La leadership familiare fa sempre bene alle aziende? Dipende dal
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La leadership familiare fa sempre bene alle aziende? Dipende dal
La leadership familiare fa sempre bene alle aziende? Dipende dal tipo di azienda. di Guido Corbetta1 e Alessandro Minichilli2 L’impatto del leader sui risultati finanziari delle aziende ha da sempre rappresentato uno dei temi di maggiore interesse negli studi di strategic management. Tale interesse appare particolarmente pronunciato nelle aziende a controllo familiare, nelle quali l’effetto della leadership familiare rispetto a quella di manager “professionali” non appartenenti alla famiglia di controllo ha da sempre costituito oggetto di riflessione non solo in ambito accademico, ma anche e soprattutto da parte degli imprenditori familiari. Si ritiene infatti che la scelta di un leader aziendale familiare rispetto a quella di un manager esterno alla famiglia possa avere notevoli conseguenze sulla gestione aziendale per via del diverso bagaglio di competenze, esperienze, valori e priorità di cui manager familiari e non sono rispettivamente portatori. Per tali motivi, dunque, c’è ampia convergenza nel considerare tale scelta come una delle decisioni più importanti che le famiglie imprenditoriali si trovano ad affrontare nel garantire la sopravvivenza ed il successo delle loro aziende. Nonostante tali considerazioni possano apparire ovvie, sia la teoria che la pratica hanno mostrato incertezze nel definire in modo univoco la superiorità della leadership familiare (o non familiare) al comando di aziende con proprietà e caratteri familiari. Al fianco di studi e ricerche che esaltano la guida di un leader familiare, infatti, ve ne sono altrettanti che esprimono dubbi sulla bontà di tale scelta. Mentre i primi sono motivati soprattutto dalla naturale convergenza di interessi dei leader familiari con quelli delle aziende da loro stessi spesso controllate, i secondi dimostrano come la sovrapposizione tra controllo e gestione familiare determini le precondizioni per fenomeni di espropriazione e nepotismo. Tale controversia, che appare tanto concettuale quanto empirica, sembra essere motivata dall’incapacità dei precedenti studi di tenere in dovuta considerazione la varietà di aziende familiari. La tendenza a generalizzare i risultati delle ricerche, infatti, ha portato a considerare alla stessa stregua aziende familiari grandi e piccole, e con proprietà familiare molto concentrata o maggiormente frazionata, tutte circostanze che richiedono ad evidenza profili manageriali e capacità di relazionarsi alla compagine proprietaria radicalmente diversi. Nel tentare di dirimere tale controversia, un recente working paper intitolato “Is family leadership always beneficial?” (coautorato con Danny Miller di HEC – Montreal), mostra come sia proprio la varietà delle aziende familiari a determinare quanto un particolare contesto sia favorevole o meno alla leadership familiare. Facendo leva sull’ampiezza dei “tipi” di aziende censite dall’Osservatorio AUB (AIdAF-Unicredit-Bocconi) su tutte le circa 2.500 aziende a controllo familiare di dimensioni medie e grandi del nostro Paese tracciate per dieci anni (2000-2009), lo studio mostra come la leadership familiare Sito web: http://www.aidaf.unibocconi.it Email: [email protected] produca risultati addirittura opposti in aziende con caratteristiche diverse in termini di dimensione aziendale e diffusione della proprietà. In particolare, mentre i leader familiari sembrano apportare notevoli benefici in termini di redditività operativa (misurata con il ROA) nelle aziende di minori dimensioni e con proprietà fortemente concentrata, spesso nelle mani di una sola persona o di una famiglia imprenditoriale molto ristretta e coesa, nelle aziende più grandi e con proprietà maggiormente frazionata accade il contrario. Esistono diverse motivazioni che possono spiegare tali risultati, fornendo anche una guida in una scelta così importante per gli imprenditori. Nelle aziende più piccole e con proprietà molto concentrata, infatti, i leader familiari godono dei vantaggi legati alla conoscenza tacita del business, alla coesione della compagine proprietaria, ed a una profonda identificazione con la cultura aziendale che sarebbe impossibile per manager esterni. Al contrario, nelle aziende di più grandi dimensioni e con proprietà composita, la maggiore complessità amministrativa rende le abilità manageriali più importanti della conoscenza tacita del business; allo stesso tempo, il maggiore frazionamento della proprietà fa sì che il leader familiare finisca per rappresentare un ramo familiare o una fazione, creando tensioni spesso difficili da gestire nella compagine proprietaria. In questi contesti, una leadership esterna alla famiglia sembrerebbe dunque avere il duplice vantaggio di apportare le competenze manageriali richieste – essendo i leader esterni prescelti in un pool molto ampio di candidati rispetto alla scelta di un leader familiare – e di “mediare” in modo più efficace tra possibili conflitti proprietari. 1. Guido Corbetta, Professore ordinario di Strategia aziendale e titolare della cattedra AIdAF - Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari, Docente senior dell'Area Strategia della SDA Bocconi, email [email protected] 2. Alessandro Minichilli, Assistant Professor presso l'Istituto di Strategia del Dipartimento di Management e Tecnologia e collaboratore della Cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle Aziende Familiari dell'Università Bocconi, email [email protected] Sito web: http://www.aidaf.unibocconi.it Email: [email protected]