FermiTutti n° 19 con Annuario 2008-2009 - "Fermi"
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FermiTutti n° 19 con Annuario 2008-2009 - "Fermi"
Francesco Sedda, Il paradiso sulla torre Francesco Sedda, La lunga vita Elisabetta Caffarella, Non doveva morire così Fotografie di Maura Malpetti e di Valentina Monteleone Recensioni THR (a cura di Francesco Sedda) Death Note (a cura di Valentina Monteleone) Wolverine (a cura di Sonia Madini) I Gemelli Diversi (a cura di Federico Fabbris) I G.O.B. (a cura di Federico Fabbris) Intervista a due giovani band (a cura di Riccardo Bruno) Disegni di Simone Micheletti, Michela Federico e Sara Potyscki INDICE ATTUALITA Greta Moschini, Ciao Eros. E grazie per quello che ci hai insegnato Matteo Andreoli, Alle origini della crisi economica: dai mutui ai subprime Cristian Chignola, L’EXPO 2015 come la Fiera, ovvero la Milano da mangiare Francesco Coghi, Staminali, presente e futuro: la scienza oltre l’etica? Ambra Fusaro (in la collaborazione con Fabiola), A volte c’e’ bisogno di aiuto Anwara Chowdhury, Pacchetto sicurezza o misure xenofobe? Dalla 3S, Didascalie d’autore Giacomo Tirelli, La mia esperienza di studente Giulia Casetta, Un “fantastico” scambio con degli studenti polacchi Sara Zamboni, Il viaggio di istruzione a Monaco: una lieta sorpresa Simone Favaro, Una significativa visita a San Patrignano Maura Malpetti, Malta, un dolce ricordo Alex Zenegaglia, Visita al Museo Leonardo da Vinci di Milano Gabriel Wiwoloku, La prima volta di Radioitis Andrea Mazzocchi, A scuola di improvvisazione musicale Ambra e Giulia, A scuola di teatro con Giovanna e gli Zerobeat Sara Zamboni, Conoscere per prevenire: all’Itis un incontro di educazione alla salute Al Bonomi c’è Smarties (a cura della redazione) ENIGMISTICA Rebus (invenzioni di Claudio Marozzi) Sei fantasioso? (test) Soluzioni dei rebus Punteggio del test HUMOR E CURIOSITA Concorso foto curiosa: I vincitori Giulia Casetta, Un fumetto Giulia Casetta, La prof.ssa Facchini Curiosità sul 19 (a cura di Elisabetta Caffarella) Diario di bordo della 4S In 4AET tra Carli e D’Amico non mettere il dito Barzellette bestiali (a cura di Gabriel Wiwoloku) Battute fredde (a cura di Gabriel Wiwoloku) Ridacchiamo un po’ (a cura di Gabriel Wiwoloku) Ripassiamo qualche assioma della legge di Murphy: “Se qualcosa puo’ andar male, lo farà” (a cura di Claudio Marozzi) INTERVISTE E INCHIESTE Sondaggio sul gradimento dell’Itis da parte di noi studenti (a cura di Alberto Massara e Loris Caffarra) Un campione tra noi: intervista a Diego Marani, uno che sa correre (a cura di Andrea Malavasi) Palla ovale mon amour: intervista al nostro compagno Andrea Malavasi (a cura di Maura Malpetti) Intervista al team di Writer’s Dream, il sito degli scrittori esordienti (a cura di Francesco Sedda) SPORT Maura Malpetti, L’ultras è un tifoso, non un delinquente Paolo Rizzardi, Formula 1: Ma che succede?! Filippo Gavazzi , Ducati che passione! I risultati sportivi della nostra scuola (raccolti da Paolo Rizzardi) CULTURA Loris Caffarra, Brutto o bello, giusto o sbagliato? NO: diverso Claudia Malpetti, Nonno Futurismo compie cent’anni Claudio Marozzi, La macchia Anna Maria Grazzi, La nuotata 2 Ciao Eros. E grazie per quello che ci hai insegnato Eros non c’è più. Io la morte non la auguro a nessuno, ma sono sempre più convinta che quelle persone meritino la vita molto meno di quelli come Eros, che ne è stato privato, che se l’è sentita portar via giorno dopo giorno, ora dopo ora. E proprio per questo l’ha gustata più che ha potuto, e ne apprezzato il sapore: unico. E irripetibile. Di fronte alla sua morte, devo ammettere che non è solo straziante contemplare lo spazio vuoto che ha lasciato nell’universo, ma anche vedere due mondi così vicini e così opposti: da un lato persone che hanno tanta voglia di vivere, dall’altro altre che non si rendono conto dell’opportunità che è stata donata loro. La cosa che mi fa pensare ancora di più è che molte di queste ultime conoscevano Eros, potendo così toccare con mano la fragilità della vita, ma nonostante questo continuano imperterrite per il loro sentiero come se niente fosse successo. Allora arrivo a pormi una domanda: “Perchè?”