guerre, fotografi e microscopi

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guerre, fotografi e microscopi
Rho Federica 5C LST
AS 2013/2014
ISIS GIULIO NATTA
GUERRE, FOTOGRAFI
E MICROSCOPI
La fotografia da mezzo di documentazione a mezzo di espressione
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INDICE:
1 INTRODUZIONE
1.1 La Celluloide
Pag 4
Pag 5
2 FOTOGRAFIA SCIENTIFICA E DESIGN
2.1 Laure Albin Guillot e la “ Micrographie Decorative”
2.2 Microscopio Ottico a Scansione: Fotografare l’Invisibile
Pag 7
Pag 7
Pag 10
3 FOTOGIORNALISMO
3.1 La Reflex
3.2 Bob Capa: una Vita “Leggermente Fuori Fuoco”
3.3 Reportage di Guerra: Guerra Civile Spagnola e Sbarco in Normandia
Pag 15
Pag 15
Pag 17
Pag 19
4 CONCLUSIONE
Pag 27
Sitografia e Bibliografia
Pag 28
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Antonino ora provava un particolare piacere a ritrarre gli oggetti domestici inquadrati da un
mosaico di telefoto, violente macchie d'inchiostro sui fogli bianchi. Dalla sua immobilità si sorprese
a invidiare la vita del fotoreporter che si muove seguendo i moti delle folle, il sangue versato, le
lacrime, le feste, il delitto, le convenzioni della moda, la falsità delle cerimonie ufficiali; il
fotoreporter che documenta sugli estremi della società, sui più ricchi e sui più poveri, sui momenti
eccezionali che pure si producono a ogni momento in ogni luogo. "Vuoi dire che solo lo stato
d'eccezione ha un senso? - si domandava Antonino. - È il fotoreporter il vero antagonista del
fotografo domenicale? I loro mondi si escludono? Oppure l'uno da un senso all'altro?" e così
riflettendo prese a fare a pezzi le foto con Bice o senza Bice accumulate nei mesi della sua
passione, a strappare le filze di provini appese ai muri, a tagliuzzare la celluloide delle negative, a
sfondare le diapositive, e ammucchiava i residui di questa metodica distruzione su giornali distesi
per terra. "Forse la vera fotografia totale, - pensò, - è un mucchio di frammenti d'immagini private,
sullo sfondo sgualcito delle stragi e delle incoronazioni
Italo Calvino, “Gli amori difficili”
In copertina: Micrografia su lastra autocroma di Laure Albin Guillot
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1 INTRODUZIONE:
La fotografia nasce nella prima metà del 1800 grazie alle nuove tecnologie sviluppatesi nel campo
dell'ottica (in particolare il perfezionamento della camera oscura) e in quello della chimica, con lo
studio delle sostanze fotosensibili. I primi apparecchi fotografici sono però ingombranti, con
obiettivi fissi e utilizzano lastre di vetro come supporto. Di conseguenza scattare fotografie resta a
lungo un processo lento che richiede attenzione e un ambiente adatto.
Nel caso della fotografia, le innovazioni tecniche fondamentali sono due: la costruzione della
macchina (in particolare l’invenzione della reflex) e il passaggio da supporti rigidi a supporti
flessibili per la pellicola.
La pellicola flessibile è stata introdotta nei primi anni del 1900. Le prime pellicole erano costituite
da nitrocellulosa o da suoi derivati, come il collodio, preparato mescolando nitrocellulosa ed alcol
etilico, oppure come la celluloide, un materiale plastico e trasparente ottenuto mescolando
nitrocellulosa e canfora.
Grazie alla nuova portabilità della macchina fotografica, nella prima metà del Novecento, la
fotografia, da mezzo di sola documentazione diventa anche mezzo di espressione, modificando
così il sistema della comunicazione e allargando gli ambiti artistici tradizionali. L’immagine diventa
protagonista e contribuisce alla nascita della cultura di massa, elemento centrale della
modernizzazione della prima metà del novecento.
È interessante costatare come le nuove tecnologie rendano possibile, con la loro esistenza, un
nuovo sguardo sulle cose e sugli avvenimenti, che costruisce un nuovo modo di pensare che a sua
volta genera nuove realtà.
Mi propongo di dimostrarlo facendo riferimento all'esperienza di due fotografi particolarmente
rappresentativi degli inizi di due rami di questa “rivoluzione per immagini”: Robert Capa,
ungherese, inventore del fotogiornalismo di guerra, del quale nel 2014 ricorre il 60° della morte (e
nel 2013 il centenario della nascita), e Laure Albin Guillot, poliedrica fotografa francese, fra le
prime a realizzare immagini microscopiche e a utilizzarle in modo commerciale non per la valenza
di documentazione scientifica, ma di suggestione estetica.
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1.1 LA CELLULOIDE
Ambito: CHIMICA
La pellicola fotografica fino al 1954 era composta essenzialmente da celluloide. Per la sintesi della
celluloide si utilizzano diversi composti tra cui la nitrocellulosa, l’alcool etilico, la canfora, coloranti
e additivi vari.
La cellulosa è uno dei polisaccaridi più importanti, è costituita da lunghe catene di molecole di
glucosio unite tra loro attraverso un legame β(1→4) glicosidico. E’ un polisaccaride di struttura e, a
differenza dei polisaccaridi di riserva (tra cui i più
importanti sono amido e glicogeno), non presenta
ramificazioni. Le catene di glucosio sono disposte
parallele le une alle altre e si legano fra loro mediante
legami a idrogeno.
Si può ottenere la cellulosa da molte fonti naturali, tra
cui il cotone, la iuta, la polpa di legno, gli scarti vegetali e
il lino.
La nitrocellulosa, elemento base delle prime pellicole
prodotte, si sintetizza attraverso la reazione di
nitrazione (con aggiunta di una miscela solfonitrica,
ovvero una miscela di acido solforico e acido nitrico) della
Figura 1: Struttura della cellulosa
cellulosa. Il prodotto di reazione può essere sfruttato per
la produzione di esplosivi, adesivi, pellicole, lacche, vernici. Ciò che differenzia i vari derivati è il
diverso grado di nitrazione della nitrocellulosa. Il livello di nitrazione di una molecola è dato dalla
percentuale di atomi di azoto nella molecola e per la produzione di pellicole si utilizza
nitrocellulosa al 10-11% di azoto.
I liquidi utilizzati per la sintesi della nitrocellulosa (acido nitrico e solforico, alcol etilico e acqua)
devono essere puri, per non causare in seguito il deterioramento prematuro della celluloide. Il
nitrato di cellulosa sintetizzato è quindi mescolato con canfora, con formula: C 10H16O. La canfora,
resina tratta dall'albero omonimo, è un chetone ciclico prodotto dall’ossidazione del pinene.
La canfora è il miglior solvente latente per il nitrato di cellulosa poiché la stabilizza, riducendone
l’esplosività, anche se non è in grado di ridurre l’infiammabilità, motivo per il quale dagli anni ‘50
la celluloide fu sostituita prima dal triacetato di cellulosa e poi dal poliestere, attualmente in uso.
La canfora è un buon solvente latente perchè:
 Ha capacità ottica, la sua denominazione completa è infatti: D-(+)-canfora
 Ha temperatura di fusione ed ebollizione alte, rispettivamente 176°C e 209°C
 Si solubilizza velocemente in etanolo
 È un agente di gelatinizzazione rapido
 Resiste agli agenti chimici e legandosi alla cellulosa non libera sostanze che la portano a
decomporsi.
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Figura 2: Molecola di canfora
Processo di sintesi della celluloide
Il nitrato di cellulosa si ottiene attraverso il processo di esterificazione della cellulosa, ovvero
facendo reagire quest’ultima con una soluzione acquosa di acido nitrico.
Cellulosa-OH + 2HNO3
Cellulosa-NO2 + HNO3 + H2O
La reazione è reversibile in presenza di acido nitrico e acqua. Il gruppo nitrico ossida la cellulosa
residua, producendo ossido di diazoto, che potrà catalizzare altre reazioni. Il fatto che la reazione
sia reversibile, aumenta le probabilità di deterioramento della nitrocellulosa.
