Shanthi 2015 - Amici Missioni Indiane

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Shanthi 2015 - Amici Missioni Indiane
Anno XXX n. 2 - Periodico semestrale dell’A.M.I.
Spediz. In abbonamento postale art. 2 comma 20/c
Legge 662/96 Filiale di Milano Aut. del Tribunale
di Milano n. 730 del Registro Periodici 10.11.2000
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2015
viaggi di solidarietà nelle terre degli uomini
SHANTHI
in distribuzione gratuita
EDITORIALE
Chi siamo?
SOSTEGNO AL
PROGETTO ADOTTIVO
Descrizione e
testimonianze dei gruppi
di lavoro con famiglie
adottive
Qui foto mosaico
CENTRO DI
PSICOLOGIA CLINICA
DELLA FAMIGLIA
Riflessioni sulla
psicoterapia
in particolare
in relazione al trauma
LETTERE
Testimonianze di alcune
AMIche
Ritrovarsi insieme è un inizio,
restare insieme è un progresso,
ma riuscire a lavorare insieme è un successo
Henry Ford
Sede Legale: via A. Moro 7 - 20090 Buccinasco (MI)
Sede Operativa: via A. Manzoni 10/4
20090 Buccinasco (MI) tel 02 45701705 /fax 02 45708630
Codice Fiscale: 97018760153
Sito internet: http://www.amiweb.org
La sede è aperta: mercoledì e venerdì sera
L’AMI “Amici Missioni Indiane ONLUS” è un’associazione di volontariato nata nel 1982.
È stata riconosciuta ufficialmente Ente Morale autorizzato all’attività nelle procedure di Adozione Internazionale con il Decreto del Ministero dell’Interno nr. 34/2000 del 06/09/2000 (cfr: http://www.
amiweb.it/decrem97.htm oppure Gazzetta Ufficiale del 21/7/97 rif. n. 97A5684).
L’AMI è stata fondata nel 1982 per iniziativa di un piccolo numero di famiglie adottive, allo scopo di
inviare beni di prima necessità nelle Missioni Indiane gestite dalle Suore di Carità delle Sante B. Capitanio e V. Gerosa.
Dopo i primi anni di attività, che hanno visto incrementarsi sensibilmente il numero dei soci, AMI ha riorganizzato la propria attività focalizzando le iniziative principalmente in tre settori:
Chi Siamo
ADOZIONE INTERNAZIONALE
AMI è un ente autorizzato a svolgere tutte le attività nelle procedure di Adozione Internazionale, dall’accoglimento della coppia avente già il decreto di idoneità fino al completamento di tutto l’iter adottivo.
[email protected]
COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
AMI sviluppa progetti di cooperazione internazionale, da sola o con altre organizzazioni, attraverso l’invio di materiali (vestiario, medicinali ecc.) e di contributi finanziari per la costruzione e il mantenimento di
asili, scuole, dispensari, case per la popolazione locale, implementazione di piccole attività produttive,
sviluppo e realizzazione. Collabora in progetti co-finanziati dalla Commissione Adozioni Internazionali.
[email protected]
SOSTEGNO A DISTANZA
AMI promuove e realizza il sostegno a distanza (comunemente chiamata adozione a distanza) di minori in stato di bisogno. L’obiettivo è di avvicinare famiglie, gruppi e singoli a bambini e bambine che
necessitano di sostegno economico per proseguire gli studi nel proprio Paese; mediante interventi individuali di istruzione si pongono anche le basi per la crescita delle comunità locali.
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Quote associative annuali:
Socio ordinario: € 60,00
Socio sostenitore: € 5,00 (senza alcun limite)
Sponsorizzazioni: € 180,00
Le nostre zone
Bergamo:
Castel San Giorgio (SA):
Limena (PD):
La Spezia:
Mantova:
Piacenza:
Roma:
Stiava (LU):
035.713916
081.951504
049.8848183
0187.701114
0376.245259
0523.896247
06.70453637
0584.970071
Modalità di versamento dei contributi
Per bonifici relativi a: pagamento quote sociali, quote adozioni a distanza,
donazioni, contributi per la realizzazione di progetti, ricavi mercatini e feste
• C/C bancario intestato a: Amici Missioni Indiane ONLUS
Banca Prossima
n°Conto 0119923 • ABI 3359 • CAB 01600 • CIN H
IBAN IT84 H033 5901 6001 0000 01119923
• C/C postale intestato a: Amici Missioni Indiane ONLUS
Via A.Moro 7– 20090 Buccinasco (MI)
n°Conto 20216206 • ABI 07601 • CAB 01600 • CIN P
IBAN IT84 P076 0101 6000 0002 0216 206
Per bonifici relativi a: conferimento
del mandato, quote referente estero, spese di traduzione e documenti, partecipazione a corsi pre o post
adozione, e altro inerente l’adozione Internazionale contattate il Vostro
referente in AMI.
Chi siamo?
Una domanda a cui questo numero
tenta di dare una risposta
EDITORIALE
di Paolo Tortiglione
[email protected]
In tanti anni di Shanthi ci siamo occupati di moltissime cose. Invito tutti ad andare sul sito e riprendere i
numeri arretrati scaricabili gratuitamente in pdf e con
un solo clic. Vedrete e soprattutto leggerete che in circa
10 anni trascorsi ci siamo occupati di decine e decine di argomenti. Dalle adozioni nei singoli Paesi dove
operiamo fino ad articoli e numeri monografici sulla
figura del padre, della madre, del tempo dell’adolescenza, dei primi anni dopo l’arrivo in Italia, del ruolo
dei nuovi media e di Internet sulla crescita dei ragazzi, della salute e delle malattie di vario tipo, del ruolo della famiglia e dei suoi cambiamenti in un periodo di crisi. Non ci siamo tirati indietro di fronte a cose
e argomenti anche più delicati e devo dire che, articolo dopo articolo, questi numeri di Shanthi hanno arricchito e aggiunto qualcosa a ognuno di noi. Lo hanno testimoniato le lettere arrivate, il dibattito che vi si
è sviluppato intorno, i contributi di coloro che hanno
voluto scrivere qualcosa dedicandoci parte del loro tempo e (perché no?) anche l’ironia di chi come il nostro vignettista e disegnatore Chito ha sempre saputo cogliere
il lato dolce ed amaro di ogni articolo scritto. Ma que-
sto numero è particolare. È un numero che noi della
redazione consideriamo destinato a durare nel tempo.
All’inizio, al momento della proposta di fare un numero diverso dal solito, dedicato interamente alle attività che in questi ultimi tempi AMI sta portando avanti, l’entusiasmo era a mille. Poi un tipico momento di
bagno nella realtà... non sempre facile ma alla fine
la quantità dei contributi e articoli pervenuti ha sorpassato ogni più rosea previsione della redazione stessa. Abbiamo dovuto operare persino un taglio di circa
14 pagine data la quantità di cose che, ci siamo accorti, sono ormai una realtà vera e operativa all’interno di AMI. Vedrete voi stessi nelle prossime pagine di questo corposo numero di cosa sto parlando. E
qui la domanda su chi siamo e cosa facciamo trova
una sua risposta. Non una sola riga o disegno di questo numero è stata pagata a chi vi ha contribuito. Tutto si è fatto e si farà (e in AMI lo è sempre stato) sulla
base del volontariato, del piacere di condividere il proprio tempo e la propria competenza con gli altri, senza nulla chiedere o cercare di ricevere in cambio se non
la propria soddisfazione nell’aver contribuito a qual-
SHANTHI
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SHANTHI
cosa in cui si crede fermamente. Questo numero è ricchissimo di notizie, spunti, contenuti, riflessioni, esperienze, storie, vite, aspirazioni, desideri e prospettive.
Su tutti però viene fuori una riflessione e un elemento
comune che, pur nelle sue mille accezioni e significati,
non possiamo negare o nascondere o far finta che non
esista. Questo elemento è nominabile? Vi sono termini
unici ed esatti per definirlo? Possiamo chiamarlo semplicemente “problema”... oppure possiamo chiamarla
“sofferenza”, oppure disagio. Siamo in un momento
nel quale dire o sostenere che un ragazzo o un giovane
adulto ha un disagio oppure un “disturbo” è all’ordine del giorno (e mi viene in mente l’articolo di un certo
Matteo, ragazzo che nel numero scorso – 2015/1 - ha
chiuso una sua breve lettera con la frase “… e scusate il disturbo”, con una sottile ironia peraltro probabilmente neppure cosciente o voluta). Chiunque abbia figli, adottivi o no, in età scolare o che da poco l’abbiano
passata, non può non aver notato come i casi di “disturbo” siano aumentati a dismisura. I casi di disagio
giovanile sono tutti i giorni sulla stampa e sui blog,
su facebook e in ogni pagina del web. Una semplice ricerca sul web restituisce non meno di circa 400.000 risultati. I centri pubblici di aiuto, di ascolto, di supporto, iniziano ad avere liste di attesa che fanno pensare,
o meglio avere la certezza, che se uno dei nostri figli ha
un problema, un disagio, un disturbo, non è un caso
isolato. Non è diverso dalle altre decine di centinaia
che ogni giorno popolano i centri, le riunioni, le sedute
e, nei casi più difficili, anche gli ospedali o le comunità di accoglienza che hanno anch’esse liste di attesa di
mesi e mesi. Da un lato quindi viene da interrogarsi e
da, lecitamente e ingenuamente, chiedersi se un nume-
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ro così crescente di casi sia momentaneo, casuale, indotto magari da una consapevolezza più capillare e
da una crescente possibilità di accesso all’informazione (la cui qualità e attendibilità sul web può far di certo discutere o pensare), oppure se sia il segno di qualcosa di diverso, di un cambio in atto nella società che
inizia da queste cose e di cui si vedranno le conseguenze tra 20-30 anni o più. È una domanda retorica, certo. Chi può dirlo? Chi ha la chiave di lettura di questo? Ognuno di noi fotografa e vede la realtà per quello
che la sua esperienza di vita gli consente e gli fa vedere. La luce e l’angolazione di questa fotografia rimane
del tutto personale e lo sarà per sempre.
E allora chi siamo noi di AMI?
Questo numero fotografa e rende conto delle molte cose
che si fanno in associazione. Abbiamo cercato di dire
in poche pagine quali sono le nostre posizioni rispetto
a queste tematiche. L’obiettivo è stato quello di cercare, se mai fosse possibile in 80 pagine, di dare una visione globale di cosa è AMI oggi, e quindi di cosa facciamo. Gran parte è dedicata alla adozione e sostegno
del progetto adottivo, ma una altrettanto importante
parte la fanno i nostri servizi alla famiglia (adottiva
e non) e i progetti internazionali. Tante anime, tanti volti, tante persone, tantissime attività, tante storie.
Chi siamo quindi? In queste pagine tentiamo una risposta. E se vi stimola, vi piace, vi sollecita, vi invitiamo a farne parte.
AMI è sempre aperta, AMI è anche voi!
Per inviare lettere, commenti,
osservazioni… potete scrivere a
[email protected] o all’indirizzo:
A.M.I. Redazione Shanthi,
Cascina Robbiolo, Via A.Moro, 7
20090 Buccinasco (MI)
In questo numero...
Viaggi di solidarietà
nelle terre degli uomini
Shanthi
Anno XXX- n. 2
Periodico semestrale dell’A.M.I.
Spedizione in abbonamento
postale art. 2 comma 20/c
Legge 662/96 Filiale di Milano
Autorizzazione del Tribunale
di Milano n. 730 del Registro
Periodici 10.11.2000
Direttore responsabile:
Paolo Tortiglione
[email protected]
Redazione:
Ornella
Filippetto,
Simona
Grumelli, Fabiana Polese
Hanno collaborato
a questo numero:
AMI Lombardia, AMI Toscana, AMI
Veneto, Francesca Mantegazza,
Valentina Marcassoli, Filippo Marri,
Emanuela Mastropietro, Cristina
Michelotti, Serena Terigi, Chiara
Capone, Francesca Cologni, Chiara
Morelli, Stefano Zoia
L'immagine di copertina e le vignette sono
di Flavio Maracchia
Si ringrazia Pixabay dal cui sito sono state
tratte molte delle fotografie usate in questo
numero.
Grafica e impaginazione:
Imagidea.it
Stampa:
T.R.E.G srl - Guardamiglio (LO)
tel. 0377.452057 - [email protected]
Sede A.M.I. e redazione Shanthi
Cascina Robbiolo Via A. Moro, 7
20090 Buccinasco (MI)
tel./fax 02.4501705
pag. 1 EDITORIALE
Chi siamo?
di Paolo Tortiglione
pag. 4 AMI: il percorso formativo, ieri, oggi e domani di Ornella Filippetto e Simona Grumelli
pag. 6 AMI è...
pag. 7 Riflessioni sui progetti attuati in AMI di AMI Onlus
pag. 8
pag. 12
pag. 15
pag. 17
pag. 22
pag. 27
pag. 33
pag. 38
pag. 40
pag. 42
SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO
Aree di intervento e sostegno alla famiglia adottiva di AMI Onlus
Tracce, ricordi, fantasie: la rielaborazione della storia di AMI Veneto
Aspettando il secondo figlio... Aspettando mio fratello... di AMI Veneto
Incontri paralleli per genitori e figli adottivi di AMI Veneto
Progetto SPA dei bambini di AMI Lombardia
Il progetto adozione-scuola di AMI di AMI Veneto
L’adozione ai tempi di Internet di AMI Veneto
Il percorso di sostegno all’adozione di AMI Toscana
Il protocollo operativo AMI-Regione Veneto di AMI Veneto
Incontro fra AMI, il mondo dell'adozione e la ricerca scientifica di AMI Veneto
pag. 48
pag. 50
pag. 52
pag. 54
pag. 57
pag. 60
pag. 64
pag. 66
pag. 70
CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA DELLA FAMIGLIA
Area sostegno psicologico e psicoterapia di AMI Onlus
Il Centro di Psicologia Clinica della Famiglia di AMI Lombardia
Che cosa si intende per trauma? di AMI Lombardia
La genitorialità come riattivatore del passato di AMI Lombardia
Una bambina coraggiosa di AMI Lombardia
L’uso della fotografia nella psicoterapia di AMI Lombardia
Lettera al passato di AMI Lombardia
Progetto di intervento sui disturbi e le difficoltà di apprendimento di AMI Lombardia
Tre serate al cinema per riflettere sulla famiglia di AMI Veneto
pag. 72
pag. 73
pag. 74
LETTERE E TESTIMONIANZE
Chiediamo aiuto perché... di Francesca Mantegazza
Una vita "tsunamica" di Cristina Michelotti
L’innes di Emanuela Mastropietro
SPECIALE
NON SOLO...
A D O T TA R E
di Ornella Filippetto e
Simona Grumelli
Responsabili adozioni AMI
AMI: il percorso formativo
ieri, oggi e domani
L’organizzazione per le formazione delle coppie in AMI
è sempre stata la stessa? Quali sono stati i passi che
hanno portato all’attuale organizzazione? Scopriamolo
insieme a due “pioniere” dell’associazione: Ornella e
Simona.
Con la legge n. 476 del 31 dicembre 1998, ratifica della Convenzione dell’Aja, il legislatore
coinvolge per la prima volta gli Enti autorizzati nel percorso formativo delle coppie aspiranti:
"I servizi socio-assistenziali degli enti locali singoli
o associati, anche avvalendosi per quanto di competenza delle aziende sanitarie locali e ospedaliere,
svolgono le seguenti attività:
b) preparazione degli aspiranti all'adozione, anche
in collaborazione con i predetti enti;..."
SHANTHI
Tale obbligo è ribadito nelle “LINEE GUIDA
per l’ente autorizzato allo svolgimento di procedure di adozione di minori stranieri” pubblicate dalla CAI nel 2005.
“L’ente organizza percorsi informativi. L’ente, utilizzando momenti d’incontro anche in collaborazione con i servizi territoriali, come previsto nei protocolli regionali, deve far sì che le coppie prese in carico
raggiungano un buon livello di consapevolezza del
significato profondo dell’adozione internazionale e,
parimenti, delle molteplici responsabilità che da essa
conseguono, così da farle aprire all’accoglienza di
uno o più minori, superando ogni pregiudizio, specialmente quelli inerenti la diversità etnica.” 1
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AMI ha avuto ben presente, fin dal momento
della sua fondazione nel 1982, l’importanza
del percorso formativo. Le sue radici sono nel
... le sue radici sono nel
volontariato
volontariato e quindi, con il coinvolgimento
delle coppie nella propria attività, ha favorito
da sempre il confronto e il passaggio di esperienze, da parte delle coppie che avevano già
adottato verso le coppie in attesa. Questa prima e spontanea modalità di formazione si è
arricchita col passare degli anni, sensibile alle
esigenze espresse dalle coppie stesse, introducendo anche figure professionali.
Gli incontri, nei primi anni ’90, prevedevano
la presenza di una psicologa e di esperti della
cultura e della economia indiane; erano relazioni frontali, secondo la metodologia di quegli anni.
Noi, Ornella e Simona, e i rispettivi coniugi, siamo
arrivate in questi anni: tutto interessante, ma molto
"lontano"... La nostra palestra erano le serate di
turno in segreteria (per rispondere al telefono, spedire il giornalino o gli inviti alle feste) che proseguivano fino a notte alta con discussioni e scambi di
esperienze che non ci bastavano mai, e le feste AMI
con il rapporto diretto con i bambini.
Ben presto questi incontri sono diventati
meno didattici e più interattivi, arricchendosi
di nuovi aspetti legati anche all’aumento del
numero dei Paesi di adozione.
Ogni paese ha portato con sé nuovi spunti di
riflessione:
• Il Brasile su come affrontare l'adozione di
bimbi grandicelli e il problema delle adozioni
allargate.
• La Colombia sulla reale disponibilità ai casi
speciali e quindi sulle condizioni di salute dei
bambini.
• La Costa d'Avorio sull'incontro con culture
e tradizioni profondamente diverse dalla nostra.
• L'Etiopia che ha costretto AMI a rivoluzionare la gestione della formazione delle coppie.
... il confronto tra l'immaginario, il desiderato e la realtà, è fondamentale.
Le informazioni sulla storia dei bambini sono
scarse e spesso non vere: l'età, la presenza o
meno dei genitori biologici, i fratelli, le motivazioni dell'abbandono, il non detto, il non
conosciuto, soprattutto per i bimbi, diventa
un peso, un doloroso segreto...
La forza di AMI e delle sue psicologhe è nel
saper ascoltare i genitori adottivi e i bambini,
nel raccogliere le storie e le problematiche,
nel non indietreggiare di fronte alle difficoltà.
Lo scopo principale è stato quello di arricchire la propria esperienza per formare al meglio le proprie coppie e sostenere le famiglie.
Sono nuove sfide che AMI, attraverso le proprie professioniste, affronta insieme alle famiglie in un percorso di crescita e conoscenza
comune, diversificando le proprie attività.
Da un lato si prosegue con la collaudata metodologia dei gruppi che coinvolge gli adolescenti e i loro genitori in momenti e su tematiche diverse; con convegni e seminari di
approfondimenti su internet, l'elaborazione
del trauma, gli incontri fra varie culture, il ritorno alle origini.
Dall'altro si è avvertita la necessità di creare
un Centro di Psicologia Clinica della Famiglia dove il minore, il singolo individuo o la
famiglia sono seguiti singolarmente, con interventi mirati, con un percorso terapeutico
continuativo.
In questi ultimi anni AMI ha nuovamente cambiato il passo per non perdere il contatto con
le nuove realtà: i figli ormai adolescenti pongono nuove problematiche come il ritorno alle
origini, la struttura della famiglia cambia insieme alla società, ci sono nuovi modi di comunicare (internet, i social ecc.) che modificano i
rapporti.
Noi, sempre Ornella e Simona, siamo state un po’
pioniere nel mondo dell'adozione. Molto del nostro
percorso formativo si è basato sull'iniziativa e sulla
ricerca personali e siamo consapevoli del buon lavoro svolto da AMI in questi anni, di come siamo
maturati tutti nella "gestione" di questo aspetto così
importante.
Il grazie va quindi ai bambini e alle loro storie, alle
famiglie e alle coppie che ci hanno seguito, a tutte le
nostre psicologhe così attente e preparate e... un po’
anche a noi.
Presidenza del Consiglio dei Ministri Commissione per le Adozioni Internazionali Autorità Centrale per la Convenzione de L’Aja del 29.5.93
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SHANTHI
Da qui una nuova metodologia di lavoro con
la formazione di gruppi omogenei per Paese
o per caratteristiche (coppie in seconda adozione o filiazione) che si trasformano da gruppi attesa a gruppi misti (con coppie in attesa
e coppie che hanno già concluso il percorso
adottivo) fino a continuare nel post adozione.
Lo scambio fra coppie nelle diverse fasi del percorso adottivo, con il confronto tra l'immaginario, il desiderato e la realtà, è fondamentale.
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PROCEDURE DI
ADOZIONE
INTERNAZIONALE
CENTRO DI PSICOLOGIA
CLINICA DELLA
FAMIGLIA: SERVIZIO
DI ACCOGLIENZA DELLE
DOMANDE DI AIUTO DI
GENITORI E RAGAZZI
SOSTEGNO AL
PROGETTO ADOTTIVO:
PREPARAZIONE
ALL'ADOZIONE E
POST-ADOZIONE
ADOZIONE INTERNAZIONALE
AMI è...
COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
SAD SOSTEGNO A
DISTANZA (ADOZIONE
A DISTANZA) PROGETTI
INDIVIDUALI RIVOLTI A
BAMBINI E RAGAZZI DI
SOSTEGNO ALLO STUDIO
O DI FORMAZIONE
PROFESSIONALE
E
RSILIA
AMI V
AMI V
AMI LO
BAR
IA
6
M
D
SHANTHI
PROGETTI DI AIUTO
RIVOLTI PRINCIPALMENTE
ALL'INFANZIA E ALLA
FAMIGLIA, ANCHE IN
COLLABORAZIONE CON
ALTRI ENTI
E
NETO
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tutte le sue sedi, nei siti dedicati. E partecipa attivamente alla crescita dell'associazione!
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Riflessioni sui progetti
attuati in AMI
SPECIALE
NON SOLO...
A D O T TA R E
Un'introduzione per orientarci in questo numero
ricchissimo di informazioni e spunti di riflessione sui
progetti psicoterapeutici e psicologici svolti in AMI.
Tutto questo numero, davvero speciale,
della rivista è dedicato ai progetti psicoterapeutici e psicologici svolti in AMI.
Il desiderio è di condividere le riflessioni
che sono intrinseche alle attività che svolgiamo e approfondire gli elementi tecnici
e teorici che ci caratterizzano.
Per meglio comprendere gli ambiti di lavoro sono state create due sezioni di articoli,
una inerente ai progetti strettamente legati
all’adozione e l’altra relativa ai lavori svolti
nel Centro di Psicologia Clinica della Famiglia.
Sostegno al progetto adottivo
I primi sono le attività che si propongono e
si organizzano con le persone quando conferiscono mandato ad AMI per svolgere il
proprio progetto adottivo.
Il “contratto” strutturato con le coppie è
articolato, fatto di incontri di gruppo a cadenza mensile e di colloqui di coppia. Si
tratta di un percorso indubbiamente intenso, ma che consente da subito di iniziare
un lavoro che permette una conoscenza
approfondita degli individui e che nel momento in cui arriverà il bambino permetterà di continuare un’attività proficua e preventiva di possibili rigetti adottivi.
Il conoscersi permette alle coppie di vedere gli operatori come riferimenti noti a cui
formulare domande di supporto, di comprensione e di aiuto.
Il post-adozione è un periodo importante
in cui le riflessioni sono essenziali, al fine
di comprendere e affrontare tutti i momenti duri dati dall’inserimento dei bambini.
Centro di Psicologia Clinica della Famiglia
La seconda serie di articoli sono riflessioni
su cosa è la psicoterapia con riferimento a
stralci di casi clinici. Abbiamo inoltre pensato di approfondire in maniera più scientifica alcuni temi che sono spesso citati. Il
trauma è un concetto frequentemente usato, che merita di essere compreso interamente e in maniera approfondita.
Ringraziamo per la realizzazione degli articoli di questo numero le psicologhe:
Claudia Checchi, Elena Codecasa, Rossella Forese, Sophie Perichon, Alessandra Scordo, Bianca Luna Servi, Simona Silvestro, Serena Terigi.
SHANTHI
Chiudono questa sezione e la rivista stessa
alcuni articoli scritti da famiglie adottive
quali rimando del lavoro svolto insieme.
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SPECIALE
SOSTEGNO
AL PROGETTO
ADOTTIVO
Aree di intervento e sostegno
alla famiglia adottiva
Formare una famiglia per AMI è un “lavoro di gruppo”
che si sviluppa, si adatta, cambia ma non si arresta
mai, sempre sotto l’attenta guida di figure professionali
specializzate.
Negli anni gli operatori AMI hanno sempre più sentito la necessità di strutturare
un Servizio che potesse garantire alle coppie adottive un supporto e un’accoglienza
rispetto a tutti gli interrogativi e a tutte le
problematicità che potevano insorgere nel
cammino adottivo.
SHANTHI
AMI da sempre utilizza il gruppo come
strumento base ed elettivo per le varie attività.
Proprio per questo i professionisti che vi
operano hanno una formazione specialistica anche sulla conduzione del gruppo
e sulla gestione delle dinamiche interne e
terapeutiche.
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Gruppi adottivi
Le coppie sono accolte in gruppi chiusi,
a cadenza mensile, che sono composti da
circa 10 coppie e hanno la finalità di supportare i genitori in tutto il cammino adottivo.
L’inserimento della coppia nel gruppo avviene al conferimento del mandato e nel
gruppo trascorre tutto il periodo dell’attesa della realizzazione genitoriale.
Ciò consente di non essere soli e di utilizzare il lungo periodo di attesa in maniera
costruttiva, anche ricevendo tutto il sostegno relativamente alle ansie, paure e rabbie che necessariamente si creano quando
si aspetta.
Nel gruppo è condivisa la notizia dell’abbinamento, la visione della prima foto e
l’emozione della partenza.
Il post-adozione prosegue nel medesimo
contesto e il gruppo diviene il luogo in
cui sono portate le tematiche relative alla
neogenitorialità e alle problematiche dei
bambini.
La continuità del gruppo permette di costruire una buona alleanza di lavoro, che
diviene proficua nel momento in cui arrivano i bambini e si rende necessario costru-
ire spazi diversi, fatti di colloqui di coppia,
di momenti di osservazione dei bambini e
della relazione genitoriale.
I primi soggetti a cui è diretto il lavoro terapeutico sull’adozione sono i genitori che
vanno supportati e aiutati a rileggere le frequenti manifestazioni complesse dei figli.
La rilettura di tutti i vissuti post-traumatici
e delle paure o dei rifiuti, diviene essenziale per potere proseguire l’adozione in
maniera sana e adeguata.
La partecipazione agli incontri di gruppo e l’attivazione di colloqui di coppia ha
l’obiettivo di prevenire/arginare dolorose
crisi adottive, che possano sfociare in possibili rifiuti dei bambini.
Il contesto di gruppo funge inoltre da fattore protettivo, strutturando intorno alle
persone una rete di pensiero e di sostegno.
È necessario strutturare progetti di gruppo
sul bisogno specifico delle coppie e famiglie. Le coppie con primogeniture seguono un loro gruppo in cui le tematiche sono
centrate sui figli già presenti, sul come facilitare l’inserimento di un nuovo bambino e
sull’unione della storia pregressa del bambino che arriverà con la storia della famiglia che lo accoglie.
