A norma di legge 26 Diritto di Famiglia e contenzioso giudiziale: Le

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A norma di legge 26 Diritto di Famiglia e contenzioso giudiziale: Le
A norma di legge
MARTEDÌ 2 GIUGNO 2015
Giornale di Merate
A cura di Publi(iN) Tel. 039.9989.1
MERATE(ces) Con il D.L. 132/2014 del
10.09.2014, convertito nella Legge
10.11.2014 n. 162 (entrata in vigore dal
giorno 11.11.2014), il Legislatore ha inteso introdurre nuove norme allo scopo di conferire maggior speditezza alla
procedura civile italiana, con speciale
riguardo alle procedure di separazione
personale dei coniugi e di
divorzio, ovvero cessazione degli effetti civili del
matrimonio concordatario, e ancora alla procedura per la modifica delle
condizioni di separazione
o di divorzio.
Successivamente, con la
L. 55/2015 – entrata in vigore lo scorso 26 maggio
2015 – il Legislatore ha
ulteriormente semplificato la procedura per addivenire ad una sentenza
di divorzio, introducendo
il c.d. “divorzio breve”,
consistente nella facoltà
– per i coniugi separati – di
ottenere la sentenza di divorzio in tempi assai rapidi. Il D.L.
132/2014 ha introdotto due importanti
novità: 1) la facoltà, per i coniugi, di
ricorrere alla c.d. “negoziazione stragiudiziale assistita”; 2) la facoltà per i
coniugi senza figli minori, ovvero figli
maggiorenni non economicamente
sufficienti, incapaci, od affetti da gravi
handicap, di ricorrere al Sindaco del
Comune ove fu celebrato il matrimonio per ottenere un provvedimento di
separazione (o di divorzio).
1) Il Legislatore del 2014 ha introdotto
la c.d. “negoziazione stragiudiziale assistita” per la soluzione consensuale
delle vertenze (rimedio, quest’ultimo,
previsto e reso obbligatorio per procedimenti che vertono in materie differenti da quelli ora esaminati, come
spiegheremo a breve).
In altri termini, il Legislatore ha in-
DOTT.SSA CRISTIANA CEREDA - STUDIO LEGALE NOTARO E ASSOCIATI
Diritto di Famiglia e contenzioso giudiziale: Le novità
legislative introdotte dal D.L. 132/14 e dalla L. 55/2015
trodotto la facoltà, per i coniugi che
intendano separarsi o divorziare, ovvero per i coniugi che intendano chiedere la modifica delle già prefissate
condizioni di separazione e divorzio, di
concludere una convenzione, mediante la quale si impegnano ad addivenire
– con l’assistenza dei rispettivi legali –
ad una soluzione bonaria della vertenza, senza la necessità di intervento
da parte del Giudice.
Più semplicemente: qualora i coniugi
separandi (o divorziandi) si avvalgano
della facoltà appena descritta, sarà per
i medesimi possibile ottenere la separazione personale (od il divorzio)
senza che si renda necessario alcun
intervento da parte del Tribunale.
Il tutto, con la precisazione che,
nell’ipotesi in cui i coniugi separandi (o
divorziandi) abbiano figli minori, ov-
vero figli maggiorenni
non economicamente
sufficienti, incapaci od affetti di gravi handicap, è
pur sempre necessario
un intervento della Pubblica Autorità, allo scopo
di garantire che le condizioni di separazione o di
divorzio concordate dai
coniugi non siano lesive
dei primari interessi della
prole. Sicchè, il Legislatore ha previsto che l’accordo concluso dai coniugi, con l’assistenza dei legali, dovrà essere sottoposto al vaglio del Pubblico Ministero il quale,
solo nell’ipotesi in cui ritenga rispettati
gli interessi primari della prole, autorizzerà l’accordo medesimo.
Una volta ottenuta l’autorizzazione, i
legali hanno l’obbligo di trasmettere
copia autentica dell’accordo all’Ufficiale Civile del Comune ove fu celebrato il matrimonio, il quale procederà a trascrivere l’accordo medesimo a margine dell’atto di matrimonio.
L’accordo autorizzato e trascritto esplica la medesima efficacia di una sentenza di separazione o di divorzio e,
dunque, farà stato tra i coniugi separati (o divorziati).
2) La manovra processual-civilistica è
intervenuta, altresì, sul fronte giudiziale delle vertenze di separazione e di
divorzio, allo scopo di garantire una
maggior speditezza dei procedimenti
avanti all’Autorità Giudiziaria.
