stes­
sa. Un altro ceppo di topi (fat/fat) mostra avere un difetto metabolico di­
verso, legato alla mutazione del gene per la carbossipeptidasi, ma con
le stesse risultanze di ridotto dispendio energetico basale.
Inoltre, la constatazione che i genitori obesi tendono a generare figli
obesi con una probabilità del 73% e che un solo genitore obeso man­
tiene una probabilità del 41% fa sorgere l’ipotesi che la componente ge­
netica, e quindi metabolica, sia prevalente rispetto ai fattori alimentari,
culturali e sociali. Esistono forme genetiche (sindromi di Prader-Willi,
Laurence Moon-Biedl, Allstrom) causa di obesità infantile per le quali
si possono ipotizzare anomalie nel metabolismo energetico. E infine:
studi compiuti su coppie di gemelli monozigoti e dizigoti dimostrano
che i fattori genetici sono responsabili del 40-50% della variabilità inte­
rindividuale nella termogenesi indotta dal cibo.
Cibo. L’introduzione del cibo determina a sua volta variazioni nella spe­
sa energetica. Prove metaboliche hanno dimostrato che la spesa ener­
getica aumenta dopo un pasto. Questo incremento del consumo ener­
getico può essere considerato come il lavoro richiesto per il metaboli­
smo dei nutrienti o il lavoro di digestione, e si esprime come DIT (Ter­
mogenesi Indotta dalla Dieta), o come SDA (Azione Dinamico Specifi­
ca). Il lavoro di digestione dipende dalla qualità e dalla quantità dei ci­
bi ingeriti: grassi e carboidrati hanno una SDA bassa (5 e 5-10% rispet­
tivamente), mentre quella delle proteine è relativamente alta (10-35%).
Questi valori sono indicativi e dipendono dai differenti processi meta­
Il bilancio energetico nell’uomo
13
bolici di volta in volta attivati: per esempio, la conversione del glucosio
a glicogeno comporta una spesa corrispondente al 5% del contenuto
energetico del glucosio, mentre sale a 24% se il glucosio è convertito in
lipidi. Inoltre la DIT dipende dalla frequenza e dalla durata dei pasti,
dalla dimensione e dalla palatabilità del cibo, dallo stato nutrizionale
dei soggetti e da eventuali condizioni fisiopatologiche.
Riguardo ai soggetti obesi, il consumatore di snack, o il “grignotteur”
rappresenterebbero tipologie di comportamento alimentare di maggior
rischio per le implicazioni metaboliche legate alla frequenza di consu­
mo, alla palatabilità e qualità degli ingredienti – più zuccheri semplici e
grassi – aventi un costo metabolico relativamente basso per la deposi­
zione e un potere saziante altrettanto basso. Esattamente la soluzione
ideale per l’industria alimentare che deve promuovere l’alto consumo.
Ormoni. Diversi ormoni influenzano il BMR, stimolandolo o rallentan­
dolo, in quanto possono incrementare i processi di ossidazione dei sub­
strati corporei ai fini energetici o all’opposto, possono promuovere i
processi di sintesi. L’insulina ha un’azione ipoglicemizzante e promuo­
ve lipogenesi e glicogenosintesi, svolgendo quindi un’azione sia di sti­
molo che di risparmio energetico. Le variazioni ponderali dei soggetti con
disfunzione tiroidea si spiegano con gli effetti degli ormoni tiroidei sul
metabolismo: il BMR aumenta nell’ipertiroidismo e diminuisce negli sta­
ti di ipotiroidismo. Anche il calo ponderale rapido, derivato da iper­
funzionalità tiroidea, risulta in parte dovuto a una riduzione della com­
ponente FFM e non alla componente FAT e quindi, l’efficienza meta­
bolica è tale da ridurre la componente metabolicamente più attiva. Il
paziente ex obeso si ritroverà con un BMR sostanzialmente ridotto. Ri­
cordando l’influenza dell’ipertiroidismo sull’aumento dell’appetito, del­
la temperatura corporea e della sensibilità ai recettori specifici alle ca­
tecolamine si evince come l’assetto ormonale vada a incidere su gran
parte delle componenti metaboliche. Le catecolamine a loro volta au­
mentano la termogenesi, dimostrando che attraverso la stimolazione dei
beta3 recettori si ottiene lipolisi con una maggiore dissipazione del ca­
lore; mentre l’NGF (fattore nervoso di crescita) sembra essere inversa­
mente correlato all’attività del sistema simpatico. Infine, glucagone, te­
stosterone e ormone somatotropo aumentano il BMR pur con meccanismi
tra loro differenti. La sindrome dell’ovaio policistico, per esempio, si
esprime clinicamente con iperandrogenismo rilevabile con concentrazioni
elevate di testosterone e androstenedione, che coinvolgendo tutto l’as­
setto degli steroidi sessuali sarebbe causa di elevate anormalità meta­
boliche. La rilevazione su questi pazienti di obesità, ma soprattutto di
grasso viscerale, potrebbe correlarsi a un effetto di liposintesi e quindi
di risparmio energetico.
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
14
RMR-REE
Nelle condizioni definite basali, il BMR rappresenta l’energia che l’or­
ganismo utilizza per compiere il lavoro necessario al mantenimento dell’omeostasi interna (sintesi e/o degradazione di alcuni costituenti cellu­
lari, cicli biochimici, turnover proteico ecc.). In un individuo adulto con
attività fisica media, il BMR rappresenta il 60-75% circa della spesa ener­
getica giornaliera. Il BMR viene spesso confuso con il metabolismo a ri­
poso (Resting Metabolic Rate o RMR o REE) che rappresenta l’energia spe­
sa in condizioni di riposo. BMR e REE differiscono tra loro per la ter­
mogenesi indotta dalla dieta (diet-induced thermogenesis o DIT) cono­
sciuta anche come Azione Dinamico Specifica dei nutrienti (Specific Di­
namic Action o SDA); mentre non è ancora chiaramente espressa la dif­
ferenziazione per gli altri effetti termogenici, quali la termogenesi in­
dotta dalle variazioni termiche ambientali, da agenti come caffeina e ni­
cotina e da stimoli psicologici, come ansia e paura. In sintesi l’equazio­
ne comunemente più accettata è:
REE=BMR + DIT
DIT-SDA-TEF
L’incremento termogenico quindi, può essere suddiviso schematicamente
in due componenti: termogenesi “obbligatoria” e “facoltativa”. La DIT, o
SDA, o ancora TEF (Thermic Effect of Food), rientra nella componente
obbligatoria con una piccola quota del consumo calorico giornaliero. In
particolare, rappresenta l’energia spesa per la digestione, l’assorbimento
e l’immagazzinamento dei nutrienti pari al 10-15% circa della spesa ener­
getica totale. La termogenesi facoltativa, che partecipa per il 30-40% del­
la DIT, comporta l’attivazione del sistema nervoso simpatico con mec­
canismi di difficile valutazione e oggi frutto di ricerca (figura 3).
Il tipo di alimentazione può modulare il REE se l’alimento viene assun­
to poche ore prima della misura diretta o indiretta del metabolismo. L’in­
fluenza del pasto è tale che l’incremento del valore basale può presen­
tare picchi differenti in funzione della qualità del cibo assunto, con un
effetto che persiste anche a distanza di 5-6 ore dal pasto stesso. Un pa­
sto a base di carne aumenta la DIT in misura maggiore (25-30%) rispetto
ai carboidrati o ai grassi. È buona norma quindi, valutare la DIT com­
plessivamente, e cioè durante e alla fine del periodo su indicato, in fun­
zione della tipologia dell’alimento assunto.
Studi ormai consolidati nel tempo (Apfelbaum 1969) dimostravano che
il RMR diminuiva dell’1% al giorno nei soggetti a digiuno similmente a ciò
che accadeva nei soggetti alimentati con 55 grammi di caseina, una quan­
tità sufficiente a garantire un bilancio azotato in equilibrio. Studi più re­
centi (Prentice 1995) ipotizzano una diminuzione del 5% del RMR già al
Il bilancio energetico nell’uomo
15
primo giorno di dieta a 900 calorie. Appare evidente che il fabbisogno ba­
sale a riposo include una variabile legata all’alimentazione e che la sua
riduzione nella dieta è legata a una ridotta SDA dato il pasto più pove­
ro e contenuto in quantità. Il declino del RMR nel digiuno può raggiun­
gere un plateau del 25% in meno nell’arco di 3-4 settimane con un de­
cremento calorico pari a 120 kcal al giorno. Il decremento calorico nel di­
giuno prolungato verrebbe completamente assegnato al costo del meta­
bolismo proteico: in tali condizioni, per esempio, la sintesi proteica si ri­
durrebbe del 25% , mentre rimarrebbe inalterato il costo della ureoge­
nesi e della produzione di ammonia. Rimandiamo ai paragrafi successi­
vi l’approfondimento dell’influenza dei nutrienti sulla termogenesi.
AEE
La terza componente della spesa energetica totale è rappresentata dall’attività fisica: essa dipende dall’attività individuale e generalmente cor­
risponde al 15-30% del consumo calorico totale giornaliero a partire dai
livelli di attività fisica leggera, moderata e pesante. Particolare interesse
nella ricerca scientifica riveste l’analisi delle diverse tipologie di attività
fisica, soprattutto quelle definite discrezionali, o ricreative, dato che sem­
brano incidere maggiormente nella spesa calorica giornaliera. Recente­
mente è stato dimostrato che il decadimento della TEE nei soggetti an­
ziani, come negli obesi, sembra più legato ad una riduzione della AEE
nella sua componente ricreativa che a un minor dispendio lavorativo o
a una ridotta percentuale di massa magra.
FIGURA 3
TEE (dispendio energetico totale).
2500
2000
1500
altro
~ 2 - 7%
dieta
~ 7 - 13%
attività
fisica
~~15 - 30%
1000
500
metabolismo
~ 60 - 75%
basale
0
dispendio energetico totale: Kcal/die
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
16
IL CALCOLO
DEL METABOLISMO
BASALE
Il consumo calorico viene misurato in kilocalorie (kcal o cal)) o anche
in Joule (J). Viene definita kcal o grande caloria la quantità di calore ne­
cessaria per aumentare di 1°C (da 14.5 a 15.5 °C) la temperatura di 1 li­
tro di acqua.
Il principale mezzo di dispersione del calore dell’organismo è la pelle,
appare perciò sensato rapportare la spesa energetica alla superficie cor­
porea esprimendolo come kcal/m2.
Du Bois e Du Bois condussero esperimenti su 8 uomini e 2 donne che
permisero di misurare la superficie corporea. Da questi studi ricavaro­
no una formula empirica per il calcolo della superficie corporea (SA)
SA= H0.725 x W0.450 x 71.84
dove H é l’altezza in cm, W è il peso in kg
Il lavoro di Du Bois e Du Bois per il calcolo della superficie corporea,
pur essendo ancor oggi preso come riferimento, fu oggetto di critiche da­
to il basso numero di soggetti esaminati; Harris e Benedict, in seguito,
proposero una formula per il calcolo della spesa energetica che impie­
gava variabili quali sesso, età, altezza e peso in base a studi condotti su
136 maschi, 103 femmine e 94 bambini. Numerosi studi sperimentali,
condotti in comparazione con metodiche calorimetriche dirette e indi­
rette, dimostrano l’attendibilità delle formule di Harris-Benedict con dif­
ferenze sostanzialmente circoscritte intorno alle 50-100 kcal nei sogget­
ti sani in normopeso.
Tali formule sono:
BEE (kcal) uomini = 66.5 + 13.75W + 5.003H- 6.775A
BEE (kcal) donne = 655 + 9.563W +1.850H - 4.676A
Dove A = età in anni, W = peso in kg, H = altezza in cm.
Queste equazioni, pubblicate nel 1919, sono ancora utilizzate nella pra­
tica clinica.
Per i bambini, maschi e femmine, sono state formulate equazioni di­
verse:
■ per i bambini di età compresa tra i 6 e i 10 anni.