Per la stabilizzazione del composto finale si usa acido solforico come additivo, poiché rallenta la
reazione, permettendo un miglior controllo del processo.
Quando le fibre di cellulosa raggiungono il grado di nitrazione desiderato (10-11%), si drenano gli
acidi, poi il prodotto è risciacquato e asciugato fino a ottenere un residuo di acqua del 2%. A
questo punto la nitrocellulosa è impastata con una soluzione di canfora in alcol al 50%. Questa
soluzione cambia l’ordine della macrostruttura delle fibre di nitrocellulosa, in modo tale che il
prodotto finale abbia una molecola di canfora per ogni unità di glucosio. Il prodotto finale, la
celluloide, non ha le molecole orientate in maniera fibrosa, ma si presenta come un gel, al quale
sono aggiunti additivi per aumentarne la stabilità e ridurre la fotodegradazione (TiO 2).
La pasta di celluloide è compressa in blocchi, in modo tale da ricompattare le molecole, formando
nuclei di cristallizzazione. Questi blocchi sono poi fatti stagionare a lungo, perché la celluloide
cambia dimensione con l’evaporazione dei costituenti volatili tanto che una stagionatura
insufficiente può causare difetti di fabbricazione.
La celluloide può essere tagliata, forata, incisa, piallata, lavorata a vapore, a pressione e anche
estrusa con una versatilità d’utilizzo che la rende adatta a molti campi diversi: dalla fotografia alla
creazione di oggetti.
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2 FOTOGRAFIA SCIENTIFICA E DESIGN
Nel 1665 Robert Hooke (1635-1703) fisico, biologo, geologo e architetto inglese, per primo usa il
termine “cellula”, che in latino significa piccola cella, individuando gli spazi vuoti in un campione di
sughero osservato attraverso uno dei primi microscopi. Quegli spazi vuoti gli ricordarono le celle
dei frati nei conventi. Dieci anni più tardi Hooke scrive il primo trattato sulle osservazioni al
microscopio intitolandolo “Micrographia”. Negli stessi anni il microscopio è utilizzato anche dal
naturalista olandese Antoni va Leeuwenhoek (1632-1723), che per primo individua alcuni
organismi unicellulari. Successivamente con il microscopio, che nel frattempo si era
tecnologicamente evoluto, Matthias Schleiden (1804-1881) e Theodore Schwann (1810-1882), un
botanico e un biologo, arrivano a formulare la “teoria cellulare”, cioè che le unità di base degli
organismi viventi sono le cellule e che le cellule contengono un nucleo. Il microscopio diventa così
fondamentale nella ricerca scientifica.1
Verso la fine dell’ottocento lo sviluppo tecnologico permette di unire microscopia e fotografia
aprendo nuovi orizzonti alla scienza, ma anche all’arte.
2.1 LAURE ALBIN GUILLOT E LA “MICROGRAPHIE DECORATIVE”
Ambito: BIOLOGIA
L’uso della fotografia per la ricerca scientifica è una delle applicazioni più
affascinanti dello sviluppo tecnologico della fotografia. Tra le pioniere
della fotografia microscopica c’è la fotografa francese Laure Albin
Guillot.2
Laure Albin-Guillot nasce a Parigi nel 1879 da una famiglia borghese. Nel
1897 sposa Albin Guillot, uno studente di
medicina che dopo la laurea decise di non
praticare, ma si dedicò alla ricerca scientifica.
Insieme
svilupparono
le
tecniche
fotomicrografiche, per rendere più semplice
Figura 3: Laure Albin-Guillot la classificazione dei vetrini studiati da Albin,
tuttavia è solo dopo la morte di questo, che
Laure decise di fare della sua passione per la fotografia una
professione. Debutta come fotografa di moda per le riviste, ed è fra le
prime a dedicarsi alla fotografia pubblicitaria, quando ancora le Figura 4: Pubblicità per le
réclame utilizzavano l’illustrazione disegnata. Ebbe successo come sigarette Gitanes Vizir, 1939
ritrattista e anche come fotografa di nudi. Nel 1924 espone al Salon des
artistes decorateurs. La fotografia infatti non è ancora considerata un arte come pittura e scultura,
ma come una sorta di artigianato artistico. Nel 1931 riprende le fotomicrografie fatte per le
1
Gianvito Martino, “In crisi d’identità”, 2014, Mondadori Università
2
Una mostra antologica “Laure Albin Guillot (1879-1962), l’enjeu classique”, presentata al museo dell’Eliseo a
Losanna, Svizzera
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ricerche del marito e le pubblica in un grande album, intitolato: “Micrographie decorative”. Le sue
fotografie esprimevano tutta la complessità e la bellezza dell’infinitamente piccolo. L’album è una
scelta di un centinaio di negativi ed è realizzato in grande formato con cura grafica e raffinatezza. I
negativi riproducono diatomee, minerali e particolari di piante, che, visti al microscopio, diventano
fantastiche forme astratte. Nonostante il suo successo non produsse altre fotomicrografie, ma ne
utilizzò il potenziale decorativo, creando textures da riprodurre su tessuti e oggetti, attraverso un
processo che oggi chiameremmo di design. Laure Albin Guillot fu la prima a sfruttare le
potenzialità decorative della fotografia microscopica: con la fotomicrografia che lei stessa
rinominò micrografia , aprì nuove prospettive creative combinando arte e scienza. Eleganti e
astratte, le sue micrografie incontrarono il gusto dell’epoca che era influenzato dalla riscoperta
della natura.
Fotomicrografia e autocromia
Lo sviluppo della fotomicrografia è attribuito a Reginald
Fessenden, un inventore canadese, all’inizio del XX secolo.
La fotomicrografia è la ripresa fotografica di soggetti non
visibili a occhio nudo, ottenuta mediante una fotocamera (a
pellicola o digitale) opportunamente collegata a un
microscopio ottico o elettronico. Essa può mostrare dettagli
distinti sulla scala nanometrica, quindi anche le celle degli
organuli possono essere catturati con alta precisione.
La microfotografia ha diversi campi di applicazione: in Figura 5: Germoglio di frassino, 1931
botanica, nello studio della costituzione microscopica degli
organismi vegetali; in metallografia, nell’esame della struttura
microscopica di metalli o leghe, per identificare le diverse fasi, la loro
forma e ripartizione; nell’analisi mineralogica di rocce e minerali, sia
come analisi qualitativa, per individuare i minerali presenti nel
campione, sia come analisi quantitativa, per stabilirne le
proporzioni.
Figura 6: Sambuco, 1931
Ci sono tipi diversi di micrografia che variano a seconda dei
microscopi utilizzati nell’analisi. Il microscopio tradizionale, che usa
luce da bulbi o laser per illuminare il campione, crea le immagini
attraverso un processo chiamato fotomicroscopia.
Esistono microscopi moderni con supporto per fotocamere, le quali possono essere connesse
direttamente a computer, così da poter salvare e valutare con più chiarezza le immagini.
La micrografia è essenziale agli scienziati che lavorano a livello cellulare o intracellulare. Attraverso
la micrografia si può infatti catturare i dettagli di un oggetto relativamente grande, ad esempio
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una sezione del cervello di un topo, così come quelli di un oggetto molto piccolo, come un
mitocondrio. I particolari dipendono poi dalla capacità d’ingrandimento del singolo microscopio.
Laure Albin Guillot, oltre alle classiche lastre fotografiche, utilizzò delle
lastre specifiche per la tecnica dell’autocromia.
