Rifugiati: l`emergenza Nord Africa in Italia - Lai-momo

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Rifugiati: l`emergenza Nord Africa in Italia - Lai-momo
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dossier
Rifugiati: l’emergenza
Nord Africa in Italia
Proposte per l’evoluzione del sistema d’asilo alla
luce dell’esperienza Nord Africa
Il sistema europeo comune di asilo e la primavera
araba: una “storica opportunità persa”?
Intervista a Franco Gabrielli,
Capo dipartimento della Protezione civile
I costi dell’emergenza profughi 2011-2012
Accoglienza in alcuni
distretti della provincia di Bologna
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A
frica
e Mediterraneo
2/2012
Sommario
Dossier Rifugiati: l’Emergenza Nord Africa in Italia
Editoriale
Proposte per l’evoluzione del sistema d’asilo
alla luce dell’esperienza Nord Africa
Il sistema europeo comune di asilo e la primavera araba
Governare un bene condiviso
Intervista al Capo dipartimento della Protezione civile Franco Gabrielli
Le rotte sbagliate
La gestione dell’Emergenza Nord Africa
“Normalizzazione” dell’Emergenza Nord Africa:
modello assistenziale e fattori di resilienza
L’emergenza Nord Africa: un focus sui minori stranieri non accompagnati
I costi dell’emergenza profughi 2011-2012
Diritto d’asilo ed Emergenza Nord Africa: il quadro normativo di riferimento
Dinamiche psicosociali e assistenza ai rifugiati
L’accoglienza in provincia di Bergamo:
le difficoltà del presente e le incognite del futuro
“Mi sento low”: vite sospese in cerca di futuro
Il modello “centro di accoglienza” in provincia di Catania
Villa Aldini e Avvocato di strada: oltre l’emergenza
Emergenza Nord Africa. Accoglienza in alcuni distretti
della provincia di Bologna
Gli arrivi e la prima accoglienza / Una giornata normale / La nemesi di Mamadou /
Dopo la fuga l’attesa e il corso d’italiano / Un’autonomia economica: il tirocinio /
La raccolta della memoria personale / I percorsi di uscita
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u l t u r a
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o c i e t à
di Sandra Federici
di Nadan Petrovic
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di Maite Aznarez Araiz e Alessandro Fiorini
di Stefano Manservisi
a cura di Michela Bignami
di Gabriele del Grande
di Daniela Peruzzo
di Alessandro Fabbri
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di Sonia Trapani
di Andrea Stuppini
di Marina Frabboni
di Paolo Ballarin
di Emanuela Dal Zotto e Chiara Pirola
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di Giovanna Tizzi e Rachele Nucci
di Roberta Bonaccorso
di Serena Paterlini
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di Silvia Festi e altri
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Arte
A major exhibition in the Smithsonian’s National Museum of African Art
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by Mary Angela Schroth Immigrazione
Immagini di minoranze tra la radio e lo schermo di Valeria Lai
Riflessioni sul convegno “Per il diritto di asilo. Rifugiati in Emilia Romagna e in Italia” di Michela Bignami
I migranti non sono numeri, ma la loro presenza si compone di grandi numeri di Pietro Pinto e Franco Pittau
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Eventi
1962: un monde a world, Oran; Francia-Algeria: due mostre per una memoria condivisa,
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Forum italiano della cooperazione: la voce dei migranti, Africami: Cartoline da Milano
Libri
Lamia Ziadé, Japhet Miagotar, Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Ellen Johnson Sirleaf
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DOSSIER
Editoriale
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Rifugiati: l’Emergenza Nord Africa in Italia
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all’inizio del 2011 e nel 2012 l’Italia ha interpretato,
forse suo malgrado, un ruolo importante nell’evento
storicamente cruciale della Primavera araba, che ha
modificato radicalmente il panorama politico del Mediterraneo. Come conseguenza delle rivoluzioni nei Paesi del Nord
Africa, un flusso eccezionale di persone è arrivato sulle coste
del nostro Paese, che il 12 febbraio 2011 ha dichiarato lo stato
di emergenza umanitaria. Il Governo ha deciso di riconoscere un visto di protezione umanitaria (ex art. 20 legge 6 marzo
1998) a tutti i cittadini, circa 10.000, arrivati in Italia tra il primo gennaio e il 5 aprile 2011. Dal 6 aprile 2011, il Governo
ha incaricato la Protezione civile della gestione dell’accoglienza
dei richiedenti asilo e migranti provenienti dal Nord Africa attraverso il decreto “Emergenza umanitaria cittadini provenienti dal Nord Africa OPCM 13 aprile 2011”, anche conosciuto
come “Piano Emergenza Nord Africa” (PENA).