Gruppi di bambini
Per i bambini sono organizzati gruppi
strutturati, con un numero definito di incontri, che hanno la finalità di rileggere
l’adozione e le sue fasi.
“Cos’è l’adozione, perché i genitori adottano,
chi sono i bambini adottati…” Ogni incontro
affronta una tematica diversa e su di essa
sono svolti lavori spesso in sottogruppo o
anche individuali, finalizzati allo scioglimento di tutti i quesiti che hanno i partecipanti.
La cadenza è mensile.
Gli strumenti utilizzati sono cartelloni,
film, disegni, giochi e altro.
Le tematiche vanno ad analizzare l’adozione nelle sue sfaccettature e rispondono
alle tante domande che affollano la mente
dei bambini adottivi.
Le età del gruppo sono omogenee così da
favorire l’uso di strumenti che siano compatibili e fruibili da tutti i bambini.
Permette di rivisitare il passato per rivederlo con occhi
più adulti e rielaborarlo...
Gruppi di adolescenti
L’adolescenza rappresenta un momento
delicato ed intenso in cui le tante tematiche del passato riemergono. I ragazzi si
Gruppo di genitori con adolescenti
L’adolescenza è un momento di vita molto
importante, in cui i ragazzi si guardano intimamente, in tutte le pieghe del presente
SHANTHI
Gruppi di bambini primogeniti
Accanto al gruppo dei genitori in attesa
del secondo figlio, si strutturano anche i
gruppi dei bambini in attesa di un fratello
o sorella.
Spesso si tratta di figli naturali che devono
comprendere bene il percorso dell’adozione e altre volte di figli adottivi che vedono riemergere quesiti anche appartenenti
alla loro vita. Il gruppo affronta il percorso
dell’adozione, aiuta i bambini a fare emergere le fantasie ed i desideri, ma anche a
condividere le tante paure che affollano la
mente.
Si tratta di un percorso chiuso e strutturato, a cadenza mensile.
Gli strumenti utilizzati sono cartelloni,
film, disegni, giochi e altro.
Le età del gruppo sono omogenee così da
favorire l’uso di strumenti che siano compatibili e fruibili da tutti i bambini.
confrontano con ciò che è stato, anche per
potersi nuovamente ricostruire e per proiettarsi nel futuro.
Riemergono le immagini dei genitori naturali, dei fratelli lasciati nel Paese d’origine
e di chi ha fatto parte della loro vita. Il passato diviene una forte fonte di pensiero a
cui la famiglia adottiva deve affiancarsi.
Nel processo identificativo sorge la domanda del: “a chi assomiglio?”.
Spesso il vissuto adolescenziale è di non
potersi raffrontare con l’esterno e di non
essere capiti dai genitori e dai pari. Doloroso e frequente è l’essere confusi con gli
stranieri e con la percezione di avere perso l’occhio benevolo dell’estraneo che era
loro garantito da piccoli. Evidente è l’articolato e lungo processo identificativo e di
crescita.
Il gruppo permette ai ragazzi attraverso
una continuità di confrontarsi con tutte
queste tematiche. Permette di rivisitare il
passato per rivederlo con occhi più adulti
e rielaborarlo dando una rilettura che sia
costruttiva e riparatoria.
Il contesto di gruppo prevede la partecipazione di 10 ragazzi con età omogenee, è semistrutturato e vede l’utilizzo di attivazioni
specifiche che hanno la finalità di aiutare i
componenti a sviluppare i vari temi.
Gli strumenti sono scritti, disegni, cartelloni, film e canzoni; i lavori sono svolti in
sottogruppo, in coppia o individualmente.
Gli incontri sono a cadenza mensile e la
durata del percorso è variabile in base alle
necessità dei partecipanti.
9
SHANTHI
10
e del passato, per lanciarsi nella vita adulta.
Riguardare il passato significa sconvolgere
nuovamente un equilibrio, magari assunto
con una certa fatica e in molti casi raggiunto da poco tempo.
È il periodo di vita in cui le diverse capacità cognitive e riflessive portano a valutare
in maniera molto differente argomenti già
trattati, che sembravano archiviati.
Ritorna il passato ed è esplorato con tanti
nuovi strumenti, spesso poco conosciuti o
meno conosciuti dai genitori.
È il periodo in cui si orienta l’identità e si
attuano le prime scelte affettive e di coppia, che non sempre sono allineate con le
aspettative di mamma e papà. Può essere
un periodo complicatissimo, con evidenti problemi di comportamento difficili da
fronteggiare, ma che rappresentano il dolore e la confusione dell’adolescente.
Crescere è per loro spesso molto faticoso
perché si tratta di fare i conti con le figure
genitoriali del passato e con quelle del presente, che spesso si sovrappongono, alla ricerca di un possibile equilibrio interno che
gli permetta di “separarsi/individuarsi”.
Proprio per le tante storie che giungono
in AMI, abbiamo pensato ad una serie di
incontri rivolti ai genitori sull’adolescenza
e su come si unisce alla tematica adottiva,
nella consapevolezza che possa assumere
dei connotati e delle valenze molto diverse
nei ragazzi che hanno alle spalle una vicenda fatta di eventi dolorosi.
Le tematiche trattate riguardano: "Adolescenza e adozione, Il ritorno del passato e le figu-
re d’origine, Internet come finestra sul passato,
L’identità, I disturbi del comportamento in adolescenza, L’uso delle sostanze e i comportamenti
devianti."
La metodologia prevede momenti di lavoro
insieme e di attivazione del gruppo e l’utilizzo di testimonianze. Alcuni argomenti
vengono trattati attraverso la voce diretta
degli adolescenti che si raccontano al gruppo di genitori, generando uno scambio fertile e preziosissimo per entrambe le parti.
Adottare significa portare
a casa il dolore, condividerlo e curarlo...
Gruppo trauma
Il lungo lavoro svolto sino ad ora con i bambini adottivi ha permesso di vedere come
gli stessi siano, in maniera maggiore o minore, sempre portatori di eventi dolorosi
e spaventosi che emotivamente divengono
traumatici.
La stessa adozione, per ciò che propone,
tra cui l’ingresso in una famiglia con la
presenza di una mamma e di un papà, è
riattivatrice di grandi paure.
I genitori adottivi necessariamente devono
pensare al proprio ruolo anche con una
connotazione di tipo curativo e riparativo.
La famiglia adottiva si assume il compito
di aiutare i bambini a sconfiggere i mostri
che popolano la loro mente e che a volte
Gruppi paralleli
Sono gruppi nati dall’esigenza di tenere i
bambini impegnati mentre i genitori partecipavano agli incontri.
Da questo servizio di “babysitting”, si è pensato che fosse prezioso trasformare questo
spazio in un momento osservativo e di lavoro con i bambini, attraverso modalità
semplici come il gioco libero, la merenda e
a volte attività strutturate.
... trasformare questo spazio in un momento osservativo e di lavoro con i
bambini...
Nel tempo abbiamo via via proposto attività sempre più specifiche rispetto ai bisogni
emergenti dalle famiglie partecipanti e agli
obiettivi che ci proponevamo. La peculiarità di questi gruppi paralleli strutturati su
tematiche consiste nel fatto che una stessa
tematica venga sviluppata parallelamente e
con linguaggi e attività differenti nel gruppo dei bambini e in quello dei genitori, in
modo che i diversi membri della famiglia
siano sollecitati a lavorare sulla stessa tematica anche nel tempo tra un incontro e
l’altro.
Al termine di questi incontri viene proposto ai genitori, talvolta in un setting gruppale, talvolta come spazio alla singola coppia,
un momento di restituzione in cui si espongono le osservazioni e il lavoro svolto nel
percorso con i bambini.
SHANTHI
sconfinano le barriere del sogno e sembrano volare e camminare in casa come dati
di realtà.
Adottare significa portare a casa il dolore,
condividerlo e curarlo.
Talvolta i bambini possono sollecitare
aspetti traumatici legati alla storia dei genitori adottivi, e bisogna averne consapevolezza e sapere come intervenire.
Al fine di approfondire maggiormente
questi argomenti, abbiamo pensato a un
ciclo di incontri rivolto ai genitori in cui
affrontare in maniera approfondita tutta la
tematica legata al trauma dei bambini.
Gli argomenti trattati riguardano: "Cos’è un
trauma e come si presenta, La riattivazione del
passato, Le figure genitoriali passate, La cura
del trauma, Cosa vuole dire essere genitori di
bambini traumatizzati, Cosa significa per dei
genitori adottivi vivere la storia traumatica, La
presenza di aspetti traumatici nella storia dei
genitori."
La metodologia prevede momenti di lavoro insieme e di attivazione del gruppo con
l’utilizzo di testimonianze.
Sono stati coinvolti professionisti esterni
ad AMI, provenienti dai servizi del territorio specializzati sulle adozioni e sulla gestione del trauma nel minore e nell’adulto
utilizzando anche casi clinici per comprendere più a fondo la tematica.
11
SPECIALE
AMI V
SOSTEGNO
AL PROGETTO
ADOTTIVO
E
NETO
Tracce, ricordi, fantasie:
la rielaborazione della storia
Un laboratorio tematico per leggere nei comportamenti
e nelle parole dei bambini tracce della loro storia.
Per aiutare i nostri bambini a ricordare, raccontare,
integrare.
Questo è un esempio di laboratorio proposto in diverse edizioni, sia nella sede di
Limena di AMI, sia, grazie alla collaborazione con le équipe per le adozioni delle
province prevista dal protocollo veneto,
nei territori di Vicenza e Thiene (VI).
“Tracce, ricordi, fantasie” ha come tema
principale la memoria e la ricostruzione
della storia. Il laboratorio è stato sviluppato come un ciclo di due o tre incontri di
gruppo, accompagnati da due psicologhe
di AMI (anche nel caso della collaborazione con i Servizi, questo laboratorio è stato
gestito da AMI).
Queste sono le tematiche fondamentali che
sono state affrontate: il funzionamento delle diverse “memorie”, la memoria autobiografica del bambino della propria storia,
il processo relazionale di co-costruzione
della storia da parte dei genitori adottivi, i
rapporti tra memoria, narrazione, identità,
e infine il tema della ricerca del bambino
delle proprie origini, del proprio passato,
talvolta sconosciuto e talvolta composto da
nomi, volti del contesto originario.
SHANTHI
Dov’eri tu quando mi hanno fatto questo?
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La metodologia proposta affiancava una
parte più informativo/teorica da parte dei
conduttori a testimonianze, condivisione di esperienze, visione di filmati, lavori
esperienziali e attività in piccoli gruppi.
Molto spesso i bambini adottati nella primissima infanzia hanno storie caratterizzate da un vuoto, dato dalla mancanza di ricordi pensabili ed espliciti, o causato dalla
rimozione delle memorie delle esperienze
traumatiche, come tentativo estremo di
mantenere una sorta di equilibrio interno.
Questo vuoto, conosciuto o non, deve essere colmato per dare un senso all’esistenza.
I genitori vengono aiutati a ricostruire le
ipotetiche tappe della storia del bambino,
senza raccontare bugie, pensando a ciò
che possono aver vissuto e alle competenze
che possono aver appreso. Per il bambino
non sapere cosa ha vissuto costituisce un
limbo in cui la sofferenza non ha spiegazioni, né cause specifiche; sorgono in lui
domande riguardo al proprio passato, alle
proprie difficoltà.
Anche quando è consapevole della propria
storia conserva domande dolorose come
“Dov’eri tu quando mi hanno fatto questo?”, a
cui i genitori non possono non dare risposta. Allora cerchiamo di aiutare i genitori
ad attivare la funzione pensante che rende
più tollerabile il vissuto doloroso del bambino. I genitori devono far capire al bambino che, mentre viveva quei momenti di
difficoltà o solitudine nell’istituto, aveva
già una mamma e un papà adottivi che lo
desideravano fortemente. Queste informazioni rendono il bambino più forte e fanno nascere in lui un senso di accoglimento,
necessario per lo sviluppo dell’autostima.
Il lavoro partiva da una discussione comune sulla destrutturazione di alcuni falsi miti
e luoghi comuni su cui spesso si basano teorie inesatte. Per esempio è idea comune
che sotto i tre anni non ci sia memoria, ma
ricerche ci dicono come in realtà fin dalla
vita uterina vengono immagazzinate memorie sensoriali, per cui anche le esperienze di separazione alla nascita hanno una rilevanza nella vita relazionale del bambino.
Largo spazio viene dato all’importanza di
queste tracce mnestiche, che fanno parte
spesso non della memoria esplicita, ma di
memorie procedurali, sensoriali, relazionali che il bambino porta con sé e attraverso sé, ma che è una memoria pre-verbale.
Un altro falso mito riguarda il fatto che
spesso si ritiene che più piccolo è il bambino, al momento dell’adozione, meno il
suo passato avrà un peso. Se da una parte è
vero che un bambino adottato da piccolo è
stato meno esposto a fattori di rischio (denutrizione, maltrattamento, abbandono,
abuso…), è anche vero che più il bambino è piccolo, meno è in grado di elaborare sotto forma di pensiero quanto accaduto, di dare un senso e una narrabilità alla
propria esperienza. Secondo la comunità
scientifica, infatti, la funzione cognitiva del
pensiero è fondamentale per l’elaborazione dell’evento traumatico e di conseguenza per il raggiungimento del benessere.
Un’altra convinzione è che sia bene aspettare il momento giusto per affrontare l’argomento “adozione” con il bambino. L’attuale tendenza, supportata da evidenze,
prevede di cercare di trasmettere fin da
subito, attraverso fiabe e racconti, il messaggio in modo tale da fare in modo che
nel mondo rappresentazionale del bambino ci sia sempre stata coscienza della propria identità e che non ci sia una rottura
tra un prima e un dopo in cui si è venuti a
conoscenza della propria storia. In alcuni
casi, inoltre, i genitori ritengono opportuno aspettare che sia il bambino a fare
domande riguardo alle proprie origini. Diverse testimonianze ci confermano come il
bambino porti con sé molte domande sulla
propria storia e come spesso sia lui stesso
ad attendere che il genitore sia pronto ad
affrontare l’argomento, sentendosi in colpa al pensiero di poter ferire il genitore,
come se parlare di adozione, volere delle
risposte sui perché della propria storia, volesse dire in qualche modo tradire i genitori adottivi.
Il bambino dunque necessita di una persona che lo possa aiutare a tirare fuori le domande che lo pervadono e che lo bloccano
nel processo di identificazione, e che con
delicatezza lo aiuti ad integrare le memorie di un passato difficile da digerire con la
propria vita attuale.
... quello che i bambini vogliono sapere è “perché”,
e “perché proprio a me”, e
questo nei documenti non
c’è scritto…
Infine una credenza diffusa consiste
nell’idea che più informazioni si hanno,
più il trauma sia facile da superare. L’esperienza ci dimostra come, se da una parte
è vero che avere dei ricordi, delle informazioni sulla propria storia sia importante, dall’altra a volte i genitori hanno delle
informazioni difficilmente raccontabili ai
bambini e quindi difficili da gestire. A prescindere dalla presenza di informazioni o
meno, inoltre, quello che i bambini vogliono sapere è “perché”, e “perché proprio a
me”, e questo nei documenti non c’è scritto…
Al lavoro sui falsi miti, che di solito stimola
un’accesa discussione tra le coppie, succede un momento di approfondimento sul
funzionamento della memoria e delle memorie. Essendo prevalentemente frequentato da genitori di bambini arrivati da piccoli in adozione, grande spazio viene dato
alle memorie implicite e procedurali, che
si manifestano attraverso atteggiamenti,
modalità di entrare in relazione con gli al-
SHANTHI
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SHANTHI
14
tri, gesti, preferenze,
paure, la rappresentazione di concetti e
le competenze che il
bambino ha acquisito. Attraverso il modo
in cui il bambino si
relaziona con la madre adottiva o con
gli amici, si può comprendere il vissuto dimenticato e i modelli
di attaccamento sviluppati nei primi mesi
di vita. Aiutare il bambino a ricomporre le
memorie dalle tracce che emergono dal
proprio modo di essere è importantissimo
per sostenerlo nel difficoltoso processo
di individuazione e costruzione della sua
identità. Proponiamo, per sperimentare
anche in presa diretta situazioni, emozioni,
vissuti, delle scenette che aiutano i genitori a immedesimarsi nei diversi personaggi
portatori di bisogni, emozioni, vissuti differenti.
Grande spazio veniva dato, nella prima parte del laboratorio, all’elaborazione della
storia del bambino e dell’adozione da parte
degli stessi genitori adottivi. Per costruire
una storia comune, per essere di supporto
e riparativi per i loro figli, i genitori devono
essere loro per primi ad aver elaborato e digerito la storia del figlio. Per aiutare i genitori in questo processo, invitiamo i genitori
a scrivere a casa una lettera alla madre o ai
genitori biologici del proprio figlio. Nell’incontro successivo viene data la possibilità di
leggere i lavori: è un momento di grande intensità emotiva, e attraverso la condivisione
e la ricchezza gruppale, emergono i diversi
vissuti, spesso presenti contemporaneamente nei singoli genitori.
Lettere che esprimono gratitudine per aver
messo al mondo un figlio e aver dato la possibilità a loro di diventare genitori; lettere
arrabbiate per quanto il figlio ha dovuto
subire, a causa di un’incapacità genitoriale;
lettere “informative”, in cui si chiede poco
e si racconta molto che spesso celano la
consapevolezza di aver “tolto” qualcosa o la
paura di aver “rubato” qualcosa di estremamente prezioso.
È a partire dalla condivisione dei diversi
punti di vista che per il singolo genitore è
possibile accedere a diverse dimensioni del
suo approcciarsi alla storia adottiva e ai genitori biologici.
La seconda parte dell’attività di laboratorio ha l’obiettivo di fornire sia delle chiavi
... il bambino attraverso i
giochi che propone spesso
“parla” della sua storia.
di lettura che degli strumenti per lavorare sulla storia con il bambino. Si parla di
gioco, disegno, costruzione di favole, di
scatole dei ricordi, di apertura interculturale, di narrazioni comuni, dell’utilizzo di
Internet. In questa fase vengono portati
esempi di lavori svolti da altre famiglie o
anche in ambito di percorsi psicoterapici. I genitori pensano ai bisogni specifici
dei loro figli e trovano, da soli, a coppie o
in piccolo gruppo delle modalità creative
per evolvere in questo processo.
Quello che vogliamo fare passare è che il
bambino attraverso i giochi che propone
spesso “parla” della sua storia: parla della sua storia quando, anche grandicello,
si nasconde sotto la gonna della mamma
e vuole giocare “a nascere”, parla della
sua storia quando vuole far finta di uscire da un guscio, e vuole ripetere il gioco
ogni giorno. Parla di necessità e tentativi
di integrazione una bambina che in ogni
suo disegno inseriva ponti o arcobaleni,
come a voler rappresentare sempre un
elemento che univa delle parti. In modo
più esplicito, dicono molto della loro rappresentazione di famiglia bambini che inseriscono nei loro “disegni della famiglia”
fratelli che appartengono alla loro vita
precedente l’adozione. Parlano di identità e appartenenza i ragazzi che si iscrivono su facebook con il proprio nome e
cognome originari.
Durante il percorso, i genitori vengono
aiutati a far fronte a questo tortuoso, ma
ricco e intenso, processo di integrazione
e costruzione di un’identità, guidati dagli
operatori e dagli altri genitori nel compiere quei piccoli passi lungo la tortuosa strada verso la ricerca della storia del
bambino.
Noi siamo la nostra memoria,
noi siamo questo museo chimerico
di forme incostanti,
questo mucchio di specchi rotti.
(Jorge Luis Borges)
SPECIALE
SOSTEGNO
AL PROGETTO
ADOTTIVO
Quanti cuccioli possono stare nella sacca di un koala?
Certo più di uno, se hanno seguito i gruppi di sostegno
di AMI, creati apposta per quelle famiglie formate non
solo da due genitori, ma anche da un (futuro) fratello o
sorella!
Nel 2013 nasce il “Gruppo Koala”, un
gruppo parallelo di sostegno per famiglie
in attesa di seconda adozione e famiglie in
attesa di prima adozione con figli biologici.
AMI ha ascoltato il bisogno espresso dagli
stessi genitori rispetto all’importanza di un
percorso di accompagnamento e di elaborazione che fosse pensato non solo per le
coppie ma anche per i bambini, in attesa
del fratello o della sorella adottiva. L’attesa
del fratello per i bambini adottivi e biologici, e l’attesa del secondo figlio per i loro
rispettivi genitori, rappresentava lo sfondo
esperienziale comune su cui impostare un
lavoro di approfondimento ed elaborazione dei vissuti relativi a questo particolare
momento del percorso adottivo.
AMI V
Aspettando il secondo figlio...
Aspettando mio fratello...
E
NETO
Il dispositivo del gruppo, molto spesso utilizzato da AMI nel lavoro con le famiglie
adottive, è stato in questo specifico caso
pensato per i bambini come strumento
funzionale all’attivazione di dinamiche
caratteristiche delle relazioni tra fratelli.
Il gruppo dei pari quindi ha rappresentato una doppia risorsa per il lavoro con
i bambini, rendendo possibile un’elaborazione dei vissuti a partire sia dai contenuti
espressi individualmente sia dalle dinamiche emergenti dalle relazioni tra bambini.
... dare voce e condividere
le proprie esperienze...”
SHANTHI
15
SHANTHI
simili o uguali per il gruppo
dei bambini e per quello dei
genitori (drammatizzazioni,
narrazioni, lavori di gruppo,
rappresentazioni
grafiche
ecc.) con l’obiettivo di favorire l’attivazione di un lavoro
di elaborazione condiviso tra
genitori e figli che potesse andare avanti anche autonomamente a incontro concluso.
16
Nel primo ciclo di incontri proposto alle
famiglie di AMI sono stati realizzati sei incontri di gruppo, quattro dei quali paralleli con genitori e bambini e due rivolti solo
ai genitori (uno iniziale di apertura e uno
finale di restituzione del percorso).
Ogni incontro è stato pensato e organizzato con un’elevata strutturazione attraverso
cui favorire l’attivazione dei bambini e dei
genitori su una specifica area tematica. I
temi principali sui quali genitori e bambini, parallelamente ma in stanze diverse,
hanno lavorato sono stati “il bambino in
arrivo”, “il viaggio”, “l’accoglienza” e “i
nuovi equilibri familiari”.
A ogni incontro parallelo, gli operatori
proponevano un approfondimento su una
di queste tematiche attraverso attivazioni
La possibilità di dare voce
e condividere le proprie
esperienze è stata occasione di arricchimento e di
ulteriore possibilità trasformativa
I gruppi hanno approfondito
le tematiche di questa particolare attesa adottiva attraverso un lavoro impostato prevalentemente sull’immaginario,
che per i bambini adottivi ha
comportato anche una riattivazione di vissuti legati alla
propria adozione. La possibilità di dare voce e condividere
le proprie esperienze è stata
occasione di arricchimento
e di ulteriore possibilità trasformativa sia nel gruppo dei
genitori (costituito da coppie che avevano già vissuto
l’esperienza della prima adozione e da coppie che invece
la affrontavano per la prima
volta), sia nel gruppo dei bambini, dove i
bambini adottivi, ripercorrendo momenti
della loro storia, hanno potuto trasferire
ai bambini biologici aspetti importanti per
prepararli ad accogliere il nuovo fratello o
sorella.
Su richiesta delle famiglie partecipanti, il
gruppo è stato esteso a un altro ciclo di
incontri, in cui, mantenendo la stessa metodologia, sono state ulteriormente approfondite alcune specifiche aree dell’attesa
del secondo figlio/fratello adottivo. Lo
stesso progetto è stato successivamente realizzato nell’ambito dei P.T.V.A. (“Progetti
Territoriali Veneto Adozione) in collaborazione con l’ULSS di Thiene (Vicenza).
Un lavoro di ricerca che segue, in parallelo, genitori
adottivi e figli in età scolare, per individuare criticità
e alleanze possibili e creare un percorso comune.
All’interno del sostegno post-adottivo offerto da AMI vengono attivati incontri di
sostegno alla neo-famiglia (corso post-adozione), in cui i genitori si riuniscono con
cadenza mensile. Questi incontri hanno lo
scopo di accompagnare il nucleo famigliare che muove i suoi primi passi nell’accoglienza del figlio, favorendo il confronto
e lo scambio di esperienze tra genitori
adottivi nelle diverse fasi dell’inserimento
del bambino all’interno della famiglia e
nell’ambiente sociale circostante.
Negli anni 2013-2014 e 2014-2015 si sono
svolti due cicli di incontri per famiglie
adottive. Il progetto prevedeva la formazione di due gruppi, uno per i genitori
e uno per i bambini di età scolare, protagonisti di sette incontri per ogni ciclo,
con cadenza mensile, della durata di due
ore ciascuno. Gli incontri si sono svolti in
modo parallelo, entrambi i gruppi sono
stati guidati in un percorso comune, ma
con modalità di attuazione differenti nel
caso si trattasse degli adulti o dei bambini.
Le famiglie coinvolte sono state dieci per
il primo anno e sei per il secondo (si trat-
SPECIALE
SOSTEGNO
AL PROGETTO
ADOTTIVO
AMI V
Incontri paralleli
per genitori adottivi e figli
E
NETO
tava delle stesse famiglie).
I bambini avevano un’età compresa tra i 7 e
i 12 anni al momento dell’inizio del primo
ciclo, con un’eccezione di un ragazzo di 14
anni che fungeva da “tutor” e ricopriva un
ruolo intermedio tra il gruppo dei bambini
e quello degli operatori coinvolti. Si trattava di bambini adottati “da grandi” (eccetto
due bambini, l’età al momento dell’adozione compresa tra i 7 e i 10 anni). I Paesi di provenienza di questi bambini erano
Brasile, Colombia, Etiopia, India. I gruppi
erano guidati da due psicologhe dell’Ente.
Le figure professionali coinvolte sono state sei: due psicologhe dell’Ente (responsabili rispettivamente della conduzione
l’una del gruppo degli adulti, l’altra di
quello dei bambini), quattro tirocinanti
psicologhe. Mensilmente, era previsto un
momento di lavoro di equipe per tutti gli
operatori coinvolti. All’interno di questo
momento veniva messo a tema ciò che era
emerso dai gruppi nell’incontro precedente e, sulla base degli aspetti rilevanti
riscontrati e alle tematiche emerse, veniva
pensato l’incontro successivo.
SHANTHI
17
SHANTHI
... il percorso da seguire,
guidato dalle psicologhe,
veniva dettato dal bisogno
personale.
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Il punto di origine da cui si snoda e prende
forma ogni ciclo di incontri è rappresentato dai bisogni delle famiglie che partecipano al gruppo. Non sono stati messi in atto
programmi preimpostati, ma il percorso da
seguire, guidato dalle psicologhe, veniva
dettato dal bisogno personale, di cui sono
portatori i genitori e i bambini. Per questo
motivo in ogni primo incontro (pensato
appositamente solo per i genitori) veniva
lasciato spazio alle coppie per esprimere i
propri bisogni, le preoccupazioni, le questioni che premevano maggiormente e che
emergevano dalla quotidianità del loro
rapportarsi con il figlio in quella particolare fase. Partendo dall’attenzione alle necessità presentate si è cercato di affrontare
all’interno del lavoro in gruppo le questioni presentate.
