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Patrocinio Provincia di BERGAMO Con...tatto d'arte Per contatti: Biblioteca Comunale di Zanica Via Serio, 1 tel. 035 671761 www.contattodarte.org Con...tatto d'arte Comune di ZANICA Con...tatto d’arte Il progetto Il progetto "Con...tatto d'arte", promosso dall'Amministrazione Comunale di Zanica e da associazioni e gruppi culturali, nasce con l'intento di favorire la libera espressione artistica. Il progetto è rivolto a singoli artisti o gruppi che vogliono mostrare il proprio lavoro o le proprie opere senza dover sostenere costi altrimenti onerosi. L'obiettivo principale è quello d'incentivare il "fare cultura", costruendo momenti e luoghi d'incontro e confronto, spazi espressivi aperti alla creatività ed alle arti, punto di partenza e di riferimento per chiunque voglia raccontare e raccontarsi attraverso teatro, musica, danza, pittura, scultura, arti visive, performance, fotografia, poesia, ecc. Zanica, Aprile 2009 Paul Klee "Abstract on black" (1925) 1. Si resta muti 3. Parlami 2. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Cornelius C. Escher "Relatività" (1953) Sommario Incontro Canto d'amore Il vero amico Foglio Tregua Dopo il massacro La prima fotografia di Hitler 10. Nuttata sittimbrina 11. Gesù 12. Una lacrima nel corso della storia 13. Vita dannata 14. Se chiudo gli occhi 15. A fonte nuova René Magritte "Les amants" (1925) 16. Mi proteggo 17. Un parere in merito alla pornografia 18. Applausi 19. Il colombre Si resta muti Si resta muti nelle raccolte d’aria dei polmoni. In questo sandalo di terra a contenere voci a poco a poco illese . A poco a poco in forme di moneta e pioggia restituita. Si resta immoti ne i grilli perpetui, ad ogni passeggera zolla che regala argille ai pie di sanguinati. Si avanza a grandi braccia nella corporea torre della sera, spoglio come un ponte in pietra tra una scarpata e l’altra. Bello come piuma di nido arresa nella cova. (Paolo Arzuffi) La poetica del Con...tatto Le immagini Contatto d'Arte ha realizzato nel corso delle manifestazioni dedicate alla poesia alcuni libretti di sala contenenti non solo i testi degli autori, ma anche un percorso parallelo che accompagnasse per immagini il flusso delle parole, delle emozioni, delle sensazioni. Non una descrizione o un'appendice erudita, piuttosto il racconto di una "affinità elettiva", presentato con un'altra modalità espressiva. Autori presentati: Marzo 2006 Paul Klee Maggio 2006 René Magritte Marzo 2007 Mauritius C. Escher Due mesi dopo, spinto dalla risacca, un barchino approdò a una dirupata scogliera. Fu avvistato da alcuni pescatori che, incuriositi, si avvicinarono. Sul barchino, ancora seduto, stava un bianco scheletro: e fra le ossicine delle dita stringeva un piccolo sasso rotondo. Il colombre è un pesce di grandi dimensioni, spaventoso a vedersi, estremamente raro. A seconda dei mari, e delle genti che ne abitano le rive, viene anche chiamato kolomber, kahloubrha, kalonga, kalubalu, chalunggra. I naturalisti stranamente lo ignorano. Qualcuno perfino sostiene che non esiste. (Dino Buzzati) Incontro Il raggio che scoccava dalle punte nevate alla finestra aperta nelle mura medievali accendeva i nostri corpi inesistenti e il freddo alito del fiume spingeva la nostra cieca ventura al treno che trascorre nelle acque senza vita o al portone di fiamma dei palazzi capovolti che bruciava l’ombra dei tuoi capelli. (Giovanni Rovillo) DINO BUZZATI 1906 1972 Parlami Ti ascolto .... parlami cuore. Nel calmo riflusso del mare, avvolta nel silenzio della notte, ... io ti ascolto. Parlami di speranze vane, di addii e presenze svanite, di voci perse nel nulla, della tua grande pena, ... io ti ascolto. Stai, resta e, non tacere, inebriati, con i ricordi di un antico profumo, non saltare d'emozione per quell'amore che non scordi ancora, e perché resti per