BMR (kj/die) = 33.1 x peso (Kg) + 20.1 x altezza (cm) - 60.9 x età (anni) - 285 x sesso
(M = 0,F = 1) + 1542
■
per i bambini di età compresa tra i 10 e i 16 anni:
BMR (Kj/die) = 50.2 x peso (Kg) + 29.6 x altezza (cm) - 144.5 x età (anni) - 550 x sesso
(M = 0,F = 1) + 594.3
Il bilancio energetico nell’uomo
17
È stato riscontrato che negli adulti i valori di BEE e REE calcolati con le
formule, differiscono da quelli determinati attraverso l’analisi calorime­
trica soltanto del 10% circa, quindi sono abbastanza attendibili. Queste
formule possono essere usate solo su soggetti normopeso. In soggetti in
cui sono presenti patologie quali l’obesità, i valori devono essere corretti
attraverso funzioni popolazione-specifiche; inoltre, in soggetti in cui so­
no presenti infezioni gravi o ustioni, il metabolismo basale può incre­
mentare anche del 100%, mentre in casi di malnutrizione, può diminui­
re fino al 40%.
Il BMR misurato può essere confrontato con il valore considerato stan­
dard ed espresso come percentuale del rapporto con lo standard attra­
verso la formula:
BMR =
(BMR misurato - BMR standard) x 100
BMR standard
Il risultato viene espresso come la differenza percentuale dal valore pre­
detto: è considerato nella norma il valore di BMR che si discosta dal
predetto di ± 10%.
Sempre all’inizio del secolo molti studiarono nuove formule per il cal­
colo teorico della spesa energetica, ottenendo risultati molto simili, co­
me possiamo vedere:
■ 9 uomini normali (Du Bois)= valore medio 39.7 kcal/h-1m-2
■ 9 uomini normali (Means)=valore medio 39.6 kcal/h-1m-2
■ 82 uomini normali (Harris-Benidict)= valore medio 38.9 kcal/h-1m-2
Per la maggioranza dei soggetti normali, i valori di BEE (Basal Energy Ex­
penditure) o REE (Resting Energy Expenditure) misurati effettivamente
differiscono rispetto al valore predetta dal calcolo teorico di ± 10 %.
La BEE può essere predetta in modo abbastanza preciso in gruppi di
uomini e donne simili per età e composizione corporea partendo dal
peso corporeo e dall’altezza. Il calcolo teorico della spesa energetica
basale nei singoli individui varia rispetto alla stima effettiva misurata sul
soggetto. La variabilità della BEE suggerisce che esistano delle diffe­
renze nell’efficienza metabolica tra i diversi individui.
La tabella 5 da Flatt riporta la BEE in funzione della composizione cor­
porea.
Partendo da un ipotetico uomo adulto standard di 70 kg, vengono ri­
portate diverse situazioni con scostamenti di ±40% rispetto al “peso idea­
le”. Viene riportata la BEE in funzione della superficie corporea e an­
che quella calcolata in funzione di variazioni della massa cellulare cor­
porea o Body Cell Mass (BCM). Come si può notare, la differenza tra i
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
18
valori della colonna A (calcolati in funzione della superficie corporea)
e i valori della colonna B (calcolati in funzione della variazione della
BCM), ammonta a ±15%. Ciò suggerisce che le variazioni della BEE nei
diversi soggetti potrebbero essere attribuite a variazioni della BCM in
rapporto al peso corporeo.
LA MISURA
DELLE COMPONENTI
METABOLICHE
Esistono diversi metodi, o apparati strumentali, che vengono impiegati
nella pratica clinica per la misura delle componenti metaboliche. Per
brevità di descrizione possono essere raggruppati in metodi diretti e in­
diretti. Si raccomanda per l’approfondimento della tecnica la consulta­
zione della review di Prentice, Murgatroyd e Shetty, pubblicata sull’In­
ternational Journal of Obesity, dal titolo: Techniques for the measurement
of human energy expenditure – a practical guide.
La calorimetria diretta. La calorimetria diretta si basa sul principio per
cui tutta l’energia consumata dall’organismo per compiere lavoro viene
liberata sotto forma di calore.
Pertanto, misurando la perdita di calore corporeo per evaporazione, con-
TABELLA 5
Dispendio energetico e variazioni nella composizione corporea.
Peso (kg)
53 (c)
60 (b)
70 (a)
84 (d)
98 (e)
Percentuale peso ideale (%)
76
86
100
120
140
Scheletro (kg)
7
7
7
7
7
Compartimenti intercellulari (kg)
20
17.5
17.5
17.5
17.5
Tessuto adiposo (kg)
5
5
17.5
29.5
43.5
Massa cellulare (kg)
21
30
28
30
28
Superficie (m2)
1.66
1.75
1.87 (a)
2.02
2.16
BMR (Kcal/m2/h)
36.5
36.5
36.5 (a)
36.5
36.5
Dispendio energetico “A” (Kcal/die)
1450
1530
1640
1770
1890
Massa cellulare (Kcal/kg)
69 !
51 !
59
59
68 !
Dispendio energetico “B” (Kcal/die) (f)
1230
1760
1640
1760
1640
B-A/A (%)
-15
+15
(0)
-1
-13
(a) Ipotizzando un uomo adulto di 40 anni alto 178 cm – Geigy, Scientific Table, 7th edition, Ciba-Geigy, Basel, 1970, p. 537 e 540.
(b) “Tipo attivo”: diminuzione del tessuto adiposo e un certo incremento della massa cellulare.
(c) Individuo denutrito, con perdita di tessuto adiposo e/o massa cellulare, tendenza all’edema nutrizionale.
(d) Individuo sovrappeso, con sensibile aumento del tessuto adiposo e aumento contenuto della massa cellulare.
(e) Individuo obeso, con rilevante aumento del tessuto adiposo ma senza aumento della massa cellulare.
(f) Ipotizzando che il dispendio energetico sia proporzionale al peso della massa cellulare e che corrisponda a 58,6 kcal/kg di massa cellulare come
nell’individuo normale.
Il bilancio energetico nell’uomo
19
duzione, irradiazione e convezione, si può risalire al consumo di energia.
Solitamente la calorimetria diretta viene effettuata in una camera isola­
ta, adiabatica, dove il soggetto viene esaminato nell’arco di 24 ore in
condizioni, successivamente, di riposo, di lavoro e di attività ricreativa.
Il calore rilevato è dato per i 3/4 circa da perdite per conduzione e ra­
diazione. Per poter registrare la perdita di calore attraverso le componenti
evaporative, occorre che l’aria in entrata nella camera metabolica sia
condizionata a temperatura e umidità fisse. L’aria che esce dalla came­
ra transita poi attraverso uno scambiatore di calore identico a quello in
entrata, in modo da essere riportata nella camera alla temperatura e umi­
dità iniziali.
Il calore estratto dall’aria in uscita rappresenta il calore perso attraverso
l’evaporazione, che va sommato alla quota di calore disperso in pro­
cessi non evaporativi.
Di uso più semplice sono i calorimetri a gradiente, in cui viene misura­
ta la trasmissione del calore attraverso uno strato isolante, di forma, gran­
dezza e proprietà termiche costanti. Le temperature, sulle due superfi­
ci dello strato isolante, dipendono dalla velocità di produzione e tra­
smissione del calore. La differenza tra le due temperature dello strato
isolante, sulla superficie interna e su quella esterna, viene misurata in con­
dizioni di equilibrio termico e viene correlata alla quantità di calore di­
sperso dal corpo all’interno dell’isolante.
La calorimetria diretta permette una stima precisa, accurata e diretta del
calore prodotto; d’altra parte, la metodica presenta degli svantaggi: l’e­
levato costo e l’impossibilità di avere informazioni sui substrati corporei effettivamente utilizzati.
La calorimetria indiretta. Più semplice e pratica da attuare è la calo­
rimetria indiretta, che misura i gas respiratori: l’anidride carbonica prodotta (CO2) e l’ossigeno (O2) di un determinato volume di aria espirata.
La calorimetria indiretta si basa su due principi fondamentali:
■ la prima legge della termodinamica (Legge della conservazione
dell’energia), secondo la quale l’energia non può essere nè creata
nè distrutta, ma solo trasformata. Questa legge può essere espressa
con la seguente equazione:
∆E = dQ + dW + dR
∆E = variazione dell’energia chimica
dQ = calore liberato dal sistema
dW = lavoro meccanico fornito
dR = altre forme di energia liberate
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
20
■
l’energia prodotta dall’ossidazione dei cibi nell’organismo è uguale
a quella prodotta dalla loro combustione nella bomba calorimetrica.
La differenza è rappresentata dal fatto che nell’organismo
l’ossidazione avviene a 37°C grazie ad una serie di enzimi che
catalizzano le reazioni, mentre nella bomba calorimetrica
l’ossidazione è diretta ed avviene a pressioni e temperature elevate.
In termodinamica non è tanto importante il tipo di reazione che
avviene, ma solo gli stadi iniziali e finali (reagenti e prodotti).
Il nutriente ossidato viene trasformato in anidride carbonica ed
acqua come nella bomba calorimetrica. Per quanto riguarda grassi e
carboidrati, i prodotti finali dell’ossidazione sono CO2 ed H2O sia
nell’organismo sia nella bomba calorimetrica:
Glucosio C6H12O6 + 6O2 → 6CO2 + 6H2O + calore
Tripalmitina C51H98O6 + 72.5 O2 → 51 CO2 + 49 H2O + calore
Differente è la situazione delle proteine. Nella bomba calorimetrica le pro­
teine sono trasformate in CO2, H2O, SO4 e N2 mentre nel corpo umano
l’azoto proteico non è trasformato in N2 ma in urea.
Ovoalbumina:
(ossidazione nel corpo umano)
2 C250 H409 N67 O81 S3 + 532 O2 → 433 CO2 + 67CON2H4 + 6H2SO4 + 269 H2O + calore
(ossidazione nella bomba calorimetrica)
4 C250 H409 N67 O81 S3 + 1265 O2 →1000 CO2 + 12H2SO4 + 806H2O + 134N2 + calore
L’energia prodotta dalle proteine nell’organismo sarà minore rispetto
quella prodotta nella bomba calorimetrica, con una differenza calcola­
ta sperimentalmente di 1.35 kcal/g di proteine.
Il sistema a circuito aperto o total body. Due sono i sistemi di calo­
rimetria indiretta: a circuito chiuso e a circuito aperto o total body. Nel
primo sistema il soggetto respira ossigeno puro da un circuito chiuso e
l’espirato viene reimmesso nel sistema dopo aver sottratto la CO2. Nel­
la calorimetria a circuito aperto, invece, il soggetto respira aria ambien­
tale in una camera chiusa. La camera è fornita di letto, tavolo, sedia, TV
e tutto quanto può essere necessario per rendere l’ambiente conforte­
vole. Il cibo e le bevande sono forniti attraverso una finestra a tenuta,
le feci e le urine vengono eliminate attraverso un’altra. L’aria che viene
fatta entrare nella camera deve essere ben miscelata, e temperatura e
pressione devono essere continuamente controllate rispetto a un gas
standard a composizione conosciuta. Gli scambi respiratori del sogget­
to vengono misurati dall’effetto che hanno sulla composizione dell’aria
Il bilancio energetico nell’uomo
21
nella camera metabolica. La differenza in concentrazione di ossigeno e
di anidride carbonica tra l’aria in entrata e quella in uscita rappresenta
lo scambio respiratorio del soggetto, dal quale può essere calcolata la spe­
sa energetica. L’accuratezza della calorimetria indiretta total body è li­
mitata dal flusso ventilatorio nella camera e dalla composizione dei gas.
Nella misura degli scambi respiratori si può ottenere un’accuratezza en­
tro ±1%. La precisione inoltre è limitata dall’amplificazione dei ”rumo­
ri” generati dagli strumenti d’analisi dei gas, ma questi sono volume di­
pendenti e direttamente influenzati dalla grandezza della camera meta­
bolica. In una camera con un volume di 10 m3 gli scambi respiratori nell’arco di 30 minuti vengono misurati con una precisione che si avvicina
a 4 ml/min, che corrisponde a una variazione della spesa energetica pa­
ri all’1.5-2 %. La precisione aumenta con il tempo per il quale si protrae
la misurazione. Sembra, infine, che la qualità dei risultati dell’analisi ef­
fettuata per diverse ore sia più strettamente influenzata dalla grandezza
della camera che dalla ventilazione.
