Catalogo 112 FELICE CARENA - Associazione Artisti Bresciani

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Catalogo 112 FELICE CARENA - Associazione Artisti Bresciani
classici del
classici
novecento
del novecento
FELICE
CARENA
FELICE
(1879-1966)
CARENA
COMUNE DI BRESCIA
PROVINCIA DI BRESCIA
ASSOCIAZIONE ARTISTI BRESCIANI
(1879-1966)
Mostra a cura di Alessandra Corna Pellegrini
e Francesco De Leonardis
112
edizioni aab
aab - vicolo delle stelle 4 - brescia
17 aprile - 19 maggio 2004
orario feriale e festivo 15.30 - 19.30
lunedì chiuso
La nuova serie Classici del Novecento, che, in coerenza con una consolidata
e affermata linea culturale dell’AAB, si propone di presentare opere di
grandi artisti presenti nei musei e nelle collezioni della provincia, si apre
non casualmente con l’esposizione dedicata a Felice Carena, di cui documenta la produzione sviluppata nel corso di un cinquantennio, dagli anni
Dieci agli anni Sessanta del secolo scorso.
In primo luogo, la rassegna si collega strettamente alle mostre di Angelo
Zanelli ed Elisabetta Kaehlbrandt, organizzate nel 1984 e nel 2002 dall’Associazione in collaborazione con i Civici Musei d’arte e storia di Brescia.
Lo scultore bresciano Zanelli, famoso soprattutto come autore del fregio
del Vittoriano, e la pittrice lèttone Kaehlbrandt, sposi dal 1909, erano legati da stretta amicizia a Carena. Lo testimonia, fra l’altro, un luminoso olio
della Kaehlbrandt, Picnic (1920), in cui raffigura se stessa, il marito, i due figli Alessandro e Magda e -appunto- Felice Carena con la moglie Mariuccia.
La colazione sull’erba è ambientata ad Anticoli Corrado, il paese della Sabina che ospitava un vivace gruppo di artisti; e gli Zanelli e i Carena ne erano assidui frequentatori. Gli amici si scambiavano opere. Nella sua abitazione di Brescia la figlia degli Zanelli, la dottoressa Magda, custodiva, oltre
a numerosi e importanti lavori dei genitori, sei opere di Carena, che aveva concordato di mettere a disposizione dell’AAB per questa mostra. La
dottoressa Magda, scomparsa recentemente, ha, con generoso senso civico, affidato con lascito testamentario quei materiali ai Civici Musei.
Un altro cospicuo nucleo di opere di Carena, fra i più notevoli in assoluto, è di proprietà di un collezionista bresciano: testimonianza di un grande
interesse locale per l’artista torinese. Altri lavori di Carena sono presenti
in città e in provincia, e sono parzialmente esposti: due provengono da istituzioni pubbliche, i Civici Musei e l’Associazione Arte e Spiritualità. La mostra pertanto può proporre una preziosa scelta di lavori di Carena, nella
maggior parte inediti.
L’AAB rivolge i più vivi ringraziamenti a quanti hanno collaborato all’impegnativa iniziativa: in particolare, ai curatori; ai prestatori; alla direzione
dei Civici Musei; al dottor Benedetto Macca, giudice unico del Tribunale di
Brescia, al notaio Bruno Barzellotti, delegato alle operazioni di inventario
dell’eredità giacente della dottoressa Magda Zanelli, all’avvocato Barbara
Galli, curatore dell’eredità medesima, che, pur perdurando il regime di curatela e in attesa della conclusione dell’iter burocratico e del trasferimento delle opere ai Civici Musei, hanno permesso la loro esposizione e garantito pertanto che la mostra programmata si realizzasse.
Vasco Frati
presidente dell’AAB
Giuseppina Ragusini
direttrice dell’AAB
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La luce delle cose, la luce di Dio
Alessandra Corna Pellegrini
La mostra dedicata a Felice Carena nasce da una fortunata situazione contingente, e cioè dall’acquisizione da parte dei Civici Musei, tramite legato
testamentario, di un nucleo di opere del pittore torinese appartenute ad
Angelo Zanelli, celebre autore del fregio del Vittoriano, e a sua moglie, la
pittrice Elisabetta Kaehlbrandt, amici di Carena, opere generosamente donate alla città dalla figlia Magda Zanelli, recentemente scomparsa.
A fianco di queste sei opere, è stato possibile radunare un altro gruppo di
dipinti e disegni presenti nelle collezioni bresciane, gruppo non numeroso
ma utile a inquadrare la produzione di Carena. Sono infatti rappresentati
sia i temi che i periodi principali della sua pittura, di modo che, pur nell’inevitabile e direi ovvia parzialità della proposta, è possibile comunque delineare un percorso significativo. Tra le opere esposte, infatti, non solo si
trovano ritratti, scene sacre, scene legate al mondo degli umili e nature
morte, che sono i soggetti principali di Carena, ma sono rappresentati anche tre dei quattro periodi ventennali, legati alle città nelle quali risiedette, in cui possono essere schematicamente suddivisibili la vita e l’opera del
pittore: la formazione a Torino, dove rimase fino al 1906; la maturazione
del suo personale linguaggio a Roma, dove operò fino al 1924; l’attività di
professore e poi direttore all’Accademia di Belle Arti a Firenze, dove realizzò opere celebrative dalle monumentali strutture compositive; e infine
il soggiorno a Venezia, dove si trasferì nel 1945 e rimase fino alla morte,
elaborando soprattutto dipinti di soggetto religioso e nature morte.
Nato a Cumiana nel 1879, Carena frequentò l’Accademia Albertina di Torino come allievo di Giacomo Grosso, pittore realista di paesaggio e nature morte, famoso soprattutto per i suoi ritratti, eleganti ma di maniera,
dell’alta società torinese; si distaccò però presto dalla sua influenza, anche
grazie alla frequentazione degli intellettuali torinesi più aggiornati, come
Graf, Cena, Gozzano, Thovez, avviando così la ricerca di un linguaggio personale in direzione simbolista, attento all’opera dello scultore Bistolfi, come anche dei Preraffaelliti, di Segantini, di Böcklin, di Rodin, dello spagnolo Anglada y Camarsa, e soprattutto del pittore francese Carrière1, da cui
riprese i temi intimistici risolti con figure evanescenti, non definite, rese
suggestive da un forte contrasto di luci e di ombre. Tipici di questa maniera sono i ritratti, tesi a definire la dimensione psicologica e spirituale del
soggetto più che la sua fisionomia.
La prima delle opere esposte in ordine cronologico è proprio un ritratto
5
Felice Carena nel 1912
di questo tipo, il bozzetto del ritratto del poeta Giovanni Cena2 conservato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, eseguito nel 1907.
L’anno precedente il pittore si era trasferito nella capitale avendo vinto il
Pensionato Artistico Nazionale con l’opera La rivolta (1904)3; e fu proprio
il poeta piemontese, che già l’aveva fortemente influenzato a Torino con i
suoi scritti sull’arte, avvicinandolo a Segantini, ai Preraffaelliti, a Whistler, a
Carrière e a Rodin4, a inserirlo nell’ambiente culturale romano. A Roma
Cena esercitò fin dal 1902 l’attività di redattore-capo della «Nuova Anto6
logia» e si impegnò a fondo per migliorare le condizioni di vita e l’istruzione dei contadini dell’Agro Romano, fondando ben settanta scuole con
l’aiuto di poeti, artisti fra i quali Balla5, insegnanti, medici e della sua compagna di quegli anni, la scrittrice Sibilla Aleramo6. Il ritratto di Cena, come
l’Autoritratto del 1908, La perla. Studio di nudo, pure del 1908, e il Ritratto della baronessa Ferrero del 19107, risente dell’influenza di Carrière8, anche se
la suggestione del pittore francese non è subìta, ma reinterpretata in chiave personale. “La formula generatrice di questi ritratti come apparizioni,
entro un’atmosfera oscura che si accende di bagliori cromatici, deriva da
Carrière l’indicazione sommaria del contesto, definito per accenni [...],
mentre la fisionomia del volto appare improvvisa e sintetica come in un
lampo. La volontà di suggestione tende a definire, per usare termini d’epoca, la dimensione spirituale (il ritratto dell’anima), secondo l’esempio
del famoso ritratto fatto da Carrière a Verlaine”9.
Fra la fine del 1912 e la fine del 1913 si può dire conclusa la prima fase
della produzione di Carena, che abbandonò la stesura sfumata e indefinita
per approdare a una pittura più corposa e sintetica, dal cromatismo brillante, intenso e steso a campiture compatte. Nel 1912 il pittore espose 21
opere alla X Biennale di Venezia, che celebrano e insieme concludono la
fase simbolista; venne consacrato come uno dei maggiori pittori italiani del
momento, le cui opere erano acquistate dai più importanti musei italiani;
ma, anziché proseguire in quello stile estenuato, ancora intriso di sensibilità decadente, che gli aveva dato tanto successo, sentì l’esigenza di un rinnovamento, di una vera e propria svolta, che inizialmente sconcertò la critica10. Dal 1913 divenne, assieme all’amico Oppo, a Balla e ad altri pittori,
uno dei principali organizzatori delle mostre della Secessione romana, che
si tennero con cadenza annuale fino al 1916 raccogliendo le opere degli
artisti italiani più innovativi, insofferenti del clima tradizionalista delle esposizioni degli Amatori e Cultori dell’Arte, e presentando gli artisti internazionali più moderni11. Alla prima mostra della Secessione romana espose
due dipinti nella sala internazionale: I re magi e Studio di nudo12; nei Re magi (1912-13), di cui esiste un bozzetto nella collezione Zanelli ora in via di
acquisizione dai Civici Musei d’arte e storia, esposto in mostra13, Carena
affrontò il tema sacro con forme sintetiche e chiuse, che sconcertarono
alcuni, mentre furono ammirate dai critici più aperti e aggiornati: “Ho sentito pronunziare le più disparate opinioni sui Re Magi di Felice Carena, severamente giudicati da alcuni, esaltati da altri come una delle opere più significative del pittore piemontese. Non mi par dubbio che la personalità di
Carena si riveli in quel quadro con una originalità che era da gran tempo
desiderata e di cui vedemmo apparire un segno nell’Infortunio. Si era sempre rimproverato al giovane pittore di non sapersi liberare ora dai ricordi del Von Stuck ora da quelli del Carrière. Qui egli finalmente dimentica
l’uno e l’altro e si sforza di sottrarsi anche ad ogni diversa influenza estra7
nea, dà libero volo alla sua anima di sognatore e vuol riassumere in una
fiamma unica di colore quelle scintille che prima ardevano qua e là nelle
sue opere, sfavillando improvvise nelle penombre suggestive [...]. Ad un
concetto così arbitrario della materia della pittura, cioè del colore, corrisponde in Carena un’idea altrettanto soggettiva del disegno, che della pittura è la forma, vale a dire il mezzo di espressione. Abolito quasi completamente il chiaroscuro, vediamo il corpo del piccolo Gesù allungarsi smisuratamente e impicciolirsi fino all’inverosimile il cranio dell’ultimo dei re
che si avvicina recando la sua offerta al bambino”14. In mostra a Brescia è
presente anche una tavola ad olio rappresentante la Crocifissione, analoga
per soggetto, stile, dimensioni, formato e cornice al bozzetto dei Re Magi,
ascrivibile pertanto alla stessa data. Vicina stilisticamente per la stilizzazione delle forme compatte e chiuse, ma più intensa nella gamma cromatica
espressionista ricca di verdi, di rossi, di viola, è una Sacra famiglia datata
1915, anch’essa esposta in mostra15.
