L` immagine del colore e l`età del web

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L` immagine del colore e l`età del web
L’ immagine del colore e l’età del web
Traccia della lezione Università di Trento
prof. Manlio Brusatin
27 aprile 2016
Prima parte
Che cosa sia il colore non ha una risposta: sappiamo però che cosa succede se ci
capita improvvisamente (per un leggero colpo di strega alla nuca) di non
vedere più i colori. Alcuni neuroscienziati come Oliver Sacks hanno spiegato
tutto questo, mettendo sotto osservazione un pittore improvvisamente cieco ai
colori che ha potuto continuate a vivere con la memoria dei colori che non
vedeva più, e un piccolo popolo di un atollo della Micronesia, decimato da uno
tsunami, che aveva dopo qualche secolo selezionato la popolazione in una metà
che vedeva a colori e si dedicava all’agricoltura e l’altra metà che non li vedeva
e si occupava della pesca (notturna). Ora per cercare una risposta possibile, si
può dire che il colore non è esattamente un fenomeno della luce ma una
percezione ed elaborazione del nostro cervello. Ma vediamo il primo caso.
Per un tamponamento d’auto un pittore americano batte leggermente con la
fronte contro il lunotto anteriore della sua macchina. Nessun danno, una
piccola contrarietà – nessuna preoccupazione ed educate scuse del conducente
dietro di lui. Cose che capitano. Apparentemente.
Ma la sera stessa e la mattina successiva sempre di più, un tale pittore R., si
accorge, e non sa come, di non vedere più i colori. Tutto il mondo che lo
circonda è diventato improvvisamente privo di ogni stimolo cromatico. Un
mondo improvvisamente e completamente grigio, è la prima parola. Un
mondo terribilmente sporco, la seconda sensazione per qualcosa di
inconcepibile , e per un pittore quasi mortale. Anche il grigio è un colore ma
questo spegnimento monocromo è un colore morto, l’immagine di un mondo
che non si può vivere.
Il pittore R. è improvvisamente diventato cieco ai colori. Non può vedere che i
fantasmi di una luce contornata da ombre sfocate ora più vicine ora più
lontane. Partendo da un nero ora presente ora assente si va verso una
concentrazione di fasci luminosi stordenti e quasi accecanti.
L’esperienza rientra fra quelle cose che non sono esattamente trasmissibili né
comunicabili, a parte la sensazione di una tortura inaudita senza ragione, quasi
una morte che si vive rispetto a uno dei misteri degli umani, che ci accomuna
con il regno delle farfalle, cioè il modo di vedere a colori.
Possiamo solo cercare di capire come ci si può sentire stando al suo posto. Il
pittore R. si muove in una specie di nebbia che sale e scende,
indipendentemente da suoi movimenti nello spazio di una stanza o in esterno,
alzando ogni tanto il piede per paura di mettere la scarpa in un buco o di
pestare qualcosa di putrido.
L’aspetto esteriore delle cose e delle persone anche più familiari è del tutto
cambiato per diventare muto e ostile. I contorni delle cose e dei volti
diventavano vaghi e indistinti, e questa incertezza rendeva ogni interesse
visivo come una scoperta deludente e molto spiacevole. Qualsiasi cosa o
qualsiasi azione diventava sbagliata e innaturale ma più che altro come
macchiata e impura. Non riusciva, per esempio a sopportare le cambiate
fisionomie degli altri e in particolare i tratti della sua faccia quando si
avvicinava allo specchio che appariva come una vuota finestra con dentro un
“uomo di fumo”. Vedeva l’incarnato delle persone che gli stavano intorno,
compreso quello di sua moglie e il suo, di un grigiore orrendo e irriconoscibile.
Il color carne nelle sue possibili sfumature gli appariva come una carta
imbrattata o una biancheria logora e macerata da uno sporco disumano. La
televisione (a colori) diventava una mostruosità insopportabile, nemmeno
paragonabile al confortevole bianco e nero dei vecchi film.
Il cibo era un’orribile spazzatura. Dopo un digiuno prolungato che lo portò
quasi alla consunzione fisica, il pittore R. si arrese a mangiare ad occhi chiusi,
affidandosi al ricordo dell’odore e del sapore, perché il piacere e la vista di un
piatto gustoso erano perduti per sempre. Tutto questo solo per la mancata
visione dei colori? Solo per questo.
