federico garcia lorca

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federico garcia lorca
UNIVERSITA’ DELLE TRE ETA’
COLLEFERRO - SEGNI - ARTENA
FEDERICO GARCIA LORCA
A cura di Maria Fiorella Belli
Federico Garcìa Lorca 1898- 1936
Di Maria Fiorella Belli
Il 5 giugno del 1898 nasce a Fuentevaqueros (Granada) uno dei poeti più
conosciuti, più amati e citati in tutto il mondo: Federico Garcìa Lorca; la sua è una
famiglia benestante, il padre Rodriguez è infatti un ricco proprietario terriero,
mentre la madre Vicenta è una maestra molto colta anche se di umili origini. Il poeta
dirà in seguito “Da mio padre ho preso la passione, da mia madre l’intelligenza.”
Come spesso accadeva ai tempi, la madre a causa di una salute un po’
cagionevole, non lo può allattare; viene messo così a balia presso la moglie del capo
fattore del padre. Molte biografie parlano di una non meglio identificata “grave
malattia” che si sarebbe protratta fino agli quattro anni; tuttavia per alcuni è una
sorta di leggenda che è da attribuire ad una mancanza di agilità dovuta ad una
gamba leggermente più corta dell’altra, forse i piedi piatti, insomma piccoli difetti
che impediscono a Federico di partecipare a quei giochi che richiedono destrezza ed
agilità. (Non sale sugli alberi, ha difficoltà a scendere i gradini ecc…)
Nonostante questo è un bambino molto allegro, circondato da moltissimi
cugini (almeno una quarantina) che se lo contendono e lo viziano al punto tale che
Federico diventa il capo, il leader di questo gruppo chiassoso, da ordini ai suoi
coetanei, guida i giochi, ma allo stesso tempo rimane un bambino timido e pauroso
….e questa incongruenza o caratteristica che dir si voglia, lo seguirà per tutta la vita.
Quando Federico ha due anni nasce Luis, il fratello destinato a morire a soli
due anni di polmonite, dopo pochi mesi nasce Francisco, l’anno successivo nasce la
sorella Concha e dopo qualche tempo un’altra sorella, Isabel.
C’è un bell’ episodio che riguarda la prima fanciullezza del poeta e ve lo voglio
raccontare proprio per far capire, se ce ne fosse bisogno, quanto siano importanti le
prime impressioni e anche gli imput che si ricevono dai genitori. Magari piccole cose
che sono destinate a radicarsi nel nostro inconscio fino a diventare incancellabili…
“Una volta alla settimana la madre Vicenta lava e stende i vestiti di un’intera
famiglia di contadini del paese, talmente poveri da dover aspettare, nudi nella loro
casupola, che i loro unici indumenti siano asciutti. Federico accompagna spesso la
madre; ed è la prima presa di coscienza del proprio privilegio, ma anche
l’apprendimento della dura realtà che si nasconde sotto l’apparente spensieratezza
della vita andalusa…”
Una vera passione di Lorca bambino erano le Messe che “celebrava” con i
cugini in perfetta imitazione delle Messe vere e proprie, che, per altro erano
assiduamente frequentate dalla madre.
Ma una sera, tornando appunto da una Messa, vide dei burattinai che
allestivano in piazza il loro spettacolo. Fu amore a prima vista! Non solo non voleva
più tornare a casa, ma la stessa sera saltò la cena, volle tornare in piazza e il giorno
dopo, in giardino, allestì un piccolo teatrino di marionette sostituendolo per sempre
alle sue famose “Messe”
.
Grande osservatore, quieto ma attento Federico non perderà un particolare
del mondo che lo circonda: dalla campagna ai visi dei suoi cugini e amici, ai vestiti, ai
colori, ai sapori e gli odori che riporterà intatti anni dopo nelle sue poesie e
commedie.
Con la nascita dell’ultima sorella Isabel, la famiglia si trasferisce a Granada
(città in cui si agita la peggior borghesia di Spagna) e lo iscrivono alla scuola media
presso il “Colegio del Sagrado Corazon de Jesus”. Della sua vita scolastica si saprà
poco o niente, di certo non andrà mai benissimo…è un alunno distratto e si annoia
molto; i maestri lo mettono sempre all’ultimo banco perché disturba la scolaresca e
questo episodio sarà fortemente sofferto dal poeta, tanto che lo ritroveremo, con
toni quasi drammatici, nella raccolta di poesie “Poeta en Nueva York”.
“Voglio piangere perché ne ho voglia/ come piangono i bambini dell’ultimo
banco/perché io non sono né un uomo né un poeta né una foglia/ma un polso
ferito che tocca le cose dall’altro lato.
Voglio piangere dicendo il mio nome,/rosa, bambino e abete sulla riva di
questo lago/ per dire la mia verità d’uomo di sangue/ uccidendo in me la beffa
e la suggestione della parola.”
La causa dei suoi insuccessi a scuola è forse dovuta al fatto che inizia a
frequentare i quartieri gitani, si appassiona alla musica, inizia a prendere lezioni di
piano dal vecchio maestro Antonio Segura verso il quale avrà sempre una infinita
riconoscenza. La storia di Granada, le meraviglie dell’Alhambra lo attraggono molto
di più delle noiose lezioni, inizia a leggere Beaudelaire e Victor Hugo…ascolta
Albeniz e Debussy e non solo; diventa tanto bravo nello studio del pianoforte che i
genitori pensano di mandarlo a Parigi a studiare composizione.
Ma tutto questo interesse per la musica è destinato a finire così rapidamente
come era nato quando il suo amatissimo maestro Segura muore.
Questa morte causa molto dolore al poeta che intanto si vede rifiutato
all’iscrizione alla facoltà di Lettere e Filosofia a Granada. L’anno successivo ci riprova
e inizia studi regolari di Lettere; nel frattempo si iscrive ad un piccolo Centro
Culturale d’avanguardia, frequentato da giovani intellettuali pieni di curiosità e di
voglia di sperimentare, il famoso “ Riconcillo” (l’angoletto). In questo ambiente, a
lui molto congeniale, farà amicizie fondamentali e durature che avranno anche un
peso notevole nello svolgersi della sua carriera di poeta e scrittore. Primo tra tutti
sarà Fernandez Almagro futuro critico teatrale e saggista. A lui Federico ricorrerà
sempre per consigli e lui diventerà, per contro, il maggior intenditore dell’opera
lorchiana.
Verso i 17 anni inizia a viaggiare in modo forse un po’ caotico, come fanno del
resto i giovani, assieme ai compagni di scuola. La Galizia, l’Andalusia, Madrid, la
Castiglia… località meravigliose che lo attraggono come lo attrae la storia della
Spagna e le storie del popolo andaluso… lui sarà sempre uno “spagnolo”, sarà
sempre profondamente radicato al suo territorio e alla sua gente… non sarà mai,
come accade per alcuni poeti o letterati un “cittadino del mondo”.
Proprio durante quei viaggi scriverà i diari degli itinerari e alcuni articoli che in
seguito verranno pubblicati in un libro, grazie all’interessamento del padre.
Scrive una poesia che dedica ad una bellissima pianista della quale si
“innamora” sentendola suonare, ma è proprio in questo periodo così delicato di
crescita e di confusione che si delineano, prendono forma in lui due punti
fondamentali:
- ribellione contro la Chiesa
- profonda angoscia sessuale
Scrive i primi articoli sulla vita dei monaci e dove sottolinea l’aspetto nevrotico
della vita dei conventi. Scrive anche sulle regole della musica che ritiene servano
solo ai principianti “Il vero artista deve improvvisare”- dice.
Quando Federico ha vent’anni, i genitori seriamente preoccupati degli studi
che non decollano, lo mandano alla “Residencia de Etudiantes” a Madrid, una scuola
prestigiosa, liberale e che poteva fornire al giovane vari orizzonti culturali.
Alla Residencia ritrova molti dei compagni del “Reconcillo” e incontra una
quantità di persone che diventeranno importanti in vari campi. Conosce Louis
Bunuel, futuro regista e il compositore Manuel De Falla; pubblica due pieces teatrali
di nessun successo, scrive moltissime poesie, compone e inizia a coltivare la sua
passione per il disegno, passione che lo accompagnerà per tutta la sua breve vita.
E’ un periodo molto bello per Federico; molto popolare tra gli studenti fa
conoscenze eterogenee che gli aprono mondi fino allora sconosciuti e lontani.
Ma, c’è sempre un ma, non è fidanzato….non corteggia ragazze, ha modi
educati ed è gentile con tutti; soprattutto non frequenta le case di tolleranza e
questo è un grave deterrente per la cosiddetta virilità di un giovane andaluso.
Cominciano a circolare le voci sulla sua presunta omosessualità, considerata
all’epoca e per il tempo “un grave difetto”, una colpa, una tara.
Bunuel, un giorno glielo chiederà senza mezzi termini e molto brutalmente
“Sei un finocchio?” e lui risponde “Io e te abbiamo chiuso!”
A 23 anni deve rinunciare alla laurea in lettere, ma promette al padre di
ottenere almeno quella in diritto; intanto scrive in brevissimo tempo il “Poema del
cante Jondo” (un canto flamenco dotato di particolare profondità espressiva), un
progetto dedicato al recupero dei valori essenziali dei canti primitivi andalusi che
doveva svolgersi a Granada.
