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Provincia di
BERGAMO
Con...tatto
d'arte
Per contatti:
Biblioteca Comunale
di Zanica
Via Serio, 1
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Con...tatto d'arte
Comune di
ZANICA
Con...tatto d’arte
Il progetto
Il progetto "Con...tatto d'arte",
promosso
dall'Amministrazione
Comunale di Zanica e da
associazioni e gruppi culturali,
nasce con l'intento di favorire la
libera espressione artistica.
Il progetto è rivolto a singoli
artisti o
gruppi che vogliono
mostrare il proprio lavoro o le
proprie
opere
senza
dover
sostenere
costi
altrimenti
onerosi.
L'obiettivo principale è quello
d'incentivare il "fare cultura",
costruendo momenti e luoghi
d'incontro e confronto, spazi
espressivi aperti alla creatività ed
alle arti, punto di partenza e di
riferimento per chiunque voglia
raccontare
e
raccontarsi
attraverso teatro, musica, danza,
pittura, scultura, arti visive,
performance, fotografia, poesia,
ecc.
Zanica, Aprile 2009
Paul Klee
"Abstract on black" (1925)
1.
Si resta muti
3.
Parlami
2.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Cornelius C. Escher
"Relatività" (1953)
Sommario
Incontro
Canto d'amore
Il vero amico
Foglio
Tregua
Dopo il massacro
La prima fotografia di Hitler
10. Nuttata sittimbrina
11. Gesù
12. Una lacrima nel corso della storia
13. Vita dannata
14. Se chiudo gli occhi
15. A fonte nuova
René Magritte
"Les amants" (1925)
16. Mi proteggo
17. Un parere in merito alla pornografia
18. Applausi
19. Il colombre
Si resta muti
Si resta muti nelle raccolte d’aria dei
polmoni. In questo sandalo
di terra a contenere voci a poco a poco
illese . A poco a poco
in forme di moneta e pioggia restituita.
Si resta immoti
ne i grilli perpetui, ad ogni passeggera
zolla che regala argille
ai pie di sanguinati. Si avanza a grandi
braccia nella corporea torre
della sera, spoglio come un ponte in
pietra tra una scarpata e l’altra.
Bello come piuma di nido arresa nella
cova.
(Paolo Arzuffi)
La poetica del Con...tatto
Le immagini
Contatto d'Arte ha realizzato nel corso delle
manifestazioni dedicate alla poesia alcuni libretti
di sala contenenti non solo i testi degli autori,
ma anche un percorso parallelo che
accompagnasse per immagini il flusso delle
parole, delle emozioni, delle sensazioni. Non una
descrizione o un'appendice erudita, piuttosto il
racconto di una "affinità elettiva", presentato
con un'altra modalità espressiva.
Autori presentati:
Marzo 2006 ­ Paul Klee
Maggio 2006 ­ René Magritte
Marzo 2007 ­ Mauritius C. Escher
Due mesi dopo, spinto dalla risacca, un barchino approdò
a una dirupata scogliera. Fu avvistato da alcuni pescatori
che, incuriositi, si avvicinarono. Sul barchino, ancora
seduto, stava un bianco scheletro: e fra le ossicine delle
dita stringeva un piccolo sasso rotondo.
Il colombre è un pesce di grandi dimensioni, spaventoso a
vedersi, estremamente raro.
A seconda dei mari, e delle genti che ne abitano le rive,
viene anche chiamato kolomber, kahloubrha, kalonga,
kalu­balu, chalung­gra. I naturalisti stranamente lo
ignorano. Qualcuno perfino sostiene che non esiste.
(Dino Buzzati)
Incontro
Il raggio che scoccava dalle punte
nevate alla finestra aperta nelle mura
medievali accendeva i nostri corpi
inesistenti e il freddo alito del fiume
spingeva la nostra cieca ventura
al treno che trascorre nelle acque
senza vita o al portone di fiamma
dei palazzi capovolti
che bruciava l’ombra dei tuoi capelli.