sempre poesia, dimentica ... che è andato via. Piangi, se vuoi, raccontami... io ti consolerò. (Edelveiss Arcangeli) « Mi ha scortato da un capo all'altro del mondo » disse « con una fedeltà che neppure il più nobile amico avrebbe potuto dimostrare. Adesso io sto per morire. Anche lui, ormai, sarà terribilmente vecchio e stanco. Non posso tradirlo. » Ciò detto, prese commiato, fece calare in mare un barchino e vi sali, dopo essersi fatto dare un arpione. « Ora gli vado incontro » annunciò. « E’ giusto che non lo deluda. Ma lotterò, con le mie ultime forze. » A stanchi colpi di remi, si allontanò da bordo. Ufficiali e marinai lo videro scomparire laggiù, sul placido mare, avvolto dalle ombre della notte. C'era in cielo una falce di luna. Non dovette faticare molto. All'improvviso il muso orribile del colombre emerse di fianco alla barca. « Eccomi a te, finalmente » disse Stefano. « Adesso, a noi due! » E, raccogliendo le superstiti energie, alzò l'arpione per colpire. « Uh » mugolò con voce supplichevole il colombre « che lunga strada per trovarti. Anch'io sono distrutto dalla fatica. Quanto mi hai fatto nuotare. E tu fuggivi, fuggivi. E non hai mai capito niente. » « Perché? » fece Stefano, punto sul vivo. « Perché non ti ho inseguito attraverso il mondo per divorarti, come pensavi. Dal re del mare avevo avuto soltanto l'incarico di consegnarti questo. » E lo squalo trasse fuori la lingua, porgendo al vecchio capitano una piccola sfera fosforescente. Stefano la prese fra le dita e guardò. Era una perla di grandezza spropositata. E lui riconobbe la famosa Perla del Mare che dà, a chi la possiede, fortuna, potenza, amore, e pace dell'animo. Ma era ormai troppo tardi. « Ahimè! » disse scuotendo tristemente il capo. «Come è tutto sbagliato. Io sono riuscito a dannare la mia esistenza: e ho rovinato la tua.» « Addio, pover'uomo » rispose il colombre. E sprofondò nelle acque nere per sempre. di pericolo. Con la piccola sostanza lasciatagli dal padre, come egli si sentì padrone del mestiere, acquistò con un socio un piccolo piroscafo da carico, quindi ne divenne il solo proprietario e, grazie a una serie di fortunate spedizioni, poté in seguito acquistare un mercantile sul serio, avviandosi a traguardi sempre più ambiziosi. Ma i successi, e i milioni, non servivano a togliergli dall'animo quel continuo assillo; né mai, d'altra parte, egli fu tentato di vendere la nave e di ritirarsi a terra per intraprendere diverse imprese. Navigare, navigare, era il suo unico pensiero. Non appena, dopo lunghi tragitti, metteva piede a terra in qualche porto, subito lo pungeva l'impazienza di ripartire. Sapeva che fuori c'era il colombre ad aspettarlo, e che il colombre era sinonimo di rovina. Niente. Un indomabile impulso lo traeva senza requie, da un oceano all'altro. Finché, all'improvviso, Stefano un giorno si accorse di essere diventato vecchio, vecchissimo; e nessuno intorno a lui sapeva spiegarsi perché, ricco com’era, non lasciasse finalmente la dannata vita del mare. Vecchio, e amaramente infelice, perché l’intera esistenza sua era stata spesa in quella specie di pazzesca fuga attraverso i mari, per sfuggire al nemico. Ma più grande che le gioie di una vita agiata e tranquilla era stata per lui sempre la tentazione dell'abisso. E una sera, mentre la sua magnifica nave era ancorata al largo dei porto dove era nato, si sentì prossimo a morire. Allora chiamò il secondo ufficiale, di cui aveva grande fiducia, e gli ingiunse di non opporsi a ciò che egli stava per fare. L'altro, sull'onore, promise. Avuta questa assicurazione, Stefano, al secondo ufficiale che lo ascoltava sgomento, rivelò la storia del colombre, che aveva continuato a inseguirlo per quasi cinquant'anni, inutilmente. Canto d'amore Scrivere d’amore... Per calamitare la vostra premura di vivere E migrare molteplici, in ogni istante sconosciuto