La calorimetria indiretta total body si basa su principi semplici e può
fornire con precisione e accuratezza, oltre al dato sulla spesa energeti­
ca, anche informazioni sui substrati utilizzati. Tra gli svantaggi si pos­
sono citare gli elevati costi di gestione, e il ricorso a un ambiente artifi­
ciale nel quale é difficile combinare altre metodiche invasive.
Il sistema a circuito chiuso. Per la calorimetria indiretta a circuito chiu­
so sono disponibili apparecchi portatili per la misura dei gas respiratori.
Essi dispongono o di una maschera, attraverso la quale il soggetto re­
spira, oppure di una canopy nella quale va inserita la testa. Negli appa­
recchi dotati di canopy una pompa crea un flusso costante. Il flusso vie­
ne espresso in l/min. L’O2 consumato e la CO2 prodotta sono poi misu­
rati nell’aria ventilata come differenza tra l’aria inspirata e espirata. Esistono
anche apparecchi, solitamente utilizzati negli ambulatori, sprovvisti dell’analizzatore di CO2. In questi strumenti, la raccolta dell’aria espirata per
la misura della spesa energetica avviene utilizzando la sacca di Douglas.
Quest’ultima è un involucro impermeabile ai gas, solitamente con volu­
me di 100 l, nella quale viene raccolta l’aria espirata dal soggetto duran­
te il test. La sacca di Douglas viene utilizzata per misurare il metaboli­
smo sia a riposo sia in attività, in questo caso assicurandola al corpo del
soggetto. La sacca di Douglas pesa circa 6.5 kg e può dunque essere d’o­
stacolo durante l’attività fisica. Esistono però anche strumenti con peso
circa di 3 kg, che quindi interferiscono meno sull’attività del soggetto.
Ovviamente, non essendo misurata la CO2, questi strumenti non danno
informazioni sui substrati utilizzati.
Si stima che l’accuratezza degli strumenti portatili e ambulatoriali oscil­
li tra il +4% e il -2%.
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
22
L’APPLICAZIONE
DELLA METODICA
Dalle rilevazioni di O2 e CO2 presenti nell’aria inspirata ed espirata, si risale all’ossigeno espirato e all’anidride carbonica prodotta. Definiti co­
me IF il flusso inspiratorio ed EF il flusso espiratorio si possono calco­
lare VO2 e VCO2:
VO2 = (IF2 - EFO2) x VE
VCO2 = (IFCO2 - EFCO2) x VE
dove VE è il volume di aria espirata
Le concentrazioni di gas sono trasformate in condizioni STPD (Standard
Temperature Pressure Dry) e corrette per la frazione nella miscela dei gas.
Per risalire al consumo energetico basale, esistono diverse equazioni
(tabella 6) che mettono in rapporto il consumo di ossigeno e la produ­
zione di anidride carbonica con il consumo calorico. Le equazioni sono
basate sulla misura del consumo di O2 (VO2), della produzione di ani­
dride carbonica (VCO2) e dell’escrezione urinaria, quest’ultima come sti­
ma dell’entità dell’escrezione urinaria. Esse presentano la seguente for­
ma (tabella 5):
kcal/die = a VO2 + b VCO2 – c N
in cui a, b e c sono coefficienti che dipendono dal tipo di substrato os­
sidato.
Infatti, poter misurare in “vivo” la quota di grassi, proteine e carboidra­
ti ossidati è il vantaggio principale della calorimetria indiretta. L’illustra­
zione di questo punto richiede di introdurre alcuni concetti chiave.
Il Quoziente Respiratorio. Il rapporto tra anidride prodotta ed ossi­
geno consumato (VCO2/VO2) è definito quoziente respiratorio (respi­
ratory quotient o QR). Il QR differisce per i diversi substrati energetici:
■ lipidi, QR 0.7
TABELLA 6
Equazioni proposte per il calcolo del dispendio energetico: (Kcal/die = aVO2 + bVCO2 - cN).
Referenza
a
b
c
Kcal/die
Wair (1949)
3.94
1.11
2.10
2417
Consolazio (1963)
3.78
1.16
2.98
2347
Brower (1965)
3.87
1.20
1.43
2428
Frayn (1983)
3.76
1.18
0.88
2371
Brockway (1987)
3.96
1.08
1.41
2422
Jequier
3.84
1.09
0.61
2376
Il bilancio energetico nell’uomo
23
carboidrati, QR 1
■ proteine, QR 0.83
■ alcol, QR 0.66
■
Siccome ci sono quattro substrati e soltanto due variabili misurabili (os­
sigeno e anidride carbonica), per il calcolo della spesa energetica oc­
corre conoscere le proteine e l’alcool ossidati (se quest’ultimo è stato
consumato), che devono essere stimati indipendentemente. Per le pro­
teine solitamente viene misurato l’azoto urinario, che rappresenta il pro­
dotto finale dell’ossidazione proteica.
L’ossidazione dei grassi e dei carboidrati può essere stimata attraverso gli
scambi respiratori con una accuratezza rispettivamente pari a ±9.5 g/die (cor­
rispondenti circa a 90 kcal) e a ±20 g/die (corrispondenti a circa 80 kcal).
Una alimentazione corretta e bilanciata si caratterizza per un quoziente
respiratorio compreso nel range 0.80 - 0.86.
Valori di QR al di fuori di questo range e possono essere spiegati come
segue:
QR>1
Lipogenesi: è la trasformazione degli zuccheri in lipidi. Per esempio, tra­
sformazione del glucosio in acido stearico:
3(C6H12O6) → C18H36O2 + 8O2
Nella lipogenesi si liberano 8 molecole di ossigeno, di conseguenza du­
rante tale processo si ha un aumento di produzione di CO2, mentre i va­
lori di O2 consumato si mantengono relativamente stabili. Questo spie­
ga perché il QR con valore attorno a 1 sia caratteristico della lipogenesi.
È inoltre possibile che i valori di QR siano superiori se la VCO2 aumenta
in modo rilevante. Generalmente lipogenesi e lipolisi avvengono si­
multaneamente. In alcuni tessuti la lipogenesi può essere caratterizzata
da un QR inferiore a 1 se l’ossidazione dei grassi è quantitativamente
più rilevante.
Nel lavoro muscolare intenso e breve, si incrementa la produzione di
acido lattico, spostando l’anidride carbonica dei bicarbonati della riser­
va alcalina all’espirato con un conseguente aumento del QR. Un quadro
di iperventilazione del paziente, dovuto per esempio al fatto di dover re­
spirare con una mascherina o un boccaglio, fa sì che il QR aumenti fi­
no a valori superiori ad 1.
QR< 0.7
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
24
Esistono due condizioni in cui il QR ha valori inferiori a 0.7: gluconeo­
genesi e chetogenesi.
La gluconeogenesi è la conversione di lipidi e proteine, molecole povere
di ossigeno, a glucosio che invece è ricco di ossigeno. Anche in pre­
senza di gluconeogenesi, spesso si hanno condizioni in cui il glucosio
formato è successivamente ossidato per cui non se ne ha accumulo.
Perchè il glucosio possa essere accumulato è necessario che la dieta sia
ricca di proteine e povera di carboidrati. In queste condizioni, dopo un
pasto si ha stoccaggio di glucosio sotto forma di glicogeno.
Anche la chetogenesi (tipica del digiuno prolungato o del diabete) com­
porta la trasformazione di sostanze povere di ossigeno in sostanze ric­
che di ossigeno. L’ulteriore ossidazione di queste sostanze non è con­
templata nell’equazione della calorimetria indiretta. La quantità di cor­
pi chetonici nelle urine del soggetto può però essere usata per correg­
gere i valori di O2 e CO2.
LA STANDARDIZZAZIONE
NELLA MISURA
DEL METABOLISMO BASALE
(BMR)
È necessario innanzitutto che venga predisposto un ambiente in cui pos­
sano restare solo il paziente e il medico operante. Questa stanza deve
essere in penombra e deve essere priva di oggetti che possano distrar­
re o attirare l’attenzione del paziente, in modo da limitarne l’attività men­
tale. Il soggetto verrà fatto sdraiare su di un lettino in posizione supina,
in modo che si rilassi il più possibile. Quando si ritiene che il paziente sia
perfettamente rilassato e a suo agio, si applicano il boccaglio respiratorio,
o la mascherina o ancor meglio la canopy, in modo che i gas espirati sia­
no raccolti e convogliati ai rispettivi analizzatori. Solo una piccolissima
quota di gas espirati viene convogliata agli analizzatori, mentre il resto, vie­
ne rimandato all’esterno del calorimetro nell’aria ambientale. Anche per
questo motivo è necessario che al momento dell’esame ci siano poche per­
sone nella stessa stanza, in quanto con la respirazione viene aumentata
la CO2 presente nell’ambiente e, dato che il calorimetro prende come ri­
ferimento le concentrazioni dei gas nell’ambiente come costante, ver­
rebbe alterato l’esito dell’analisi. Prima di raggiungere gli analizzatori, i
gas raccolti transitano in un flussimetro che misura il volume respiratorio.
Il gas espirato viene di norma analizzato ogni minuto (esistono apparec­
chi che possono adottare intervalli inferiori, per esempio 20 secondi), per
calcolare il dispendio calorico riferito alle 24 ore. Generalmente durante
una analisi metabolica non tutti i valori misurati possono essere usati per
determinare il BMR. Accade spesso che, nei primi minuti del test, il pa­
ziente non sia perfettamente rilassato, oppure che nel circuito interno via
sia ancora dell’aria ambiente. Gli strumenti più sofisticati sono in grado di
segnalare i dati più attendibili (quelli in Steady State o stato di equilibrio),
Il bilancio energetico nell’uomo
25
cioè i valori che non si discostano l’uno dall’altro più di 50 - 100 kcal. Per
esempio, vengono eliminati dal referto finale i valori di VO2, VCO2 e QR
che mostrano oscillazioni maggiori al 10%.
Se lo strumento non è in grado di fare questa selezione, l’operatore de­
ve controllare che i QR siano abbastanza costanti, o permettere ad esem­
pio solo le oscillazioni inferiori al 5%, e controllare che i valori di me­
tabolismo mostrino una certa costanza per almeno 5 minuti. Se non si
riesce a raggiungere questa condizione in 30 minuti si rende necessario
ripetere il test.
LA DETERMINAZIONE DELLA
SPESA ENERGETICA (EE)
La spesa energetica può essere determinata in due modi: attraverso VO2
e VCO2 o solo con VO2.
Determinazione con VO2 e VCO2. Nell’adulto i volumi respiratori clas­
sici sono: 0.250 l/min per ossigeno, 0.225 l/min per anidride carbonica
e 0.01 g/min per azoto con una spesa energetica di 1.233 Kcal/min. Un
errore del 10% nella misurazione dell’ossigeno comporta un errore del
7% nella spesa energetica, mentre un errore del 10% nella misurazione
dell’anidride carbonica produce un errore del 3% e un errore del 100%
nella valutazione dell’azoto crea un errore solo del 1%.
In base a questi risultati sono state costruite equazioni per calcolare la
spesa energetica:
EE (kcal/die) = 3.581 VO2 (l/die) + 1.448 VCO2 (l/die) - 32.4
EE (kcal/die) = 3.581 VO2 (l/min) + 1.448 VCO2 (l/min) - 0.022
Queste formule sono state usate in soggetti ammalati per valutare la dif­
ferenza rispetto a quelle che prendevano in esame anche l’azoto. L’er­
rore calcolato era di 27 kcal/die. Anche in questo caso è stato chiara­
mente dimostrato che la determinazione dell’azoto escreto non è ne­
cessario per il calcolo della spesa energetica, anche nei pazienti in cui
la secrezione di azoto è largamente variabile.
Determinazione con VO2. La misura più importante per determinare
la spesa energetica è quella della VO2. In alcune circostanze si può omet­
tere la CO2 cosi come l’azoto. Come già si è detto, un errore di VCO2
pari al 10% provoca un errore del 3% nella EE. Questo significa che se
il QR può essere stimato con un’approssimazione del 10% così VCO2
può essere calcolato da VO2 con la medesima approssimazione.