. Siete in grado voi di rispondermi? Perchè io non sono ancora riuscita a capacitarmi del motivo per cui costoro continuano a fare certe cose, ad assumere sostanze, a correre come matti in auto, avvicinandosi (e, cosa paurosa, CONSAPEVOLMENTE) sempre di più alla morte. Perché la vita è una sola e che va vissuta fino in fondo, perchè tutto ciò che scriviamo nel “nostro diario” è indelebile e non lo potremo più cancellare: farà per sempre parte della nostra storia. Unica. E irripetibile. Né da noi, né da nessun altro. Il mio augurio, a me e a tutti, é che sappiamo apprezzare e vivere la vita con la stessa forza con cui Eros avrebbe voluto continuare a farlo; facciamo tutto ciò che è in nostro potere, spacchiamo il mondo finché possiamo, dimostriamogli quanto valiamo, facciamolo in omaggio a Eros. Facciamolo per le persone a cui vogliamo bene e per quelle che ci hanno lasciato. Ma soprattutto per noi stessi, perchè non c’è niente di più bello che guardarsi indietro un giorno e vedere quanto sia ricca e meritevole la nostra storia. Non voglio essere fraintesa, è umano essere curiosi e voler provare e sapere cose delle quali si conosce poco o niente; ma bisogna anche riconoscere i propri limiti, accorgersi di quando è il momento di fermarsi. Capisco che può essere difficile, ma io, ad esempio, certe emozioni, come quelle che dicono si provino ad assumere sostanze stupefacenti, mi impongo di non volerle conoscere; non nascondo la mia curiosità, ma conosco anche la paura: paura di non riuscire a tornare più indietro, come succede a molti, troppi adolescenti come me. Quello che ci scivola dalle mani non riusciremo più a riprenderlo, perciò afferriamo al volo ogni possibilità, ogni occasione. Il treno passa solo una volta, e se parte senza di noi non tornerà più indietro a prenderci. Non aspettiamo di toccare il fondo prima di risalire. Più rimandiamo più la salita si allunga e diventa faticosa. Quante volte la voglia di adrenalina ci porta ad appesantire il piede mentre si guida; è normale anche questo; l’adrenalina è una droga naturale che produce il nostro corpo dandoci piacere e della quale si sente il bisogno. Ma dobbiamo in continuazione renderci conto dei limiti, quei limiti che non devono essere oltrepassati, perchè la vita ci porrà sempre di fronte ad un bivio: e solo noi possiamo decidere quale percorso scegliere. Pensiamo ogni tanto a Eros. Per ricordarlo. E perché lui ci ricordi tutto questo. “Gli angeli vengono se tu li prendi, e quando arrivano ti guardano, ti sorridono e se ne vanno, per lasciarti il ricordo di un sogno lungo una notte ma che vale una vita. Vivilo in fondo, perchè lui non torna più.” Non so a chi sia successo di assistere ad uno spettacolo come quello che ho citato prima dei due mondi opposti, ma so che per me è veramente vomitevole. Sapere che esistevano persone come Eros, che era pieno di vita e gioia, che non aveva mai perso il sorriso, che nonostante tutto ha sempre continuato a studiare. E nello stesso tempo vedere che esistono persone che non solo se ne fregano dello studio (ma fino a qui la cosa non è nemmeno così grave: al massimo faranno i lavavetri), ma anche e soprattutto non si rendono conto dell’enorme dono che è stato dato loro: VIVERE. E lo buttano via con la stessa facilità con cui si getta un bicchiere di plastica dopo aver bevuto. Ciao Eros, ti rincontreremo un giorno. Greta Moschini 3 Alle origini della crisi economica: dai mutui ai subprime Secondo Joseph Stigliz, Nobel per l’Economia 2001, la crisi che ha travolto le borse e le economie mondiali costerà, complessivamente,circa 1.000 miliardi di euro: 4 volte il Pil dell’Austria o l’equivalente di 200 maxi transatlantici. Per rendersi conto dell’enormità del problema, non bisogna essere degli economisti. Grandi banche come la Lehman Brothers sono fallite, altre come la Goldman Sachs sono state salvate dai governi che (con i soldi dei contribuenti) hanno ripianato parte dei debiti. Ma i problemi non sono rimasti nelle tasche dei grandi speculatori: molte famiglie si sono trovate alle prese con mutui sempre più opprimenti e, secondo il Financial Times, 6 nazioni rischiano ancora oggi la bancarotta: Islanda, Pakistan, Argentina, Ucraina, Kazakistan e Turchia non sarebbero più in grado di far fronte ai debiti contratti con gli altri Paesi. Ma come ha potuto crearsi una crisi che mette a rischio persino l’economia di interi stati? Per dare risposta a questa domanda bisogna recarsi negli Stati Uniti. Lì qualche anno fa comprare casa risultava un ottimo investimento: i tassi d’interesse erano bassi e le rate erano sopportabili. Il valore delle case era in continuo aumento. Comprare un immobile costituiva quindi un buon investimento. Dal canto loro, le banche facevano di tutto per mantenere questo clima di ottimismo generale: confidando nella costante crescita dei prezzi delle abitazioni, offrivano mutui pari al 100% del valore della casa. Non solo: pensando che il tasso d’interesse sarebbe rimasto basso, le banche avevano spinto i clienti a stipulare mutui a tasso variabile, meno costosi nell’immediato. Oltre a ciò, ricevendo per ogni mutuo emesso una cifra importante, esse iniziarono a prestare soldi anche a chi aveva difficoltà a pagare le rate: ed ecco i “subprime”: prestiti su prestiti, cioè debiti su debiti. Tutto è andato bene fino a quando, nel 2007, la bolla è scoppiata: i prezzi delle case hanno iniziato a diminuire, molte famiglie si sono trovate con un mutuo più alto del valore effettivo del loro immobile e hanno smesso di pagare le rate. Ma