Circa 25.000 persone (dati Protezione civile) sono state proporzionalmente suddivise nelle diverse regioni italiane. Il piano ha coinvolto i dipartimenti governativi, le regioni, gli enti
e le strutture operative a livello locale. Il piano di accoglienza
terminerà a fine 2012. La maggioranza delle persone che sono
state accolte nel PENA hanno fatto domanda di protezione
internazionale, quasi sempre senza un servizio di orientamento legale, tanto che secondo la Commissione nazionale per il
Diritto d’asilo si sono registrate 37.350 domande di protezione
internazionale nel 2011 (nel 2010 erano state 12.121).
L’Italia ha affrontato negli ultimi decenni altre emergenze
umanitarie che l’hanno portata ad accogliere massicci flussi di
rifugiati (ex-Jugoslavia, Albania, Kossovo), ma questa volta si è
trattato di persone provenienti non da un solo Paese, parlanti
una sola lingua, e con un unico background culturale. Sono arrivati cittadini di tante aree geografiche con enormi differenze
linguistiche, culturali, sociali e, soprattutto, con diverse storie
di migrazione – prevalentemente economiche – precedenti
all’esodo forzato dalla Libia. Come si è svolta l’accoglienza di
questo improvviso, massiccio e variegato flusso di persone?
Quali meccanismi amministrativi sono stati messi in atto per
fronteggiare l’emergenza? Come sono state divise le competenze? Come hanno vissuto e stanno vivendo i richiedenti asilo
questa permanenza in Italia, che nella maggior parte dei casi
non hanno voluto né progettato? Come funziona il sistema di
protezione internazionale in Italia?
Queste sono alcune delle domande a cui gli autori di questo
dossier – rappresentanti di istituzioni, ricercatori e, soprattutto, operatori sul campo – sono stati chiamati a rispondere.
L’articolo di Nadan Petrovic sottolinea che l’Italia è terra d’asilo sin dai tempi della legge Martelli, con la quale si è abolita la cosiddetta riserva geografica, e che il Paese ha costituito
nel tempo un circuito di accoglienza attraverso CDA, CARA,
SPRAR, ecc. Una rete che si è man mano consolidata grazie
a progetti territoriali e programmi nazionali ma che durante
l’ENA ha mostrato diverse contraddizioni ancora irrisolte. Ma
il Piano ENA ha fornito anche l’occasione di ripensare diversi
aspetti legati ad accoglienza, integrazione e governance degli
interventi. Il PENA ha aperto il campo a nuovi attori, ha introdotto esperienze interessanti in relazione al burden sharing
regionale, e a volte provinciale, e al ruolo delle regioni nella
loro funzione di coordinamento, armonizzazione e talvolta monitoraggio degli interventi: una strada, si augura Petrovic, su
cui proseguire.
La Primavera araba, sostengono Alessandro Fiorini e Maite
Aznarez Araiz, è stato un banco di prova per il Sistema europeo comune di asilo, introdotto già nel Consiglio di Tampere
del 1999, e che l’Unione europea sta, non senza fatica, cercando di raggiungere dotandosi di una normativa comune in materia, per ovviare alle grandi differenze fra i sistemi di asilo nei
diversi Stati membri. Per fare questo, sottolineano gli autori,
l’Europa deve sollecitare la solidarietà fra gli Stati membri, e la
responsabilità di ciascuno Stato, che resta comunque sempre
vincolato al rispetto dei propri obblighi internazionali, a partire dai diritti umani e dai diritti dei richiedenti asilo.
Lo stesso direttore generale della DG Affari interni della Commissione europea, Stefano Manservisi, ammette che non sono
tempi facili per l’Europa, un continente che ha vissuto la crisi
degli ultimi due anni trovandosi “ostaggio” della tensione tra
sistemi nazionali, legittimati democraticamente, e l’esigenza di
risposta sopranazionale, affidata a istituzioni che ancora oggi
sono percepite come “tecnocratiche”. La Commissione europea ha fatto una serie di proposte, ora all’esame del Consiglio,
che vanno nella direzione di costruire un sistema di governo
europeo dell’area Schengen che consenta di intervenire e sopperire alle mancanze degli Stati in caso di crisi, per superare
«l’illusione della sovranità nazionale tradizionale come soluzione a problemi ormai sovranazionali». Abbiamo intervistato il
Capo dipartimento della Protezione civile Franco Gabrielli, a
cui il Governo ha affidato la gestione dell’emergenza, facendogli presente le critiche da più parti sollevate e chiedendogli un
bilancio. Gabrielli, oltre a fornire dati aggiornati e un quadro
derivante dall’attività di monitoraggio svolta presso i Soggetti
attuatori delle regioni e presso le stesse strutture di accoglienza,
ammette l’esistenza di “ombre”accanto alle “luci”. Le difficoltà
sono da lui attribuite alla varietà degli enti coinvolti, al fatto
che vaste aree hanno vissuto «l’arrivo dei migranti più come
un problema di assistenza che come un’opportunità di integrazione», alla lunghezza delle procedure di valutazione delle
domande di asilo.