Generalmente in una popolazione normale il QR non ha scostamenti
dal valore di 0.9 superiori a ±10%, fatta eccezione per condizioni tran­
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
26
sitorie, per le quali è possibile trascurare la misura di VCO2. Per malati
il cui QR varia da 0.7 a 1.2, si rende necessaria la misura di entrambi i
gas. Al calcolo della EE con il solo ossigeno si ricorre di norma duran­
te l’esercizio o in fisiologia respiratoria:
EE (kcal) =
EE (kcal) =
1.0548 - 0.0504 EFO2
1 + 0.28 p
5.04
1 + 0.082 p
x VE
x (0.2093 - EFO2) x VE
EFO2 = concentrazione dell’ossigeno nell’aria espirata
VE = volume espiratorio
p = frazione dell’energia totale della dieta derivante dalle proteine
Il valore (0.2093 - EFO2) rappresenta la differenza nel contenuto di os­
sigeno tra l’aria inspirata e l’espirata.
VCO2 = VO2 x QR
EE (kcal) = 3.581 VO2 + 1.448 QR x VO2 - 1.773 Nu
METABOLISMO CIRCADIANO
E BIOCHIMICA
DEI NUTRIENTI
Come abbiamo indicato nei paragrafi precedenti, il dispendio energeti­
co del metabolismo basale viene ricavato sulla base del consumo di os­
sigeno a digiuno (almeno 8 ore dall’ultimo pasto) e quindi si preferisce
effettuare il test al mattino. Anche la qualità del pasto può influire sul quo­
ziente respiratorio e, quindi, si preferisce ridurre la componente pro­
teica, così che il quoziente respiratorio sia determinato quasi esclusiva­
mente dalle componenti glucidiche e lipidiche.
Il minimo dispendio energetico nelle 24 ore si osserva durante il sonno
notturno e corrisponde al 10 % della quota relativa alle condizioni ba­
sali.
Quando il soggetto è inattivo durante il giorno ma il suo metabolismo
è stimolato a intermittenza dal consumo di cibo e dalla termogenesi, la
sua spesa energetica é solitamente più alta del 20% rispetto alle condi­
zioni basali (figura 4).
Quest’ultimo valore, ripartito nelle 24 ore, descriverebbe più compiuta­
mente il REE, che sommato a sua volta al dispendio per l’attività fisica
porterebbe al dispendio energetico totale nella giornata. Permane tuttavia,
il quesito riguardante la misurazione delle diverse componenti meta­
boliche nella realtà quotidiana, dato che è possibile solo simulare il di­
spendio del soggetto in esame nella camera metabolica, simulando lo sti­
Il bilancio energetico nell’uomo
27
le di vita; mentre l’effettiva attività potrebbe essere significativamente
diversa per l’incidenza delle relazioni sociali e dei fattori ricreativi e lu­
dici. Occorre sottolineare che questi fattori comportano di per sé un in­
cremento del BMR legato alla componente catecolaminergica.
Come abbiamo riferito nei paragrafi precedenti gli aumenti nella spesa
energetica durante il giorno dovuti all’assunzione di cibo vengono as­
segnati alla SDA (Specific Dynamic Action of Food).
La SDA varia a seconda dei nutrienti: 2-7% per i carboidrati, 20-30% per
le proteine, 2-4% per i lipidi. Per una dieta mista il valore di SDA usual­
mente utilizzato é pari il 10%. Questo aumento del dispendio energeti­
co è dovuto essenzialmente al costo energetico per il trasporto e la con­
versione dei nutrienti assorbiti nelle rispettive forme d’immagazzina­
mento.
La qualità del pasto, quindi, varia sensibilmente la SDA. Poiché l’ossi­
dazione dei substrati comporta produzione di ATP, la misura del di­
spendio energetico fornisce anche la misura dell’ATP prodotto. Per que­
ste ragioni “dispendio energetico” e “produzione di ATP” sono termini
spesso interscambiabili (tabella 7).
Il valore di 7 kcal per l’idrolisi di una mole di ATP é quello general­
mente utilizzato.
Da un punto di vista fisiologico però non ha significato, perché tale va­
lore varia a seconda della concentrazione dei diversi reagenti che par­
tecipano alle reazioni.
Nei globuli rossi, per esempio, la concentrazione di ATP e ADP é tale che
l’energia prodotta per l’idrolisi di una mole di ATP corrisponde a 12.9
kcal/mole (Lehninger 1975). Dall’altra parte la spesa energetica per la
FIGURA 4
Il grafico mostra che la minima spesa
Spesa energetica
energetica (MEE) viene mantenuta finchè
il soggetto dorme, e che la spesa
energetica a riposo (REE) come
determinata nei momenti di riposo diurni,
è di norma considerata superiore del 20%
circa alla spesa energetica basale
(BEE = BMR x superficie corporea x 24 ore).
8
12
20
ore
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
28
sintesi di una mole di ATP dovrebbe essere basata sul calore di com­
bustione di una mole di substrato diviso il numero di ATP generati da
questa ossidazione. Questo valore si aggira a 18-20 kcal/mole.
Questo significa che una spesa energetica giornaliera di 2400 kcal im­
plica che 2400/18 = 133 moli di ATP vengano idrolizzate e rigenerate
giornalmente.
Nel paragrafo successivo verranno ripresi i concetti di SDA per i pro­
cessi digestivi e di Energia Dissipata per i processi di deposizione dei nu­
trienti come riserve corporee.
IL DESTINO METABOLICO
DEI NUTRIENTI
Nella figura 5 vengono riportate le diverse vie metaboliche previste per
l’amido ingerito con la dieta. I numeri indicano le moli di ATP formato
(+) e utilizzato (-) per ogni mole di glucosio. La differenza tra ATP for­
mato e ATP utilizzato esprime la quantità di energia immagazzinata sot­
to forma di ATP: ATP GAINED.
L’utilizzazione e la produzione di ATP nello schema metabolico, indica
un bilancio tra il numero di “ATP gained” (ATP guadagnato) e “ATP ma­
de” (ATP formato) entrambi derivanti dagli amidi della dieta, o dal gli­
cogeno endogeno, o dalle proteine o dai trigliceridi presenti come de­
positi corporei. Il trasporto attivo del glucosio nell’intestino è presumi­
bilmente legato all’estrusione del sodio, con un consumo di 1 mole di
ATP ogni 3 atomi di Sodio pompato fuori dalle cellule epiteliali (Crane
1962). Il costo in ATP per il coinvolgimento degli enzimi intestinali nel
trasporto e nella mobilizzazione del glucosio dall’intestino al torrente
ematico viene arrotondato a 0.5 ATP; mentre per la produzione di gli­
cogeno è di 2 ATP e per il ciclo di Cori di 1 ATP.
TABELLA 7
Ossidazione del substrato glucidico.
Substrato
Ossigeno necessario
Prodotti dell’ossidazione
Energia prodotta (Kcal)
QR
1 Glucosio
6 O2
6 CO2 + 6 H2O
673 (a)
1.0
(a)
1 Palmitato
23 O2
16 CO2 + 16 H2O
2398
1 AA
5.1 O2
4.1 CO2 + 0.7 urea + 2.8 H2O
475 (b)
0.80
(c)
2.75
4.5 Glucosio
4 O2
1 Palmitile + 11 CO2 + 11 H2O
630
0.70
(a) Handbook of Chemistry and Physics, 51st edition, 1970, p. D 217
(b) I coefficienti stechiometrici per l’ossidazione delle proteine variano leggermente in funzione della composizione in aminoacidi. L’esempio prodotto
qui si riferisce all’ossidazione di 100 grammi di bistecca di bovino adulto (McGilvery, 1970). Il calore della combustione è stato calcolato usando un
valore di 4,32 kcal/g di proteina (Geigy Scientific Tables, 1970, p. 539).
(c) (4,5 moli Gluc x 673 kcal/mole) – 2398 kcal/mole Palmitato = 630 kcal. La stechiometria della reazione, comprese la prosuzione e l’utilizzazione di
legami ad alta energia (~), è basata su quella riportata per la conversione del glucosio in grasso nel tessuto adiposo del ratto (Flatt, 1970).
Il bilancio energetico nell’uomo
29
Poiché l’ATP per l’assorbimento, il trasporto e il deposito del glucosio si
assume abbia un equivalente calorico di circa 18-20 kcal per ogni mo­
le utilizzata, la SDA% degli amidi ingeriti può essere ricavata dividendo
le calorie da ATP impiegate nel processo digestivo per le calorie forni-
FIGURA 5
La via metabolica.
AMIDO
(162 g x 4.15 cal/g)
GLUCOSIO
(1 mole = 673 Kcal)
intestino
- 0.5 ATP
GLUCOSIO
sangue
GLICOGENO
fegato
muscoli
PALMITICO
fegato
BILANCIO
PALMITICO
tessuto adiposo
ossidazione
-2 ATP
-1ATP
-2 ATP
ciclo di cori
-1 ATP
-1ATP
-1 ATP
ATP utilizzato
-0,5 ATP
FFA riciclo
-1,6 ATP
CO2
CO2
CO2
CO2
-5,5
-4,5
-3,5
-10,8
ATP formato
+38
38
38
38
ATP guadagnato
32,5
33,5
34,5
27,2
ATP utilizzato
per l’assorbimento,
il trasporto
e la deposizione
2,5
2,5
0,5
8,7
SDA
7%
7%
2%
26%
5%
3%
energia dissipata
per la deposizione
19%
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
30
te da una mole dell’amido stesso. Ad esempio, la SDA% nel caso del
glicogeno epatico, sarà di 2,5 ATPx20 kcal divise per 673 kcal e cioè più
del 7%. Nello schema: se il glucosio viene tutto immagazzinato nel san­
gue la SDA% è pari al 2% circa; se viene convertito in glicogeno la SDA%
è pari al 7%, se però tutto l’amido viene trasformato e depositato come
grassi la SDA% sale al 26% circa. Ciò corrisponde a una condizione sfa­
vorevole per la lipogenesi da carboidrati; ma se per esempio, il nostro
pasto si presentasse lievemente eccedente il fabbisogno per una quota
energetica del 20%, l’eccedenza si trasformerebbe in grassi con una
SDA% complessiva, risultante dalla quota di glicogeno e di trigliceridi
depositati, pari al 10%. La riduzione della SDA in questo caso è l’e­
spressione di una condizione favorevole per la lipogenesi non tanto per
il ruolo metabolico dei carboidrati di per sé, quanto per l’ipercaloricità
del pasto in quel momento. In ultimo, viene riportata l’energia dissipa­
ta per la deposizione del glucosio, sotto forma di riserva corporea, che
oscilla dal 3-5% se si tratta di glicogeno sino al 19% se trigliceridi. L’energia
dissipata è la differenza tra la SDA osservata quando il glucosio assorbito
è direttamente ossidato, o quando esso è convertito in glicogeno o gras­
si prima dell’ossidazione. Costi irrisori nel contesto ossidativo o di gli­
cogenesi, a dimostrazione del ruolo dei carboidrati come fonte di ener­
gia pronta e disponibile; costi elevati invece qualora si tratti di lipogenesi.
In cifre, il costo metabolico, ossia l’energia dissipata per la conversione
del glucosio a glicogeno è pari al 5% del contenuto energetico del glu­
cosio, mentre sale al 19 % quando viene convertito a grasso.