L’autocromia è una tecnica fotografica inventata dai fratelli Lumière nel
1904, i quali sfruttarono la sintesi additiva per la creazione delle loro lastre
fotografiche “Autochrome”. Queste lastre erano ricoperte con migliaia di
microscopici granelli di fecola, preventivamente colorati. Un terzo dei
granelli erano color arancione, un terzo verde, e un terzo violetto; ed
erano mescolati insieme in modo che i colori primari fossero distribuiti Figura 7: Micrografia
uniformemente sulla superficie della lastra. Gli interstizi erano poi riempiti su lastra
autocroma,1929
con nerofumo e stesa un’emulsione fotografica in bianco e nero.
La lastra era esposta dal lato del supporto e sviluppata. Poiché l’immagine così ottenuta era un
negativo a colori complementari, si sottoponeva la lastra a un procedimento d’inversione, in modo
da ottenere un’immagine positiva. L’inversione era generalmente ottenuta
dapprima eliminando le zone esposte dell’emulsione, poi
riesponendo la lastra, stavolta dal lato dell’emulsione, in
modo da impressionare l’emulsione rimasta, e infine
sviluppando di nuovo.
La Guillot invece non sviluppa i negativi ottenendo risultati
estetici di grande bellezza e riuscendo a creare qualcosa
che nessuno aveva fatto prima. Le sue micrografie
Figura 8: Paralume e
rilegatura, 1935
divennero un’icona nella Parigi di quegli anni.
Figura 9: Portacipria, 1931
La fotografa compì un ulteriore passo infatti con le
immagini creò oggetti decorativi, trasformando quella che inizialmente era un’ “arte per pochi” in
un oggetto per il mercato di massa.
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2.2 MICROSCOPIO OTTICO A SCANSIONE: FOTOGRAFARE L’INVISIBILE
Ambito: FISICA
Lo sviluppo delle tecnologie permise dagli anni ‘50 un diverso tipo di microfotografia con
l’invenzione del Microscopio Ottico a Scansione (SEM). La differenza fondamentale tra il SEM e l’
OM (optical microscope, o microscopio ottico) è il fatto che utilizzano fonti di radiazioni diverse:
l’OM utilizza i fotoni mentre il SEM utilizza elettroni. I colori sono osservabili solo in presenza di
fotoni nella porzione visibile dello spettro elettromagnetico, le immagini del SEM sono quindi in
bianco e nero (anche perché il rivelatore di elettroni utilizzato non è in grado di distinguere
l'energia degli elettroni, ma solo la quantità).
Inoltre il SEM si differenzia dal microscopio ottico per risoluzione, tipologia di campioni e processo
per la preparazione di quest’ultimi. Il microscopio ottico ha infatti una risoluzione massima di 0,2
µm mentre i SEM migliori hanno una risoluzione massima di 0,4 nm (il SEM modello Hitachi S2500C dell’ISIS G. Natta ha una risoluzione massima di 4 nm). Infine, i campioni analizzati con un
microscopio ottico devono essere sottili, per permettere alla luce di attraversarli, possono
richiedere la presenza di liquidi (acqua e/o coloranti) e possono essere analizzati organismi vivi. Il
SEM invece permette di scattare fotografie con un alta profondità di campo e di campioni
tridimensionali, poiché gli elettroni utilizzati per produrre l’immagine sono prodotti dalla
superficie del campione.
Il Microscopio Elettronico a Scansione (SEM) è uno strumento elettro-ottico che permette, in
seguito all’emissione di un fascio di elettroni, di analizzare i vari segnali prodotti dall’interazione
degli elettroni del fascio con gli atomi del campione in esame. L'elaborazione di questi segnali
consente di ottenere un’ampia gamma d’informazioni non solo morfologiche, ma anche
compositive e strutturali relative alle varie parti di cui è costituito il campione.
Inventato nel 1937 da Manfred von Ardenne, il progetto viene sviluppato e migliorato negli anni
50 da Charles Oatley. Il SEM viene utilizzato anche per l’analisi della composizione chimica e
dell’orientazione cristallografica di un campione, permettendo analisi sia qualitative che
quantitative. L'estrema versatilità di questo strumento è inoltre garantita dai numerosi campioni
tipologicamente diversi che possono essere analizzati, sia per quanto riguarda la loro natura, che
la loro forma e dimensioni, nonché per la facile preparazione dei campioni stessi, che, nel caso non
siano naturalmente conduttivi, devono solo essere ricoperti da un sottilissimo strato di un
elemento conduttore: al Natta si utilizza una lamina d’oro.
Per permettere ad un fascio di elettroni (o genericamente di ioni) accelerato di viaggiare per
grandi distanze senza essere disperso è necessario creare il vuoto, altrimenti avverrebbe la
diffusione a seguito delle molecole dei gas dell'aria. La pressione creata nel SEM è inferiore alla
tensione di vapore dell'acqua a temperatura ambiente, quindi un campione contenente acqua o
una qualsiasi altra sostanza con una tensione di vapore superiore alla pressione raggiunta nel SEM
si metterebbe a bollire compromettendo l'analisi e lo strumento. Per osservare campioni come
tessuti, microorganismi o contenenti acqua è necessario disidratarli o raffreddarli con azoto
liquido.
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Le componenti fondamentali del SEM sono:
 Cannone Elettronico, che genera il fascio di elettroni
 Lenti elettromagnetiche: di condensazione, scansione e focalizzazione
 Diaframmi
 Camera del campione, in cui il fascio elettronico interagisce con il campione
 Rilevatori, che acquisiscono i segnali dell’interazione fascio-campione e li trasferiscono agli
elaboratori
 Schermo, sul quale viene ricostruita l’immagine dal segnale
 Sistema di pompe, per creare il vuoto all’interno della camera.
Figura 10: Schema SEM
La sorgente elettronica in cima alla colonna genera il fascio elettronico, mediante un filamento
(comunemente di tungsteno) che, portato a un’ elevata temperatura (circa 2800 K), produce
elettroni per effetto termoionico. Gli elettroni sono quindi accellerati da una differenza di
potenziale di 0,2-30 keV grazie ad un anodo posto sotto il filamento. Il fascio emesso dalla
sorgente è divergente ma, focalizzandolo da una serie di lenti elettromagnetiche, è fatto
convergere nuovamente. All’estremità inferiore della colonna, le di bobine di scansione deflettono
il fascio fornendogli un movimento alternato lungo linee parallele ed equidistanti, in modo che,
una volta raggiunta la superficie del campione, vada a ricoprirne un’area predefinita. Il fascio,
focalizzato dalla lente finale, esce dalla colonna e va a colpire il campione all’interno della camera
del campione. Quando gli elettroni del fascio penetrano all’interno del campione essi
interagiscono con gli atomi cedendo loro energia e producendo diversi segnali:
 Elettroni secondari: grazie ai quali si riesce a risalire alla morfologia del campione
 Elettroni retrodiffusi: grazie ai quali si riesce a risalire al numero atomico degli elementi che
compongono il campione (le zone più chiare indicano elementi con peso atomico medio
elevato; le zone più scure indicano elementi con peso atomico medio inferiore)
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 Elettoni auger: grazie ai quali si ottiene un’analisi della composizione della superficie del
campione.
 Raggi X: grazie ai quali si può ottenere un'analisi chimica precisa del campione in esame:
quali elementi sono presenti e le loro quantità.
L'istituto Natta ha in dotazione un SEM, con il quale, grazie all'aiuto di un ex studente della
nostra scuola, Elio Morotti, ho potuto analizzare una pellicola fotografica in triacetato di
cellulosa.
L'analisi fatta sulla pellicola è la microanalisi quantitativa ai Raggi X, che come già detto in
precedenza, rende possibile l'individuazione degli elementi che compongono il campione e in
quali quantità sono presenti. Dopo di che abbiamo analizzato e fotografato la superficie della
pellicola, sfruttando l'analisi con elettroni secondari.
Ho deciso di fare queste analisi perché volevo analizzare la composizione effettiva delle
pellicole fotografiche in uso ancora oggi e mettere a confronto le fotografie ottenute con un
OM e con il SEM.