Pubblica un libro di poesie “Libro de poemas” che dedica al fratello Francisco,
dove sono raccolte le prime bellissime poesie e dove il ricordo del poeta spazia dalla
sua infanzia felice, alla terra andalusa, alla campagna e ad un tema che percorrerà
tutta la sua opera cioè quello dell’amore irrimediabilmente perduto o infelice, tutto
questo pervaso da un forte senso di inadeguatezza, quasi non riuscisse a trovare la
sua dimensione, il suo posto nel mondo.
Un esempio è questa poesia intitolata “Se le mie mani potessero sfogliare”,
poesia disperata e dolcissima che racchiude tutto il rimpianto di un amore.
FOTO DI FAMIGLIA
SE LE MIE MANI POTESSERO SFOGLIARE
Pronuncio il tuo nome
nelle notti buie
quando gli astri vanno
a bere alla luna
e dormono gli alberi
delle foreste cupe.
Ed io mi sento vuoto
di passione e musica.
Orologio impazzito che canta
morte ore antiche.
Pronuncio il tuo nome
in questa notte buia,
e il tuo nome suona
più lontano che mai.
Più lontano delle stelle,
più dolente della pioggia quieta.
Ancora ti amerò
come allora? Quale colpa
ha il mio cuore?
Se si alza nebbia
quale nuova passione m’ attende?
Sarà tranquilla e pura?
Potessero le mie mani
sfogliare la luna
Un’altra stupenda poesia si intitola “Madrigale d’estate” ed è, secondo me,
un canto disperato rivolto ad una donna gitana tutta fuoco e passione: Estrella
proprio com’è nell’immaginario collettivo; una donna vista come fonte inesauribile
di piacere. Forse, a posteriori, si può anche interpretare come una incapacità al
rapporto d’amore con una donna, se pure amata…
MADRIGALE D’ESTATE
Unisci la tua bocca alla mia,
o Estrella gitana!
Sotto l’ora solare del mezzogiorno
morderò la mela.
Fra i verdi ulivi della collina
c’è una torre moresca,
colore della tua carne agreste
che sa di miele e d’aurora.
Mi offri nel tuo corpo ardente
il divino nutrimento
che da fiori al ruscello quieto
e stelle al vento.
Come ti donasti a me, luce bruna?
Perché mi desti pieni
d’amore il sesso di giglio
e i seni sonori?
Fu per la mia tristezza?
(Oh, miei goffi passi!)
Forse destò pietà in te
la mia vita spenta di canti?
Perché non hai preferito ai miei lamenti
le cosce sudate
di un San Cristoforo contadino
pesanti in amore e belle?
Dipingi con la bocca insanguinata
un cielo d’amore,
su un fondo di carne, la stella
violetta del dolore.
Prigioniero è il mio cavallo andaluso
dei tuoi occhi aperti,
e volerà desolato e assorto
quando li vedrà morti.
Se tu non m’amassi t’amerei
per il tuo sguardo cupo
come l’allodola ama il giorno nuovo
per la rugiada.
Unisci la rossa tua bocca alla mia,
o Estrella gitana!
Lasciami sotto il giorno chiaro
consumare la mela.
MADRIGALE
Il mio bacio era una melagrana
profonda ed aperta:
la tua bocca era rosa
di carta.
Lo sfondo un campo di neve.
Le mie mani erano ferri
per le incudini;
il tuo corpo era il tramonto
in un tocco di campane.
Lo sfondo un campo di neve.
Formarono stalattiti
nel trapuntato
teschio azzurro
i miei ti amo.
Lo sfondo un campo di neve.
I miei sogni infantili
si colmarono di muffa,
e il mio salomonico dolore trapassò la luna………. E lo sfondo un campo di neve.
Questi tre esempi di poesie sono tratte, come ho già detto, dal “Libro de
poemas”, poesie che ho faticato a scegliere tra le tante perché tutte bellissime.
Ma vorrei ripartire da quel lavoro fatto la Lorca sul “Poema del canto Jondo” che
tante soddisfazioni, onorificenze e consensi di pubblico gli ha procurato.
La lettura delle poesie riscuote infatti un grande successo di pubblico: provate
ad immaginare la bellissima Siviglia durante le celebrazioni della Santa Pasqua, che
sono sentitissime dagli spagnoli non solo da un punto di vista religioso, ma proprio
da un punto di vista folcloristico. Lui tiene una conferenza, e le letture delle poesie
che ne seguono sono accompagnate da due giovani chitarristi coinvolti dallo stesso
Lorca nello stesso progetto: Manuel Jofrè e Andreas Segovia .
Nonostante tutte queste interruzioni riesce a preparare gli esami che gli
restano per conseguire la sospirata laurea in legge e li prepara in brevissimo tempo
avvalendosi però dell’aiuto dell’amatissimo fratello Francisco, che era, al contrario di
lui un brillante studente.
Dice Lorca: “ finalmente il papà sarà contento e mi lascerà volare…Vorrei
visitare l’Italia”. In Italia non verrà mai, non farà in tempo… ma quello che voglio
sottolineare è la straordinaria completezza di questo artista a tutto tondo, di questo
ragazzo di 22-23 anni che recita, suona, scrive commedie, poesie, poemi, dipinge e
ha questa grande passione per il mondo dei burattini che gli è rimasta addosso da
quel primo incontro dell’infanzia. Un artista completo a 360 gradi che, quando
assiste alla prima dei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello, rimane
assolutamente affascinato tanto che quel tipo di teatro lascerà tracce importanti e
indelebili nelle sue future opere teatrali.
Intanto, per ricordare cosa sta succedendo nel mondo, c’è da dire che siamo
nel 1923, quando a settembre con un colpo di stato del generale Primo de Rivera,
viene abolito il Parlamento e si dichiara lo stato di guerra in tutto il paese.
Vorrei leggere adesso alcune poesie del “Canto Jondo”. Noterete la brevità e
la vivace rappresentazione, quasi visiva del mondo lorchiano: i colori, i sapori, il
canto, il senso di morte, i forti sentimenti della gente andalusa. Bisognerebbe
accompagnare queste letture con il suono della chitarra, come ha fatto lui … ma noi
abbiamo una grande immaginazione!
LA DANZA
Nella notte dell’orto
sei gitane
vestite di bianco
danzano.
Nella notte dell’orto
incoronate
di rose di carta
e di busnaghe.
Nella notte dell’orto,
i loro denti di madreperla
incidono l’ombra
bruciata.
Nella notte dell’orto,
le loro ombre si allungano
e toccano il cielo,
viola.
MEMENTO
Quando morrò
seppellitemi con la mia chitarra
sotto l’arena.
Quando morrò
tra gli aranci
e la menta.
Quando morrò,
seppellitemi, se volete,
in una banderuola.
Quando morrò
QUARTIERE DI CORDOVA
Nella casa si difendono
dalle stelle.
La notte precipita.
Dentro c’è una bambina morta,
con una rosa rossa
nascosta nei capelli.
Sei usignoli la piangono
alla grata.
La gente sospira
con le chitarre aperte.
Per finire con le poesie del “Canto Jondo” leggerò le ultime due dedicate alla
donna; due nomi di donna resi indimenticabili da Lorca: Lola e Amparo, due
bellissime figure talmente reali e vivide che pare vengano fuori dalle righe che le
compongono e che le riguardano.
LOLA
Sotto un arancio lava
fasce di cotone.
Ha gli occhi verdi
e la voce viola.
Ah! Amore,
sotto l’arancio in fiore!
L’acqua del canale
scorre piena di sole;
nell’oliveto
un passero canta.
Ah!, amore,
sotto l’arancio in fiore!
Quando Lola
avrà finito il sapone
verranno i toreri.
Ah!, amore,
sotto l’arancio in fiore.
AMPARO
Amparo,
come sei bella nella tua casa,
vestita di bianco!
(Equatore tra il gelsomino e il nardo).
Ascolti i meravigliosi
zampilli del tuo patio
e il debole trillo giallo
del canarino.
La sera vedi tremare
i cipressi con gli uccelli,
mentre ricami adagio
lettere sul canovaccio.
Amparo,
come sei sola nella tua casa,
vestita di bianco!
E com’è difficile dirti:
ti amo.
Dopo un anno di assenza, ma con una miriade di cose fatte e di progetti da
portare a termine, Lorca fa ritorno alla “Residenza dello Studente” dove ritrova
Bunuel e incontra un altro grande della pittura: Salvator Dalì, e, assieme al poeta
Rafael Alberti stringono una grande amicizia e ci sarà sempre nel loro gruppo una
grande ammirazione per le cose fatte da ognuno di loro. Insieme si
“contamineranno” perché a volte si ha la sensazione che, ad esempio, in un quadro
di Dalì si legga una poesia di Lorca e viceversa…. Una contaminazione buona, quindi,
che non vuol dire emulazione e nemmeno il fatto che si copiassero l’un l’altro…
Lorca inizia a scrivere la stesura di una pièce teatrale intitolata “Mariana
Pineda”, ispirata ad una figura di donna di Granada, una giovane vedova madre di
due figli piccoli, che diventa una sorta di eroina quando viene uccisa per il solo fatto
di aver bordato e ricamato una bandiera ai liberali, per amore di uno di essi. La
donna si innamora di Don Pedro de Sotomayor, bellissimo giovane capo dei liberali,
che gli chiede appunto di ricamare la bandiera con la quale sfilerà poi per le vie di
Granada quando sarà liberata dagli oppressori.
Mariana ricama giorno e notte, sfidando le continue visite dell’odioso Poderosa,
capo degli oppressori, e fa tutto questo perché si aspetta che una volta finita la
guerriglia il bel Pedro arriverà in groppa ad un cavallo bianco e la porterà con sé.