Al termine di ogni esperienza vi era un momento di restituzione in cui le psicologhe
riportavano tutto ciò che di significativo
era emerso nel percorso, suggerendo una
lettura centrata sul significato sotteso alle
esperienza riportata e osservata. In particolare si rendevano partecipi i genitori
riguardo alle attività svolte con i bambini,
soffermandosi sulle loro reazioni, modalità
di interazione e su ciò che veniva da loro
espresso attraverso le parole, i gesti, i comportamenti, le opposizioni. Il tutto veniva
integrato alla luce delle peculiarità caratteristiche delle specifiche situazioni presenti, offrendo uno spunto di riflessione e una
nuova prospettiva di sguardo, come aiuto
al modo di rapportarsi con il figlio e al consolidamento del legame adottivo.
Nello specifico, il filo conduttore del primo ciclo di incontri (2013-14) sono state le
emozioni dei bambini rispetto ai loro vissuti. Inoltre si è cercato di far emergere come
le paure dei bambini riguardo al passato
si riversino sulla vita familiare presente e
come queste vengano affrontate, accolte,
comprese o non dai genitori, in relazione
alle paure che a loro volta hanno caratterizzato la loro infanzia e il loro passato. Le
questioni e le preoccupazioni emerse dai
genitori sono state:
• la difficoltà del bambino a esprimersi
riguardo alla propria storia e una passività emotiva nei confronti di questa, quasi
come se vi fosse uno scollamento tra il vissuto di natura traumatica subito dal bambino e i sentimenti manifestati in relazione
a questo;
• il forte bisogno del bambino di esclusività nel rapporto con i genitori, soprattutto
nei confronti della madre che si manifesta
in alcuni nella ricerca di un forte contatto fisico in altri in atteggiamenti di gelosia
e possessività, in altri ancora nella ricerca
continua di approvazione;
• la paura del buio e la difficoltà del bambino nel momento dell’addormentamento;
• la difficoltà negli spostamenti e a lasciare
la propria casa.
Con quel gesto F. voleva
riprendere in mano la sua
infanzia.
Le preoccupazioni dei genitori riguardano
anche alcuni comportamenti di regressione manifestati, comunemente riscontrati
nei bambini adottati, come il voler dormire
con il dito in bocca o il voler salire su una
giostra per bambini piccoli. Attraverso la
condivisione in gruppo di questi atteggiamenti dei figli, ne emerge la loro vera importanza, come sottolinea una mamma: “I
momenti di regressione sono importanti. Infatti,
nonostante mio figlio abbia 14 anni, il nostro
rapporto di madre e di figlio ha solo 5 anni!”.
Oppure, un’altra, giudicando il comportamento del figlio, spiega che “Con quel gesto
F. voleva riprendere in mano la sua infanzia”.
I genitori sono stati guidati nel prendere
consapevolezza delle proprie paure e tristezze frutto del loro passato e della loro
infanzia cercando di sottolineare l’importanza del tenerle presente nell’affrontare
le paure del figlio; come afferma una mamma adottiva del gruppo “Il confronto è un po’
tra le paure del bambino e le nostre paure. Io
riconosco che la paura di E. è una paura vera,
che si scontra con quella del padre”. Le paure dei bambini si scontrano con quelle dei
genitori che spesso si ritrovano a sfuggire,
sviando le domande, le questioni dolorose del figlio, che emergono nei modi e nei
momenti più inaspettati, suscitati da aspetti anche insignificanti della quotidianità
ma che hanno il potere di far riaffiorare
frammenti di ricordi indeboliti, ma sempre
presenti nel bambino.
Una delle fatiche più grandi da affrontare
da parte dei genitori è che i loro figli siano nati da un’altra mamma, che esista una
Anche i bambini attraverso molteplici attività di gioco, immedesimazioni e la visione di un breve filmato tratto da il film “La
gabbianella e il gatto” sono stati sollecitati
a confrontarsi con le proprie emozioni riguardo: al fatto di essere stati adottati, al
momento dell'incontro con i genitori, a ciò
che ricordano con piacere e a ciò che invece rimpiangono. A tal proposito uno dei
momenti centrali nel corso degli incontri
è stata la composizione di un vademecum
per futuri genitori adottivi, in cui sono stati raccolti tutti i consigli, le raccomandazioni, i suggerimenti proposti dai bambini,
sulla base della loro esperienza, per favorire un buon incontro con il futuro figlio.
Precedentemente, i bambini erano stati invitati a riflettere sul momento del loro primo incontro con i loro genitori adottivi e
a raccontare la loro esperienza. In questo
modo si è cercato di far affiorare ciò che
di importante avrebbero voluto comunicare agli altri genitori proprio a partire dal
recupero del proprio vissuto.
Alcuni bambini si sono mostrati entusiasti
nel raccontare il loro incontro: “Mi ricordo
che mia mamma mi parlava in spagnolo, mio
papà mi parlava in italiano e io lo capivo, non
so come, ma lo capivo”; “È stato un momento felice! I miei genitori mi hanno portato un pallone
SHANTHI
mamma che ha generato e al contempo
che ha abbandonato. Per accompagnare il
bambino nell’affrontare questa dicotomia
che li caratterizza, i genitori adottivi per
primi sono chiamati ad affrontare i propri
sentimenti nei confronti della storia dolorosa del loro bambino cercando per primi
di comprendere e perdonare. Come aiuto
a tale riflessione sono stati invitati a scrivere una lettera alla madre naturale in cui
poter esprimere ciò che vorrebbero farle
sapere. Nelle lettere c’è qualcosa che le accomuna tutte, nonostante la molteplicità
delle esperienze vissute. C’è il fatto che la
madre biologica è presente nella mente e
nei pensieri dei genitori adottivi e che la
porteranno sempre con loro, come i loro
bambini, c’è il desiderio di una vita migliore per il figlio adottato, c’è un po’ di
rabbia mista a comprensione e in qualche
caso anche gratitudine verso la madre per
aver fatto ciò che le era possibile per il loro
bambino, nessuno si sente di giudicare.
19
SHANTHI
e un gioco”; “Li ho incontrati e ho detto ciao”.
Da questa attività sono emersi dei preziosi
consigli (hanno suggerito infatti di “portare
un regalo”, “i genitori adottivi devono prediligere il gioco” e “non dare l’impressione di essere troppo serio” o di non essere dei buoni
contenitori per le emozioni dei bambini “e
soprattutto... piano con le emozioni”), ma soprattutto sono emersi i bambini in tutta la
loro persona, con tutto il loro bisogno di
essere accolti, ma anche di non dimenticare la loro storia, la loro appartenenza originaria, la loro diversità.
Molti hanno suggerito infatti l’importanza di ritornare a
salutare e di fare un
viaggio di ritorno
nel Paese originario “Bisogna portare
il bambino a vedere il
proprio Paese prima
di andarsene per ricordarlo e tenerlo sempre
in mente”; “Fare una
festa di saluto per il
Paese di origine” o
ancora “Dare la possibilità di ritornare
nel Paese di origine 1
o 2 anni dopo”.
20
Nel secondo ciclo
di
incontri
(2014/15) il fil rouge dell’esperienza è
stato una riflessione sui diritti dei bambini;
in particolare i genitori hanno espresso il
desiderio di mettere a tema alcuni degli
aspetti (quali il diritto al proprio nome,
il diritto ad una famiglia…) in relazione
alle esperienze dei figli adottivi, come aiuto nel prendere consapevolezza. In aiuto
a ciò, come spunto iniziale per il percorso, è stata proposta la messa in scena dello
spettacolo “Il re dei bambini”, sotto forma
di lettura animata. Tale esperienza è stata particolarmente significativa soprattutto per i bambini. Attraverso i personaggi
dello spettacolo, ognuno dei quali personificava un diritto fondamentale, questi
... non sono importanti gli
errori che fai tu e quelli che
fanno loro, tu per loro sei
un tesoro...
hanno avuto la possibilità di riconoscersi e
immedesimarsi nei protagonisti, ripercorrendo e riflettendo sui propri vissuti personali. È stata proposta, in collegamento
a questa tematica, la compilazione di una
Carta di Identità.
Questo compito aveva lo scopo di far mettere a fuoco al bambino alcuni aspetti riguardanti la propria personalità e il concetto di
diritto fondamentale, facendoli riflettere
sulla differenza tra il significato di diritto,
desiderio, bisogno.
Alla richiesta di
esplicitare quale,
per ognuno, fosse
il diritto fondamentale da rispettare, le risposte
sono state varie:
dall’“andare a cavallo” a “lo studio e
lo sport”, dal “giocare, dormire, mangiare, riposare” al
“vivere e respirare”
al “non obbligare un
minorenne a lavorare
e farlo giocare”. Un
ulteriore momento
in cui i bambini si
sono sentiti molto
sollecitati alla riflessione, è rappresentato dall’ascolto di alcune storie
centrate su esperienze caratteristiche dei bambini adottati.
In seguito alla lettura e alle domande poste
dalla psicologa, i bambini hanno raccontato, in modo inaspettato, alcuni ricordi
molto personali riguardanti il loro passato:
“Anche io in Colombia facevo questa cosa. Lavoravo”, “Io aiutavo mia mamma a fare le acconciature perché era parrucchiera”, “Io mi alzavo
alle 6 e preparavo colazione, pranzo e cena, poi
al pomeriggio andavo a scuola, giocavo alle 11
di sera”.
Da questa riflessione profonda, toccante,
spontanea e vera, emersa dai bambini, è
nata una lettera indirizzata a coloro che
stanno per essere adottati. Ripensando e
rivivendo la propria esperienza, i bambini
hanno suggerito alcuni consigli ai futuri
bambini adottati rassicurandoli su alcune
paure che loro stessi hanno dovuto affrontare.
“Cari bambini oggi vi diamo dei consigli così vi troverete bene e non avrete
paura. Non dovete eccitarvi troppo, fate vedere i vostri interessi verso i
vostri genitori, siate dolci, ma non troppo sennò farete brutta figura, se
sbagliano a parlare correggeteli, mostrate affetto per entrambi ugualmente, non fate preferenze da subito, se non ti va bene qualcosa fidatevi di
loro, non ti mangiano, tu hai il diritto di vivere tranquillo anche se i tuoi
genitori sbagliano non tacere, diglielo e porta pazienza, non ti preoccupare
tutti e due ti vogliono bene ma tu puoi sempre aiutarli, non sono importanti gli errori che fai tu e quelli che fanno loro, tu per loro sei un
tesoro e anche loro lo dovranno essere per te non aver paura di essere
adottato/a, è bello, cambia la tua vita in meglio”.
“Cari bambini, non abbiate paura, non mettete il rossetto perché se baciate i papà li sporcate, non piangete, siate felici, non emozionatevi troppo,
cercate di capire il prima possibile cosa vogliono da voi”
... i bambini sentono la necessità di piacere e compiacere, con il rischio di trascurare o nascondere parti
importanti del sé
Questi ed altri esempi ci dicono come i
bambini, nonostante si lavori con loro e
con i loro genitori, ancora sentano la necessità di piacere e compiacere con il rischio di trascurare o nascondere parti importanti del sé. Il lavoro sarà ancora lungo,
ma anche intenso e gratificante, come an-
che per noi sono state queste esperienze.
Ciò che appare interessante sottolineare,
infine, è una riflessione emersa dai genitori stessi sull’importanza del ritrovarsi in
gruppo come sostegno e supporto, soprattutto come luogo in cui potersi identificare
con gli altri partecipanti (“Io mi sono resa
conto di una cosa: noi qui ci troviamo parliamo
e ci capiamo, fuori non è così…”).
Questo prezioso momento di incontro permette di creare legami identificatori orizzontali, in luogo di quello verticale tipico
dell’operatore, processo che rassicura e
dona una maggiore fiducia nelle risorse
proprie di ogni genitore.
SHANTHI
21
SPECIALE
SHANTHI
BAR
IA
22
M
D
AMI LO
SOSTEGNO
AL PROGETTO
ADOTTIVO
Progetto SPA dei bambini
Un progetto per favorire il "ben-essere" dei bambini.
Grazie al consenso e alla grande generosità dei
genitori del gruppo di bambini che ha partecipato a
questo lavoro sull’autostima, pubblichiamo alcuni stralci
del libretto che è stato costruito in un’avventura durata
due giorni e che descriviamo brevemente qui sotto.
Nell’estate
del
2015
abbiamo
proposto un progetto destinato a
un piccolo gruppo
di bambini che ha
lavorato sul tema
dell’autostima.
È stato un bel
cammino fatto di
tante attività, ma
di certo è stato
complesso, poiché
l’autostima è una
delle parti più carenziate e meno
riconosciute.
Il gruppo ha molto lavorato per due giorni interi, si è messo in gioco con tante attivazioni belle, divertenti e impegnative. I
bambini hanno mostrato una grande capacità di comprensione delle tematiche e
hanno fatto grandi sforzi per poterle immagazzinare.
Però le sollecitazioni volte al darsi valore
non sono state tutte efficaci e hanno creato
momenti di tensione, in cui in alcuni bambini è prevalso il desiderio di sfidare i contenuti, per confermare quanto poco fossero
veri.
È stato per tutti un lavoro molto complesso, in cui ciò che era proposto pareva sconosciuto o quanto meno poco noto e poco
riportabile al sé.
Il valore, la felicità, il sentirsi portatori di
un tesoro e di cose belle sono elementi da
costruire.
I bambini portatori di storie complesse
sono convinti di non valere nulla e di appartenere al “genere dei bambini cattivi”,
ne consegue che queste attività possono
porre un seme che poi nel tempo deve germogliare.
Non è immediato il ritorno e l’efficacia del
lavoro sull’autostima, ma è un inizio per riflettere su aspetti di vita molto importanti.
“Essere felici” è un impegno personale tutto da creare.
È stato così difficile credere alla parola autostima e al contenuto valoriale che riporta, che nel gruppo si sono verificati agiti
anche forti, esplicitazione della difficoltà.
Così nella tranquillità di un pomeriggio,
apparentemente sereno, qualcuno ha rubato e sciupato delle cose, come a dire che
quanto stavamo esprimendo non era assolutamente vero e che ci sarebbe voluto del
tempo in più per poterci credere.
Il progetto si è articolato in due giornate
intere, una svolta all’interno della sede
AMI a Buccinasco e l’altra all’esterno presso l’Oasi di Sant’Alessio in provincia di Pavia.
Il primo giorno ha iniziato a mettere i germogli del “sono capace”, “sono bravo/a”, “ho
fiducia”, “gli altri mi vogliono bene”…
Il secondo giorno il gruppo ha dovuto sperimentarsi fuori dal contesto solito e conosciuto e avventurarsi in una gita in cui mettersi in gioco, utilizzando quanto appreso
nella prima giornata.
Al termine del cammino è stata fatta una
riunione con i genitori, a cui è stato consegnato un libretto destinato ai bambini e
finalizzato a riassumere tutto il cammino
fatto insieme.
L’obiettivo era anche che i bambini potessero rileggerlo e rivedersi nel lavoro importante che avevano svolto.
Per questo sono state scattate numerose fotografie, a ricordo dei tanti momenti.
SE PERDO UN PO’ DELLA MIA AUTOSTIMA PENSO E DICO
COSE NON
POSITIVE SU DI ME:
SONO BRUTTO/A
NON SONO CAPACE
CHE BRUTTO DISEGNO
NON MI VOGLIO BENE
NESSUNO MI VUOLE BENE
MI DEVO RICORDARE CHE QUESTI PENSIERI NON
CORRISPONDONO ALLA REALTÀ
NON SONO VERI!!!!!
MA QUANDO MI PASSANO PER LA MENTE NON VA BENE PERCH
É
FACCIO TANTA E TANTA FATICA NELLE SITUAZIONI DI TUTTI
I
GIORNI.
MI DEVO RICORDARE CHE SONO
UNICO E SPECIALE
UN GIOIELLO
SHANTHI
23
UN BAMBINO È…
Il gioco della sagoma
SE IO FOSSI ….
(tratto da “Se io fossi” edizioni
Pon Pon)
Il gioco del corpo libero che prov
a nello spazio e si permette di
sperimentare.
... se fossi un arcobaleno
BRAVO
SIMPATICO
DIVERTENTE
ALLEGRO
GENEROSO
GENTILE
AMATO
BELLO
AFFETTUOSO
PRECISO
PREZIOSO
TIMIDO
SERIO
CARINO
STUPITO
FELICE
CORAGGIOSO
Se fossi un pasticcino
Se fossi un pupazzo di neve
Se fossi un ragno
Se fossi un uccellino
Se fossi uno scoiattolo
Se fossi un libro
Se fossi un principe o una prin
cipessa
Se fossi una barchetta
Se fossi un orologio
Se fossi un ballerino o una ball
erina
Se fossi un albero
Se fossi una nuvola
Se fossi un cavallo
Se fossi una volpe...
SHANTHI
Timido
Coraggioso
Allegro
24
Se io fossi me stesso
L’OASI DI SANT’ALESSIO
o...
…. POTREI FARE tutto quello che fann
ALLA SCOPERTA DI ….
un arcobaleno, un pasticcino, un pupazzo
un ragno, un uccellino, uno scoiattolo,
di neve,
un libro,
hetta,
un principe o una principessa, una barc
un orologio, un ballerino o una ballerina,
un albero, una nuvola,
un cavallo, una volpe ….
e anche MOLTO DI PIÙ, perché …
IO SONO IO,
FRAGILE E FORTE
UNICO
SPECIALE
E MERAVIGLIOSO!!!!!!!
Qui il gruppo si è sperimentato
in un mondo nuovo e diverso,
in cui
ha dovuto mettere in gioco aspe
tti legati alla fiducia, alla sicur
ezza,
alla gioia, alla collaborazione,
allo stare con l’altro… allo stare
bene!
SHANTHI
25
nate?
ro fatto insieme nelle due gior
Cosa dire ai bambini del lavo
vissuto?
… e delle difficoltà che hanno
I…
O IMPORTANTI MA DIFFICIL
QUANDO GLI ARGOMENTI SON
IAMO PROVATO A GIOCARE CON
NELLA PRIMA GIORNATA ABB
BELLI,
IAMO SCOPERTO CHE SONO
ABB
ARGOMENTI IMPORTANTI,
ATO
PLIC
COM
E CHE A VOLTE È
MA ANCHE TANTO DIFFICILI
I.
VER
O
SIAN
CHE
E
DER
CRE
TOSTIMA, DELLA FIDUCIA, DEL
ABBIAMO PARLATO DELL’AU
TRE CAPACITÀ.
VOS
LE
DEL
VOSTRO VALORE E
RE
ALLENARSI E FARLE DIVENTA
ABBIAMO CAPITO CHE BISOGNA
.
VOI
A
LTE
PAROLE DI TUTTI I GIORNI RIVO
LE PAROLE VIETATE, A VOLTE
IARE
NON È POI COSÌ SEMPLICE LASC
BRANO PROPRIO VERE.
ARRIVANO SPONTANEE E SEM
MONDO.
CI SIAMO SPERIMENTATI NEL
NELLA SECONDA GIORNATA
A, SI È
HA LASCIATO PER UN PO’ CAS
UN GRUPPO DI BAMBINI CHE
E HA
EVA
OSC
CON
NON
CHE
TO
POS
FATTO TRASPORTARE IN UN
DI…
CAMMINATO ALLA RICERCA
CAMMINATO, CAMMINATO E
E TANTE COSE BELLE.
DI STARE BENE E DI SCOPRIR
PRE FACILE, CI SONO STATE
ANCHE QUI NON È STATO SEM
DI RABBIA E ANCHE UN PO’ DI
MALINCONIE, GELOSIE, UN PO’
AGITAZIONE.
IA E
TO CORAGGIO, CURIOSITÀ, GIO
MA POCO, IL PIÙ È STATO TAN
SIMPATIA.
OASI DI SANT'ALESSIO
SHANTHI
Oasi di Sant’Alessio
Castello di sant’Alessio
Sant’Alessio con Vialone (PV)
Tel. 0382-94139
26
L’Oasi è stata fondata nel 1973 a opera di Antonia e Harry Salamon ed è ospitata nel grande
parco di un castello-fortezza del 1413 circa;
è stato il primo centro italiano che ha creduto nell’allevamento per la reintroduzione delle
specie a rischio nel loro ambiente naturale. La
Cicogna bianca, il Cavaliere d’Italia, il Falco
pellegrino, le Spatole europee sono alcune delle specie che l’Oasi ha riprodotto per poi liberarle nel loro ambiente.
L’Oasi è aperta la pubblico e offre la possibilità di osservare gli animali inseriti in ambienti
il più possibile simili a quelli naturali.
L’attività laboratoriale CON-TATTO della durata di 1 ora permette ai ragazzi di avvicinarsi ad
alcune specie animali potendole toccare e nutrire sotto la guida di un responsabile dell’Oasi.
DA NO
N
PERDER
E
La scuola è spesso vissuta dai bambini e dai genitori
adottivi come un vero e proprio... “banco” di prova.
Per questo l’esperienza scolastica deve essere
accompagnata dall’aiuto di specialisti in grado di
leggere le reazioni di bambini e adulti e di limitare
le paure e le... attese!
Le ricerche sulle famiglie adottive, nonché l’evidenza desunta dall’esperienza
clinica diretta, portano in primo piano i
fattori protettivi decisivi per l’inserimento
del bambino non solo nel contesto della
famiglia nucleare, ma anche nel contesto
allargato composto dalla parentela più
estesa (nonni, zii e cugini), dalla scuola
e dagli altri gruppi di cui il bambino farà
parte. Storicamente l’attenzione è rivolta
soprattutto alla coppia genitoriale in attesa, attraverso lo “studio di coppia”, poi alla
famiglia intesa come famiglia nucleare.
Negli ultimi anni si cerca di dare maggiore
spazio anche all’inserimento del bambino
nel contesto allargato: a partire dalla fase
pre-adottiva i nonni e gli zii vengono coinvolti nei “sabati tematici” e in altri eventi
formativi o di socializzazione organizzati
dall’associazione stessa.
Da tempo la nostra attenzione è rivolta anche all’ambiente scolastico.
SOSTEGNO
AL PROGETTO
ADOTTIVO
E
NETO
il bambino che, spesso per la prima volta,
entra in un contesto di apprendimento
con una lingua diversa dalla sua, vive la
separazione dalla famiglia adottiva, deve
imparare a conoscere “regole” di un gioco
che non conosce e a cui tutti quanti hanno
già imparato a giocare.
Spesso il primo inserimento a scuola o in
strutture educative pone domande a cui il
bambino non sa dare risposte, e che non
osa chiedere ai genitori: “Dove stanno i miei
genitori mentre io vado a scuola?”, “Mi torneranno a prendere?”, “Ma questo è un istituto?”
(pensiero che spesso si propone quando
il bambino più piccolo è inserito in una
scuola dell’infanzia dove è previsto anche
il riposino pomeridiano).
Riporto una conversazione con un bambino di 7 anni, inserito da poco con orario
ridotto in una prima elementare. Alla domanda “Mangi a scuola o torni a casa?” Lui
risponde sottovoce (sebbene non fossero
presenti i genitori in quel momento): “No,
sai, ancora torno a casa per pranzo, mia mamma non è ancora pronta”. Il momento del distacco è regolato dalle emozioni di tutti i
protagonisti, dalla fase che sta attraversando la famiglia nella sua globalità.
Al bambino che si inserisce in età già scolare è richiesto un ulteriore sforzo: la lingua
italiana, che viene acquisita a livello orale e
colloquiale molto velocemente dal bambino adottato, è una sfida e un ulteriore ostacolo nella sua forma scritta e più formale.
Il bambino, proprio a causa della sua storia, spesso si trova a fare fronte a numerose
richieste nella prima fase di inserimento,
fase in cui è prioritario per lui sentirsi accettato e confermato dai compagni, dagli
insegnanti, dai genitori. Le forme in cui
questo può manifestarsi sono molteplici e
dipendono dall’interazione, dalla relazio-
SHANTHI
La scuola è considerata uno dei contesti
d’elezione su cui lavorare, in quanto rappresenta per il bambino la prima grande
occasione di socializzazione al di fuori
della famiglia. Un luogo in cui entrano in
gioco e spesso sono “messi sotto giudizio”
molti elementi: la capacità di adattamento,
autonomia, apprendimento, socializzazione del bambino stesso. I genitori adottivi
vivono talvolta la riuscita scolastica come
banco di prova della riuscita dell’adozione
stessa, come una conferma di quel processo di legittimazione interiore del ruolo genitoriale.
L’inserimento del bambino nella classe dei
pari e il nuovo rapporto con gli insegnanti, è un momento delicato dell’esperienza
della famiglia. È necessario che tutti (genitori, insegnanti, educatori dell’infanzia)
siano preparati ad accogliere e a sostenere
SPECIALE
AMI V
Il progetto adozione-scuola
di AMI
27
ne, dalla storia del bambino con il contesto/con i diversi interlocutori.
Il bambino si trova quindi a dover imparare una nuova lingua, acquisirla in maniera
da rispondere alle attese dei programmi
scolastici, dover apprendere le regole anche tacite di comportamento nel contesto scolastico (verso gli insegnanti e verso
i pari), che non sempre coincidono con
quelle apprese nei Paesi d’origine, e gestire emozioni contrastanti come il desiderio
di compiacere, la nostalgia, la paura.
A un bambino sempre distratto, che guardava fuori dalla finestra, era stata richiesta
sempre maggiore attenzione. Veniva ripreso e rimproverato per questo. In un tempo
successivo, quando un’insegnante di cui si
fidava gli ha chiesto come mai guardasse
sempre fuori dalla finestra, lui ha risposto:
“Mi manca l’Africa”. Con una bambina che
prendeva sempre il materiale degli altri e
perdeva sempre il proprio è stato importante ricostruire che lei non aveva nulla di
suo in istituto e nella famiglia di origine,
non aveva introiettato il concetto di possesso e faceva fatica a sottostare alle tacite
regole del nuovo contesto.
... fase in cui è prioritario
per lui sentirsi accettato e
confermato dai compagni,
dagli insegnanti, dai genitori.
SHANTHI
Appare di fondamentale importanza poter
lavorare perché al bambino sia data la possibilità di vivere il più serenamente possibile un’esperienza che, per lui, può essere
28
fonte di gratificazione, ricchezza, crescita,
socializzazione.
Bisogna ricercare nella storia del bambino
i perché di un inserimento che può essere delicato e “speciale”, ma anche di grande crescita per il bambino e per il gruppo
classe che può beneficiare di esperienze
di apertura. Nonostante le ricerche sulla
casistica delle problematiche dei bambini
adottati sia alquanto sconfortante, la clinica ci insegna che a fianco di queste iniziali problematiche, molte volte col tempo si
evidenziano capacità di recupero impensabili soprattutto se vi è un pensiero e un
coordinamento tra i diversi contesti di vita
del bambino.
Il bambino adottato può presentare delle
temporanee difficoltà di concentrazione,
scarso rendimento scolastico e in parte un
adattamento inadeguato. I legami di attaccamento e gli stili relazionali che da esso
derivano, l’esperienza di eventi traumatici
legati al vissuto di separazione e abbandono della propria famiglia d’origine, la
possibile esistenza di danni biologici che
possono in parte compromettere il funzionamento cerebrale, correlato alle competenze necessarie per l’apprendimento, e
infine da fattori determinati dalla storia
del bambino e dal nuovo contesto della famiglia adottiva.