Per procedere abbiamo tagliato un rettangolo di pellicola (circa 2 cm per 1,5 cm). Con dello
scotch conduttivo biadesivo abbiamo incollato il rettangolo di pellicola al supporto che serve
per l'inserimento all'interno del SEM. Dopo averlo pulito con un panno, abbiamo posto il
campione all'interno del metallizzatore, poiché è necessario che la superficie del campione sia
conduttiva (Il metallizzatore del Natta, come già detto prima, metallizza i campioni con una
lamina d'oro). Metallizzato il campione, lo abbiamo inserito all'interno del microscopio grazie
al supporto adibito. Abbiamo creato il vuoto e iniziato ad analizzare la superficie. Grazie a
questo processo abbiamo potuto fotografare la pellicola. Per le analisi ai
Raggi X il
procedimento è simile ma il campione però non è metallizzato, perché se venisse metallizzato,
i raggi x prodotti dall'oro diminuirebbero la sensibilità dell’analisi per gli altri elementi. L'analisi
ai Raggi X e quella attraverso elettroni secondari, sono due tipologie di analisi che possono
essere sfruttate separatamente.
Figure 11-12-13-14: Da destra a sinistra, dall’alto al basso: SEM dell’Istituto Natta; Processo di metallizzazione;
Campione metallizzato; Interno del SEM.
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Microanalisi Quantitativa: Raggi X
Element
Norm.
Atom %
Wt.%
64.75
71.08
C
34.92
28.78
O
0.06
0.03
Al
0.01
0.00
Si
0.15
0.06
S
----S
0.08
0.03
Cl
----Cl
0.03
0.01
Ca
----Ca
100.00
100.00
Total
Attraverso le analisi ai Raggi X abbiamo potuto fare un'analisi precisa di quanti e quali elementi
sono presenti all'interno della pellicola. Osservando la tabella e il grafico possiamo notare che la
pellicola è composta principalmente da una sostanza organica, data l'elevata presenza di carbonio
(71%) e di ossigeno (29%). Notiamo anche che in piccola percentuale sono presenti dei metalli
(alluminio, silicio, calcio), un non metallo (zolfo) e un alogeno (cloro). La loro presenza non ci
stupisce in quanto la zona di pellicola analizzata era una zona in cui era stata sviluppata una
fotografia, potrebbero essere infatti elementi presenti nell’emulsione utilizzata per lo sviluppo
fotografico.
Elettroni Secondari
Grazie agli elettroni secondari abbiamo potuto analizzare e fotografare la superficie della pellicola.
Osservando attentamente abbiamo notato la presenza di piccole “bolle”, le quali osservate a
distanza rimanevano inalterate, ma ingrandendo su di esse, e quindi colpendo con più elettroni la
zona in cui erano presenti, queste si aprivano rilasciando probabilmente del gas, a causa
dell’aumento di temperatura provocato dall’energia rilasciata dagli elettroni. Purtroppo però non
è stato possibile determinare che cosa fossero e cosa contenessero le bolle.
Figure 15: Accelerating Voltage:
20.0 kV Magnification: 2500
Figure 16: Accelerating Voltage:
20.0 kV Magnification: 8000
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Figure 17: Accelerating Voltage: 20.0
kV Magnification: 20000
Come possiamo notare c'è un enorme differenza tra le fotografie scattate con un normale
microscopio ottico e un SEM, a partire dall'elevata risoluzione. Le due fotografie qui mostrate
ritraggono entrambe delle diatomee. Nella fotografia con microscopio ottico, l'immagine è piatta
e confusa. Al contrario, le immagini al SEM sono tridimensionali e ad alta risoluzione.
Figure 18: Diatomea osservata al SEM dell'Istituto
Natta
Figure 19: Diatomea osservata al microscopio ottico
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3 FOTOGIORNALISMO
3.1 LA REFLEX
Negli stessi anni, nei quali si sviluppa la fotografia scientifica, l’invenzione della reflex contribuisce
alla nascita del fotogiornalismo, che renderà l’immagine protagonista della comunicazione di
massa.
Per “reflex” s’intende un tipo di macchina fotografica o cinematografica in cui, grazie a un sistema
di specchi, il mirino consente di vedere l'immagine inquadrata dall'obiettivo, che successivamente
verrà impressa su pellicola o sensore .
Il principio di funzionamento su cui si basava era la presenza di uno specchio inclinato a 45° adibito
al raddrizzamento dell’immagine. Al tempo le reflex erano costruite in modo tale che l’immagine
da fotografare venisse osservata dall’alto. La riflessione dello specchio però riportava alla
posizione originale solo i lati superiore e inferiore dell’immagine, le zone a destra e sinistra
rimanevano invertite.
Fu il fotografo inglese Thomas Sutton nel 1861 ad applicare
per primo questo gioco di specchi. La sua reflex era composta
da una cassetta di legno, contenente lo specchio, un soffietto,
il portalastre ed un meccanismo che permetteva di sollevare lo
specchio all’interno della posa, proteggendo dalla luce
l’interno della macchina fotografica. Il principio di Sutton è
tuttora sfruttato nella produzione delle Single Lens Reflex
(SRL).
La reflex di Sutton però non ebbe subito mercato, poiché la
tecnologia era ancora poco sviluppata e la struttura della
macchina era ancora troppo pesante. Solo vent’anni dopo, con
l’invenzione delle lastre a secco, l’americano Calvin Rae Smith
brevettò la prima reflex portatile (1884), dandole il nome di
Monocular Duplex.
All'inizio del '900 arrivò la reflex di grosse dimensioni, con un
Figura 20: Reflex di Sutton
corpo a cubico, un otturatore sul piano focale (che non si
interponeva alla visione attraverso l'obiettivo), un soffietto per la messa a fuoco e un cappuccio
pieghevole per riparare il vetro smerigliato dalla luce diretta. Era più ingombrante e lenta, rispetto
alle altre macchine fotografiche disponibili sul mercato, ma aveva impugnatura solida, negativi di
adeguate dimensioni e un mirino che consentiva la valutazione sia della messa a fuoco, sia della
profondità di campo.
La storia della reflex passa poi attraverso lo sviluppo di un altro tipo di macchina fotografica non
reflex: la Leica I. Costruita nel 1913 da Oscar Barnak, fu la prima fotocamera ad utilizzare la
pellicola cinematografica 35 mm a doppia perforazione ed era molto pratica e maneggevole.
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La reflex come viene intesa ora compare nel 1936: una reflex 35 mm monobiettivo il cui specchio
si sollevava automaticamente al momento dello scatto. L’immagine si osservava dall'alto e aveva
ancora i lati invertiti. Fino alla fine degli anni '40 molti fotografi preferirono le fotocamere a
telemetro3 che avevano un sistema di messa a fuoco più efficiente, mentre i primi modelli di
reflex erano penalizzati da tre problemi:
- il mirino a pozzetto, piccolo e con i lati invertiti, richiedeva l'uso di una lente per la messa a fuoco
- il diaframma manuale doveva essere aperto per focheggiare e chiuso per scattare
- lo specchio rimaneva alzato dopo lo scatto e impediva l'uso del mirino fino a quando non si
armava l'otturatore.
Nonostante queste difficoltà, dopo l’introduzione de pentaprisma, che risolse il problema del
raddrizzamento dell’immagine, e l’automatizzazione della chiusura del diaframma grazie
all’aggiunta di una ghiera di preselezione, di uno speciale comando a molla per la chiusura del
diaframma, la reflex divenne la macchina fotografica più diffusa sia a livello professionale sia
amatoriale e l’apparecchio di elezione per i fotoreporter. Agli inizi, Robert Capa usò fotocamere
in prestito da amici o dalle agenzie con cui lavorava. Poi usò la Leica III fino ai primi mesi del 1937.
In Spagna la passò alla sua compagna Gerda Taro, preferendo la Contax della Zeiss. In Normandia,
Capa sbarcò tenendo al collo una Rolleiflex e due Contax con le quali scattò le storiche fotografie
del D-Day.