In lui, per fortuna, persisteva e riemergeva lentamente una certa memoria del
colore. E questo in uno stato di assenza e di distacco dal mondo, sempre a occhi
chiusi immaginava per lunghi istanti un piacevole senso di ricongiunzione alle
figure colorate della sua vita cromatica precedente. Misera consolazione alla
quale non voleva né poteva rinunciare, arrivando quasi al suicidio quando
sopravveniva la disperazione di continuare a vivere in quel pantano. Nel suo
cervello(e non nei suoi occhi) era avvenuto qualcosa di molto grave. Egli, per
un fatto traumatico, aveva perduto la sensazione e conoscenza del colore pur
rimanendogli la coscienza, quasi ossessiva, del colore perduto, il quale come
ogni cosa perduta diventata sempre più il senso assoluto della visione. E non
soltanto una qualità ma la verità della visione stessa.
Da non molto pensiamo di sapere – ma lo sappiamo veramente ? – dal più noto
neuroscienziato come dall’ultimo tintore del Benin che: “Il colore è nella nostra
testa”. Il presidio della vista e di quella fin troppo umana dei colori è fatto di
alcuni insostituibili passaggi: dai puri stimoli ottici fino ai livelli superiori della
mente. Perciò possiamo assolutamente dire che il colore non è semplicemente
una qualità della luce ma una sensazione percepita dai nostri occhi e recepita dal
nostro cervello.
C’è un primo livello che traduce quello che credevamo le lunghezze d’onda in
stimoli cromatici selezionati da recettori specializzati (comunemente R G B,
rosso, verde e blu) per arrivare attraverso sottili filamenti neurali a un piccolo
nucleo di materia cerebrale che sta nella zona occipitale, uno a destra e l’altro a
sinistra, il quale recepisce ed elabora quella sensazione che noi chiamiamo
COLORE. Se questo piccolo nucleo di cervello s’inceppa noi perdiamo
improvvisamente la vista del colore come era capitato al nostro pittore, per un
contraccolpo inspiegabile quanto piuttosto catastrofico. Lì vicino c’è un altro
piccolo centro che elabora la sensazione del movimento che può
autonomamente incepparsi e produrre la perdita istantanea della sensazione
del movimento degli oggetti esterni. Questa menomazione produce l’assoluta
mancanza di valutazione del movimento come il filosofo presocratico per cui la
freccia non si moveva perché era la somma di varie stasi. Una freccia e un
proiettile non si possono evitare ma una macchina sì. Non percependo più il
movimento degli oggetti che ci stanno intorno, abbiamo il terrore e la
sensazione che ci vengano addosso, senza che ce ne accorgiamo per cui
rimaniamo assolutamente immobili. Achinetopsia è chiamata questa situazione
di mancata percezione del movimento come Acromatopsia è invece quella di
non vedere più i colori. Tra colore, movimento e forma le relazioni ci sono e
sono proprio quelle rivelateci dai pittori in un ordine più specifico e reale:
primo-Colore, secondo-Movimento e terzo-Forma.
Il pittore R. era vittima di un evento raro ma non impossibile. Come se una
minuscola sfera d’acciaio invisibile avesse colpito per sempre gli umori interni
dei suoi “due fagioli” cerebrali chiamati V4 e li avesse paralizzati per sempre.
La vista dei colori infatti risultava infinitamente più necessaria ai
comportamenti umani di quella in bianco e nero, che contraddistingue (grosso
modo) gran parte dei mammiferi.
Perché l’uomo veda a colori resta senza risposta. Possiamo solo immaginare
cosa può succedere quando uno perda improvvisamente la sensazione dei
colori. Ecco, il nostro pittore era nella più completa disperazione.
Uccelli e serpenti godono da tempo di una vista quadricromatica e anche
l’uomo era così, salvo poi, per questioni di sopravvivenza delle specie o di un
meteorite gigante che ha oscurato il pianeta, ha abbandonato la visione di due
colori e poi con il tempo rispuntò la percezione di un terzo colore. Per questo
anche oggi l’essere umano ha la visione grosso modo tricromatica come il
monitor del computer più diffuso. R(Rosso) G(Verde) B (Blu) a cui ora la
tecnologia più sofisticata propone un quarto colore, il Giallo (Y ).
L’attenzione e la disposizione umana per i colori sembrano stare però in
perfetta sintonia con l’evoluzione e l’intelligenza dell’uomo. 77 mila anni fa,
può sembrare impossibile ma a Blombos Cave in Sud Africa, l’uomo primitivo
riesce a fabbricare e a raccogliere una scorta enorme di barrette colorate. Si
tratta di gessetti rettangolari di ocra rossa e gialla decorati con disegni
geometrici come fossero appunto oggetti per la pitturazione corporea.