(Giovanni Rovillo)
DINO BUZZATI
1906 ­ 1972
Parlami
Ti ascolto .... parlami cuore.
Nel calmo riflusso del mare,
avvolta nel silenzio della notte,
... io ti ascolto.
Parlami di speranze vane,
di addii e presenze svanite,
di voci perse nel nulla,
della tua grande pena,
... io ti ascolto.
Stai, resta e, non tacere,
inebriati, con i ricordi
di un antico profumo,
non saltare d'emozione
per quell'amore
che non scordi ancora,
e perché resti
per sempre poesia,
dimentica ... che è andato via.
Piangi, se vuoi, raccontami...
io ti consolerò.
(Edelveiss Arcangeli)
« Mi ha scortato da un capo all'altro del mondo » disse
« con una fedeltà che neppure il più nobile amico
avrebbe potuto dimostrare. Adesso io sto per morire.
Anche lui, ormai, sarà terribilmente vecchio e stanco.
Non posso tradirlo. »
Ciò detto, prese commiato, fece calare in mare un
barchino e vi sali, dopo essersi fatto dare un arpione. «
Ora gli vado incontro » annunciò. « E’ giusto che non lo
deluda. Ma lotterò, con le mie ultime forze. » A stanchi
colpi di remi, si allontanò da bordo. Ufficiali e marinai lo
videro scomparire laggiù, sul placido mare, avvolto
dalle ombre della notte.
C'era in cielo una falce di luna.
Non dovette faticare molto. All'improvviso il muso
orribile del colombre emerse di fianco alla barca.
« Eccomi a te, finalmente » disse Stefano. « Adesso, a
noi due! » E, raccogliendo le superstiti energie, alzò
l'arpione per colpire.
« Uh » mugolò con voce supplichevole il colombre «
che lunga strada per trovarti.
Anch'io sono distrutto dalla fatica. Quanto mi hai fatto
nuotare. E tu fuggivi, fuggivi. E non hai mai capito
niente. » « Perché? » fece Stefano, punto sul vivo. «
Perché non ti ho inseguito attraverso il mondo per
divorarti, come pensavi. Dal re del mare avevo avuto
soltanto l'incarico di consegnarti questo. » E lo squalo
trasse fuori la lingua, porgendo al vecchio capitano una
piccola sfera fosforescente.
Stefano la prese fra le dita e guardò. Era una perla di
grandezza spropositata. E lui riconobbe la famosa Perla
del Mare che dà, a chi la possiede, fortuna, potenza,
amore, e pace dell'animo. Ma era ormai troppo tardi.
« Ahimè! » disse scuotendo tristemente il capo.
«Come è tutto sbagliato. Io sono riuscito a dannare la
mia esistenza: e ho rovinato la tua.»
« Addio, pover'uomo » rispose il colombre. E sprofondò
nelle acque nere per sempre.
di pericolo.
Con la piccola sostanza lasciatagli dal padre, come egli si
sentì padrone del mestiere, acquistò con un socio un
piccolo piroscafo da carico, quindi ne divenne il solo
proprietario e, grazie a una serie di fortunate spedizioni,
poté in seguito acquistare un mercantile sul serio,
avviandosi a traguardi sempre più ambiziosi. Ma i
successi, e i milioni, non servivano a togliergli dall'animo
quel continuo assillo; né mai, d'altra parte, egli fu
tentato di vendere la nave e di ritirarsi a terra per
intraprendere diverse imprese.
Navigare, navigare, era il suo unico pensiero. Non
appena, dopo lunghi tragitti, metteva piede a terra in
qualche porto, subito lo pungeva l'impazienza di
ripartire. Sapeva che fuori c'era il colombre ad
aspettarlo, e che il colombre era sinonimo di rovina.
Niente.
Un indomabile impulso lo traeva senza requie, da un
oceano all'altro.