Figura 21: Da Giulio Forti, “Bob e Gerda”, riprodotto in “Fotografia Reflex”, 2009
3
Viene denominata fotocamera a telemetro una macchina fotografica che per la regolazione della messa a fuoco usa un telemetro
ottico. Il telemetro ottico è formato da un cilindro con due fori distinti a una distanza fissa l'uno dall'altro, all'interno del primo foro
corrisponde un prisma che riflette l'immagine su uno specchio semi-trasparente posto all'interno del secondo foro.
L'utilizzatore, agendo sulla rotazione del prisma, fa in modo che le due immagini dell'oggetto composte dallo specchio si
sovrappongano. Raggiunta la sovrapposizione, il grado di rotazione del prisma indicherà, tramite una scala, la distanza dell'oggetto.
- 16 -
3.2 BOB CAPA: UNA VITA “LEGGERMENTE FUORI FUOCO”
E’ il fotografo Robert “Bob“ Capa a porre le basi del fotogiornalismo di guerra sfruttando le
possibilità delle nuove reflex, apparecchi fotografici più potenti e leggeri, che permettevano ai
reporter di avvicinarsi velocemente ai punti caldi dell’azione e di cogliere le espressioni dei volti e
dettagli delle situazioni. La Spagna è il primo teatro di guerra nel quale le tecnologie rendono
possibile una partecipazione agli avvenimenti di tutta l’opinione pubblica mondiale. Erano state
scattate molte fotografie durante la Prima Guerra Mondiale, ma è solo negli anni ’30 che i
progressi nelle tecniche di stampa dei giornali e delle riviste permettono la pubblicazione di foto di
qualità accettabile. Per la prima volta le fotografie sono fatte per i giornali, per documentare e
divulgare. Per la prima volta il grande publico vide la guerra attraverso gli occhi del fotoreporter e
non solo attraverso i racconti a parole dei corrispondenti. In Spagna questi due modi di raccontare
la guerra s’incarnano in due uomini che ne diventeranno il simbolo: Bob Capa e Ernest
Hemingway.
Bob Capa nasce a Budapest il 22 ottobre 19134,con il nome di Endre Ernő
Friedmann. Ebreo e convinto antifascista, nel 1930 è costretto ad
espatriare in Germania.5 A Berlino comincia a lavorare come fattorino
presso lo studio fotografico Dephot, dove presto il direttore dello studio,
Simon Guttam, lo promuove fotoreporter.
Il nazismo lo costringe nel 1933 a lasciare Berlino e a trasferirsi prima a
Vienna e poi a Parigi. Qui incontra la collega Gerda Taro alla quale si lega
sentimentalmente. Nel 1936 creano insieme il fotografo americano Robert
Capa: non solo lo pseudonimo, ma anche il personaggio. “Mi inventai che
Bob Capa fosse un grande fotografo americano appena giunto in Europa,
Figura 22: BobCapa
scattai le prime foto e ci scrissi sopra Bob Capa, il che significava
guadagnare il doppio”, racconterà Capa compiaciuto nell’autobiografia “Slightly out of focus”
pubblicata nel 1947.
Nell'agosto del 1936 Capa e la Taro sono inviati di guerra in Spagna per le riviste francesi “Ce Soir”
e “Regards”. In Spagna Capa si sposta sui vari fronti scattando soprattutto ritratti di soldati, gente
comune e dettagli di vita quotidiana. Fotografie ‘da vicino’ che la reflex rendeva possibili e che
gettavano il lettore nel mezzo delle cose, faccia a faccia con la sofferenza. Nel luglio 1937, mentre
Capa si trovava a Parigi, Gerda Taro, fotografando la battaglia di Brunete a ovest di Madrid,
durante la confusione della ritirata, muore schiacciata da un carro armato. Capa abbandona la
Spagna e parte per la Cina con il regista Joris Ivens per documentare l’invasione giapponese. Torna
4
Il museo nazionale ungherese a Budapest ha celebrato il centenario della nascita con una mostra antologica delle sue fotografie in
bianco e nero “Robert Capa/ Il giocatore”, che si è tenuta dal 18 settembre 2013 al 12 gennaio 2014. Inoltre, una mostra delle
fotografie a colori di Capa “Capa at 100”, si è tenuta nel gennaio 2014 all’International Center of Photography a New York. Qui sono
conservati 70000 negativi di Capa.
5
Gli emigranti e rifugiati che Capa fotografò sempre con grande sensibilità in giro per il mondo, riflettono la sua situazione di
espatriato e il ricordo dei tempi duri degli inizi.
- 17 -
in Spagna solo nel 1939, in tempo per fotografare la sconfitta dei repubblicani e la fine della guerra
civile.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale parte
per gli Stati Uniti, dove diventa fotografo di Life. Nel
1940 è in Messico, nel 1941 in Inghilterra. Nel 1943
segue lo sbarco alleato in Sicilia e la campagna
d'Italia, fino alla liberazione di Napoli. Il 6 giugno
1944 partecipa allo sbarco alleato sulle coste della
Normandia (D-Day) e segue la campagna fino alla
liberazione di Parigi il 25 Agosto. Dopo la guerra nel
1946 diventa cittadino americano. Nel 1947 a Parigi,
con Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George
Rodger e William Vandivert, fonda l'agenzia Figura 23: Robert Capa (International Center of
fotogiornalistica Magnum (dal nome della bottiglia Photography , Magnum Photos) Contadino siciliano
indica a un ufficiale americano la direzione presa dai
di champagne che i soci stapparono per tedeschi, nei pressi di Troina, Sicilia, 4-5 agosto 1943
l’occasione). È una cooperativa che prevede che le
immagini scattate rimangano di proprietà del fotografo Magnum e siano solo noleggiate alle
riviste per la pubblicazione. La Magnum capovolge il rapporto di committenza, a tutto beneficio
della libertà del fotoreporter. Per Life lavora in giro per il mondo e nel 1954 è inviato a Hanoi per
documentare la guerra di decolonizzazione francese in Indocina. Muore il 25 maggio, calpestando
una mina mentre si dirigeva verso il delta del Fiume Rosso.
- 18 -
3.3 REPORTAGE DI GUERRA
Ambito: STORIA e INGLESE
Capa e la Guerra Civile Spagnola
Figura 25: Robert Capa, Miliziano colpito a morte, Cordova, Spagna, 1936
Nel 1936 Bob Capa fu inviato come fotoreporter in Spagna per documentare la guerra appena
scoppiata. Fu la prima guerra cui partecipò e la foto del miliziano che cade lo rese subito famoso.
Scattata a Cerro Muriano, nei pressi di Cordoba, l’immagine divenne presto l’icona mondiale del
sacrificio dell’uomo che lotta per la libertà contro ogni forma di dittatura. In un’intervista
radiofonica della NBC andata in onda nel programma Hi! Jinx, condotto da Jinx Falkenburg e Tex
McCrary, il 20 ottobre 1947, Robert Capa - chiamato per parlare della sua autobiografia “Slightly
Out of Focus”, allora appena pubblicata - racconta la storia della famosa fotografia osservando che
“fotografia di reportage nasce dall’immaginazione dei redattori e del pubblico che la guarda”. I
miliziani, ricorda poi, non erano dei veri soldati e “ogni minuto” ne moriva uno. Il 5 settembre era
in una trincea con venti di loro, che armati di vecchi fucili sparavano contro una mitragliatrice di
Franco. “Sparavano per cinque minuti – dice nell’intervista Capa - poi ‘andiamo!’ uscivano dalla
trincea e la mitragliatrice li falciava. Chi si salvava tornava nella trincea e riprendeva a sparare.
Dopo cinque minuti di nuovo si alzavano e venivano falciati di nuovo”.
- 19 -
Dopo tre o quattro di queste sortite, ricorda il fotografo, “ho alzato la macchina fotografia sopra la
mia testa e senza inquadrare ho scattato mentre si muovevano sopra la trincea. È andata così”.
Capa ricorda di aver visto la fotografia solo tre mesi dopo, dato che aveva spedito i rullini a Parigi,
senza svilupparli.