Lo stile di attaccamento di questi bambini
è spesso insicuro, e le ricerche in questo
settore hanno evidenziato come i bambini
insicuri nella prima infanzia tendano, negli
anni successivi fino alla scuola elementare,
ad avere mediamente minori competenze
sociali e relazionali, sia con i coetanei che
con gli adulti, come anche una capacità
di regolazione del proprio mondo affettivo ed emozionale meno efficace. Inoltre
lo stile d’attaccamento di questi bambini
può rappresentare un elemento d’ostacolo
anche rispetto ad altri ambiti di sviluppo
del bambino, quali lo sviluppo linguistico
e cognitivo.
Riguardo alle influenze dell’esperienza
dell’abbandono si è rilevato che spesso i
bambini adottati presentano risposte ansiose con bassa autostima di sé, rabbia e senso
d’incertezza, con conseguenti difficoltà e
disturbi delle capacità attentive e di concentrazione; nel contesto scolastico il bambino si definisce non in grado di svolgere il
compito, è facilmente distraibile e di conseguenza possono manifestarsi difficoltà
d’apprendimento, che generano risposte
difensive di minimizzazione e inibizione
del pensiero. Si tratta di bambini disinteressati, che non si pongono domande, non
vogliono sapere... Questo atteggiamento si
ripercuote in tutte le aree disciplinari influenzando il rendimento scolastico.
Il cambiamento che il bambino vive arrivando nella famiglia adottiva è quasi
sempre un fattore di stress e di riorganizzazione: il bimbo si trova infatti a dover ridefinire e ricostruire la sua vita quotidiana, dal momento in cui si deve relazionare
con una nuova lingua, un nuovo contesto
sociale con conseguenti diverse abitudini,
regole di vita, cibi, usanze, clima, ma anche nuove amicizie e compagni di classe. Il
bambino si può trovare a dover far fronte
a un sovraccarico di compiti, non tutti facilmente assimilabili e che il più delle vol-
te richiedono molto tempo ed attenzione.
Spesso, inoltre, la nuova famiglia lo spinge
ad accettare in maniera incondizionata la
cultura “adottiva”, incentivando il senso
di appartenenza a essa a scapito della conservazione delle sue origini e accentuando
così la frattura tra la nuova vita del bambino e il suo passato.
Il vissuto traumatico con il conseguente
sviluppo, in alcuni casi, di disturbo post
traumatico da stress, può alterare le funzioni mnemoniche e le capacità percettive
dei bambini, con effetti a lungo termine
sui processi basilari dello sviluppo. Infatti
molto frequentemente i bambini adottati hanno vissuto situazioni stressanti che
comprendono maltrattamenti anche gravi,
violenza diretta o assistita, abusi, ma anche
l’aver vissuto in contesti di guerra o guerriglia, degrado sociale.
Questi fattori possono portare i bambini ad
avere manifestazioni sintomatiche tipiche
del disturbo post-traumatico da stress, le
più frequenti delle quali sono:
1) I sintomi intrusivi, per cui in qualsiasi
momento della giornata e in ogni cosa il
bambino stia facendo può rivivere, attraverso flashback o ricordi, l’evento traumatico.
Questo vissuto implica un marcato aumento
dell’ansia in situazioni inusuali.
2) I comportamenti di evitamento e ripiegamento difensivo, in cui il bambino “stacca
la spina” e interrompe ogni comunicazione
con il mondo esterno. Questi atteggiamenti
hanno effetti importanti sul tono dell’umore negativo, che si trasforma nella tendenza
ad arrabbiarsi e a irritarsi con molta facilità,
in atteggiamenti sfavorevoli per l’instaurarsi
di relazioni sociali (soprattutto con i pari).
SHANTHI
29
SHANTHI
3) L'aumento dello stato di vigilanza, causato dalla necessità, percepita dal bambino, di stare sempre all’erta nel timore che
possano ripresentarsi delle situazioni negative già vissute.
30
Le ricadute di questi fattori sul vissuto
a scuola sono variegati e talvolta difficilmente prevedibili: una bambina, che aveva vissuto nel Paese d’origine situazioni di
guerriglia, è rimasta profondamente turbata dalla prova di evacuazione della scuola,
imprevista (come sono in effetti le prove di
evacuazione) e che lei aveva vissuto come
reale e non verosimile. Incapace di dare
un nome alla profonda angoscia che l’aveva scossa, quella bambina aveva passato le
notti successive in uno stato di veglia e allerta impossibili da modificare.
Le facoltà cognitive del bambino adottato
possono essere influenzate da fattori ambientali che possono risultare dannosi e
portare a un danno biologico, e sono riconducibili a:
• cause prenatali, che fanno diretto riferimento a problematiche connesse alla madre, come l’assunzione di droghe, maltrattamenti subiti da questa, o psicopatologia
genitoriale;
• fattori perinatali, come una gravidanza e
un parto difficili o nascita prematura;
• cause post-natali, legate a infezioni e malnutrizione connesse a eventuale povertà
e disorganizzazione familiare, o traumi,
disturbi del metabolismo, legate ad un’interazione disfunzionale tra il neonato e la
figura di riferimento che lo accudisce.
Questi danni possono essere temporanei e
lievi o al contrario, permanenti e arrivare a
determinare un ritardo cognitivo che, nel
caso dell’inserimento scolastico, prevede
una certificazione e un insegnante di sostegno.
Ovviamente alcune di queste situazioni si
verificano più spesso, altre sono più rare,
possono inoltre manifestarsi con diversa intensità e non solo nella prima fase dell’adozione, ma appare evidente come l’inserimento nel contesto scolastico richieda una
cura, un’attenzione e una formazione particolare e sia necessario un pensiero sia prima che durante l’inserimento del bambino.
Appare altresì necessario che l’inserimento a scuola e nei contesti educativi avvenga
non nel primo periodo dell’inserimento in
famiglia, dopo il rientro dal Paese d’origine, ma quando il bambino ha già cominciato a stabilizzarsi nella nuova realtà e a
digerire quanto accaduto.
Non sempre i genitori adottivi condividono questo punto di vista, a volte vi è il
desiderio dei genitori di inserire il nuovo
arrivato da subito nella scuola, così da renderlo il più velocemente possibile simile ai
suoi coetanei. Il desiderio ben comprensibile di normalizzazione può però alle volte
portare a fare delle scelte precipitose non
sempre positive per una buona evoluzione
del bambino nel nuovo contesto.
A volte è il bambino, specialmente se lungamente istituzionalizzato, a voler essere
inserito nei contesti educativi: spesso la
scuola dell’infanzia o la scuola primaria,
che vede numerosi bambini affiancati da
poche figure adulte, richiama il vissuto
dell’istituto, che alle volte, specie per i più
grandi, può essere considerato un contesto
“più facile” ed emotivamente meno pericoloso e nuovo.
In questi casi è importante lavorare con i
genitori per costruire insieme significati rispetto a quello che sta accadendo, nel tentativo anche di ridimensionare le aspettative sulla crescita e lo sviluppo del bambino,
e aiutarli a considerare le difficoltà specifiche che caratterizzano la sua condizione.
Anche nei casi in cui il bambino sia molto
efficiente e preciso nelle performance scolastiche, è importante considerare il significato che questi atteggiamenti hanno per
il bambino adottato, che talvolta si impegna per cercare di compiacere gli interlocutori, spesso con uno sforzo emotivo considerevole, soprattutto quando si trova ad
affrontare inevitabili fallimenti ed errori.
Il desiderio ben comprensibile di normalizzazione
può però alle volte portare
a fare delle scelte precipitose...
Riteniamo quindi fondamentale lavorare
per fare in modo che si diffonda una cultura dell’adozione nell’ambiente scolastico,
sensibilizzando l’Istituzione scolastica e gli
insegnanti alla complessità del tema e delle nuove composizioni familiari, col tentativo di creare una scuola dell’accoglienza,
aperta alle diverse famiglie. Gli spazi di formazione e di consulenza riguardano sia le
tematiche che caratterizzano l’inserimento
del bambino nel contesto scolastico, sia la
normativa, sia la didattica.
Come AMI Veneto, in collaborazione con
Veneto Adozione, abbiamo proposto interventi formativi rivolti alle scuole dell’Infanzia a cui hanno aderito molte educatrici. La
scuola e l’inserimento scolastico del bambino adottato sono oggetto di approfondimento sia nel contesto dei “sabati tematici”,
sia nel contesto di giornate laboratoriali.
Ma è attraverso la consulenza di rete alle
scuole, richiesta dalla singola famiglia in
carico all’AMI e rivolta agli insegnanti in
contatto con il bambino adottato, che maggiormente curiamo questo aspetto: il percorso consulenziale consta di tre incontri,
un primo rivolto ai genitori per raccogliere
informazioni rispetto all’inserimento del
bambino a scuola, un secondo direttamente
agli insegnanti nella scuola frequentata dal
bambino e un terzo di restituzione ai genitori e di approfondimento rispetto a limiti
SHANTHI
Altro grande quesito che riguarda la fase
dell’inserimento nel contesto scolastico
consiste nella scelta della classe in cui inserire il bambino giunto in Italia dal suo Paese d’origine. Vi sono delle normative che
stabiliscono che i bambini vadano inseriti
nella classe corrispondente alla loro età o
al massimo in una classe indietro rispetto
all’età anagrafica. Questa scelta pone molti interrogativi alle famiglie, che si trovano a dover scegliere tra due alternative
che portano con sé elementi di vantaggio
e svantaggio. Anche in questo caso valutare bene, caso per caso, anche in relazione
all’eventuale classe di accoglienza, dandosi un tempo per osservare e conoscere il
bambino, vederlo crescere (spesso in maniera accelerata) durante i primi mesi, dà
la possibilità alla coppia genitoriale, spesso
supportata da operatori, di fare la scelta
più adeguata alla situazione.
La maturità complessiva del bambino,
quindi, non deriva dalla sua alfabetizzazione né tanto meno esclusivamente dalle sue
competenze in una lingua per lui straniera. Spesso la scuola, più abituata ad avere a
che fare con casi di immigrazione anziché
di adozione, non tiene conto del fatto che
la non conoscenza di una lingua per lui
straniera, non può costituire un criterio di
giudizio negativo sulla crescita complessiva, le competenze e le capacità del bambino o del ragazzino.
31
Occorre stimolare un’osservazione sensibile...
SHANTHI
e risorse.
32
La consulenza si sviluppa in tre diverse fasi:
una prima fase in cui si cerca di trasmettere,
agli interlocutori che rappresentano l’istituzione scolastica, una cultura dell’adozione, sensibilizzando il dirigente scolastico
(se presente) e gli insegnanti riguardo
alla realtà delle adozioni, alle diversità che
caratterizzano le culture straniere, alle richieste specifiche, alle storie che accompagnano questi bambini, alle motivazioni che
li hanno portati all’adozione, per fornire
nuove chiavi di lettura dei comportamenti
dei bambini stessi.
Si chiarisce quindi il ruolo dell’istituzione scolastica, dell’ente e dei servizi sociali
nel processo di inserimento a scuola del
bambino adottato. Successivamente, nella
seconda fase, ci si concentra sul caso specifico del bambino, considerando la storia in
generale, le difficoltà e le risorse specifiche
di quel bambino in un’ottica di maggiore
comprensione dello stesso. È anche un momento di raccolta di informazioni preziose
riguardo a ciò che gli insegnanti vedono
del relazionarsi del bambino in gruppo e
con loro. Occorre stimolare un’osservazione sensibile per porre l’attenzione sugli atteggiamenti del bambino e comprenderne
i significati.
Infine il lavoro di formazione è volto a porre le basi per permettere agli insegnanti di
adattare gli obiettivi didattici ai casi specifici senza modificare in maniera sostanziale i programmi, soprattutto per quanto riguarda quelle attività curricolari che
normalmente possono essere sensibili per
gli alunni adottivi, ne sono un esempio: la
storia personale, lo studio dei gradi di parentela in italiano e nella lingua straniera,
eventuali attività che riguardano il portare
a scuola oggetti, foto relativi alla prima infanzia…
Non si tratta di saltare queste attività, ma di
adattarle in modo da dare a tutti i bambini la possibilità di esporsi quanto credono
senza sentirsi diversi, ma piuttosto speciali.
In alcuni casi di particolare problematicità,
che comunque non rappresentano la maggioranza dei bambini adottivi, si concorda
con gli insegnanti la possibilità di adottare
con questi bambini la normativa BES (bisogni educativi speciali).
L’esperienza pionieristica del convegno AMI
a Padova nel 2011
I convegni e gli incontri organizzati da AMI affrontano
i temi cruciali dell’adozione, non solo quelli legati ai
pilastri fondanti il rapporto genitori-figli, ma anche alle
tematiche inerenti l’attualità e le innovazioni in tutti i
campi, per esempio nel mondo di Internet.
Al momento non esistono linee guida,
prassi, o direttive chiare in materia; abbiamo, però, provato ad approfondire, parlare
SOSTEGNO
AL PROGETTO
ADOTTIVO
dei diversi scenari, a volte di straordinaria
potenza, a volte problematici, che sorgono
dall’utilizzo di internet, col tentativo, da
parte del bambino o del ragazzo, di mettersi in contatto con la realtà del proprio
passato e della propria storia. Questo fenomeno mal si integra con la definizione
stessa di adozione, che basa il rapporto tra
adottato e adottanti sulla recisione totale
del legame con i genitori biologici; la legge
italiana n.149 del 2001 permette la ricerca
di un contatto con le persone significative,
appartenenti alla storia del ragazzo, solo
dopo il compimento del 25° anno di età.
Spesso i bambini più grandicelli arrivano
con già in testa indirizzi mail, pagine facebook, nomi, numeri di telefono. Non si
tratta di essere o meno d’accordo, bensì di
fare i conti con una realtà dei fatti molto
diversa da quella prevista dalla legge che
vorrebbe regolamentare i contatti tra i diversi protagonisti della situazione adottiva.
Nella realtà dei fatti i ragazzi possono, collegandosi a internet, ricercare informazioni riguardo al “prima” del momento
dell’adozione, sia che avvenga nella primissima infanzia, sia che l’adozione avvenga in
età scolare. Tale questione è talmente recente che non conosciamo le ripercussioni
che può avere, soprattutto a lungo termine. Certo è che non possiamo fare a meno
di prepararci e pensarci. Obiettivo del convegno è stato soprattutto quello di aprire
un confronto, un dialogo, una riflessione
e non quella di dare delle risposte certe e
definitive.
La tematica infatti si presenta come un fenomeno di vasta portata, dai confini indefinibili. Sicuramente in questi anni stiamo
assistendo a un aumento costante dell’età
dei bambini che vengono adottati in ado-
E
NETO
SHANTHI
Nell’era dell’avvento di Internet appare
evidente come questo strumento influenzi
la società, le modalità relazionali e le possibilità di accedere a fonti di conoscenza,
che si possono definire illimitate.
Ha, inoltre, effetti rilevanti nel mondo delle adozioni, e noi di AMI ci siamo messi a
disposizione per affrontare le problematiche e valorizzare le risorse che l’utilizzo di
questo mezzo implicano.
Internet pone uno stravolgimento nella
formazione dell’identità, dell’introiezione
del concetto di limite, nella comunicazione tra pari, in generale, in tutti i bambini
e i ragazzi. L’abbattimento delle barriere
spazio-temporali che Internet induce ha
una ricaduta epocale sull’andamento delle
adozioni, in particolar modo internazionali.
Dall’esigenza di aprire una finestra di conoscenza su questa tematica, nel 2011 abbiamo proposto un convegno, intitolato
“L’adozione internazionale ai tempi di internet”. La necessità di una riflessione è
partita principalmente da noi operatori,
che in questi ultimi anni ci siamo ritrovati ad affrontare situazioni nuove sempre
più complesse a cui in parte eravamo (e in
parte siamo, vista la rapidità delle modificazioni del contesto) impreparati a rispondere. Il rapporto con le origini, reale e
immaginato, fatto di rapporti con persone
o luoghi e suoni, cardine e peculiarità del
vissuto del bambino adottato e dei suoi genitori, è completamente stravolto e assume
varianti molto differenti rispetto a pochi
anni fa.
SPECIALE
AMI V
L’adozione
ai tempi di Internet
33
zione internazionale. Questo e l’avvento di
Internet - con la demolizione delle barriere spazio-temporali che una volta separavano i diversi Paesi - stanno modificando
il rapporto tra reale e immaginario nella
costruzione della propria storia.
SHANTHI
... arrivando anche a vedere le strade che si percorrevano nel passato, le case
abitate, gli ospedali che
hanno visto nascere questi
bambini.
34
Prima il passato si conservava in ricordi,
rappresentazioni, immagini vaghe e statiche, perché lontano nello spazio e nel tempo, ora è possibile ridurre queste distanze
attraverso la ricerca con Internet. Infatti la
curiosità del ragazzino, guidata talvolta dal
desiderio di colmare il vuoto lasciato dalla
recisione dei legami del passato, trova risposte nella complessa rete virtuale.
Attraverso i motori di ricerca si può accedere facilmente a una vasta quantità di informazioni (Google Earth, Youtube, telegiornali e giornali locali) riguardo al proprio
Paese d’origine, arrivando anche a vedere
le strade che si percorrevano nel passato,
le case abitate, gli ospedali che hanno visto
nascere questi bambini. Oltre al fatto che
l’accesso a queste informazioni è di difficile controllo da parte dei genitori, questo
rappresenta spesso un momento prezioso
di integrazione tra parti che mal si incastra
nel processo di costruzione della propria
identità.
Inoltre, i ragazzini spesso non cercano solo
informazioni sul proprio Paese di provenienza, sono molto spesso interessati a trovare le persone importanti del proprio passato e le motivazioni che le hanno spinte
ad abbandonarli. Questo desiderio li porta
ad avventurarsi attraverso il ben conosciuto, a loro, mondo dei social network, digitando il proprio cognome originario, per
riuscire a trovare la mamma e il papà naturali, i fratelli – spesso ricercati con affetto,
spinti da una forte mancanza – e gli amici
dell’istituto che li accoglieva.
Nei ragazzini adottati emergono spessissimo (per la nostra esperienza, nella quasi
totalità dei casi) domande riguardo all’attuale stato delle persone significative della
loro vita nel Paese d’origine, domande a
cui spesso non si hanno risposte.
Riporto qui di seguito alcune frasi emerse
in colloqui con gli adolescenti, sia indivi-
duali che all’interno di percorsi di gruppo:
“Vorrei sapere se mia madre biologica è viva, e
sta bene, mi basterebbe quello”; “Ho bisogno di
sentire mia sorella, mi manca tutti i giorni, lei
è stata per me come una mamma, anche lei sarà
preoccupata”; “Tutti i giorni mi sveglio pensando che forse, dall’altra parte del mondo, ho dei
fratelli, e mi chiedo se mai li troverò”; “Vorrei
andare da lei e chiederle: perché?”; “Quando
sono stato adottato, mio fratello non è venuto
perché era troppo grande, chissà che fine ha fatto...”.
Alcuni si impegnano a cercare informazioni sulla loro vita, e, talvolta tentano di
contattare la madre naturale o più spesso i
fratelli per riallacciare i rapporti. Gli esiti
di tali tentativi sono, come si può immaginare, dei più svariati. A volte ritrovarsi permette un sano riallacciarsi di rapporti che
vengono mantenuti a distanza e talvolta a
essi fanno seguito incontri reali preparati
e pensati; alle volte al contrario le ricerche
dei ragazzi si scontrano con l’indifferenza
dei genitori o dei fratelli, con una incapacità di comunicazione che evidenzia una
lontananza che spesso oltre che reale appare affettiva, dolorosa e incolmabile.
In altri casi, può
verificarsi
l’opposto;
succede
infatti che siano
genitori biologici, fratelli o amici che cerchino
di mettersi in
contatto con i
ragazzi adottati.
In entrambe le
situazioni possono sorgere problematiche legate
alla sfera emotiva
e affettiva; i ragazzi possono non
sentirsi
pronti
per
conoscerli,
oppure può nascere la voglia
di tornare, senza che ci sia una
presa in considerazione realistica
di tutto ciò che
questo implicherebbe.
I genitori adottivi, che possono
sentirsi minaccia-
ti dalla presenza possibile, reale, potenzialmente partecipe dei genitori biologici,
spesso reagiscono, soprattutto durante la
prima fase dell’adolescenza, controllando
l’accesso a Internet o negando del tutto
l’utilizzo di alcuni strumenti. Le esperienze dirette ci stanno dimostrando che la politica del controllo non è utile, che spesso
lascia il figlio solo ad affrontare, magari
utilizzando lo smartphone della compagna
di banco, una situazione che può essere intensa ed esplosiva.
... ricerca di risposte dalla
rete anziché nel pensiero,
nell'elaborazione, nella
condivisione con i genitori
adottivi.
Il tentativo di riallacciare i rapporti con le
figure importanti del passato può costituire comunque un’occasione positiva per il
ragazzino, che, aiutato dalla comprensione
e dalla funzione contenitiva dei genitori
adottivi, si avvicina sempre di più a integrare i diversi elementi nel lungo processo di
costituzione identitaria.
La ricerca delle origini ha infatti un importante valore simbolico per la costruzione
dell’identità, poiché attraverso la conoscenza del proprio passato, il ragazzino
ha la possibilità di colmare il vuoto generato dall’abbandono e dalla separazione,
riuscendo poi a mettere insieme i pezzi
del puzzle della propria vita. Sebbene sia
un’occasione importante, il contatto con la
madre o il padre naturale, come quello con
i fratelli, può costituire un elemento destabilizzante per il ragazzino e la famiglia
adottiva, in quanto si può andare incontro
a delusioni o a ulteriori rifiuti da parte delle persone appartenenti al proprio passato,
nel caso in cui la madre o i fratelli neghino
la possibilità di contattarli.
I genitori adottivi quindi possono essere
mossi da sentimenti di paura nei confronti dell’apertura a un passato sconosciuto,
possono inoltre agire, anche attraverso il
controllo e la chiusura, per tutelare il suo
equilibrio psichico e affettivo. Visto l’inevi-
SHANTHI
35
SHANTHI
tabile annullamento delle distanze, la recisione dei legami col passato risulta ormai
impraticabile, se non messa in discussione
dalla necessità, manifestata dai ragazzini
di ricercare volti, origini e senso della propria esistenza, segnata da un passato spesso sconosciuto.
36
È evidente dunque come l’avvento di Internet, e in particolare dei social network,
che permettono una comunicazione rapida e a tempo reale, cambi le relazioni e il
mondo dei bambini ma soprattutto degli
adolescenti.
Gli adulti (siano essi genitori, psicologi,
educatori, insegnanti…) spesso sono spaventati di fronte ad uno strumento che
non conoscono o che conoscono poco.
Crediamo sia importante conoscere questo strumento per prevenirne rischi e
pericoli, ma anche per valorizzarne le risorse e potenzialità che questo può avere.
Sicuramente le caratteristiche intrinseche
di Internet, e cioè l’annullamento delle
distanze spazio-temporali, può portare i
bambini e i ragazzi a tentare delle risoluzioni nell’azione concreta immediata, che
si realizza nella ricerca di risposte dalla
rete anziché nel pensiero, nell’elaborazione, nella condivisione con i genitori adottivi. Occorre aiutare i genitori ad affiancarsi e a sostenere i figli adottivi in questa
ricerca, perché i ragazzini si sentano supportati e compresi in questo complesso
tentativo di riunificazione e di integrazione della propria storia per la costruzione
dell’identità.
Il convegno
A partire da queste riflessioni, il Convegno
di Padova del 2011 è stato diviso in due
momenti: la mattina, dedicata all’ascolto
dei relatori con uno spazio a disposizione
per il dibattito, e il pomeriggio, dedicato
alla condivisione delle esperienze con alcune testimonianze.
I relatori presenti nella mattinata erano:
• la psicoterapeuta Alessandra Moro, Referente delle adozioni (SSN) per la provincia
di Padova, con la relazione “Nuovi scenari
dell’adozione, recidere i legami con i fratelli è
ancora possibile?”;
• Maurizio Gatti, Ispettore della Polizia di
Stato (settore polizia postale), con la relazione dal titolo “Internet: mondo virtuale,
pericolo reale?”, sugli effettivi pericoli della
rete;
• Francesco Villa, Psichiatra e Psicoterapeuta dell’età evolutiva, con la relazione
su un caso di tutela minori in cui internet
aveva avuto un ruolo centrale “Internet, età
evolutiva e adozioni”.
Il pomeriggio è stata data ai partecipanti la
possibilità di ascoltare la voce dei ragazzi
e delle famiglie adottive, che, raccontando
la loro esperienza, hanno mostrato come i
legami segreti e sospesi tra i fratelli hanno
un ruolo rilevante nella vita affettiva e nella costruzione dell’identità del bambino.
Riporto la storia di Manuela (il nome è di
fantasia), una ragazza brasiliana di 16 anni,
adottata nel 2004 all’età di 9 anni, che ci
ha raccontato la sua esperienza.
affrontato con grande timore il viaggio in
Brasile. Le paure sono tante, e da parte di
tutti i membri della famiglia. Manuela è
anche molto entusiasta, sente questo viaggio come necessario.
Per Manuela è stato importante anche riscoprire i profumi, i colori, i suoni e il paesaggio di quella che continua a considerare “la sua terra”.
Dopo qualche giorno di vacanza, la famiglia incontra Liliana e un altro fratello di
Manuela, ancora in contatto con la madre
biologica, che le propone di incontrarla.
Nonostante avessero da tempo preparato il
viaggio, si trovano davanti a una possibilità
inaspettata e non prevista. È Manuela che,
in modo maturo e consapevole, dichiara di
non sentirsi pronta per tale incontro, e lo
rimanda a un tempo da definire, che forse
verrà, o forse non arriverà mai.
Manuela, Liliana e i genitori adottivi di
Manuela, passano alcuni giorni di vacanza
insieme, giornate intense e importanti, che
Manuela ricorda come un’esperienza fondamentale.
Manuela oggi sente molto meno Liliana.
Sa che sta bene, ha una famiglia e un lavoro e questo le basta per essere tranquilla.
Manuela sta bene, ha una sua vita qui, anche se ai mondiali tifa per il Paese d’origine. Ha finito di studiare, è alla ricerca
di un impiego fisso, ha un ragazzo. Vorrà
tornare nel luogo delle sue origini, questa
volta da sola.
Quella di Manuela è una delle prime storie
in cui lo strumento “Internet” ha avuto un
ruolo così centrale, che come operatori, abbiamo affrontato. In questo come in tutti gli
altri casi, ci rendevamo conto che genitori
e operatori, ma anche i ragazzi stessi, non
avevano la possibilità di scegliere se essere
o meno d’accordo con l’utilizzo di Internet. Non possiamo far finta che questi strumenti non esistano, magari demonizzandoli agli occhi dei bambini o dei ragazzi, ma
dobbiamo essere consapevoli di quanto sia
importante ancora una volta “conoscere lo
sconosciuto” per accettarlo per utilizzarlo
al meglio e ridurre il più possibile l’intensità dei rischi e dei pericoli.
!
Shanthi ha trattato quest’argomento nel numero 2/2011,
puoi consultarlo sul sito Shanthi.it, negli arretrati.