La libertà e l’intensità del colore, l’eleganza lineare e la tensione espressive delle forme di Matisse e di Van Dongen, ma anche la sintesi plastica di
Cézanne16, ammirati alle mostre della Secessione romana, hanno sicuramente stimolato ulteriormente quest’esigenza di cambiamento, ma hanno
avuto altrettanta importanza nella sua evoluzione la conoscenza diretta
della pittura di Gauguin, “scoperta” alla Secessione del 1915, e l’intensa
frequentazione di Anticoli Corrado, che lo spinsero a un’ulteriore semplificazione e sintesi delle forme e delle campiture cromatiche17.
Fin dal 1913, infatti, Carena iniziò a trascorrere il periodo estivo ad Anticoli
Corrado, il paese della Sabina che già dalla fine dell’Ottocento era frequentato da numerosi artisti attratti dalla splendida posizione dominante
sulla vallata dell’Aniene e dall’atmosfera arcaica e intatta. Dal 1915 Carena
vi prese in affitto una casa, l’“uliva murata”, dove trascorse anche numerosi mesi all’anno soprattutto dopo il matrimonio, avvenuto nel 1919, con Mariuccia Chessa, sorella del pittore Gigi Chessa, e dove tornò anche dopo
aver lasciato Roma per Firenze nel 1924. Anche la famiglia Zanelli, da tempo amica di Carena, iniziò a frequentare Anticoli Corrado nello stesso periodo; l’amicizia era nata fin da quando il pittore piemontese era giunto nella capitale, dove aveva conosciuto lo scultore Angelo, suo coetaneo, che si
era trasferito a Roma nel 1904, anch’egli in seguito alla vittoria del Pensionato Artistico Nazionale, e il legame si era mantenuto e approfondito nel
tempo, anche quando nel 1909 Angelo sposò la pittrice lèttone Elisabetta
Kaehlbrandt.
Partito per la guerra nel 1916, Carena abbandonò la pittura per tre anni e
la riprese solo nel 1919, quando si trasferì ad Anticoli con la moglie; così
nel 1964 ricordava l’importanza dell’esperienza anticolana e il suo ritorno
alla pittura nel dopoguerra: “Avevo tenuto durante la guerra una casetta in
affitto ad Anticoli, che mi costava trecento lire l’anno, e lì, appena rientra8
to dal militare, ripresi a dipingere regolarmente. Mi ci trasferii da Torino
con mia moglie, e mi misi subito a lavorare; il primo quadro che feci è la
Bambina sulla porta18, poi subito dopo i Contadini al sole della Galleria d’Arte Moderna di Torino19, che ebbe un premio ex-aequo con Casorati; indubbiamente la guerra mi aveva molto maturato. Anticoli è un paese che
io ho amato moltissimo, ha avuto una grande influenza su di me, perché
molti dei disegni che faccio tuttora si può dire sono un ricordo di Anticoli, di questo paese così primitivo, di questi contadini così cari, così umani,
poveri... Per due anni stetti quasi sempre ad Anticoli, poi solo l’estate, il resto dell’anno lo passavo a Roma”20. Testimonianza del periodo e dei temi
anticolani, ma anche del legame fra le due famiglie e il loro comune amore per questo paese è il bozzetto Donne di Anticoli, che reca una dedica di
pugno di Carena: “A ELISABETTA ZANELLI PER IL NATALE 1919”21; la
tempera rappresenta
delle donne vestite
in costumi folcloristici, delineate con
colori vivaci e larghi
tratti sintetici, le forme chiuse da una
netta linea blu di
contorno.
Ad Anticoli Corrado
Carena trovò il suo
“mondo primitivo”: la
semplicità del paese, La tenda rossa, olio su tela, cm 80x100
delle abitazioni, dei
Brescia, collezione privata
pastori e dei contadini che lo abitavano gli suggeriva la semplificazione delle forme, dei volumi,
dei corpi solidi e monumentali, contornati da linee nette; il colore si faceva
più libero, intenso, talvolta fortemente contrastante, si accendeva di rossi, di
gialli, di blu, di verdi squillanti stesi con pennellate corpose e dense. La solidità e la compostezza dei volumi sembravano già presagire il ritorno al plasticismo novecentesco, quel “ritorno all’ordine” che Carena interpretò in
modo del tutto personale.
Sono infatti gli anni, quelli del primo dopoguerra, del dibattito sulle riviste
(prima fra tutte «Valori Plastici» di Broglio)22 a favore del ritorno alla solidità volumetrica oltre che del recupero della tradizione pittorica, in consonanza con ciò che stava accadendo ovunque in Europa, seppure con sensibilità e soluzioni molto diverse. Ma mentre il gruppo più vicino a «Valori Plastici» (Broglio, De Chirico, Carrà) interpretava il “ritorno all’ordine” in senso purista come recupero della pittura del Trecento e del Quattrocento, Carena seguì una sua linea personale, allargando i riferimenti della tradizione al
9
Cinquecento maturo e al Seicento, linea cui aderirono in seguito anche Socrate, Trombadori, Oppo, Donghi; ma il pittore che gli era più affine e col
quale si trovò in maggiore sintonia fu Soffici, che come lui si spinse a recuperare anche i grandi dell’Ottocento, da Delacroix, a Courbet, a Manet. “Il
ritorno all’ordine romano si trova quindi, in pittura, polarizzato in due principali tendenze, che trovano entrambe (sia pure in maniera e misura diverse) uno sbocco teorico su «Valori Plastici»: un classicismo che procede dal
superamento della pittura metafisica, e che ricerca un primitivismo platonico depurato di forme e di linee; e un classicismo che invece nasce dal superamento sintetico del post-impressionismo, che trova le sue ragioni in una
più eclettica ispirazione alla ‘tradizione’; e di quest’ultima tendenza il ‘romano’ Carena appare il primo e maggiore propugnatore, assieme al toscano
Soffici. Per entrambi l’aspirazione è quella di rinnovare la pittura italiana attraverso l’«italianità»,
e i risultati sono in un
‘realismo magico’ di
sospeso afflato lirico,
di suggestiva modernità”23.
Questo originale approccio all’antico è
ben rappresentato
nella prima Biennale
romana del 1921, dove Carena e Soffici
esposero, nella stessa
sala, 11 opere il primo, fra cui molte nature morte, 10 opere
il secondo; la critica
più tradizionalista
non apprezzò la svolta di Carena: “Questo artista che ha
Ritratto del poeta Cena, 1907
molto talento e molRoma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna
to gusto, oltre a molta facilità assimilatrice, lo vedo con sincero dispiacere intento ad uno studio
accurato per deformare e storcere uomini e cose. Che egli abbia talento si
sa da chi conosce le precedenti sue opere, e, del resto, si vede anche attraverso le deformazioni di queste. Le attuali sue Aringhe, i suoi Tulipani, i suoi
Zucchini, il suo Giacinto bianco, pur stando di traverso su tavole che dànno un
poco le vertigini, testimoniano la sua robusta fibra di pittore. E così anche il
gruppo dei Contadini visto come in uno specchio convesso”24.
10
Esemplare di questo periodo, in cui le forme si fanno meno rigide e chiuse, la composizione più articolata, la gamma cromatica meno squillante e
la pennellata più mossa, è un’opera della collezione Zanelli esposta in mostra, datata 1921, rappresentante Il buon samaritano25, impostata prevalentemente su linee spezzate e diagonali. In questi anni Carena realizzò molte opere di tema religioso: nel 1922, per inaugurare la scuola d’arte che
aveva aperto con Attilio Selva agli Orti Sallustiani (con succursale estiva ad
Anticoli Corrado)26, espose fra le altre opere, fra cui spiccava la prima versione della Quiete27, una serie di bozzetti ispirati al Nuovo Testamento: Il
presepe, La cena in Emmaus, Ritrovamento di Mosè; educato dalla famiglia a
una visione religiosa, fin dall’infanzia si sviluppò in lui una forte sensibilità
spirituale, che si espresse fin dagli esordi della sua produzione in temi sacri, costanti fino alla seconda guerra mondiale e poi, nel periodo veneziano, il suo principale soggetto di ispirazione.
Fin dall’inizio di questo secondo decennio del Novecento realizzò opere
di grande respiro, connotate da un solido plasticismo e da un classicismo
alimentato dalla profonda conoscenza della storia dell’arte e in particolare della pittura veneta fra Cinquecento e Settecento, ma non dimentiche
della lezione di Courbet, di Manet e di Cézanne. Portò a completa maturazione questa tensione classicista in quelli che sono stati definiti “i grandi idilli”, composizioni monumentali incentrate sul tema della figura umana nel paesaggio, dominate da un senso di sospensione metafisica, di tranquillità non ignara però del male di vivere: un desiderio di pace, un tendere alla serenità più che la certezza del loro possesso. Fanno parte di questo momento il già citato Quiete, nelle due versioni del 1921 e del 19222428, Il porcaro del 1921, Cena in Emmaus del 1922, Nude e cavalli del 192429,
Deposizione30, Apostoli31 e Susanna32 sempre del 1924, Serenità del 192533.
Di questi anni è probabilmente il Ritratto di Alessandro Zanelli a figura intera della collezione Zanelli, che per lo stile e per l’età dimostrata dal primo
dei figli di Angelo ed Elisabetta, nato nel 1910, dovrebbe essere stato realizzato da Carena fra il 1921 e il 192434.
Divenuto nel 1924 professore all’Accademia di Belle Arti di Firenze, vi si
trasferì verso la fine dell’anno, pur continuando a tornare fino al 1928 ad
Anticoli Corrado durante il periodo estivo. In questi anni Carena frequentò l’ambiente della rivista «Solaria», sulle cui pagine pubblicò numerosi schizzi e disegni: “Piacevano […] ai solariani gli impasti cromatici densi, vibranti, le figure solenni e modernamente semplificate, la potenza costruttiva del paesaggio e la classica monumentalità di quelle forme, modulate in superfici gessose, spalmate di colore e articolate con cezanniana
scabrosità”35. La sua fama crebbe in Italia e all’estero ed egli fu presente
a diverse esposizioni, fra cui ricordiamo la partecipazione alle Biennali di
Venezia del 1926 (dove presentò 50 opere e venne consacrato da Antonio Maraini come uno dei maggiori pittori europei del momento, giudizio
11
confermato da Lionello Venturi, Ugo Ojetti, Emilio Cecchi e Ugo Nebbia)
e del 1928, dove espose, fra gli altri, il quadro monumentale La scuola36,
opera con cui celebrava la propria attività di maestro di pittura, affrontando in chiave moderna il tema courbettiano dell’atelier, e con la quale vinse nel 1929 il primo premio alla ventottesima edizione dell’International
Exhibition of Paintings dell’Istituto Carnegie di Pittsburgh, uno dei più prestigiosi a livello internazionale37. Sempre nel 1929 fu invitato da Margherita Sarfatti alla seconda mostra del Novecento Italiano, al Palazzo della Permanente a Milano, dove espose tre disegni e tre dipinti, mentre nel 1930
uscì presso l’editore Hoepli la prima monografia a lui dedicata, curata da
Antonio Maraini.