Ma, tutto questo non avverrà, anzi sarà interrogata e condotta in carcere
perché non vuole assolutamente fare il nome dell’uomo amato, anche quando, nel
cortile del convento dove viene tenuta prigioniera, sente dalla voce di una suora che
il capitano Pedro de Sotomayor è tornato in Inghilterra per liberare altri popoli dagli
oppressori. Mentre Mariana viene condotta di fronte al boia, pronuncia parole di
fuoco sulla libertà e sul bisogno dell’uomo di essere libero a tutti i costi…. Da
lontano il coro dice parole bellissime mentre accompagna Mariana alla morte:
“Quel giorno così triste in Granada
piangevano anche le pietre
perché Mariana moriva
sul palco per non denunziare…”
Lorca inizia ad avere sempre più rimorso, quasi una ossessione, per il fatto di
voler restituire ai genitori, il più presto possibile e con gli interessi, tutto il denaro
che spendevano e avevano speso per lui. C’è da dire che era un’ossessione
alimentata proprio dai genitori stessi, che, con continue pressioni gli facevano capire
di darsi da fare.
Siamo ne 1922 quando Lorca compone “Primeras canciones” e “Canciones”, due
raccolte di versi che lo rendono sempre più popolare e conteso dagli amici della
“Residenza”, dove ormai ritorna abitualmente perché soltanto li, circondato da
persone che lo stimano e lo amano, riesce a trovare una certa serenità. Serenità che
non ha, perché mancano i fondamenti per averla: amore, voglia di viaggiare, poco
riscontro da parte del grande pubblico e dei critici, poco denaro...
Ed è proprio la mancanza dell’amore, o anche della sua ambiguità non ancora
dichiarata e che a lui pesa come un macigno sul cuore, che gli farà scrivere versi
come questi…
NOTTURNO
Ho tanta paura
delle foglie morte,
paura dei prati
gonfi di rugiada.
Vado a dormire;
se non mi sveglierai
lascerò al tuo fianco il mio freddo cuore.
Che cosa suona
così lontano?
Amore. Il vento sulle vetrate,
amore mio!
Ti cinsi collane
con gemme d’aurora.
Perché mi abbandoni
su questo cammino?
Se vai lontana
il mio uccello piange
e la vigna verde
non darà vino.
Che cosa suona così lontano?
Amore. Il vento sulle vetrate, amore mio!
Non saprai mai
O mia sfinge di neve,
quanto
t’avrei amata
quei mattini
quando a lungo piove
sul ramo secco
e si disfa il nido.
Che cosa suona
Così lontano?
Amore. Il vento sulle vetrate,
amore mio.
Insoddisfatto anche dopo serate di teatro e di letture in cui ottiene grandi
applausi e consensi. Dice “L’estate finisce e sono ancora qui, molto lontano da dove
vorrei essere e con la certezza di essere ben lungi dall’iniziare la mia attività di
poeta.” Diceva questo Lorca e non si rendeva conto di aver già scritto centinaia di
poesie e decine di testi teatrali…
E’ talmente abbattuto che, durante una breve vacanza in famiglia, quando i
genitori gli dicono “Non fai niente…”, lui decide di abbandonare tutto il suo mondo
poetico e diventare un grigio insegnante, un professore per rientrare così nel mondo
dei normali e avviarsi verso una strada “ufficiale”e con uno stipendio fisso.
Per fortuna non lo fa!
Intanto un editore di Malaga vuole pubblicare i suoi scritti e quasi
contemporaneamente una grande attrice di teatro, la famosissima, Margherita
Xirgu vuole mettere in scena “Mariana Pineda”. Inizia insomma il vero decollo
artistico di Lorca.
Due piccoli estratti da “Canciones”
CONCHIGLIA
M’hanno portato una conchiglia.
Dentro le canta
un mare di mappa.
Il cuore
mi si riempie d’acqua
con pesciolini
d’ombra e d’argento.
M’hanno portato una conchiglia.
E’ VERO
Ah, che fatica mi costa
amarti come ti amo!
Per il tuo amore mi duole l’aria,
il cuore e il cappello.
Chi mi comprerà
questo cordone che ho
e questa tristezza di filo
bianco, per far fazzoletti?
Ah, che fatica mi costa
amarti come ti amo!
Vediamo adesso di saperne un po’ di più di quanta importanza ebbe per Lorca
l’incontro con Dalì, grande pittore catalano e massimo esponente della pittura
surrealista. Dalì aveva solo 18 anni quando arrivò alla “Casa dello Studente”, ed era
un giovanottino timido e sparuto con i capelli lunghi, le basette e uno strano
abbigliamento un po’ bhemien che stonava con il resto del gruppo. E’ infatti un
solitario. Non parla con nessuno; passa le sue giornate a lezione di pittura o chiuso
nel Museo del Prado ad osservare i capolavori.
Più tardi qualcuno scoprirà i suoi lavori, che sono al momento ancora sotto
l’influenza del cubismo, e all’improvviso diventerà popolare. Così lo conosce Lorca ,
quando rientra alla Casa. Fu subito amicizia tra i due, tanto che Dalì lo invita a
trascorrere le vacanze della “Semana Santa” a Cadaques con la sua famiglia.
I Dalì sono benestanti e molto ospitali, possiedono una splendida villa estiva sulla
baia; Federico è affascinato dai luoghi, dalla gentilezza della sorella Anna Maria, e da
tutta una serie di personaggi che incontra. Partecipa ai riti pasquali, prende il sole
sulla terrazza, nuota in quel mare incredibile, si tuffa dagli scogli vincendo la sua
proverbiale paura dell’acqua e delle scale, fa progetti per il futuro, vuole collaborare
con Dalì ….
Parlano anche lungamente di un argomento che li accomuna e che li terrorizza
entrambi…..la paura della morte. Per esorcizzare la paura fanno giochi ridicoli, si
fingono, a turno, morti mentre gli amici fanno il funerale (ricordate le Messe da
bambino?). Dalì cattura l’immagine di Lorca che si finge morto e lo fotografa molte
volte. Inizia un quadro che intitolerà “Natura morta”, in esso si riconosce la testa di
Lorca…questo quadro da inizio ad una lunga serie di altri quadri in cui apparirà la
testa di Lorca spesso fusa con quella del pittore.
In questo clima i due si innamorano. Lorca è più innamorato rispetto a Dalì e
anche quando viaggiano assieme fino a Barcellona, il loro amore si rafforza anche
supportato dallo splendido clima culturale della città: aperto, libero e cosmopolita,
molto differente dal resto della Spagna.
Ma i due si devono separare. Durante l’estate tornano alle rispettive famiglie,così
ha inizio un nutrito carteggio tra i due. Lorca gli dedica una Ode “Ode a Salvador
Dalì”, un canto raffinato dedicato all’amico e anche a Cadaques. La poesia viene
pubblicata in una rivista di grande prestigio e tiratura e il pittore ne è talmente
orgoglioso che fino alla sua morte non smetterà di vantarsene.
Intanto “Mariana Pineda” viene rappresentata a Barcellona con le scene
stupende di Dalì e successivamente a Madrid, con grande successo. L’attrice
Margherita è entusiasta e pensa di aver trovato in Lorca l’autore ideale per il suo
teatro.
Durante l’estate del 1928 viene finalmente pubblicato “Romancero gitano”, una
raccolta di poesie bellissima. Il successo è immediato e travolgente.
Nel breve giro di una settimana, il nome del poeta, per altro già noto agli
ambienti letterari, diviene famoso in tutto il paese. Tutti sono concordi sulla validità
del suo lavoro: critica e gente del popolo; tutti tranne uno : Salvador Dalì.
Lorca, orgoglioso del lavoro fatto, invia una copia del libro all’amico che a breve
giro di posta invia una lunga lettera nella quale spiega le ragioni del suo dissenso.
Dalì dice che essendo sempre più convinto e aderente alla corrente del
surrealismo, non sopportava più – “questo tuo antiquato folclore, i tuoi vincoli e la
tua poesia convenzionale.” Lo esorta ad abbandonare la rima e la retorica che anche
i porci capiscono e a spingersi oltre, verso sentieri diversi e non convenzionali,
magari orripilanti e irritanti ma dove nessun altro poeta si era spinto fin’ora.
Lorca legge quelle parole con la morte nel cuore, ma capisce che Dalì , in fondo
dice una cera verità. Anche lui pensa che sia giunto il momento di fare dei
cambiamenti, ma intanto sprofonda in una paurosa depressione. Ad un amico
confida che sta attraversando il momento più buio e terribile della sua vita, notti
insonni passate a guardare dall’alto la città di Granada, una città “vuota per me e
senza aver la minima consolazione di nulla.”
La causa di tutto questo dolore è da attribuirsi, oltre alle parole offensive di Dalì e
al suo giudizio a cui teneva tanto, anche ad un amore tormentato con il giovane
scultore Emilio Aladren , che proprio in quel periodo si stava allontanando da lui e
che successivamente si sposerà con un’inglese.
Forse una visita a Granada dell’amico Dalì, avrebbe potuto consolarlo, ma
l’ambizioso pittore è totalmente concentrato sulla sua arte pittorica e sui suoi colpi
di genio e non raccoglie le preghiere di Lorca.
