- Liceo Scientifico
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1 NO. 12 Aprile - Giugno 2014 www.ilpitagora.it A scuola di creatività... Volgono al termine le attività del progetto F3-FSE-04-2013-16 “F.O.R. RENDE: Formazione, Orientamento, Riqualificazione. La Rete delle Scuole di Rende e il territorio-città: osservare i fattori di rischio per progettare e realizzare percorsi formativi coerenti”, che rientra nella Programmazione dei Fondi Strutturali 2007/2013 : una straordinaria opportunità di crescita per la nostra scuola. Visite guidate, stage, apprendimento in situazione si sono rivelati scelte vincenti. L’UTILITA’ DELL’INUTILE: UN OSSIMORO VITALE A volte la grandezza non è solo nel creare, ma nell’unire ciò che c‘è già. L’utilità dell’inutile ne è un esempio. Si tratta di un’opera originale, sebbene riporti brani, pensieri, riflessioni di tanti altri scrittori. L’autore, il prof. Nuccio Ordine, segue proprio questo filo conduttore, che si arricchisce non solo di corrispondenze letterarie, ma anche e soprattutto di affinità tematiche evidenti e, talvolta, ardite, ma sempre pertinenti. Ciò che colpisce non è tanto il lavoro filologico, quanto i suoi sapienti riferimenti alla realtà moderna. “L’utilità dell’inutile” effettua una serie di profonde riflessioni riguardanti la natura del nostro mondo. Insegna a tutti noi il valore di un sorriso, che si apre senza l’ambizione di piacere a qualcuno, la bellezza di meditare distendendosi su un divano, l’importanza di sacrificarsi per gli altri senza chiedere nulla in cambio. Il tutto però non è legato dai sentimenti, ma da precise “regole” naturali: l’utile e l’inutile. Sono queste le due forze che regolano il mondo. Sono facilmente percepibili, ma difficilmente distinguibili, in quanto a volte sono talmente legate da apparire identiche. Ma il quesito più complicato è: “Perché l’inutile ci muove all’utile?”. Spesso alcuni concetti semplici ma fondamentali, come l’humanitas cara agli antichi, vengono da noi scartati e ci muovono verso ciò che, a nostro giudizio, ci aiuta a vivere, come la ricchezza, il potere e il prestigio. O ancora, giocando sull’ossimoro, potremmo porci la domanda: “Perché l’inutile ci ha mosso agli antipodi della cultura, della bellezza, della poesia, spingendoci all’avidità?”. Entrambe le facce della medaglia si rivelano eloquenti, e noi non siamo in grado di controbattere. A quel punto, non riusciamo più a distinguere l’utile dall’inutile. E’ il nostro conflitto interiore quotidiano, il nostro principale dilemma. Quello che ho dedotto dalla coinvolgente lettura di questo saggio-manifesto è che l’inutile educa all’utile, ma, di riflesso, anche ad alti valori quali il rispetto, la bellezza, l’altruismo, il lavoro, nonché ad un profondo amore per la vita. Edoardo Marcianò,III H Corsi di informatica, francese, inglese, spagnolo, laboratori teatrali ed artistici: tante le opportunità offerte dal Piano Integrato di Istituto. Successi sportivi per il Pitagora Pitagorici…in corsa: a Grosseto le finali nazionali di corsa campestre. Finalmente la palestra! Il taglio del nastro del dott. Oliverio, presidente della Provincia di Cosenza, dà inizio alla cerimonia di inaugurazione della Palestra del Liceo: una festa per tutta la comunità scolastica! Malta e Sicilia le mete dei viaggi che si sono svolti in maggio. Il Pitagora incontra... Il Pitagora si incontra! L’utilità dell’inutile: un libro speciale per festeggiare venti anni di incontri con i libri e la cultura 1994-2014: il nostro laboratorio di Lettura-Scrittura festeggia venti anni di attività. Guidati dai nostri docenti tutor e dalle referenti del nostro storico laboratorio, le prof.sse Giovanna Miccichè e Carmelina Contatore, abbiamo elaborato un questionario su “I giovani, la letteratura e la scuola”, proponendo i dati emersi dal sondaggio effettuato nelle classi del triennio nel corso di un incontro davvero speciale. Nel maggio dei libri, quale occasione più opportuna poteva presentarsi per sottolineare il nostro lavoro se non un incontro con un libro che tanto interesse ha suscitato nell’ambiente scientifico nazionale e internazionale? Mafie, istituzioni, poteri forti: questo il tema dell’incontro tenutosi presso l’Aula Caldora dell’Università della Calabria alla presenza di autorità istituzionali, magistrati, docenti universitari, giornalisti. Tra gli illustri intervenuti il direttore dell’Espresso, Bruno Manfellotto, il rettore dell’UNICAL prof. Crisci, il prof. Giancarlo Costabile, docente UNICAL di Pedagogia della Resistenza. Ospite d’eccezione il procuratore Giancarlo Caselli: un’occasione speciale per discutere sui grandi temi della politica e della legalità, un’autentica palestra di democrazia per porre quesiti ed attendere risposte, incontrarsi, confrontarsi, crescere in consapevolezza. Nella foto, il procuratore Caselli con alcuni alunni della IV A. 2 IL PITAGORA... E TI PORTO IN AFRICA... Mentre noi sprechiamo tanto cibo, tanta gente muore di fame: nella nostra civiltà dei consumi e dell’abbondanza, assai raramente riflettiamo sulle estreme, intollerabili diseguaglianze che separano il Nord e il Sud del pianeta. La crisi attuale, in realtà, ha colpito e continua a colpire fasce sempre più estese anche della nostra “civiltà”, tanto da indurci ad una rivisitazione delle nostre abitudini, da imporre doverosi limiti allo spreco abituale, ai miti moderni degli status symbol di telefonini, macchine di lusso, abiti e accessori firmati, da esigere maggiore attenzione nei confronti del nostro prossimo, sempre più…prossimo, spesso trattato con l’indifferenza e la superficialità di chi finge di non accorgersi delle difficoltà altrui. Per una presa di coscienza ancor più “radicale” sui temi della povertà e della fame, tuttavia, suggerisco, tra i tanti, la lettura di un libro che mi ha particolarmente colpito : ‘’ E TI PORTO IN AFRICA’’. Scritto dal medico Vincenzo Mallamaci, che da quasi vent’ anni si dedica a missioni umanitarie nel continente “nero”, nei villaggi più sperduti e tra realtà sconvolgenti, il libro percorre un viaggio straordinario nell’Africa più profonda, rivelando volti sconosciuti e realtà impensabili di un popolo che quotidianamente soffre e muore. La maggior parte di noi Occidentali non riesce a comprendere il ‘’problema povertà’’ in quanto non lo vive in prima persona, ma solo chi fa esperienze dirette tra le popolazioni più povere e abbandonate riesce a comprendere fino in fondo i problemi che colpiscono i paesi del ‘’Terzo mondo’’. Le esperienze vissute in prima persona dall’ Autore, originali e toccanti, supportate da un’affascinante documentazione giornalistica, nonché fotografica, consentono al lettore di entrare vivamente nel mondo descritto, proponendo un’esperienza ricca di emozioni non facilmente dimenticabili, un viaggio nella sofferenza di un continente, una presa di coscienza del vero significato della vita. ‘’ E TI PORTO IN AFRICA’’ canta il mistero della vita e la sua realizzazione come dono di amore per gli altri. Davvero straordinarie sono le testimonianze della gente africana, della sua capacità di trasmettere la gioia di vivere, pur nella sua estrema povertà. Per questo l’Autore ci porta in Africa, perché possiamo comprendere la necessità della rinuncia agli eccessi consumistici e riusciamo ad essere in armonia con noi stessi e con gli altri. E ci porta in Africa…perché viviamo ogni giorno la ricchezza della condivisione e la gioia del donare. Infatti, se ci abituiamo a donare quotidianamente qualcosa, un gesto di solidarietà a chi bussa alla porta del nostro cuore, allora saremo in Africa, ed il dono, per piccolo che sia, sarà più grande di noi stessi. E ci porta in Africa… Perché possiamo ogni giorno sciogliere i legami