SHANTHI
Manuela fin dalle primissime fasi dell’adozione mantiene i rapporti con una delle
sorelle rimaste in Brasile, Liliana. I genitori adottivi, sebbene impauriti di fronte a
questa inaspettata complessità, si rendono
conto fin da subito che impedire a Manuela di mantenere tale rapporto sarebbe stato
una forma di violenza, di non accettazione di bisogni fondamentali che Manuela
esprimeva, e, pur chiedendo a loro volta
aiuto su come gestire la cosa agli operatori
di riferimento, cercano di accompagnare
Manuela nel difficile e tormentato mantenimento della relazione con Liliana, la sorella di quattro anni più grande. I quesiti
dei genitori, negli anni, sono stati molteplici. “Proviamo a muoverci nel tentativo
di adottare Liliana (sebbene non ci fossero
i presupposti necessari)?”, si chiedevano i
genitori, spinti anche dal desiderio di Manuela, che allo stesso tempo provava verso
la sorella affetto, desiderio di protezione e
senso di colpa per essere stata “quella fortunata”. “Aiutiamo Liliana economicamente? Potrà formarsi, lì, nel Paese d’origine,
così le garantiamo un futuro…” , ma anche
“Forse stiamo sbagliando, questi contatti
tra Manuela e Liliana sono destabilizzanti
per lei: la vediamo chiusa, dopo gli incontri via Skype, e spesso assorta da pensieri
tristi, inavvicinabile, forse dovremmo evitarli”.
Manuela continuerà ad avere contatti con
sua sorella Liliana, i genitori adottivi di
Manuela sovvenzioneranno il corso professionale nel Paese d’origine frequentato da
Liliana che le garantirà una professione e
un futuro.
Verso i 13-14 anni, Manuela apre due profili facebook, uno italiano, con il cognome
attuale, e uno nella lingua madre, con il
cognome originario. Tramite questo profilo viene contattata da molte persone, alcune delle quali ricordate da Manuela, altre
a lei perfettamente sconosciute (o dimenticate). È un momento difficile, a volte il
tentativo di contatto si esaurisce in una rassicurazione reciproca sul fatto che si stia
bene, altre volte vengono avanzate richieste di aiuti economici che sono di difficile
gestione da parte di Manuela. La vicinanza
e il continuo sostegno da parte dei genitori adottivi permette a Manuela di superare
questo momento e mettere dei limiti tra
le persone che lei ricorda come significative e quelle che invece non rappresentano
niente, pur appartenendo al suo contesto
originario.
Nell’estate dei 15 anni di Manuela, viene
37
SPECIALE
O
SCAN
A
AMI T
SOSTEGNO
AL PROGETTO
ADOTTIVO
Il percorso di sostegno
all’adozione
L’adozione di un bambino con AMI è un processo
basato su un rapporto di reciproca fiducia, un
“affidarsi” alla professionalità e all’esperienza, un
percorso da fare insieme, passo dopo passo, perché
anche quando siamo in grado di camminare sulle
nostre gambe, è più bello percorrere il sentiero accanto
a un amico.
SHANTHI
La Sede AMI-Toscana ha una storia lontana e radicata nel piccolo tessuto sociale.
Coloro che oggi sono i volontari dell’associazione hanno iniziato loro stessi ad adottare nel periodo in cui l’adozione non sottostava ai protocolli attuali.
È sempre stata forte l’impronta affettiva
e solidale che si è riflessa nei rapporti tra
l’ente e le coppie
adottive e anche la
cittadinanza gode,
grazie alle iniziative
aggregative, della
generosità dei volontari.
La Sede Toscana
ha sempre avuto i
numeri più bassi
per quanto riguarda l’affluenza delle
coppie adottive rispetto alle altre due
sedi e questo ha
influito molto sulla
strutturazione delle
attività formative.
38
Innanzitutto AMI cura l’adozione lungo
tutto il percorso, dall’inizio alla fine. Ciò
significa che le coppie hanno la possibilità di incontrare mensilmente gli operatori per ricevere informazioni operative
sull’iter e comprendere l’etica sottostante
a un Ente che si è sempre distinto per la
correttezza negli scambi internazionali e la
limpidezza dei referenti in loco.
Solamente le coppie che hanno la sensazione di essere finalmente nell’Ente giusto
chiedono di poterci conferire il loro mandato di adozione. A questo punto intervengono le psicologhe che incontrano i nuovi
arrivati, non tanto, e non più, in un’ottica
valutativa; piuttosto si cerca di indagare se
c’è una comunione di intenti dato che la
strada da percorrere insieme da quel momento è piuttosto lunga.
Si cerca di privilegiare la costruzione di
una buona relazione fondata sulla chiarezza e la sincerità affinché le eventuali traversie incontrate possano essere gestite
con fiducia.
Il gruppo delle
coppie in attesa è
lo strumento d’elezione perché rappresenta un ottimo
contenitore per un
proficuo scambio
di idee e di emozioni. In ogni coppia,
durante
l’attesa,
entrambi i genitori
accrescono la propria consapevolezza come individuo,
come coniuge e, su
queste basi, è possibile iniziare a costruire una rappresentazione un po’ più precisa del proprio modo
di essere genitore.
Gli strumenti usati sono appunto quello del
gruppo, delle attivazioni, del genogramma
familiare e delle testimonianze da parte
delle coppie che hanno adottato e possono
portare uno spaccato estremamente interessante a chi è in attesa.
Riteniamo infatti che il modo migliore per
prepararsi a un evento rivoluzionario come
l’arrivo di un figlio sia un lavoro personale
e onesto sulla propria storia, in modo da
accrescere la presa di coscienza dei mec-
canismi psichici che, in futuro e inevitabilmente, entreranno in gioco nella relazione
con il bambino.
Purtroppo nel corso degli anni i tempi
di attesa si sono tristemente allungati e
le coppie vivono un periodo di profondo
sconforto difficilmente consolabile.
Aver potuto lavorare insieme con onestà e
competenza ci permette di superare i momenti più difficili dell’attesa e di condividere autenticamente le gioie che via via
arrivano.
Durante la permanenza delle coppie nei
Paesi in cui vanno a incontrare i bambini
non ci perdiamo di vista; la tecnologia ci
permette di rimanere in contatto e di portare aiuto quando serve. Gli operatori in
quel periodo continuano a restare in stretto contatto con i referenti esteri e le coppie in modo che la nuova famiglia abbia
l’assistenza che necessita e possa sentire
una squadra che continua a lavorare affinché, fin dai primi momenti, venga fornito
aiuto e supporto.
Dopo l’arrivo in Italia, l’Ente incontra i
Alla fine del percorso si restituisce ai genitori il quadro emerso durante le attività...
genitori e i bambini in due forme diverse.
Mensilmente continuano gli incontri postadottivi con il gruppo degli adulti e parallelamente vengono strutturate delle attività ludiche o laboratoriali con i bambini.
Questo risponde all’esigenza dei genitori
di avere con sé i figli mentre sono in gruppo e al bisogno di osservare le dinamiche
relazionali, affettive e cognitive dei ragazzi
in un contesto giocoso e non diagnostico.
In tal modo gli adulti possono avere uno
spazio di confronto con altri genitori per
parlare dei momenti familiari più salienti
e i ragazzi possono giocare. Anche i gruppi
dei bambini sono condotti da una psicoterapeuta e da una pedagogista.
Alla fine del percorso si restituisce ai genitori il quadro emerso durante le attività e si
propone un lavoro personalizzato laddove
ce ne sia bisogno.
Inoltre viene incontrata una famiglia per
volta a cadenza semestrale per un colloquio familiare propedeutico alla relazione
post adottiva obbligatoria da inviare nei
Paesi d’origine.
Anche queste è una buona occasione per
lavorare sulle dinamiche più originali di
ogni famiglia.
Col tempo le famiglie si uniscono, si creano
le appartenenze e si consolidano gli affetti
e hanno sempre meno bisogno dell’Ente.
Rimane un rapporto costruito su buone
basi e nel periodo della preadolescenza
spesso capita di ritrovarsi per affrontare insieme il passaggio più difficile in assoluto.
Per tutti questi motivi, l’approccio integrato, che ci vede affettuosi “addetti ai lavori”,
si è rivelato ottimo per accompagnare i genitori lungo un tratto tanto importante di
strada.
La costituzione di un Centro di Psicologia Clinica della Famiglia ha permesso di
spendere le competenze ormai consolidate
dei professionisti non solo per le famiglie
adottive, ma per le famiglie tout court della
zona. In questo modo ci possiamo occupare delle relazioni coniugali, delle dinamiche familiari, delle separazioni, delle esperienze traumatiche e di quello che può
verificarsi nella vita di una famiglia.
SHANTHI
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SPECIALE
AMI V
SOSTEGNO
AL PROGETTO
ADOTTIVO
E
NETO
Il protocollo operativo
AMI-Regione Veneto
Un rapporto con la Regione Veneto di oltre 10 anni per
l'adozione nazionale e internazionale, che ha permesso
non solo di aiutare numerose famiglie adottive, ma
anche di arricchire la professionalità e l’esperienza
degli operatori che hanno partecipato.
La Regione Veneto si è da sempre distinta
per l’impegno profuso nella realizzazione
di progetti e attività nell’ambito dell’adozione internazionale, riconoscendo l’importanza del ruolo degli Enti autorizzati
lungo tutto il processo adottivo e coinvolgendoli attivamente nella formazione degli stessi operatori e delle coppie aspiranti
all’adozione. Dal 2001 ha inoltre differenziato, all’interno delle realtà dei consultori
familiari, alcune équipe di operatori dedicati a seguire i procedimenti di adozione
nazionale e internazionale.
Nel 2004 nasce il primo “Protocollo operativo per l’adozione nazionale ed internazionale” firmato dagli Enti autorizzati che
operano nel Veneto, dal Tribunale per i
Minorenni e dalla Regione Veneto.
SHANTHI
Lo scopo comune dei firmatari del protocollo è stato quello di creare un sistema di preparazione alle coppie aspiranti all’adozione
che fosse condiviso e arricchito dal confronto di esperienze e metodologie portate dagli enti e dai servizi, al fine di valorizzare
la dimensione dell’accompagnamento alle
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coppie in tutte le fasi del percorso adottivo.
Per offrire un sostegno ai futuri genitori
che fosse il più possibile qualificato e in linea con gli obiettivi preposti dal protocollo,
sono state realizzate attività di formazione
rivolte agli operatori degli enti autorizzati
e dei servizi.
In queste occasioni formative i rappresentanti del pubblico e del privato hanno avuto
la possibilità di conoscersi e riconoscersi in
un obiettivo comune e di realizzare delle
buone prassi di intervento per formare e sostenere le coppie nel percorso dell’adozione e nella fase del post adozione.
A tutt’oggi la formazione degli operatori
continua attraverso supervisioni, incontri e
giornate seminariali dedicate all’approfondimento di tematiche specifiche dell’adozione.
... sinergia tra enti e servizi
assicura la condivisione di
esperienze, competenze e
professionalità
AMI ha fin dall’inizio
aderito
al
protocollo regionale. Questa collaborazione ha portato gli operatori
a rendersi conto
dell’importanza
di incontrare le
autorità dei Paesi
coinvolti nell’adozione internazionale. Da qui sono
stati progettati e
attuati
incontri
con i rappresentati
pagnarle nella fase dell’attesa. Durante
questa fase vengono inoltre proposti alle
coppie laboratori di approfondimento su
tematiche specifiche inerenti l’adozione.
Nel post adozione la collaborazione entiservizi si esprime attraverso la co-conduzione di gruppi rivolti ai genitori o ai
genitori e ai bambini insieme, al fine di favorire l’inserimento del bambino in famiglia. Nell’ambito della scuola viene inoltre
promossa la sensibilizzazione alle tematiche adottive attraverso incontri di formazione rivolti agli insegnanti delle scuole
dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado.
Nel 2011 è stato sottoscritto il protocollo
d’intesa tra la Regione Veneto, l'Ufficio
Scolastico Regionale per il Veneto, le aziende ULSS della Regione Veneto, il pubblico
tutore dei minori del Veneto e gli enti autorizzati per l’inserimento e l’integrazione
scolastica del minore adottato
Questo lungo lavoro di compartecipazione
tra enti e servizi è stato ed è tuttora complessivamente fruttuoso e fonte di arricchimento per tutti gli attori coinvolti: per gli
operatori, che possono confrontarsi e condividere le proprie esperienze e competenze incrementando il proprio bagaglio
professionale e per le coppie, che trovano un sostegno continuativo lungo tutto il
processo di costruzione della genitorialità
adottiva.
SHANTHI
dell’adozione internazionale di Paesi quali
la Federazione Russa, la Colombia e l’Etiopia, Paesi da cui arrivano la maggior parte
dei bambini adottivi che vivono nella Regione Veneta.
Il protocollo regionale ha inoltre previsto
fin dall’inizio che la formazione delle coppie dal pre-adozione al post-adozione sia
pensata e attuata in stretta sinergia tra enti
e servizi, assicurando la condivisione di
esperienze, competenze e professionalità.
Si è quindi stabilito di riunire tutti gli operatori dell’adozione in tavoli provinciali
all’interno dei quali programmare le attività da offrire alle coppie residenti nelle
province del Veneto.
AMI ha inizialmente aderito al tavolo provinciale di Padova, per poi estendere la
propria partecipazione a quello di Vicenza. La nostra partecipazione a questi tavoli
nell’ambito dei P.T.V.A. (Progetti Territoriali Veneto Adozioni) ha consentito un
lavoro continuo tra enti e servizi nella progettazione dell’offerta formativa alle coppie del territorio.
Il risultato di questa collaborazione ha portato alla concretizzazione di varie attività.
In un primo momento i servizi sociali incontrano le coppie aspiranti all’adozione e
successivamente gli enti autorizzati mettono a disposizione delle coppie corsi di informazione e sensibilizzazione all’adozione internazionale.
Sempre in collaborazione con i servizi, gli
enti offrono alle coppie, che hanno avuto
l’idoneità all’adozione, incontri di gruppo aventi lo scopo di sostenerle e accom-
41
SPECIALE
AMI V
SOSTEGNO
AL PROGETTO
ADOTTIVO
E
NETO
Incontro fra AMI, il mondo
dell'adozione e la ricerca
scientifica
Tre tesi di laurea sul tema dell'adozione: quando AMI
fa... scuola!
SHANTHI
Negli ultimi anni, la sede AMI di Padova ha
stilato una Convenzione con l’Università di
Padova, Facoltà di Psicologia, in base alla
quale agli studenti viene riconosciuto il tirocinio pre- e post- laurea.
La nostra struttura ha ospitato diversi tirocinanti e laureandi dell’Università degli
Studi di Padova, i quali hanno potuto elaborare le loro tesi di laurea grazie anche
alla collaborazione e al sostegno degli operatori e dei genitori adottivi, contribuendo così alla ricerca scientifica nel campo
dell’adozione.
Sono stati presi in considerazione diversi
aspetti psicologici legati all’evento adozione, concorrendo così ad accrescere la
conoscenza delle particolari dinamiche
che si instaurano all’interno delle famiglie
adottive e che caratterizzano le esperienze
dei protagonisti dell’adozione.
La ricerca scientifica nel campo dell’adozione è fondamentale per chi è direttamente coinvolto in questo fenomeno, in
quanto può fornire nuovi utili strumenti
42
operativi; rappresenta inoltre un’opportunità per far conoscere ai “non addetti ai
lavori” la complessità e la bellezza del mondo dell’adozione.
I tirocinanti, inoltre, sono stati e sono un
importante aiuto nell’organizzazione delle
attività di segreteria, negli incontri con le
famiglie, nell’osservazione dei bambini: i
loro preziosi “appunti” di tutto quello che
avviene costituiscono memoria storica dei
gruppi, dello sviluppo dei bambini e della
nascita della famiglia adottiva.
La Convenzione con i tirocini si è ultimamente estesa anche all’Istituto Universitario Salesiano di Venezia, aggregato
alla Facoltà di Scienze dell’Educazione
dell’Università Pontificia Salesiana di Roma
e all’Istituto Veneto di Terapia Familiare,
Scuola di Specializzazione per l’Esercizio
della Psicoterapia.
Si sono susseguite una serie di tesi di laurea che hanno potuto darci lo “stato di benessere” delle famiglie adottive in generale
e di quelle afferite ad AMI in particolare.
• “Indelebili tracce di una ferita primaria. Uno studio psicanalitico sul trauma del bambino adottato” della dott.ssa Terigi Serena, ora collaboratrice di AMI
• “Le caratteristiche personali, la comunicazione familiare e la loro influenza sulle forze e sulle difficoltà del bambino adottato” della dott.ssa Valentina Marcassoli
• “Stress genitoriale nell’adozione internazionale di bambini con special needs” del dott. Filippo
Marri
Proponiamo di seguito gli abstract delle tesi di due tirocinanti.
Il funzionamento familiare e la percezione della genitorialità nelle famiglie adottive
dott.ssa Valentina Spigardi
emerso che il livello delle capacità e delle
difficoltà dei minori adottati non cambia
a seconda dell’età al momento dell’adozione, del genere e del Paese di origine.
... il livello di funzionamento familiare sembra essere associato alla sicurezza
della relazione che i genitori adottivi hanno vissuto
con i loro genitori
Si riscontrano, invece, delle differenze a
seconda del tempo trascorso dall’arrivo in
Italia e della fascia di età dei minori adottati. In particolare le abilità sociali dei giovani adottati sembrano aumentare in relazione al tempo passato in Italia e al crescere
dell’età.
SHANTHI
Grazie alla gentile disponibilità delle psicologhe della sede di Padova dell’Ente AMI e
al prezioso contributo di genitori e ragazzi,
ho potuto svolgere la ricerca per la mia tesi
di Laurea Magistrale.
Tale ricerca era volta a indagare gli aspetti
del funzionamento familiare e della percezione della genitorialità nelle famiglie
adottive.
Numerosi nuclei familiari hanno accettato di collaborare alla ricerca attraverso la
compilazione di alcuni questionari ideati
per analizzare le abilità e le difficoltà dei
bambini, lo stile di attaccamento dei genitori, il funzionamento familiare e la percezione della genitorialità adottiva.
I minori adottati erano in totale 31, con
un’età compresa tra i 3 e 14 anni, arrivati
in Italia tra gli 11 mesi e i 9 anni.
Dalle analisi che sono state effettuate è
43
Per ciò che concerne il funzionamento familiare sembrano delinearsi maggiori difficoltà familiari nel caso di bambini adottati
a un’età maggiore.
In questa ricerca il buon funzionamento
familiare, ovvero il livello di benessere della famiglia adottiva, sembra essere collegato ad alcune caratteristiche dei genitori
adottivi: la percezione della genitorialità
adottiva (il riconoscimento di sé stessi in
quanto genitori adottivi) e lo stile di attaccamento (sicurezza nella relazione vissuta
con i propri genitori). Nello specifico il
benessere familiare e il livello di genitorialità adottiva esperito dai genitori, ovvero
quanto questi ultimi si sentono a tutti gli
effetti genitori del bambino adottato, sono
positivamente correlati. Inoltre, il livello
di funzionamento familiare sembra essere
associato alla sicurezza della relazione che
i genitori adottivi hanno vissuto con i loro
genitori durante l’infanzia.
Emerge, inoltre, una correlazione tra i livelli di genitorialità adottiva e le dimensioni dell’attaccamento dei genitori adottivi.
Sembrerebbe che una relazione caratterizzata da alti livelli di cura con il proprio genitore durante l’infanzia sia poi correlata
a maggiori livelli di genitorialità adottiva.
I risultati di questa ricerca offrono degli interessanti spunti di riflessione sullo sviluppo delle capacità sociali dei minori adottati, ambito di studio ancora poco esplorato.
Un altro aspetto interessante messo in luce
da questo lavoro sono le interconnessioni
tra funzionamento familiare, genitorialità
adottiva e stile di attaccamento dei genitori
adottivi, ciò potrebbe essere un elemento
aggiuntivo alla riflessione sulla valutazione
dello stile di attaccamento degli aspiranti
genitori adottivi.
SHANTHI
Stress Genitoriale nell’adozione internazionale di bambini con special needs
dott. Filippo Marri
44
Lo stress genitoriale nell’adozione internazionale è dato dall’interazione di diversi
elementi (Abidin, 1990), ovvero le caratteristiche del bambino, le caratteristiche del
genitore, le caratteristiche ambientali.
In questa ricerca ci siamo concentrati sul
momento del post-adozione, ovvero nel
momento in cui il bambino entra effettivamente a far parte del nuovo nucleo famigliare.
Sono tre le ipotesi:
1. ovvero che le caratteristiche dei bambini special needs contribuiscano a innalzare
i livelli di stress genitoriale (Brodzinsky &
Schechter, 1990; McGlone et al., 2002).
2. La seconda ipotesi si focalizza sulla possibilità che l’adozione di bambini special
needs influenzi il rapporto famigliare e coniugale; in particolare l’adozione di bambini con special needs comporta dal secondo
anno di rientro, un decremento della coesione e dell’adattamento famigliare (Groze, 1996);
3. Si è ipotizzato che lo stress non necessariamente sia portatore di disfunzionalità
famigliare, ma possa rappresentare un fattore che spinge verso l’adattamento (Palacios, Sanchez-Sandoval, 2006).
Il campione è composto da 147 coppie
ta e la maggior vicinanza al periodo adolescenziale sia una fonte di difficoltà per
la famiglia, così come per le famiglie non
adottive, oltretutto l’adozione di un bambino già grande presuppone una maggiore
consapevolezza nel minore della propria
condizione adottiva.
Non emergono grandi differenze con le
famiglie non special needs nelle sottoscale
dei problemi comportamentali, di iperattività/disattenzione, e nell’interazione difficoltosa tra genitore e figlio e dei comportamenti sociali.
Riguardo il fattore “mesi dal rientro” risulta, seppur con un effetto significativo piccolo, che le maggiori difficoltà si riscontrano nel primo anno dal rientro in casa e dal
Le difficoltà nelle famiglie special needs derivano dalle difficoltà emotive
dei minori, più che dai loro
comportamenti...
secondo si assiste a un miglioramento, così
come si assiste a un miglioramento delle
capacità sociali dei bambini special needs dal
secondo anno di rientro; questo potrebbe
riflettere l’acquisizione, nel tempo, di sempre maggiori capacità linguistiche, relazionali e culturali.
Non emergono differenze significative tra
padri e madri.
Attraverso (PSI-SF) per il fattore “famiglie
con/senza special needs” emergono degli
effetti significativi piccoli nella scala totale,
e nella sottoscala “difficult child”, mostrando come le famiglie con special needs abbia-
SHANTHI
adottive e 165 bambini, di cui 90 con special
needs e 75 senza special needs. La differenzazione si è basata esclusivamente sull’età
al momento dell’adozione, non essendo
presenti informazioni riguardo la presenza
di eventuali problematiche psico-fisiche. I
bambini special needs sono dunque in età
scolare, a differenza dei bambini non special needs che in questa ricerca sono in età
prescolare. A tutte le coppie adottive a cui
sono stati somministrati i test il tempo massimo trascorso dall’adozione è di 3 anni.
I test self-report sono stati somministrati
a entrambi i genitori. I test somministrati
sono il “Parenting Stress Index – Short Form”
(PSI-SF) per indagare i livelli di stress genitoriale, il “The Strenghts and the Difficulties
Questionnaire” (SDQ) per valutare i punti di forza e di difficoltà del bambino; il
“Family Assessment Measure – III” (FAM-III)
per valutare il funzionamento famigliare;
la “Dyadic Assessment Scale” (DAS) per analizzare il rapporto di coppia dei coniugi e
“Experience in Close Relationship” (ECR) per
valutare l’attaccamento di coppia.
I fattori considerati nella ricerca sono dunque la presenza o meno di special needs, i
mesi dal rientro in casa dopo l’adozione,
ovvero se la coppia è rientrata da 1 anno o
oltre 1 anno, e il genere del genitore, ovvero padre o madre.
Riguardo la prima ipotesi, attraverso l’SDQ
emerge come per il fattore le famiglie con
figli special needs valutino come maggiormente difficoltoso il bambino special needs
nella scala totale dell’SDQ e in particolar
modo nella sottoscala dei sintomi emotivi
dei figli, evidenziando una difficoltà data
proprio dall’espressione emotiva dei propri figli. Si può supporre che l’età avanza-
45
SHANTHI
no livelli di stress leggermente superiori in
particolare riguardo il temperamento del
bambino e la sua scarsa capacità di autoregolazione. Essendo effetti piccoli si può
concludere che non siano presenti effettive differenze dei livelli di stress tra famiglie special needs e non. Non sono oltretutto
emersi effetti significativi riguardo il fattore “genere del genitore” e “mesi dal rientro”.
Si può concludere che diversamente da
quanto ipotizzato, non emergono livelli di
stress particolarmente elevati nelle famiglie special needs se confrontati a famiglie
non special needs.
Le difficoltà nelle famiglie special needs derivano dalle caratteristiche dei figli e in
particolar modo dalle difficoltà emotive
dei minori, più che dai loro comportamenti o dai loro rapporti con i pari. La prima
ipotesi è solo parzialmente verificata.
Riguardo la seconda ipotesi, attraverso lo
studio dell’andamento famigliare (FAMIII) emerge una famiglia special needs con
un funzionamento simile alla famiglia
senza special needs, emerge però un effetto significativo grande nella sottoscala
dell’espressione affettiva, evidenziando
difficoltà nella comprensione affettiva e
nell’espressione degli affetti nelle famiglie
special needs. Attraverso la correlazione di
questa scala con il PSI-SF, si può notare
come le difficoltà nell’espressione affettiva
delle famiglie special needs non è collegata
allo stress genitoriale, quindi meriterebbe
ulteriori approfondimenti futuri per valutarne l’origine.
46
Rispetto al fattore “genere del genitore”
emergono effetti significativi piccoli, quindi trascurabili nella sottoscala dell’espressione affettiva e della comunicazione,
mostrando una difficoltà nell’espressione
degli affetti per il padre e una difficoltà
nella comunicazione per la madre.
Non si verifica invece un decremento del
coinvolgimento famigliare dopo il primo
anno di ingresso in famiglia tra le famiglie
special needs, ma si assiste, seppur con un
effetto piccolo, a un minor coinvolgimento
del padre nel primo anno rispetto la madre,
e a un inversione di tendenza dopo il primo
anno di rientro. Questo potrebbe dipendere dalla gestione famigliare del minore,
probabilmente il maggior tempo impiegato
dalla madre con il minore nel primo anno
spiega questo maggior coinvolgimento rispetto al padre. Dopo il primo anno i valori di coinvolgimento tra padre e madre si
... il livello di funzionamento familiare sembra essere associato alla sicurezza
della relazione che i genitori adottivi hanno vissuto
con i loro genitori...
equivalgono. Riguardo l’andamento coniugale non emergono particolari diversità
tra coppie special needs e non special needs,
solo un effetto piccolo, quindi trascurabile, sulla scala del consenso tra partner, che
mostra un decremento dopo il primo anno
di adozione nelle coppie special needs. Non
emergono effetti significativi nell’ECR mostrando in tutte le coppie un buon funzionamento generale.
Riguardo la terza ipotesi, dallo studio delle correlazioni emerge come il rapporto di
coppia risenta maggiormente delle caratteristiche personali dei due coniugi, o dai
conflitti e dalle rinunce, e non sia correlato allo stress derivato dalle caratteristiche
del figlio.
Sono presenti correlazioni negative tra
stress e la capacità della famiglia di far
fronte alle sfide e al coinvolgimento famigliare, suggerendo la possibile presenza di
effetti costruttivi dello stress, in particolar
modo nelle famiglie special needs, sulla capacità di affrontare le difficoltà e di sentirsi
maggiormente coinvolti in concomitanza
di un possibile aumento dei livelli di stress.
Essendo correlazioni minori non si può affermare che lo stress abbia realmente un
effetto positivo e di spinta per le coppie,
ma merita un approfondimento futuro.