Finché, all'improvviso, Stefano un giorno si accorse di
essere diventato vecchio, vecchissimo; e nessuno intorno
a lui sapeva spiegarsi perché, ricco com’era, non
lasciasse finalmente la dannata vita del mare. Vecchio, e
amaramente infelice, perché l’intera esistenza sua era
stata spesa in quella specie di pazzesca fuga attraverso i
mari, per sfuggire al nemico. Ma più grande che le gioie
di una vita agiata e tranquilla era stata per lui sempre la
tentazione dell'abisso.
E una sera, mentre la sua magnifica nave era ancorata al
largo dei porto dove era nato, si sentì prossimo a morire.
Allora chiamò il secondo ufficiale, di cui aveva grande
fiducia, e gli ingiunse di non opporsi a ciò che egli stava
per fare. L'altro, sull'onore, promise.
Avuta questa assicurazione, Stefano, al secondo ufficiale
che lo ascoltava sgomento, rivelò la storia del colombre,
che
aveva
continuato
a
inseguirlo
per
quasi
cinquant'anni, inutilmente.
Canto d'amore
Scrivere d’amore...
Per calamitare la vostra premura di vivere
E migrare molteplici,
in ogni istante sconosciuto
nell’unica e irripetibile sequenza.
Ridere d’amore...
Per prendere la mano a chi la tende
Nel quotidiano dei momenti
E per ritrovarsi, dopo una corsa folle,
senza fiato a te abbracciata,
dentro a una grande piazza,
sbucati dalla più piccola,
e soffocata viuzza.
Piangere d’amore...
Per rompere il grande muro,del
Dolce muto sentire, che è difesa.
E cantare d’amore...padre di assordanti
Musicali e silenziosi oceani
E padre di ciò, che non ha bisogno,
d’essere detto.
Allora, io scrivo l’amore, e canto l’amore,
per chi non sa, che fa piangere, ridere
che ferma il cuore, e poi lo spinge alto
fino ad accecarsi di luce e colori,
e quando la luna, spento ogni riflesso,
accompagna la viandante solitudine,
io canto..io canto, e voi,
siete la ma orchestra!
(Edelveiss Arcangeli)
Il vero amico
Un atavico adagio
così dice:
se un amico
cerchi
senza difetti,
di questo privo
presto resterai.
Ed io lo trovo saggio!!
Interroghiam
Noi stessi:
siamo immuni da pecche?
Chi intende che è così,
a parer mio
per certo fa “cilecche” !!
Di Nei
L’uomo ne incarna,
sicuramente
per legge di natura,
e pure tanti!
Sebbene non son poi
Sì rilevanti!
Quel che nel vero amico
Devesi ricercare,
è la sincerità,
che di fido traspare.
Nella bisogna constata
Se ti è sempre vicino,
di ansie sollecito
nell’irto tuo cammino.
Tali son le certezze
Che occorre riscontrare!
E, se le hai assodate,
esser pago potrai.
Allor io mi pronuncio
E pur dico:
non c’è dubbio,
ci si può fidare:
è questo il vero amico!
(Vincenzo Meddis)
discreta fortuna. Il lavoro, le amicizie, gli svaghi, i primi
amori: Stefano si era ormai fatto la sua vita,
ciononostante il pensiero del colombre lo assillava come
un funesto e insieme affascinante miraggio; e, passando i
giorni, anziché svanire, sembrava farsi più insistente.
Grandi sono le soddisfazioni di una vita laboriosa, agiata e
tranquilla, ma ancora più grande è l'attrazione dell'abisso.
Aveva appena ventidue anni Stefano, quando, salutati gli
amici della città e licenziatosi dall'impiego, tornò alla città
natale e comunicò alla mamma la ferma intenzione di
seguire il mestiere paterno. La donna, a cui Stefano non
aveva mai fatto parola del misterioso squalo, accolse con
gioia la sua decisione.
L'avere il figlio abbandonato il mare per la città le era
sempre sembrato, in cuor suo, un tradimento alle
tradizioni di famiglia.
E Stefano cominciò a navigare, dando prova di qualità
marinare, di resistenza alle fatiche, di animo intrepido.