non è stata solo l’euforia dell’erogazione dei mutui la causa della crisi economica. L’invenzione finanziaria che ha causato il crollo delle borse è stata la “cartolarizzazione”. Grazie a questa operazione i mutui sono stati “impacchettati” dalla banca che li ha erogati e ven- duti come obbligazioni. In pratica: se la banca “A” ha concesso un mutuo al sig. Rossi di un milione di euro, ha potuto vendere in Borsa l’equivalente in obbligazioni che avrebbero dovuto rendere un buon interesse a chi le comprava. Le banche hanno così suddiviso i loro crediti in centinaia di altre banche che hanno fatto lo stesso. Così facendo, le banche hanno erogato sempre più mutui subprime sapendo che il debito sarebbe stato accollato ad altre banche. E’ stata questa compravendita dei debiti che ha portato alla crisi: quando i prezzi delle case sono diminuiti si è capito che i mutui subprime rischiavano di non essere rimborsati. Di conseguenza le obbligazioni hanno perso valore e nessuno ha più acquistato questi titoli. La caduta delle banche è dovuta anche al meccanismo contabile “mark to market” che obbliga le società a registrare le attività nei libri contabili al valore reale. E dato che le attività di una banca sono di tipo finanziario, quando il loro valore crolla, iniziano i guai. Guai che presto si estendono a tutto il sistema economico. Non sapendo quanto le loro “sorelle” erano a rischio e quindi se erano o no in grado di restituire i prestiti richiesti, le banche hanno smesso di prestarsi denaro a vicenda paralizzando così il mercato. Nelle Borse di tutto il mondo si è perciò scatenato il panico. Le azioni delle banche sono crollate. I clienti che hanno messo in banca il proprio denaro l’hanno chiesto indietro. In tale situazione è stato possibile che qualche banca (solitamente nessun istituto di credito ha il denaro liquido per soddisfare molte richieste in una volta) fallisse. Ma il fallimento ha creato enormi problemi a tutti gli istituti di credito che avevano erogato prestiti, iniziando un pericoloso effetto domino. Il nostro paese soffrirà molto di questa crisi? Un po’ meno di altri, secondo Guido Tabellini, rettore dell’università Bocconi di Milano: la sua arretratezza economica permetterà al nostro paese di essere colpito solo in parte da questa catastrofe. Ma gli effetti comunque si avvertono: il calo vistoso dei consumi e degli ordinativi aziendali, l’aumento della cassa integrazione e, ancora peggio, dei licenziamenti e quindi della disoccupazione. Matteo Andreoli 4 L’Expo 2015 come la Fiera, ovvero la Milano da mangiare Con l’assegnazione di Expo 2015 a Milano, avvenuta il 31 marzo 2008, una montagna di quattrini arriverà nella metropoli milanese. Questo capitale servirà alla preparazione e alla gestione dell’esposizione universale del 2015, intitolata “Nutrire il mondo, energia per la vita”. Essa avrà una durata di sei mesi e si terrà in un’area, ora agricola, adiacente al polo fieristico Rho-Pero. Dal primo maggio 2015 al 30 ottobre dello stesso anno si stima che accederanno all’Expo 29 milioni di visitatori da tutto il mondo, con una media quindi di 160mila visitatori al giorno. In funzione dell’evento verranno accelerate diverse grandi opere infrastrutturali, verranno ristrutturati alcuni quartieri e ne verranno edificati di nuovi. Expo 2015 viene venduto da centrodestra, da centrosinistra e da tutte le istituzioni coinvolte come una grande opportunità, ma si sta configurando, in realtà, come una sciagura, vista la cementificazione selvaggia, e il consumo di territorio che comporta, e vista la creazione di infrastrutture inutili che, di fatto, aumenteranno il traffico già oggi insopportabile nel capoluogo lombardo. Per l’organizzazione dell’evento molto si attinge dal modello Fiera, non a caso, infatti, la candidatura di Milano è stata sostenuta in prima linea, oltre che dalle istituzioni locali, dalla Fondazione Fiera. Oggi come allora, quando si costituì Fondazione Fiera, sono molteplici le promesse fatte per costruire un “immaginario” adatto a vendere al pubblico il prodotto Expo: Fiera aveva promesso 40mila posti di lavoro, Expo ne promette 70mila. Fiera avrebbe migliorato la mobilità con l’arrivo della metropolitana a Rho, mentre Expo migliorerebbe la viabilità milanese con la realizzazione di TAV e di numerose bretelle autostradali e tangenziali. Fiera avrebbe rilanciato il commercio, il settore alberghiero e le aziende dell’indotto, così come Expo rilancerebbe l’economia della Lombardia in tutti i settori. Oggi per chi vive nel territorio intorno alla Fiera è chiaro che le tutte promesse sono state disattese: pochi posti di lavoro precari, saltuari e in nero, una metropolitana accessibile non ai cittadini ma solo al servizio Fiera, una mobilità disastrosa che crea ingorghi su tutte le strade del circondario e un indotto sul terri- torio pari a zero, poiché né