La presenza di livelli di stress non eccessivamente elevati potrebbe riflettere la presenza di un buon livello di preparazione
della coppia adottiva nel periodo pre-adottivo. Risulta importante valutare la percezione che le coppie hanno riguardo la propria preparazione, le aspettative riguardo
il figlio, aspettative che si differenziano da
quelle della genitorialità biologica.
Diventa importante il supporto post-adottivo da parte della propria famiglia e degli
enti che seguono la coppia, attraverso interventi individuali, di coppia e famigliari,
e il confronto tra famiglie.
5PER
MILLE
Ringraziamo tutti coloro che hanno sostenuto AMI onlus attraverso la donazione del 5 per
mille.
Anche quest'anno AMI Amici missioni Indiane Onlus è stata inserita tra le
organizzazioni di volontariato alle quali potrà essere destinato il 5 per mille dell'IRPEF.
Il vostro sostegno consentirà di finanziare progetti di aiuto in collaborazione con i nostri
"partner storici" fra tutti Argonauti Explorer e Obiettivo sul Mondo.
Ricordate che, per destinare il 5 per mille ad AMI basta apporre la propria firma
nello spazio contraddistinto dalla voce:
"Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale, alle
associazioni di promozione sociale e alle associazioni e fondazioni riconosciute che operano
nei settori di cui all'art.10, c. 1, lett. a) del D.Lsg n. 46 del 1997" e indicare il nostro codice
fiscale:
97018760153
La scelta di destinare il 5 per mille non modifica l'importo dell'IRPEF dovuta.
CF 97018760153 - cc/c postale 20216206
SPECIALE
CENTRO DI
PSICOLOGIA
CLINICA
D E L L A FA M I G L I A
Area sostegno psicologico
e psicoterapia
Il Centro di Psicologia Clinica della Famiglia attiva
percorsi di lavoro mirati a specifiche problematiche,
non solo legate all’adozione, ma anche alla genitorialità
in senso lato e allo sviluppo e crescita dei bambini.
Vi proponiamo in queste pagine un rapido excursus
di questi campi di intervento.
Percorsi individuali e di coppia a
sostegno della genitorialità
Accanto al lavoro dei contesti gruppali,
sono offerti percorsi di sostegno e terapeutici di coppia, individuali, per i bambini e
per adolescenti per affrontare le situazioni
qui di seguito descritte.
SHANTHI
Percorsi di sostegno vengono attivati per
coppie o genitori che necessitano di essere
guidati nella loro genitorialità, sia adottiva
che naturale.
Diventare genitori è un evento sconvolgente,
nel termine più positivo e gioioso, ma anche
nel senso del porre un cambiamento totale
di vita. Cambia l’immagine di sé e del proprio ruolo nel mondo e cambia l’identità
della coppia.
Spesso le persone necessitano di un accompagnamento per chiarire tali aspetti, che frequentemente gravano e interferiscono nella
strutturazione della propria genitorialità.
48
In generale il divenire genitori porta alla
riapertura della propria vicenda personale e dei vecchi interrogativi sulla propria
famiglia e sui propri genitori. Tali aspetti
possono, in certi casi, incidere sul benessere e sulla relazione con il proprio figlio.
In tali casi si articolano percorsi di sostegno e di psicoterapia individuale e di coppia, che aiutano madri e padri a risolvere
gli aspetti personali che ostacolano il buon
esplicarsi della genitorialità.
Nell’adozione oltre a ciò che già è stato
espresso, il sostegno è anche legato alla
comprensione delle dinamiche, spesso
complesse, messe in atto dai bambini.
Tutti i bambini adottivi sono portatori di
elementi traumatici che, nel momento
dell’inserimento familiare, spesso si riattivano. La lettura adeguata delle comunicazioni dei bambini e dei loro comportamenti permette ai genitori di porsi come
strumenti riparativi a un passato che ha
ferito e danneggiato.
Ci sembra, perciò, importante che, sin dai
primi passi, i genitori e le coppie siano aiutate e sostenute nel loro ruolo. E anche
supportate nel trovare tutti gli strumenti
che possano essere di sostegno e contenimento alle fasi complesse dell’adozione.
... la collaborazione e comunicazione con i genitori
è intensa e frequente con i
bambini.
La separazione richiede una riflessione
importante, poiché vuol dire continuare a
essere genitori a fronte del non essere più
coppia. Molto spesso a fronte delle troppe
conflittualità si perdono le adeguate visio-
ni dei bisogni dei figli e li si coinvolge nel
conflitto. Il percorso psicologico consente
al genitore di attenuare la rabbia, di trovare soluzioni e strategie che allontanino il
conflitto, in modo da vivere la genitorialità
in maniera più serena e libera.
Percorsi psicoterapeutici per adulti
Psicoterapie attivate su richiesta spontanea
per la soluzione di nodi emotivi della persona.
Percorsi psicoterapeutici per bambini e adolescenti
Attivati su richiesta dei genitori.
arricchiti da una spiegazione che fornisce
un senso e fa comprendere il perché di situazioni anche molto dolorose.
Il lavoro è svolto in un setting individuale
con bambini o adolescenti.
Il libro della storia del proprio bambino
può essere anche costruito dalla coppia
adottiva con l’aiuto dello psicologo e ha la
finalità di aiutare il figlio nella condivisione degli eventi e nella comprensione profonda delle motivazioni che hanno condotto a situazioni tanto dolorose.
La motivazione e fiducia del genitore è un
elemento essenziale affinché il bambino
senta di potere lavorare con il suo terapeuta.
La collaborazione e comunicazione con i genitori è intensa
e frequente con i bambini.
Con gli adolescenti vi è il bisogno di una
maggiore riservatezza, dunque le restituzioni alla famiglia sono sempre concordate
con l’adolescente.
Nello specifico dei bambini adottivi un
lavoro pregnante è relativo all’affrontare
i nodi traumatici esperiti nel passato. La
comprensione dei contenuti traumatici,
della confusione temporale e della sovrapposizione esperienziale risultano elementi
riparatori del trauma. Viene utilizzato anche l’EMDR1 come strumento di cura del
trauma.
1
Eye Movement Desensitization and Reprocessing, è una tecnica
che utilizza la stimolazione bilaterale, prevalentemente attraverso
l’uso dei movimenti oculari, il tapping o la stimolazione acustica.
SHANTHI
Percorso di ricostruzione della storia
Si tratta di un cammino terapeutico che ha
la finalità di ripercorrere la storia pregressa, al fine di ricostruirla e dare un senso
agli eventi.
Il rivedere ciò che è avvenuto in passato,
dandogli un senso temporale e un significato, risulta importante poiché traccia una
linea del tempo. Permette di distinguere
il passato dal presente e di proiettarsi nel
futuro.
Si tratta di un lavoro mirato e strutturato
avente finalità rielaborative.
Il racconto della storia è raccolto in forma
scritta e illustrato con fotografie, immagini e disegni. Il prodotto finale è un libro
che contiene tutti gli eventi importanti che
hanno caratterizzato la vita del soggetto,
49
SPECIALE
M
BAR
D
IA
AMI LO
CENTRO DI
PSICOLOGIA
CLINICA
D E L L A FA M I G L I A
Il Centro di Psicologia Clinica
della Famiglia
Che cos’è e cosa fa il Centro di Psicologia Clinica della
Famiglia attivato da AMI? Com’è nato questo progetto
e, soprattutto, come si è sviluppato in questi anni? In
quali campi e con quali strumenti opera? Scopriamolo
meglio per sfruttarne tutte le opportunità!
SHANTHI
Il Centro di Psicologia Clinica della Famiglia nasce come pensiero condiviso tra tutti
gli operatori AMI, per dare visibilità e spazio a un lavoro che da tempo era strutturato nell’Ente.
L’esperienza consolidata di lavoro ha fatto
comprendere come sia necessario mettere
a disposizione degli utenti un servizio capace di accogliere diversi tipi di domanda
di aiuto.
Con l’adozione dei bambini si aprono tanti aspetti legati al sostegno della famiglia,
che nel tempo si articolano e si definiscono in molti modi, che vanno dal sostegno
alla coppia e alla genitorialità, alla psicoterapia (individuale, di coppia, di famiglia,
per minori e per adulti), alla valutazione/
50
sostegno/monitoraggio/potenziamento
dell’ambito scolastico e cognitivo.
Il bisogno delle famiglie, che nel tempo si
è andato a definire, è stato di avere a disposizione e potere usufruire di un servizio
avente uno spazio e un luogo definiti e in
cui riporre le diverse domande di aiuto.
Sempre più la richiesta si è affinata, così
come i progetti pensati dagli operatori,
che cercano di essere mirati al bisogno
... affinare il proprio sapere
intorno alle tematiche dei
disturbi dell’attaccamento
e del trauma...
condiviso delle tante persone che ruotano
intorno ad AMI.
La strutturazione di un Centro di Psicologia Clinica della Famiglia ha permesso
anche a famiglie esterne ad AMI di poter
accedere a percorsi di aiuto. Nel tempo,
infatti, l’accesso è stato non solo da parte
di famiglie adottive, ma di tutti coloro che
cercavano un luogo in cui iniziare un progetto volto al benessere.
I progetti attuati sono individualizzati e calati sul bisogno specifico di ogni protagonista.
L’intervento maggiormente attivato è quello della psicoterapia, sia per adulti che per
bambini e ragazzi. Si tratta di percorsi che
hanno quasi sempre la specificità di portare il soggetto a una elaborazione degli
aspetti traumatici e disturbanti del suo pregresso.
Essendo l’esperienza di AMI partita da bambini adottivi, per gli operatori è stato necessario affinare il proprio sapere e la propria
qualifica professionale intorno alle tematiche dei disturbi dell’attaccamento e del
trauma. Gli operatori continuano nel loro
cammino formativo, cercando di acquisire
sempre maggiori competenze, anche accedendo a metodi terapeutici che possono
sempre più sostenere i percorsi di cura dei
tanti pazienti.
L’esperienza ha anche permesso di costruire
una rete professionale esterna di supporto
in ambiti di intervento non presenti in AMI.
Ne è esempio l’integrazione con figure
neuropsichiatriche, spesso attivate per interventi o di valutazione testale più approfondita o ancora per eventuale valutazione
di somministrazioni farmacologiche.
Capita che subentrino o siano già presenti
malesseri molto grandi, per cui uno sguardo attento e “professionalmente altro” può
essere di grande aiuto.
Ancora è stata importante nel tempo la
collaborazione con strutture ospedaliere,
volte alla valutazione e cura di aspetti più
neurofisiologici.
La collaborazione con i Servizi Territoriali con uno scambio di compiti e impegni,
permette di articolare progetti chiari e definiti, in cui non vi è una sovrapposizione e
confusione sul chi fa che cosa. Anche con i
Servizi Sociali vi sono stati progetti di condivisione e lavoro.
Il Centro di Psicologia Clinica della Famiglia di AMI vuole proporsi come servizio
qualificato a disposizione di un’utenza interna, che svolge il percorso adottivo con
l’Ente, ma anche esterna, che necessita di
trovare un luogo di cura e di sostegno.
SHANTHI
51
SPECIALE
M
BAR
D
IA
AMI LO
CENTRO DI
PSICOLOGIA
CLINICA
D E L L A FA M I G L I A
Che cosa si intende
per trauma?
Chiarire i termini, soprattutto quelli scientifici e tecnici,
ci aiuta ad andare in profondità nei problemi, a
comprendere e quindi a trovare gli strumenti migliori
per agire.
Che cos'è un trauma psicologico?
Il trauma psicologico è un evento grave che una
persona vive come estremamente stressante e che
corrisponde a una minaccia all’integrità fisica,
propria o di altri, o all’identità psicologica.
Nella definizione ufficiale il trauma è determinato da “un evento o eventi che hanno implicato
morte o gravi lesioni o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri...
La risposta della persona comprende paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore.”
SHANTHI
Gli eventi traumatici producono reazioni
emotive e corporee importanti, che non
sempre il cervello riesce a elaborare.
Quasi mai l’elaborazione dell’evento traumatico avviene spontaneamente, più frequentemente le emozioni e le sensazioni
corporee si bloccano e costruiscono reti
neuronali disfunzionali che compromettono il normale funzionamento psichico e il
benessere della persona.
Quando una persona vive un evento traumatico, accade che le risposte biochimiche
blocchino il sistema innato del cervello di
elaborazione dell’informazione.
52
Accade che le informazioni collegate al
trauma restino isolate e intrappolate in una
rete neuronale con le stesse emozioni, convinzioni e sensazioni fisiche che esistevano
al momento dell’evento (cit. I. Fernanzez).
Nella memoria il trauma rimane come ricordo nella sua forma originaria, con la
stessa percezione sensoriale (odori, sapori,
rumori, colori), con gli stessi pensieri che
aveva al momento dell’evento, con le stesse
emozioni, con le stesse sensazioni fisiche.
Il trauma resta fisso nella mente, come se
non sia esistito un prima e un dopo. Resta
come ricordo isolato dal resto della rete
dei ricordi di vita.
L’impatto del trauma psicologico è soggettivo. A seconda delle caratteristiche
di personalità, dell’ambiente circostante,
della struttura emotiva e cognitiva di ogni
persona un evento può essere più o meno
traumatico.
Abbiamo diversi tipi di traumi, quelli detti con la T maiuscola, intesi come esterni,
si tratta di situazioni gravi esterne alla vita
quotidiana del soggetto. Sono i lutti, le malattie, gli incidenti, i terremoti, eventi che
mettono in pericolo l’incolumità fisica o
psichica del soggetto.
Vi sono i traumi con la t minuscola, detti interni e sono rappresentati da tutte le
situazioni di pregiudizio che caratterizzano la vita della persona, in generale che si
verificano nell’infanzia. La trascuratezza,
la patologia delle cure, il maltrattamento,
l’abuso e l’abbandono sono esempi di traumi con la t minuscola.
Non irrompono improvvisamente nella vita
della persona, ma ne costellano l’infanzia e
la crescita.
Dunque gli eventi che potenzialmente possono scatenare un trauma psicologico non
includono solo condizioni estreme e fuori
dal comune, ma molto spesso possono riguardare anche esperienze di pregiudizio,
che influiscono sul senso di valore dell’individuo, sulla sua sicurezza, sull’autostima
e sul suo senso di efficacia personale.
Riportando il tema del trauma ai bambini
adottivi, possiamo comprendere come siano di certo portatori di traumi con la t minuscola a cui a volte si sono sommati traumi con la T maiuscola.
Tali eventi spesso hanno condizionato il
loro sviluppo e il loro modo di percepire la
realtà esterna.
Di solito un soggetto di fronte a un pericolo si attiva per contrastare l’esperienza,
cerca di sopravvivere.
Il disturbo post-traumatico da stress
Secondo la più accreditata classificazione
delle psicopatologie, il DSM IV-TR, il disturbo direttamente legato a esperienze
traumatiche irrisolte è il disturbo posttraumatico da stress.
È facilmente diagnosticabile nei nostri
bambini che arrivano all’adozione.
Spesso lo stesso inserimento nella famiglia
adottiva funge da riattivatore del trauma,
portando a varie e plurime manifestazioni
che possiamo riconoscere nella sintomatologia del disturbo post-traumatico da stress.
Spesso i nostri bambini riescono a soddisfare tutti i criteri richiesti per potere fare
una diagnosi.
Con il desiderio di condividere come vengono effettuate delle diagnosi in ambito
psicologico e terapeutico si riportano, nel
riquadro qui a destra, i criteri a cui ci si
attiene per comprendere il disagio.
Criterio A - la persona ha vissuto un evento traumatico
nel quale erano presenti entrambe le caratteristiche:
• ha vissuto eventi che hanno implicato una minaccia
alla sua integrità fisica e mentale;
• la risposta della persona comprende paura intensa,
sentimenti di impotenza, di orrore. Nei bambini ciò può
essere espresso con comportamenti disorganizzati e
agitati.
Criterio B - l’evento traumatico è rivissuto in modo
persistente in uno o più dei seguenti modi
• ricordi spiacevoli, ricorrenti e intrusivi degli eventi,
che comprendono immagini, pensieri o percezioni;
• sogni ricorrenti dell’evento;
• agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse
ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni ed episodi dissociativi di
flashback);
• disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori
scatenanti, interni o esterni, che simbolizzano o assomigliano all’evento traumatico;
• reattività fisiologica a fattori scatenanti, interni o esterni, che simbolizzano o assomigliano all’evento traumatico.
Criterio C - evitamento persistente degli stimoli associati al trauma e attenuazione della reattività generale:
• sforzi per evitare pensieri sensazioni o conversazioni
associate al trauma;
• sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano il trauma;
• riduzione marcata dell’interesse a partecipare ad attività significative;
• sentimenti di distacco, estraneità verso gli altri;
• affettività ridotta (fatica nel provare sentimenti di amore).
Criterio D - sintomi persistenti di aumentato arousal1
• difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno;
• irritabilità o scoppi di collera;
• difficoltà a concentrarsi;
• ipervigilanza;
• esagerate risposte di allarme.
Criterio E - la sintomatologia ha una durata di più di
3 mesi ed è catalogabile come disturbo cronico.
Criterio F - il disturbo causa disagio clinicamente significativo e in parte dà menomazione nel funzionamento sociale, familiare e amicale.
e con manifestazioni meno acute.
L’elaborazione dei versanti traumatici diventa essenziale al fine di un adeguato investimento affettivo, cognitivo e relazionale della vita.
Le terapie sul trauma includono molti metodi tra cui l’EMDR2.
Arousal: condizione temporanea del sistema nervoso, in risposta a uno stimolo, caratterizzato da un maggiore stato attentivo-cognitivo di
reazione agli stimoli esterni.
2
EMDR: Eye Movement Desensitization and Reprocessing, è una tecnica che utilizza la stimolazione bilaterale, prevalentemente attraverso
l’uso dei movimenti oculari, il tapping o la stimolazione acustica.
1
SHANTHI
Quando leggiamo tutti questi criteri, comprendiamo molte manifestazioni dei bambini che giungono in adozione.
L’attivazione di un contesto familiare che
sappia comprendere è assolutamente essenziale, così come la richiesta di aiuto terapeutico al fine di aiutare il bambino ad
affrontare ed elaborare il trauma.
Gli operatori AMI da anni lavorano su tali
tematiche e hanno percorso cammini formativi specialistici al fine di poter aiutare i
bambini, e anche gli adulti, ad affrontare
questo tipo di disagio.
Il suo presentarsi può essere sia molto evidente e invalidante che, a volte, sommesso
I CRITERI PER COMPRENDERE IL DISAGIO
53
SPECIALE
M
BAR
D
IA
AMI LO
CENTRO DI
PSICOLOGIA
CLINICA
D E L L A FA M I G L I A
La genitorialità come
riattivatore del passato
Prima di guardare negli occhi i nostri futuri figli,
dobbiamo affrontare i bambini che sono racchiusi
nel nostro cuore, a volte così spaventati e feriti
da non volerli neppure ricordare!
SHANTHI
Il diventare genitori è una delle esperienze più importanti della vita, quella che fa
sì che rimanga una nostra traccia nel futuro. Il senso delle generazioni è quello della
continuità di una vita familiare, che rimane
nel ricordo di chi resta e che vede il tramandarsi di pensieri, di affetti, di abitudini
e di ricette di vita. Nei figli resta l’immagine dei genitori e tutto ciò che hanno loro
tramandato.
Accanto alle cose belle, è però doveroso
ricordare che passano anche tutti i dolori
e tutte quelle parti traumatiche che non
sono state adeguatamente guardate ed elaborate.
In un articolo molto interessante la famosa psicoanalista Selma Fraiberg narra dei
fantasmi nella stanza dei bambini, ossia di
quegli intrusi del passato che prendono
la residenza nella relazione figli–genitori.
Spesso sono l’eredità di un dolore familiare pregresso o di una tragedia relazionale,
che riprende corpo nel momento in cui la
persona realizza la genitorialità, non consentendole più di vedere la propria realtà.
I bambini divengono, anche solo per il fatto di essere presenti, i riattivatori di una
54
storia dolorosa di cui spesso i genitori non
sono consapevoli.
I fantasmi che si rianimano sono fonte di
grande dolore e nei casi estremi, dove non
possono essere accolti, portano alla riedizione di una storia passata.
I genitori più fragili vedono se stessi negli
occhi del bambino e quel contatto li fa stare troppo male. Li ricollega al loro essere
stati dei bambini tristi, soli, trascurati, maltrattati o abusati e capita che non sia possibile e tollerabile ascoltare.
Questa è la tragedia familiare che porta a
scatenare la rabbia sui figli, a picchiarli o a
lasciarli soli senza lo sguardo amorevole di
cui avrebbero bisogno.
Nelle storie drammatiche, che sono poi
le storie dei minori adottivi, è come se il
bambino reale non potesse esistere, perché
accogliere il proprio figlio significa ricontattare il bambino che si è stati. Sono le vicende in cui i Giudici decidono che non c’è
nulla da fare, che è impossibile per quel genitore cambiare e sanarsi. Per il bambino si
decide che c’è necessità di una nuova vita.
Il bambino che arriva in adozione è il portatore di più storie,
della passata su cui
bisogna
lavorare,
ma anche di quella
della famiglia adottiva, che spesso non
è esente da suoi dolori.
È responsabilità del
genitore adottivo
essere disponibile a
guardarsi e a lavorare su di sé quando
necessario, per potere vivere con una
sufficiente gioia e
serenità la propria
genitorialità.
Capita nell’adozione che anche il solo pensare ai bambini che verranno riattivi i vecchi
fantasmi sopiti, che fanno male e paura.
Lavorare significa liberarsi di un peso pericoloso che si frappone nella relazione.
Lavorare significa liberarsi
di un peso pericoloso...
SHANTHI
Un trauma con la T maiuscola:
il lutto
Liliana è una bella ragazza, alta e sportiva.
Arriva in AMI con un grande entusiasmo
e da subito si avvicina agli operatori con
molto affetto.
Iniziamo il nostro cammino con un gruppo, qui si parla dei bambini e delle loro
storie passate.
Certo sono storie difficili e complesse, fatte di grandi sofferenze e a volte rendono
complicato l’ascolto. Negli occhi di Liliana
passa sempre un turbamento quando trattiamo di certi argomenti. È un turbamento che va oltre... oltre quei bambini di cui
parliamo.
Gli occhi si perdono e vagano altrove, il
viso arrossisce e pare inquieto.
Quando ci incontriamo nei colloqui di
coppia per parlare dell’adozione, si creano
dei veti e dei disagi intorno a certi temi.
Liliana non può assolutamente pensare
all’abuso, la fa stare troppo male, la allerta
e non sa dirsi perché… perché così tanto.
Ci vediamo da sole, in un colloquio individuale, io le dico che comprendo che certe tematiche siano molto forti, ma che mi
pare che in lei diventino qualcosa di più.
Le dico che vedo quello sguardo lontano,
che sembra raggiungere altri luoghi che
non sono l’adozione.
Liliana allora comprende, fa una sua associazione e inizia raccontare una storia
traumatica sepolta da anni. Storia che non
aveva mai raccontato al marito e che poi
gli narrerà.
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... per sopravvivere emotivamente all’evento non
aveva trovato altra soluzione che congelarlo nella
mente.
… Liliana aveva iniziato le scuole superiori, immagino che come tutti i ragazzi sia
stata emozionata e impaurita in quel nuovo mondo, fatto di persone grandi.
Racconta della fortuna che ha avuto
nell’incontrare Rosa e nel fare fin da subito amicizia con lei.
Era una ragazza più grande e aveva tanti
amici dentro e fuori scuola.
Più volte l’aveva invitata alle gite dell’oratorio e lei era stata proprio bene.
Erano diventate amiche e Rosa era una sicurezza per lei.
Poi succede il dramma.
Rosa tornando a casa incontra un uomo,
che la aggredisce e la violenta.
La ragazza cade, picchia la testa e muore.
SHANTHI
Liliana racconta il dramma e il dolore provato e si rende conto che per sopravvivere
emotivamente all’evento, troppo invasivo
per lei, non aveva trovato altra soluzione
che congelarlo nella mente.
Il lutto di Rosa e tutto ciò che la circondava era come svanito nella memoria. Liliana
aveva continuato la sua vita, facendo nuove
amicizie, studiando, laureandosi, lavorando, fidanzandosi, sposandosi e ora volendo
diventare mamma...
Rosa era stata persa nella mente, non era
stata più nominata o raccontata, era stata
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dimenticata.
Ma come tutti i grandi traumi, il lutto di
Rosa era rimasto in agguato e la sollecitazione delle storie dei bambini adottivi lo
aveva richiamato e fatto improvvisamente
riemergere, creando in Liliana disagio e
paura.
Con Liliana abbiamo fatto un viaggio di ritorno a Rosa e al lutto della sua morte.
Liliana ha cercato tracce di quel grave
evento e ha scoperto che allora tutti i giornali avevano parlato del dramma della ragazza uccisa.
Liliana si è ricordata che per un anno intero sul banco di Rosa c’erano stati dei fiori freschi, che tutti gli studenti erano stati
sconvolti dall’uccisione ed erano in lutto.
Poi era tornata a scuola e aveva ritrovato
una sua insegnante che ricordava tutto e
che le aveva rinarrato gli eventi. Era stato
anche pubblicato un libricino di poesie dedicate a Rosa, scritte da tutti gli studenti
della scuola.
Liliana ha molto sofferto nella riapertura
del suo trauma, ha ripercorso il dolore e
il terrore, il senso di smarrimento e di insicurezza.
Liliana ha capito che per lei la parola abuso era il riattivatore del lutto di Rosa e non
poteva che richiamare lo sgomento e il senso di morte.
… da allora tanta strada è stata fatta e Liliana è una splendida mamma di due bellissime bambine. Certo essere genitori non
è semplice, ma ora non è confuso con quel
trauma così forte e potente da potersi definire trauma con la T maiuscola...
Per Laura lo spazio terapeutico diviene il luogo in
cui condividere e depositare i dolori...
BAR
SHANTHI
La psicoterapia in età evolutiva
Un colloquio clinico con un bambino è
molto interessante, è necessario che il bimbo abbia compiuto almeno 4-5 anni, che
abbia già una sua strutturazione.
È di regola essenziale con i bambini il consenso, la motivazione e la partecipazione
dei genitori. Dove non c’è consenso genitoriale il processo curativo non si attiva.
I genitori hanno la grande funzione di appoggiare e sostenere il percorso dei loro
figli. È prioritario che anche loro credano
nel percorso curativo e nella necessità di
una sua attivazione.
Con bambini molto piccoli si svolgono sedute congiunte genitore-bambino, diviene
utile videoregistrare per poi riguardare insieme al genitore quanto avvenuto, al fine
di rinforzare le parti fragili e sostenere/
potenziare le parti più armoniche e sane.
I bambini sono consapevoli dei loro malesseri, sono spesso capaci di raccontarli e
sanno gioire dello spazio terapeutico quando diviene il luogo in cui depositare le parti doloranti.
In AMI spesso i percorsi psicoterapeutici con i bambini hanno avuto la funzione
di aiutarli nel dare voce ai ricordi passati,
nell’elaborare le parti doloranti e traumatiche e nel ricostruirsi nel presente, cercando anche di proiettarsi nel futuro.
Gli strumenti che si usano nei colloqui in
età evolutiva sono diversi da quelli utilizzati con gli adulti. Si utilizza la parola, il disegno, il gioco e a volte anche il computer.