Inoltre, c’è da dire che Dalì prova una certa paura per la passione dimostrata dal
poeta nei suoi confronti e una sorta di panico riguardo la possibilità di essere
omosessuale, quindi non vuole vederlo più, ma questo a Lorca non lo dirà mai. Su
tutto questo ha una certa influenza anche Bunuel , che provava un vero disprezzo
per gli omosessuali e fa tutto il possibile per far restare Dalì a Parigi.
Da “Romancero gitano” : “La sposa infedele”
LA SPOSA INFEDELE
E io che me la portai al fiume
credendo che fosse ragazza,
invece aveva marito.
Fu la notte di San Giacomo
e quasi per obbligo.
Si spensero i fanali
e s’accesero i grilli.
Alle ultime svolte
toccai i suoi seni addormentati
e di colpo mi s’aprirono
come rami di giacinti.
L’amido della sua gonnellina
suonava alle mie orecchie
come un pezzo di seta
lacerato da dieci coltelli…
Passati i rovi,
i giunchi e gli spini,
sotto il cespuglio dei suoi capelli
feci una buca nella fanghiglia.
Io mi levai la cravatta.
Lei si tolse il vestito.
Io la cintura e la rivoltella.
Lei i suoi quattro corpetti.
Non hanno una pelle così fine
le tuberose e le conchiglie
ne i cristalli alla luna
risplendono di tanta luce.
Le sue cosce mi sfuggivano
come pesci sorpresi,
metà piene di brace,
metà piene di freddo.
Corsi quella notte
il migliore dei cammini
sopra una puledra di madreperla
senza briglie e senza staffe.
Non voglio dire, da uomo,
le cose che ella mi disse.
La luce dell’intendimento
mi fa essere molto discreto.
Sporca di baci e di sabbia
la portai via dal fiume.
Con la brezza si battevano
le spade dei gigli.
Agii da quello che sono,
da vero gitano.
Le regalai un grande cestino
di raso paglierino,
e non volli innamorarmi
perché avendo marito
mi disse che era ragazza
quando la portai al fiume.
E’ esattamente in questo periodo che il padre di Federico, seriamente
preoccupato per le sua depressione, decide di regalargli un viaggio a New York.
L’idea deve essere partita dal cattedratico Fernando de los Rios, grande amico di
famiglia che era stato invitato a tenere delle conferenze appunto a New York e a
Puerto Rico nelle stessa estate. I due partono con grandi aspettative e si trattengono
in America per nove mesi. Questo tempo basterà a Lorca per rivedere la sua vita fino
allora vissuta dentro i confini della Spagna; e anche se le lettere che puntualmente
scrive a casa sono allegre e ottimiste, nel poeta sono sempre presenti il senso di
morte e l’angoscia di vivere.
Questo lo si evince dalle poesie che scrive da New York, dove non tarda a
trovare, come se si trattasse di una rivelazione, il tema fondamentale di
quell’esperienza : i negri, vittime di una civiltà estranea alle loro radici, abitanti di
città immense, disumanizzate non certo a misura d’uomo. I negri sono sfruttati,
trattati con disprezzo dai bianchi, specie di forzati costretti a vivere “in una Senegal
di macchine”, costretti a seguire i voleri e gli ordini dei padroni.
E’ ovvio che Lorca viva una sorta di identificazione con loro….anche lui si sente
diverso, è oppresso dalla mancanza di libertà, dal fatto di non poter gridare ai
quattro venti la sua omosessualità e di non poterla vivere fino in fondo senza venir
macerato dai sensi di colpa.
Nonostante questo Lorca dichiarò che la permanenza a New York fu in assoluto la
più utile della sua vita, anche perché lontano dai confini della Spagna e in contatto
con culture differenti, si rese pienamente conto delle sue reali potenzialità creative.
Infatti, nella raccolta di poesie stupende “POETA EN NUEVA YORK”, inizia una
sorta di mutamento nel suo modo di scrivere, più libero, più aperto…in alcuni versi
riesce a dire esattamente come la pensa in fatto di diversità.. è come se fino a quel
momento si fosse volontariamente trattenuto e imbrigliato per non scontentare la
famiglia e i benpensanti, mentre ora dice chiaramente che la sua condizione di
omosessuale è una grande croce da portare, ma non ha nessuna ragione di
vergognarsene.
Lui è un puro, un animo nobile dotato di una straordinaria ricchezza interiore, è
uno che crede all’amore, ai sentimenti, è dotato di una grande dolcezza, educazione
e un sorriso sempre pronto per tutti…ma quando vede le strade di New York piene
di ragazzi che si prostituiscono per le strade e per soldi, rimane molto impressionato
e scrive una poesia lunghissima dedicata al grande poeta Walt Whitman, ( ricordate
“Capitano, oh mio capitano” dal film “L’attimo fuggente”?) anche lui omosessuale.
E’ una poesia dura, difficile, dalla quale leggerò alcuni estratti.
ODE A WALT WHITMAN
…...
Per questo non alzo la voce, vecchio Walt Whitman,
contro il bambino che scrive
nome di bambina sul suo guanciale
né contro il ragazzo che si veste da sposa
nell’oscurità della stanza
né contro i solitari dei casini
che bevono con disgusto l’acqua della prostituzione,
né contro gli uomini dallo sguardo verde
che amano l’uomo e bruciano le loro labbra in silenzio.
Ma l’alzo contro di voi, pederasti della città,
dalla carne tumefatta e dai pensieri immondi,
madri di fango, arpie, nemici insonni
dell’Amore che concede corone d’allegria.
……Pederasti di tutto il mondo, assassini di colombe!
Schiavi della donna, cagne delle loro toelette,
aperti sulle piazze con febbre di ventaglio
o imboscati con secchi paesaggi di cicuta.
E tu, bello W. W. dormi sulle rive dell’Hudson
con la barba verso il Polo e le mani aperte.
Dormi, non resta niente.
………….
Dopo la parentesi americana Lorca va a Cuba, invitato per una serie di
conferenze; abbandona così la vita frenetica e i grattacieli della metropoli, che tanto
lo avevano impressionato, e raggiunge l’Avana.
Siamo nel 1930 e Lorca ha 32 anni.
L’accoglienza che riceve è, a dir poco commovente: tutti sembrano conoscere a
memoria le sue poesie, “Romancero gitano” e il “Canto jondo” sono talmente simili,
come atmosfera evocativa, al carattere e alla sensibilità dei nativi, che sembrano
parlare la stessa lingua. La bellezza dei mulatti lo sconvolge e anche la libertà di
espressione dei canti e dei balli lo fa sentire a casa. Le 5 conferenze sono un trionfo
e nel tempo libero viaggia, visita Santiago de Cuba, assiste alla caccia ai coccodrilli, si
entusiasma ai ritmi afrocubani che secondo lui, esprimono un’anima andalusa come
la sua.
Il musicista che è in lui apprezza una danza molto di moda chiamata “il son”,
molto simile al samba. Ci sono inoltre anche molte avventure amorose delle quali
sono sparite le prove e le documentazioni, ma ancora oggi sono ricordate e
commentate.
Scrive “El publico”, una pièce teatrale che vuole essere una riflessione sulla
società contemporanea, dove rivendica il diritto di “essere diverso” e vivere la
propria vita senza travestimenti imposti da una società ipocrita e crudele. Nella
pièce ci sono molte maschere che cercano di camuffare la loro vera identità erotica;
questo testo ci da la misura dell’autentico Lorca, del Lorca che può esprimere
apertamente la propria indole. Opera rivoluzionaria che non sarà mai rappresentata
in vita e pochissimo anche dopo perché troppo scomoda.
Dopo questo lungo periodo Lorca ritorna in patria dove trascorre l’intera estate a
Huerta de San Vicente, splendida casa di campagna comperata dal padre anni
prima.
Lorca in questa bellissima oasi di verde e di tranquillità “Verde che te quiero
verde” scrive “La calzolaia ammirevole” ma ha già in mente i tre drammi che
scriverà negli anni successivi e che sono tre autentici capolavori: “Bodas de sangre”
(Nozze di sangue), “Yerma” e “La casa di Bernarda Alba”.
………..
Ma intanto anche il panorama politico della Spagna sta cambiando. Nel 1931 ci
sono le elezioni e il popolo si reca numeroso alle urne, con grande slancio, perché
vuole opporsi alla dittatura. Pochi giorni dopo viene proclamata la Repubblica e il re
(Alfonso XIII) abbandona il paese. Caduta la monarchia finalmente gli spagnoli hanno
la possibilità di avere un nuovo paese, democratico e progressista, ma questo sogno
dura poco (circa 5 anni), perché la dura realtà economica e i vecchi retaggi
monarchici, lo faranno finire in fretta.
Lorca è chiaramente repubblicano, si schiera fin da subito dalla parte dei poveri e
degli oppressi (come il solito…) e soprattutto inizia ad occuparsi concretamente a
dar vita ad un vecchio sogno…ricordate i burattini? Così quando il governo vuole
dare più cultura al popolo, che all’epoca aveva un alto tasso di analfabetismo, lui
partecipa a numerose attività che culminano nel teatro ambulante chiamato “LA
BARRACA”
La direzione de “La Barraca” viene affidata a lui che ha il compito principale di
rappresentare il teatro classico nei paesi lontani dai grandi centri, paesi che per
secoli erano stati privati di cultura. Tra il 1932 e il 1936 “La Barraca” allestirà 13
opere e darà oltre 100 rappresentazioni in 60 paesi e cittadine sparse in tutta la
Spagna, impiegando inoltre un centinaio di attori/studenti universitari.