Sia la critica di allora che quella più recente davanti alle opere di questo
decennio e a quelle del decennio successivo si divide: da un lato celebra la
maturità dell’artista
e questo suo “fare
grande”, dall’altro avverte un troppo scoperto e compiaciuto
richiamo alla tradizione e un eccesso
di cerebralismo e retorica nello studio
delle composizioni;
non va dimenticato,
inoltre, che Carena
spesso cade sotto
l’atteggiamento preI re magi, 1912-13
giudiziale e ideologiEsposizione della Secessione romana, 1913
co di buona parte
della critica del dopoguerra nei confronti dei pittori del Novecento italiano38.
Fra gli anni Trenta e Quaranta il successo si consolidò: per citare soltanto
gli episodi più famosi, nel 1931 espose 33 dipinti alla I Quadriennale d’Arte Nazionale a Roma e vinse insieme a Casorati, Ferrazzi e Soffici il terzo
premio di 25.000 lire; fu presente a quasi tutte le Biennali di Venezia con
numerose opere e spesso con una sala personale39; espose a Parigi, in diverse città della Germania, in Polonia, in Romania e in Ungheria, a Berna,
a Baltimora, a Pittsburgh, a New York; nel 1933 venne nominato accademico d’Italia, la carica più prestigiosa dell’ufficialità artistica; fu spesso
membro delle commissioni esaminatrici nelle più prestigiose esposizioni.
In questi anni la sua pittura conobbe un’ulteriore evoluzione, anche a causa di una grave malattia che nel 1929 lo aveva tenuto lontano dal lavoro
per quasi un anno e portato ad utilizzare formati più piccoli e a una ste12
sura pittorica più sommaria, vibrante, inquieta, intrisa di luce che sconcertò alcuni critici, mentre venne apprezzata da altri proprio perché nella
sua frammentarietà esprimeva l’irrequietudine di una profonda ricerca esistenziale ed estetica che non si accontentava di successi e onori, ma sperimentava nuove strade. Egli stesso nel 193440 dichiarò: “Ora, dopo la malattia, ho capito che l’arte dev’essere immersa in un’umanità sempre maggiore.” In quello stesso anno coniò per la propria pittura la definizione
“realismo poetico”, cui rimase fedele anche negli anni successivi41.
Fra i soggetti ricorrenti le nature morte, in cui compaiono le amate conchiglie, gli autoritratti, i ritratti, il tema delle bagnanti o scene marine42, le
scene sacre, talvolta scene di vita popolare, come Teatro popolare del
193343, Giocatori di scacchi del 1937-38, Uomo che dorme del 193844 e Sera
del 1940; quando affronta temi ufficiali e celebrativi, come in Dogali. 1887,
esposto alla XX Biennale di Venezia del 1936, trasforma il tema epico ed
eroico della guerra in meditazione umana sul dolore e sulla morte, non
certo in linea con l’ortodossia fascista.
La mostra dell’Associazione Artisti Bresciani presenta tre opere di questo
periodo: Ritratto di Marzia del 193745, La caduta di San Paolo46 e Annuncio ai
pastori del 194147. Il primo ritrae la figlia avuta nel 1910 dalla relazione con
la baronessa Gina Ferrero; oltre che alla figlia Donatella, nata nel 1920 dal
matrimonio con Mariuccia Chessa, furono molti i quadri dedicati da Carena a questa figlia, teneramente ritratta da quando era una bambina a
quando, separato dalla moglie e amareggiato dalle critiche mossegli per
aver occupato alte cariche ufficiali sotto il regime fascista48, il pittore nel
1945 si trasferì a Venezia, dove lei viveva e dove lei divenne la sua famiglia.
Qui Marzia, in attesa di un figlio, è ripresa in un’espressione assorta, fra la
tenerezza e la malinconia, forse in meditazione sul futuro di madre che l’aspetta; come in altri ritratti di quegli anni49, la gamma cromatica si fa piuttosto uniforme, per mettere più in evidenza il volto della persona.
La caduta di San Paolo e L’annuncio ai pastori vanno accostati a Giacobbe lotta con l’angelo del 193950, a Cristo predica alle turbe del 194051, ma soprattutto a L’angelo sveglia i pastori sempre del 194052, e sono esemplari del
modo di rappresentare il tema sacro e più in generale del cambiamento di
stile che si registrò in quegli anni e che poi proseguì nel periodo veneziano: il disegno si fa più approssimato, le forme più mosse, spesso contornate da un largo segno scuro, i colori sono intrisi di luce, una luce che sembra corrodere e insieme animare i volumi, per rappresentare il misterioso
incontro dell’uomo con il divino, l’epifania del sacro sulla terra, fra gli uomini semplici che sono i primi ad avvertirne il messaggio; un linguaggio in
una parola espressionista, ma animato dalla memoria dei pittori del passato che Carena sente più consonanti, dei grandi “espressionisti ante litteram”, come El Greco, Tiziano, ma anche Goya, l’ultimo Delacroix, Daumier,
Kokoschka53.
13
Quando nel 1944 i Tedeschi, ritirandosi da Firenze, fecero esplodere una
mina che distrusse la villa di Fiesole dove Carena risiedeva e lavorava, il
pittore si trasferì provvisoriamente al convento di San Marco a Firenze e
dal 1945, come si è detto, dalla figlia Marzia a Venezia.
A Venezia Carena visse gli ultimi vent’anni della sua vita, appartato rispetto al dibatto critico e artistico nazionale, anche se partecipò ad alcune Biennali negli anni Cinquanta ed espose regolarmente nella sede
dell’Unione Cattolica Artisti Italiani. La sua meditazione sulla vita e sulla morte, sulla materia e sullo spirito, si approfondì e si espresse in opere di grande intensità lirica, con un linguaggio sempre più tormentato,
più sfatto, dalla pennellata inquieta e franta, un linguaggio che è stato assimilato, oltre che all’espressionismo, al barocco. I temi più ricorrenti e
in cui meglio si manifestò questa tensione etica ed estetica sono le nature morte e i soggetti religiosi, ricchi di pathos e di drammaticità. Dal
punto di vista stilistico si intensificò la ricerca sulla luce, insieme fisica e
metafisica, che scompone le forme, accentua l’inquietudine delle linee,
sottolinea la drammaticità delle scene, rivela la realtà della natura e l’anima spirituale delle cose; la luce che “è sicuramente l’elemento principale che attraversa la pittura di Carena in tutte le sue fasi”54 sembra divenire il punto di arrivo della sua ricerca pittorica: “Il problema luce l’ho
arricchito alla fine della mia vita [...]. È forse tipico di tutti i pittori l’abbandono del disegnativo per arrivare alla luce piena”55. E ancora: “la meraviglia della luce che illumina ed arricchisce sia le cose più splendide
come le più umili ed oscure; e nella pittura (quando raggiunge una rara
altezza) non è che completa indivisibile fusione di luce ed ombra, chiarezza e mistero, forma colore e spazio, meravigliosa follia e più alta e sublime libertà”56. Certamente la ricerca sulla luce nacque anche dall’incontro con Venezia, sia per la sua speciale realtà spaziale fra cielo e mare che per la sua storia pittorica, dai grumi di colore e d’ombra dell’ultimo Tiziano, al colpizar fatto di filamenti quasi fosforescenti dei teleri
del Tintoretto, ai bianchi e agli azzurri intrisi di luminosità diffusa di Tiepolo57.
Le nature morte del periodo veneziano, che sono state definite “il pendant
cattolico alle nature morte laiche di Morandi”, tornano a indagare costantemente sugli stessi oggetti: vasi, bottiglie, conchiglie, talvolta frutta e fiori;
spesso la presenza della clessidra o del cranio ci ricorda, come nelle vanitates barocche, che la materia è fragile e corruttibile, che per le cose che
popolano la nostra vita c’è un tempo e così anche per noi. Ma questa meditazione spirituale e morale (“Il problema della pittura non può non essere un problema morale”, affermava Carena)58, non cancella la gioia sensuale con cui Carena guarda agli oggetti e li accende di tocchi di luce, fino
alle ultime nature morte quasi monocrome nella gamma dei rosa, degli azzurri e dei grigi, che Carena diceva di avere imparato da Tiepolo. Esempio
14
delle varianti di questo tema, amato da Carena fin dagli esordi della sua
pittura, sono le cinque nature morte esposte in questa mostra, due acquerelli e tre tele ad olio, che ben rappresentano gli esiti di questo genere, nella soffusa luce rosata che avvolge tutte le cose59.
È presente in mostra anche una serie di disegni risalenti al periodo veneziano, che propongono i temi ricorrenti della pittura di Carena, sia sacri
che profani: Tobia e l’angelo60, Figure femminili sulla spiaggia61, L’angelo sveglia i pastori62, Laocoonte63, Cavallari64, I cavalieri dell’Apocalisse65, Cavalli66,
Pietà67, Poveri pescatori 68, Sera69, Passaggio del Mar Rosso70, Dar da bere agli
assetati71, Pastori72. Dei disegni di Carena è stato detto: “Non tanto conta,
in questi disegni, il segno, quanto la luce. La quale nasce dal gioco del chiaro e dello scuro. Non si tratta di gradazioni, di sfumature, […] ma di contrasto fra luce e tenebra, dal cui finale risultato deriva la vitalità della forma […]. Disegnatore eccellente sì, Carena; armonizzatore
magistrale, in composizioni equilibrate
e cariche a un tempo di respiro estroso”73. E ancora: “Accanto alle opere di
pittura, non si possono staccare le
centinaia di disegni
di Carena che accompagnano i vari
temi dei quadri, d’u- Nude e cavalli, 1924
Biennale di Venezia, 1926
na singolare intenGià segnalato in collezione bresciana
sità pittorica, pittura
essi stessi nella rapida sintesi della sanguigna oppure del bianco e nero
dell’inchiostro. Il chiaroscuro si illumina di bagliori improvvisi, di fiamme,
di forti controluce o di violente penombre per l’addensarsi delle idee nell’immagine, sull’abbrivio dell’emozione, che deve esprimersi tutta, fino in
fondo, con una sintesi rapida e sicura senza alcun indugio. Braccia, mani,
corpi, profili di volti con le espressioni più varie sono travolti da una forza irruente che rende ogni cosa vivida ed incandescente nella espressione del sentimento”74.