nell’unica e irripetibile sequenza. Ridere d’amore... Per prendere la mano a chi la tende Nel quotidiano dei momenti E per ritrovarsi, dopo una corsa folle, senza fiato a te abbracciata, dentro a una grande piazza, sbucati dalla più piccola, e soffocata viuzza. Piangere d’amore... Per rompere il grande muro,del Dolce muto sentire, che è difesa. E cantare d’amore...padre di assordanti Musicali e silenziosi oceani E padre di ciò, che non ha bisogno, d’essere detto. Allora, io scrivo l’amore, e canto l’amore, per chi non sa, che fa piangere, ridere che ferma il cuore, e poi lo spinge alto fino ad accecarsi di luce e colori, e quando la luna, spento ogni riflesso, accompagna la viandante solitudine, io canto..io canto, e voi, siete la ma orchestra! (Edelveiss Arcangeli) Il vero amico Un atavico adagio così dice: se un amico cerchi senza difetti, di questo privo presto resterai. Ed io lo trovo saggio!! Interroghiam Noi stessi: siamo immuni da pecche? Chi intende che è così, a parer mio per certo fa “cilecche” !! Di Nei L’uomo ne incarna, sicuramente per legge di natura, e pure tanti! Sebbene non son poi Sì rilevanti! Quel che nel vero amico Devesi ricercare, è la sincerità, che di fido traspare. Nella bisogna constata Se ti è sempre vicino, di ansie sollecito nell’irto tuo cammino. Tali son le certezze Che occorre riscontrare! E, se le hai assodate, esser pago potrai. Allor io mi pronuncio E pur dico: non c’è dubbio, ci si può fidare: è questo il vero amico! (Vincenzo Meddis) discreta fortuna. Il lavoro, le amicizie, gli svaghi, i primi amori: Stefano si era ormai fatto la sua vita, ciononostante il pensiero del colombre lo assillava come un funesto e insieme affascinante miraggio; e, passando i giorni, anziché svanire, sembrava farsi più insistente. Grandi sono le soddisfazioni di una vita laboriosa, agiata e tranquilla, ma ancora più grande è l'attrazione dell'abisso. Aveva appena ventidue anni Stefano, quando, salutati gli amici della città e licenziatosi dall'impiego, tornò alla città natale e comunicò alla mamma la ferma intenzione di seguire il mestiere paterno. La donna, a cui Stefano non aveva mai fatto parola del misterioso squalo, accolse con gioia la sua decisione. L'avere il figlio abbandonato il mare per la città le era sempre sembrato, in cuor suo, un tradimento alle tradizioni di famiglia. E Stefano cominciò a navigare, dando prova di qualità marinare, di resistenza alle fatiche, di animo intrepido. Navigava, navigava, e sulla scia del suo bastimento, di giorno e di notte, con la bonaccia e con la tempesta, arrancava il colombre. Egli sapeva che quella era la sua maledizione e la sua condanna, ma proprio per questo, forse, non trovava la forza di staccarsene. E nessuno a bordo scorgeva il mostro, tranne lui. « Non vedete niente da quella parte? » chiedeva di quando in quando ai compagni, indicando la scia. « No, noi non vediamo proprio niente. Perché? » « Non so. Mi pareva... » « Non avrai mica visto per caso un colombre » facevano quelli, ridendo e toccando ferro. « Perché ridete? Perché toccate ferro? » « Perché il colombre è una bestia che non perdona. E se si mettesse a seguire questa nave, vorrebbe dire che uno di noi è perduto. » Ma Stefano non mollava. La ininterrotta minaccia che lo incalzava pareva anzi moltiplicare la sua volontà, la sua passione per il mare, il suo ardimento nelle ore di lotta e lentamente su e giù, ostinato ad aspettarlo. Da allora il ragazzo con ogni espediente fu distolto dal desiderio del mare. Il padre lo mandò a studiare in una città dell'interno, lontana centinaia di chilometri. E per qualche tempo, distratto dal nuovo ambiente, Stefano non pensò più al mostro marino. Tuttavia, per le vacanze estive, tornò a casa e per prima cosa. appena ebbe un minuto libero, si affrettò a raggiungere l'estremità del molo, per una specie di controllo, benché in fondo