È d’obbligo una riflessione: l’organismo nel regolare la deposizione, o
al contrario la mobilizzazione e ossidazione dei substrati, si esprime at­
traverso la sua capacità di gestire le calorie introdotte da un pasto al­
l’altro al fine di sopperire alla richiesta energetica. Questo è vero, ma
come vedremo più avanti, non significa che l’eventuale eccedenza ca­
lorica di un pasto sia immagazzinata come riserva estensibile di glicogeno
o di proteine. Piuttosto, l’unico comparto corporeo estensibile è il tes­
suto adiposo e la risposta immediata all’eccedenza energetica del pasto
è la deposizione dei grassi. Una volta depositati, il costo di mobilizza­
zione e ossidazione dei grassi, sempre tra un pasto e l’altro, è così ele­
vato che preferenzialmente verranno intaccati i glucidi di riserva. L’i­
percaloricità del pasto è quindi il fattore più pericoloso per la poten­
ziale lipogenicità ma è anche, nella pratica dietetica, la più difficile da
combattere. Infatti, la dieta ideale dovrebbe prevedere un’equa ridistri­
buzione dei pasti in ambito circadiano e la riduzione in termini calorici
del pasto previsto alla sera, ma questo si confronta con la modificazio­
ne dello stile di vita del paziente, intervento ben più arduo di quello
meramente educativo. Nella figura 6 vengono schematizzate le diverse
vie metaboliche che possono seguire i grassi ingeriti con la dieta. I nu­
Il bilancio energetico nell’uomo
31
meri si riferiscono alle moli di ATP formato (+), e utilizzato (-) nel cor­
so dell’ossidazione di una mole di palmitato. L’assorbimento intestina­
le del palmitato richiede 2,3 ATP per l’attivazione degli acidi grassi e la
FIGURA 6
La via dei trigliceridi.
TRIGLICERIDI
(1 mole=236 g=2398 Kcal)
PALMITATO
intestino
- 2,3 ATP
PALMITICO
sangue
-2,3 ATP
1/3 resterificato
nel tessuto
adiposo
PALMITICO
tessuto adiposo
-1,2 ATP
FFA
FFA
-2
OSSIDAZIONE
BILANCIO
1/2
FFA RICICLED
-2,7 ATP
KB
-4 ATP -2 ATP -2 ATP
ATP utilizzato
ATP formato
ATP guadagnato
-2 ATP
CO2
CO2
CO2
CO2
-11,8
-7,8
-13,9
-4,3
131
131
131
131
119,2
123,2
117,1
126,7
ATP utilizzato
per l’assorbimento,
il trasporto
e la deposizione
4,6
2,3
SDA
4%
2%
energia dissipata
per la deposizione
6%
3%
8%
0
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
32
loro esterificazione. La stessa quota di ATP è richiesta per il deposito
nel tessuto adiposo (Ball, 1965). Quando gli acidi grassi liberi sono con­
vertiti in corpi chetonici, un legame altamente energetico è utilizzato
(GTP) per mole di corpi chetonici attivati in periferia.
Le linee tratteggiate mostrano il riciclo e la riesterificazione degli acidi gras­
si liberi che sono in relazione con la spesa in ATP: viene assunto che
un terzo degli acidi grassi prodotti nel tessuto adiposo è riesterificato in
questo stesso tessuto, inoltre la metà degli acidi grassi nel plasma viene
captata dal fegato, esterificata e rimessa in circolo come trigliceridi legati
alle lipoproteine, con un costo di 2,7 ATP per acido grasso. La somma
alla fine dello schema riporta la produzione e l’utilizzazione di ATP che
era usata per calcolare l’ATP guadagnato e l’ATP formato dai grassi del­
la dieta o endogeni.
La SDA nel caso dei grassi alimentari si stima intorno al 2-4% in rela­
zione agli acidi grassi direttamente ossidati o depositati.
L’energia dissipata per la deposizione, a sua volta, oscilla dal 3 all’8%.
Anche questi costi irrisori giungono a dimostrazione dell’estrema facilità
dei grassi a depositarsi. La dieta dovrà essere di conseguenza essen­
zialmente ipolipidica!
La figura 7 riporta le vie metaboliche degli aminoacidi ingeriti con la
dieta. I numeri riportati mostrano le moli di ATP utilizzati(-) e formati
(+) per 110 g (1 mole) di aminoacidi contenuti in una bistecca. (Mc Gil­
very,1975).
Il costo per il trasporto attivo degli aminoacidi nell’intestino non può
essere stimato con precisione (Matthews, 1975), ma viene considerata
mezza mole di ATP per aminoacido (ricordiamo, che come per l’assor­
bimento dei monosaccaridi, l’assorbimento degli aminoacidi è legato all’estrusione del sodio).
Il costo per la sintesi di proteine è un costo elevato - 5,5 ATP- costituito
da 4 ATP per la formazione del legame peptidico, 1 ATP per la sintesi di
RNA e 0,5 ATP per il processo di assunzione degli aminoacidi stessi.
Gli aminoacidi liberati dalla scissione delle proteine poi, vengono in
parte riutilizzati per la sintesi di altri aminoacidi come si può vedere nel­
la linea tratteggiata. L’ATP prodotto e utilizzato, corrisponde alle pro­
teine della dieta e/o a quelle endogene.
È da notare che la SDA è la stessa quando gli aminoacidi sono conver­
titi in proteine o direttamente ossidati, perché il costo della gluconeogenesi
e ureogenesi è simile a quello della sintesi di proteine. Non tutti gli ami­
noacidi sono convertiti in proteine: sembra più verosimile che solo un
terzo di quelli assunti con il pasto venga convertito, mentre due terzi
vengano ossidati nelle ore successive il pasto stesso e, per sopperire al
fabbisogno nei processi di risintesi, si riutilizzino gli aminoacidi deriva­
ti dal breakdown proteico.
Dieta e metabolismo
33
FIGURA 7
La via delle proteine.
PROTEINE
(110 g = 473)
AMINOACIDI
(1 mole = 128 g)
intestino
- 0.5 ATP
AMINOACIDI
sangue
* 1/3 incorporati
nelle proteine
* 2/3 utilizzati per la
sintesi delle proteine
AMINOACIDI
muscolo
PROTEINE
2/3
riutilizzati
-0,2 ATP
AMINOACIDI
1/3 ossidati
AMINOACIDI
fegato
BILANCIO
OSSIDAZIONE
-4,4 ATP
-4,2 ATP
CO2 + glucosio + urea
CO2 + glucosio + urea
-1,1 ATP
-1,1 ATP
CO2 + urea
CO2 + urea
ATP utilizzato
-11,5
* -11,5
-6
ATP formato
29
29
29
17,5
17,5
23
6
(o per la sintesi di glucosio e urea)
6
25%
25%
25%
19%
19%
0
ATP guadagnato
ATP utilizzato
per l’assorbimento,
il trasporto
e la deposizione
SDA
energia dissipata
per la deposizione
(riserva)
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
34
Le proteine producono la maggior quantità di ATP in rapporto alle ca­
lorie presenti nelle stesse proteine ingerite. Tuttavia, quando gli ami­
noacidi vengono convertiti in proteine, solo il 20% dell’ATP generato
dall’ossidazione degli aminoacidi stessi viene utilizzato; un altro 20%
dell’ATP generato deve coprire la gluconeogenesi e l’ureogenesi e quin­
di, solo il 60% dell’ATP formato nel corso dell’ossidazione riguarda il
guadagno netto per l’organismo.
Con una SDA così elevata (25%) e un ATP gained così ridotto si capisce
perché la dieta iperproteica sia molto più ipocalorica di quanto lo di­
cano le calorie estrapolate dalle tabelle di composizione.
CONCLUSIONI
Analizzando il rapporto tra ATP gained e ATP formato nei tre schemi
metabolici si osserva che:
■ è 0,91 quando il glucosio derivato dall’amido ingerito viene
direttamente ossidato.
■ è 0,86-0,88 quando il glucosio viene convertito in glicogeno o per il
fegato o per i muscoli.
■ è 0,72 quando viene convertito in acidi grassi e poi ossidato, con
una energia dissipata pari al 19%.
Inoltre:
■ l’energia dissipata per la deposizione del glicogeno dai carboidrati
della dieta è pari al 3-5 %.
■ l’energia dissipata per la deposizione dei grassi introdotti con la
dieta è pari al 8% a conferma dell’alta capacità di deposizione dei
grassi
TABELLA 8
Calcolo dei costi dei nutrienti di stoccaggio.
Nutrienti
Forma
Costo della sintesi
di stoccaggio
Carboidrati
Glicogeno (fegato)
5%
Costo causato
Energia dissipata
dal riciclaggio
dallo stoccaggio
-
5%
Glicogeno (muscolo) 5%
-
3%
Tessuto adiposo
24%
4% (a)
28%
Grassi
Tessuto adiposo
2%
5% (a)
7%
Proteine
Proteine
24%
-
24%
8% (b)
16% (b)
24%
(a) Ipotizzando gli FFA formati nel tessuto adiposo siano ri-esterificati per un terzo e per il 50% siano rilasciati dal tessuto adiposo per essere riciclati.
(b) Ipotizzando che gli AA ingeriti siano convertiti in proteine solo per un terzo, ma che i due terzi degli AA liberati nel breakdown delle proteine siano
riutilizzati nella sintesi proteica.
Il bilancio energetico nell’uomo
35
l’energia dissipata per la deposizione delle proteine della dieta è
pari al 19% a conferma della relativa difficoltà di formare riserve
proteiche.
E per concludere:
■ quantitativamente il processo metabolicamente più costoso è la
conversione dei carboidrati ingeriti in riserva corporea di grassi
(tabella 8). La SDA% relativa alla trasformazione dei carboidrati in
grassi corporei e alla loro successiva ossidazione è più del 26%
delle calorie inizialmente ingerite.
■ il processo metabolico meno costoso è l’assorbimento e la
deposizione dei grassi della dieta a riprova che il modello dietetico
più corretto è essenzialmente la dieta ipolipidica.
■ il processo più costoso è la deposizione delle proteine della dieta o
la loro ossidazione a riprova dell’inutilità dei modelli iperproteici.
■
La strategia dietetica nella terapia dell’obesità appare allora codificata in
un modello nutrizionale strettamente ipolipidico, lievemente ipoglucidico
e normoproteico. Si dovrà invece, porre maggiore attenzione anche al-
SIGLE
ADP
Adenosin Difosfato
AEE
Activity Energy Expenditure
ATP
Adenosin Trifosfato
BCM
Massa Cellulare o Massa Metabolicamente Attiva
BCM
Body Cell Mass
BEE
Basal Energy Expenditure
BMR
Basal Metabolic Rate
DIT
Diet-inducet thermogenesis
EE
Energy Expenditure
EF
Flusso espiratorio
EFO2
Concentrazione di ossigeno nell’aria espirata
FFM
Fat Free Mass
IF
Flusso Inspiratorio
J
Joule
Kcal
Kilocaloria
QR
Quoziente Respiratorio
RMR
Resting Metabolic Rate
SDA
Specific Dinamic Action
VCO2
Volume di anidride carbonica
VE
Volume Espiratorio
VO2
Volume di ossigeno
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
36
la piccola eccedenza calorica in quanto origine di pericolosi shift meta­
bolici verso la liposintesi. Mentre i modelli iperproteici dissociati, alter­
nati, aglucidici, alipidici o gli altri che ancora oggi vanno di moda, con­
trastano la biochimica dei nutrienti e il destino metabolico dei medesi­
mi, non garantendo nel lungo termine l’ideale gestione delle riserve cor­
poree.
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935
Dieta e metabolismo
Pietro Morini
Direzione Scientifica Centro Ricerche Dietosystem, Milano
Ritornando alla prima legge della termodinamica, abbiamo che l’ener­
gia introdotta nell’organismo sotto forma di alimenti (EI) deve essere
uguale all’energia persa (EL) più l’energia immagazzinata come riserva
(ES) (figura 1).
Questa visione dell’alimentazione come “flusso di energia” enfatizza il
concetto di dieta come fonte calorica necessaria a mantenere la massa
cellulare, le funzioni dell’organismo, la salute e la longevità. L’energia
immagazzinata è rappresentata dalla massa corporea e quando entrambe
sono costanti vuol dire che siamo in perfetto bilancio energetico: ciò
che viene introdotto bilancia esattamente ciò che viene perso. Si stima
che ogni variazione di peso pari a un grammo abbia un equivalente ca­
lorico di 7,7 calorie. In realtà un bilanciamento così preciso rappresen­
ta un fenomeno assai poco realistico, in quanto il mantenimento del
corpo, in peso e composizioni stabili e costanti, comporterebbe un per­
fetto bilancio aritmetico tra l’energia introdotta e l’energia spesa nelle
sue varie forme. Un’eccedenza di EI del 5% sul fabbisogno di un uomo
di riferimento pari a circa 100 Kcal, ovvero un bicchierino di brandy, o
25 grammi di formaggio, o 30 g di pane, tanto per citare alcuni equiva­
lenti alimentari, portano ad un incremento di 6-7 Kg di peso in un pe­
riodo di 5 anni. È dimostrato che la metà dell’incremento ponderale avFIGURA 1
La figura illustra il flusso energetico nel corpo.