dell’indifferenza e perché, anche se non riusciamo a vedere con gli occhi i volti e ascoltare con le orecchie le voci della sofferenza nera, possiamo essere in mezzo ai poveri.E ci porta in Africa… Perché mentre il mondo ci insegna ad avere per essere, dobbiamo imparare a dare per ricevere la cosa più bella: accorgerci di esistere per quello che siamo. E’ per questo che ci porta in Africa… Perciò ‘’ portami in Africa’’, scrive l’Autore, perché nel mio cuore, nei miei sogni di medico senza frontiere c’è un piccolo angelo nero, le cui costole si contano perché la povertà, la fame, la miseria hanno segnato il suo corpo e la sua anima,e nei suoi occhi c’è una richiesta di aiuto, sulle sue labbra c’è un sorriso che io leggo come una speranza. La speranza che è l’ultima a morire. Emanuela Russo, IV A BIDEN, IL PIANETA SCONOSCIUTO, OVVERO L’INFINITO DELLA RICERCA Fissare dei punti di riferimento nel cielo era un’esigenza vitale per le popolazioni del passato, per poter così definire delle scansioni periodiche. L’esistenza dei popoli veniva segnata dal sorgere del sole, dalle fasi lunari, dal ciclo delle stagioni, da eclissi solari, da altri eventi periodici o straordinari. Ne sono esempi importanti luoghi come Stonehenge nel Regno Unito. Nel corso dei secoli, le conoscenze si spinsero a segnare traguardi sempre più ambiziosi…Furono i Greci a scindere l’astronomia dall’astrologia, anche avvalendosi degli straordinari contributi del sapere orientale. Ipparco inventò il primo strumento astronomico di cui si è a conoscenza, “la diottra”, per misurare la posizione delle stelle. A Talete di Mileto viene attribuita la divisione dell’anno in quattro stagioni e 365 giorni, nonché la previsione di solstizi ed equinozi. Il grande Pitagora intuì la sfericità della terra; la sua scuola legò le dottrine astronomiche a quelle matematiche, ed in seguito Filolao avviò il modello del sistema solare non geocentrico. Agli albori dell’astronomia l’occhio umano era comunque l’unico rilevatore e analizzatore naturale atto a conoscere il cielo. Uno dei primi strumenti astronomici che conosciamo è il Merkhet, utilizzato dagli Egiziani per individuare la posizione degli astri: era costituito da due fili a piombo retti da due osservatori. I Romani non diedero molto spazio alle scienze astronomiche. Fu Giulio Cesare comunque a contribuire alla creazione di un calendario (100-44 a.C.), in cui, su suggerimento di Sosigene, inserì gli anni bisestili che vennero poi applicati a tutto l’impero. Plutarco (46-127 d.C.) filosofo e biografo, oltre a descrivere le vicende del suo tempo intuì che la rotazione lunare era simile a quella terrestre. E l’astronomia araba si caratterizzò per la sua straordinaria rilevanza. La scienza moderna ebbe i suoi giganti con Copernico, Galilei, Newton…i primi telescopi supportarono ricerche e teorie lungamente avversate. Ma è grazie alla eccezionale accelerazione tecnologica degli ultimi secoli che l’uomo dispone di strumenti all’avanguardia per l’osservazione dettagliata del cielo e la scoperta di pianeti e corpi celesti nuovi. A confermare la convinzione galileiana che la scienza è una conquista continua, inarrestabile, un work in progress in costante evoluzione, interviene la scoperta di un nuovo pianeta, il corpo celeste più lontano dalla terra, finora sconosciuto. Gli scienziati gli hanno dato il nome di Biden. È un pianeta nano, secondo la classificazione adottata nel 2006 dall’Unione Astronomica internazionale che portò già allora alla cancellazione di Plutone come ultimo pianeta del sistema solare. “Biden” si trova a 80 unità astronomiche di distanza, ossia è situato ad una distanza ottanta volte superiore a quella tra la terra e il sole, che è di 150 milioni di chilometri. È collocato nella “nube di Oort”, dal nome dell’astronomo olandese Jan Oort, la cosiddetta culla delle comete. La sua sigla è 2012 VP113. Biden è stato individuato da un potentissimo telescopio situato in Cile. La sua natura rimane ancora misteriosa. E mentre ancora si parlava di questa scoperta si assisteva ad un’altra meraviglia, ossia all’avvistamento, intorno a Biden, di due anelli di polvere simili a quelli di Saturno. Negli ultimi giorni di maggio, infine, è stato individuato un nuovo, grande cratere che da pochi mesi segna il volto di Marte: è lungo 48 metri e largo 43, è stato generato da un meteorite che sarebbe esploso nei cieli marziani per poi precipitare al suolo oscurando un’area di otto chilometri di diametro. Lo stato attuale dell’astronomia permette di immaginare scenari insoliti, prima inimmaginabili. Le nostre “certezze” scientifiche ci convincono ogni giorno che passa di quanto l’unica certezza effettiva, scientificamente accertabile, consiste nel ritenere inesistente ogni certezza che presuma di essere definitiva. E, a ben pensarci, è proprio questo che ci affascina e ci spinge oltre: la ricerca non finisce mai, giustifica in sé la propria essenza. L’impegno della ricerca nei vari campi della scienza non consente previsioni. Mario Mauro Salvatore, V A 3 ...GUARDA IL MONDO LA GIOVINEZZA È UN CIELO CHE NON BASTA PIÙ “Ringrazio per la nomination e nomino a mia volta, avete 24h di tempo o pagate da bere”; questa frase è diventata il trend-topic sui social. Da un mese a questa parte spopolano sul web video in cui giovanissimi si sfidano bevendo super-alcolici. Come e da dove ha avuto origine questo fenomeno? Pare siano stati gli americani ad inventare questo “passatempo”, talvolta spingendosi fino a vere e proprie “sfide” di sopravvivenza che fanno già contare le prime vittime: giovanissimi che hanno perso la vita solo per filmarsi e non perdere la “sfida”. “Per fortuna”, se così possiamo dire, in Italia le “NekNominations” non sono arrivate a tanto. E’ necessario tuttavia riflettere seriamente su quello che solo ad una lettura superficiale può essere considerato un gioco, ma in realtà avvicina i giovanissimi all’alcool creando gravi danni. I dati sono significativi: a 13 anni molti ragazzi si ubriacano per la prima volta, ed il motivo è sempre lo stesso: voler sembrare più grandi; ma anche le conseguenze sono quasi sempre le stesse: corse in ospedale e, nella maggior parte dei casi, coma etilico. Aumentano inoltre sempre di più i giovani che si rivolgono a centri per le dipendenze e quasi l’80% è sotto i 18 anni. Le bevute di super-alcolici non si fermano al sabato sera, ogni occasione è buona per ubriacarsi. Le “NekNominations” rappresentano solo l’estremizzazione di un fenomeno già diffuso da anni. Sono ormai tanti i giovanissimi che si avvicinano prematuramente all’alcool o per essere accettati dal gruppo o, nel peggiore dei casi, per fronteggiare la noia. Di fronte al dilagare del fenomeno alcuni genitori hanno deciso di “scendere in campo” facendo sentire la propria voce sui social con gli hashtag #iocimettolafaccia e #insiemesiamosquadra per fermare le “Nek” e far sentire la loro presenza . Ma è chiaro che non può trattarsi di soluzioni sufficienti: la famiglia, così come la scuola, devono impegnarsi in un’azione educativa decisamente più efficace, di informazione e formazione. I ragazzi sono ragazzi e come tali devono vivere la loro adolescenza in maniera serena, senza bruciare le tappe, perché questo è un periodo unico della loro vita. Rovinarlo solo per qualche ora di “sballo” è veramente inaccettabile, anche perché nella maggior parte dei casi i baby alcolisti, crescendo, diventano dei veri e propri alcolisti. Ma abbiamo bisogno di essere aiutati, seguiti, informati, abbiamo bisogno di modelli, di esempi positivi, di fiducia. Basta poco per procurarsi dei danni irreparabili; il messaggio che deve arrivare a tutti noi è quello di imparare ad affrontare le sfide decisive della vita, non