lo ritenesse superfluo. Dopo tanto tempo, il colombre, ammesso anche che tutta la storia narratagli dal padre fosse vera, aveva certo rinunciato all'assedio. Ma Stefano rimase là, attonito, col cuore che gli batteva. A distanza di duetrecento metri dal molo, nell'aperto mare, il sinistro pesce andava su e giù, lentamente, ogni tanto sollevando il muso dall'acqua e volgendolo a terra, quasi con ansia guardasse se Stefano Roi finalmente veniva. Così, l'idea di quella creatura nemica che lo aspettava giorno e notte divenne per Stefano una segreta ossessione. E anche nella lontana città gli capitava di svegliarsi in piena notte con inquietudine. Egli era al sicuro, sì, centinaia di chilometri lo separavano dal colombre. Eppure egli sapeva che, di là dalle montagne, di là dai boschi, di là dalle pianure, lo squalo era ad aspettarlo. E, si fosse egli trasferito pure nel più remoto continente, ancora il colombre si sarebbe appostato nello specchio di mare più vicino, con l'inesorabile ostinazione che hanno gli strumenti del fato. Stefano, che era un ragazzo serio e volonteroso, continuò con profitto gli studi e, appena fu uomo, trovò un impiego dignitoso e rimunerativo in un emporio di quella città. Intanto il padre venne a morire per malattia, il suo magnifico veliero fu dalla vedova venduto e il figlio si trovò ad essere erede di una Foglio Un foglio sottile Mi sento In balia al vento Foglio stampato Di mille parole, pensieri Figure, colori Dentro e fuori Foglio fragile ed inerte Dinnanzi alle intemperie Foglio se pur ben custodito Non sarà mai all’infinito. (Donatella Martellini) Tregua Ovunque è silenzio. Soltanto l’eco dell’urlo sordo rimbomba tra cuore e cervello. Non cola lungo il naso non scoppia dalle orecchie ne si blocca tra le mani che pure sono svelte ed assetate di realtà. La libertà è un silenzio senza rumore ne fuori ne dentro. avere ancora una vista buona. Ma non vedo assolutamente niente. » Poiché il figlio insisteva, andò a prendere il cannocchiale e scrutò la superficie del mare, in corrispondenza della scia. Stefano lo vide impallidire. « Cos'è? Perché fai quella faccia? » « Oh, non ti avessi ascoltato » esclamò il capitano. « Io adesso temo per te. Quella cosa che tu vedi spuntare dalle acque e che ci segue, non è una cosa. Quello è un colombre. E’ il pesce che i marinai sopra tutti temono, in ogni mare del mondo. E’ uno squalo tremendo e misterioso, più astuto dell'uomo. Per motivi che forse nessuno saprà mai, sceglie la sua vittima, e quando l'ha scelta la insegue per anni e anni, per una intera vita, finché è riuscito a divorarla. E lo strano è questo: che nessuno riesce a scorgerlo se non la vittima stessa e le persone del suo stesso sangue. »« Non è una favola? » «No. Io non l'avevo mai visto. Ma dalle descrizioni che ho sentito fare tante volte, l'ho subito riconosciuto. Quel muso da bisonte, quella bocca che continuamente si apre e chiude, quei denti terribili. Stefano, non c'è dubbio, purtroppo, il colombre ha scelto te e finché tu andrai per mare non ti darà pace. Ascoltami: ora noi torniamo subito a terra, tu sbarcherai e non ti staccherai mai più dalla riva, per nessuna ragione al mondo. Me lo devi promettere. Il mestiere del mare non è per te, figliolo. Devi rassegnarti. Del resto, anche a terra potrai fare fortuna.» Ciò detto, fece immediatamente invertire la rotta, rientrò in porto e, coi pretesto di un improvviso malessere, sbarcò il figliolo. Quindi ripartì senza di lui. Profondamente turbato, il ragazzo restò sulla riva finché l'ultimo picco dell'alberatura sprofondò dietro l'orizzonte. Di là dal molo che chiudeva il porto, il mare restò completamente deserto. Ma, aguzzando gli sguardi, Stefano riuscì a scorgere un puntino nero che affiorava a intermittenza dalle acque: il "suo" colombre, che incrociava Il colombre Quando Stefano Roi compì i dodici anni, chiese