E’ stato, difatti, stabilito che – ove i
coniugi non abbiano avuto figli – essi
possono scegliere di espletare la procedura di separazione (o di divorzio)
innanzi al Sindaco del Comune in cui fu
celebrato il matrimonio. Il Sindaco riceverà l’istanza congiunta di separazione (o di divorzio) dei coniugi e, successivamente, li convocherà innanzi a
sé per confermare le condizioni concordate dei coniugi medesimi, mettendo per iscritto il raggiunto accordo.
Tale provvedimento, trascritto a margine dell’atto di matrimonio, ha l’efficacia propria di una sentenza giudiziale.
Questa procedura, tuttavia, è inapplicabile nell’ipotesi in cui i coniugi abbiano figli minori, ovvero figli maggiorenni economicamente dipendenti, incapaci, od affetti di gravi handicap.
In questi casi, difatti, i coniugi separandi (o divorziandi) dovranno necessariamente rivolgersi all’Autorità Giudiziaria, per garantire la migliore tutela
dei primari interessi della prole.
Con la recentissima L. 55/2015 il Legislatore del 2015 ha inoltre inteso
consentire ai coniugi separati di ottenere in tempi rapidi una sentenza di
divorzio.
E’ necessario premettere che, a differenza di quanto da più parti auspicato, le nuove disposizioni legislative
non hanno intaccato quella che è la
peculiarità del sistema divorzile italiano, ossia la necessità di esperire il
giudizio di separazione prima di poter
ricorrere per ottenere il divorzio.
Il Legislatore si è, invece, limitato a
ridurre drasticamente il termine dilatorio per la proposizione del ricorso di
divorzio.
L’art. 1 L. 55/2015 dispone che il ricorso per il divorzio debba essere promosso, presso il Tribunale competente, decorso il termine di 12 mesi
dall’ordinanza presidenziale di autorizzazione dei coniugi a vivere separatamente – in caso di separazione
giudiziale – ovvero decorso il termine
di 6 mesi dalla sottoscrizione dell’accordo raggiunto dai coniugi, in ipotesi
di separazione consensuale.
In seconda battuta, il Legislatore del
2015 ha – finalmente – rinvenuto una
soluzione all’annosa questione relativa al momento in cui potesse dirsi
sciolta la comunione legale tra i coniugi.
La nuova normativa ha difatti individuato il momento di scioglimento della comunione legale.
In ipotesi di separazione giudiziale, il
momento dello scioglimento coincide
con la data del provvedimento presidenziale di autorizzazione dei coniugi a vivere separatamente.
In ipotesi di separazione consensuale,
invece, il momento dello scioglimento
coincide con la data di sottoscrizione
dell’accordo di separazione.
Va, infine, sottolineato che le novità
legislative si applicheranno a tutti i
provvedimenti pendenti al 26.05.2015
(e non solo a quelli successivi).
A mio avviso, la riforma del contenzioso familiare potrebbe, per certi versi, raggiungere lo scopo avuto di mira
dal Legislatore, essendo astrattamen-
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te idonea a sgravare il carico di lavoro
dei tribunali, grazie soprattutto alla facoltà – per i coniugi – di ricorrere ad
istituti di matrice stragiudiziale per ottenere provvedimenti di separazione
o divorzio (quali, come si è detto, la
negoziazione assistita ovvero la procedura avanti l’Ufficiale di Stato Civile).
D’altro canto, l’introduzione del c.d.
“divorzio breve” potrebbe comportare una caotica sovrapposizione tra
cause di separazione e cause di divorzio.
Com’è noto, difatti, le cause di separazione – per legge – si compongono di due fasi: una fase presidenziale, che è quella che si conclude con
l’emissione del provvedimento di autorizzazione alla cessazione della convivenza tra i coniugi; ed una successiva fase collegiale che, invece, si conclude con la sentenza di separazione
vera e propria.
Orbene, il Legislatore del 2015 ha consentito ai coniugi di promuovere la
causa di divorzio decorso un anno dal
provvedimento presidenziale.
Tuttavia, la pratica insegna che è difficile che la fase collegiale della causa
di separazione venga definita entra
l’anno dal provvedimento presidenziale: solitamente, purtroppo, i tempi
sono più lunghi.
Sicchè, qualora i coniugi promuovano
il giudizio di divorzio entro il termine di
12 mesi dal provvedimento presidenziale, il rischio è che la causa divorzile
vada a sovrapporsi alla fase collegiale
della causa di separazione, producendo l’effetto di incrementare il carico di
lavoro dei tribunali.
Tuttavia, solo mediante l’applicazione
pratica della normativa appena delineata sarà possibile per “gli addetti ai
lavori” verificare se il Legislatore abbia, effettivamente, colto nel segno.
Dott.ssa Cristiana Cereda
Studio Legale Notaro e Associati