quelle legate a modelli aberranti, alla capacità di “reggere” drink e cocktail. Dobbiamo saperci divertire e vivere al meglio la nostra età: la gioventù, quel cielo il cui orizzonte sembra non bastarci, mentre davanti a noi infuria un mare sempre più minaccioso. Dobbiamo vincere le nostre paure … ed affrontare il mare dell’esistenza. Insieme possiamo farcela. Rita Barbiero, III D LA SCUOLA HA LA STESSA IMPORTANZA PER TUTTI? Pochi giorni fa è stato presentato il film-documentario, insignito del logo Unesco, “Vado a scuola” diretto dal francese Pascal Plisson. La storia racconta dello sforzo di migliaia di bambini e ragazzi provenienti da Kenya, India, Marocco, Patagonia, che devono alzarsi all’alba e attraversare fiumi, pianure, montagne, kanyon o foreste, per andare a studiare. Alcuni devono persino caricarsi di secchi d’acqua e di legna, perché la loro scuola non offre da bere durante la giornata e non garantisce il riscaldamento. Storie che sembrano quasi riportare alla luce le condizioni che vivevano i nostri nonni durante gli anni della guerra. Da quello che ci racconta il documentario, però, queste tristi realtà non sono più sbiadite dal tempo, anzi appaiono vivide agli occhi di chi le guarda e soprattutto di chi le vive. Sembra che nel mondo esistano due tipi di studenti: quelli “fortunati”e quelli “sfortunati”; inutile dire che la disparità tra i due gruppi è enorme. Eppure tutti i ragazzi che appaiono nel film vengono ricordati dallo spettatore per il loro sorriso. I piccoli scolari, infatti, non smettono mai di sorridere pur appartenendo alla categoria degli ‘studenti sfortunati’ e non rinunciano all’opportunità di andare a scuola e ricevere un’istruzione, perché, dicono, solo in questo modo saranno in grado di fare qualcosa per migliorare le condizioni del loro paese e del loro popolo. La differenza sta proprio in questo. Gli ‘studenti fortunati’, figli del consumismo, sono costantemente annoiati dallo studio, vedono la scuola come un’imposizione e si reputano stremati dopo aver percorso pochi metri ogni mattina per recarsi in quel luogo, che odiano. Frequentano le lezioni in modo svogliato non prestando né attenzione né il minimo interesse, solo per far piacere ai loro genitori o agli stessi insegnanti. Non hanno ben inteso il fine ultimo dello studio, che è quello di rendere migliori noi stessi affinchè un giorno possiamo rendere migliore il mondo in cui viviamo. Se la scuola continuerà ad essere vista come un inutile supplizio anche dalle future generazioni, cesseranno di esistere non solo i valori più alti, ma anche gli ideali di cambiamento e rinnovamento tesi a migliorare la società. Si vivrà in un mondo grigio e triste, popolato da gente divorata da un costante senso di insoddisfazione. L’accidia si impadronirà delle nostre menti e noi, ormai incapaci di prendere decisioni, ci lasceremo abbattere anche dalla più piccola difficoltà. Sono fermamente convinta che, al contrario, abbiamo il dovere di reagire, di alimentare il desiderio di migliorare noi stessi e la realtà che ci circonda. Per fare in modo che questi ideali possano concretizzarsi è necessario partire, anzi ripartire dalla scuola: dobbiamo essere coscienti del nostro essere “studenti fortunati” e lottare per migliorare la scuola “dall’interno”, con un impegno maturo e consapevole. Martina Luzzi, III D 4 IL MONDO... 1994-2014: VENTI ANNI DI LETTURA-SCRITTURA UN LIBRO PER PENSARE...TANTI LIBRI PER VIVERE Un ossimoro vitale: così noi studenti del Liceo Scientifico – Linguistico Pitagora di Rende abbiamo definito “L’utilità dell’inutile”, edito da Bompiani, il saggio del prof. Nuccio Ordine, filosofo e ordinario di letteratura italiana presso l’Università della Calabria, studioso di fama mondiale (tradotto in cinese, giapponese e russo) per le sue opere su Giordano Bruno e sul Rinascimento. In una sala gremita da un folto pubblico di studenti e docenti, dell’Istituto e di altre scuole del territorio, il Prof. Ordine ha presentato il suo saggio-manifesto, teso a “dimostrare l’inconcludenza dell’imperante distinzione tra cultura umanistica, ritenuta, troppo banalmente, inutile, e la pretesa utilità di quella scientifico-tecnologica”. Certi libri hanno la fortuna di venire pubblicati, e quindi anche concepiti, in un momento in cui sembra avvertirsi la loro esigenza, in cui sembra vi sia la necessità di richiamare l’attenzione su un ordine di problemi diffusamente avvertiti, anche se non chiaramente concettualizzati. “Il sapere si pone di per sè come un ostacolo al delirio di onnipotenza del denaro e dell’utilitarismo. Tutto si può comprare, è vero. Dai parlamentari ai giudici, dal potere al successo: ogni cosa ha il suo prezzo”-scrive il Prof. Ordine-“Ma non la conoscenza: il prezzo da pagare è di ben altra natura. Neanche un assegno in bianco potrà consentirci di acquisire meccanicamente ciò che è esclusivo frutto di uno sforzo individuale e di una inesauribile passione”. Un manifesto sulla bellezza del sapere, sulla bellezza della vita e della verità. Un libro che forse ognuno di noi desiderava fosse pubblicato e l’attesa è stata premiata. Ciò che colpisce non è tanto il lavoro filologico dell’autore, quanto i suoi sapienti riferimenti alla realtà moderna. Il libro privilegia la centralità dei testi, dando voce alle riflessioni di grandi filosofi e scrittori come Platone, Aristotele, Bruno, Cervantes, Kant, Voltaire, Foscolo, Manzoni, Calvino, per citarne solo alcuni, a dimostrazione del fatto che a volte la grandezza non è solo nel creare, ma nell’unire ciò che c‘è già. Si tratta di un’opera originale, sebbene riporti brani, pensieri, riflessioni di tanti altri scrittori. L’autore segue proprio questo filo conduttore, che si arricchisce non solo di corrispondenze letterarie, ma anche e soprattutto di affinità tematiche evidenti e, talvolta, ardite, ma sempre pertinenti . “L’utilità dell’inutile ” effettua una serie di profonde riflessioni riguardanti la natura del nostro mondo. Insegna a tutti noi il valore di un sorriso, che si apre senza l’ambizione di piacere a qualcuno, la bellezza di meditare distendendosi su un divano, l’importanza di sacrificarsi per gli altri senza chiedere nulla in cambio. Il tutto però non è legato dai sentimenti, ma da precise “regole” naturali: l’utile e l’inutile. Sono queste le due forze che regolano il mondo. Sono facilmente percepibili, ma difficilmente distinguibili, in quanto a volte sono talmente legate da apparire identiche. Ma il quesito più complicato è: “Perché l’inutile ci muove all’utile?”. Spesso alcuni concetti semplici ma fondamentali, come l’humanitas cara agli antichi, vengono da noi scartati e ci muovono verso ciò che, a nostro giudizio, ci aiuta a vivere, come la ricchezza, il potere e il prestigio. O ancora, giocando sull’ossimoro, potremmo porci la domanda: “Perché l’inutile ci ha mosso agli antipodi della cultura, della bellezza, della poesia, spingendoci all’avidità?”