Nel periodo veneziano le sue amicizie più profonde erano basate su affinità di fede, come il legame con il conte Cini e con il patriarca di Venezia, il futuro pontefice Giovanni XXIII75, e le sue esposizioni avvennero
prevalentemente nella sede veneziana dell’Unione Cattolica Artisti Italiani; la ricerca spirituale che lo aveva sempre animato diventò il suo prin15
cipale tema di riflessione, la sua principale ispirazione, un’indagine costante che ha il suo corrispettivo nel Novecento solamente in Rouault:
“L’arte nel silenzioso operare dell’artista emerge dal caduco, ed è la forma più pura della conoscenza e la più sublime testimonianza di Dio”76.
Carena approfondì in particolare la sua ricerca sul tema della Pietà, soggetto in cui si incontrano la meditazione sulla salvezza in Cristo e sul dolore dell’uomo, il nostro essere disarmati davanti al mistero della morte.
Il tema è ricorrente lungo il corso di tutta la sua attività, dal Cristo del
191077, esposto alla Biennale di Venezia del 1912 insieme a Il morto, alla
Deposizione del 192478, a quella del 1938-39 esposta alla Biennale di Venezia del 1940 e poi all’Esposizione Internazionale di Arte Sacra tenutasi a Roma per l’Anno Santo79, opere che filtrano la sensibilità del pittore attraverso lo studio dei grandi del passato, come Giovanni Bellini, Tiziano, il Tintoretto; ma negli anni veneziani il tema tornò costantemente
in forme sempre più tormentate, scavate e corrose dalla luce, fino alla
Deposizione dipinta per la chiesa dei Carmini nel 1963, con una drammaticità e un disfacimento della materia pittorica vicini all’ultimo, tragico Tiziano. “Quale umanità più grande, quale tragedia umana maggiore
della ‘Pietà’? Si vive per capire questo e per cercare la luce, sempre più
luce”80. La Pietà del 196281 esposta in mostra è un esempio significativo
di questa ultima maniera scabra, in cui il colore si spegne in toni lividi,
violacei, dove “cadono i motivi di eloquenza, di recupero neoclassico, di
compiacimento compositivo, perché il tema sacro si libera spesso da
ogni scoria di ricerca per apparire con i segni di una intima e sofferta comunicazione”82.
Sono gli ultimi anni della sua lunga vita, ma ancora operosi. Scriveva a
Carrà nel 1962: “Io vivo ormai in piena solitudine, penso – leggo – e quando mi è possibile dipingo – e mi pare di comprendere ora soltanto cosa
sia la pittura e l’arte”; e sempre all’amico e collega piemontese nel 1963:
“sono ora ritornato a Venezia nella mia casa – piena di ricordi e un po’ triste – ma a me piace e qui attendo un po’ di forza – per lavorare ancora?
– non so – e non ha grande importanza - ormai poco o nulla potrei aggiungere al già fatto – poca cosa in realtà in confronto a quanto speravo
fare…, ma ora devo pensare a chiudere dignitosamente e in raccolto silenzio questa mia lunga e assai faticosa vita”83. In realtà il bisogno di esprimersi attraverso l’arte lo accompagnò fino all’ultimo: pochi mesi prima
della morte, avvenuta il 10 giugno 1966, afflitto da un grave disturbo alla
vista che gli impediva di dipingere, iniziò a modellare con il gesso alcune
teste, fra cui un intenso autoritratto. Si concludeva così, in modo appartato, l’esistenza di un pittore che anche nel periodo del suo massimo riconoscimento pubblico fu sì sensibile alle diverse suggestioni dell’arte europea, dai simbolisti ai fauves, dagli espressionisti ai puristi, ma rimase sostanzialmente un indipendente difficilmente riconducibile a una scuola.
16
1
Eugène Carrière (1849-1906) fondò con Rodin e Puvis de Chavannes la Societé Nationale de Beaux Arts; legato alla sensibilità simbolista, interpretò in molte opere atmosfere intimiste della vita borghese di fine Ottocento ed eseguì molti ritratti, fra cui
è famoso quello di Verlaine del 1891, con stesure pittoriche evanescenti quasi monocromatiche.
2 Bozzetto, olio su cartone, cm 22x15 (1907 circa); rispetto al quadro definitivo l’inquadratura comprende solamente il volto e la mano del poeta (cat. 1).
3 Con La rivolta (olio su tela, cm 120x130, Roma, Accademia di Belle Arti) Carena si accostò alla tematica sociale e impegnata in chiave umanitaria più che socialista, interpretando la scena con accenti sentimentali e patetici, che resero forse accettabile alla giuria del Pensionato Artistico Nazionale l’elemento politico della bandiera rossa. L’interesse per i temi sociali, oltre che dall’influenza dell’ambiente culturale e artistico che lo
circondava, per il quale è sufficiente citare Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo esposto
alla Quadriennale di Torino del 1902, può essere stato sollecitato anche dall’ammirazione per l’opera di Millet, da lui conosciuta direttamente durante un viaggio a Parigi
nel 1900, dalla conoscenza dell’opera dello scultore belga Constantin Meunier (che
espose a più riprese alla Biennale di Venezia dal 1897 all’anno della morte, il 1905) e del
pittore, pure belga, Eugène Laermans. A La rivolta si può accostare la grande tela realizzata per la Biennale di Venezia del 1909, I viandanti (olio su tela, cm 161x300, Udine, Galleria d’Arte Moderna); a proposito di quest’opera Carena ricordò nel 1964: “In quell’epoca eseguii I viandanti del Museo di Udine, un tema che mi è sempre stato molto caro: una teoria di persone che camminano, con dei sacchi sulle spalle... Questo quadro
fu visto da Gorkij: io ero molto amico di Giovanni Cena, il poeta, un socialista, amico di
Gorkij che allora viveva a Capri, e un giorno mi disse che lo avrebbe portato a studio;
io tremai a quest’idea, perché allora ero intriso di letteratura russa, Tolstoi, Dostoevskij,
Turghenev, e Gorkij era l’ultimo di questi grandi. Lui non parlava italiano, parlava solo
russo, ma una sua amica ci faceva da interprete, e io potei parlare con lui: «mi piace questo vostro quadro» mi disse, «però questi poveri non sono abbastanza poveri». E io capii, perché anche se erano stracciati erano sempre di un grande stile, non erano certo
dei mujik rossi. In qualche modo questo quadro si poteva avvicinare ai contadini di Millet, che sembrano un po’ dei santi, degli eroi, con un certo misticismo.” La citazione, già
pubblicata in F. Benzi, Felice Carena, catalogo della mostra, Roma, 1984, è stata consultata in F. Benzi, Carena a Roma: i fondamenti dello stile e i temi della pittura, nel catalogo
della mostra Maestri del Novecento “Felice Carena”, a cura dello stesso, Torino, 1995,
pp. 24-25.Così Benzi commenta la citazione (p. 25): “Sono evidenti i limiti, se si vuole,
dell’ottica socialista-umanitaria contenuta in questo tipo di espressione artistica, rilevati peraltro dallo stesso Gorkij: cioè un idealismo che sublima invece di rendere più crudi e patenti i contrasti sociali; ma era questo un carattere connaturato al tipo di cultura simbolista italiana che volutamente tentava di rendere universale, nella ricerca dell’opera d’arte ‘assoluta’, l’istanza sociale e politica; così come testimonia Alessandro
Marcucci, in un certo senso il teorico degli indirizzi artistici del gruppo di Cena, nel suo
libro di ricordi (La scuola di Giovanni Cena, Torino, 1951): «Era l’epoca del realismo, del
verismo, dello psicologismo, e tale era il nostro credo, ma volevamo che l’opera d’arte
fosse significativa, che propugnasse un’idea, che difendesse una causa, che contenesse
un pensiero, ma senza incertezze e volgarità, bensì bilanciata, armonica, quindi non priva di senso estetico». Gran parte dell’ambiente giovanile romano era suggestionato da
questa visione estetizzante.”
4 Carena, nel viaggio che fece a Parigi con Cena nel 1900, conobbe, oltre alle opere di
Manet e Millet, quelle di Rodin, di Carrière, di Whistler; Cena rimase in stretta corrispondenza con Rodin, che Carena conobbe in seguito a Roma e che influenzò con il
non-finito e la suggestione del frammento scultoreo alcuni torsi femminili degli anni
1908-10 (si veda la nota 7). La critica ha spesso messo in rilievo come l’attenzione all’opera di grandi scultori (oltre a Rodin e a Bistolfi già citati anche Medardo Rosso) sia
fondamentale nella formazione di Carena e della sua maniera pittorica: “Ancora nel
1958, scrivendo a Carlo Carrà, affermava: «Rosso mi è stato caro, come a te, come a
17
Soffici ». A quegli scultori si rivolgeva per approfondire un argomento che, come lo era
stato per la pittura del seicento, gli appariva fondamentale nelle ricerche contemporanee: l’incidenza della luce sulla forma, le complesse percorrenze che fanno diventare luce il colore, le vaste possibilità di far giocare la luce fino a modificare la plastica dei corpi e i profili delle cose, ricavandone una essenziale forza espressiva” (L. Cavallo, Felice
Carena: la luce ricca di mistero, in Felice Carena, catalogo della mostra, 8 novembre-7 dicembre 1994, Nuova Galleria Carini di Milano, Milano, 1994, p. 6).
5 Anche Balla nel 1910 dedicò un ritratto a Cena, in cui l’abbandono del divisionismo a
favore di una tecnica pittorica sfumata che accentua il carattere sentimentale e patetico rivela l’influenza dei ritratti tipici dell’amico Carena.
6 Giornalista già famosa, Rina Faccio si trasferì nel 1902 a Roma, dove conobbe Cena,
col quale instaurò un forte sodalizio culturale e un intenso rapporto umano durato sette anni. Fu proprio durante questo periodo che, guidata e incoraggiata da Cena, pubblicò il suo primo libro Una donna (1906) e assunse lo pseudonimo di Sibilla Aleramo.
7 Le ultime due opere sono dedicate alla baronessa Gina Ferrero, figlia del senatore
Roux, direttore della «Tribuna», moglie del barone Augusto Ferrero, critico letterario e
artistico della «Tribuna», che teneva un salotto frequentato da intellettuali e artisti nella sua casa; con lei Carena ebbe una lunga e intensa relazione durata fino alla prima
guerra mondiale, da cui nacque nel 1910 la figlia Marzia, alla quale Carena dedicò molte opere nell’arco della sua vita. Ritratto di Cena, La perla, Ritratto di Leonardo Bistolfi furono esposti insieme ad altre opere nel 1910 in una mostra personale nell’ambito della LXXX Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma; in quell’occasione il ritratto di Cena fu acquistato dalla Galleria d’Arte
Moderna di Roma.