La Barraca sarà per il poeta una delle esperienze più soddisfacenti della sua vita,
proprio perché andava a prendere origine dai suoi sogni di bambino. Lorca
paragonerà questa esperienza all’avere un figlio; un figlio suo, molto amato ma
anche fonte di continue preoccupazioni di ogni genere. Dalle difficoltà con la
censura, alla mancanza di fondi ecc ecc, proprio come un figlio che da gioia ma
anche dolore.
A questo punto mi piace farvi conoscere un’altra particolarità di Lorca che non
tutti conoscono e mi riferisco alla dote della chiaroveggenza. Scrive un’altra opera
intitolata “Aspettando 5 anni” (Asì que pasen cinco anos”, opera dove il giovane
protagonista commette, un po’ come tutti i personaggi lorchiani, il fatale errore di
non vivere il presente fino in fondo, ma di rimandare e rimandare fino a non aver
più tempo. Il giovane pretende, dopo un lungo viaggio durato 5 anni, di ritrovare
esattamente la stessa persona che aveva lasciato (la donna amata) e che tutto torni
ad essere quello che era. Ma l’amore non aspetta, tutto cambia, si modifica e il
monito di Lorca, a questo riguardo, è un monito che fa a se stesso principalmente,
ed è quello di agire e seguire i propri istinti subito, senza aspettare il dopo, il
domani, il verrà… Un ‘opera molto complicata e che contiene un particolare
agghiacciante.
L’ultima pagina del manoscritto è datata Granada 19 agosto 1931 e Lorca viene
ucciso esattamente 5 anni dopo, nel 1936 proprio tra il 18 e il 19 agosto.
Tutto questo ci porta inevitabilmente a riflettere sul carattere premonitore
dell’opera che termina oltretutto con la morte violenta del giovane protagonista.
Una coincidenza sorprendente, anche perchè numerosi testimoni affermano che
Lorca possedeva una sensibilità che a volte sfiorava la parapsicologia e che, lo
sappiamo, viveva costantemente angosciato dall’idea di una morte prematura.
Gli ultimi cinque anni della vita di Lorca saranno intensissimi. Vive
freneticamente e scrive moltissime cose spaziando in quasi tutti i campi possibili
dell’arte. Diviene anche regista delle commedie e dei drammi che rappresenta nella
Barraca, a volte anche attore, si accompagna con la chitarra e scrive melodie per le
colonne sonore dei suoi spettacoli.
E si innamora nuovamente!
Rafael Rodriguez Rapun è il nome del suo nuovo compagno di 14 anni più
giovane di lui. E’ un ragazzo bellissimo, prestante e sportivo, capelli ricci, un sorriso
smagliante e un profilo da “statua greca”. Piace molto anche alle donne, ma lui è
omosessuale dichiarato oltre essere un fervente socialista, studente in Ingegneria e
segretario della Barraca, dove appunto i due si incontrano.
Anche la vita del giovane Rapun è destinata a finire presto: morirà infatti un anno
dopo Lorca nella lotta contro Franco e i franchisti. Di questa relazione, come di tutte
le altre, tranne Dalì, non si sa niente o pochissimo. Lettere introvabili andate
distrutte per non far conoscere alla stampa e al grande pubblico le relazioni del
poeta. Soltanto una è oggi conservata alla “Fondazione Lorca” di Granada ed è
datata 1933, poco prima che Lorca si imbarcasse per l’Argentina.
Se mancano le lettere, a testimonianza di amori diversi, non mancano esempi
poetici ben più importanti e belli.
Lorca scrive dei sonetti, (una forma rivoluzionaria per il suo stile), composizioni
intense e esplicitamente e finalmente a tematica omosessuale.
Decide, insomma, di dare voce alla sua vera natura, senza ricorrere a complicate
simbologie. Nella poesia che leggerò è espresso l’Amore che si prova verso la
persona amata ma anche e soprattutto si capisce come il poeta soffra enormemente
per la “sterilità” dell’amore omosessuale. Questa poesia è stata pubblicata nel 1984
da un amico del poeta che ne possedeva una copia manoscritta. Stanco delle bugie
che si dicevano sul conto del poeta la fece stampare a sue spese in numerose copie
e la spedì a tutti i quotidiani spagnoli.
La famiglia, fino ad allora sempre contraria e restia, è costretta ad ammettere
l’esistenza di queste poesie e in fretta e in furia ne fa stampare una edizione
“ufficiale” ovviamente negandone il carattere e il contenuto omosessuale e
preferendo il titolo meno compromettente di “Sonetti d’amore” invece che “I
sonetti dell’amore oscuro”, ancora oggi quasi introvabili.
Un esempio:
QUANDO L’AMATO E’ DISTANTE
“Temo di perdere la meraviglia
dei tuoi occhi di statua e la cadenza
che di notte mi posa sulla guancia
la rosa solitaria del respiro.
Temo di essere lungo questa riva
un tronco spoglio, e quel che più m’accora
è non avere fiore, polpa, argilla
per il verme di questa sofferenza.
Se sei tu il mio tesoro seppellito,
la mia croce e il mio fradicio dolore,
se io sono il cane e tu il padrone mio
non farmi perdere ciò che ho raggiunto
e guarisci le acque del tuo fiume
con foglie dell’autunno mio impazzito.
NOTTE D’AMORE INSONNE
Notte alta, noi due e la luna piena;
io che piangevo, mentre tu ridevi.
Un Dio era il tuo schermo; i miei lamenti
attimi e colombe incatenate.
Notte bassa, noi due. Cristallo e pena,
piangevi tu in profonde lontananze.
La mia angoscia era un gruppo di agonie
sopra il tuo cuore debole di sabbia.
L’alba ci ricongiunse sopra il letto,
le bocche su quel gelido fluire
di un sangue che dilaga senza fine.
Penetrò il sole la veranda chiusa
e il corallo della vita aprì i suoi rami
sopra il mio cuore nel sudario avvolto.
Vedete, anche qui la disperazione del “gelido fluire”, di una cosa che genera la
vita ma in questo caso è sterile e gelida.
L’ultima poesia della raccolta “Sonetti dell’amore oscuro” che leggerò è intitolata
“Canzone del pederasta” ed è dissimile dalle due precedenti perché, a prima vista, è
più leggera e meno disperata. A ben guardare non è così perché contiene una
grande amarezza di appartenere a quel genere di persone, che a differenza di lui,
sono inclini ad amori facili e a grande attenzione, a volte esagerata, per l’estetica.
CANZONE DEL PEDERASTA (cancion del mariquita)
Il pederasta si pettina
nella sua vestaglia di seta.
I vicini sorridono
alle loro finestre interne.
Il pederasta liscia
i riccioli della sua testa.
Nel patios gridano i pappagalli,
fontane e pianeti.
Il pederasta si orna
di un gelsomino sfacciato.
La sera diventa strana
tra pettini e convolvoli.
Lo scandalo trema
rigato come una zebra.
I pederasti del sud
cantano sulle terrazze.
Alla fine del 1933 Lorca riceve finalmente una buona notizia economica per
merito della piece “Bodas de sangre” a Buenos Aires. La capitale argentina è famosa
per il pubblico teatrale particolarmente raffinato ed esigente, per questa ragione un
buon successo sul posto può significare molto denaro per i diritti d’autore del
drammaturgo. Lo chiamano ripetutamente dall’Argentina, soprattutto la famosa
attrice Lola Membrives, famosissima e stimata artista, lo vuole conoscere, anche
perché prevede che, sentendola recitare, scriverà per lei altre cose.
Finalmente Lorca si decide a partire, anche se a malincuore perché
impegnatissimo con la Barraca, ma quando si rende conto del trionfo di pubblico e
di critica e soprattutto quando gli viene riconosciuta una somma astronomica per le
numerose rappresentazioni, è logicamente molto felice.
Subito manda un assegno impressionante al padre che non riesce a credere ai
propri occhi! Ma la grande gioia e soddisfazione del poeta è proprio quella di aver
dimostrato al padre e alla famiglia, magari con un leggero ritardo, che un poeta può
“valere” tanto quanto un professionista e forse molto di più.
Dopo “Bodas” mette in scena “La zapatera prodigiosa” e “Mariana Pineda”, tiene
conferenze e letture in tutto il paese e in una lettera dice al padre che “mi sento
come un torero portato in trionfo attraverso la porta principale dell’arena…”
Lorca resta fra l’Argentina e l’Uruguay circa sei mesi, incontra molte persone tra
cui spicca il poeta Pablo Neruda, che aveva precedentemente incontrato in Spagna.
L’amicizia e la stima tra i due grandi poeti si rafforza e prende vigore, in questo
periodo, tanto che Neruda nel suo libro autobiografico “Confesso che ho vissuto”
descrive Lorca in termini entusiastici.
“ non ho mai visto riunite, come in lui, la grazia e il genio, il cuore alato e la
cascata cristallina, aveva un’allegria centrifuga, una felicità di vivere, una luce che
raccoglieva in seno e la irradiava agli altri, come fanno i pianeti….
La grande capacità di scrittura e di metafora mi seduceva e mi interessava tutto
quello che scriveva. Dal canto suo lui mi chiedeva, a volte di leggergli le mie poesie,
ma a metà lettura mi fermava gridando – non continuare, non continuare, che mi
influenzi!Ma ancora una volta, ed è lo stesso Neruda a rivelarlo, ci troviamo di fronte ad
un Lorca preveggente, perché racconterà un sogno fatto pochi mesi prima di morire
dove il poeta verrà ucciso da grossi maiali neri con grande abbondanza di sangue.