. Entrambe le facce della medaglia si rivelano eloquenti, e noi non siamo in grado di controbattere. A quel punto, non riusciamo più a distinguere l’utile dall’inutile. E’ il nostro conflitto interiore quotidiano, il nostro principale dilemma. Quello che abbiamo dedotto dalla coinvolgente lettura di questo saggio-manifesto è che l’inutile educa all’utile, ma, di riflesso, anche ad alti valori quali il rispetto, la bellezza, l’altruismo, il lavoro, nonché ad un profondo amore per la vita. Edoardo Marcianò, III H; Martina Caloiero, Benedetta Benvenuti , 5G ; Deborah Lucanto, VA 5 ...DEL PITAGORA I GIOVANI, LA LETTERATURA E LA SCUOLA I risultati emersi dal sondaggio su“I giovani, la letteratura e la scuola”, effettuato in tutte le classi quarte e quinte del Liceo, costituiscono una “base” su cui riflettere, evidenziano la necessità di una scuola in cui alunni e docenti sappiano confrontarsi, discutere, costruire assieme modalità di approccio allo studio della letteratura e dei classici sempre più consapevoli e, soprattutto, coinvolgenti. I primi diagrammi si riferiscono alla definizione di letteratura e di classico. Le risposte prevalenti evidenziano scelte correlate ai nostri studi, a ciò che ci viene insegnato a scuola, e corrispondono mediamente a quel che percepiamo riguardo alla letteratura e ai classici, non certo limitati all’antichità greca o latina, ma opere che appartengono ad ogni tempo, che non hanno mai finito di dire quel che hanno da dire, per citare Calvino. Il terzo grafico è relativo alle scelte implicite al fare letteratura. La percentuale maggiore ritiene che la scelta preminente sia quella utilitaristica, nella convinzione che chi fa consapevolmente letteratura intenda esprimere il suo messaggio, ed anche essere utile, in senso funzionale. Rilevante è anche la percentuale di chi ritiene che il fare letteratura implichi una scelta estetica, minoritaria quella che la connette con il consumismo. Chi ha optato per la scelta pratica ha inteso sottolineare le finalità pratiche di certa letteratura. Il grafico 4 evidenzia la prevalenza di chi ritiene maggiormente coerente la definizione di genere letterario in senso lato. La domanda n.5 ci chiedeva come ritenessimo lo studio della letteratura a scuola. Sulla voce “interessante” prevale l’elemento “formativo”, e non manca chi ritiene che lo studio sia una dura necessità. Decisamente minoritaria la percentuale di chi la ritiene sostanzialmente inutile, significativa la percentuale di chi la definisce utile per arricchire la propria cultura. Basse percentuali, ma comunque tali da far riflettere, le voci di chi la sente lontana dalla realtà o noiosa. A confortare in qualche modo i nostri insegnanti provvede il grafico n.6: lo studio della letteratura a scuola ha decisamente migliorato i nostri rapporti con il libro. Il grafico 7 evidenzia la nostra preferenza per la prosa sulla poesia. Alla domanda 8 abbiamo risposto attribuendo ad ogni genere letterario, nel senso lato del termine, un punteggio da 1 a 10. Il massimo delle preferenze è toccato al genere avventuroso, seguito da quello fantascientifico; in ordine decrescente il giallo, l’horror, Il genere umoristico, poi quello introspettivo, lo storico, lo scientifico. Il genere biografico ed il rosa hanno gli ultimi posti di questa nostra classifica. Alla voce “altro” molti hanno segnato il fantasy. Il nostro desiderio di autonomia è rimarcato dal penultimo grafico. Preferiamo di gran lunga un libro scelto da noi piuttosto che un classico consigliato a scuola. L’ultimo grafico lo conferma: nella scelta dei libri una percentuale minima segue i consigli del libraio, maggiore è l’influenza degli insegnanti, che prevale su quella dei familiari. I consigli degli amici hanno un ruolo importante, alcuni si lasciano guidare dalle classifiche dei best seller, ma le voci prevalenti sono nettamente quelle che evidenziano il nostro bisogno di assecondare i nostri gusti e le nostre curiosità. Ed è proprio sul piano della curiositas che la scuola deve, a nostro parere, raccogliere la “sfida” della conoscenza: i docenti nel sollecitare di continuo la nostra motivazione ad apprendere, noi alunni nel non sottrarci allo studio come ricerca continua. Martina Brogno, M. Erika D’Alessandro, M.Francesca Sacchini, IV A 6 MENS SANA... PROGETTO PON“RECUPERA, RICICLA, REGALA…” : UN NOME, UN’ IDEA! L’idea guida del percorso che abbiamo seguito è stata quella di recuperare e riciclare rifiuti di vario tipo, trasformandoli in modo originale, fantasioso e sorprendente in altri oggetti, per poi… regalarli! Ma quello che noi abbiamo intenzione di offrire è molto più di un semplice fiore ricavato dalla plastica o di una cornice interamente di carta, noi regaliamo il nostro tempo, il nostro impegno e il nostro entusiasmo, sperando che coloro che si interessano al nostro progetto si dimostrino altrettanto sensibili e si impegnino con tutte le loro forze, per difendere il nostro pianeta e proteggerlo. I modi sono tanti: raccolta differenziata, riutilizzo dei materiali, parsimonia nell’utilizzo delle risorse…necessitano solo di una manciata di amore in più per l’ambiente in cui viviamo… e per noi stessi. Abbiamo lavorato con semplici materiali, reperibili in ogni casa, e ne abbiamo fatto ciotole, fiori, portacandele, gioielli e persino quadri! Con l’aiuto del nostro tutor di classe e degli esperti che ci hanno guidati in questa avventura, abbiamo dato libero sfogo alla fantasia e persino noi siamo rimasti sorpresi di quanto siamo riusciti a realizzare. Abbiamo scoperto quante idee, quante possibili soluzioni si celino in una semplice bottiglia di plastica o in un foglio di giornale e abbiamo imparato che non è indispensabile che qualcosa sia nuovo per farne un uso intelligente e creativo. Giulia Fiorillo 2H In mezzo alla natura, stanchi ed appagati, d’aver visto spazzatura diventar oggetti riciclati. Carta riciclata abbiamo realizzato, con giornali, acqua e riviste abbiamo lavorato. Cornici con giornali, colla in quantità, petali di plastica, riciclo a volontà! GIULIA FIORILLO, MATTEO FERRARA, MARTA MISITI, MATTIA MAGLIOCCO,GIUSEPPE PERRI, II H SPORT E COSCIENZA DEL BENESSERE I moduli svolti nei vari istituti della rete del progetto F3 sono stati caratterizzati da attività creative centrate sul rapporto sport-energia cinetica; cibo-apporto caloricoe ne r gia . L’ap p re n dim e nto in situazione e la pratica di varie attività sportive si sono rivelati straordinariamente coinvolgenti. Nelle foto, impegnati in un percorso acrobatico tra gli alberi del Parco-Avventura di Lorica, gli allievi del modulo “Pitagorici in corsa”, della classe IIG del Liceo. 7 … IN CORPORE SANO VIVERE LO SPORT: LA PAROLA…ALLE IMMAGINI Erika Serravalle, campionessa regionale 2014, Aldo Arcuri, III A: ottimo il suo piazzamento alle Benedetta Garritano , IV C, ha difeso a Grosseto finalista nazionale di salto in lungo a L’Aquila. finali nazionali di corsa campestre a Grosseto. le posizioni della squadra femminile. Gli allievi della I B vincitori del torneo di calcio a Anche quest’anno le attività di rafting sul fiume La squadra di rugby costituitasi quest’anno. Lao hanno rappresentato uno dei “momenti cinque interno alla scuola. forti” delle nostre attività sportive La nostra Preside con la squadra maschile di corsa campestre vincitrice della fase di istituto. La DS Prof.ssa Policicchio con la squadra La squadra di Atletica Leggera del Liceo classificatasi seconda alla fase regionale. femminile di corsa campestre. La prof.ssa Paparo ha accompagnato al torneo nazionale di scacchi Gli studenti del Pitagora che hanno rappresentato la Calabria alle finali di Cross tenutosi a Terrasini (Palermo), la delegazione del Pitagora costituita di Grosseto,con i proff. Luciano Bove e Lidia Cino e Stefano Baldini, campione da Simone Greco e Alessio Marigliano, IV B, Francesco Monaco e olimpionico di Maratona Atene 2004. Francesco Reda, IV C. Particolarmente pregevole la prestazione di Simone Greco, classificatosi sesto nelle gare individuali! 