8 L’influsso di Carrière, che agì su Carena fra il 1906, anno di morte del pittore francese, e il 1912, anno in cui si determinò una vera e propria svolta nell’opera del pittore
piemontese, si accentuò particolarmente fra il 1907 e il 1910, come si può notare anche dalle scelte tematiche: ritratti, nudi, maternità.
9 M. M. Lamberti, in AA.VV., Felice Carena, catalogo della mostra Maestri del Novecento
“Felice Carena”, a cura di F. Benzi, Torino, 1995, p. 20. A proposito di questo ritratto e
di altre opere coeve nel 1919 De Chirico, ironizzando su questa maniera di Carena, sulla bruttezza di Cena e sul legame con la Aleramo, disse: “Carena Felice ci mostra un ritratto di uomo che certo non ha una testa da farsi mantenere dalle donne e una Madre ove pare che sul cioccolato-Carrière siasi rovesciata una scodella di sciroppo di fragole” (in G. De Chirico, Il meccanismo del pensiero, a cura di M. Fagiolo Dell’Arco, Torino, 1985, pp. 117-118, riportato nel saggio di M. M Lamberti citato in questa stessa nota, p. 20); ma queste opere raccolsero anche numerosi consensi: “Un artista d’eccezione come il Carena potrà non avere concordi tutte le simpatie del pubblico, per quella
certa indeterminatezza - o, talvolta, scorrettezza - di disegno - per quella ripetuta antitesi cromatica di sempre tre diversi toni complementari o affatto discordi fra loro, potrà, a volta a volta, sembrare in troppo diretta comunanza col Carrière o troppo evidentemente seguace dello Stuck [...], potrà sembrare poco spontaneo per una ostentata maniera rubensiana o per un certo fare che lo imparenta con i ritrattisti inglesi del
XVIII secolo; ma non c’è chi non comprenda, anche se profano, che il temperamento di
colorista del Carena ha qualità intuitive e spontanee di grandissimo interesse e che non
senta quale profonda ricerca dell’intima natura è diffusa nei suoi ritratti. Così non io,
ma tutti ammirano - pur se non nella stessa misura - il magnifico ritratto della baronessa Ferrero, di una colorazione così suggestiva e di una luminosità insorpassata, e
quello del Cena e del Bistolfi, e quel magnifico trittico La Madre e Fiori di così delicato
sentimento” (in A. Severi, LXXX Esposizione di Belle Arti in Roma, in «L’Arte», Roma, anno XIII, fasc. I, gennaio, citato sempre in Felice Carena, 1995, p. 242. Esiste in collezione
privata bresciana un Ritratto di fanciulla del 1912, che non è stato possibile esporre in
mostra.
10 Alla Biennale del 1914 un Nudo gli fu rifiutato proprio perché troppo lontano dalla
sua maniera tradizionale e troppo “moderno”.
18
11 Nell’edizione del 1913 erano presenti, per la prima volta in Italia, i fauves, ed erano
rappresentate le correnti dell’impressionismo, del post-impressionismo e delle secessioni mitteleuropee; fra gli altri ricordiamo Manet, Renoir, Pissarro, Sisley, Matisse, Van
Dongen, Bonnard, Vallotton. Nell’edizione del 1914 fu allestita una mostra della Secessione austriaca con opere, fra gli altri, di Klimt e Schiele, mentre in un’altra sezione furono esposti trenta quadri di Matisse e tredici di Cézanne.
12 Nella sala con Carena erano esposte opere di Pietro Marussig, Emile Blanche, Arturo Noci, Ivan Meštrovič.
13 Olio su tavola, cm 46x62; sul retro si legge la scritta: “13 Dicembre 1912” (cat. 2). Rispetto all’opera definitiva il bozzetto presenta forme meno definite e chiuse, ma la composizione è sostanzialmente uguale, tranne la figura a sinistra, che nel quadro esposto
alla Biennale è di profilo come gli altri due re magi con cui forma un blocco più compatto, mentre nel bozzetto è leggermente ruotato di tre quarti e porta sul capo una
corona.
14 A. Colasanti, Le esposizioni di Belle Arti a Roma, la Mostra della società amatori e cultori,
in «Emporium», vol. XXXVII, n. 28, giugno 1913 (riportato in F. Benzi, Biografia, in Felice
Carena, 1995, p. 244).
15 Crocifissione, bozzetto, olio su tavola, cm 48x64 (cat. 3); Sacra famiglia, olio su tavola,
cm 67x49, firmato e datato: “Carena 1915” (cat. 4); entrambe le opere provengono dalla collezione Zanelli.
16 Per l’influenza di Cézanne si veda per esempio Ritratto di un medico di campagna, 191415, olio su tela, cm 100x80, Firenze, collezione privata, già acquistato da Ugo Ojetti direttamente dal pittore intorno al 1915.
17 “Nei quadri di quest’epoca, alcune figure di Anticoli, bloccate con un segno incisivo in
una pittura densa e piatta come lucidi smalti, fanno pensare alle fanciulle di Tahiti di Gauguin” (in G. Perocco, Carena, Roma, 1975, p. 10).
18 Bambina sulla porta, olio su tela, cm 155x94, Venezia, Fondazione Giorgio Cini.
19 Contadini al sole, olio su tela, cm 182,5x152,5, Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna
e Contemporanea; Carena con quest’opera, esposta nel 1919 alla Promotrice di Torino, vinse un premio ex-aequo con Casorati.
20 La citazione, pubblicata in F. Benzi, Felice Carena, catalogo della mostra, Roma, 1984, è
stata consultata in F. Benzi, Carena a Roma: i fondamenti dello stile e i temi della pittura, nel
già più volte citato catalogo Felice Carena, 1995, p. 29.
21 Tempera su carta, cm 47x66, firmato e datato in basso a sinistra: “F.CARENA 23-519” (cat. 5). Nell’inverno del 1919 Elisabetta, in crisi con il marito, rimase per tutto l’inverno ad Anticoli, mentre Angelo stava a Roma. Gli stretti rapporti fra le due famiglie
sono testimoniati anche dall’opera della Kaehlbrandt Picnic, in cui è rappresentata una
scampagnata degli Zanelli con gli amici, fra i quali sono ritratti Mariuccia e Felice Carena (olio su tela, cm 78x89, 1920, Brescia, curatela dell’eredità giacente della dottoressa
Magda Zanelli), e soprattutto dal Ritratto di Alessandro Zanelli a figura intera (olio su tela,
cm 156x78, idem; cat. 7), il primo dei figli dei due artisti, nato nel 1910 (padrino di battesimo fu lo scultore torinese Leonardo Bistolfi, altro elemento in comune fra Carena
e gli Zanelli); dall’età apparente del ragazzo nel ritratto a figura intera, la tela, di grande
formato, può essere stata eseguita da Carena tra il 1922 e il 1924; l’opera può essere
confrontata con Bambino sul cavallo a dondolo realizzato dalla Kaehlbrandt nel 1919, in
cui Alessandro ha nove anni. Per altre notizie sulla famiglia Zanelli, sulla loro frequentazione di Anticoli Corrado e della famiglia Carena si vedano il saggio di F. De Leonardis
nel presente catalogo e le biografie dedicate da Magda Zanelli alla madre e al padre: M.
Zanelli, Una pittrice venuta dal nord, Rezzato, 1992, e Una vita per l’arte, Rezzato, 1993.
Per l’opera della Kaehlbrandt e i suoi rapporti con Carena si vedano anche Elisabetta
Zanelli Kaehlbrandt 1880-1970, catalogo della mostra tenuta a Brescia alla Galleria Bistro nel 1976, con saggio introduttivo di R. Bossaglia, Brescia, 1976, ed Elisabetta Kaehlbrandt (1880-1970), catalogo della mostra, 12-30 gennaio 2002, AAB, a cura di F. Tedeschi, E. Di Raddo, F. De Leonardis, Brescia, 2002. Nel suo saggio introduttivo al catalogo
del 1976 R. Bossaglia tende a limitare l’influenza esercitata sulla pittrice lèttone sia dal
19
marito che da Carena. Le maggiori consonanze fra l’opera della Kaehlbrandt e quella di
Carena in quegli anni riguardano soprattutto le tematiche comuni del mondo primitivo
dei contadini anticolani e l’uso libero del colore, che la pittrice può aver derivato anche dal rinnovato linguaggio di Carena. Per entrambi i pittori, invece, è stata indicata l’influenza del pittore Albin Egger-Lienz (per il riferimento al pittore austriaco in relazione
alla Kaehlbrandt si vedano i due cataloghi già citati, mentre in relazione a Carena si veda C. L. Ragghianti, Felice Carena, in «Critica d’Arte», I, 1936, pp. 148-151).
22 La rivista «Valori plastici» fu pubblicata a Roma fra il 1918 e il 1921.
23 F. Benzi, Carena a Roma: i fondamenti dello stile e i temi della pittura, in Felice Carena,
1995, p. 32.
24 A. Lancellotti, Prima Biennale Romana, MCMXXI, catalogo della mostra, Roma, 1921;
citato in Felice Carena, 1995, pp. 246-247.
25 Olio su tela, cm 60x48, firmato e datato in basso a destra: “F. CARENA 921” (cat. 6).
26 Alla scuola degli Orti Sallustiani furono allievi di Carena molti artisti della giovane generazione che poi costituirono la Scuola Romana degli anni Trenta, come Pirandello, Cavalli, Martinelli, Capogrossi.
27 Quiete, 1921, olio su tela, cm 150x181, Piacenza, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi.
28 Quiete, 1922-24, olio su tela, cm 151,5x204, collezione della Banca d’Italia.
29 Quest’opera è indicata da G. Perocco (in Felice Carena, Roma, 1975) come presente
in collezione privata bresciana, ma non è stato possibile rintracciarla.
30 Olio su tela, cm 154x122, Diocesi di Aosta; l’opera fu donata dal fratello prete dell’artista alla chiesa di Cervinia, dove egli fu parroco a lungo.
31 Olio su tela, cm 135x190, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti.
32 Olio su tela, cm 150x130, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
33 Olio su tela, cm 203x324, Roma, Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea.
34 Cfr. nota 21. Il termine ante quem è fissato dal fatto che gli Zanelli frequentarono Anticoli Corrado fino al 1922, mentre Carena, che continuò a recarsi nella località romana fino al 1928, lasciò Roma nel 1924. A questi anni o al decennio successivo potrebbe
risalire anche Nudo di donna, sanguigna su carta, cm 60x33, esposto in mostra (cat. 8).
35 G. Uzzani, La pittura del primo Novecento in Toscana (1900-1945), in La pittura in Italia.
Il Novecento, tomo I, Milano, 1992, p. 411.