Navigava, navigava, e sulla scia del suo bastimento, di
giorno e di notte, con la bonaccia e con la tempesta,
arrancava il colombre. Egli sapeva che quella era la sua
maledizione e la sua condanna, ma proprio per questo,
forse, non trovava la forza di staccarsene. E nessuno a
bordo scorgeva il mostro, tranne lui.
« Non vedete niente da quella parte? » chiedeva di
quando in quando ai compagni, indicando la scia. « No,
noi non vediamo proprio niente. Perché? » « Non so. Mi
pareva... »
« Non avrai mica visto per caso un colombre » facevano
quelli, ridendo e toccando ferro.
« Perché ridete? Perché toccate ferro? »
« Perché il colombre è una bestia che non perdona. E se si
mettesse a seguire questa nave, vorrebbe dire che uno di
noi è perduto. »
Ma Stefano non mollava. La ininterrotta minaccia che lo
incalzava pareva anzi moltiplicare la sua volontà, la sua
passione per il mare, il suo ardimento nelle ore di lotta e
lentamente su e giù, ostinato ad aspettarlo.
Da allora il ragazzo con ogni espediente fu distolto dal
desiderio del mare. Il padre lo mandò a studiare in una
città dell'interno, lontana centinaia di chilometri. E per
qualche tempo, distratto dal nuovo ambiente, Stefano
non pensò più al mostro marino. Tuttavia, per le
vacanze estive, tornò a casa e per prima cosa. appena
ebbe un minuto libero, si affrettò a raggiungere
l'estremità del molo, per una specie di controllo,
benché in fondo lo ritenesse superfluo. Dopo tanto
tempo, il colombre, ammesso anche che tutta la storia
narratagli dal padre fosse vera, aveva certo rinunciato
all'assedio.
Ma Stefano rimase là, attonito, col cuore che gli
batteva. A distanza di due­trecento metri dal molo,
nell'aperto mare, il sinistro pesce andava su e giù,
lentamente, ogni tanto sollevando il muso dall'acqua e
volgendolo a terra, quasi con ansia guardasse se
Stefano Roi finalmente veniva.
Così, l'idea di quella creatura nemica che lo aspettava
giorno e notte divenne per Stefano una segreta
ossessione. E anche nella lontana città gli capitava di
svegliarsi in piena notte con inquietudine. Egli era al
sicuro, sì, centinaia di chilometri lo separavano dal
colombre. Eppure egli sapeva che, di là dalle
montagne, di là dai boschi, di là dalle pianure, lo squalo
era ad aspettarlo. E, si fosse egli trasferito pure nel più
remoto continente, ancora il colombre si sarebbe
appostato nello specchio di mare più vicino, con
l'inesorabile ostinazione che hanno gli strumenti del
fato.
Stefano, che era un ragazzo serio e volonteroso,
continuò con profitto gli studi e, appena fu uomo, trovò
un impiego dignitoso e rimunerativo in un emporio di
quella città. Intanto il padre venne a morire per
malattia, il suo magnifico veliero fu dalla vedova
venduto e il figlio si trovò ad essere erede di una
Foglio
Un foglio sottile
Mi sento
In balia al vento
Foglio stampato
Di mille parole, pensieri
Figure, colori
Dentro e fuori
Foglio fragile ed inerte
Dinnanzi alle intemperie
Foglio se pur ben custodito
Non sarà mai all’infinito.
(Donatella Martellini)
Tregua
Ovunque è silenzio.
Soltanto l’eco dell’urlo sordo
rimbomba tra cuore e cervello.
Non cola lungo il naso
non scoppia dalle orecchie
ne si blocca tra le mani
che pure sono svelte
ed assetate di realtà.
La libertà è un silenzio
senza rumore ne fuori ne dentro.
avere ancora una vista buona. Ma non vedo assolutamente
niente. »
Poiché il figlio insisteva, andò a prendere il cannocchiale e
scrutò la superficie del mare, in corrispondenza della scia.
Stefano lo vide impallidire.