in regalo a suo padre, capitano di mare e padrone di un bel veliero, che lo portasse con sé a bordo. «Quando sarò grande» disse «voglio andar per mare come te. E comanderò delle navi ancora più' belle e grandi della tua. » « Che Dio ti benedica, figliolo » rispose il padre. E siccome proprio quel giorno il suo bastimento doveva partire, portò il ragazzo con sé. Era una giornata splendida di sole; e il mare tranquillo. Stefano, che non era mai stato sulla nave, girava felice in coperta, ammirando le complicate manovre delle vele. E chiedeva di questo e di quello ai marinai che, sorridendo, gli davano tutte le spiegazioni. Come fu giunto a poppa, il ragazzo si fermò, incuriosito, a osservare una cosa che spuntava a intermittenza in superficie, a distanza di duetrecento metri, in corrispondenza della scia della nave. Benché il bastimento già volasse, portato da un magnifico vento al giardinetto, quella cosa manteneva sempre la distanza. E, sebbene egli non ne comprendesse la natura, aveva qualcosa di indefinibile, che lo attraeva intensamente. Il padre, non vedendo Stefano più in giro, dopo averlo chiamato a gran voce invano, scese dalla plancia e andò a cercarlo. « Stefano, che cosa fai lì impalato? » gli chiese scorgendolo infine a poppa, in piedi, che fissava le onde. « Papà, vieni qui a vedere. » Il padre venne e guardò anche lui, nella direzione indicata dal ragazzo, ma non riuscì a vedere niente. « C'è una cosa scura che spunta ogni tanto dalla scia » disse « e che ci viene dietro. » « Nonostante i miei quarant'anni » disse il padre « credo di Dopo il massacro Dies Irae I Non posso più Aspettare. L’animale Si è risvegliato Dentro di me. Non posso più Perdonare Subire Amare Questi uomini Belli, puliti, colti O quelli sporchi O selvaggi. L’Uomo non nasce È tardi. Sarò uguale a loro Odierò Mi vendicherò Vedrò morire Con indifferenza Vedrò crescere Questi loro figli Piccoli robot Come loro distruttivi Protetti da porte blindate Allarmi Cancelli automatici Cani Feroci e sanguinari Gorilla Pistole e coltelli Mitra e cannoni Bombe atomiche Chimiche Psicologiche. Assisterò impassibile Al tramonto eterno Senza più notte Né alba. Aspetterò di morire Con loro Per ridere Della loro sofferenza. (Bruna Giupponi) La prima fotografia di Hitler E chi è questo pupo in vestina? Ma è Adolfino, il figlio del signor Hitler! diventerà forse un dottore in legge o un tenore dell'opera di Vienna? Di chi è questa manina, di chi, e gli occhietti, il nasino? Di chi il pancino pieno di latte, ancora non si sa: d'un tipografo, d'un mercante, d'un prete? Dove andranno queste buffe gambette, dove? Al giardinetto, a scuola, in ufficio, alle nozze magari con la figlia del sindaco? Bebè, angioletto, tesoruccio, piccolo raggio, quando un anno fa veniva al mondo non mancavano segni nel cielo e sulla terra: un sole primaverile, gerani alle finestre, musica d'organetto nel cortile, un fausto presagio nella carta velina rosa, prima del parto un sogno profetico della madre: se sogni un colombo è una lieta novella, se lo acchiappi giungerà a chi hai a lungo atteso. Toc, toc, chi è? è il cuoricino di Adolfino. Ciucciotto, pannolino, bavaglino, sonaglio, il bimbetto, lodando Iddio e toccando ferro, è sano. Somiglia ai genitori, al gattino nel cesto, ai bambini di tutti gli album di famiglia. Beh, adesso non piangeremo mica, il fotografo farà clic sotto la tela nera. Atelier Klinger, Grabenstrasse Braunau, La gente siede sulle sedie, muove le labbra. Ognuno accavalla le gambe per conto proprio. Un piede tocca così il pavimento, l'altro ciondola libero nell'aria. Solo ogni tanto qualcuno si alza, va alla finestra e attraverso una fessura delle tende scruta furtivo in strada. (Wislawa Szymborska) Applausi Le mani disegnano tracciati dentro parabole di voli Le mani trasformano stanze in assonometrie immaginarie Le mani sfiorano foglie