nell’ambito del commercio né nell’ambito dei servizi si è avuto un riscontro positivo dall’inizio dell’attività di Fiera. Non finisce, però, tutto qui: col metodo degli appalti a “scatole cinesi” (general contractor) i cantieri di costruzione di Fiera sono stati invasi dal lavoro in nero. Lo stesso metodo verrà adottato per Expo, dato il periodo di tempo molto ristretto, in cui contano i tempi di costruzione e i costi, non i diritti dei lavoratori e la qualità delle opere. Ma oltre il danno la beffa: non solo Fiera non avuto le ricadute positive sul territorio che erano state sbandierate, ma questa fondazione non ha nemmeno pagato l’ ICI e le tasse sullo smaltimento dei rifiuti, aprendo diverse vertenze col comune di Rho, su cui il TAR si è espresso, nel corso del tempo, dando ragione a quest’ultimo. Cementificare, cementificare, cementificare: sembrano queste le parole d’ordine degli affaristi che traggono guadagno da Expo 2015. Expo, infatti, non verrà realizzato all’interno del solo polo fieristico Rho-Pero, ma anche nell’area Fiorenza, su un terreno agricolo grosso quanto la fiera ad esso adiacente. Dopo aver costruito i capannoni espositivi, alla fine della manifestazione, nel 2016, questi saranno abbattuti e i proprietari potranno costruire un nuovo quartiere esclusivo in quell’area, in una città come Milano dove sono attualmente presenti più di 90mila abitazioni sfitte. Sarebbe poco distruttivo se Expo si limitasse a questo: infatti esso prevede la costruzione di un nuovo quartiere a Cascina Merlata, all’insegna della speculazione edilizia promossa dal comune. Ora è il tempo di dire che l’”immaginario” costruito intorno a Fiera era finto. I cittadini di questo territorio, in vista di Expo 2015, non si possono più ingannare con le false promesse a reti unificate come è stato fatto per Fiera. Ora è il tempo di capire l’altra faccia di Expo, è il tempo di criticare quest’affare per pochi immobiliaristi e speculatori che va a tutto discapito della collettività. Cristian Chignola 5 Staminali, presente e futuro: la scienza oltre l’etica? “Le scelte relative alla ricerca scientifica non devono essere basate sull’ideologia. Come persona di fede penso che siamo chiamati a prenderci cura gli uni degli altri e a lavorare per alleviare le sofferenze umane”: così Barack Obama ha espresso il suo pensiero durante una celebrazione alla Casa Bianca dinnanzi a scienziati, deputati, premi nobel e celebrità, firmando un ordine esecutivo per delineare le linee guida dell’amministrazione in materia di rapporto tra scienza e politica e revocando i limiti ai finanziamenti alla ricerca sulle staminali embrionali decisi da George W. Bush e in vigore da otto anni. Esprimendo questa sua opinione Obama ha gelato i rapporti con il Vaticano, il quale incarna una posizione più conservatrice volta al totale rispetto dell’embrione, ritenuto vita fin dall’atto della fecondazione, sul quale quindi non è possibile effettuare sperimentazioni e ricerche scientifiche; la vita, intesa in questo modo, secondo la Chiesa, non può essere “calpestata” e “violata”, termini che, secondo il mio parere, non dovrebbero essere usati nell’ambito dei rapporti tra ricerca scientifica e etica, in quanto non è certo scopo della ricerca violare i diritti dell’essere, sarebbe più corretto, a mio avviso in questo momento, porre un limite tra ciò che si ritiene vita e ciò che non lo è ancora. In Gran Bretagna la ricerca sulle cellule staminali è del tutto legale se effettuata entro 14 giorni dalla fecondazione; un tempo più che sufficiente per ricavare cellule staminali embrionali totipotenti, per le quali non è possibile superare i 5 giorni, altrimenti la loro qualità totipotente verrebbe compromessa. Le staminali sono state scoperte per la prima volta in Canada negli anni Novanta da uno staff di ricercatori capitanati dal professor Weiss; questi ricercatori, studiando il ruolo di alcuni fattori di crescita, individuarono le cellule che, isolate dal cervello dei roditori adulti, proliferavano attivamente in coltura. Intuirono che si trattava di una scoperta importante. Da quel momento in poi la ricerca scientifica non si è fermata ed ha continuato a a dialogare con la bioetica al fine di poter ottenere finanziamenti dai governi e in vista di ulteriori scoperte che avrebbero apportato benessere al campo biomedico. Le staminali sono cellule indifferenziate che possono assumere differenti “specializzazioni”, per questo vengono definite totipotenti o multipotenti a seconda dell’elemento da cui sono state ricavate, infatti le cellule staminali si possono trovare oltre che nell’embrione, anche all’interno del midollo osseo, del cervello, del fegato e dei tessuti epiteliali (epidermide) nel corpo adulto e inoltre recenti studi hanno trovato staminali anche nel sangue placentare. Dagli embrioni si ricavano staminali totipotenti le