Il perfetto bilancio energetico si ottiene quando l’energia immagazzinata e la massa corporea sono costanti.
EI
ES
EI = Energy Intake (introito energetico)
ES = Energy Storage (riserve di energia)
EL = Energy Loss (energia persa)
EL
Dieta e metabolismo
39
viene già nel primo anno e che al termine del periodo considerato, il
soggetto tende a riguadagnare peso per il raggiungimento di un nuovo
“steady state”. La spiegazione potrebbe risiedere nella composizione del
peso accumulato: ben il 75% è costituito da grasso, cioè dalla massa me­
tabolicamente meno attiva. Ciò risulta confermato nella routine clinica
quotidiana, ove si osserva che per una data eccedenza calorica l’obeso
guadagna più peso rispetto al normopeso magro. Purtroppo le piccole
variazioni nell’EI sono difficilmente misurabili, soprattutto negli obesi
che tendono a sottostimare il proprio consumo alimentare per un’istin­
tiva propensione alla gratificazione del medico intervistatore, come è
stato recentemente sottolineato da Steven Heymsfield in un sua ricerca
condotta all’Obesity Center Unit della Columbia University di New York.
È quindi indispensabile nella pratica clinica stabilire il miglior mezzo di
indagine alimentare in funzione della tipologia del paziente in esame e
non adeguarsi a una metodologia standard di rilevazione. Questo im­
pone un inquadramento preliminare del paziente per individuarne il
profilo nutrizionale, in particolare per tipizzare il paziente nel suo rap­
porto con il cibo in, “restrained, unrestrained o disinibito”, e per valu­
tarne le pulsioni e le motivazioni all’intervista; tutto questo prima anco­
ra di stabilire il metodo di indagine alimentare. Si cerca di evitare in tal
modo, il rischio di reports errati per i fattori psicosociali sopracitati. Pur­
troppo la prassi è quella di estendere a tutti i soggetti, indipendente­
mente dal loro profilo nutrizionale il metodo analitico ritenuto più pre­
ciso o, comunque, più facile nell’uso a seconda della propria esperien­
za personale. Il profilo nutrizionale e l’analisi del consumo alimentare,
supportata da immagini di cibi e piatti, di volumi e porzioni, sono i due
step procedurali che, se adottati in sequenza, dovrebbero ridurre l’er­
rore nella stima dell’EI anche a livello della clinica ambulatoriale. Al di
là delle perplessità legate alle metodologie per la rilevazione dell’effet­
tivo EI, gli studiosi oggi tendono a misurare le componenti del dispen­
dio energetico giornaliero (TEE), forse perché ritenute deducibili con
maggior precisione e, inoltre, di maggior interesse clinico.
MACRONUTRIENTI
E RISERVE CORPOREE
L’introito energetico è costituito da carboidrati, proteine e grassi.
Come è noto la completa utilizzazione dei macronutrienti ai fini energetici
- ossidazione - richiede ossigeno, che viene trasportato alle cellule at­
traverso il sistema circolatorio. Al termine dei processi di ossidazione i
prodotti finali del metabolismo vengono eliminati attraverso la sudora­
zione (evaporazione), la respirazione (acqua e CO2) e la diuresi (acqua
e urea). Ci sono anche piccole perdite di energia nelle feci (cibi non di­
geriti, cellule derivate dalla desquamazione delle pareti delle mucose, bat­
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
40
teri) e nella miscellanea dei tessuti demoliti (capelli persi, cute, flusso
mestruale ecc.) L’introito dei nutrienti deve bilanciare queste perdite se­
condo i concetti espressi in figura 1 affinché i depositi di energia e la
massa corporea rimangano costanti. È altrettanto noto che i principali
depositi di energia del corpo sono rappresentati da grassi e proteine;
l’altra piccola componente è rappresentata dal glicogeno, generalmen­
te ignorata negli studi perchè poco significativa dal punto di vista calo­
rico e comunque difficilmente misurabile (vedi figura a pagina 3).
È difficile stabilire il ruolo effettivo di ciascun nutriente nella formazio­
ne dei depositi corporei in quanto ognuno mostra interazioni con l’al­
tro: gli amminoacidi possono essere convertiti a glucosio o a acidi gras­
si; il glucosio può essere convertito a grasso. Il costo metabolico per
convertire il glucosio a glicogeno è pari al 5% del contenuto energetico
del glucosio, mentre sale al 24% quando viene convertito a grasso. L’os­
sidazione dei substrati è dettata dalla necessità di produrre ATP (incre­
mento del rapporto ATP/ADP) e quando questa necessità viene soddi­
sfatta essa viene inibita, a partire dall’inibizione enzimatica della glico­
lisi, della piruvato deidrogenasi sino alla completa inibizione dell ossi­
dazione degli acidi grassi. In sintesi, la velocità di ossidazione dei ma­
cronutrienti per produrre ATP è regolata dalla capacità di riutilizzo del
medesimo da parte dell’organismo.
A eccezione del tessuto adiposo bruno, nel quale l’ossidazione e la sin­
tesi di ATP sono disaccoppiati, ogni surplus di substrato energetico che
non implica una fosforilazione viene depositato. La composizione dei sub­
strati ossidati durante il giorno varia considerevolmente, ma in modo
tale da minimizzare la variazione del contenuto proteico e di glicogeno
del corpo. Evidentemente l’evoluzione ha preferito sviluppare meccanismi
metabolici ed endocrini che agissero sulla regolazione dell’ossidazione
dell’intake di proteine e carboidrati, piuttosto che incidere sulle riserve
di grasso e sul bilancio energetico. Ciò non deve sorprendere conside­
rando l’importanza delle proteine per le funzioni vitali e del glucosio
per il cervello; ciò accade nonostante la riserva corporea di glicogeno sia
piccola, ovvero equivalente all’introito di carboidrati usualmente pre­
senti nella nostra dieta quotidiana. È chiaro che la riserva di glicogeno
è 50-200 volte più piccola di quella del grasso, e inoltre non rappre­
senta un’entità distinta e con la sola peculiarità energogenica - ogni
grammo di glicogeno s’accompagna con 4 g di acqua, ad esempio - per
cui l’organismo trova più facile bilanciare il fabbisogno energetico re­
golando l’accumulo o la perdita di grasso corporeo.
Questa facilità di deposito delle riserve di grasso, unitamente alla rela­
tiva difficoltà di mobilizzazione, “urta” la visione di coloro che vedono
nella distrettualità adiposa il nemico principale da combattere (visione
estetica del corpo), ma certamente costituisce il principale meccanismo
Dieta e metabolismo
41
di adattamento dell’organismo quando sottoposto allo stress di un bi­
lancio energetico negativo (visione salutistica del corpo). È stato più vol­
te rimarcato il fallimento dei programmi di rapido dimagramento, proposti nei vari Paesi Occidentali, evidenziando che anche se tali pro­
grammi erano volti alla riduzione del grasso percentuale, essi induce­
vano un decremento ponderale prevalentemente riposto sulla massa
magra e un incremento del rischio patologico associato al dimagramento
stesso. Evidentemente il tessuto adiposo, oltre che costituire la riserva
energetica principale, svolge altre funzioni essenziali nell’organismo ­
regolazione ormonale per esempio - che scaturiscono in una relativa
difficoltà di mobilizzazione e utilizzo del medesimo. In sintesi, le varia­
zioni dell’utilizzazione dei substrati durante la restrizione energetica ­
dieta ipocalorica, per esempio - seguono questa scala di priorità per:
■ mantenere la produzione di glucosio da glicolisi e gluconeogenesi
per le necessità tessutali, in particolare per il cervello
■ ridurre al minimo la demolizione delle proteine essenziali del corpo
■ massimizzare infine, la lipolisi e l’ossidazione del grasso allo scopo di
coprire le necessità energetiche, per quanto possibile.
Sorgono spontanee alcune riflessioni di tipo antropologico, che metto­
no in evidenza la capacità di adattamento metabolico degli ominidi o
di alcune popolazioni tuttora viventi, che di fronte alla scarsità di fonti
alimentari per lunghi periodi, devono sopravvivere, garantendosi le prin­
cipali funzioni dell’organismo e bilanciando le necessità energetiche con
le riserve di grasso localizzate in precisi distretti corporei.
L’ ossidazione dei differenti substrati sembra assumere una precisa ge­
rarchia:
Etanolo > Aminoacidi > Carboidrati > Grassi
Va fatto un inciso, riguardo all’etanolo, che non può essere considera­
to un macronutriente alla stregua degli altri sopra indicati, ne tantome­
no si deposita nel corpo. Da un punto di vista metabolico, il corpo uma­
no sembra una macchina che si muove continuamente (TEE) con la giu­
sta dose di carburante (i macronutrienti), ma se viene alimentata in ec­
cesso è condizionata a bruciare preferenzialmente solo quella parte che
si deposita meno facilmente: etanolo, amminoacidi, carboidrati piutto­
sto che i trigliceridi a lunga catena.
Diversi ormoni, insulina, glucagone, catecolamine giocano un ruolo fon­
damentale nella regolazione dei processi ossidativi e nel bilancio ener­
getico. Le riserve di carboidrati non possono incrementare indefinita­
mente mentre in teoria la riserva adiposa è senza limite. Inoltre, il pool
degli amminoacidi liberi nel sangue regola la dimensione del pool pro­
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
42
teico nel corpo e bilancia l’eccedenza o attraverso la degradazione per
via renale o attraverso la conversione. La conseguenza di questa gerar­
chia ossidativa è che ogni macronutriente in eccesso tende a convertir­
si in grasso corporeo. Un surplus calorico derivato da un pasto aggiun­
tivo, composto esclusivamente di grassi, porta a un incremento delle ri­
serve adipose con un efficienza metabolica del 99%. Pensate al classico
gelato con abbondante panna dopo una lauta cena serale; oppure alle
piccole porzioni di formaggio o di dolce con crema, porzioni consu­
mate sempre al termine del pasto come premianti stuzzichini in rispo­
sta alla giornata di stress, più che elementi sazianti! Ebbene questi pic­
coli errori nutrizionali hanno nel breve termine un effetto “infausto”: il
costo metabolico per il deposito della componente lipidica è pratica­
mente nullo. Ma l’eccedenza in carboidrati? Secondo le osservazioni di
Acheson KJ e Flatt JP , una grande quantità di carboidrati (480 g), for­
nita a soggetti nella norma e dopo un digiuno notturno, induce l’ossi­
dazione e il ripristino della scorta glicogenica, mentre solo in minima
parte si converte in trigliceridi di deposito (tabella 1). Questo impliche­
rebbe che in un soggetto con bilancio energetico negativo, (ad esempio
durante un regime dimagrante), una dieta con un alto rapporto di car­
boidrati rispetto ai grassi non porta all’obesità. Pensate alla fobia dei tan­
ti pazienti in dieta ipocalorica nei confronti di pasta, pane e altri car­
boidrati. Pensate ai “sensi di colpa” di coloro che vedono in un piatto
di spaghetti la massima trasgressione del loro perenne regime di dieta.
In aggiunta è stato più volte dimostrato che il pattern dei depositi adi­
posi riflette la qualità della dieta assunta, mostrando una stretta corre­
lazione con la percentuale lipidica della dieta stessa piuttosto che con i
processi di biosintesi. Se tali osservazioni sono valide nei regimi dima­
granti, esse vengono tuttavia, a decadere in altre circostanze. Ad esem­
pio nei soggetti malnutriti, alimentati in nutrizione parenterale totale,
anche il pasto composto esclusivamente di glucidi può indurre una li­
pogenesi de novo. Se poi iperalimentiamo (Jequier et Al) sempre con car-
TABELLA 1
A sei soggetti nella norma sono stati forniti 478 g di CHO dopo digiuno notturno. Lo studio effettuato con calorimetria indiretta si è
protratto per 10 ore dopo l’ingestione del pasto. I risultati sono i seguenti:
■
29 g di proteine ossidate
■
133 g di CHO ossidati
■
Perciò 346 g di CHO sono stati immagazzinati come glicogeno
■
17 g di grasso ossidati
La tabella mostra i risultati relativi all’introduzione di un pasto abbondante composto esclusivamente di carboidrati.