36 Olio su tela, cm 170x318, collezione privata della Banca Toscana. “Manifesto di questo momento è comunque La scuola del 1928, a cui Carena affida la metafora della sua
idea di arte. Si parla, intanto, di scuola, di un maestro e dei suoi allievi, cioè di un’arte i
cui rudimenti si possono insegnare e apprendere: un’arte che non si fonda alla maniera moderna sull’originalità individuale, ma alla maniera classica su leggi eterne e trasmissibili, nella continuità della tradizione. [...] l’arte non può essere che imitazione, attento riallacciarsi alla natura attraverso l’esempio dei maestri. Che la modella riprenda
da vicino una figura tizianesca, infatti, non è casuale: imitazione della natura e imitazione dell’arte conducono a un’identica meta e giungono a coincidere” (E. Pontiggia, La tradizione classica in Felice Carena, in Felice Carena, 1995, p. 47).
37 Il primo premio era stato vinto nel 1927 da Matisse, nel 1928 da Derain.
38 “L’italianità come ritorno a una grandezza classica [...] diviene una suggestione che ha
molti passivi nell’arte italiana del tempo. [...] Carena «con il suo fare d’artista in fondo
sempre immaturo e sempre giovane», (prendiamo le parole di Ragghianti), ha sofferto
più degli altri le conseguenze di questo entusiasmo collettivo. Pur conscio d’essere pittore scoperto e indifeso, s’è lasciato trascinare più degli altri dall’insidia della retorica,
sull’avvio di una padronanza di mestiere, che gli permetteva il «fare grande» dei tempi
passati e di compiacersi di questa bravura. Proprio in questo equivoco Carena è stato
simbolo vivente ed angustiato di tanti errori essenzialmente italiani, che hanno caratterizzato quest’epoca della nostra storia. Tra volontà ed emozione, dunque, la volontà riesce a sopraffare l’emozione [...]. Il vero Carena anche di quest’epoca è quello degli autoritratti, dei ritratti di famiglia, di alcune preziose nature morte, di alcuni calibrati paesaggi di Anticoli” (G. Perocco, Felice Carena, 1975, p. 11).
20
“Gli anni Venti [...] sono gli anni delle vaste composizioni, dei quadri celebrativi. La materia si fa screziata, imbevuta di luce rugiadosa, spesso macerata. Il fondo letterario è
evidente, ma è anche evidente uno psicologismo persino esasperato (specie nei frequenti autoritratti). Lo spettro stilistico si ampia da El Greco a Courbet, da Correggio
a Cézanne; e via via la pennellata si fa inquieta, sinuosa, persino serpeggiante. È un connotato da interpretare in chiave simbolica, come segno di una aristocratica fierezza d’animo che viene corrosa lentamente dal dubbio, dall’incertezza. [...] la Sarfatti nel 1930
scrive significativamente: «Casorati, Carrà e Carena sono piemontesi: nature, dunque,
meno decisamente e spontaneamente plastiche, uomini molto colti, piuttosto cerebrali, mutevoli e aperti a tutte le tendenze». In verità, Carena ci appare come un insoddisfatto. I suoi quadroni forzano spesso il sentimento verso la retorica, lasciando poco
spazio alla pittura come ‘confessione’ o come ‘stato d’animo’: si è attratti troppo dall’effetto e sfuggono le componenti più finemente intellettuali e psicologiche dell’artista.
[...] Insomma, Carena sente il fascino della ‘grande pittura’ del passato come forse nessun altro; ma stenta a trovare il filo giusto di una espressività che coincida con la sua
natura intellettuale e sensitiva” (P. Rizzi, Felice Carena, introduzione al catalogo della mostra Felice Carena dalle collezioni veneziane, 13 ottobre-24 novembre 1985, Venezia,
1985).
39 Nel 1940 ottenne il Gran Premio della Pittura alla XXII Biennale di Venezia.
40 O. Vergani, Mattinata con Felice Carena, in «Corriere della Sera», 17 maggio 1934, p. 3,
citato da E. Pontiggia, La tradizione classica in Felice Carena, in Felice Carena, 1995, p. 47.
41 Patria ed Arte. Parole pronunziate da S.E. Felice Carena Accademico d’Italia per la commemorazione della vittoria e della marcia su Roma alla Reale Accademia di Belle Arti e Reale Liceo Artistico di Firenze il 5 novembre 1934, Firenze, 1934. Nel 1950 Carena tornò a definire “realismo poetico” la sua posizione estetica all’interno del dibattito su pittura realista e pittura astratta (F. Semi, Arte politica e realismo poetico di Felice Carena, in «Corriere Lombardo», n. 70, 23-24 marzo 1950, e Realismo poetico di Felice Carena, in «La Fiera Letteraria», n. 17, 23 aprile 1950).
42 In collezione privata bresciana è conservata La tenda rossa (olio su tela, cm 80x100,
in basso a sinistra: “CARENA 1935”), opera dalla composizione dinamica e dalla cromia
intensa che rappresenta un impianto balneare affollato, coperto da un tendone giallo e
rosso mosso dalla brezza.
43 Olio su tela, cm 150x210, Milano, Galleria d’Arte Moderna.
44 Olio su tela, cm 100x180, Roma, Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea.
45 Ritratto di Marzia, olio su tela, cm 70x56, firmato e datato in basso a sinistra: “CARENA 1937”, Brescia, collezione privata (cat. 9). In collezione privata bresciana è conservato un altro ritratto dello stesso periodo, rappresentante un amico spagnolo pittore.
46 La caduta di San Paolo, olio su cartone, cm 49,5x 69,5, Brescia, collezione privata (cat.
10). Sul retro è incollata un’etichetta relativa alla mostra personale del 1943 alla Galleria Michelangiolo di Firenze, in cui l’artista espose 36 dipinti e ventisei disegni. Per stile
l’opera va collocata alla fine degli anni Trenta o forse ai primi anni Quaranta.
47 Annuncio ai pastori, olio su tela, cm 80x110, firmato e datato in basso a destra: “CARENA 1941”, Brescia, collezione privata (cat. 11).
48 Nell’immediato dopoguerra Carena, avendo ricoperto, oltre a quella di accademico
d’Italia, le cariche di direttore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze e di commissario
nazionale del Sindacato Fascista di Belle Arti, subì un processo per “profitti di regime”,
da cui uscì assolto.
49 Si veda, per esempio, il Ritratto di Marzia del 1932, olio su tavola, cm 63x48, Roma,
collezione privata.
50 Olio su tela, cm 56x50, Udine, Galleria d’Arte Moderna.
51 Olio su tela , cm 70x100, Milano, Galleria d’Arte Moderna.
52 Olio su tela, cm 81x102, Venezia, Fondazione Giorgio Cini.
53 Nel 1948 Carena conobbe personalmente Kokoschka, che quell’anno esponeva in
una sala personale alla Biennale di Venezia, ma la critica ritiene che la vicinanza stilistica
21
sia dovuta non tanto a un’influenza diretta del grande pittore austriaco, quanto piuttosto a una profonda affinità, dato che la dissoluzione delle forme e la sensibilità espressionista in Carena sono precedenti a questa data.
54 F. Benzi, Appunti su Carena a Venezia: la ricerca della luce, in Felice Carena, 1995, p. 52.
55 La citazione, già pubblicata in F. Benzi, Felice Carena, catalogo della mostra, Roma, 1984,
è stata consultata in F. Benzi, Appunti su Carena a Venezia: la ricerca della luce, in Felice Carena, 1995, p. 53.
56 F. Carena, Autopresentazione nel catalogo della mostra personale, Galleria La Riviera,
Treviso, 1963, citato in Felice Carena, 1995, p. 53.
57 “Che cos’è questa luce? Me lo son chiesto continuamente, nella mia vita. È forse il
trasfigurarsi dell’oggetto, il suo spogliarsi di ogni valore contingente. A Venezia il senso
della luce mi si è rivelato quasi all’improvviso. Ho sempre desiderato abitare in questa
città meravigliosa; e ci sono venuto per trovarvi la pace, per concludere qui la mia vita.
Da diciassette anni sono veneziano. Venezia è la città della luce: quella luce che ha saputo cogliere mirabilmente il Tiepolo. Sarà stata l’influenza dell’ambiente, e insieme l’influenza dei grandi veneziani del passato: un Bellini, un Tiziano, un Tiepolo appunto, dal
quale ho derivato il mio amore per i rosa, per i grigi, per i celesti chiari. Certo è che
qui ho capito che cosa è la luce” (intervista a Carena di P. Rizzi, pubblicata in «Il Gazzettino», aprile 1962, ripubblicato in P. Rizzi, Felice Carena dalle collezioni veneziane, Venezia, 1985).
58 P. Rizzi, Felice Carena dalle collezioni veneziane, Venezia, 1985.
59 Natura morta con fiori, olio su tela, cm 42x38, firmato in basso a sinistra: “CARENA”,
Brescia, collezione privata (cat. 14 ); Natura morta con conchiglie, olio su tela, cm 50x60,
firmato in basso a sinistra: “CARENA”, datato in basso a destra: “1962”, Brescia, collezione privata; sul retro della tela: “Questo dipinto è mio e eseguito nel 1962 Felice Carena 1964”; è presente inoltre un’etichetta della Galleria d’arte Il Castello di Trento
(cat. 15); Natura morta con uva, olio su tela, cm 60x50, sul retro etichetta: “Ottobre 1967
/ Mostra postuma Felice Carena ritorna a Torino / 60x50 1965 / Natura morta con uva”,
Brescia, collezione privata (cat. 17); Natura morta, acquerello su carta, cm 45x65, firmato in basso a destra: “CARENA”, collezione privata (cat. 12); Natura morta, acquerello
su carta, cm 50x70, firmato in basso a destra: “Carena”, collezione privata (cat. 13).
60 China su carta, cm 19x14, firmato in basso a destra: “Carena”, al centro: “l’angelo e
Tobia 1948”, Desenzano, collezione Vincenzo Benedetti (cat. I).
61 Penna su carta, cm 16,5x34, 1952, firmato in basso a sinistra: “Carena”, in basso al centro:
“1952 nude”, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo, Gabinetto di disegni e stampe (cat. II).
62 Inchiostro su carta, cm 28,5x23, firmato in basso a destra: “Carena”, in basso al centro: “l’angelo sveglia i pastori 1953”, Brescia, collezione privata (cat. III).
63 Inchiostro su carta, cm 27x22, firmato in basso a destra: “Carena”, in basso al centro:
“1954 Laoconte”, Brescia, collezione privata (cat. IV).
64 Inchiostro su carta, cm 33x25, firmato in basso a destra: “Carena”, in basso al centro:
“cavallari 1958”, Brescia, collezione privata (cat. V).
65 Inchiostro su carta, cm 35x25, firmato in basso a destra: “Carena”, in basso al centro:
“1959 I cavalieri dell’Apocalisse”, Brescia, collezione privata (cat. VI).
66 Inchiostro su carta intelata, cm 29,5x20, firmato in basso a destra: “Carena”, in basso
al centro: “Cavalli 1960”, Brescia, collezione privata (cat. IX).