Solo in seguito Neruda comprese la veridicità di quel sogno e che, quella scena
orribile altro non era che la rappresentazione anticipata della sua morte.
Quando Lorca torna in Spagna, nel 1934, la situazione politica è assai mutata. La
destra ha vinto le elezioni, il fascismo guadagna potere ogni giorno di più; nelle
strade la violenza dilaga fino a creare situazioni imbarazzanti che molto presto
diventeranno terrore.
Anche se Lorca non ha mai dichiarato pubblicamente la sua tendenza politica è
chiaramente, da sempre repubblicano e antifascista; ma quando il suo lavoro alla
Barraca viene criticato e censurato dai fascisti perché considerata una
organizzazione sovversiva, il poeta inizia a preoccuparsi e a prendere posizione.
E’ l’estate piena, siamo nel 1934, quando nell’arena di Manzanares muore,
incornato dal toro, un grande amico di Lorca: il torero Ignacio Sanchez Mejias , che
ritorna nell’arena all’età di 43 anni dopo anni di assenza.
Lorca aveva, in qualche modo, previsto anche questa morte e aveva scongiurato
l’amico di non combattere. Questa morte lo colpisce molto e non tarderanno a
formarsi nella sua mente i primi versi che terminerà in autunno e che sono
riconosciuti fino ad oggi, una delle più sublimi elegie funebri della poesia universale.
La morte ha dilaniato la carne della persona amica, ma il poeta rende, con questa
elegia, il suo nome immortale e in un certo senso, lo salva dall’anonimato, gli rende
onore e giustizia.
Questa elegia intitolata “LAMENTO PER IGNACIO SANCHEZ MEJIAS” è divisa in 4
parti:
la prima si intitola “Il cozzo e la morte” ed è famosissima per quel verso ripetuto
decine di volte –alle 5 della sera –
Eran le cinque in punto della sera.
Un bimbo portò il lenzuolo bianco
Alle cinque della sera.
Una sporta di calce già pronta
Alle cinque della sera.
Il resto era morte e solo morte
Alle cinque della sera.
….
Le ferite bruciavan come soli
Alle….
E la folla rompeva le finestre
Alle …..
Ah! Che terribili cinque della sera.
Eran le cinque a tutti gli orologi!
Eran le cinque nell’ombra della sera.
La seconda parte si intitola “Il sangue versato” e anche qui possiamo notare il
famoso incipit “Non voglio vederlo” e la disperazione di vedere il corpo straziato
dell’amico, dalle cornate del toro.
Non voglio vederlo….
Di alla luna che venga,
ch’io non voglio vedere il sangue
d’Ignazio sopra l’arena.
Non ….
La luna spalancata.
Cavallo di quiete nubi,
e l’arena grigia del sonno
con salici sullo steccato.
Non…
Il mio ricordo si brucia.
Ditelo ai gelsomini
Con il loro piccolo bianco….
Che gran torero nell’arena!
Che buon montanaro sulle montagne!
Come delicato con le spighe!
Come duro con gli speroni!
Tenero con la rugiada!
Abbagliante nella fiera!
Tremendo con le ultime
banderillas di tenebra.
Non voglio vederlo.
Non c’è calice che lo contenga,
non rondini che se lo bevano,
non c’è brina di luce che lo ghiacci,
né canto né diluvio di gigli,
non c’è cristallo che lo copra d’argento.
No.
E non voglio vederlo!!
La terza parte si intitola “Corpo presente” ed è la presa di coscienza del poeta di
fronte al corpo martoriato dell’amico:
… ora sta sulla pietra Ignazio il ben nato.
Ormai è finito. Che c’è? Contemplate la sua figura:
la morte l’ha coperto di pallidi zolfi
e gli ha messo una testa di oscuro minotauro.
Ormai è finito. La pioggia entra nella sua bocca.
Il vento come pazzo il suo petto ha scavato,
e l’Amore, imbevuto di lacrime di neve,
si scalda in cima agli allevamenti.
Voglio vedere qui gli uomini di voce dura.
Quelli che domano i cavalli e dominano i fiumi:
gli uomini cui risuona lo scheletro e cantano
con la bocca piena di sole e di sassi.
Qui io voglio vederli. Davanti alla pietra.
Davanti a questo corpo con le redini rotte.
Voglio che mi mostrino l’uscita
per questo capitano legato dalla morte.
Non voglio che gli copran la faccia con fazzoletti
perché s’abitui alla morte che porta.
Va’ Ignazio. Non sentire il caldo bramito.
Dormi, vola, riposa. Muore anche il mare.
“Anima assente” è la quarta parte del canto, forse anche la più bella perché
esprime il grande rimpianto del torero appena morto e che forse sarà presto
dimenticato, ma la voce del poeta si alza decisa perché sembra voler dire : nessuno
ti conosce…ma io ti canto, e con questo canto il tuo ricordo rimarrà per sempre nel
nostro cuore e nella storia. (Vi faccio notare la bellezza dell’ultima quartina…)
Non ti conosce il toro né il fico,
né i cavalli né le formiche di casa tua.
Non ti conosce il bambino né la sera
Perché tu sei morto per sempre.
Non ti conosce il dorso della pietra,
né il raso nero dove ti distruggi.
Non ti conosce il tuo muto ricordo
Perché tu sei morto per sempre.
Verrà l’autunno con le conchiglie,
uva di nebbia e monti aggruppati,
ma nessuno vorrà guardare i tuoi occhi
perché tu sei morto per sempre.
Perché tu sei morto per sempre,
come tutti i morti della terra,
come tutti i morti che si scordano
in un mucchio di cani spenti.
Nessuno ti conosce. No. Ma io ti canto.
Canto per dopo il tuo profilo e la tua grazia.
La grande maturità della tua intelligenza.
Il tuo appetito di morte e il gusto della sua bocca.
La tristezza che ebbe la tua coraggiosa allegria.
Tarderà molto a nascere, se nasce,
un andaluso così puro, così ricco d’avventura.
Canto la sua eleganza con parole che gemono,
e ricordo una brezza triste negli ulivi.
Dopo questo “monumento” dell’opera lorchiana (non so come meglio definirlo),
arriviamo al maggio del 1935 e Lorca sforna un’altra opera teatrale intitolata
“Donna Rosita nubile” (Dona Rosita la soltera), un dramma ambientato a Granada.
Lui lo definisce “il dramma dello snobismo e della bigotteria spagnola che non
muta nel tempo e l’ansia di vivere che le donne hanno e che devono reprimere, per
forza, nel più profondo del loro animo ardente.”
E’ la storia di una giovane e bella ragazza innamorata del cugino. I due vogliono
sposarsi ma il giovane deve andare in America per occuparsi di affari e terreni; lascia
Rosita con dolore, con la promessa di scrivere tutti i giorni e di tornare presto per
sposarla. Tutta la famiglia fa finta di credere a quelle promesse ma sa benissimo che,
appena svoltato l’angolo, il giovane attratto da mille altre cose e persone,
difficilmente le manterrà. Cercano invano di metterla in guardia, ma Rosita, che al
contrario crede fermamente nell’amato, rifiuta di conoscere altri pretendenti e di
fare una vita normale, votandosi ad una sorta di clausura volontaria.
La tematica di Lorca è sempre quella: l’incapacità di vivere il momento presente,
nell’attesa di un futuro migliore…
Il cugino dice nel lasciarla:
Cugina mia, tornerò
per portarti al mio fianco
con una nave d’oro colato
e le vele fatte di gioia.
Luce e ombre, notte e dì
non penserò che ad amarti.
E la cugina risponde:
Quale colomba in un raggio
mi annuncerà il tuo ritorno?
Ascolta… ricamerò le lenzuola per noi.
Il tempo passa….ed effettivamente lei ricama bauli di finissima biancheria che
mai adopererà, riceve sempre meno lettere, invecchia gentilmente quasi senza
avvedersene, mentre intorno a lei tutto sta cambiando: lo zio muore, le amiche si
sposano, portano i figli in visita e lei si rende conto del passare del tempo proprio
dall’età sempre diversa dei bambini che diventano prima adolescenti poi giovani
uomini. Quando anche le condizioni economiche mutano, devono cambiare casa,
abbandonare il bel giardino pieno di fiori rari, vanto della famiglia.
Poi, un brutto giorno, riceve la notizia inevitabile che il cugino si è sposato con
una ricca ereditiera già da otto anni e tutto intorno a lei sembra crollare.
La famiglia la incoraggia a guardarsi attorno, a ricominciare a vivere, ma lei
risponde ferma: “Sono vecchia ormai e ho perso la speranza di essere sposa di colui
che ho amato con tutto il mio sangue e che…amo tutt’ora. Tutto è finito… mi corico e
mi alzo con il più pauroso dei sentimenti: quello della speranza morta.”
Il dramma finisce con la descrizione del mesto trasloco, quasi un funerale. Rosita,
la zia e l’anziana governante escono dalla casa dove hanno abitato per tanti anni. E’
quasi notte e piove. Rosita dirà come ultima battuta “Ha cominciato a piovere. Così
non ci sarà nessuno ai balconi per vederci andar via. Meglio così.”
…………..
A ottobre conclude “YERMA”, proprio quando nelle Asturie scoppia una
sommossa popolare che anticiperà, in qualche modo, la Guerra Civile.
Siamo a Natale quando Margherita Xirgu mette in scena a Madrid Yerma, che
subito viene etichettata dalla destra come “immorale, blasfema, grossolana, volgare
e bassa. Lorca ha intinto la penna nel fango, per aver fatto dire al personaggio della
Vecchia di non credere in Dio”.