L’atteggiamento “estetico” verso il mondo diventa la sua capacità di
sopravvivere nella corsa degli esseri animati, facendo crescere al contempo la
sua corteccia cerebrale. Attraverso colori.
Seconda parte
Il solo pensiero di perdere per sempre il mondo dei colori avrebbe fatto
impazzire due volte Van Gogh e Seurat, se non se ne fossero andati troppo
presto. Monet aveva resistito oltre gli ottanta anni con le cataratte agli occhi
che gli hanno ispirato, dall’impressionismo iniziale, una pittura quasi astratta,
come una medicina. Anche il nostro pittore, aiutato dalla pubblicità del suo
caso che lo rese per la televisione un fenomeno da baraccone ricominciò a
dipingere secondo una forma astratta, rispetto ai suoi gusti iniziali che erano
assolutamente figurativi. Messi a confronto con i quadri precedenti i quadri
nuovi apparivano con un’intensa folgorazione cromatica accanto a una
tessitura di fondo come gli antichi tessitori intrecciavano fili di diversi colori
per fare un tessuto iridescente e multicolore. Si poteva pensare, per un critico
disinformato, a un’incomprensibile inversione di orientamento artistico,
avvenuto appunto con la perdita, e solo con la perdita, della visione diretta dei
colori. Solo la memoria emergente di una visione cromatica gli “salvava la
vita” e dava allo stesso tempo alla sua pittura un significato insperato. Per far
questo il pittore stava imboccando una seconda vita, non migliore della prima
ma di una felicità insperata. Amava l’aurora e il crepuscolo apprezzando nei
colori del giorno, che non vedeva, l’accensione e lo spegnimento del ritmo
curioso di cicli di vita che prima non riusciva fermare nei suoi quadri che in
maniera superficiale.
Anche Goethe nelle sue costanti riflessioni sui colori, pensava che i colori pur
essendo un oggetto oscuro delle nostre percezioni, fantasie e fantasmi, fossero
autentiche manifestazioni della natura, per quanto entità fisiche, chimiche,
fisiologiche (e psicologiche) insieme. Una natura a colori molto vicina alla
seconda natura che gli artisti erano chiamati a produrre, riuscendo a imitare
quell’ordine così stupefacente e contradditorio dei colori che sono sia
un’astrazione come una riproduzione realistica della vita, in quanto visione e
rappresentazione.
“Pensate veramente che i colori non esistano?” – diceva Goethe un po’
preoccupato al giovane laureato che lo infastidiva con le certezze di una nuova
Theoria chromatica physiologica (1830). E Arthur Schopenhauer rispondeva al
maestro fin troppo a tono: “No, sareste voi a non esistere se non foste in grado
di vedere i colori”. E questo spegneva per lungi attimi il sorriso di un maestro
che allargava i suoi occhi bovini, perché vedeva e sentiva che si trattava un
allievo molto promettente, troppo promettente.
E’ da questo momento, credo, che i colori stanno a rappresentare quella
miracolosa e sottile qualità che ogni oggetto trasmette e che ogni soggetto
dovrebbe saper percepire sia attraverso la luce che attraverso l’ombra. Questi
saranno chiamati di lì a poco in ordine di tempo (e anche ora): colori additivi
(Rosso, Verde e Blu) che sommati fra di loro danno la sensazione del bianco, il
bianco della luce solare e colori sottrattivi (Ciano, Magenta, Giallo e Nero) che
sono appunto i colori materiali della tintura, della pittura e della stampa.
Questo è anche la sorpresa o la delusione, nell’era elettronica, di apprezzare
sopra il monitor i colori (appunto additivi) che trasferiti con la stampante in
un foglio di carta diventano tutt’altra cosa (appunto sottrattivi).
All’epoca della fotografia digitale ci sono ancora, e motivatamente, fotografi
esperti del bianco e nero che rifiutano il Photoshop e lo vedono come la
decadenza inarrestabile della fotografia. Loro vedono il colore ma non lo
considerano con l’effetto estetico paragonabile al bianco e nero, che ormai
possiede il loro occhio. La risposta che si può dare è che la specie umana si è
evoluta con il colore. E quando si tratta di riprodurre il rosso (del sangue) tutti
i moderni cineasti non possono che considerare i forti limiti del bianco e nero
perché il rosso appare grigio come il verde.