quali, una volta moltiplicate, si pensa sarebbero in grado di assumere qualsiasi tipo di “configurazione” all’interno del corpo umano, in modo da poter guarire malattie neurodegenerative, come l’ Alzhaimer e il Parkinson, e poter compensare la funzione dei differenti tessuti umani. Per evitare le barriere etiche e politiche in fatto di cellule staminali embrionali, gli scienziati stanno tuttora cercando e hanno trovato fonti alternative, come nel caso di alcune regioni del corpo umano adulto e del sangue placentare. Le staminali, questa volta multipotenti, provenienti dal midollo osseo, possono produrre normalmente globuli rossi e a loro volta cellule del midollo osseo; inoltre recenti studi statunitensi hanno identificato staminali ricavate dal midollo osseo in grado di differenziarsi in altri tipi di cellule, ma questi risultati sono ancora in fase di sperimentazione. L’ultima fonte possibile di cellule staminali è il sangue normalmente eliminato durante il parto, proveniente dal cordone ombelicale. Negli ultimi tempi, a questo proposito, nei paesi che lo permettono, si stanno moltiplicando le imprese che conservano il cordone ombelicale e il sangue della placenta nell’eventualità che il bambino si ammali. Inoltre staff medici sostengono che le cellule così raccolte potranno essere utilizzate per curare problemi sanguigni, come la leucemia, alcuni disturbi genetici e immunitari, altre gravi malattie vascolari o cerebrali, oltre che il morbo di Parkinson, il diabete e la distrofia muscolare. La particolarità di queste cellule staminali multipotenti è quella di poterle ricavare senza dover toccare la madre, il bambino e neppure l’embrione, evitando, come dicevo prima, particolari implicazioni etiche. Nel caso delle cellule staminali embrionali è interessante chiedersi da dove provengano gli embrioni che possono essere utilizzati nella ricerca oltre i 100000 che sono già conservati in congelatori all’interno di specifiche “banche”. La provenienza degli embrioni è particolarmente soggetta a polemiche di varia natura religiosa ed etica. Essi possono derivare da una spontanea decisione della madre di offrirli e, se questo non è possibile, vengono creati in laboratorio tramite fecondazione di vari ovuli, alcuni di questi vengono impiantati nella madre, altri vengono congelati nel caso in cui dai primi si abbia un insuccesso. Nel caso di successo la madre può decidere se far crescere l’embrione, donarlo a favore della ricerca oppure eliminarlo definitivamente. Una sorte diversa tocca agli embrioni congelati: la decisione di eliminarli o di tenerli spetta sempre alla coppia donatrice, ma purtroppo spesse volte le coppie si dividono, cambiano casa, cambiano cognome e in questo caso il futuro degli embrioni congelati non può essere determinato. Una seconda fonte di staminali, molto più bersagliata da polemiche e da critiche, è la creazione di embrioni unicamente volti alla ricerca di nuove cure, senza 6 quindi impiantarli in una madre. Esiste infine un ultimo modo di ottenere embrioni umani, ancora più protagonista di diatribe etiche, basato sull’utilizzo della tecnica della clonazione. Questa tecnica consiste nella creazione di un embrione umano contenente la composizione genetica completa di una persona in vita. Se fosse trapiantato nell’utero di una donna, l’embrione potrebbe tecnicamente trasformarsi in un clone (cioè una copia geneticamente uguale) di quella persona. Se fosse utilizzato per compiere ricerche, l’embrione fornirebbe cellule staminali per la cura di alcune malattie. Tuttavia lo scopo della ricerca scientifica per le cellule staminali non prevedrebbe la formazione di cloni umani. Comunque sia riguardo la clonazione Barack Obama ha confermato la sua disapprovazione all’utilizzo del metodo, che non è legalmente consentito negli U.S.A. Ciò che è sicuro è che grazie al presidente democratico degli Stati Uniti d’America la ricerca, almeno in questo paese e in pochi altri con leggi chiare a riguardo, può procedere e in alcuni casi, grazie al suo progredire, si assiste a nuove metodologie che risolvono questioni etiche riguardo il diritto alla vita degli embrioni (si veda per esempio i risultati ottenuti dalle staminali provenienti dal midollo osseo). Sarebbe meraviglioso se in un mondo futuro, nel quale nuovi mezzi e tecnologie riuscissero ad assicurare la vita senza che questa fosse compromessa dalla scienza, la ricerca si potesse sviluppare senza vincoli e ostacoli. Certamente per adesso un mondo utopico, ma reso, in un certo senso, più verosimile dall’impegno di Barack Obama nei confronti di tutto il mondo. Coltura di cellule staminali al microscopio. Ecco come appare al microscopio elettronico una coltura di cellule staminali estratte da un embrione. Sviluppate in coltura, queste cellule si trasformano rapidamente nei principali strati di tessuto delle pareti