Alla voce fortemente critica di Gabriele Del Grande, rafforzata da un lavoro di anni di informazione sulle morti causate
dal dramma dell’immigrazione irregolare, e ricca di conoscenze dirette con i protagonisti delle rivoluzioni arabe, abbiamo
chiesto di trattare il tema dal punto di vista dei luoghi di “partenza” dei flussi. Del Grande riporta le testimonianze di chi è
stato costretto a partire dalla Libia, persone inserite nel fiorente
mercato del lavoro della dittatura libica che, a causa della guerra, sono dovute partire, iniziando una migrazione che non era
progettata né voluta e che si sono ritrovate in un meccanismo
molto costoso per il Paese di accoglienza, ma assurdo e privo
di futuro.
In mezzo a queste persone c’erano anche diversi minori non
accompagnati (4.155 secondo i dati del Comitato per i minori
stranieri del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, ora
abolito con la spending review), che il Governo ha dovuto gestire, racconta Sonia Trapani nel suo articolo, «cercando di individuare interventi che potessero nel tempo diventare soluzioni
durature». Uno di questi interventi è un sistema informativo in
grado di monitorare la presenza del minore dal suo arrivo in
Italia e tracciare i suoi spostamenti; un altro riguarda l’istituzione di un Fondo nazionale per l’accoglienza dei minori stranieri
non accompagnati, finora sostenuta per lo più dai servizi sociali
dei comuni.
Un fatto che ha caratterizzato la vita di tutti gli accolti nelle
diverse strutture in Italia è stata la procedura della richiesta
di asilo, con l’audizione presso la Commissione territoriale e
l’esame delle richieste da parte delle stesse Commissioni. Le
strutture di accoglienza o altri enti specializzati come l’associazione Avvocato di Strada, la cui esperienza con l’ENA
è analizzata da Serena Paterlini, si sono occupati di aiutare
i richiedenti asilo a scrivere una memoria, in preparazione
all’audizione, che contenesse giustificazioni credibili per l’impossibilità a tornare nel Paese di origine. Il problema risulta
proprio questo: è impossibile «basare il racconto dei profughi
sulle forme di lesione dei diritti umani subite in Libia», perché «la concessione della forma di protezione internazionale è
legata solo alle violazioni subite nel Paese di origine», abbandonato anche 20 anni prima.
Andrea Stuppini si è occupato di tracciare un utile quadro dei
costi dell’Emergenza Nord Africa, comparandoli con i costi
dell’ospitalità dei rifugiati nel circuito dello SPRAR, che riceve
risorse annuali inferiori. Marina Frabboni ha sintetizzato le linee guida legislative in merito alla gestione delle richieste d’asilo, riportando i quattro tipi di decisioni che la Commissione
territoriale può prendere in merito (concessione di protezione
internazionale, protezione sussidiaria, protezione umanitaria,
diniego di ognuno di questi status) e fornito un quadro di riferimento dei provvedimenti emessi specificamente riguardo
all’ENA. Quella di utilizzare il canale della protezione internazionale per l’ENA è una scelta legislativa e politica che ha
provocato «violazioni e contraddizioni», come spiega Daniela
Peruzzo attraverso la storia individuale di L., un ragazzo nigeriano di 28 anni che, fuggito da Jos nel 2009, ha vissuto tutto
l’iter dell’ENA fino a ricevere un diniego, al quale ha presentato ricorso.
Alcuni contributi sono scritti da autori che hanno avuto in
questo anno e mezzo esperienze di lavoro diretto con i richiedenti asilo o di supervisione-coordinamento degli operatori.
Questi articoli ci offrono il punto di vista delle persone, etichettate con la parola “profughi” o “ospiti” o “richiedenti
asilo” e che rappresentano in realtà singole e specifiche situazioni, ognuna delle quali rimanda a un passato lavorativo,
formativo, psicologico, a problemi presenti e concreti, incubi
del passato, speranze, aspettative e motivazioni nel processo di
integrazione in Italia.