più bianche delle notti Le mani suonano tavoli più duri delle favole Le mani tirano sassi colorati come cartoline postali Le mani schiacciano insetti più vecchi dei vecchi già vecchi Le mani toccano menti assonnate Le mani trascinano pensieri pedanti Le mani scrivono ore enigmatiche Le mani accarezzano momenti di fede Le mani svendono Le mani arrendono Applausi (Sergio Adobati) Un parere in merito alla pornografia Non c'è dissolutezza peggiore del pensare. Questa licenza si moltiplica come gramigna su un'aiuola per le margheritine. Nulla è sacro per quelli che pensano. Chiamare audacemente le cose per nome, analisi spinte, sintesi impudiche, caccia selvaggia e sregolata al fatto nudo, palpeggiamento lascivo di temi scabrosi, fregola di opinioni ecco quel che gli piace. In pieno giorno o a notte fonda si uniscono in coppie, triangoli e cerchi. Poco importa il sesso e l'età dei partners. I loro occhi brillano, gli ardono le guance. L'amico travia l'amico. Figlie snaturate corrompono il padre. Il fratello fa il ruffiano per la sorella minore. Preferiscono i frutti dell'albero vietato della conoscenza alle natiche rosee dei rotocalchi, a tutta questa pornografia in definitiva ingenua. I libri che li divertono non sono illustrati. Il loro unico svago certe frasi segnate con l'unghia o la matita. E' spaventoso in quali posizioni, con quale sfrenata semplicità l'intelletto riesca a fecondare l'intelletto. Posizioni sconosciute perfino al Kamasutra. Durante questi convegni solo il tè va in calore. e Braunau è una cittadina piccola, ma dignitosa, ditte solide, vicini dabbene, profumo di torta e di sapone da bucato. Non si sentono cani ululare né i passi del destino. L'insegnante di storia allenta il colletto e sbadiglia sui quaderni. (Wislawa Szymborska) Nuttata sittimbrina L‘u suli si nni va e ‘a terra ‘mbruna sona l’Avi Maria e spunta ‘a luna. ‘U jaddu chi iaddini su’ giuccati mancu nu cani passa ‘nta li strati. Li porti sunnu chisi cu la catina L’omu riposa ‘a testa ‘ntra li cuscina. Apru na ‘ngagghia di la me’ vitrata E vitu li casi niuriù’u celu, ìi stiddi, l’arbitri sunnacchiusi ‘a luna sittimbrina, vitu ‘u me’ iattu c’arrunchia la carina: vadda la luna cu l’occhi spiritati, spetta l’amuri chi pila arrizzicati. E chiù da banna, arreri di lu mari, s’apri lu celu cu lampi a sirpiari. La strata ogni tantu si rischiara, trema la foggia pi’ la so’ fini amara. Poi ‘nto lampu Vitu l’amuri miu passati ‘a strata, lu vitu avvicinarsi stralunata. Sentu nu brivitu cà mi s’impiccia ‘ncoddu, nun sacciu si p’amuri o pi lu friddu. Chiutu lu friddu fora dà vitrata, e tuttu mei è l’amuri dà nuttata. [“NOTTATA SETTEMBRINA”/Il sole se ne va / e l’aria imbruna, /suona l’Ave Maria / e spunta la luna. / Il gallo con le galline vanno a dormire, / neppure un cane passa per le strade. / Le porte sono chiuse con la catena, / l’uomo riposa la testa tra i guanciali. / apro uno spiraglio della mia vetrata / e vedo le case nere, / il cielo, le stelle, / gli alberi sonnolenti, / la luna settembrina / vedo il mio gatto che inarca la schiena: / guarda la luna con occhi spiritati / aspetta l’amore con il pelo irsuto. / E più indietro, oltre il mare, / si apre il cielo con lampi guizzanti. / la strada ogni tanto si rischiara, / trema la foglia per la sua fine amara. /Poi, in un lampo / vedo l’amore mio attraversare la strada / lo guardo avvicinarsi stralunata. / Sento un brivido che mi si attacca addosso, /non so se per amore o per il freddo. / Chiudo il freddo fuori dalla vetrata, / e tutto mio è l’amore della nottata] (Anna Maria Catanese) Mi proteggo Mi proteggo dal presente come se scansassi una pistola puntata alle tempie mi è caro il passato questo presente docile che non può nuocere dentro di noi una radice dell’essere senza fiori frutti linfa di vita quando il vivere è finito. Sappiamo il destino del presente questa è l’angoscia