67 Inchiostro su carta, cm 31x22, firmato in basso a destra: “Carena”, in alto al centro:
“Pietà 1960”, Brescia, collezione privata (cat. VIII); acquerello e inchiostro su carta, cm
29,5x21, firmato in basso a destra: “Carena”, al centro: “1962 Pietà”, Brescia, Associazione Arte e Spiritualità (cat. X); viene esposto in mostra anche un altro disegno su carta sullo stesso tema, non datato, ma per stile assimilabile a questo periodo (inchiostro su carta, cm 21x16, firmato in basso a destra: “F. Carena”, Brescia, collezione privata, cat. VII).
68 Inchiostro su carta, cm 30x22, firmato in basso a destra: “Carena”, al centro in basso: “1962 Poveri pescatori”, Brescia, collezione privata (cat. XI).
69 Inchiostro su carta, cm 31x22, firmato in basso a sinistra: “Carena”, in basso al centro: “Sera 1962”, Brescia, collezione privata (cat. XII).
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70 Inchiostro su carta, cm 28,5x23, al centro: “1963 Passaggio del Mar Rosso”, Brescia,
collezione privata (cat. XIII).
71 Inchiostro su carta intelata, cm 29,5x20, firmato in basso a sinistra: “Carena”, in alto
al centro: “1964 Dar da bere agli assetati”, Brescia, collezione privata (cat. XIV).
72 Inchiostro su carta intelata, cm 29,5x20, firmato in basso a sinistra: “Carena”, in basso al centro: “1965 Pastori”, Brescia, collezione privata (cat. XV).
73 P. Nardi, I “poveri” di Felice Carena, in «Il Resto del Carlino», 27 settembre 1962, citato in Felice Carena, 1995, p. 260.
74 G. Perocco, Felice Carena, 1975, pp. 13-14.
75 Carena eseguì nel 1959 il ritratto ufficiale di papa Giovanni XXIII, conservato in Vaticano.
76 F. Carena, Autopresentazione nel catalogo della mostra personale, Galleria La Riviera,
Treviso, 1963, citato in Felice Carena, 1995, p. 268.
77 Olio su tela, cm 62x190, Roma, Accademia di Belle Arti, saggio finale del Pensionato
Artistico per gli anni 1908-1910.
78 Cfr. nota 30.
79 Quest’opera venne donata da Carena al conte Cini, che a sua volta la donò a papa
Paolo VI nel 1965.
80 O. Vergani, Mattinata con Felice Carena, «Corriere della Sera», 17 maggio 1924, citato
in Felice Carena, 1995, p. 48.
81 Olio su tela, cm 86x57, firmato e datato in basso a sinistra: “CARENA 1962”; Brescia,
collezione privata (cat. 16).
82 G. Perocco, Felice Carena, 1975, p. 13.
83 Lettere di Felice Carena da Venezia a Carlo Carrà a Milano, 1962 e 1963, pubblicate
da L. Cavallo in Felice Carena, 1994, Milano, pp. 18-19.
23
I caldi ricordi di Magda Zanelli
Francesco De Leonardis
Capita ai figli che sono vissuti nella luce dei genitori di farsi custodi della loro memoria. Soprattutto quando i genitori hanno raggiunto fama nell’arte,
diventa quasi una necessità il consacrare la propria esistenza alla conservazione non solo dei ricordi domestici, ma anche del lascito culturale che è
spesso fatto di documenti, di immagini e di opere rimaste negli atelier dopo
la loro scomparsa. Si finisce allora per vivere in case-museo, dove ogni oggetto esprime sì il suo intrinseco valore d’arte, ma viene a significare anche
molto di più: legami di affetti, sentimenti condivisi, esperienze vissute insieme nella calda protezione della famiglia.
Anche a Magda Zanelli è toccato il compito di conservare la memoria di
suo padre, lo scultore Angelo Zanelli, e di sua madre, la pittrice Elisabetta
Kaehlbrandt.
Magda Zanelli è morta, novantenne, la scorsa estate quando imperversava
la torrida morsa del caldo. La longevità era una caratteristica familiare, perché anche la madre, che era nata a Riga in Lettonia nel 1880, si era spenta
poco dopo il novantesimo compleanno, a Bergamo, nel 1970; ma la signorina Magda non voleva pensare ai suoi anni anagrafici ed anche negli ultimi
tempi, quando il fisico si era debilitato e le procurava difficoltà nel movimento, confidava di sentirsi la volontà di una quarantenne e di voler riprendere a viaggiare, magari per recarsi in Bulgaria a ricercare le tele che Elisabetta, da giovane, aveva dipinto per la regina di quel lontano paese.
Viveva in un appartamento, in fondo a corso Magenta, abbastanza grande per
una persona sola, ma affastellato all’inverosimile di quadri, sculture, libri e
memorie.
Era una donna volitiva e colta. Aveva due lauree: la prima in Scienze Politiche, la seconda in Medicina presa dopo la morte del padre per appropriarsi di quella scienza che – come diceva – “non era riuscita a salvarlo”. Era vissuta nell’agio e non le mancava certo quella sicurezza che solo può dare una
vita piena di interessi culturali. In giovinezza aveva avuto bravi maestri di musica e canto, studiato le lingue all’estero, praticato l’equitazione e proprio su
un cavallo dal bel mantello grigio pomellato la madre l’aveva ritratta in una
tela che teneva appesa nella sua stanza insieme alle immagini degli altri familiari. Negli anni scorsi, dopo aver ordinato il ricco archivio di famiglia, aveva voluto scrivere personalmente le biografie dei genitori, senza risparmiarsi giudizi taglienti e polemiche nei confronti di chi, a suo parere, non ne aveva compreso la grandezza.
A Brescia era venuta dopo la morte della madre. Le facevano compagnia tre
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gatti amatissimi e impertinenti, che non si sopportavano a vicenda e intraprendevano spesso furibonde risse, difficili da sedare. Nelle quattro stanze
aveva raccolto quanto le era stato possibile salvare da una serie di traslochi.
Nel 1958 Elisabetta aveva infatti deciso di lasciare Roma, per essere più vicina al figlio Alessandro, che lavorava a Milano; si decise di andare a Bergamo,
che appariva una città più tranquilla e accogliente di Milano, e fu venduta allora la grande villa Crespi, circondata da un meraviglioso parco, che stava in
via Antonio Nibby dalle parti della Nomentana, acquistata da Angelo Zanelli,
arrivato al successo con la commissione del fregio del Vittoriano, negli anni
del primo conflitto mondiale. Quanto era stato possibile trasportare del ricco arredo della casa romana fu portato prima a Bergamo e, successivamente, a Brescia, dove arrivarono anche un consistente nucleo di sculture e i gessi di Zanelli, con i disegni e le tele della Kaelhbrandt.
Insieme alle opere dei genitori c’erano anche le sculture e i dipinti donati dagli artisti amici che avevano frequentato la casa romana, dove, fedelissimi agli incontri
della domenica pomeriggio,
erano stati Nino Bertoletti
con la moglie Pasquarosa
Marcelli, il pittore Giulio
Bargellini, autore dei mosaici
del Vittoriano, a cui Zanelli
aveva dedicato un vivace ritratto, Felice Carena con la
moglie Mariuccia Chessa, lo
scultore Attilio Selva. C’erano anche gli “omaggi” rivolti
al maestro da alcuni suoi allievi, come Arnaldo Vignanelli, che aveva lavorato nello
studio Zanelli negli anni della realizzazione del fregio
per l’Altare della Patria e si
era poi fatto monaco a Montecassino, Renato Rosatelli,
Elisabetta Kaehlbrandt con la madre Emma
collaboratore per le sculture
ed i figli in una fotografia scattata ad Anticoli
del Campidoglio di Cuba, e
Corrado nel 1913
l’americana Hazel Jackson.
La collezione di Magda Zanelli offriva un interessante spaccato della vita artistica romana di inizio Novecento, negli anni della Secessione e dell’immediato dopoguerra, in particolare di quegli artisti che avevano il loro studio
26
nello stimolante ambiente di Villa Strohl-Fern e che, nei mesi estivi, si trasferivano ad Anticoli Corrado. C’erano, tra l’altro, due grandi bozzetti per la decorazione del Vittoriano di Bargellini, un delicato Vaso di fiori di Pasquarosa
Marcelli Bertoletti, una Figura femminile inginocchiata e una Testa femminile dello scultore triestino Attilio Selva, che era arrivato nella capitale nel 1907 dopo aver vinto la borsa di studio del “Premio Roma”. Di Felice Carena si conservavano sei importanti dipinti, tutti della fine degli anni Dieci e dei primi anni Venti, che testimoniavano un’amicizia stretta, estesa alle reciproche famiglie.
Magda Zanelli ricordava ancora molti episodi di quel legame. Raccontava di
Carena che aveva posato per le mani di Gasparo da Salò, che aveva fatto scoprire agli Zanelli Anticoli Corrado, che rimproverava Elisabetta per le sue
pennellate “veloci” e sintetiche…
L’amicizia tra Angelo Zanelli e Felice Carena era nata a Roma all’Accademia
di Belle Arti. Il bresciano vi era approdato nel 1904 avendo
vinto il Pensionato
Artistico Nazionale,
borsa di studio di durata quadriennale;
Carena aveva vinto il
concorso due anni
dopo, nel 1906. Non
erano più giovanissimi, avevano ventisette anni ed erano nati
a pochi mesi di distanza, entrambi nel
1879. Zanelli veniva
Elisabetta Kaehlbrandt, Picnic, 1920
da Firenze. Nel 1899
aveva lasciato Brescia grazie al Legato Brozzoni per perfezionare i suoi studi in “una primaria capitale dell’arte”, come volevano le norme del concorso, e si era recato nella città toscana per frequentare all’Accademia i corsi
di Augusto Rivalta. Il piemontese Carena aveva compiuto i primi studi all’Albertina, allievo di Giacomo Grosso.
Quando nel 1909 Angelo aveva sposato Elisabetta Kaehlbrandt, conosciuta
l’anno prima a Roma dove la pittrice lèttone si era recata per un viaggio di
studio, anche la giovane moglie era stata subito introdotta nel giro degli amici. È Carena a far conoscere agli Zanelli Anticoli Corrado, forse già nel 1910.
Il paese della Sabina, collocato in posizione dominante nell’alta valle dell’Aniene, era frequentato da una vivace colonia di artisti. Già nell’Ottocento era
famoso perché forniva modelli e modelle per tele di soggetto rustico, indicate come Ciociari e Ciociare, per altro molto apprezzate dal mercato, ma attraeva anche per l’aspetto caratteristico delle vie e delle case, per la bellez27
za naturale dei luoghi. Sappiamo che tra i pittori bresciani c’erano stati, in
anni precedenti, anche Modesto Faustini e Cesare Bertolotti. La stagione artisticamente più vivace fu però quella dei primi due decenni del Novecento,
quando vi si incontravano Nino Bertoletti e Pasquarosa Marcelli, il pittore
statunitense di origine lèttone Maurice Sterne, il genovese Pietro Gaudenzi,
che ad Anticoli aveva sposato prima la modella Candida Toppi e poi, rimasto
vedovo, la sorella della moglie, Augusta. E c’erano anche Attilio Selva, Ferruccio Ferrazzi, Carlo Ludovico Bompiani e Aristide Sartorio, che nel 1918
vi girò il film Il mistero di Galatea.