Alessandro Fabbri, partendo da un lavoro sul campo in provincia di Bologna, descrive la perdita di resilienza, quel «processo
in cui il continuo affluire di risorse esterne in uno scambio del
tutto asimmetrico provoca (...) la perdita di autonomia da parte del “ricevente”», una persona che in passato è stata forte,
coraggiosa, produttiva, capace di attivare risorse per risolvere
situazioni difficili e che «progressivamente viene spogliata del-
la propria capacità di autodeterminazione.» L’attenzione agli
aspetti psicologici del terapeuta Paolo Ballarin mette in luce
con delicatezza il fatto che innanzitutto l’esperienza di migrazione di queste persone è «da accostare nel suo insieme a una
esperienza traumatica che colpisce l’integrità personale ad ogni
livello.» La frattura tra un passato che diventa isolato, e un futuro che non è pensato, a causa della mancanza di progettualità, provoca per queste persone «una sorta di iperespansione
del presente, aggravata dalla condizione di isolamento in cui
per la maggior parte vivono», facendo spesso emergere situazioni di conflitto tra rifugiati e con gli operatori.
Giovanna Tizzi e Rachele Nucci, attive in provincia di Arezzo, hanno sentito esprimere dai richiedenti asilo soprattutto tre
esigenze fondamentali «per il recupero del proprio equilibrio,
per la propria autonomia, per le relazioni con gli altri, per le
speranze in un futuro migliore»: lavoro, documenti e casa, possibilmente ad Arezzo, una città di piccole dimensioni in cui
sono stati accolti, che hanno imparato a conoscere e che vivono
come un guscio di sicurezza maggiore.
Emanuela Dal Zotto e Chiara Pirola, nell’introdurre la loro
analisi dei problemi emersi nel corso dell’accoglienza in Provincia di Bergamo, propongono un interessante utilizzo del
concetto del filosofo Agamben di “stato di eccezione” per cui
l’emergenza «può porsi al di sopra delle vigenti regole d’accoglienza dei richiedenti asilo, creando un sistema parallelo allo
SPRAR», in cui «le persone approdate a Lampedusa diventano quindi dei corpi da sfamare, da vestire e da collocare in
strutture d’accoglienza più o meno idonee. Ciò che scompare
all’interno di questo processo è il migrante stesso, la sua storia,
il suo percorso migratorio, le sue aspirazioni, in poche parole
la sua soggettività.»
Roberta Bonaccorso, descrivendo un’esperienza in provincia
di Catania, sottolinea che gli enti locali, sulla base dell’accordo
Stato-regioni-enti locali, si sono resi disponibili ad accogliere
sul loro territorio una parte dei profughi. «Impreparati a questo tipo di accoglienza, gli enti locali hanno attivato processi di
collaborazione e partecipazione attiva al fine di tutelare i diritti
dei richiedenti asilo e facilitare la loro interazione», aiutati dagli
enti gestori che hanno fatto da trait-d’union.
L’ultima parte del dossier è scritta da operatori della coop. Laimomo, che ha vissuto l’esperienza dell’accoglienza di una sessantina di profughi nei territori della provincia bolognese. Dopo
un’introduzione della coordinatrice Silvia Festi, i vari aspetti e
tappe dell’accoglienza sono trattati dagli operatori impegnati
nel lavoro sul campo, riportando le difficoltà, le complessità,
le soluzioni e le metodologie elaborate. Troviamo raccontati
l’arrivo, le prime cure mediche, l’accesso ai servizi sociali e sanitari, l’alfabetizzazione, i tirocini lavorativi, i percorsi di uscita.
È raccontato il disagio che ha accomunato operatori e persone
accolte e che è stato alimentato soprattutto dall’incertezza sul
futuro, dal fatto che, ancora oggi, diverse persone restano in
attesa dell’esito della domanda di protezione, o del ricorso o
riesame avviati dopo aver ricevuto il diniego.
Si sente leggendo questi interventi che si tratta di un’équipe coesa che ha lavorato senza risparmio e con l’accompagnamento
costante di un’attività di supervisione (anche psicologica), e
di preziosi momenti di coordinamento, che hanno consentito
di elaborare una visione comune e superare le difficoltà e lo
smarrimento di fronte ai comportamenti a volte incomprensibili, imprevedibili o anche ostili degli ospiti. Con uno sguardo
costante al patrimonio di relazioni positive, motivazioni e speranze che man mano si è costruito e che, forse, non andrà del
tutto disperso.
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AeM 77 dic. 12
DOSSIER
Richiedente
asilo di fronte
al Monumento
ai Caduti, San
Pietro in Casale,
2012. Foto di
Nicola
Cameruccio,
Lai-momo
soc.coop.
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