In realtà Yerma è un bellissimo dramma, a tinte forti che ha come tema
principale la sterilità della donna. Yerma, sposata da ormai 2 o 3 anni non ha figli e
nella società contadina del 1800 era considerato un fatto grave, quasi una colpa che
veniva attribuita sempre alla donna. Il marito di Yerma è un gran lavoratore,
infaticabile e non fa mancare niente alla moglie se non la sua presenza, il calore e
l’amore che uno sposo dovrebbe dare, tributare alla propria donna. E’ rigido e
assente e nelle lunghe attese nella casa, Yerma si macera dal desiderio di diventare
madre e tenere tra le braccia un piccolo essere che le giustifichi la vita e un
matrimonio non felice perché imposto dalla famiglia.
Il marito vuole che Yerma stia in casa, non ha bisogno di uscire, tutto quello che
serve glielo procura lui. Dice “ Tu lo sai come la penso no? Le pecore all’ovile e le
donne in casa. Tu esci troppo. La gente potrebbe parlare…” e Yerma, mentre parla
del marito con una vicina dice “ E’ buono! E’ buono! E con ciò. Volesse il cielo che
fosse cattivo. Invece no! Lui va con le sue pecore per i sentieri e la notte conta i
denari. Quando mi copre fa il suo dovere, ma io sento che la sua cintura è fredda,
mentre io in quei momenti vorrei essere una montagna di fuoco!”
Il dolore diventa mutismo e barriera quando il marito porta a casa le sue due
sorelle chiamate “le zitellone” perché sorveglino Yerma e le impediscano di
lamentarsi e parlare con le vicine. Ma Yerma – non c’è nulla più forte del desiderio –
frequenta Dolores, una specie di fattucchiera che le indica vari modi per avere un
figlio: uno di questi è quello di recarsi, di notte, al cimitero e dire determinate
preghiere. Ma Yerma non si limita a questo. Incitata dalle vecchie mezzane del
paese, si reca ad un pellegrinaggio al santuario dove un’immagine sacra della
Madonna sarebbe in grado di fare miracoli. In realtà, dietro il santuario bivaccano
decine di giovani uomini che aspettano di essere chiamati e scelti per aver rapporti
sessuali con queste donne.
Yerma non è consapevole di tutto questo, prega e va in processione fino a
sfinirsi, quando la Vecchia le rivela la tremenda verità e cioè che la mancata
maternità non è colpa sua ma del marito che proviene da una lunga progenie di
uomini sterili. Poi la Vecchia continua indicando una tenda ai limiti del bosco, dove
suo figlio aspetta di incontrarla e fare di lei una donna completa. Dice – “ Finchè hai
piedi per andartene …vai! Nella mia casa c’è bisogno di una donna giovane. Quando
entrerai sentirai ancora odore di culla…Mio figlio sì che è un uomo fatto di sangue e
non di saliva come tuo marito!”
Yerma inorridisce di fronte a queste parole, ma conferma la sua intenzione di
restare con il marito nonostante tutto, anche se questo comporterà infelicità per
tutta la vita. Dice – “ Ti pare possibile che io possa conoscere una altro uomo? Cosa
pensi del mio onore? L’acqua non può tornare indietro. La luna piena non può
sorgere a mezzogiorno. Io continuerò per il mio cammino.”
La Vecchia risponde che allora sarà destinata a diventare come i cardi della
seccagna, arida e spinosa e fradicia dentro. Poi aggiunge che per suo figlio troverà
un’altra donna…
Il dramma finisce con Yerma che raggiunge il marito dietro il carro e si accorge
che aveva sentito tutto. Lei lo interroga e vuole una spiegazione. Il marito dice che è
ora di finirla con tutta questa infelicità, lui in fondo le vuole bene e non ha mai
capito quella smania di diventare madre a tutti i costi. Dice –“ Non mi importa niente
di avere figli. Niente hai capito? Ciò che importa a me è quello che ho a portata di
mano, quello che vedono i miei occhi. Molte donne sarebbero felici di fare la vita che
fai tu. La vita senza figli è migliore. Io sono felice di non averne…” Ma, quando cerca
di abbracciarla con affetto, dicendole che è bella sotto la luce della luna, Yerma
getta un grido disperato e stringe la gola del marito che cade all’indietro. E continua
a stringere, Yerma, gridando “ Fradicia, si fradicia. Col corpo per sempre sterile. Non
vi avvicinate! Ho ucciso mio figlio! L’ho ucciso io!”
……………
Mentre si rappresenta Yerma a Barcellona, la vita di Lorca è travolgente. E’
dappertutto. Quasi volesse vivere il più intensamente possibile. Tiene recital di
poesia, trascorre nottate nei caffè della Rambla che lui definisce – l’unica strada
della terra che vorrei non finisse mai…”
Dopo molti anni, ( sette), si incontra con Dali e insieme ritrovano gli stessi ideali e
la stessa ammirazione di un tempo. Dalì presenta Gala, la moglie, a Lorca la quale
resta letteralmente affascinata dalla personalità solare e gentile del poeta. Anche
Lorca rimane impressionato da Gala, sicuramente lo intrigava moltissimo incontrare
la donna capace di vivere con il genio Dalì, di cui lui conosceva, forse meglio di tutti,
la complessa natura sessuale.
Bisogna dire che, se in patria le sue opere sono aspramente criticate dalla destra,
e tacciate di essere addirittura “spazzatura”, all’estero non è così. La grande attrice
Mergherita Xirgu porta le sue tragedie a Cuba e in Messico dove ottengono un
successo impressionante. Ripetute volte viene invitato perché il popolo lo reclama e
Lorca promette…promette ma non si muove dalla Spagna, forse perché non vuole
separarsi da Rapun, o forse perché era fedele al suo motto “Tardi ma in tempo”
Questa volta però il tempo gli mancherà e non conoscerà mai il Messico, anche
se si rende conto che ormai le sue opere vivono da sole, sono tradotte, hanno vita
propria e di questo lui è molto felice.
La Spagna, in quei mesi è una sorta di vulcano che può esplodere da un momento
all’altro: gli attentati si susseguono e i cospiratori stanno preparando “il golpe” che
dovrà abbattere la Repubblica inaugurata tanto faticosamente solo cinque anni
prima. Molti amici di Lorca si schierano nel Partito Comunista es. il poeta Rafael
Alberti, partito che nel frattempo si era diviso in due fronti: i moderati e i
rivoluzionari ed entrambi questi fronti rifiutano di partecipare al governo, come del
resto fanno gli anarchici. Di fronte a queste gravi e incomprensibili latitanze, la
destra guadagna nuovi adepti e la Repubblica crolla.
Lorca rifiuta di iscriversi al partito comunista,perché vuole portare avanti i suoi
ideali attraverso gli scritti e non tra le fila politiche, anche se continua a battersi con
articoli e conferenze a favore delle minoranze e dei poveri e dei repubblicani,
prendendo posizioni abbastanza rischiose dato che era ormai nel mirino dei fascisti.
Nonostante i venti di crisi e le atmosfere non proprio idilliache Lorca continua a
produrre: ultima quella che forse resterà la sua opera più famosa, “LA CASA DI
BERNARDA ALBA”. La finirà a metà giugno, pochissimo tempo prima di morire…
L’opera riflette, in qualche modo, la situazione politica del paese e cioè la Spagna
inquisitoria e repressiva bigotta e conformista che odia qualsiasi forma di libertà,
anzi ne pianifica la distruzione. La casa è raffigurata come un convento o un carcere
in cui si agitano e vivono tutte donne, tutte infelici e frustrate, incapaci di ribellarsi al
proprio destino.
Brevemente la trama è questa, ma vi invito a leggerla per la bellezza dei dialoghi,
delle parole e la forza delle situazioni e sentimenti.
Bernarda è la madre, granitica anche nell’aspetto, dura e incapace di ogni
sentimento d’amore o di compassione, sia per la propria madre Maria Josefa
(splendido personaggio di vecchia pazza) che per le 5 figlie:
Angustian, avuta dal primo marito e ormai quarantenne,
Maddalena 30 anni
Amelia 27 anni
Martirio 24 anni
Adele 20 anni.
La prima scena inizia con i funerali del secondo marito di Bernarda e il ritorno a
casa della donna che per prima cosa guarda il pavimento sporco e le briciole di cibo
lasciate sul tavolo. Comincia subito ad inveire contro Porzia la serva che cerca di
giustificarsi, ma niente può far cambiare idea a Bernarda che dice la famosa frase –“I
poveri sono come le bestie; sembrano fatti di un’altra sostenza e dimenticano le loro
pene davanti ad un piatto di ceci”. Il carattere duro viene man mano evidenziato dal
modo in cui tratta la madre, che viene sistematicamente rinchiusa a doppia
mandata in una stanza, ma non perché potrebbe farsi male o cadere nel pozzo, ma
perché i vicini non vedano dalla finestra la vecchia madre impazzita.
Stesso comportamento con le figlie che, dopo la morte del padre, dovranno
rinchiudersi in casa e vestire di nero in segno di lutto. Ma la gestione delle cinque
figlie non è facile…perché sono zitelle, in attesa di marito, poco avvenenti e
malgrado la tranquilla apparenza covano tutte un gran desiderio di libertà…
La maggiore Angustias, è l’unica figlia veramente ricca perché avuta dal primo
marito molto facoltoso, viene richiesta in sposa da Pepe il Romano un bel giovane di
25 anni, chiaramente in cerca di dote e di sistemazione.