M
IA
La psicoterapia è un intervento che viene
richiesto quando una persona si trova in
un momento di crisi e di sofferenza. Il soggetto può essere consapevole di cosa ha generato la difficoltà, ma sembra non trovare
la soluzione per attenuare il malessere.
Lo stato di crisi può essere causato da tanti
aspetti: ansia, tristezza, paure, conflitti e disagi familiari, difficoltà nell’affrontare dei
momenti di vita, disturbi dell’alimentazione, uso di sostanze ecc.
Nella nostra esperienza, la domanda nasce
dal volere affrontare nodi problematici e
traumatici della vita presente o passata e a
volte di un presente che duplica il passato.
La domanda generale nella richiesta di
aiuto è quella di volere modificare qualcosa che è percepita come dolorante e inadeguata.
Nella “credenza popolare” una psicoterapia è un processo lungo e senza fine, che
indaga su ogni aspetto dell’esistenza, nella
realtà si parla di progetto psicoterapeutico strutturato sui bisogni e possibilità della
persona. Possono essere processi brevi e
mirati o processi lunghi, perché insieme al
paziente si inizia un viaggio buono e produttivo che deve abbracciare il vero bisogno dell’individuo.
CENTRO DI
PSICOLOGIA
CLINICA
D E L L A FA M I G L I A
D
Il valore di un progetto psicoterapeutico attraverso il
racconto di una bambina alla sua prima esperienza di
seduta. Il coraggio di affrontare i nostri ricordi e con
essi le nostre paure.
SPECIALE
AMI LO
Una bambina coraggiosa
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SHANTHI
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Diario clinico di una prima seduta
Laura è una bella bambina di 8 anni, ha
due occhietti vispi, attenti e sorridenti, che
si guardano intorno e si aprono speranzosi
alla relazione.
Sembra contenta di essere venuta da me
e i genitori pare abbiano fatto un ottimo
lavoro nello spiegare la funzione dello spazio del colloquio, perché da subito Laura
lo usa per depositare, come dice lei, i suoi
“pesi del cuore”.
Per Laura lo spazio terapeutico diviene
il luogo in cui condividere e depositare i
dolori, i pensieri, le paure che la coinvolgono. Comprende come sia utile rivedere
ciò che è avvenuto nel suo passato e non
si spaventa, lasciandosi coraggiosamente guidare nella rivisitazione di tutto ciò che
è avvenuto. Laura è una bambina molto
brava e intelligente che riesce a collegare il
passato ed il presente, comprendendo che
alcune sue paure attuali sono la riedizione
di eventi passati.
Ma a volte capita che l’immaginario e la
fantasia la invadano facendola stare molto
male. “Ciao, sai il mio problema è il mio corpo. Mi fa
prurito e mi fa male, mi viene voglia di toccarlo.
Allora mi spavento e chiedo alla mamma di fare
la doccia prima di andare a dormire.
Io non dormo sempre bene, ho paura del buio e
chiedo alla mamma e al papà di stare nel loro
letto. Quando mi mandano a letto prima e loro
salgono dopo io ho paura e sto con gli occhi
sbarrati. Quando il mio corpo mi prude leggo la
Bibbia e mi viene soprattutto se guardo la televisione, se ci sono dei baci. Se vedo Beautiful con
la nonna mi succede.
Sai mi sento un po’ stupida e una bambina cattiva…
… Sono in Italia da quando avevo 4 anni, ora
vado a scuola e faccio la terza elementare.
Sono amica di Giuliana, Francesca e Valentina,
sono le mie migliori amiche. A scuola sono stata
seduta vicino a Francesca fino a ieri poi lei mi
mia mamma. Anche a Carmen voglio un po’
bene e un po’ la odio. Vorrei però rivedere Javier
e sapere come sta. Mi chiedo perché non sia venuto con me in adozione.
Bene ti ho detto tutto… io ho come un sasso nel
cuore e credevo che nel tempo sarebbe diventato
più piccolo, ma sai è sempre grande uguale e mi
fa sempre male. Mi puoi aiutare?”
Laura ha imparato a dire
quando ci sono le giornate
in cui fatica a concentrarsi
su cose più complesse...
Da lì sono andata da Sandra che però anche lei
non era brava. Io ero lenta e non mangiavo e lei
mi mandava a letto senza mangiare. Suo marito
mi ha picchiato.
Poi finalmente è arrivata la foto dei miei genitori e sono venuta da loro. Voglio tanto bene alla
Laura è una bambina brava, ma soprattutto
coraggiosa che non demorde mai e che è
riuscita ad affidarsi allo spazio terapeutico
per potere stare bene.
SHANTHI
ha chiesto di non offendermi, che si sedeva vicino a Valentina… io non mi offendo è giusto che
stia anche con lei…
Il mio pensiero è la Colombia dove mi picchiavano e c’era mio fratello Javier che non mi lasciava
stare… aveva 7 anni…
Il papà aveva lasciato la casa e la mamma Carmen era piccola quando sono nata. Aveva 14
anni e le piacevano tanto i ragazzi. Aveva quella stupida mania di invitarli a casa, io e Javier
eravamo lì. Vivevamo in una casa di legno e lei
beveva i liquori con i ragazzi.
Poi mi aveva mandato da un pastore, che era
sposato e aveva due figlie, ma io cercavo di scappare e non volevo stare. Poi mi avevano anche
cambiato nome e non mi piaceva.
Da qui è iniziato un viaggio importante,
abbiamo ricostruito tante memorie, attraverso le parole, i disegni, le immagini e i
giochi.
Un giorno Laura è arrivata e mi ha chiesto:
“Mi fai vedere l’immagine di una ragazza giovane e ubriaca?”.
Abbiamo aperto il computer e abbiamo
cercato. Lei è stata colpita da un’immagine di una giovane donna stesa per terra
e visibilmente ubriaca. Era l’immagine di
una ragazza molto bella, dai capelli lisci
e lunghi con dei pantaloncini corti e una
canotta. Stesa su un pavimento in legno.
“Carmen era così, stava così, sembra proprio lei.
Poi è come ti avevo detto la casa sembra di legno,
da noi il pavimento era proprio così.”
Abbiamo insieme ricostruito con dei disegni la casa in cui viveva, prima vuota senza
protagonisti, perché per lei era troppo difficile vedere Carmen seduta sul divanetto
in compagnia dei “suoi ragazzi” e vedersi
“sdraiata sulla coperta per terra vicino ad
Javier”.
Poi piano piano è entrata e si è posizionata
in quella piccola stanza, si è ricordata di
ciò che avveniva, ne ha avuto paura, rabbia
e tristezza. Abbiamo insieme attraversato
molte fasi, al fine di rendere i ricordi meno
disturbanti e connotati da un sentire più
adeguato alla vita, meno intrusivo e invadente.
Il lavoro continua e Laura ha imparato a
dire quando ci sono le giornate in cui fatica a concentrarsi su cose più complesse e
desidera riempirsi di parti buone che rinforzano positivamente la sua persona.
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SPECIALE
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BAR
D
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AMI LO
CENTRO DI
PSICOLOGIA
CLINICA
D E L L A FA M I G L I A
L’uso della fotografia
nella psicoterapia
Un gesto, un volto, un istante congelato in un’immagine
che rimane una silenziosa testimonianza, che non
giudica né consola ma, proprio per questo, diventa un
pezzo prezioso per ricostruire il puzzle delle nostre vite.
SHANTHI
Le fotografie fanno parte della nostra vita
quotidiana, con facilità le scattiamo, le teniamo, le inviamo e le buttiamo. Si scattano con le macchine fotografiche con i tablet e con i cellulari.
Sono di luoghi, di gruppo e di noi. Si fanno i selfie, con la lingua fuori, con la bocca
a bacio e diventano il segno di un tempo,
di un’età e di una moda. Se ne fanno tante,
in tanti momenti, tutte simili e tutte diverse.
La fotografia sembra una semplice espressione di un istante o di un momento, spesso non si pensa al suo grande significato e
alla sua grande implicazione interna.
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Sono spesso un prodotto di scambio, di
presentazione e di riconoscimento.
Sicuramente sono lo strumento dei ragazzi, che scattano con i cellulari centinaia di
foto, per noi tutte uguali e per loro sempre
diverse. Il primo piano sembra di regola e
non è importante se il viso riempie tutto
lo spazio e sembra grande non lasciando
posto ad altro.
A volte in due sembrano fare la guerra per
un centimetro di foto.
C’è chi è intero e chi è a metà.
...un guardarsi continuo
nelle tante sfumature di un
corpo che cambia.
Tutto questo fa comprendere come le fotografie abbiano per l’uomo una funzione importante e diversa a seconda delle fasi della
vita.
Gli adolescenti attraverso le loro tante immagini è come se si specchiassero e si riguardassero, per potersi riconoscere e individuare in un percorso di crescita che li
porta a cambiare.
La foto è un guardarsi continuo nelle tante
sfumature di un corpo che cambia e che a
volte è difficile da seguire.
Anche i bambini amano le fotografie e sembra un piacere collegato al vedersi riflessi.
Per un bimbo il vedere la propria immagine
in uno specchio, in una pozza d’acqua o in
una fotografia produce un’esperienza piacevole e gioiosa.
Il riflesso è una conferma di loro stessi e
della loro identità. La fotografia per i bambini diviene una dimostrazione di sicurezza del loro posto
all’interno della famiglia e nel
mondo. Sin dai primi giorni di
vita il riflettersi (in qualcosa o
in qualcuno) è centrale nello
sviluppo di sé. I bambini hanno
bisogno di essere riconosciuti
come piccoli e unici, non essere
visti o essere ignorati è un’esperienza estremamente angosciante. Uno dei nodi del dolore abbandonico è proprio il non essere
mai stato dentro a qualcuno e non
essersi mai visto o riflesso nello
sguardo della madre.
Le fotografie aiutano un individuo
a conoscere se stesso e la propria
identità.
Le persone si prendono tanta cura delle fotografie perché sono un legame anche con
il passato, una preziosa conferma dell’essere stati nel mondo e di avere vissuto.
Le fotografie aiutano concretamente a immaginare le diverse fasi della vita, imprimendo momenti e particolari che possono
essere conservati all’infinito.
Da questa premessa è possibile comprendere il dolore dei bambini, dei ragazzi e
degli adulti adottivi che sono giunti alla
famiglia adottiva senza il bagaglio fotografico. Senza la possibilità di rivedersi nelle
tappe della loro storia e della loro crescita.
Lo strumento fotografico diviene allora un
interrogativo e un’espressione importante
nel percorso terapeutico. L’uso si articola
intorno a diverse domande.
Ma io come ero da piccolo?
Spesso nel percorso terapeutico con i
bambini sorge l’interrogativo naturale del
come possono essere stati da piccoli, se anche loro hanno vissuto le normali tappe
evolutive che ogni bambino vive. Accanto
al processo elaborativo del passato subentra il desiderio di rivedersi per come erano realmente. Allora diventa importante
insieme al terapeuta iniziare a immaginare
e ricostruire. Nella assoluta consapevolezza
che non stiamo usando le vere fotografie,
viene fatta la ricerca di immagini che possano in un certo modo raffigurarli da neonati, da bimbi che hanno gattonato, che
hanno imparato a camminare, a parlare,
che hanno avuto due… tre… quattro...
cinque anni… Una per l’album
Chi ricorderà
Che quest’estate il cane rosso aveva le pulci
e che puzzava di stalla?
Che in agosto un bambino aveva spaccato il
naso a suo fratello
e che il tetto della fattoria faceva acqua?
Quelle mele per terra
ronzavano piene di api
e odoravano di marcio.
La macchina fotografica non mente mai.
Discerne il vero con meno pietà del pennello
facendoci salire per sempre lì
sopra la staccionata bianca
sotto il melo
nel campo illuminato dal sole.
Margaret Newlin
Usare le immagini che ricostruiscono le
tappe di sviluppo, risponde al bisogno di
normalizzazione dei bambini. Permette
loro di pensarsi in un processo di vita, in
una continuità che appartiene a
ogni essere umano.
Nel lavoro della ricostruzione immaginata
a volte si parte dal certificato di nascita o
da dati significativi dei documenti.
SHANTHI
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SHANTHI
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L’ospedale in cui sono nati, se un ospedale
c’è stato, spesso è significativo, con l’immagine del suo ingresso o dell’intero stabile.
Diventa rassicurante almeno in parte sapere che per la nascita forse c’è stato un germoglio di pensiero di cura, per cui quella
figura materna si è recata a partorire in un
luogo più protetto.
Sappiamo dai racconti dei bambini come i
parti improvvisi di fratelli portino in sé un
aspetto traumatico da riparare: “mio fratello
è nato sotto il ponte” … “mia mamma è andata
dall’altra parte ed è tornata con mio fratello”
… “lei è nata in bagno sopra il water io l’ho
presa in braccio e l’ho accudita” … “non sapevo dovesse nascere mia sorella, mia madre era
sparita ed è tornata con mia sorella”… Possiamo pensare (quando è possibile fare tale
ricostruzione) che il sapere di essere nati
in un luogo idoneo, visibile anche attraverso un’immagine, è un dato importate che
dà valore a sé. La ricostruzione immaginata permette al
bambino di comprendere quali sono state
le sue vere tappe di sviluppo, le sue vere
dimensioni e le sue reali potenzialità nei
diversi periodi di vita.
A volte questo consente di ridimensionare
vissuti angosciati che non riescono a placarsi.
Per tanto Paula aveva pensato a tre anni di
avere lasciato la sua mamma da sola al freddo
in quel tugurio, perché era sempre stata lei a raccogliere la legna del fuoco. L’immagine congelata di quella mamma per anni l’aveva assillata e
fatta sentire in colpa e angosciata.
Ricostruire significa vedere anche in una
luce diversa la realtà, cogliendo la propria
reale dimensione di bambina bisognosa di
accudimento e realisticamente incapace di
svolgere compiti gravosi e pesanti. Significa spesso dare giuste dimensioni e giuste
attribuzioni di responsabilità.
La colpa e la rabbia sono sentimenti che
bloccano il processo elaborativo, l’insieme
dei vari strumenti terapeutici permette di
evolvere il sentire andando oltre. Elaborare vuol dire provare emozioni più ecologiche, non si cancellano i ricordi ma assumono una valenza più armonica. I ricordi
divengono sopportabili, integrati nella vita
e non più intrusivi e disturbanti.
Il volto della madre
Nella ricostruzione immaginata a volte si
cerca di dare corpo ai ricordi legati alla figura materna biologica. La ricerca di fotografie, spesso tratte da Internet permette
di dare corpo ai piccoli pezzetti di ricordo.
Anche questo lavoro è un “come se...”, di cui
si ha consapevolezza della realtà. Spesso
la ricerca permette di dare un’immagine
di normalità a idee che rimaste solo nella mente si trasformano in elementi angosciosi e disturbanti.
È una ricostruzione più frequentemente
usata con gli adolescenti e serve proprio
per fermare piccoli particolari che sembrano sfumare dalla memoria o per rivedere
realisticamente chi li ha generati.
Franceli, parlando della madre della Colombia,
la descriveva con la faccia cattiva. “aveva la
faccia cattiva” … “non so come dire cattiva” …
alla richiesta di portare immagini di donne che
potessero rappresentarla era giunta alla seduta
successiva con quattro fotografie. I volti erano
tutti di donne belle e giovani, nessuna “cattiva” o aggressiva, ma tutte con lo sguardo distante o distratte da altro. Sono state lo stimolo
importante per rivedere la figura d’origine come
una madre affaticata, che non riusciva a porre
lo sguardo sulla figlia. Forse troppo presa dal
tenere insieme le proprie parti, non poteva permettersi di centrare l’attenzione anche su altro.
Lo sguardo cattivo subentrava quando Franceli piccolina cercava la sua attenzione, creando
frustrazione e rabbia.
A volte ci sono personaggi conosciuti che
ricordano le madri d’origine, per il colore,
per i tratti, per il look.
Elias ricordava la madre nella campionessa di
corsa delle olimpiadi. Le assomigliava, aveva
il viso simile e forse anche lei correva lontano,
troppo lontano, per non tornare più.
Oppure ancora...
“la Maria” aveva un neo sulla guancia, come
una donna sudamericana di una foto qualsiasi trovata su Google. Ma era stata abbastanza
per vedere emergere una memoria dolorosa che
abbiamo dovuto affrontare nel lungo lavoro terapeutico.
Voglio rivedere e ricostruire i luoghi
in cui ho vissuto
Internet ha dato la grande possibilità di
viaggiare senza spostarsi dalla scrivania.
A volte ricostruire i luoghi e ripercorrerli
diventa un modo per fare riemergere me-
morie sopite, ma anche per ricostruire parti di memoria frammentate e mancanti.
Ho girato in tante città, sempre dall’alto
con l’aiuto dei satellitari, ho accompagnato dei ragazzi nella ricostruzione della loro
memoria dei luoghi. Ho ripercorso per più
volte le stesse strade e non mi sono mai annoiata. A volte la ricerca porta a trovare la
casa in cui hanno abitato e a imprimere la
fotografia per tenerla per sempre.
Molti adolescenti, anche con l’aiuto dei
genitori, trovano i luoghi e portano in seduta le immagini di dove sono stati. Sono
ricostruzioni importanti che vanno guidate. Piccoli stimoli, la porta un po’ aperta,
il cancello verde che lascia intravvedere il
cortile, la casa del vicino, la finestra della
stanza, possono essere riattivatori di forti
memorie che vanno poi debitamente trattate.
Sono però, anche qui, il rivedere una realtà che spesso è meno paurosa e spaventosa
della fantasia.
Nella psicoterapia la fotografia è diventato
uno strumento utile ed essenziale, che accompagna insieme ad altri metodi, l’elaborazione di elementi dolorosi.
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CLINICA
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Lettera al passato
Per metterci in contatto con il nostro passato può essere
necessario un "francobollo" speciale fatto di coraggio,
dolore e dell'amore di chi ci sta vicino.
aro passato,
molti è il termine che userò, in questa lettera piena di parole che vanno a ritmo
della penna che scrive la mia storia, per descrivere coloro che vivono nell’ignoranza nel non sapere e nella convinzione di sapere tutto e di possedere tutti. Coloro
che non si guardano indietro, attorno, per vedere con gli occhi del cuore la semplicità
della bellezza, la brutalità, la cattiveria ma… alla domanda: qual è la montagna più
alta del mondo io dico: “IGNORANZA!”.
Fin da piccola attraversavo queste stanze, con una ciotola d’acqua e uno straccio, le
facevo tutte di corsa poiché ogni volta che entravo cercavo un segno. Un segno che mi
avrebbe tranquillizzato. Un semplice sorriso.
“È un lavoro” diceva mamma. ”È un lavoro come altri, è un lavoro che porta cibo a
casa” mi sorrideva, ma io sentivo in quel lavoro solo le grida, il dolore, lo scrosciare
del sangue e il vibrato dell’orrore. Ormai ci avevo fatto l’abitudine, la violenza era un
compagno indesiderato che purtroppo c’era e con cui dovevo fare l’abitudine.
Il mio sogno? Sopravvivere.
Ironico no? Sarebbe un diritto. Bah, io poi sui diritti e doveri non ne so poi così tanto.
Vi suonerà strano ma a volte chi non usa il cervello è colui che sopravvive! In questa
vita, in mezzo a questa gente che si affanna a fare leggi, leggi che impongono limiti
alla verità e io cerco di fare quell’innocuo passo che dimostra la mia presenza in questo mondo.
Sono stata messa sull’autobus, mamma mi ha detto che tornerò e che mi vuole bene…
che parola, chissà se ha la sua profondità. Sono in un posto dove la dignità si perde e
il rispetto fugge via tra le ombre e io, qui, con la mia sorella più piccola.
Il mio dovere? Indossare un ruolo di madre, chissà come mai e perché è pesante come
un mattone. Un mattone che a ben vedere sembrerebbe leggero, perché rotto dalle
sue ferite, dalle sue perdite. Ma non è così! Passano mesi, conto giorni sulle ferite, ne
ho così tante dentro al mio cuore, che di giorni ce ne vogliono per arrivare a quella
porta, vicino un cartello: libertà.
Gli uomini, strani esseri, io li vedo dappertutto, anche nel mio letto. Ormai è la normalità. Insomma è come raccogliere fiori morti in un campo.
Un giorno. Mi svegliano, mi pettinano, mi lavano e mi fanno le treccine: che succede?
Forse sono arrivate le ali.
“Sono arrivati”, mi dicono. “Siete molto fortunati, vi porteranno via da questo schifo!”
Ma chi? E perché mi vogliono portare via da qui?
“È mamma?!” mi dice mia sorella, correndo verso la porta. Le corsi dietro, come faccio
a dirle che mamma ci ha abbandonati?
La porta si apre e subito l’amore prende il volo. Che cos’è? Ho gli occhi chiusi, ascolto.
Questo calore e questo ritmo, cosa sono?
Aprii a fatica gli occhi e vidi che la vita è solo una farfalla le cui ali prendono il colore
delle mie emozioni e quella farfalla in quel campo morto prese il volo.
Questo è uno dei preziosissimi prodotti dei
nostri ragazzi.
Questa lettera ha partecipato a un concorso e ha vinto perché esprime efficacemente
tutte le angosce, i vissuti traumatici, ma anche la forza e il coraggio che appartengono alla storia dei nostri ragazzi.
Lo strumento della “lettera al passato” è
stato utilizzato anche all’interno dei gruppi adolescenti e proposto agli adolescenti
come possibilità di raccontarsi.
Misurarsi con il passato vuol dire per loro
poter esplicitare emozioni interne complesse e talvolta distruttive, come la rabbia,
il dolore, il vuoto dell’abbandono..
Rivolgendosi al passato gli adolescenti
esprimono dolore ma nello stesso tempo
anche gioia perché è ricco di brutti e di bei
ricordi...
È un passato che qualcuno vorrebbe cancellare per iniziare una nuova pagina di
vita.
... ricostruzioni importanti
che vanno guidate.
SHANTHI
I ragazzi parlano di un passato che ha fatto loro molto male, che “ha maltrattato e ha
abusato di loro, li ha picchiati e infine abbandonati”.
Qualcuno dice “non sono fortunato, perché
la vita gioca brutti scherzi e i grandi sembrano
grandi ma sono deboli...”
Partendo dallo stimolo del lavoro individuale, scrivendo al loro passato, gli adolescenti esprimono concretamente o simbolicamente i propri vissuti e agganciano la
ricchezza dei ricordi che portano al gruppo e diventano materiale di lavoro.
Il gruppo diviene uno spazio di confronto
tra pari che preserva la segretezza: per loro
è rassicurante la regola del “non giudizio”
che permette di esporsi sul piano personale in un ambiente protetto e tutelante.
Ascoltando le storie degli altri ci si riconosce un po’ e si cresce, attraverso un’elaborazione e “digestione di gruppo”.
I percorsi terapeutici proseguono poi nello
spazio individuale, per aiutare i ragazzi nella ricostruzione della propria storia e per
sostenerli nella loro “ricerca individuale”.
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CENTRO DI
PSICOLOGIA
CLINICA
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Progetto di intervento
sui disturbi e le difficoltà
di apprendimento
Per i bambini adottati, in particolare per chi arriva
già “grandicello” in Italia, affrontare la scuola è un
momento difficile e spesso anche per i loro genitori
questa esperienza rischia di diventare faticosa e
frustrante; conoscere meglio eventuali difficoltà e
affrontarle con l’aiuto di uno specialista permette
di vivere meglio queste esperienze.
SHANTHI
Difficoltà scolastiche e disturbi specifici
dell’apprendimento sono temi molto attuali nella scuola oggi. Ma che cosa sono?
E qual è la differenza tra i due?
Le difficoltà di apprendimento sono difficoltà generiche che il bambino può incontrare durante il percorso scolastico, tali
difficoltà sono generalmente temporanee
e possono dipendere da vari fattori come
una predisposizione individuale, una situazione personale o familiare che interferisce con i processi di apprendimento o un
disagio dovuto a una difficoltà di adattamento del bambino all’ambiente scolastico come ad esempio difficoltà nel rapporto
con i compagni o con le insegnanti.
Con il termine disturbo specifico dell’ap-
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prendimento (DSA) ci si riferisce, invece,
a un gruppo eterogeneo di disturbi consistenti in significative difficoltà negli apprendimenti scolastici. Si parla di disturbi
specifici dell’apprendimento nel caso in
cui il soggetto, indenne da problemi di
ordine cognitivo, neurologico, sensoriale, presenti una difficoltà inattesa in qualche settore specifico dell’apprendimento
ascrivibile a difetti costituzionali di natura
neurobiologica che possono derivare da
diversi fattori legati allo sviluppo fetale, a
condizioni particolari pre o post natali, o
anche a una predisposizione genetica.
Possono coesistere con il disturbo specifico di apprendimento anche problemi nei
comportamenti di autoregolazione, nella
percezione sociale e nell'interazione sociale; questi non costituiscono di per sé un disturbo specifico dell’apprendimento, ma a
volte ne sono una conseguenza.
Dislessia evolutiva, disortografia, disgrafia,
discalculia, deficit d’attenzione e iperattività rientrano nei DSA. Il rilevarne tempestivamente la presenza permette di fornire
strumenti e strategie per apprendere attraverso “strade alternative a quella deficitaria”.
Richiedere l’aiuto di uno specialista in caso
si osservino difficoltà in ambito scolastico è
importante per aiutare il bambino, la famiglia e la scuola a comprendere meglio la
situazione e, se necessario, individuare le
strategie di intervento più adatte ad affrontare le difficoltà riscontrate. L’obiettivo del Servizio di valutazione e
trattamento dei disturbi dell’apprendimento e delle difficoltà scolastiche è, quindi
quello di “gestire” nel modo migliore la
situazione di difficoltà, evitando che si sviluppino altre forme di disagio, come una
percezione di inadeguatezza e un calo
dell’autostima, con possibili conseguenze
anche importati sull’umore del bambino e
sul suo atteggiamento verso la scuola.
Il trattamento è basato su interventi tesi a
potenziare aree dell’apprendimento scolastico in difficoltà o nelle quali sono stati
identificati dei disturbi specifici. Parallela-
Aree di intervento
• potenziamento dei prerequisiti dell’apprendimento scolastico,
• riabilitazione del processo di lettura strumentale,
• riabilitazione delle componenti ortografiche della scrittura,
• potenziamento dell’apprendimento e del
calcolo matematico,
• potenziamento del problem solving matematico e geometrico,
• potenziamento della comprensione del
testo e del metodo di studio,
• training sull’utilizzo di software compen-
SHANTHI
Per quanto riguarda la valutazione del
tipo di problematica riscontrata, il Servizio
adotta una procedura diagnostica che, attraverso l’utilizzo di test e prove standardizzate, permette un’analisi delle funzioni
intellettive, una valutazione delle diverse
abilità scolastiche e delle funzioni cognitive oltre che alcuni aspetti di personalità e
di motivazione.
La procedura diagnostica segue le linee
guida della Consensus Conference e dell’AIRIPA, l’Associazione Italiana per la Ricerca
e l’Intervento nella Psicopatologia dell’Apprendimento e comprende:
• valutazione delle funzioni cognitive;
• valutazione degli apprendimenti (lettura, scrittura calcolo, problem-solving);
• valutazione neuropsicologica (memoria,
attenzione, abilità visuo-spaziali, motricità
fine, linguaggio).
A termine della valutazione, viene stesa
una relazione che sarà successivamente
consegnata alla famiglia con relativa spiegazione di ciò che è emerso e del possibile
percorso consigliato.
mente, si supportano il senso di auto-efficacia e la motivazione all’apprendimento.