Una moderna e attuale esaltazione del colore è avvenuta attraverso l’effetto di
riproducibilità delle tecniche digitali che hanno trovato soprattutto nel design
e nel restauro una grande sperimentazione. Il restauro propone la ricerca del
colore perduto, con il risultato non esilarante di ri-proporre colori mai visti (es.
il Partenone dipinto effettivamente com’era, ora non ci piace affatto). Anche
l’oggetto moderno di design, con il colore, è sempre più propenso a staccarsi
dalla sua funzione per diventare, in un esteso biomofismo, un soggetto di
seduzione.
Può sembrare strano, ma una serie di analisi, nella società grigia del cemento e
dell’asfalto, dicono però che il soggetto moderno non rinuncerebbe alla vista
del colore per nessuna cosa al mondo. Ora l’importanza del colore è esplosa
nella modernità anche grazie alla diffusione del monitor e della stampante.
Solo a questo punto abbiamo cominciano a capire che nel monitor i colori sono
percepiti secondo le leggi di Newton (1666): sono sette ma più semplicemente
tre (Rosso, Verde e Blu) mentre cercando di riprodurli con la stampante, per
avere un risultato anche discretamente simile, è necessario avere gli inchiostri
Ciano (blu-chiaro), Magenta (porpora) e Giallo (acido), più il nero per togliere
l’aspetto evanescente e immateriale della stampa. C’è ancora il bianco della
carta che è anch’esso un colore. Perciò i colori-base che più ci seducono nella
schermata dei pixels sono solo tre (RGB) ma quelli della stampa sono quattro
+ uno (CMYK+W dove il K è nero il W e bianco). Questi ultimi sono stati
chiamati ― come si è detto ― colori sottrattivi perché essendo materici
sottraggono la luce e invece additivi quelli visibili, che possono essere molto
imperfettamente riproducibili “come quelli”.
La realtà cromatica non è solo il risultato di una filosofia troppo ottimista di
Newton che teorizza “sette colori, come sette suoni, come i sette giorni della
settimana”, ma prima di lui, di un osservatore tanto scienziato quanto artista.
Leonardo da Vinci nel suo piccolo codice De ombra e lume (1490) pensava ai
colori come figli dell’ombra, immersi in una liquida e azzurra lontananza come
l’aria, e cercava di riprodurli. Scopriamo ora che la Gioconda, dipinto forse tra
gli ultimi di Leonardo, è stata fatta senza pennello. In uno spessore di un
decimo di millimetro ci sono almeno tre strati di piccoli punti cromatici fatti in
punta di penna. Come ? – ancora un mistero. Si tratta di un’altissima
definizione del troppo noto “sfumato leonardesco” che è come l’aria opaca e
trasparente che attraverso i colori anima i corpi. Ora dovendo pensare al colore
degli oggetti e dello spazio che li ospita non dovremmo più scegliere dalla
mazzetta dai mille colori che ci fornisce la ditta produttrice, ma in luoghi e
orizzonti diversi dobbiamo costruisci una palette che sentiamo faccia parte di
quell’ambiente. Come? Il colore ambientale specifico per ogni città o regione può
essere rilevato con spettrofotometri ma anche con semplici macchine digitali.
Catalogare una serie di colori secondo gli elementi originari Terra (gialli),
Acqua (verdi), Fuoco (Rossi) e Aria (blu) diventa necessario per poter fasciare e
trasformare grandi edifici di modesta architettura. Eviteremo quei risultati
ridicoli che sempre più vediamo in giro come un pugno nell’occhio, perché il
colore preso semplicemente dal quadratino del campione del produttore e
stampato su un edificio di dieci piani è sempre un gran disastro per gli abitanti
e i vicini. Siamo solo agli inizi ma spazi e oggetti vivono di colori orchestrati
tra di loro rispetto ad un colore-luce diffuso, che dobbiamo in qualche modo
leggere dalle ali delle farfalle e capire dalle api che tornano all’alveare .
BIBLIORAFIA del COLORE
Colore e immagine
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COLOURS IN WEB AGE
[summary of the first part]
Manlio Brusatin
[email protected]
[email protected]
We can't say what color is: but we know what happens if (after a shock to the nape) we cease to see the colors.