embrionali. Francesco Coghi A volte c’é bisogno di aiuto molto più difficili da controllare e ormai parecchio diffusi… Gli attacchi d’ansia ad esempio. ”L’ansia, presa a sé, è un fenomeno del tutto normale in quanto è un’emozione che prepara ed attiva l’organismo in situazioni che potrebbero essere pericolose. Diviene invece un disturbo emotivo spiacevole quando lo stato di allarme e paura è “esagerato” rispetto ai reali pericoli o se i pericoli non ci sono affatto. In questo caso l’ansia non è adattiva, ma diventa un problema che può rendere la persona incapace di controllare le proprie emozioni e di affrontare anche le situazioni più semplici. Il disturbo d’ansia può essere un disagio psicologico a sé stante oppure un sintomo di altri disturbi psicologici (ad es. depressione). Può manifestarsi a livello emotivo come attesa con apprensione, preoccupazione ed insicurezza, anticipazione di eventi negativi, e a livello fisico con aumento del ritmo cardiaco, sudorazione, spasmi muscolari, pallore, tremori, vertigini; nei casi più estremi anche con reazioni di fuga, immobilizzazione, sensazione di soffocamento o di costrizione toracica.” Per noi ragazzi di questa generazione il dialogo con i genitori sta diventando sempre più difficile, o per la loro quasi totale assenza a causa del lavoro, o al contrario per la loro costante presenza, quasi ossessiva. Sempre più giovani sentono allora la necessità di confrontarsi con qualcuno che non appartenga al proprio nucleo familiare, che non esprima opinioni “da genitore”, con cui perciò sentirsi liberi di parlare del proprio mondo senza limiti, senza scuse, senza paure, senza bugie. Ciò che noi giovani chiediamo è di non essere giudicati, ma di essere capiti e aiutati, lasciandoci fare le nostre esperienze e le nostre scelte, vogliamo essere liberi… Persino liberi di sbagliare. Ma nonostante tutta la libertà e l’autonomia che pretendiamo, necessitiamo in alcuni casi di una figura di riferimento, possibilmente di un adulto. Si parla a volte di situazioni molto complesse, che si distaccano da un semplice pianto per un ex, senza nulla togliere a queste esperienze. Ciò di cui intendiamo parlare sono problemi 7 Questa è la definizione di ansia che ci offrono i siti internet sulle problematiche psicologiche giovanili. A leggere i sintomi elencati uno di fianco all’altro sembrerebbe quasi impossibile che il fenomeno sia così diffuso; e invece è più comune di quello che si crede e soprattutto sopraggiunge inaspettatamente. Nella maggior parte dei casi, bastano una parola sbagliata o un fraintendimento che si sommano ad altre problematiche già presenti e quella parola in più diventa la goccia che fa traboccare il vaso. Spesso si sottovalutano i problemi dell’adolescenza a partire sin dai cambiamenti fisici che creano un trambusto sia ormonale che psicologico. Si incomincia a faticare ad accettarsi ed iniziano ad essere imposti dei canoni di bellezza a cui si cerca di adeguarsi in tutti i modi, anche sacrificando la propria salute. Infatti al secondo posto tra i problemi psicologici giovanili troviamo i disturbi alimentari. “Si tratta di comportamenti inadeguati che riguardano l’assunzione del cibo. Un normale atteggiamento è costituito dal mangiare per soddisfare le proprie esigenze nutrizionali, attraverso la soddisfazione dello stimolo della fame. Le persone affette da disturbo alimentare, al contrario, possono continuare a mangiare anche se si sentono sazie (bulimia) o smettere di mangiare no- nostante siano sottonutrite (anoressia). Spesso non avvertono questi normali stimoli (fame e sazietà), o, nel caso in cui li avvertano, sentono la necessità di soddisfare altri bisogni attraverso il loro comportamento alimentare.” Ecco alcuni dei motivi per cui i giovani cercano un appoggio costruttivo e non invasivo, che possono trovare nella figura dello psicologo o analista. Quest’ultimo non deve essere definito volgarmente “strizzacervelli” e non deve essere visto come il ricorso ad un aiuto eccezionale perché si è fuori dalla normalità. Aver bisogno di parlare con uno psicologo è una macchia da portare addosso come una lettera scarlatta, ma deve essere considerata come un’opportunità per viversi meglio, con più serenità e consapevolezza delle emozioni che si provano e del valore delle cose che ci circondano. Non consideriamoci fragili solo perché abbiamo bisogno di essere ascoltati, e non definiamoci forti solo per non volere ammettere di aver bisogno di qualcuno. Ambra Fusaro (con la collaborazione di Fabiola) Pacchetto sicurezza o misure xenofobe? La crisi colpisce tutti: sia italiani che stranieri, quest’ultimi però sono quelli che subiranno le conseguenze della recessione più degli italiani. Infatti, al contrario di questi ultimi, se perdono il lavoro rischiano di non poter più rinnovare il permesso di soggiorno, in quanto, per poterlo rinnovare, devono