Dieta e metabolismo
43
boidrati e per più giorni, si induce una chiara lipogenesi de novo.
Tali studi suggeriscono che la lipogenesi avviene al raggiungimento di
una riserva di glicogeno intorno ai 500 g. e comunque in situazione di
bilancio energetico positivo. È probabile che la lipogenesi non dipenda
solo dalla conversione dei carboidrati, ma che sussistano altre interre­
lazioni come la diminuita ossidazione del grasso endogeno: ciò che si
può dire con certezza è che dopo un certo tempo l’iperalimentazione con
una dieta prevalentemente ricca in carboidrati produce più sintesi (di
grasso) che ossidazione della frazione lipidica della dieta stessa. Il ruo­
lo metabolico del mix di carboidrati e grassi nella dieta costituisce an­
cor oggi l’interesse principale di molti ricercatori, per due ragioni:
■ l’introito di carboidrati ha un effetto “sparing” (di risparmio)
sull’ossidazione lipidica, ma non viceversa,
■ carboidrati e grassi rappresentano un modello dietetico sempre più
vicino al nostro stile di vita (si pensi ai grossi volumi di snack dolci
presenti sul mercato).
Un recente lavoro di Schutz (figura 3) evidenzia il comportamento dell’organismo di fronte a una iperalimentazione condotta per 9 giorni. Si
nota che la quota glucidica dapprima va ad incrementare le scorte di
glicogeno e dopo pochi giorni incontra la totale utilizzazione. Contra­
riamente, l’utilizzazione o ossidazione della frazione lipidica, sempre
della dieta ipercalorica, tende a diminuire nel tempo.
FIGURA 3
Utilizzazione dei substrati, da Schultz (1995). Soggetti nella norma iperalimentati per un periodo di 10 giorni con un mix
di carboidrati e lipidi.
Bilancio dei lipidi
Bilancio dei carboidrati
500
200
4150 Cal/d
150
2600 Cal/d
Deposito
lipidi
100
50
Utilizzazione
0
0
Mantenimento
2
5
Iperalimentazione
Introito
4150 Cal/d
Introito
Introito o utilizzazione (g/die)
Introito o utilizzazione (g/die)
250
10
Periodo
(giorni)
450
Deposito
CHO
Utilizzazione
400
350
300
2600 Cal/d
0
Mantenimento
2
5
Iperalimentazione
10
Periodo
(giorni)
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
44
Il meccanismo che spiega tale effetto potrebbe essere il seguente:
■ diminuisce l’ossidazione lipidica poichè diminuisce la lipolisi, attività
mediata dall’incremento dei livelli di insulina data la forte presenza
di glucidi,
■ la quota lipidica della dieta viene integralmente convertita in
trigliceridi di deposito.
Nel breve termine sembra che l’organismo non abbia capacità di rego­
lare il bilancio del grasso; per esempio è stato dimostrato, che dopo 9
ore, un individuo in normopeso alimentato con un supplemento di due
pasti, di cui uno con 50 g di lipidi in più, immagazzinava solamente il
pasto lipidico, in quantità di grasso pari esattamente ai 50 g aggiunti.
Una simile osservazione veniva confermata anche dopo un periodo di
1-2 giorni con un paritetico supplemento di lipidi. Il gruppo di Frayn
K.N. in un’altro test condotto su soggetti normali, in cui si comparava­
no due pasti - uno con 80 g di zuccheri, l’altro con 80 g di zuccheri più
80 g di lipidi- trovò che nonostante l’incremento dell’ossidazione del
substrato lipidico, ben 70 g di grasso venivano depositati con un ri­
sparmio sul l’ossidazione dei carboidrati pari a solo 20 g. Occorre ri­
marcare che è il supplemento di grasso, cioè quello addizionato alla
dieta supposta isoenergetica, che viene rapidamente immagazzinato. La
difficoltà di trarre conclusioni definitive da questi studi è legata al fatto
che i pasti test non sono tra loro isoenergetici: si può potrebbe unica­
mente arguire che l’organismo risponde al surplus calorico da grasso,
depositando il grasso stesso per il riequilibrio energetico.
Negli esperimenti a breve termine vi è, quindi, una stretta relazione tra
il bilancio del grasso e quello energetico; al contrario, numerosi lavori
non dimostrano alcuna relazione tra il bilancio proteico - glucidico e
quello energetico. Nella tabella 2 vengono riassunte le principali carat­
teristiche dei macronutrienti e il loro ruolo nel bilancio metabolico. è
interessante notare anche la diversità del comportamento dei macronutrienti nella regolazione dell’intake e dell’appetito.
Secondo Schutz (93) si può ipotizzare un modello di calcolo del guadagno
ponderale su un soggetto iperalimentato. Ritornando a quanto espres­
so inizialmente, un eccesso di 100 cal da lipidi, per un individuo di 60
kg, comporterebbe un incremento di 7,5 kg in 6 anni, di cui 2/3 (5,1
kg) sono costituiti da massa grassa depositata. Sulla base di passate ri­
sul lipidica pari a 2 g al giorno per ogni kg di grasso depositato, per cui
alla fine del periodo, si ossiderebbero 10 g pari a 90 cal. Solo dopo 6 an­
ni l’ossidazione lipidica bilancia l’eccesso alimentare: il peso, composto
in prevalenza di massa grassa, nel frattempo continua ad aumentare.
In genere, l’incremento della massa adiposa è correlata al metabolismo
post-assorbitivo, che riflette un aumentato effetto sui NEFA (acidi gras­
Dieta e metabolismo
45
si non esterificati) circolanti. In altre parole una massa adiposa più gran­
de rende disponibile una maggior quantità di NEFA, come possibili sub­
strati per l’ossidazione. Gli obesi rispetto ai magri, mostrano un’attività
lipolitica per unità di massa adiposa, pari se non inferiore; ma il turno­
ver dei NEFA totali appare più elevato. Così è facile riscontrare che que­
sti obesi tendono a ossidare più grasso dei magri. Evidentemente an­
che la capacità di utilizzo dei substrati è legata alla composizione cor­
porea individuale. In un recente studio Heitman riscontrò dopo sei an­
ni di followup una debole correlazione tra gli incrementi ponderali e il
contenuto lipidico della dieta. In un certo senso l’autore non trova le
strette correlazioni, prima sottolineate, tra la composizione della dieta
e il metabolismo lipidico. Da una più attenta disamina dei dati potè tut­
tavia evidenziare, che il legame era 7 volte più forte nella popolazione
obesa, quando ne confrontava le relative calorie, e che aumentava di
15 volte quando si correlava ad un gruppo con rischio familiare di obe­
sità. In un certo senso si rafforza il concetto che oltre alla composizio­
ne della dieta anche lo stato nutrizionale del soggetto gioca un ruolo
nella regolazione del peso e del bilancio energetico.
Rimane comunque da approfondire l’apparente paradosso della mag­
gior ossidazione riscontrata negli obesi: questa può derivare da un ec-
TABELLA 2
Da notare per i grassi la scarsa capacità saziante (di ridurre l’intake) attraverso meccanismi di feedback negativo e l’alta dipendenza
con l’assetto catecolaminergico (stimolazione ß adrenergica)
Caratteristiche dei macronutrienti nel bilancio metabolico
Proteine
Carboidrati
Grassi
Buona
Buona
Scarsa
-
Buona
Scarsa
energetico quotidiano
Scarso
Alto
Alto
Densità energetica
Scarsa
Scarsa
Alta
Si
Si
No
Bassa
Bassa
Alta
Pronta capacità nel diminuire
l’introito di cibo
Pronta capacità di promuovere
la propria ossidazione
Contributo nell’apporto
Disponibilità nell’attivazione di vie
metaboliche per trasferire l’eccesso
del macronutriente in un altro
compartimento
Dipendenza dalla stimolazione
ß-adrenergica
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
46
cesso di NEFA circolanti o più semplicemente può essere un ipotesi va­
lida solo per gli individui che hanno un’obesità datata e stabile e non per
quelli che la stanno sviluppando: a significare, che per i primi, il processo
ossidativo viene facilmente stimolato per contenere eventuali incrementi
di peso. Alcuni lavori sembrano confluire su queste ipotesi, quando evi­
denziano che chi ha una predisposizione all’obesità, mostra, di fronte a
una dieta iperlipidica, una riduzione della capacità ossidativa del substrato
lipidico. Di converso, l’insulino resistenza, facilitando l’ossidazione lipi­
dica rispetto a quella glucidica, diminuisce il rischio dell’incremento
ponderale.
Come la massa adiposa e l’insulino-resistenza aumentano, l’ossidazio­
ne lipidica cresce sino ad equilibrare l’introito di grasso con la dieta. Il
flusso degli acidi grassi, da e per il tessuto adiposo, è regolato da numerosi
fattori, ma in particolare risulta strettamente condizionato da quelli as­
sociati all’eccedenza energetica - insulina, glucosio, triacilglicerolo pla­
smatici soprattutto che favorirebbero l’uptake e l’esterificazione degli
acidi grassi piuttosto che il rilascio. Nel lungo termine, nel corso della vi­
ta ad esempio, una simile facilità all’immagazzinamento del grasso do­
vrebbe indurre ad un illimitata riserva corporea del medesimo. Questo
ha portato a supporre l’esistenza di un meccanismo di regolazione dei
depositi adiposi (teoria lipostatica), visto che la maggior parte della po­
polazione comunque presenta un peso relativamente stabile con una
alta precisione (1%) nella regolazione del bilancio della massa lipidica
corporea. La teoria lipostatica suggerisce una interrelazione tra l’introi­
to di grasso esogeno e le riserve di grasso corporeo, cioè un meccani­
smo di feedback che blocca l’introito di grasso di fronte ad un alta per­
centuale del medesimo nel corpo.
A supporto di tale teoria si sono sviluppati numerosi lavori, a partire da
quelli curati da Kennedy nel 1953, che poneva l’attenzione sui mecca­
nismi di regolazione dell’intake e della sazietà per via ipotalamica, sino
a giungere ai più recenti di Zhang legati alla scoperta del gene ob. Il
prodotto del gene, un piccolo peptide chiamato leptina, prodotto dal
tessuto adiposo e scoperto per la prima volta nei ratti, avrebbe un suo
omologo umano capace di regolare con un meccanismo di feedback
l’appettito.
Attualmente i numerosi studi sperimentali della leptina sull’uomo, in
particolare i suoi possibili effetti sulla regolazione dell’intake dei pa­
zienti obesi, troverebbero il loro razionale d’uso nella supposta esistenza
di una alterazione del meccanismo regolatorio lipidico. Il condizionale
in questo ambito è d’obbligo, in quanto gli studi sull’uomo si stanno,
solo oggi, sviluppando e in base anche ad alcune risultanze che porta­
no alla constatazione di effetti diversi rispetto al topo. È possibile tutta­
via un’altra ipotesi: il bilancio della massa lipidica corporea potrebbe ri­
Dieta e metabolismo
47
flettere nel lungo termine lo stretto legame con il bilancio energetico
(Teoria Energostatica). Se l’organismo ha in sè il codice di mantenere il
bilancio energetico, poiché il ruolo del grasso corporeo è quello di mag­
gior riserva energetica per il lungo termine, allora anche il bilancio del
grasso deve essere mantenuto nel corso della vita In questo caso si po­
ne l’accento più al surplus energetico che alla qualità o composizione del­
la dieta; questo tuttavia non esclude che se il surplus è rappresentato
da grassi lo sviluppo di obesità viene favorito. In effetti, un surplus ener­
getico non condiziona indistintamente l’EI, con un paritetico feedback
negativo su ogni singolo macronutriente.