« Cos'è? Perché fai quella faccia? »
« Oh, non ti avessi ascoltato » esclamò il capitano. « Io
adesso temo per te. Quella cosa che tu vedi spuntare dalle
acque e che ci segue, non è una cosa. Quello è un
colombre. E’ il pesce che i marinai sopra tutti temono, in
ogni mare del mondo. E’ uno squalo tremendo e
misterioso, più astuto dell'uomo. Per motivi che forse
nessuno saprà mai, sceglie la sua vittima, e quando l'ha
scelta la insegue per anni e anni, per una intera vita, finché
è riuscito a divorarla. E lo strano è questo: che nessuno
riesce a scorgerlo se non la vittima stessa e le persone del
suo stesso sangue. »« Non è una favola? »
«No. Io non l'avevo mai visto. Ma dalle descrizioni che ho
sentito fare tante volte, l'ho subito riconosciuto. Quel muso
da bisonte, quella bocca che continuamente si apre e
chiude, quei denti terribili. Stefano, non c'è dubbio,
purtroppo, il colombre ha scelto te e finché tu andrai per
mare non ti darà pace. Ascoltami: ora noi torniamo subito
a terra, tu sbarcherai e non ti staccherai mai più dalla riva,
per nessuna ragione al mondo. Me lo devi promettere. Il
mestiere del mare non è per te, figliolo. Devi rassegnarti.
Del resto, anche a terra potrai fare fortuna.» Ciò detto,
fece immediatamente invertire la rotta, rientrò in porto e,
coi pretesto di un improvviso malessere, sbarcò il figliolo.
Quindi ripartì senza di lui.
Profondamente turbato, il ragazzo restò sulla riva finché
l'ultimo picco dell'alberatura sprofondò dietro l'orizzonte. Di
là dal molo che chiudeva il porto, il mare restò
completamente deserto. Ma, aguzzando gli sguardi,
Stefano riuscì a scorgere un puntino nero che affiorava a
intermittenza dalle acque: il "suo" colombre, che incrociava
Il colombre
Quando Stefano Roi compì i dodici anni, chiese in regalo a
suo padre, capitano di mare e padrone di un bel veliero,
che lo portasse con sé a bordo.
«Quando sarò grande» disse «voglio andar per mare come
te. E comanderò delle navi ancora più' belle e grandi della
tua. »
« Che Dio ti benedica, figliolo » rispose il padre. E siccome
proprio quel giorno il suo bastimento doveva partire, portò
il ragazzo con sé.
Era una giornata splendida di sole; e il mare tranquillo.
Stefano, che non era mai stato sulla nave, girava felice in
coperta, ammirando le complicate manovre delle vele. E
chiedeva di questo e di quello ai marinai che, sorridendo,
gli davano tutte le spiegazioni.
Come fu giunto a poppa, il ragazzo si fermò, incuriosito, a
osservare una cosa che spuntava a intermittenza in
superficie, a distanza di due­trecento metri, in
corrispondenza della scia della nave.
Benché il bastimento già volasse, portato da un magnifico
vento al giardinetto, quella cosa manteneva sempre la
distanza. E, sebbene egli non ne comprendesse la natura,
aveva
qualcosa
di
indefinibile,
che
lo
attraeva
intensamente.
Il padre, non vedendo Stefano più in giro, dopo averlo
chiamato a gran voce invano, scese dalla plancia e andò a
cercarlo.
« Stefano, che cosa fai lì impalato? » gli chiese
scorgendolo infine a poppa, in piedi, che fissava le onde.
« Papà, vieni qui a vedere. »
Il padre venne e guardò anche lui, nella direzione indicata
dal ragazzo, ma non riuscì a vedere niente.
« C'è una cosa scura che spunta ogni tanto dalla scia »
disse « e che ci viene dietro. »
« Nonostante i miei quarant'anni » disse il padre « credo di
Dopo il massacro
Dies Irae I
Non posso più
Aspettare.
L’animale
Si è risvegliato
Dentro di me.
Non posso più
Perdonare
Subire
Amare
Questi uomini
Belli, puliti, colti
O quelli sporchi
O selvaggi.
L’Uomo non nasce
È tardi.