8 LEGGERE... ‘SIDDHARTHA’: UN LIBRO PER LA VITA “Siddhartha’’, edito nel 1922 dallo scrittore tedesco Hermann Hesse, è un romanzo che parla della ricerca di qualcosa che sembra essere “fuori”, ma che alla fine alberga dentro di noi. Siddharta è un ragazzo indiano che ha bisogno di trovare la sua strada e si incammina nell’India del VI secolo assieme al suo amico Govinda. Iniziano così il loro percorso, e durante il viaggio incontrano i Samara, uomini che riescono a vivere con poco e si immedesimano in tutto ciò che gli sta intorno. Dopo aver condiviso con loro questa esperienza mistica, incontrano il Buddha Gotama. Sarà in seguito a questo incontro che Govinda decide di non proseguire con Siddharta il cammino e si aggrega alla setta. Siddharta, invece, prosegue da solo per la sua strada e subito incontra Kamala, dalla quale imparerà l’arte dell’amore, ma anche i modi per guadagnare e divertirsi. Inizia proprio a questo punto il processo di conoscenza del proprio ‘io’ del protagonista, poiché il giovane si lascia andare alle pulsioni, ai desideri e alle debolezze tipiche degli uomini, cosa che fino ad allora aveva considerato come atteggiamenti negativi da evitare, peccati di cui non sporcarsi. Il senso di colpa e la consapevolezza di aver sbagliato, di essersi lasciato cadere nella tentazione, in uno sbaglio, conducono Siddharta alla fuga, lasciando la donna amata, che dovrà accudire da sola il figlio concepito con lui. L’analisi della propria vita determina come conseguenza in Siddharta la necessità di una purificazione interiore che il ragazzo inizialmente medita di raggiungere tramite il suicidio. Ma la vita sembra dargli un’altra possibilità, o per lo meno un segnale che distoglie il suo pensiero da quella tetra e cupa idea, quando, a distanza di anni, incontra nuovamente il suo vecchio amico Govinda e lì, sulle sponde di un fiume dove tutto sembrava volgere al termine, ritrova il desiderio di ricominciare. Si imbatte, poi, in un barcaiolo che gli insegna l’essenza dell’acqua, mostrandogli il proprio spirito, come se il fiume fosse un’entità viva. Ci saranno ancora molti incontri da cui Siddharta imparerà qualcosa e saprà trarre insegnamenti e ci saranno anche altrettanti ricordi che gli restituiranno immagini apparentemente dimenticate, che lo condurranno al suo passato. Il registro usato è B molto originale: unisce la lirica all’epica ed è un mix di sentimenti ed emozioni che, portando a riflessioni sulle proprie esperienze, rende l’opera tuttora affascinante. Il libro mi ha particolarmente toccato per il suo contenuto molto riflessivo. Mi hanno molto colpito i pensieri acuti, così profondi e così saggi di Siddharta, il quale credo sia un esempio per tutti noi: ha continuato a cercare senza mai accontentarsi. Per questo, a mio parere, esemplare è l’idea che il protagonista espone a Kamala, durante uno dei loro tanti dialoghi: “Vedi, Kamala, se tu getti una pietra nell’acqua, essa si affretta per la via più breve fino al fondo. E così io, quando ho una meta, un proposito”. Siddhartha non fa niente, aspetta, pensa e digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l’acqua, senza agitarsi: viene attratto e si lascia cadere. La sua età lo tira a sé poichè nell’anima propria egli non fa penetrare nulla che potrebbe contrastare a tale meta. Questo è ciò che gli stolti chiamano magia, credendo che sia opera dei demoni. Ognuno può compiere una magia, ognuno può raggiungere i propri fini, se sa pensare, aspettare e digiunare.’ A mio parere importantissimo, ai fini del messaggio, è il passaggio lento di Siddhartha tra tantissime esperienze: ha, così , modo di capire che quello che studia sui libri, quello che cercava all’interno della propria persona, è ben diverso da quello che prova a pelle, da quel che sente e da quello che vede con i suoi occhi. Lo scrittore tedesco Hermann Hesse in “Siddharta” vuole, inoltre, esprimere la necessità di conoscenza del mondo circostante e soprattutto di quello interiore attraverso un percorso spirituale e fisico che conduce a se stessi. Vuole mettere in luce l’essenza del peccato che si nasconde in ogni uomo, anche in chi appare saggio e puro, ma Hesse vuole, soprattutto, mostrare quante alternative e possibilità ha ognuno di noi per trovare la redenzione e una pace interiore che non sia solo fittizia. E questo può avvenire solo grazie alla conoscenza, alla messa in discussione e alle esperienze che arricchiscono ogni essere umano. Francesco Catera, II C LA SCUOLA A CINEMA: NOI SIAMO INFINITO asato sul romanzo di Stephen Chbosky The Perks of Being a Wallflower, Ragazzo da parete nella traduzione italiana, Noi siamo infinito è un film drammatico diretto dallo stesso Chbosky nel 2012, centrato sul tema dell’adolescenza ed i complessi problemi che la caratterizzano. E’ il 1991 e Charlie, il protagonista, è un adolescente intelligente e sensibile ma allo stesso tempo timido e introverso, che osserva il mondo intorno a sè tenendosi in disparte: un ragazzo da parete (Wallflower), una sorta di soprammobile che si lascia trascinare per la paura di esporsi e di essere giudicato. Alcune traumatiche esperienze, come il suicidio del migliore amico e la morte della sua adorata zia, lo fanno piombare in uno stato di apatia che gli impedisce di relazionarsi col mondo esterno. Al suo ingresso nelle scuole superiori entra in un turbine di “prime volte”: la prima festa, la prima rissa, il primo bacio, la prima cotta. Fanno breccia nella sua solitudine l’esuberante Patrick e la sua bellissima sorellastra Sam, due carismatici ragazzi dell’ultimo anno che lo prendono sotto la loro ala protettrice e lo accompagnano verso un mondo completamente diverso: nuove amicizie, il primo amore, le prime feste e la ricerca della colonna sonora perfetta per la loro vita. Sam e Patrick lo aiuteranno a scavare a fondo nella coscienza, senza preconcetti, a mettere da parte i brutti ricordi per dar spazio a nuove esperienze. Quando però i suoi amici si preparano a lasciare il liceo per il college, l’equilibrio del ragazzo inizia a sgretolarsi, e tutto pare tornare come prima. Un punto di riferimento importante sembra rimanere soltanto il suo insegnante di letteratura, il quale lo incoraggia, gli fa da confidente e lo spinge ad esercitarsi nell’arte della scrittura. Charlie porta infatti dentro di sé un oscuro segreto riguardante il suo passato, un turbamento inspiegabile, un torto inflitto alla sua innocenza di bambino, ricordi del passato che lo disturbano e lo costringono ad assumere psico-farmaci. La scrittura gli si rivela una prezio- sa valvola di sfogo per poter esprimere compiutamente se stesso: Charlie decide di utilizzarla sotto forma di lettera al suo migliore amico, anche se non è più in vita, per renderlo partecipe di quello che gli sta accadendo. Descrivere le sue emozioni e venire a capo dei suoi turbamenti attraverso la scrittura: è questo il suo scopo, i suoi problemi nel relazionarsi con gli altri dipendono infatti da motivi ben più gravi della timidezza. Il film ci ha coinvolto profondamente, in quanto affronta temi complessi che fanno parte della realtà adolescenziale: l’amore, l’amicizia, il rapporto con la famiglia, la scoperta dell’identità sessuale, l’uso di sostanze stupefacenti. Noi siamo infinito ci mostra come i problemi e le infelicità dell’adolescenza vadano oltre la singola crisi esistenziale, oltre la prima delusione amorosa, oltre i problemi di scuola, oltre gli attriti con famiglie più o meno “sfasciate”. Il film racconta la tensione all’estremo di se stessi, la ricerca dolorosa del proprio posto nel mondo, gli istinti distruttivi, i compromessi ,le disfatte, le rivincite in una società fondata sulla superficialità, che non considera minimamente i valori autentici e che anzi li calpesta per raggiungere scopi materiali per l’appagamento momentaneo. Ragazzi come Sam, Charlie e Patrick, evidenziano quelle difficoltà che spesso noi adolescenti incontriamo per ambientarci e integrarci, ma soprattutto l’importanza dell’amicizia . Dire che ci siamo rivisti molto in Charlie è dire poco! Charlie passa dall’essere infantile e immaturo ad una saggezza consapevole e spensierata ad un tempo, ma non in maniera definitiva. Cambierà, crescerà, ma sarà sempre se