Angustias Inizia a ricamare il corredo con le loro iniziali intrecciate e viene
guardata con invidia dalle sorelle che vorrebbero essere al suo posto mentre sono
destinate ad una vita di quasi clausura.
Per una serie di circostanze un giorno si viene a scoprire che il giovane Pepe
rimane sotto la finestra di Angustias fino all’una di notte, cosa ritenuta giusta come
tipo di corteggiamento, ma molto più tardi (verso le quattro) viene visto sotto le
finestre di Adele, la più giovane e bella delle sorelle. Adele nega tutto ma è presa da
una sorta di febbre, di malinconia tipica delle giovani donne innamorate.
Tutti nella casa, sembrano accorgersi di questo mutamento, tutti tranne
Bernarda che, come al solito, rifiuta di vedere e di aprire gli occhi alla verità. In
realtà si instaura una segreta e furibonda lotta tra le sorelle che, alla fine, si rivelano
tutte innamorate di Pepe in quanto unico uomo che vedono e che quindi mitizzano.
La serva Porzia è invece al corrente della tresca e teme che prima o poi scoppierà
una tempesta nell’apparente calma della casa. Cerca di mettere in guardia Bernarda,
ma lei cocciutamente nega, anzi vuole che le nozze tra Pepe ed Angustias avvengano
il prima possibile.
Nell’ultimo atto vediamo le donne riunite attorno alla tavola poco prima di
andare a letto. Angustias dice che per quella sera Pepe non sarebbe venuto e quindi
tutte potevano andare presto a riposare. Ma la casa, nella notte è inquieta…le
sorelle si ritrovano in cucina con la scusa di aver sete. Si sentono rumori sospetti in
cortile…dapprima è lo stallone che scalpita in attesa della giumenta, poi un altro
rumore fa alzare tutte le donne e la serva che si accorge che manca Adele.
La cercano e dopo poco appare Adele: è pallida, spettinata, poco vestita e con fili
di paglia attaccati alla gonna.
Adele e Martirio, innamorata di Pepe, si scontrano in una scena molto tesa e
drammatica dove si accusano a vicenda. Dice Adele – “da quando ho sentito il
sapore della sua bocca non sopporto più l’orrore di questa casa. Mi metterò la
corona di spine che portano le donne amate da un uomo sposato. Che si sposi pure
Angustias! Io me ne andrò in una casetta solitaria, dove lui mi vedrà quando vorrà,
quando ne avrà voglia!”
In quel preciso istante si sente il richiamo di Pepe. Adele vuole uscire per
raggiungerlo ma Martirio le si para davanti e chiama la madre che subito accorre.
Furibonda Bernarda va verso la figlia peccatrice, ma Adele la ferma decisa come
non è stata mai –“Non faccia un passo di più. Su di me comanda solo Pepe…sono la
sua donna...” Bernarda prende il fucile e va verso il cortile dove c’è Pepe. Echeggia
uno sparo… rientra Martirio che dice – “E’ finita per Pepe il Romano”.
In realtà lo sparo di Bernarda era a scopo intimidatorio, cioè voleva limitarsi a
spaventarlo e a non ripresentarsi più, mentre Adele crede che sia morto.
Si sente un tonfo, tutti accorrono e quando entrano in una sala trovano Adele
impiccata. Bernarda non dimostra pietà neanche di fronte alla morte della sua
ultima figlia, ma la sua preoccupazione è solo quella di salvaguardare l’onore della
famiglia. Ordina alla serva – “Staccatela. Mia figlia è morta vergine! Portatela in
camera sua e vestitela da fanciulla. Nessuno dica una parola. Essa è morta vergine!
Poi rivolta alle figlie –“Riservate le lacrime per quando sarete sole. Ci annegheremo
tutte in un mare di lacrime. Silenzio!”
Logicamente l’ambiente chiuso, ostile e irrespirabile della casa, vuole
rappresentare la tirannia e la mancanza di libertà a cui la Spagna era sottoposta, ma
anche considerare il personaggio di Adele, la sua forza e la sua voglia di cambiare i
codici di comportamento basati sulla supremazia dell’uomo sulla donna. Adele
rivendica il diritto alla propria vita e al proprio corpo: tema fondamentale di tutta
l’opera lorchiana. Adele muore come morirà Lorca due mesi dopo, per aver come
lei, tentato di essere libero.
La morte
Ma veniamo adesso al capitolo finale della vita di Lorca e cioè alla sua morte
che tanto fu raccontata, ma anche nascosta e celata e sempre avvolta da un mistero,
a tratti fitto a tratti leggermente diradato…
I fatti sono questi: siamo nell’estate del 1936 il Golpe militare è alle porte,
inizia in Marocco e si estende poi per tutta la Spagna. Granada, con l’aiuto di Hitler e
Mussolini cade immediatamente in mano ai miliziani, anche se il territorio è
completamente circondato dalle forze repubblicane. Scoppia subito un feroce
regime di terrore: iniziano le fucilazioni, le rappresaglie, gli assassini. Nessuno è al
sicuro. All’inizio di agosto vengono fucilate centinaia di persone di sinistra.
Lorca, lo sappiamo, etichettato “Rosso”, è chiaramente in pericolo, ancora di
più perché omosessuale. La famiglia si riunisce e decide che dovrebbe andare a casa
dei Rosales, amici molto rispettati a Granada e simpatizzanti della destra.
Tutti pensano che lì sarà al sicuro, ma non andrà così….
I Rosales vengono denunciati perché proteggono Lorca che viene portato in
prigione. I particolari del complotto non sono mai stati scoperti e Granada porterà
per sempre la vergogna e il peso di aver ucciso il suo figlio più illustre.
Nella notte tra il 18/19 agosto ( neppure la data si è potuta stabilire con
certezza), Lorca viene condotto a VIZNAR a pochi chilometri dalla città e chiuso in
una specie di carcere improvvisato. Con lui altre tre persone: un maestro
elementare e due banderilleros anarchici.
Lorca trascorre poche ore in quel carcere poi viene portato, assieme agli altri,
presso la FUENTE GRANDE, una grande fontana appunto, che era stata cantata dai
grandi poeti granadini e da Lorca stesso. Un testimone (un ragazzo di 17 anni che
aveva scavato una grossa buca), raccontò anni dopo che Lorca pianse mentre si
avviava verso la fontana dove fu freddato con un colpo alla nuca.
Ma non solo, l’esecutore materiale del delitto, tale Juan Luis Trescastro de
Medina, si vantò, poco dopo, in un osteria di aver sparato ripetutamente nel sedere
del “maricon” per sfregio, disprezzo della sua condizione. Il giorno dopo vengono
vendute la penna d’oro del poeta e la medaglia d’oro che gli avevano dato a Cuba, al
caffè Imperial di Granada.
C’è da dire che questo Trescastro de Medina aveva sposato una delle tante
cugine di Lorca e quando morì fu sepolto normalmente nella tomba di famiglia,
mentre, ricordiamolo…Lorca non ha attualmente una sepoltura certa.
Alla ricorrenza dei 70 anni dalla morte, nel 2006, iniziarono gli scavi della
grande fossa comune presso la Fontana Grande, non per interessamento degli eredi
di Lorca ma perché i parenti degli altri tre volevano dare sepoltura e riconoscibilità ai
loro cari.
La resistenza dei parenti di Lorca a non voler riesumare il corpo è sicuramente
molto sospetta…loro dicono che non cambierebbe niente sapere se le ossa ritrovate
appartengano a Lorca o ad altri. Comunque, sotto Fontana Grande ci sono centinaia
di cadaveri che aspettano di essere riconosciuti ma lo Stato stesso, adduce i ritardi a
ragioni economiche (l’analisi del DNA è costosissimo) e anche politiche.
Alcune voci dicono che l’uccisione di Lorca non sia stata esclusivamente
dovuta a ragioni politiche ma ci sarebbero stati anche fattori economici dovuti a una
sorta di faida tra le tre grandi famiglie proprietarie terriere del luogo, appunto i
Lorca e i cugini gli Alba e i Roldan. Tra queste famiglie non era mai corso buon
sangue, si dice addirittura che fosse una vendetta perpetrata ai danni del poeta per
aver scritto “La casa di Bernarda Alba”, opera che aveva messo in piazza la grettezza
l’aridità e la durezza della famiglia.
Speriamo che il tempo faccia chiarezza su questa morte che rimane
imbarazzante per gli spagnoli e paradossalmente proprio per questo imbarazzo
nessuno ha voglia di parlarne.
Io voglio chiudere questo lungo lavoro di ricerca con una poesia che amo
molto, che lo identifica immediatamente e che considero una delle più riconoscibili
e rappresentative del suo mondo poetico.
CI SONO ANIME CHE HANNO…
Ci sono anime che hanno
stelle azzurre,
mattini secchi
tra foglie del tempo,
e angoli casti
che conservano un vecchio
rumore di nostalgia
e di sogni.
Altre anime hanno
dolenti spettri
di passioni. Frutta
con vermi. Echi
di una voce bruciata
che viene da lontano
come una corrente
d’ombre. Ricordi
vuoti di pianto
e briciole di baci.
La mia anima è matura
da molto tempo,
e si sgretola
piena di mistero.
Pietre giovanili
rose dal sogno
cadono sull’acqua
dei miei pensieri.
Ogni pietra dice:
“ Dio è molto lontano!”