Sarò uguale a loro
Odierò
Mi vendicherò
Vedrò morire
Con indifferenza
Vedrò crescere
Questi loro figli
Piccoli robot
Come loro distruttivi
Protetti da porte blindate
Allarmi
Cancelli automatici
Cani
Feroci e sanguinari
Gorilla
Pistole e coltelli
Mitra e cannoni
Bombe atomiche
Chimiche
Psicologiche.
Assisterò impassibile
Al tramonto eterno
Senza più notte
Né alba.
Aspetterò di morire
Con loro
Per ridere
Della loro sofferenza.
(Bruna Giupponi)
La prima fotografia di Hitler
E chi è questo pupo in vestina?
Ma è Adolfino, il figlio del signor Hitler!
diventerà forse un dottore in legge
o un tenore dell'opera di Vienna?
Di chi è questa manina, di chi,
e gli occhietti, il nasino?
Di chi il pancino pieno di latte,
ancora non si sa:
d'un tipografo, d'un mercante, d'un prete?
Dove andranno queste buffe gambette, dove?
Al giardinetto, a scuola, in ufficio,
alle nozze magari con la figlia del sindaco?
Bebè, angioletto, tesoruccio,
piccolo raggio,
quando un anno fa veniva al mondo
non mancavano segni
nel cielo e sulla terra:
un sole primaverile, gerani alle finestre,
musica d'organetto nel cortile,
un fausto presagio nella carta velina rosa,
prima del parto
un sogno profetico della madre:
se sogni un colombo ­ è una lieta novella,
se lo acchiappi ­ giungerà a chi hai a lungo atteso.
Toc, toc, chi è?
è il cuoricino di Adolfino.
Ciucciotto, pannolino,
bavaglino, sonaglio,
il bimbetto,
lodando Iddio e toccando ferro,
è sano.
Somiglia ai genitori,
al gattino nel cesto,
ai bambini
di tutti gli album di famiglia.
Beh, adesso non piangeremo mica,
il fotografo farà clic sotto la tela nera.
Atelier Klinger, Grabenstrasse Braunau,
La gente siede sulle sedie, muove le labbra.
Ognuno accavalla le gambe per conto proprio.
Un piede tocca così il pavimento,
l'altro ciondola libero nell'aria.
Solo ogni tanto qualcuno si alza,
va alla finestra
e attraverso una fessura delle tende
scruta furtivo in strada.
(Wislawa Szymborska)
Applausi
Le mani disegnano tracciati dentro parabole di voli
Le mani trasformano stanze in assonometrie
immaginarie
Le mani sfiorano foglie più bianche delle notti
Le mani suonano tavoli più duri delle favole
Le mani tirano sassi colorati come cartoline postali
Le mani schiacciano insetti più vecchi dei vecchi già
vecchi
Le mani toccano menti assonnate
Le mani trascinano pensieri pedanti
Le mani scrivono ore enigmatiche
Le mani accarezzano momenti di fede
Le mani svendono
Le mani arrendono
Applausi
(Sergio Adobati)
Un parere in merito alla
pornografia
Non c'è dissolutezza peggiore del pensare.
Questa licenza si moltiplica come gramigna
su un'aiuola per le margheritine.
Nulla è sacro per quelli che pensano.
Chiamare audacemente le cose per nome,
analisi spinte, sintesi impudiche,
caccia selvaggia e sregolata al fatto nudo,
palpeggiamento lascivo di temi scabrosi,
fregola di opinioni ­ ecco quel che gli piace.
In pieno giorno o a notte fonda si uniscono in coppie,
triangoli e cerchi.
Poco importa il sesso e l'età dei partners.
I loro occhi brillano, gli ardono le guance.
L'amico travia l'amico.
Figlie snaturate corrompono il padre.
Il fratello fa il ruffiano per la sorella minore.
Preferiscono i frutti
dell'albero vietato della conoscenza
alle natiche rosee dei rotocalchi,
a tutta questa pornografia in definitiva ingenua.
I libri che li divertono non sono illustrati.