“Ero in Spagna e
quando
sono
tornato ho scoperto
di
essere
un
fotografo famoso
perché la macchina
fotografica
che
tenevo sopra la
testa aveva colto
un
uomo
nel
momento in cui
veniva colpito. Per
scattare foto in
Spagna
non
servono
trucchi.
Figura 26: Servizio sulla guerra di Spagna con fotografie di Robert Capa pubblicato sulla
Non
occorre
rivista francese “Vu”, 23 settembre 1936
mettere in posa. Le
immagini sono lì, basta scattarle. La miglior foto, la miglior propaganda, è la verità”6. Il racconto di
Capa però non convinse e le polemiche sulla veridicità della foto continuarono. Solo recentemente
è stato accertato che Capa aveva detto la verità. Il soldato è Federico Borrell Garcia, detto Taino,
un tessitore della città di Alcoy. Aveva 24 anni il 5 settembre 1936 quando arrivò a Cerro Muriano,
fra i rinforzi della Colonna Alcoyana. Taino combatteva dalla parte dei lealisti, i miliziani
repubblicani, contro le truppe fasciste del generale Francisco Franco. E’ stato identificato grazie
agli archivi statali spagnoli di Salamanca e Madrid, che attestano che Taino fu l’unico a morire il 23
settembre 1936, il giorno in cui Capa scattò la foto. E’ quindi lui il miliziano colto dall’obiettivo del
fotoreporter.
Capa girò in tutti i fronti spagnoli. Sul fronte di Teruel, nei pressi di Madrid, incontrò lo scrittore
Ernest Hemingway, mandato in Spagna come corrispondente di guerra dalla “North American
Newspaper Alliance”7.
Hemingway reporter rappresenta il “gemello in parole” di Capa, teso a trasmettere al lettore la
stessa tensione, la stessa impressione di essere dentro l'azione.
6
La fotografa Eve Arnold, allieva di Capa e socia della Magnum, scrive nell’articolo “Capa remembered” pubblicato su “The
Indipendent” nel 1996: “Fu accusato di aver falsificato la sua foto più famosa “Il miliziano spagnolo che muore”. […] Fa parte della
leggenda di Capa che la controversia intorno all’immagine sia divampata per decadi vendicando alla fine Capa: nessun falso-vera
morte.”
7
La North American Newspaper Alliance (NANA) era un’associazione di testate giornalistiche, che operò tra il 1922 e il 1980.
Fondata da John Neville Wheeler, per la NANA lavorarono alcuni dei famosi scrittori del tempo, tra cui Michael Stern, Sheilah
Graham Westbrook, Edna Ferber, F. Scott Fitzgerald e Ernest Hemingway.
- 20 -
Ernest Hemingway
Enest Hemingwy was born in Chicago,1899. He started to work
as a reporter at seventeen. When Usa entered World War I in
1917, Hemingway volunteered for Red Cross and was sent to
Italy. He worked a Fossalta di Piave, where he was wounded.
He was hospitalized in Milan, where he met an american nurse
and fell in love with her. The love story was later the source of
the novel “Farewell to Arms”, published in 1929. In 1920
Hemingway was back in Chicago: he worked again as a reporter
Figura 27: Ernest Hemingway
and married Elisabeth Hadley Richardson. The couple then lived
in Paris, where the writer met Francis Scott Fitzgerald and the group of the 'Lost Generation'. In
1937 the “North American Newspaper Alliance” sent Hemingway to Spain as a war reporter.
All his life long, Hemingway was a traveller and a sportsman and loved fishing and hunting: his
novels and characters often reflect this world (“The old man and the sea” is the most famous). He
was a restless man in life (he lived in Usa, Europe, Cuba) and love (he married four times afeter the
first divorce). He won the Nobel Prize for Literature in 1954. He shot himself in 1961.
Il reporter di guerra Hemingway aveva come obiettivo quello di far provare al lettore ciò che lui
stava provando in prima linea, a due passi dai soldati e dalla morte. Come in questa
corrispondenza del 1937 per la NANA spedita da Madrid:
“We crawled forward on hands and knees over the clean-smelling wheat and straw in the black
dark of a front-line dugout. An unseen man said, "There, where the cross on the lens is, you see it?"
Looking out from the darkness through a small opening in the periscopic observation glasses
across a bright sunlit, tawny plain, you detached a yellow, flat-topped, steep-flanked hill with a
shiplike prow rising from the plain to protect the yellow brickbuilt town clumped above the river
bank. Four cathedral spires rose from the town. Three roads ran from it lined with green trees.
Around it were green sugar-beet fields. It looked pretty, peaceful and undamaged, and its name
was Teruel. The Rebels had held it since the beginning of the war, and behind it were red cliffs,
sculptured by erosion into columns that looked like organ pipes, and beyond the cliffs to the left
was a devil's playground of red, waterless badlands.
"You see it, don't you?" asked the man in the dark.
"Yes," replied the writer, and, returning from sightseeing to war, swung the periscope back to
the solitary butte, studying the white scars and eruptions of its surface that showed the extent of
its fortifications.
"That's the Mansueto. That's why we haven't taken Teruel," said the officer.
Studying that natural fortress, guarding the town to the east, flanked by several thimble-shaped
hillocks thrusting up from the plain like geyser cones, also all heavily fortified, you realize the
problem Teruel presented to any army trying to take it from any direction except the northwest.”
[E. Hemingway, North American Newspaper Alliance, 1937, Madrid ]
- 21 -
Con le sue parole cercava di dare un'impressione visiva dei luoghi di cui sta scrivendo, voleva che il
lettore si immedesimasse e voleva far comprendere a chi leggeva che i suoi articoli non erano
basati sul “sentito dire”: davvero aveva visto ciò di cui scriveva. Hemingway voleva essere un
testimone affidabile, per questo descriveva con tanta accuratezza i fatti. Nelle corrispondenze non
c'è alcuna trasfigurazione della realtà, come invece sarà nel romanzo “For whom the bell tolls”,
“Per chi suona la campana” che attinge ai ricordi di Spagna.
Hemingway e Capa affrontavano lo stesso compito di raccontare la guerra, attraverso due tecniche
differenti: quella tradizionale della parola scritta, più complessa e mediata, e quella per immagini,
che riescono a fare entrare immediatamente in situazione chi le guarda, creando una sensazione
di semplicità che è invece altrettanto difficile da ottenere che con le parole. Capa all'epoca, aveva
anche il vantaggio che il fotogiornalismo costituiva una novità e la fotografia manteneva la carica
di realtà del documento.
Entrambi erano convinti che per la buona riuscita dell’articolo o della fotografia, bisognasse
avvicinarsi il più possibile ai fatti. “If your pictures aren't good enough, you're not close enough”,
era solito dire Capa.
Il reporter di guerra deve raccontare fatti vicini a lui, deve condividere la stessa situazione di
rischio delle persone di cui vuole parlare. Le immagini e le parole devono trasmettere le stesse
emozioni che il giornalista e il fotografo provano quando vedono gli orrori della guerra.
La Guerra di Spagna
Durante gli anni Venti la Spagna cresce economicamente: industrie nascono al nord, mentre il sud
agricolo esporta vino, olio e agrumi. Gli effetti della crisi del 1929 tuttavia si fanno sentire anche in
Spagna e agli inizi degli anni Trenta il governo tenta di risollevare l’economia varando una riforma
agraria, che statalizza i latifondi. La riforma però non ha i risultati sperati. Nel 1930 cade il regime
di destra di Miguel Primo de Rivera e nel 1931, dopo la vittoria delle sinistre e la fuga del re
Alfonso XIII, il governo di Manuel Azaña proclama la repubblica. Il paese si spacca: si forma a
sinistra uno schieramento che comprendeva i sindacati, i socialisti, i comunisti, i movimenti
autonomisti di Catalogna e Paesi Baschi e gli industriali repubblicani; a destra i monarchici, i
cattolici tradizionalisti, i fascisti della Falange di Josè Antonio Primo de Rivera, l’esercito e la Chiesa
cattolica, che al tempo rappresentava anche una rilevante potenza economica.