L’intervento riabilitativo è progettato in
base al profilo funzionale del caso e viene
svolto utilizzando strumenti specifici, di efficacia comprovata da numerose ricerche
svolte da diversi enti, come l’Università di
Padova e l’Associazione AIRIPA.
L’efficacia dell’intervento specifico viene
inoltre valutata regolarmente, a livello sia
qualitativo che quantitativo. Per tale motivo, la durata dell’intervento viene definita
in base alle caratteristiche del singolo caso
ed è continuamente adattabile all’evoluzione del suo profilo.
Per la diagnosi e il trattamento, il Servizio
si avvale della figura qualificata di uno psicologo specializzato sui Disturbi dell’Apprendimento. Gli interventi vengono svolti
in incontri individuali.
67
SHANTHI
68
sativi, come software di sintesi vocale o di
videoscrittura,
• training per lo sviluppo della consapevolezza delle difficoltà attentive e lo sviluppo
di efficaci strategie di controllo consapevole di attenzione e concentrazione.
Lo sviluppo del cervello
è in parte automatico e
in parte sensibile alle interazioni con l’ambiente
circostante...
DSA e adozione
Il Servizio di valutazione e trattamento dei
disturbi specifici dell’Apprendimento opera presso il Centro di Psicologia Clinica
della Famiglia di AMI da due anni circa.
Fino ad ora la maggioranza dei bambini da
me seguiti sia nella valutazione diagnostica
che nel trattamento sono bambini adottati,
per la maggior parte provenienti da Brasile
e Colombia, ma anche da Etiopia e India.
Dalla mia esperienza di lavoro in AMI sono
emerse alcune specificità connesse con la
condizione adottiva.
Una delle specificità emerse in modo più
evidente e presente nella maggior parte
dei bambini da me valutati, è la presenza
di comportamenti di disattenzione a volte
associati a iperattività.
Da alcuni studi effettuati sembra infatti
che nei bambini adottivi sia più probabile riscontrare problematiche nell'ambito
dell'attenzione, della concentrazione, del-
la capacità di autoregolazione (scarsa capacità di prestare attenzione alle consegne e
alle spiegazioni, di mantenere la concentrazione, di memorizzare, di organizzarsi,
di completare un compito in autonomia);
iperattività, difficoltà nel controllo degli
impulsi e nel rispetto delle regole; condotte disturbanti e atteggiamenti oppositivi
che spesso inducono anche atteggiamenti
di rifiuto da parte dei coetanei.
All'origine di tali difficoltà possono esserci
diversi fattori che derivano sia da componenti biologiche che psicologiche, spesso
in interazione.
Lo sviluppo del cervello e la differenziazione delle sue diverse funzioni è in parte automatico e in parte sensibile alle interazioni con l’ambiente circostante. Lo sviluppo
neurologico di un bambino può quindi essere influenzato sia da variabili genetiche
che da situazioni positive o negative pre o
post natali.
La mancanza di figure di accudimento stabili, maltrattamenti o abusi subiti durante
l’infanzia, scarsa o assente stimolazione e
malnutrizione, situazioni frequenti nella
prima infanzia dei bambini adottati, possono infatti influire su uno scarso sviluppo
dei circuiti integrativi cerebrali che presiedono alcune importanti funzioni cognitive
come memoria, attenzione, apprendimento, regolazione delle emozioni, comportamento, relazionalità, risposta a situazioni
di stress.
Questo non vuol però dire che tutti i bambini adottati hanno difficoltà scolastiche,
inoltre, per fortuna, il cervello è un organo
molto plastico e questo gli consente gran-
In questa parte del mio lavoro con i bambini incontrati in AMI ho potuto riscontrare
buoni risultati nei trattamenti effettuati.
È risultato fondamentale, a causa delle elevate difese che i bambini adottati mettono
in atto inizialmente nel rapporto con le figure adulte, dedicare una consistente prima parte alla costruzione della relazione e
al lavoro sull’acquisizione della fiducia nella loro capacità di recupero. Questa fase iniziale è risultata di fondamentale importanza, è un momento molto
delicato in cui la costruzione di una buona
relazione ha lo scopo di costruire le basi
per un intervento efficace, questo vale in
tutti i tipi di terapia, ma è tanto più importante con i bambini adottati, che spesso
hanno costruito muri e difese ancora più
rigidi. L’abbattimento delle difese iniziali
con questi bambini richiede più tempo, ma
è importantissimo per riuscire a ottenere
buoni risultati nella fase del trattamento
vero e proprio.
Nella mia esperienza personale a volte, infatti, la costruzione della fiducia verso una
figura di riferimento è sufficiente per ristabilire un rapporto positivo con sé stessi e
per aprirsi alla possibilità di essere aiutati
sia a casa che a scuola. Si costituisce così
un circolo virtuoso che permette di superare gran parte delle difficoltà incontrate a
livello scolastico e che inevitabilmente influiscono sull’autostima personale già abbastanza compromessa da una complessa
storia di vita.
!
Shanthi ha dedicato un
focus sui DSA nel numero
2/2010, puoi consultarlo al
sito Shanthi.it, negli arretrati.
SHANTHI
Queste mie osservazioni sono supportate
dalla letteratura sul tema che ci dice che
“mediamente, i minori adottati presentano generiche difficoltà scolastiche e disturbi specifici
di apprendimento in percentuale maggiore dei
coetanei; emerge altresì una maggiore incidenza
di difficoltà scolastiche generiche correlate a immaturità psicologica e funzionale (rallentamenti nello sviluppo delle funzioni intellettive causati da problematiche pre e perinatali, situazioni
di deprivazione precoce, traumi, spesso appare
assai evidente uno scarto tra l'età emozionale
e cognitiva e l'età anagrafica) per gli adottati
più grandi: effetti negativi dei primi apprendimenti in una lingua diversa/aver frequentato
scuole con insegnamento inadeguato (secondo le
ricerche: i più a rischio di incontrare difficoltà
di tipo linguistico sono gli adottati tra i 4 e gli
8 anni (età in cui il linguaggio si consolida)”.
dissime possibilità di recupero.
Figure di accudimento stabili e un ambiente sereno e accogliente permettono infatti
di recuperare molti dei traumi e delle carenze subite in passato.
Per questo, a livello scolastico, qualora si
presentino difficoltà nel percorso, è importante un intervento precoce attraverso
un percorso di trattamento delle difficoltà
e potenziamento delle funzioni cognitive.
Inoltre comprendere il tipo di difficoltà
permette di aiutare anche i genitori e la
scuola a intervenire nel modo più appropriato.
69
SPECIALE
AMI VE
CENTRO DI
PSICOLOGIA
CLINICA
D E L L A FA M I G L I A
N
ETO
Tre serate al cinema per
riflettere sulla famiglia
Cinema: uno strumento piacevole, capace di
coinvolgere persone di tutte le età, per sorridere e
riflettere insieme sui temi e sui problemi della famiglia.
Per promuovere i servizi del Centro di Psicologia Clinica della Famiglia sul territorio di Padova abbiamo organizzato, con il
patrocinio del Comune di Limena, alcune
serate “al cinema” aperte alla cittadinanza.
Lo scopo della visione dei film proposti è
stato quello di offrire un momento di aggregazione e di riflessione sulle tematiche
della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza, in un’ottica di incontro e confronto tra genitori.
SHANTHI
Abbiamo aperto il ciclo di incontri con il
film “Genitori e figli. Agitare bene prima
dell’uso” (Veronesi, 2010), che, con leggerezza e ironia, ha potuto offrire spunti
di riflessione sulle dinamiche familiari e
su tematiche particolarmente comuni alle
70
famiglie moderne come la conflittualità di
coppia, la separazione, il difficile compito
di essere genitori di bambini e di adolescenti.
Il secondo film proposto è stato “Valentin” (Agresti, 2002), scelto per affrontare
il tema dell’infanzia. La voce del piccolo
protagonista ha aperto la discussione su
come può essere il mondo visto attraverso gli occhi di un bambino di nove anni,
che si ritrova a porsi domande e questioni
alle quali è difficile rispondere da soli. Il
confronto successivo alla visione del film
è stato orientato a riflettere sull’infanzia
in generale e su come gli adulti possano
facilitare oppure ostacolare la capacità di
espressione dei bambini.
Per l’ultima serata abbiamo proposto il film
“Come te nessuno mai” (Muccino 1999), un
racconto sull’adolescenza, sui suoi conflitti
e sulle sue passioni, sull’incontro-scontro
tra le generazioni, sulle “rivolte” e i passaggi verso un’identità ancora in costruzione.
Tra i partecipanti hanno preso parte alla
discussione anche alcuni adolescenti insieme ai loro genitori, rendendo il confronto
particolarmente coinvolgente e acceso.
Visto l’interesse dei temi trattati, AMI e il
Comune di Limena hanno deciso di riproporre per l’anno 2016 un nuovo ciclo di
appuntamenti per discutere in gruppo e
approfondire con i partecipanti le tematiche relative alla famiglia.
SHANTHI
71
LETTERE
&
TESTIMONIANZE
Dedichiamo questo spazio alle lettere e testimonianze inviate alla redazione. Accoglieremo segnalazioni di esperienze interessanti, in linea con gli obiettivi AMI,
ma anche argomenti che riterrete importante segnalarci e brevi comunicazioni.
Chiediamo aiuto perché...
[email protected]
di Francesca Mantegazza
Madre adottiva
Prima di inoltrarci nelle “stanze” dei percorsi formativi
di AMI, ascoltiamo le parole di chi ha bussato alle loro
porte, alla ricerca di consigli, aiuto ma anche di ascolto
e accoglienza!
Dopo nove anni esatti dall’adozione eccoci nella piena adolescenza di entrambi i nostri figli. Un periodo della vita complicato, bello e
terribile. Ogni emozione viene vissuta a mille.
Dai ragazzi… ma, di conseguenza, anche dai
genitori. Nuove ansie, nuove preoccupazioni,
dover imparare a fare i genitori in questa fase.
Così, appena invitati al nuovo ciclo di incontri
formativi esperienziali su questo tema1, non ci
abbiamo pensato due volte.
SHANTHI
Perché?
Perché il confronto con gli altri genitori aiuta a vedere i propri “problemi” sotto un’altra
72
luce, perché se il confronto è con genitori ormai
“esperti”, o proprio con loro, gli adolescenti, si
impara a vederli un po’ meno come extraterrestri. Già, perché gli adolescenti (non tuo figlio!) sono disponibili ad aprire il loro cuore e
a raccontarsi, facendo un regalo a quei 10/15
genitori che li ascoltano vedendosi davanti il
proprio figlio, cercando la chiave per aprire il
cuore scrigno che in famiglia fa così fatica a
schiudersi.
Perché grazie a questi ragazzi e ai loro racconti
proviamo ad avvicinarci e comprendere un po’
di più i nostri figli divenuti alieni.
Perché ogni incontro smuove emozioni e fornisce spunti di riflessione profonda, tenendo
conto della storia adottiva dei ragazzi. Spunti,
stimoli per la riflessione, risposte a domande e
spazio di confronto che al di fuori di AMI non
ho mai trovato.
Perché Simona (la dott.ssa Silvestro) e Sophie
(la dott.ssa Perichon) ci sanno guidare all’interno di questo mondo, aiutandoci a comprendere e interpretare alcuni messaggi che i ragazzi, i nostri, ci inviano. E soprattutto giocano
un ruolo grandissimo nella terapia individuale (nell'ambito del Centro di Psicologia Clinica
della Famiglia) e di gruppo dei nostri ragazzi 2.
E se molti adolescenti sono stati in grado di
aprirsi e raccontare le loro storie (a volte molto
dolorose) è stato grazie al loro preziosissimo lavoro psicologico.
Perché dopo ogni incontro non posso fare a
meno di pensare che questo tipo di incontri dovrebbero essere proposti a ogni genitore di adolescente .
È vero, non viene fornita la bacchetta magica
per risolvere le situazioni… ma qualche pezzo
per cominciare a costruirsela, sì.
Gruppo continuativo per genitori sul tema dell'adolescenza. Ad alcuni incontri hanno partecipato adolescenti che hanno portato la loro
testimonianza.
2
Si riferisce al gruppo adolescenti al quale partecipano i ragazzi.
1
Una vita "tsunamica"
La testimonianza di una mamma sul percorso intrapreso
come genitori di due figli adottivi. Accompagnati dalle
psicologhe e dalle altre famiglie AMI.
di Cristina Michelotti
Madre adottiva
1
Sophie Perichon, psicologa di AMI.
nianze di adulti adottivi e non, che Sophie ha
portato e che ci hanno reso più consapevoli rispetto
alle storie, spesso simili, dei figli.
È stato prezioso capire, attraverso l’aiuto e la guida delle psicologhe, cosa si cela dietro certi atteggiamenti oppositivi o rabbiosi o aggressivi di molti
bambini che proprio non ce la fanno; oppure dietro i comportamenti di quei figli apparentemente
“perfetti”, che quasi non sembra nemmeno siano
stati adottati e che magari sono anche bravissimi
a scuola.
È stato liberatorio riuscire a mettersi a nudo di
fronte alla rabbia che da mamma – e parlo per me
– si prova verso un’altra mamma biologica tanto
incapace. E poterla far uscire questa benedetta rabbia, senza sensi di colpa, perché avercela è anche
un po’ normale.
È stato utile diventare consapevoli che il percorso
da fare coi figli è in salita, a volte molto ripida, a
volte con qualche caduta, ma comunque percorribile. L’importante per noi genitori è non mollare
mai.
Concludo dicendo che il Gruppo adulti sul trauma (che riprende con cadenza mensile dalla fine di
ottobre) non è stata una passeggiata. È stato difficile da affrontare. È stato faticoso. Per certi versi
è stato riattivante, come spesso sono riattivanti i
figli che arrivano da lontano e che con le loro storie
traumatiche riaprono tanti nostri pezzetti sofferenti, che magari ci eravamo “dimenticati” di aver
vissuto.
SHANTHI
Il 24 maggio 2010 sono diventata mamma di tre
figli colombiani. L’esperienza di vita più “tsunamica” che mi sia mai capitata. Felicità estrema
associata a uno sconquasso interiore devastante.
Roba da perdere quindici chili in 52 giorni! E questi sentimenti fortissimi e totalmente opposti si fondono giornalmente dentro di me da cinque anni.
AMI da sempre ci sostiene, ci aiuta, ci accoglie...
ci “raccoglie”, quando ci sembra di essere arrivati
al limite e ci fa ripartire carichi di nuove energie.
Io e Andrea, che non è solo un marito, ma il compagno di un viaggio quotidiano, quando abbiamo
deciso di intraprendere il percorso verso l’adozione
(e prima di entrare a far parte del mondo AMI)
non sapevamo nulla di bambini adottivi, di traumi, di riattivazioni, di disegni post-traumatici…
Eravamo però certi di una cosa: volevamo diventare mamma e papà.
Poi sono arrivati i nostri figli con il carico doloroso
e traumatico del loro vissuto. E il 24 maggio 2010
siamo nati come famiglia, negli uffici ICBF alle 11
di una mattina di sole: siamo rinati tutti e cinque.
Da mamma e papà li abbiamo accolti così come
sono e abbiamo iniziato un lungo cammino certe
volte difficile, a volte tortuoso, ma anche pieno di
felicità e amore, perché loro tre sono i nostri figli:
punto e basta.
Tutto questo con il supporto, la preparazione e la
vicinanza empatica che come famiglia riceviamo
in AMI (e che ricevo come mamma) attraverso i
vari strumenti terapeutici a disposizione: le
terapie singole, i gruppi adulti, le conferenze, i seminari, gli incontri tematici, i gruppi adolescenti.
Avendo tre figli belli “effervescenti” – come dico io
- la mia esperienza in AMI è variegata.
Nello specifico vorrei spendere qualche parola riguardo al Gruppo adulti sul trauma iniziato
l’anno scorso a cui io e Andrea abbiamo partecipato.
È stato sicuramente importante condividere le esperienze di noi genitori e ascoltare le tante testimo-
73
L’innesto
Per fruttificare una pianta deve essere innestata su una
più forte, robusta che sia in grado di sostenerla, di farla
fiorire, di dare frutti... Un bravo giardiniere sa come
creare questa magica unione, ma ci vuole tempo... Che
cosa c’entra questo con l’adozione? Scopritelo qui sotto.
di Emanuela Mastropietro
Madre adottiva
SHANTHI
Un giorno, fuori dalla scuola di mio figlio Daniel, una mamma mi viene incontro agitando un
volantino e mi dice: ”Hai visto? C’è un corso di
cinque incontri sulla genitorialità! Tu ti iscrivi?”
Mi è venuto da sorridere e mi sono limitata a rispondere di no. Lei insiste e inizia una paternale
per sottolinearne l’importanza. A quel punto soffoco l’istinto di dirle ciò che penso sulla “ genitorialità in 5 serate” e mi limito a rispondere che
frequento già un corso simile con AMI. Lei realizza quindi che sono una mamma adottiva e dice:
”Ah, già, è vero che voi che adottate dovete pure
andare dallo psicologo, capisco che tu non abbia
voglia di venire”. In realtà io avevo rinunciato
più che altro per mancanza di tempo, perché credo
che la formazione non sia mai abbastanza per un
genitore, sia esso biologico o adottivo.
Io sono una mamma adottiva; di adozioni ne ho
fatte due, una in Brasile (la settimana prossima
festeggiamo 5 anni) e una in Colombia, tre mesi
fa.
Il fatto che fosse la seconda adozione non ci rendeva più tranquilli… io e mio marito eravamo
agitati ed emozionati come se fosse la prima volta.
74
In più questa volta c’era Daniel! Cosa avesse dentro realmente lui a “rivivere” l’iter adottivo, non
lo sapremo mai. Una cosa però è certa: lui voleva
una sorellina ma “il giudice” aveva scelto per lui
un fratello di nove anni.
Raccontando la nostra storia a un incontro ho
sottolineato quanto fosse diverso dall’immaginario di tutti noi il bambino che dovevamo raggiungere e quanto sia difficile essere preparati a gestire
e metabolizzare questa prima “frustrazione”.
Faccio la somma degli
anni passati ad aspettare tra la prima e la seconda adozione: in totale
cinque...
Mi hanno chiesto quindi di scrivere una riflessione sulla formazione.
Scrivere non è certo il mio mestiere e quindi, per
iniziare a riflettere decido, d’istinto, di leggere la
“definizione di formazione”.
Su wikipedia mi colpiscono queste due righe:
“La formazione richiede del tempo tecnico, tempo necessario per formare, per assimilare e per
comprendere“.
Subito mi viene in mente il mio percorso...
Tempo per formare
Il cosiddetto “tempo dell’attesa”, quello che ti
dicono che devi “riempire”.
Faccio la somma degli anni passati ad aspettare tra la prima e la seconda adozione: in totale
cinque (dai mandati, per gli amanti della precisione).
Io e mio marito l’abbiamo riempito molto quel
tempo, ma sembrava non passare mai.
Quando ero ragazzina e chiedevo a mia mamma se partorire facesse male lei rispondeva sempre: "Sì, ma poi te lo dimentichi".
Ricordo di aver pensato spesso a queste parole
quando ho avuto gli abbinamenti con i miei
bambini: d’improvviso ci siamo buttati alle
spalle tutto e siamo entrati nella seconda fase:
il “tempo per assimilare”.
Cause legate alla FAMIGLIA D’ORIGINE
Abbandono: povertà, negligenza,
guerra;
Destituzione: droga, alcolismo,
prostituzione...
Per immaginare il bambino ci si poteva aiutare
con l’elenco dei “casi speciali”:
Che ansia! Ricordo che mi consolavo pensando:
“Beh… non capiterà mica tutto assieme!“.
Al mio primo abbinamento ho iniziato proprio
a “filtrare” la teoria dalla pratica, a cancellare dalla mente tutti gli argomenti dei corsi che
“non c’entravano” col mio caso; ho assimilato
in fretta tutto ciò che avevo imparato sui “bambini con problemi sanitari”, ma ancora non ero
pronta.
Età
Numero di fratelli
Problemi di salute (con una
netta
distinzione tra reversibili e non reversibili)
SHANTHI
Tempo per assimilare
Più che assimilare io direi “filtrare”. Ricordo
che quando ero una giovane mamma in attesa,
quando ancora non conoscevo AMI e frequentavo “solo” i corsi della ASL mi aveva molto
colpito l’elenco dei motivi per cui un bambino
finiva in istituto. Lo proponevano come una
specie di formulario con delle voci da barrare:
dovevi sceglierne alcune e immaginare un bambino e una storia.
Il formulario prevedeva titoli e sottotitoli:
Maltrattamenti
Abusi
75
SHANTHI
Non lo ero nemmeno la seconda volta quando
mi hanno parlato di Jhon Bairon: in quel caso
non potevo nemmeno filtrare: nella sua storia
c’era dentro tutto, ma proprio tutto! Credo che
la psicologa abbia compreso subito il mio sconcerto perché ricordo che continuava a ripetermi:
“È un bambino sano!” come per sottolineare che
qualcosa di positivo c’era e non dovevo “ barrare” proprio tutte le voci.
76
Tempo per comprendere
Il tempo per comprendere inizia con l’ incontro.
Quando ho incontrato i miei figli ho capito che
non ci sono schemi, che questo tempo dura tutta
la vita: non ci sono storie, nè casi speciali: ogni
bambino e ogni genitore è unico e ci si conosce e
ci si capisce a vicenda col tempo. Per qualcuno
risulta facile o è un processo istintivo e naturale,
per altri meno.
Un papà adottivo con cui parlavo di questo un
giorno mi ha detto: ”In fin dei conti l’adozione
è un innesto!”
Sorrido pensando a questa metafora e cambio
voce su wikipedia; leggo:
“L'innesto è una pratica agronomica per la moltiplicazione agamica delle piante realizzata con
la fusione anatomo-fisiologica di due individui
differenti (bionti), di cui il primo costituisce la
parte basale della pianta e il secondo la parte
aerea. Talvolta, l'innesto si realizza con tre individui, interponendo un terzo bionte, detto intermediario.”
Accidenti! Il paragone regge… rifletto ancora
un po’; penso ai 49 giorni in Colombia, a quanto sia stato difficile diventare la mamma di Jhon
che per mascherare rabbia e paura si era travestito da “hombre”!
Mi chiedo: “Quanto mi è servita la formazione?” La domanda mi suona strana e non so per-
ché, continuo a pensare all’innesto…
A un certo punto la risposta mi sembra ovvia: a
un genitore adottivo non serve “la formazione”,
serve un SUPPORTO!
È necessario quello professionale, ma non sufficiente; a me per lo meno non sarebbe bastato se
non avessi avuto il supporto degli amici, compagni di “corsi” e di attese.
Io ormai ho due famiglie: quella tenuta insieme
da legami di parentela, pranzi domenicali, regali di Natale e… la “famiglia AMI” fatta di feste,
pic-nic e grigliate.
Il legame è così intimo che ormai la nostra “formazione continua” è un lessico famigliare fatto
di battute che solo noi possiamo capire, fatto di
“whatsAppate quotidiane” con le amiche o “confidenze profonde davanti ad un caffè” (profonde
e rapide perché quando arrivano i bambini di
tempo non ne hai più!).
Questo ti dà la forza per andare avanti e, perché
no, anche di fantasticare; con le amiche infatti
diciamo sempre: prima o poi scriveremo un libro!
Chissà, forse un giorno lo scriveremo davvero
(in fondo basterebbe solo trascrivere i nostri messaggini) e nel nostro piccolo potremmo contribuire alla formazione di altre famiglie.
In bocca al lupo mamme (e papà)… in qualsiasi
“tempo” vi troviate.
PS: incontrando la stessa mamma fuori da scuola le ho chiesto come era andato il corso, mi ha
risposto amareggiata che non le è servito a niente perché non ha risolto i suoi conflitti con la figlia.
Come dico sempre ai miei bambini: ”Le bacchette
magiche esistono solo nelle favole!”.
VORREI AVERE IL TEMPO PER…
tema di Daniel Galbiati
Pensare a come sarebbe la mia sorellina,
perché è lontana e forse gli serve qualcuno
per proteggerla. Anche perché una sorellina è
come avere la felicità nel cielo e vedere tra
le nuvole un cuore con una faccina, oppure
vedere i propri sentimenti... vabbè in semplici parole vorrei pensare come potrei aiutarla
con l’amore che c’è dentro di me.
Centro
di Psicologia Clinica
della Famiglia
IL CENTRO DI PSICOLOGIA
CLINICA DELLA FAMIGLIA
II centro propone servizi specialistici rivolti alla cittadinanza per rispondere al bisogno di aiuto supporto
all’individuo, alla coppia e alla famiglia.
La filosofia di base è quella di offrire un servizio specialistico di qualità e di renderlo accessibile in termini di tempi e costi.
L'esperienza maturata negli anni nel campo delle
adozioni internazionali ci ha portato a conoscere a
fondo le famiglie e le problematiche dei minori.
La famiglia è intesa come un sistema complesso in
continua evoluzione: dalla famiglia tradizionale ai
nuovi tipi di famiglie (genitori single, separati, famiglie ricomposte, adottive, affidatarie).
Gli operatori del centro sono psicologi e psicoterapeuti che collaborano da tempo con AMI ONLUS; sono
accomunati da una visione psicodinamica dell’individuo e delle sue relazioni con l’obiettivo di sostenere il
singolo e la famiglia nei momenti di difficoltà. Le attività si propongono di accompagnare l’individuo e la
famiglia attraverso le tappe del ciclo di vita: nascita,
infanzia, adolescenza e età adulta.
COORDINATORI CLINICI
INFORMAZIONI TECNICHE
LOMBARDIA
Dott.ssa Sophie Perichon
psicologa, psicoterapeuta
AMI • Milano
Gli incontri presso Ie sedi AMI:
Milano
Via Manzoni, 10, Buccinasco (Ml)
Tel. 0245701705 • Fax 0245708630
VENETO
Dott.ssa Rossella Forese
psicologa, psicoterapeuta
AMI • Padova
Padova
Via del Santo, 67 • 35010 Limena (PD)
Tel-Fax 0498848183
TOSCANA
Dott.ssa Claudia Checchi
psicologa, psicoterapeuta
AMI • Lucca
Lucca
Via Borghi, 56 • Massarosa Lucca (LU)
Tel. 0584970071
I costi sostenuti sono scaricabili come
spese sanitarie
CONTATTI
scrivere all’indirizzo email:
[email protected]
o telefonare presso le sedi AMI lasciando, eventualmente, un messaggio in segreteria telefonica, indicando un recapito per essere ricontattati.
Centro
di Psicologia Clinica
della Famiglia
AREA INDIVIDUO E FAMIGLIA
•Consulenza psicologica
•Valutazioni psicodiagnostiche
•Sostegno e psicoterapia individuale,
di coppia, di famiglia, di gruppo
•Percorsi di gruppo per genitori:
biologici, affidatari, adottivi,
separati, single
•Laboratori formativi ed esperienziali
AREA MINORI
•Consulenza psicologica
•Valutazioni psicodiagnostiche
•Sostegno e psicoterapia individuale
e di gruppo
•Percorsi di gruppo: bambini e
adolescenti adottivi, in affidamento, figli di genitori separati
AREA SCOLASTICA
•Valutazione disturbi
dell'apprendimento
•Potenziamento cognitivo
•Consulenza e formazione
agli Insegnanti
AREA SERVIZI
•Incontri di rete
•Formazione su temi specifici
•Supervisione