dimostrare di avere un lavoro. Nel caso in cui perdano il posto di lavoro, all’atto del rinnovo gli verrà rilasciato un permesso per attesa occupazione valido sei mesi. E se dopo sei mesi non avranno ancora trovato lavoro? In questo caso rischiano di diventare clandestini, anche se sono molti anni che lavorano in Italia e si sentono ormai parte di questo Paese. Mentre scrivo, in Parlamento si sta discutendo sull’approvazione del ddl 733, il cosiddetto “Pacchetto Sicurezza”, che prevede oltre a un generale inasprimento delle pene previ- ste per il reato di clandestinità, anche tutta una serie di norme che a tratti rasentano il razzismo. Questi sono alcuni dei punti controversi presenti nel “pacchetto sicurezza”: Ingresso e soggiorno irregolare: Si introduce il reato di ingresso e soggiorno irregolare per cui è prevista un’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Inoltre è prevista la possibilità di rimpatrio senza il rilascio del nulla osta da parte dell’autorità competente. Iscrizione anagrafica: Sarà richiesta, per l’iscrizione o la variazione della residenza anagrafica, la certificazione dell’idoneità alloggiativa. Moltissime abitazioni, anche tra quelle reperibili dietro lauto compenso nel mercato privato, non potranno rispondere a questo criterio. Ecco uno dei provvedimenti che andranno ad intaccare i diritti dei cittadini migranti, dei comunitari e degli stessi cittadini italiani. Esibizione del permesso di soggiorno: Si introduce la necessità di esibire il permesso di soggiorno per tutti gli atti di stato civile. Ciò significa che anche il semplice ma sacrosanto diritto di riconoscere un figlio verrà sottoposto al filtro della richiesta del permesso di soggiorno. Soppressione del divieto di segnalazione: I medici ed il personale ospedaliero potranno segnalare all’autorità competente, ai fini dell’espulsione, gli stranieri senza permesso di soggiorno, ed in possesso quindi della tessera Stp, che si recheranno presso le strutture ospedaliere. 8 curare o di riconoscere un figlio. Ci sono poi delle disposizioni veramente controproducenti: il punto sulla segnalazione ad esempio non mette in pericolo il singolo clandestino ma tutta la comunità, perché questi in mancanza di cure potrebbe ad esempio trasmettere una malattia contagiosa. Cosa farà allora il governo? Prenderà coscienza in ritardo? Forse allora potrebbe essere troppo tardi. Qualcuno si sta rendendo conto della gravità della situazione, che questo decreto è inaccettabile e deve essere assolutamente rivisto, e per questo motivo ha deciso di contrastare il “Pacchetto Sicurezza”. A questo scopo sono nati in modo spontaneo dei coordinamenti dei migranti, i quali promuovono informazioni sul loro stato e sulle difficoltà che incombono su di loro, se entreranno in vigore certe norme di questo decreto. Per far sentire la loro voce, attualmente stanno organizzando una manifestazione nazionale per il 23 Maggio a Milano. Hanno una grande forza, e sono tutti d’accordo su un punto: dopo essere arrivati in Italia guardando la “morte in faccia”, non torneranno nei paesi d’origine, anche se dovessero rimanere qui in condizioni di clandestinità. Un contributo da 80 a 200 euro: Per tutte le pratiche relative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno si dovrà versare questo contributo economico; si ricorda che, attualmente, Chi richiede il rinnovo paga già più di 70 euro e deve aspettare almeno un anno per avere il permesso di soggiorno anche se la legge prevede il rilascio in 20 giorni dalla richiesta di rinnovo. Esibizione dei documenti: Arresto fino ad un anno e multe fino a 2.000 euro. Cancellazione anagrafica: E’ prevista dopo sei mesi dalla data di scadenza del permesso di soggiorno. Permesso di soggiorno a punti: E’ disposta l’istituzione di un accordo di integrazione articolato in crediti da sottoscrivere al momento della richiesta di rilascio del permesso di soggiorno. I criteri e le modalità verranno stabiliti da un apposito regolamento. Non so che ne sarà di tutte queste proposte, dato che ogni giorno qualche politico se ne esce con nuove trovate oppure dichiara che questa o quella disposizione verrà cancellata. Una cosa però posso dire a questo punto della discussione: a me sembra che con provvedimenti di questo tipo si voglia affermare che gli stranieri sono solo braccia da lavoro (possibilmente in nero...) e nient’altro, violando così anche i diritti più elementari della vita, come il diritto di potersi Anwara Chowdhury Didascalie d’autore Gli alunni della classe 3S, hanno scritto delle didascalie d’autore a partire dall’immagine che qui proponiamo relativa al terremoto in Abruzzo, un modo come un altro per ricordare la tragedia che ha colpito il cuore dell’Italia. 