Nel 1913 la famiglia Zanelli vi trascorse per la prima volta l’estate. La vacanza venne ripetuta l’anno successivo, poi, a causa della guerra, gli Zanelli non vi ritornarono che nel 1919. Ad Anticoli soggiornò sempre anche Felice Carena, che proprio in quell’ambiente naturale sembra trovare nuovi
stimoli per la sua pittura. Tra Elisabetta Kaehlbrandt e Carena debbono
esserci stati, durante quei soggiorni, scambi di idee e discussioni sull’arte
e sembra di poter dire che qualcosa dell’uso antinaturalistico e libero del
colore di Carena sia stato fatto proprio, allora, anche dalla Kaehlbrandt,
che viveva in quel momento la sua stagione artistica più significativa. Nel
1919, tornato dalla guerra che lo aveva tenuto lontano da Roma per tre
anni, Carena sposò Mariuccia Chessa. Elisabetta, che era in crisi con il marito, restò ad Anticoli anche durante l’inverno. Continuò a lavorare riempiendo centinaia di fogli d’album di disegni e dipingendo le case, arroccate
sulla montagna come una quattrocentesca torre di Babele, il lavoro dei
contadini nei campi, la gente dai volti fieri ed espressivi. E sono i soggetti
che, insieme ai temi religiosi, interessavano anche Carena. Nel Natale del
1919 il pittore donò ad Elisabetta un rapido bozzetto in cui aveva raffigurato un gruppo di donne di Anticoli. La Kaehlbrandt, l’anno dopo, ritrovata l’armonia con il marito, volle raccogliere in una grande tela tutta la sua
famiglia insieme agli amici. Nacque così Picnic. In un cielo crepuscolare azzurro, davanti a montagne lontane, tra le rocce e le querce, si consuma il
rito del déjeuner sur l’herbe. Sulla bianca tovaglia sono appoggiate stoviglie
decorate, il fiasco del vino, il pane, il canestro delle vivande. Elisabetta assiste in un angolo, di spalle. Di fronte le stanno il marito, appoggiato ad una
roccia, i figli che sembrano interessati soprattutto al cibo, l’istitutrice svizzera Jeanne Gianinazzo, che per proteggersi dall’umidità della sera si è
messa sulle spalle un golfino azzurro. Della brigata fanno parte anche i Carena: la bionda Mariuccia è in ginocchio, seduta sui talloni, e Felice si rassetta i capelli che ha rossicci come la barba; sta disteso sull’erba e si appoggia a lei, che gli ha posato una mano sulla spalla, mentre la luna disegna
la sua lieve falce nel cielo.
Le strade di Carena e degli Zanelli si divisero in seguito, nel 1924, quando il
pittore divenne professore all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Ma quell’amicizia, tanto bene accolta, è durata anche oltre la vita dei suoi protagonisti nei caldi ricordi di Magda Zanelli.
28
Le opere
olî, tempere, sanguigne, acquerelli
1. Ritratto del poeta Giovanni Cena (bozzetto),1907 circa
olio su cartone, cm 22x15
Brescia, collezione privata
30
2. L’adorazione dei Magi (bozzetto), 1912
olio su tavola, cm 46x62
sul retro: “13 Dicembre 1912”
Brescia, curatela dell’eredità giacente della dottoressa Magda Zanelli
31
3. Crocifissione (bozzetto)
olio su tavola, cm 48x64
Brescia, curatela dell’eredità giacente della dottoressa Magda Zanelli
32
4. Sacra Famiglia, 1915
olio su tavola, cm 67x49
in basso a destra: “CARENA 1915”
Brescia, curatela dell’eredità giacente della dottoressa Magda Zanelli
33
5. Donne di Anticoli (bozzetto), 1919
tempera su carta, cm 47x66
in basso a sinistra: “F. CARENA ANTICOLI 23-5-19”
in alto a destra:” A ELISABETTA ZANELLI PER IL NATALE 1919”
Brescia, curatela dell’eredità giacente della dottoressa Magda Zanelli
34
6. Il buon samaritano, 1921
olio su tela, cm 60x48
in basso a destra: “F. CARENA 921”
Brescia, curatela dell’eredità giacente della dottoressa Magda Zanelli
35
7. Ritratto di Alessandro Zanelli a figura intera, 1922-24
olio su tela, cm 156x78
Brescia, curatela dell’eredità giacente della dottoressa Magda Zanelli
36
8. Nudo di donna
sanguigna su carta, cm 60x33
in basso a destra: “F. Carena”
Brescia, collezione privata
37
9. Ritratto di Marzia, 1937
olio su tela, cm 70x56
in basso a sinistra: “CARENA 1937”
Brescia, collezione privata
38
10. La caduta di San Paolo
olio su cartone, cm 49,5x69,5
sul retro: etichetta della Galleria Michelangiolo di Firenze per la mostra personale del 1943
Brescia, collezione privata
39
11. Annuncio ai pastori, 1941
olio su tela, cm 80x110
in basso a destra: “CARENA 1941”
Brescia, collezione privata
40
12. Natura morta
acquerello su carta, cm 45x65
in basso a destra: “CARENA”
collezione privata
41
13. Natura morta
acquerello su carta, cm 50x70
in basso a destra: “Carena”
collezione privata
42
14. Natura morta con fiori
olio su tela, cm 42x38
in basso a sinistra “CARENA”
Brescia, collezione privata
43
15. Natura morta con conchiglie, 1962
olio su tela, cm 50x60
in basso a sinistra: “CARENA”; in basso a destra: “1962”
Brescia, collezione privata
44
16. Pietà, 1962
olio su tela, cm 86x57
in basso a sinistra: “CARENA 1962”
Brescia, collezione privata
45
17. Natura morta con uva, 1965
olio su tela, cm 60x50
in basso a sinistra: “CARENA”
Brescia, collezione privata
46
Le opere
disegni
I. L’angelo e Tobia, 1948
china su carta, cm 19x14
in basso a destra: “Carena”; al centro: “l’angelo e Tobia 1948”
Desenzano, collezione Vincenzo Benedetti
48
II. Figure femminili sulla spiaggia (Nude), 1952
penna su carta, cm 16,5x34
in basso a sinistra: “Carena”; in basso al centro: “1952 nude”
Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo, Gabinetto di disegni e stampe
49
III. L’angelo sveglia i pastori, 1953
inchiostro su carta, cm 28,5x23
in basso a destra: “Carena”; al centro in basso: “l’angelo sveglia i pastori 1953”
Brescia, collezione privata
50
IV. Laocoonte, 1954
inchiostro su carta, cm 27x22
in basso a destra: “Carena”; al centro: “1954 Laoconte”
Brescia, collezione privata
51
V. Cavallari, 1958
inchiostro su carta, cm 33x25
in basso a destra: “Carena”; al centro in basso: “Cavallari 1958”
Brescia, collezione privata
52
VI. I cavalieri dell’Apocalisse, 1959
inchiostro su carta, cm 35x25
in basso a destra: “Carena”; in basso al centro: “1959 I cavalieri dell’Apocalisse”
Brescia, collezione privata
53
VII. Pietà
inchiostro su carta, cm 21x16
in basso a sinistra: “F. Carena”
Brescia, collezione privata
54
VIII. Pietà, 1960
inchiostro su carta, cm 31x22
in basso a destra: “Carena”; in alto al centro: “Pietà 1960”
Brescia, collezione privata
55
IX. Cavalli, 1960
inchiostro su carta intelata, cm 29,5x20
in basso a destra: “Carena”; in basso al centro: “cavalli 1960”
Brescia, collezione privata
56
X. Pietà, 1962
acquerello e inchiostro su carta, cm 29,5x21
in basso a destra: “Carena”; in basso al centro: “1962 Pietà”
Brescia, Associazione Arte e Spiritualità
57
XI. Poveri pescatori, 1962
inchiostro su carta, cm 30x22
in basso a destra: “Carena”; in basso al centro: “1962 Poveri pescatori”
Brescia, collezione privata
58
XII. Sera, 1962
inchiostro su carta, cm 31x22
in basso a sinistra: “Carena”; in basso al centro: “Sera 1962”
Brescia, collezione privata
59
XIII. Passaggio del Mar Rosso, 1963
inchiostro su carta, cm 28,5x23
in basso al centro: “1963 Passaggio del Mar Rosso”
Brescia, collezione privata
60
XIV. Dar da bere agli assetati, 1964
inchiostro su carta intelata, cm 29,5x20
in basso a sinistra: “Carena”; in alto al centro: “1964 Dar da bere agli assetati”
Brescia, collezione privata
61
XV. Pastori, 1965
inchiostro su carta intelata, cm 29,5x20
in basso a sinistra: “Carena”; in basso al centro: “1965 Pastori”
Brescia, collezione privata
62
Sommario
pag.
3
Presentazione
Vasco Frati e Giuseppina Ragusini
pag.
5
La luce delle cose, la luce di Dio
Alessandra Corna Pellegrini
pag.
25
I caldi ricordi di Magda Zanelli
Francesco De Leonardis
pag.
29
Le opere. Olî, tempere, sanguigne, acquerelli
pag.
47
Le opere. Disegni
Classici del novecento - 1
Felice Carena (1879-1966)
Mostra organizzata dall’Associazione Artisti Bresciani
17 aprile - 19 maggio 2004
Cura della mostra
Alessandra Corna Pellegrini e Francesco De Leonardis
Comitato organizzativo
Luisa Cervati, Vasco Frati,
Martino Gerevini, Giuseppina Ragusini
Cura del catalogo
Vasco Frati e Giuseppina Ragusini
Progetto grafico
Martino Gerevini
Allestimento della mostra
Beppe Bonetti
Restauri
Romeo Seccamani
Referenze fotografiche
Roberto Mora, Romeo Seccamani, Fotostudio Rapuzzi
Trasporti
Cortesi s.r.l. traslochi e Squadra tecnica dei Civici Musei d’arte e storia di Brescia
Assicurazione
Società Cattolica di Assicurazione, Agenzia generale di Brescia
Direzione dell’AAB
Giuseppina Ragusini
Segreteria dell’AAB
Simona Di Cio e Dario Moretta
L’AAB rivolge il più sentito ringraziamento per la preziosa collaborazione
alla direzione dei Civici Musei, in particolare alla direttrice Renata Stradiotti,
a Luisa Cervati, Piera Tabaglio, Giuliana Ventura, Maurizio Mondini,
Gerardo Brentegani e alla Squadra tecnica; ai collezionisti prestatori;
ad Andrea Mazzolini; al giudice unico del Tribunale di Brescia Benedetto Macca,
al notaio Bruno Barzellotti e all’avvocato Barbara Galli.
Fotocomposizione e stampa
Arti Grafiche Apollonio – Brescia
Finito di stampare nel mese di aprile 2004.
Di questo catalogo sono state tirate 250 copie.