stesso. E’ una storia verosimile scandita dalla musica e il finale è perfetto! Ci sarebbe piaciuto vedere come sarebbe diventato Charlie da adulto. Potrebbe essere questo uno spunto per un nuovo film di Stephen Chbosky Francesca Barbuscio, Michela Brogno, Lara Napoli, Alessandra Serpe, IV B 9 ...CHE PASSIONE! I STORIA DI UNA LADRA DI LIBRI il rumore assordante delle bombe. Da quelle storie si può trarre conforto n questo mondo ormai soffocato dalle tecnologie, il libro sembrerebbe non avere più il valore di una volta, non suscitare più, nello sfogliare le pagine, emozioni che stimolino ad evadere dalla realtà che ci circonda. Il libro è, invece, l’unico oggetto inanimato che custodisce all’interno di sè un sogno. Forse era questo lo scopo del regista Brian Percival nel film “Storia di una ladra di libri”: ricordarci l’importanza di un libro e tutti i sentimenti che riesce a suscitare. Brian Percival ha ispirato il suo film al romanzo di Markus Zusak, “la bambina che salvava i libri”. Il film è ambientato all’epoca della seconda guerra mondiale, in una piccola cittadina della Germania. Liesel Meminger (Sophie Nelisse) è una ragazza che ha perduto da poco il fratellin; la madre, costretta ad abbandonarla e fuggire dalla Germania a causa delle sue idee politiche, la affida alla famiglia Hubermann. Hans (Goeffrey Rush, attore australiano, premio Oscar e indimenticato interprete di film come “La migliore offerta” e “Il discorso del re” ) è il padre, dotato di grande dolcezza e humour. Mamma Rosa (Emily Watson, attrice inglese, candidata più volte al premio Oscar) all’apparenza si mostra come una donna austera, ma sotto la sua corazza si cela un carattere sensibile e generoso. La bambina custodisce gelosamente due oggetti molto cari: una fotografia del fratellino morto e un libro trovato sulla neve dopo la sua sepoltura. Ma Liesel non sa leggere, così il padre adottivo l’aiuta e le insegna… in che modo? Immergendosi insieme a lei nella lettura. Il loro appuntamento serale diventa qualcosa di magnifico. Nel sotterraneo di casa ella crea un suo mondo dove rifugiarsi a leggere, scrivere sulle pareti le parole che incontra e che la incuriosiscono. Quel mondo di parole l’aiuta ad ambientarsi e a legarsi presto alla sua nuova famiglia, creandosi un clima pur illusorio di pace e serenità, mentre la guerra avanza e le bombe iniziano a cadere. I momenti chiave del film sono quelli che esaltano il valore dell’amicizia, dell’altruismo, della letteratura e della cultura in generale come antidoto alle brutture della vita, ed alle dittature che strumentalizzano l’ignoranza. Indimenticabile la scena del rogo dei libri, messi al bando dalle autorità naziste, mentre Liesel si preoccupa di salvarne almeno uno. Altra scena chiave è quella che si svolge nei rifugi sotterranei, dove la gente trema per la paura di morire o di trovare la casa distrutta dalle bombe. Liesel legge il terrore nei volti, e il suo amore per i libri sembra lenire l’orrore della guerra: racconta le storie che ha letto e la magia del racconto par quasi superare in tempo di guerra, ma anche l’amicizia, la solidarietà, la fedeltà hanno un valore prezioso. Hans deve nascondere Max Vandenburg, un ragazzo ebreo sfuggito alle persecuzioni., per una promessa fatta al padre del giovane. Anche lui ha rubato un libro e tra i due ragazzi scoppia una grande alchimia. Grazie a Max Liesel guarda il mondo con occhi diversi, approfondendo ancor di più il suo amore per la letteratura. Quando il giovane si ammala gravemente, Liesel gli sta vicino leggendogli i libri “rubati” dalla biblioteca del borgomastro. Max guarisce e ringrazia Liesel perché a tenerlo in vita sono stati i suoi racconti, il suo amore e la capacità di fargli “esplorare” il mondo pur nelle strettoie di una stanza. Riprese le forze, deve fuggire: i soldati si avvicinano, non c’è più tempo. I due si incontreranno di nuovo tanti anni dopo, a guerra finita. Il film è drammatico e questa drammaticità è resa ancor più fortemente dalla scelta del narratore, che è la morte. Il narratore interagisce con il pubblico sottolineando le scene di maggiore impatto emotivo con interventi che invitano ad inquadrare gli avvenimenti in un contesto più generale, a non soffermarsi sui singoli episodi e ad accettare qualsiasi esperienza senza panico e con fiducia nella vita di cui la morte è parte. Questa fiducia nella vita è espressa bene nel finale, in cui Liesel ritrova la moglie del borgomastro e si avvia ad affrontare un’altra vita, libera dall’orrore della guerra, ma anche in ogni momento in cui viene messo in risalto il coraggio della piccola ladra di libri e dei personaggi che le ruotano intorno. Il pubblico si sente subito empaticamente attratto da questi personaggi, perché hanno una grande umanità e sono tratteggiati con caratteristiche fisiche, mimiche, di linguaggio che ne evidenziano bene il carattere e li fanno imprimere nella memoria: Hans e la sua fisarmonica, l’evoluzione di Liesel, l’amore puro di Rudy, la rude tenerezza che intravvediamo nell’espressione del viso di Rosa. Il film è spettacolare, la ricostruzione degli ambienti veramente fedele e suggestiva. Le scene dei bombardamenti hanno una grande credibilità e drammaticità. La visione è da suggerire a tutti, ma in particolar modo ai ragazzi, perché oltre ad essere un film spettacolare, che propone la visione dell’Olocausto filtrata dallo sguardo di un’adolescente, suggerisce l’approfondimento di valori eterni e importanti in una maniera non retorica, avvalendosi delle interpretazioni sobrie e misurate di grandi e bravi attori. CONFESSIONI DI UN SICARIO DELL’ECONOMIA “Confessioni di un sicario dell’economia”: un titolo intrigante per un libro che tante polemiche ha suscitato negli ultimi anni. Non certo un romanzo di fantascienza, non un thriller frutto della fertile fantasia di uno scrittore di gialli, ma un libro autobiografico scritto dall’ex banchiere John Perkins, che racconta parte della sua vita lavorativa nella Chas T. Main Inc nel ruolo di economista capo. Il racconto inizia con una breve introduzione sui motivi che hanno spinto l’autore a scrivere, e sulle varie complicazioni che hanno accompagnato le varie stesure: iniziato nel 1982, ripetutamente interrotto per pressioni esterne, e poi terminato nel 2004. Il racconto della vita di Perkins si sviluppa dai primi anni trascorsi in college all’ingresso nella NSA (National Security Agency), fino all’esperienza lavorativa all’interno della società di consulenze ed alla maturazione della consapevolezza di essere diventato un “sicario dell’economia”: “Ero un sicario dell’economia, parte di un gruppo d’elite di moderni “killer professionisti” che promuovono gli interessi delle grandi multinazionali e di alcuni settori del governo americano. Avevo una qualifica di “Chief economist” e uno staff di economisti, consulenti d’imprese e analisti finanziari super qualificati che producevano imponenti relazioni che potevano legittimare qualunque cosa, ma il mio vero lavoro era ingannare e saccheggiare il Terzo mondo”. Le pagine del libro, per esplicita ammissione dell’autore, rivelano che “I sicari dell’economia sono professionisti ben retribuiti che sottraggono migliaia di miliardi di dollari a diversi paesi in tutto il mondo. Riversano il denaro della Banca Mondiale, dell’Agenzia statunitense per lo Sviluppo Internazionale(USAID) e di altre organizzazioni “umanitarie” nelle casse di grandi multinazionali e nelle tasche di un pugno di ricche famiglie che detengono il controllo delle risorse naturali del pianeta. I loro metodi comprendono il falso in bilancio, elezioni truccate, tangenti, estorsione, sesso e omicidio. Il loro è un gioco vecchio quanto il potere, ma che in quest’epoca di globalizzazione