Con le elezioni del 1933 la destra tornò al potere, e revocò la concessione di Azaña dell’autonomia
alla Catalogna. Furono anni di dura repressione contro le rivolte operaie e contadine.
Nel 1936 le sinistre del Fronte Popolare tornarono vittoriose, ma profondamente divise; al
contrario la destra, nonostante la sconfitta, si rivelò ancora fortissima.
La tensione cresce fra rivolte contro la Chiesa e i grandi proprietari terrieri, incendi di chiese e
fabbriche e occupazioni di terre cui si contrappone il terrorismo della Falange. Fra il 17 e il 19
luglio 1936 le guarnigioni militari stanziate nelle colonie del Marocco, guidate dal generale
Francisco Franco e da Emilio Mola, si sollevano contro il governo repubblicano. Grazie anche
all’aiuto dell’aviazione nazista, gli insorti conquistano l’Andalusia, Franco è acclamato
“generalissimo” e stabilisce un governo provvisorio a Burgos. Buona parte della Spagna si schiera
con i franchisti, restano repubblicane Madrid e Barcellona. Il 26 aprile i nazisti radono al suolo la
- 22 -
città di Guernica e alla fine del 1937 tutto il nord-Ovest è in mano a Franco. Tra il luglio e il
novembre del 1938 i repubblicani tentano una disperata controffensiva sul fiume Ebro. Il 26
gennaio 1939 i franchisti entrano a Barcellona e il 28 marzo a Madrid.
La Guerra Civile Spagnola fu una delle più sanguinose e violente. Nelle aree repubblicane si
assistette ad assassini di massa, spesso con forti tendenze anticlericali, come l’assassinio di circa
6800 preti e suore. Nelle zone franchiste “i rossi proletari” furono massacrati in nome di una
missione civilizzatrice. La dittatura franchista durò fino alla morte di Franco negli anni ’70, unica
dittatura fascista europea a sopravvivere alla Seconda Guerra Mondiale.
Lo Sbarco in Normandia
Figura 28: Robert Capa, Sbarco in Normandia, Francia, 6 giugno 1944
“My beautiful France looked sordid and uninviting, and a German machine gun, spitting bullets
around the barge, fully spoiled my return. The men from my barge waded in the water. Waistdeep, with rifles ready to shoot, with the invasion obstacles and the smoking beach in the
background gangplank to take my first real picture of the invasion. The boatswain, who was in an
understandable hurry to get the hell out of there, mistook my picture-taking attitude for explicable
hesitation, and helped me make up my mind with a well-aimed kick in the rear. The water was
cold, and the beach still more than a hundred yards away. The bullets tore holes in the water
around me, and I made for the nearest steel obstacle. A soldier got there at the same time, and for
a few minutes we shared its cover. He took the waterproofing off his rifle and began to shoot
without much aiming at the smoke-hidden beach. The sound of his rifle gave him enough courage
- 23 -
to move forward, and he left the obstacle to me. It was a foot larger now, and I felt safe enough to
take pictures of the other guys hiding just like I was.” Così Bob Capa parla del D-Day. Il 6 giugno
1944 il fotoreporter, inviato dalla rivista americana Life, era a bordo delle navi della 1° e 29°
divisione della fanteria della prima armata americana comandata da Omar Bradley, in direzione di
Omaha Beach, nome in codice per indicare le zone nei pressi di Saint-Laurent e Colleville in
Normandia. Nella notte tra il 5 e il 6 giugno 1944 gli Alleati sbarcarono sulle coste atlantiche della
Normandia per attaccare da Ovest l’armata tedesca, pressata a est dall’URSS, e aprire il secondo
fronte. Sotto il comando del generale statunitense Dwight Eisenhower furono impiegati tre milioni
di uomini: fanti, marinai delle 1200 navi da guerra, soldati a bordo dei 6500 mezzi anfibi, piloti dei
13000 aerei. Il 24 agosto gli Alleati entrarono a Parigi.
Cercando di tenere la fotocamera lontana dalle onde, Capa riuscì a fotografare i soldati nel
momento dello sbarco e durante i primi scambi di fuoco. Le foto, un po’ per la posizione scomoda
di Capa, un po’ per la paura che gli faceva tremare le mani e un po’ per un errore nello sviluppo, si
rivelarono leggermente fuori fuoco. Paradossalmente l’effetto mosso trasmise al pubblico il caos e
la confusione dello sbarco. 8
Bersagliati da cannoni e mortai tedeschi, falciati dal micidiale fuoco incrociato delle mitragliatrici,
dilaniati dalle mine, annegati, in poche ore sulle spiagge della Normandia morirono migliaia di
soldati americani, britannici e canadesi. Un prezzo di sangue altissimo ma inferiore a quanto gli
Alleati temessero, nonostante gli errori e il caos, perché l’operazione era stata preparata per un
anno in segreto, coperta da un imponente lavoro d’intelligence, che riuscì a preservare l'effetto
sorpresa. Hitler si attendeva l'invasione da Calais, la più vicina alla costa britannica. Così fu fatto
credere fino all'ultimo al comando tedesco con false comunicazioni interne, azioni diversive, false
ricognizioni. Per lo sbarco fu invece scelto un breve tratto di costa alla foce della Senna, fra Le
Havre e la penisola di Cherbourg: un tratto impervio e sovrastato da scogliere. Per accrescere
l'imprevedibilità fu deciso di procedere anche col tempo cattivo e con l'arrivo dell'alta marea. La
'Operation Neptune', il cui comandante supremo scelto da Roosevelt e Churchill fu il generale (e
futuro presidente Usa) Dwight D. Eisenhower con il britannico Bernard Montgomery in seconda,
iniziò intorno alla mezzanotte fra 5 e 6 giugno con massicci lanci di paracadutisti dietro alle linee
nemiche. Essi avevano il compito di neutralizzare l'artiglieria tedesca e proteggere i ponti prima
che venissero minati, operazione che riuscì solo in parte ma riuscì a creare scompiglio fra i 50.000
difensori. All'alba, il dispiegamento di forze che i tedeschi si trovarono di fronte in mare era
impressionante: oltre 1.200 navi da guerra alleate fra cui 5 corazzate che scortano 800 navi da
cargo piene di truppe e veicoli, 700 imbarcazioni di appoggio e oltre 4.000 mezzi da sbarco con
oltre 150.000 soldati e 800 carri armati e blindati. I settori dello sbarco erano stati divisi in cinque
differenti spiagge, con nomi in codice: Utah Beach e Omaha Beach riservate alle truppe Usa; Gold
Beach e Sword Beach alle truppe britanniche e Juno Beach a britannici e canadesi. Benché
8
E. Arnold, op. cit. , “Io non compresi il suo lavoro finchè incontrai la scrittrice Janet Flanner […] che mi parlò del suo amico Robert
Capa lei parlava e io ascoltavo. Notando il mio silenzio me ne chiese la ragione. Ammisi che pensavo che le sue fotografie non
riuscissero molto bene “Cara, mi rispose, neppure la storia riesce bene”. Cominciai a capire la forza del suo lavoro, solo con l’essere
dove c’era l’azione egli stava aprendo nuove aree di visione. Egli era consapevole che, come per tutto il buon giornalismo (che tenta
di lanciare il messaggio con immediatezza e impatto) è l’essenza di una foto, non necessariamente la sua forma, che è importante.”