Il loro unico svago ­ certe frasi
segnate con l'unghia o la matita.
E' spaventoso in quali posizioni,
con quale sfrenata semplicità
l'intelletto riesca a fecondare l'intelletto.
Posizioni sconosciute perfino al Kamasutra.
Durante questi convegni solo il tè va in calore.
e Braunau è una cittadina piccola,
ma dignitosa,
ditte solide, vicini dabbene,
profumo di torta e di sapone da bucato.
Non si sentono cani ululare
né i passi del destino.
L'insegnante di storia allenta il colletto
e sbadiglia sui quaderni.
(Wislawa Szymborska)
Nuttata sittimbrina
L‘u suli si nni va
e ‘a terra ‘mbruna
sona l’Avi Maria
e spunta ‘a luna.
‘U jaddu chi iaddini su’ giuccati
mancu nu cani passa ‘nta li strati.
Li porti sunnu chisi cu la catina
L’omu riposa ‘a testa ‘ntra li cuscina.
Apru na ‘ngagghia di la me’ vitrata
E vitu li casi niuriù’u celu, ìi stiddi,
l’arbitri sunnacchiusi
‘a luna sittimbrina,
vitu ‘u me’ iattu c’arrunchia la carina:
vadda la luna cu l’occhi spiritati,
spetta l’amuri chi pila arrizzicati.
E chiù da banna, arreri di lu mari,
s’apri lu celu cu lampi a sirpiari.
La strata ogni tantu si rischiara,
trema la foggia pi’ la so’ fini amara.
Poi ‘nto lampu
Vitu l’amuri miu passati ‘a strata,
lu vitu avvicinarsi stralunata.
Sentu nu brivitu cà mi s’impiccia ‘ncoddu,
nun sacciu si p’amuri o pi lu friddu.
Chiutu lu friddu fora dà vitrata,
e tuttu mei è l’amuri dà nuttata.
[“NOTTATA SETTEMBRINA”/Il sole se ne va / e l’aria imbruna,
/suona l’Ave Maria / e spunta la luna. / Il gallo con le galline
vanno a dormire, / neppure un cane passa per le strade. / Le
porte sono chiuse con la catena, / l’uomo riposa la testa tra i
guanciali. / apro uno spiraglio della mia vetrata / e vedo le
case nere, / il cielo, le stelle, / gli alberi sonnolenti, / la luna
settembrina / vedo il
mio gatto che inarca la schiena: /
guarda la luna con occhi spiritati / aspetta l’amore con il pelo
irsuto. / E più indietro, oltre il mare, / si apre il cielo con
lampi guizzanti. / la strada ogni tanto si rischiara, / trema la
foglia per la sua fine amara. /Poi, in un lampo / vedo l’amore
mio attraversare la strada / lo guardo avvicinarsi stralunata.
/ Sento un brivido che mi si attacca addosso, /non so se per
amore o per il freddo. / Chiudo il freddo fuori dalla vetrata, / e
tutto mio è l’amore della nottata]
(Anna Maria Catanese)
Mi proteggo
Mi proteggo dal presente
come se scansassi una pistola
puntata alle tempie
mi è caro il passato
questo presente docile
che non può nuocere
dentro di noi
una radice dell’essere
senza fiori frutti
linfa di vita
quando il vivere è finito.
Sappiamo il destino del presente
questa è l’angoscia
effimero illusorio
come un agnello al macello
ne abbiamo timore
vergogna di stare al gioco
il senso di colpa
nella coscienza dell’assassino.
Accettiamo il rischio
senza cadere nella trappola.
( 8 luglio 2005 )
(Graziano Vitali)
Se chiudo gli occhi
Se chiudo gli occhi
il tempo cambia
il rosso il blu
e le ombre lucenti
si mischiano.
Se chiudo gli occhi
tutto è finito
passato
concluso.
Se chiudo gli occhi
sfera d’immota essenza
la mente ritorna.
Se chiudo gli occhi
le piene dei silenzi
le carceri delle parole
dilagano.