Some neuro-scientists, like Oliver Sacks, have explained such matter, by observing a painter, suddenly turned
blind to colors, who went on, living with the memory of colors that he was no longer able to see, and the people
from a small atoll in Micronesia, decimated by a tsunami wave, who, after some time, had selected its
population in one half capable of seeing colors and committed to agriculture and a half blind to colors,
committed to (nightly) fishing.
To seek an answer, we can say that color is not a phenomenon of light, but rather a perception and elaboration
of our brain. But let's consider the first case.
Following a car crash, an American painter bangs his head against the windscreen of his car. No visible
damages, only a small disappointment, apologies from the driver of the other car. These things happen.
Apparently.
But that very evening, and still more the morning after, that painter R. became aware that he was no longer
seeing colors. The world around him was suddenly empty of any chromatic stimulus. A world suddenly and
completely gray, this is the first word. A world awfully dirty, this is the second sensation for something almost
inconceivable, for a painter, nearly deadly. Even gray is a color, but such sudden monochrome shutoff is a dead
color, the image of a world that can't be lived in.
The painter R. is suddenly become blind to colors. He can't see other than the ghosts of a light, surrounded by
blurred shadows, now nearer, now farther. Starting from a black, now present and a moment later absent, a
going till a concentration of stunning light beams, almost glaring.
An experience such as this one can't be really shared or described. Besides the sensation of an absurd and
unmotivated torture, almost an experience of death, with respect to a mystery that human beings have in
common with butterflies, the ability to see colors.
We can only try to understand how it feels. The painter R. moves along a sort of fog, that comes and goes,
independently from his movements in the space of a room, or outside, hesitating from time to time, for fear of
stumbling or trampling on something rotten.
The outer aspect of things and people, even those who are more familiar, is completely changed, and became
dumb and hostile. The outline of the things and of the faces was vague and indefinite, and this uncertainty
turned any visual interest into something unpleasant, and disappointing. Anything, and any action, becomes
wrong and artificial, but most of all it becomes sort of stained, impure. The painter, for example, couldn't stand
the change in the features of other people, and even the aspect of his own face in the mirror, that appeared
like an empty window, with a 'person of smoke' inside.
The complexion of the people around him, including his own and that of his wife, was horribly gray and
unrecognizable. The color of the skin, in all its possible shades, appeared like dirty paper, worn-out linen
lacerated by terrible dirt. The (color) TV set was an unbearable atrocity, not even comparable to the reassuring
black and white of old movies.
Food was a horrible litter. After a long abstinence from food, that almost lead him to consumption, the painter
R. surrendered to eat blindfolded, relying on the memory of smell and flavor, because the pleasure of seeing a
tasty dish was lost forever. All this only because of the lack of the colors.
The painter, luckily, maintained a sort of memory of colors, that, despite a sense of absence and detachment
from the world, allowed him to imagine, always blindfolded, a pleasant sensation of reunion to the colorful
forms of his former chromatic life. Poor comfort, which however he didn't want, and couldn't, give up, and by
contrast even conceiving to commit suicide, when facing the despair of continuing to live in such a condition.
In his brain (and not in his eyes) something very serious had happened. He, following an injury, had lost the
knowledge and sensation of color, while retaining the awareness, almost obsessive, of the lost color, which, just
like any loss, became more and more the absolute meaning of vision. Not only a quality, but the truth of vision
itself.
The painter R. was victim of a rare, yet possible, event. Just like an invisible bullet had hit and damaged forever
the internals of his 'two beans', causing a paralysis. The ability of seeing colors results indeed essential for
human activities, much more than monochrome vision, that is typical of most of mammals.
The reason why human beings are capable of seeing color remains a mystery, and we can only imagine what
would happen when such ability is lost: our painter was prey to despair. Birds and snakes are capable of a fourcolor sight. Human beings had once the same capability, until (in the struggle for survival) the vision of two of
the colors was lost, and later on, a third one was regained. This is how, today, human beings are capable of a
three-colors perception, just like the monitor of common computers: R (red) G (green) B (blue), that the most
advanced technology completes with Y (yellow).
However, the attention and the disposition of humans for colors seems to be perfectly aligned with human
evolution and intelligence. It may sound impossible, but 77.000 years ago, in Blombos Cave (South Africa)
primitive people were able to manufacture and collect a huge amount of colored sticks, decorated with
geometric motifs, presumably used for body painting. The aesthetic attitude towards the world becomes their
ability to survive in the race to evolution. Letting at the same time their brain cortex grow. Through colors.