- 24 -
preceduti da massicci raid aerei e dal fuoco di copertura dalle cannoniere navali, gli sbarchi furono
esposti a un feroce fuoco di sbarramento su spiagge minate, irte di ostacoli e sbarramenti. Nelle
prime ore fu un massacro, in particolare a Omaha Beach, dove i tedeschi tennero gli invasori
inchiodati sulla battigia dall'alto delle scogliere che la circondavano. Nell'arco del solo D-Day
persero la vita 10.000 soldati alleati e fra i 4 e i 9.000 tedeschi (cifra mai appurata). In 24 ore gli
Alleati riuscirono a stabilire delle teste di ponte da cui, nei giorni successivi, continuarono a
sbarcare uomini e mezzi fino a creare una forza di invasione di quasi un milione e mezzo di effettivi
in una lunga e difficile campagna (Operation Overlord) contro 700.000 tedeschi che impiegò quasi
due mesi per prendere Parigi, liberata il 25 agosto. Da allora la Germania nazista, stremata e
distrutta, fu attanagliata fra due fronti (anche se da un anno si combatteva già in Italia) e gli storici
oggi concordano che, se la "corsa" per arrivare a Berlino fu vinta dai sovietici da est, il fronte
occidentale era connotato già di un valore strategico proiettato nel futuro: pose l'intera Europa
occidentale fuori dalla sfera d'influenza sovietica e gettò le basi per la spartizione della Guerra
Fredda.
Il 6 giugno 2014 sono ricorsi i 70 anni dello sbarco in Normandia e i grandi della terra si sono riuniti
sulle spiagge dove si giocarono le sorti della guerra.9
Quando Capa morì in Indocina, il 25 maggio 1954, il suo amico John Steinbeck, premio Nobel per la
letteratura lo ricordò con un articolo pubblicato sulla rivista americana “Popular Photography” nel
settembre 1954. “Non so nulla di fotografia, scrive Steinbeck, quello che posso dire sul lavoro di
Capa è strettamente legato al punto di vista di un profano e gli specialisti dovranno sopportarmi.
Mi sembra che Capa abbia provato oltre a ogni dubbio che la macchina fotografica non deve
essere un freddo mezzo meccanico. Come la penna, sarà buona quanto l’uomo che la usa. Può
essere l’estensione della mente e del cuore. Le fotografie di Capa erano prodotte nella sua testa, la
macchina fotografica le completava soltanto”.
D’altra parte un esperto di fotografia, come il grande fotografo Henri Cartier-Bresson, anche lui
amico di Capa oltre che socio fondatore della Magnum, riflettendo sui primi anni di lavoro
9
Così l’agenzia Ansa ha riassunto la giornata guardando all’attualità: “Ed è ancora su queste spiagge che oggi forse si è scritto un
nuovo futuro per l'Ucraina. Per la prima volta dall'annessione della Crimea alla Russia, anche Vladimir Putin ha preso posto per la
foto di famiglia, ai piedi del castello di Bénouville. Con lui Obama e il neo presidente ucraino, Petro Poroshenko. Presenti, per la
prima volta, anche il presidente Giorgio Napolitano, il premier britannico David Cameron e Angela Merkel ("la pace e la libertà sono
sempre a rischio", ha avvertito la cancelliera tedesca). Ma il vero ospite d'onore dell'evento è stata la regina Elisabetta II, 88 anni. Il
via all'intensa giornata di celebrazioni è stato dato di prima mattina da Francois Hollande al memoriale di Caen, dove il presidente
francese ha reso omaggio al sacrificio delle 20.000 vittime civili della battaglia di Normandia. Dopo di che ha raggiunto Obama, che
con gli occhi umidi visitava il cimitero americano di Colleville-sur-Mer, puntellato da più di 10.000 croci bianche. "La Francia non
dimenticherà mai quello che deve agli Stati Uniti", ha detto Hollande. "Celebriamo oggi una data memorabile della nostra storia, in
cui i nostri due popoli si sono uniti in una stessa battaglia, quella della libertà". Tutti i leader si sono ritrovati per pranzo al castello
di Bénouville, con un'oretta di ritardo sul programma. All'arrivo di Putin, Hollande è sparito per qualche minuto con lui nella hall del
castello. Poco dopo, Obama ha colto tutti di sorpresa scendendo dalla sua auto blindata insieme ad un veterano americano di
guerra. Nel frattempo si è appreso che Putin e Poroshenko non solo si erano parlati, ma si erano anche stretti la mano. La
disposizione dei posti a tavola era stata pensata in modo tale che gli sguardi di Putin e Obama non potessero neanche incrociarsi. E
invece i due leader si sono addirittura parlati, discutendo per un quarto d'ora. Il momento forte della giornata è stato la cerimonia
ufficiale a Ouistreham, sulla spiaggia di Sword Beach, in presenza di un migliaio di veterani. I volti di Obama e Putin sono finiti
fianco a fianco sul grande schermo e i due, che se sono accorti, hanno fatto un sorrisino malizioso. In un nuovo discorso solenne,
Hollande questa volta ha reso omaggio anche "al coraggio dell'Armata rossa" e di tutte le vittime, compresi "i tedeschi, vittime
anch'essi del nazismo". Poco dopo le celebrazioni si sono trasferite in altri luoghi simbolici, tra cui Arromanche, per una cerimonia
tutta inglese in presenza del principe William e della moglie Kate.” (ANSA).
- 25 -
dell’agenzia, afferma: “Il mestiere di reporter ha solo trent’anni, si è perfezionato grazie alle
macchine piccole e maneggevoli, agli obiettivi molto luminosi e alle pellicole a grana fine molto
sensibili realizzate per soddisfare le esigenze del cinema. L’apparecchio per noi è uno strumento
non un giocattolino meccanico. E’ sufficiente trovarsi bene con l’apparecchio più adatto a quello
che vogliamo fare. Le regolazioni, il diaframma, i tempi ecc., devono diventare un riflesso, come
cambiare marcia in automobile. In realtà la fotografia di reportage ha bisogno solo di un occhio, un
dito, due gambe”.
La differenza fra i due punti di vista sta nella consapevolezza che senza progresso tecnologico il
lavoro anche del più dotato fotoreporter non sarebbe stato possibile, ma entrambi sottolineano
che senza un pensiero dietro alla macchina fotografica, nessun risultato sarebbe stato raggiunto in
campo culturale.
La tecnologia, permettendo al fotografo di avvicinarsi ai soggetti, è stata la molla che ha fatto
scattare un processo rivoluzionario nel campo della comunicazione di massa, sorpassando per
impatto anche la miglior prosa.
Capa e Hemingway vivono nel momento della svolta e contribuiscono a costruirla o a farne
risaltare la novità. Non va però dimenticato che immagini e parole esprimono anche giudizi sulla
guerra da parte degli autori, e, diffuse insieme in grandi numeri, provocano un avvicinamento alla
realtà secondo modi diversi e complementari, aprendo la via a riflessioni diverse in chi legge e
guarda.
Il pubblico scopre che letteratura e fotografia possono avere una dimensione politica di giudizio
sulla realtà.
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4 CONCLUSIONE:
In questo lavoro ho analizzato gli sviluppi tecnologici legati alla fotografia e la loro possibile
applicazione in campi cruciali per la modernità: la scienza e l'informazione.
L'ho verificato attraverso l'opera di alcuni maestri del Novecento, ma anche attingendo a
un'esperienza diretta resa possibile dalle attrezzature dell'Istituto Natta.
Ho quindi potuto verificare che la fotografia non solo ha ampliato la quantità di informazioni
ottenibili sulla realtà biologia o storica, ma ha modificato il modo di percepire la realtà nei suoi vari
aspetti.
Le immagini di guerra a forte impatto, immediatamente comprensibili da tutti, senza differenze di
lingua o di livello culturale, hanno portato a comprendere meglio le sofferenze umane e le
distruzioni, contribuendo a innescare una nuova riflessione collettiva sulle conseguenze dei
conflitti.
La possibilità di
La produzione e diffusione delle immagini e il loro utilizzo nei più diversi campi culturali è una del
Le tecnologie rendono possibile, con la loro esistenza, un nuovo sguardo sulle cose e sugli
avvenimenti, che costruisce un nuovo modo di pensare. Che a sua volta genera nuove realtà,
nuove professioni, nuovi bisogni, in un continuo sviluppo.
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SITOGRAFIA:
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