Se chiudo gli occhi
ti vedo.
Gesù
Io che son vicino alla morte
Io che son lontano dalla morte,
io che ho trovato un solco di fiori
che ho chiamato vita
quando ho scoperto
un uomo chiamato Gesù.
Io che l’ho seguito senza mai parlare
E son diventato suo discepolo
Io ti posso parlare di lui.
Io lo conosco.
(Sergio Adobati)
A fonte nuova
... a fonte nuova ­ sussurri dentro un
mio orecchio appeso
alle tue arie, nella mattina che
s’inoltra a fili e sole nelle crepate buie
dei miei occhi. Perdo scarpe ad
inseguirti, in ampie risorgive che
prevedi
tra bottiglie e piume abbandonate
sotto gli alberi. Verde il vetro rotto
dalle grandini, dissangua a estuario
come doglia le mie raccolte cupole
di legno nero. So che mi rompo alla
tua foce, nella pazienza irta
da eremita ad una luce, che mi dici
essere lì da sempre.
(Paolo Arzuffi)
Ha riempito le mie notti con suoni dolci,
ha accarezzato le mie membra,
imbiancato i miei capelli per lo stupore,
mi ha fatto rifiorire e morire
un’infinità di volte.
Ma io so che mi ama
E ti dirò, anche se tu non lo credi,
che si preannuncia sempre
con una grande frescura in tutte le membra
come se tu ricominciassi a vivere
e vedessi il mondo per la prima volta.
E questa è la fede e questo è lui
Che ti cerca in ogni dove
Anche quando ti nascondi.
(Giovanni P.)
Una lacrima nel corso
della storia
Da quando Caino si macchiò del sangue di Abele,
E vi ribollì il veleno amaro dell’odio,
L’essere umano benché presente, sparì,
Da quando Giuseppe fu gettato nel pozzo,
La Muraglia fu eretta con sangue e scudiscia,
L’essere umano benché presente, sparì,
Le ere affollarono la Terra d’uomini,
Epoche trascorsero dalla Genesi,
Ahimè, non tornò l’essere umano, sparì,
È il secolo della morte, di sentimenti il petto del Mondo è vuoto,
Non hanno senso purezza dedizione e libertà,
Non hanno voce Mosè, Gesù, Maometto,
Siamo nel Secolo di Bokassa,
Non v’è traccia dell’essere umano, sparì,
Magone in gola e piango:
Il grido di un canarino,
L’appassire di una rosellina,
La tristezza di un incatenato,
Lo sguardo muto di un bambino malato,
Persino, alla forca un assassino,
Lacrime e sangue nell’anfora e veleno in coppa,
Rifiuto la sua assenza,
Non è l’appassire di una foglia, lo sparire di una foresta.
Celano agli umani le loro mani insanguinate,
Sono meglio le bestie feroci.
Supponiamo che la morte di un canarino in gabbia non sia
importante
Supponiamo che nessun fiore sia mai sbocciato nel mondo
Supponiamo che il bosco fosse dal primo giorno silenzioso e cieco
Fra la gente paziente con questi disastri
Stiamo parlando della morte dell’umanità.
(Hassan Abbaszadeh)
Vita dannata
Sebbene io sia lontano anni luce dal tuo mondo
Sebbene per la società sia solo un numero, io esisto.
Il mio cuore non smette di pulsare,
i miei occhi osservano da un oblò il cielo stellato
e ogni stella è un pensiero che vola
libero come un gabbiano
si tuffa dentro la luna
e si perde nell’immensità del silenzio.
Nei miei sogni cerco spazi infiniti,
sentieri fioriti,
un mondo di pace,
sogni, sogni interrotti
da pianti di bimbi mai cresciuti dentro di noi.
Rumori di chiavi,
passi pesanti stracciano i sogni.
Un faro indiscreto mi turba la mente,
proiettando la sagoma di sbarre arrugginite dal tempo
sui muri tetri della mia cella.
Chiudo gli occhi
Mentre nel cuore mi scende come un peso
La mia vita dannata.
(Giordano M.)