ha assunto nuove e terrificanti dimensioni”. Per svolgere il suo lavoro Perkins inizia a girare il mondo, a visitare paesi come l’Indonesia, Panama, l’Arabia Saudita, Ecuador, Iran nei quali, come egli racconta, gli viene chiesto di creare previsioni false e gonfiate di un Roberta Sole, IV H imminente boom economico per giustificare prestiti miliardari dagli organismi internazionali. Perkins conosce, seduce, corrompe e costringe i leader locali a sfruttare il proprio popolo, accettando prestiti che quei paesi non potranno mai pagare, privatizzando i beni dello Stato, legalizzando la distruzione di un ambiente fragile e rendendo queste risorse preziose alle multinazionali americane. Si trattava di una forma di “capitalismo Predatorio”, forse il peggiore della storia, forse anche alla base dell’attuale crisi economica globale. Il contatto con le popolazioni locali, i loro bisogni, le loro miserie, induce tuttavia l’autore a riflettere, facendo maturare in lui una vera e propria crisi di coscienza, quella che lo spinge ad “autodenunciare” se stesso ed il “sistema” di cui fa parte. Il finale del libro esprime al meglio il pensiero dell’autore: “Davanti a questo Tsunami economico globale sta a ognuno di noi decidere quale futuro vogliamo immaginare e anche contribuire a creare. Questo è quello per cui ho deciso di impegnare il resto della mia vita. Vogliamo un mondo governato da pochi miliardari, occupati a controllare le risorse del pianeta con l’unico fine di servire i loro appetiti? Vogliamo più debito, privatizzazioni e mercato in cui i signori del furto si innalzano al di sopra di leggi che valgono solo per il resto della popolazione? Vogliamo comprare da aziende che finanziano il rovesciamento di governi eletti democraticamente? Vogliamo continuare a crescere e far crescere i nostri figli in un pianeta dove meno del 5% della popolazione consuma più del 25% delle risorse,e meno del 10% di quel 5% controlla i patrimoni,e dove circa metà del mondo vive in povertà?” “Confessioni di un sicario dell’economia” è un libro difficile da digerire, una sorta di “Gomorra” americano. Con la differenza che, mentre in Italia diciamo di essere a conoscenza del potere e della presenza delle mafie, nel libro di Perkins è raccontata una storia che troppi non hanno sentito o non vogliono sentire. Vogliamo che gli sforzi e il rischio che si è assunto quest’uomo siano vani ed inutili? Nel mondo abbiamo bisogno di tanti altri John Perkins. Il potere non spetta a nessun sicario dell’economia, politico o signore del furto. Il potere spetta solo ed esclusivamente a noi, che dobbiamo esplicitarlo nei modi e nelle forme consentite da una autentica democrazia. Dovremo fare di tutto perché questo accada, un giorno. Adolfo Rovella, IV A 10 SECONDO NOI SE FOSSI UN LIBRO Come disse un famoso scrittore italiano, Tiziano Terziani: “I migliori compagni di viaggio sono i libri: parlano quando si ha bisogno, tacciono quando si vuole silenzio. Fanno compagnia senza essere invadenti. Danno moltissimo senza chiedere nulla.” Un libro è … un mondo! Si, un libro è un mondo che ci porta via dai problemi della vita quotidiana, una via di fuga, che ci fa sognare attraverso le sue storie e personaggi. Possiamo considerare un libro come un amico, il nostro migliore amico, a volte sembra racconti proprio la nostra storia, ci aiuta a conoscere noi stessi attraverso le parole degli altri. Non mi sono mai piaciuti i libri che a scuola mi hanno imposto di leggere, penso che non ci sia cosa più bella di entrare in una libreria e stare ore ed ore a scegliere il libro grazie al quale ancora una volta potremo sognare, verso l’infinito. Vorrei essere quel libro che custodiremo sempre con molta cautela, come se fosse un tesoro, quello che quando ci sentiamo soli ci farà compagnia nonostante lo abbiamo letto migliaia di volte, quel libro che attraverso le frasi che sottolineeremo, le pagine quasi ingiallite , ci comunichi sempre le emozioni che ci ha suscitato la prima volta , quel libro per il quale abbiamo pianto, quel libro che ci ha talmente appassionato da esser “divorato” in massimo due giorni, quello di cui, quando sarà ormai finito, sentiremo molta nostalgia, come se perdessimo un nostro carissimo amico. Tra i vari libri letti quello che mi ha emozionato di più è stato: “ I passi dell’amore” di Nicholas Sparks. Questo libro è bellissimo, molto veloce da leggere, è un romanzo d’amore che insegna ad amare, narra le vite diverse di due ragazzi innamorati posti dinanzi agli ostacoli della vita, ma il cui amore è così potente da resistere anche alla morte! Landon Carter, un adolescente vivace e irrequieto, vive In una piccola cittadina del North Carolina. Lasciato dalla fidanzata pochi giorni prima del ballo della scuola, decide di invitare come sua “ultima scelta” Jamie, la figlia del reverendo, una ragazza completamente diversa da lui. Orfana di madre, molto religiosa, è una ragazza assai timida, ingenua, non ha amici. Dopo il ballo, tra i due nasce un’inaspettata amicizia che in breve tempo si trasforma in un sentimento intenso e travolgente, drammaticamente segnato dalla grave malattia di Jamie, consapevole di avere pochi mesi di vita. Landon decide di soddisfare tutti i suoi desideri, tra cui quello di sposarsi nella stessa chiesa dove si era sposata sua madre. Il libro termina con il matrimonio dei due ed il successivo racconto della morte di Jamie. Questa naturalmente è una sintesi del libro, è molto più emozionante leggerlo. Io personalmente consiglio a tutti i miei amici, coetanei e non, di leggerlo, perché è un libro che affronta moltissimi temi: l’amore, la speranza, il perdono, ma soprattutto lo scontro tra bene e male. Se fossi un libro, sarei appunto questo: mi ha fatto capire che nella vita basta solo essere sempre se stessi, avere tanta speranza e non permettere a nessuno di cambiarti : non importa come ti vesti , come ti trucchi, importa solo scoprire le parti più belle del nostro carattere e farle emergere . “L’amore è sempre paziente e gentile, non è mai geloso…non è mai presuntuoso o pieno di sé, non è mai scortese o egoista, non si offende e non porta rancore. L’amore non prova soddisfazione per i peccati degli altri ma si delizia della verità. È sempre pronto a scusare, a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi tempesta.” – I passi dell’amore. Alessandra Serpe, III B SPIRAGLI NELLE OMBRE Nessuno aveva il permesso di toccare la mia ombra, né tantomeno calpestarla. A me piaceva la sua compagnia, il suo seguirmi ovunque andassi. Detestavo infatti la notte, che voleva portarmela via. Apparteneva a me. Una volta provai a far notare ad un passante qualunque quanto non fosse carino non rispettare la sensibilità delle ombre. Ma lui non prestò attenzione, poiché temo avesse pensato fossi matta, o peggio, che stessi parlando da sola. E qui dovrei introdurre l’argomento che più m’addolora: la solitudine (ah, brutta cosa!). Se non vi dispiace, preferirei continuare il discorso sulle ombre. Trovavo una certa somiglianza tra me e loro: non possono rimpicciolirsi o spostarsi quando vogliono, debbono obbedire alla persona, all’animale o all’oggetto al quale appartengono. Sono schiave. In base a come il corpo impedisce alla luce di passargli attraverso, esse mutano. Io mi sentivo un’ombra la maggior parte del tempo. Non ero libera di andare dove avrei voluto o avere la forma che avrei desiderato. Inoltre il buio mi spaventava, esattamente come pensavo spaventasse le ombre che, a causa sua, dopo aver lavorato tanto per conto della luce, sono costrette a scomparire. Oh, quasi dimenticavo, dovrei assolutamente aprire adesso una parentesi sull’ombra che se ne stava sul muro di camera mia, probabilmente in cerca di