effimero illusorio come un agnello al macello ne abbiamo timore vergogna di stare al gioco il senso di colpa nella coscienza dell’assassino. Accettiamo il rischio senza cadere nella trappola. ( 8 luglio 2005 ) (Graziano Vitali) Se chiudo gli occhi Se chiudo gli occhi il tempo cambia il rosso il blu e le ombre lucenti si mischiano. Se chiudo gli occhi tutto è finito passato concluso. Se chiudo gli occhi sfera d’immota essenza la mente ritorna. Se chiudo gli occhi le piene dei silenzi le carceri delle parole dilagano. Se chiudo gli occhi ti vedo. Gesù Io che son vicino alla morte Io che son lontano dalla morte, io che ho trovato un solco di fiori che ho chiamato vita quando ho scoperto un uomo chiamato Gesù. Io che l’ho seguito senza mai parlare E son diventato suo discepolo Io ti posso parlare di lui. Io lo conosco. (Sergio Adobati) A fonte nuova ... a fonte nuova sussurri dentro un mio orecchio appeso alle tue arie, nella mattina che s’inoltra a fili e sole nelle crepate buie dei miei occhi. Perdo scarpe ad inseguirti, in ampie risorgive che prevedi tra bottiglie e piume abbandonate sotto gli alberi. Verde il vetro rotto dalle grandini, dissangua a estuario come doglia le mie raccolte cupole di legno nero. So che mi rompo alla tua foce, nella pazienza irta da eremita ad una luce, che mi dici essere lì da sempre. (Paolo Arzuffi) Ha riempito le mie notti con suoni dolci, ha accarezzato le mie membra, imbiancato i miei capelli per lo stupore, mi ha fatto rifiorire e morire un’infinità di volte. Ma io so che mi ama E ti dirò, anche se tu non lo credi, che si preannuncia sempre con una grande frescura in tutte le membra come se tu ricominciassi a vivere e vedessi il mondo per la prima volta. E questa è la fede e questo è lui Che ti cerca in ogni dove Anche quando ti nascondi. (Giovanni P.) Una lacrima nel corso della storia Da quando Caino si macchiò del sangue di Abele, E vi ribollì il veleno amaro dell’odio, L’essere umano benché presente, sparì, Da quando Giuseppe fu gettato nel pozzo, La Muraglia fu eretta con sangue e scudiscia, L’essere umano benché presente, sparì, Le ere affollarono la Terra d’uomini, Epoche trascorsero dalla Genesi, Ahimè, non tornò l’essere umano, sparì, È il secolo della morte, di sentimenti il petto del Mondo è vuoto, Non hanno senso purezza dedizione e libertà, Non hanno voce Mosè, Gesù, Maometto, Siamo nel Secolo di Bokassa, Non v’è traccia dell’essere umano, sparì, Magone in gola e piango: Il grido di un canarino, L’appassire di una rosellina, La tristezza di un incatenato, Lo sguardo muto di un bambino malato, Persino, alla forca un assassino, Lacrime e sangue nell’anfora e veleno in coppa, Rifiuto la sua assenza, Non è l’appassire di una foglia, lo sparire di una foresta. Celano agli umani le loro mani insanguinate, Sono meglio le bestie feroci. Supponiamo che la morte di un canarino in gabbia non sia importante Supponiamo che nessun fiore sia mai sbocciato nel mondo Supponiamo che il bosco fosse dal primo giorno silenzioso e cieco Fra la gente paziente con questi disastri Stiamo parlando della morte dell’umanità. (Hassan Abbaszadeh) Vita dannata Sebbene io sia lontano anni luce dal tuo mondo Sebbene per la società sia solo un numero, io esisto. Il mio cuore non smette di pulsare, i miei occhi osservano da un oblò il cielo stellato e ogni stella è un pensiero che vola libero come un gabbiano si tuffa dentro la luna e si perde nell’immensità del silenzio. Nei miei sogni cerco spazi infiniti, sentieri fioriti, un mondo di pace, sogni, sogni interrotti da pianti di bimbi mai cresciuti dentro di noi. Rumori di chiavi, passi pesanti stracciano i sogni. Un faro indiscreto mi turba la mente, proiettando la sagoma di sbarre arrugginite dal tempo sui muri tetri della mia cella. Chiudo gli occhi Mentre nel cuore mi scende come un peso La mia vita dannata. (Giordano M.)