L’ADATTAMENTO
METABOLICO:
SCOPI E CONSEGUENZE
Si è già accennato al “punto di vista evolutivo” sottolineando che l’orga­
nismo, sin dagli albori della specie attuale, presentava selezionati mec­
canismi di adattamento energetico per proteggere la massa magra dal
la carenza periodica di cibo e dalla fame ricorrente. Il principio di adat­
tamento metabolico è quindi quello di attivare un numero di meccani­
smi di risparmio energetico per proteggere le funzioni vitali finché è
possibile. In base a tale principio, il corpo mostra “resistenza” ai regimi
ipocalorici, mentre all’opposto, mostra una grande “sensibilità recetti­
va” nei periodi di abbondanza del cibo. Il problema è che resistenza e
sensibilità si traducono spesso nella capacità di immagazzinare rapida­
mente tessuto grasso, a salvaguardia della massa magra e delle sue com­
ponenti.
Coerentemente, l’organismo sottoposto allo stress ipocalorico persegue
i seguenti obbiettivi:
■ mantenere la glicolisi e la gluconeogenesi per le necessità tessutali e
degli organi
■ ridurre al minimo la demolizione proteica
■ attivare l’ossidazione del grasso corporeo solo quando la richiesta
energetica diviene protratta e, come tale, può andare a discapito
delle prime due funzioni.
Oggi, la popolazione attua arbitrariamente i periodi di restrizione ener­
getica per raggiungere livelli di peso corporeo all’interno di margini
ideali, quanto inaccettabili.
L’autogestione nei programmi di dimagramento, cioè l’assenza del me­
dico, vede la scelta di modelli ipocalorici VLCD (very low caloric diet
<1000 Cal) causa nel tempo di malnutrizione, rischio cardiovascolare e
recupero ponderale.
Gli effetti conseguenti ai rapidi e drastici dimagramenti mostrano, nella
loro evidenza clinica, la deplezione delle componenti idrica, proteica e
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
48
minerale della massa magra e la scarsa risposta sulla massa grassa. È la
conferma della teoria che vede nell’impulso prioritario di tesaurizzare
le scorte energetiche la garanzia che solo un meccanismo “energy-sa­
ving” può mantenere le funzioni vitali corporee. In prima analisi, sor­
prende la perdita immediata di massa magra quasi ad informarci che
l’organismo sotto lo stress di un bilancio energetico negativo voglia pro­
prio ridurre le sue funzioni vitali; ma come vedremo più avanti vengo­
no attivati diversi meccanismi a conferma del principio energostatico e
a salvaguardia delle funzioni vitali.
Gluconeogenesi e glicolisi, sintesi e ossidazione proteica, rappresenta­
no in questa logica i meccanismi iniziali per fornire rispettivamente ener­
gia (glucosio) al sistema nervoso centrale, agli organi, e aminoacidi per
mantenere costante il pool di AA liberi. Questi meccanismi sono rapidi
ed efficienti. Ma di fronte al protrarsi del bilancio energetico negativo,
la mobilizzazione e l’ossidazione delle riserve lipidiche corporee non
sono altrettanto rapide e la riduzione del fabbisogno basale (BMR) ap­
pare come la risposta più immediata: un numero di meccanismi che al­
meno parzialmente potrebbero essere responsabili dell’insuccesso a lun­
go termine nel dimagramento o nel mantenimento del peso. Il quesito
dei prescrittori di diete ipocaloriche riguarda il livello di calorie che può
garantire il maggior decremento ponderale, mentre sarebbe più oppor­
tuno porre l’attenzione su come limitare la diminuizione della massa
magra e il conseguente adattamento metabolico.
LA RISPOSTA METABOLICA
ALLA RIDUZIONE
DELL’APPORTO ENERGETICO
La letteratura ci offre numerosi spunti riguardo alla risposta metabolica
a partire dagli esempi più drastici nelle loro proposizioni. Ad esempio,
nel Minnesota Study del 1940, Keys studiò per 24 settimane gli effetti le
del semidigiuno su trentadue volontari magri con una dieta di 650 ca­
lorie circa. Durante questo periodo persero il 23% del loro peso corpo­
reo iniziale. Contemporaneamente il BMR diminuiva del 36%, special­
mente la massa muscolare che diminuiva di circa il 40%, mentre gli or­
gani rimanevano relativamente immutati. In particolare la massa magra
corporea (LBM) diminuiva del 26%. La diminuzione di BMR per unità di
LBM evidenziava un 14% in meno, a conferma dei meccanismi di adat­
tamento. Questa risposta potrebbe rappresentare un’aumentata “effi­
cienza metabolica della rimanente LBM”. Grande et al. consideravano
la diminuzione nell’attività metabolica della LBM come il principale fat­
tore responsabile della BMR ridotto, ma le loro analisi provenivano da
studi sperimentali a breve termine (< 4 settimane). Al contrario Keys ed
altri nel loro studio giunsero alla conclusione che circa due terzi della di­
minuzione di BMR era originata dalla riduzione di LBM.
Dieta e metabolismo
49
Queste differenze stanno a significare che forse solo nel lungo termine
intervengono i meccanismi di adattamento. Nell’esperimento del Min­
nesota non era stato valutato il dispendio energetico totale (TEE) e quin­
di non si poteva discriminare tra le eventuali alterazioni delle componenti
relative all’attività fisica. Ma le misurazioni indirette di altri fattori, come
la stanchezza e l’apatia, hanno chiaramente mostrato che questa com­
ponente del dispendio non era implicata. Recentemente Prentice e col­
leghi hanno pubblicato dati di metaanalisi riguardanti 29 studi sulle ri­
sposte metaboliche al dimagramento. Questi studi, contrariamente allo
studio nel Minnesota, erano principalmente rivolti ai soggetti obesi, e
quindi possono essere un utile riferimento. È d’obbligo domandarci se
in tali circostanze, quando c’è un’abbondanza di massa grassa, la ridu­
zione metabolica sia la stessa. Persino nelle più drastiche VLCD, era
chiaramente evidente che la diminuzione nella componente metaboli­
ca raggiungeva un plateau oscillante tra il 20% ed il 25%. La differente
risposta rispetto al Minnesota Study -un minor calo di BMR - può esse­
re spiegata dalla massa grassa iniziale più elevata: per bilanciare la re­
strizione energetica i soggetti obesi si “affidano” alle loro scorte di gras­
so e perdono una percentuale inferiore di tessuto attivo, magro, rispet­
to ai soggetti normopeso.
Da questa metanalisi si apprende tuttavia, che l’effetto di massimo adat­
tamento del BMR per unità di LBM è minore del 15% e quindi che si ha
comunque un adattamento metabolico. Viene spontanea l’osservazio­
ne che il regime ipocalorico determina il meccanismo di adattamento
sia sui magri che sugli obesi e che la riduzione dell’apporto energetico
può comportare una diminuizione dell’attività metabolica non continua:
si raggiunge infatti un plateau oltre il quale si potrebbe ipotizzare l’as­
senza di meccanismi che salvaguardano le funzioni vitali.
Per quanto tempo quindi si deve modulare la restrizione calorica? E a sua
volta come si modula la risposta metabolica? James e Shetty hanno mo­
strato che l’adattamento metabolico (per esempio un efficienza meta­
bolica aumentata) è visibile nelle prime due settimane di riduzione ener­
getica. Ma è importante soprattutto lo studio di De Boer che vede già nel­
la prima fase di restrizione una rapida riduzione del BMR: dopo 24 ore
con una dieta di 1000 cal/die il TEE diminuisce del 5%. Questo mecca­
nismo , indipendente dalle variazioni nella composizione corporea, era
inevitabile. Alla fine dell’ottava settimana del periodo di dieta, e dopo un
giorno di rialimentazione con dieta di mantenimento, si conseguiva un
recupero del TEE del 6%. L’autore attribuisce alla diminuita termoge­
nesi (DIT), conseguente a un minor apporto di cibo, il pronto calo me­
tabolico. La componente DIT è parzialmente mediata dal SNS (Sistema
Nervoso Simpatico). La seconda risposta di adattamento è relativa alla
diminuzione nel peso corporeo nella sua LBM. Negli studi di De Boer
Stato e valutazione
del metabolismo nell’obesità
50
questa componente diminuiva del 5% al mese. Sembra quindi ragione­
vole affermare che la riduzione in BMR nel periodo di dieta ipocalori­
ca avviene in due differenti fasi:
■ la fase iniziale, attribuibile all’aumento dell’efficienza metabolica
della restante LBM, e attribuibile alla diminuita termogenesi del pasto
■ la fase successiva, principalmente giustificata dall’ulteriore calo nel
BMR dalla perdita di LBM.
Tale disamina fa sorgere alcune riflessioni sui modelli di dieta che ven­
gono prescritti. La somministrazione del regime ipocalorico, come mo­
dello da adottare sin dal primo giorno, crea un immediato adattamen­
to (-5%) e quindi penalizza ulteriormente l’efficacia della dieta. Eppure
la maggior parte dei medici, cosi’ vincolata dalla promessa di un calo
ponderale importante, al quale purtroppo lega il successo della sua pre­
stazione, tende a partire con la proposta calorica più restrittiva. Occor­
re partire con soluzioni graduali, ma questo impone una capacità da
parte del medico di “legare” il paziente con altri metodi, indipendente­
mente o contrariamente all’assillante richiesta di perdere subito peso.
Piccole modifiche relative alla distribuzione e alla qualità degli alimen­
ti (tabella 2), un supporto di educazione e terapia comportamentale, ap­
paiono le soluzioni che potrebbero essere attivate in alternativa all’im­
mediata prescrizione di un regime restrittivo.
Ma tutto questo apre il problema delle reali competenze del medico nell’area dell’educazione e della terapia comportamentale. In anni recenti
queste aree sono state ampiamente sviluppate senza tuttavia determi­
nare un approccio pratico e applicativo, ad eccezione delle proposte
metodologiche di pochi esperti, quali: Brownell, Kirshenbaum, Mel­
chionda, Dalle Grave per citarne alcuni. Poichè la dieta viene usual­
mente consigliata per periodi protratti sarebbe opportuno valutare qua­
le livello calorico produce il minimo adattamento. Prentice, combinan­
do i dati di 22 studi con una durata di 4-6 settimane, trovò con diete in­
feriori a 850 cal giornaliere una diminuizione del 15% in BMR rispetto al
5% da diete di circa 1250 cal. Essi conclusero che c’è una soglia a circa
1250 cal., al di sotto della quale interviene una difesa fisiologica più for­
te contro la perdita di peso. La perdita di peso era circa del 2% a setti­
mana per le diete con un apporto energetico molto basso in rapporto
all’1.3% per le diete con una riduzione moderata di energia. La diffe­
renza tuttavia, indica una perdita più alta di LBM e non di massa grassa!
La terza osservazione è che i regimi ipocalorici protratti devono essere
superiori alle 1250 cal. Un tale suggerimento, ovviamente, non rappre­
senta la regola, poichè la prescrizione dovrebbe sortire sempre dalla di­
samina del reale stato nutrizionale del paziente in esame. Il paziente ad
esempio potrebbe aver subito pregresse esperienze di fluttuazione del
Dieta e metabolismo
51
peso, oppure potrebbe avere una LBM significativa, o un’attività fisica at­
tuale al di sopra dei livelli precodificati.
Occorre com’è noto partire dalla storia clinica, dalla disamina del con­
sumo alimentare, dall’analisi della composizione corporea, dalla misu­
ra del BMR, sino alla valutazione dei parametri laboratoristici. General­
mente una perdita di massa corporea, con un rapporto di 1:3 di LBM
rispetto alla massa grassa, è accettato come normale per gli individui
obesi. La maggior perdita di LBM durante una dieta drastica avviene nel
breve periodo. Specialmente durante le prime settimane di una VLCD,
la perdita di LBM è più elevata a causa del forte gap energetico iniziale
e del lento avvio, sempre iniziale, della lipolisi massimale e dell’ossida­
zione del grasso. I dati di numerosi studi riguardanti la VLCD ed effet­
tuati per un periodo superiore ai tre mesi non hanno comunque rivela­
to una perdita di LBM più grande del 25%.
Questo conferma l’ipotesi, che se la durata della dieta è sufficientemente
lunga, le modificazioni nel primo periodo in cui si perde più peso, scom­
pariranno nel processo totale di adattamento, sino a mantenere una ri­
sposta metabolica costante: il paziente perde a fatica il peso poichè di­
minuisce la perdita di massa magra e si coinvolge sempre di più la mas­
sa grassa.
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