un proprietario. Mi affascinava molto. Invidiavo la sua libertà, il suo riuscir a tener testa perfino alla notte, che non aveva la capacità di mandarla via. Ogni tanto le parlavo, quando non riuscivo a dormire a causa degli incubi, ma lei non rispondeva. Ero convinta che fosse per la sua timidezza. Cercavo infatti di comprenderla nel suo silenzio, data la nostra somiglianza. Una volta l’attraversai. Mi ritrovai in un posticino (un’astronave?) bianco, luminoso e circolare abitato da tanti esserini paffuti, del medesimo colore delle pareti. Tentai, presa dalla curiosità, di scambiare due o tre parole con uno di loro. Gli chiesi perché l’ombra della mia camera non avesse mai parlato, considerato che era abitata, ma finii soltanto per spaventarlo. Farfugliò chissà cosa tutto confuso, mentre forse cercava di capire che genere di creatura si trovasse davanti. Fu proprio quando rivolse ancora una volta i suoi occhietti verso il tetto per osservarmi che mi accorsi d’essere in un luogo privo di gravità. Stavo galleggiando! Tuttavia il mio viaggio nello spazio durò poco, solo 25 secondi terrestri, poiché fui subito rispedita a casa. Mi avrebbe fatto piacere poter raccontare la mia avventura a qualcuno, ma per evitare di stravolgere i principi della fisica decisi di tenere il ricordo per me. Dopo essermi smaterializzata per la seconda e ultima volta trovai sul mio letto un vecchio libro sulla quadridimensionalità. Ne lessi qualche riga: “I wormhole o cunicoli spaziotemporali sono una caratteristica dello spazio-tempo. Si tratta di percorsi rapidi che permettono di viaggiare da un punto all’altro dell’universo.” Imparai molto. Se l’universo è immaginato come un grande foglio, esso può piegarsi e i punti di contatto permettono di collegare luoghi che altrimenti sarebbero lontanissimi tra loro. Difficile da immaginare, perché il foglio dell’universo ha tre dimensioni (senza contare il tempo) e non solo due, ma così è, o meglio, potrebbe essere. Sto ancora cercando altri wormhole da visitare. Si nascondono nelle ombre? Credo proprio di sì, le mie care ombre si divertono nel veder qualcuno riuscire a viaggiare più velocemente della loro padrona, la luce. Un wormhole, poi, permette di sfuggire al buio, se necessario, e questo per un’ombra conta parecchio, non credete? Alice Barberi, III C 11 SECONDO NOI RONDINI AFRICA Un mattino t’affacci alla finestra per guardare negli occhi il nuovo giorno, che si fa largo tra le residue luci della notte , e t’accorgi che sono tornate le rondini. E con loro è tornato, tanto atteso, l’inebriante profumo della primavera, dopo un lungo e piovoso inverno. Ti fermi a osservarle, indaffarate, la creta in bocca a costruire un nuovo nido. Vanno e vengono con ritmo frenetico, sfidano l’immensità del cielo e l’infinità del mare, lucida giacca nera, camicia bianca. E poi, finita un’altra estate, le rondini sceglieranno nuove rotte, e tu, incurante dei tuoi giorni senza ritorno, ne attendi la danza leggera. Vorrei avere tanta acqua per dissetare il tuo deserto e danzare coi tuoi ritmi attorno al primo fiore che nasce e spaurito cerca il sole, come il bimbo appena nato cerca il seno di sua madre. Vorrei rimanere estasiata per i tramonti della tua terra, e i colori e le infinite emozioni che regali, vorrei osservare le tue piante, e gli alberi, e gli elefanti, e contemplare la sabbia del tuo deserto, che al calare del sole si veste di un mantello dorato, e saluta le tigri e i leoni, dando inizio ad una nuova notte di ombre e di segreti. Vorrei offrirti il mio cibo per sfamare la tua gente. Vorrei costruire scuole per insegnare a leggere le favole, continuare a sperare e credere nei sogni. Vorrei costruire ospedali per vincere la paura e la morte e regalare sorrisi. E attorno a questa Africa, senza più fame né sete vorrei costruire un mondo nuovo di pace e di giustizia. Maria Erika D’Alessandro, IV A Maria Erika D’Alessandro, IV A “L’AGENDA DI MIO NONNO” Qualche volta mi capita di essere un po’ giù di morale o di non sapere che fare, così mi butto sul letto e mi immergo nei ricordi di quando ero una bambina. In quelle immagini scolorite vedo mia madre, mio padre, mia sorella, riesco perfino a ricordare mio fratello che, all’epoca, era solo un neonato, ma la figura che riaffiora maggiormente nei miei ricordi è mio nonno, un uomo molto alto, magro, con i capelli neri e con un paio di occhialoni da vista sul naso. Lo guardo nei miei sogni e penso a quanto fosse bello vederlo sorridere, felice, circondato dalle persone a lui più care. Ricordo come si emozionasse mentre osservava i nipotini giocare e di quanto mi rendesse orgogliosa e fiera il fatto di averlo accanto o vicino. Era tutto più tranquillo un tempo, perché se accadeva qualcosa di spiacevole arrivava lui, mio nonno, sempre impeccabile, col suo bel vestito, a rimettere la pace e la serenità in famiglia, o, se qualche figlio aveva problemi, lui era sempre in prima fila a soccorrerlo, per aiutarlo a sollevarsi, a rimettersi in piedi, lentamente. Lui per me era un idolo, un modello da seguire, era la persona che più stimavo e amavo al mondo, perché viveva dei suoi sacrifici, cercava in ogni circostanza di accontentare tutti e, soprattutto, di non lasciare niente in sospeso. Il mio unico rimpianto è quello che io non sia potuta crescere con lui, che non abbia potuto condividere le mie emozioni con le sue e che non lo abbia conosciuto fino in fondo; il destino, purtroppo, ha deciso di portarmelo via 7 anni fa. Mentre studiavo arrivò quella telefonata che mi sconvolse la vita, piansi di nascosto perché non volevo far provare ai miei fratellini la stessa tristezza e malinconia di quell’istante, così andai, sola, nella mia camera e setacciai la stanza per trovare un oggetto che a me, tutt’ora, è molto caro e prezioso, la sua agenda. Pochi sanno cosa essa significhi per me, quanta felicità e tristezza si nasconda a tenere stretto al petto un oggetto dei ricordi , solo chi ha provato il mio stesso dolore può comprenderlo, soltanto chi è stato davvero affezionato a qualcuno, a tal punto da aggrapparsi ad un passato che ormai è trascorso, può veramente capirmi. In questa agenda ci sono ancora scritti i suoi appunti, i suoi pensieri e le varie liste della spesa. Ricordo che fu lui stesso a donarmela dicendomi di custodirla, perché di me si fidava e sarebbe stato fiero se avessi continuato ad usarla per i miei appunti ed i miei pensieri. Lui , peraltro, era un uomo di grande cultura, adorava la scuola e gli piacevano molto le sfide, specialmente in ambito scolastico o lavorativo, per questi io mi impegno molto a scuola, e ciò non mi spiace affatto, infatti adoro studiare e mettere me stessa in gioco per imparare come lui a vincere, a non perdere mai, ad aiutare le persone in difficoltà, a vivere di sacrifici e ad amare gli altri come lui amava me e la sua famiglia, in modo da richiamare alla memoria la sua esistenza, perché lui c’è ancora e vivrà per sempre nel cuore di chi gli voleva e vuole tuttora bene. Ciao nonno. Tua Benedetta Benedetta Iantorno, I G 12 SECONDO NOI UN ANNO RICCO DI EMOZIONI.. REDAZIONE Direttore Responsabile: Prof.ssa Elisa Policicchio, Dirigente Scolastico Coordinamento Redazione: Prof.ssa Carmelina Contatore Docenti Tutor del Laboratorio di Lettura –Scrittura: Prof.sse Lida Barazzutti, Cinzia Bianco, Barbara Colistra, Carmelina Contatore, Daniela Romeo, Carmela Esposito Impaginazione: Andrea Nisticò, Martina Brogno, M.Francesca Sacchini, Francesco E. Esposito, Anna Gioia Grafica: Alessandra Marasco, M.Erika D’Alessandro Fotografia: Martina Brogno, Chiara Paletta, Rosy Vigna, Prof.ssa Lidia Cino Questo giornale è stato realizzato con fondi Europei: PROGETTI PON F3-FSE-04-2013-16; C-1 FSE-2013-2605; F-2 FSE-2013-77