9 “Camminando a Testa Alta” di Viola Banzi Si dice che la speranza sia l’ultima a morire, e io voglio crederci, anche se la vita vuole farmi pensare il contrario. Come si può dire a coloro che hanno perso tutto di continuare a sperare? Aprile 2009, è notte, la città dorme e la terra trema, nel giro di pochi istanti l’Aquila si sveglia e perde vite umane, case e futuro. Gli abitanti non sperano più. Se lo Stato non si dimenticherà di loro, potranno tornare alla normalità nel giro di una decina d’anni, altrimenti vivranno in un città fantasma per sempre. Mentre le vite perse non torneranno. I bambini rimasti senza genitori non potranno più abbracciare la loro mamma e il loro papà, però continueranno a vivere e dovranno guardare avanti, bisognerà farlo. Oltre ai detriti, alle macerie. Guardando verso un domani in cui il passato sarà solo passato. Dovranno pensare che non sono soli, tutto il paese è con loro. E’ in questi momenti che l’Italia è unita. E’ lutto nazionale. Non si può più perdere tempo a cercare un colpevole, a trovare prove per dimostrare se questo disastro poteva essere evitato. Ora è troppo tardi. Un Volontario cammina portando sulle spalle una croce, i suoi occhi hanno visto la disperazione delle persone. Donne,uomini,fanciulli in silenzio a chiedersi se tutto questo avesse un senso, se “qualcuno” si fosse dimenticato di loro. Per andare avanti bisogna solo rompere questo silenzio, riuscire a camminare di nuovo a testa alta, con la fiducia sul volto, trasformando la rabbia e il rancore in forza di volontà, per cambiare le cose. Ogni singolo aiuto, ogni piccolo contributo, è un passo verso la luce,una spinta fuori da questo vortice di macerie, che ha voluto sconvolgerci la vita. La Speranza è l’ultima a morire. “Una Nazione in lutto” di Ambra Fusaro 6 Aprile 2009 la terra trema, questa volta ha colpito l’Abruzzo con scosse che hanno superato il 5° grado d’intensità anche nei giorni successivi. Ogni giorno aumentavano i morti; bambini, ragazzi, adulti, il loro ultimo respiro è stato di polvere. “Centro storico dell’Aquila distrutto - Crollate centinaia di case - Allestita una tendopoli nel campo sportivo per i senzatetto” questo si sentiva ai telegiornali. Tutto il resto dell’Italia ha inviato volontari in soccorso, ha aiutato come poteva. E chi non poteva far nulla leggeva giornali, seguiva le notizie in TV, pregava. Un brivido gelido percorreva la schiena il giorno dei funerali: 250 bare disposte in 4 file, e quelle piccole bare bianche disposte sopra a quelle delle madri per un ultimo abbraccio di legno. Scorrevano le immagini di persone in lacrime disperate e sopra di esse i nomi dei nostri fratelli che ci hanno salutato in questa disgrazia. Legge i nomi… L’età... 3, 4, 19, 20 anni, erano il futuro, erano giovani e il loro cuore si è fermato, spesso senza che loro se ne accorgessero. Nonni che piangevano per la perdita del nipote. Quant’è ingiusta la vita a volte. Ora non ci rimane che pregare e rivolgere il nostro pensiero a tutti coloro che lavorano da settimane in mezzo ai resti di un paese. Afflitti dal dolore, portando il loro fardello, ancora scavano alla ricerca di corpi da riunire alle proprie famiglie. Immagini agghiaccianti riempiono i nostri schermi da settimane, i giornali propongono foto in prima pagina in tutte le edizioni come questa di un Vigile del fuoco con in mano una croce… Momenti catturati di questa tragedia che ci lasciano riflettere… Che non scorderemo mai. Una nazione unita da questo profondo dolore... Una nazione in lutto per la perdita dei suoi cittadini in una catastrofe naturale. Quant’è ingiusta la vita a volte. “L’Italia chiamò” di Gabriel Wiwoloku Basta guardare i loro sguardi per comprendere la loro determinazione, perché loro sono volontari, nessuno li ha costretti ad intervenire, ma ognuno ha scelto tra l’agire e il non-agire. Prelevano e spostano i detriti alla ricerca di un respiro, sperando di non trovare altri cadaveri, non indugiano davanti ai pericoli di ulteriori crolli e continuano a scavare finché non acquisiscono le certezze di aver trovato quello che cercano. In un mondo devastato dalle ingiustizie si mostrano i veri eroi nel momento del bisogno, non super-uomini come nei fumetti, ma gente comune che mette a disposizione il proprio talento, la propria esperienza e persino il proprio denaro senza pensarci due volte esprimendo coraggio e generosità per salvare le vite di gente bisognosa. 10 Il terremoto in Abruzzo ha innescato un caso di solidarietà come solito avviene nella storia Italia, in cui tutti compresi i mega partiti (PD-PDL), si sono uniti in un unico movimento solidale che tende a rappresentare l’identità nazionale Italiana. Questa foto rappresenta la ferita inferta all’Italia, perché un disastro così imponente si poteva evitare. Non dovrebbero essere i volontari a portare le croci, ma coloro che avrebbero potuto prevenire questa catastrofe, i quali dovranno assumersi le loro colpe, anche per rispetto alle oltre 300 vittime di questa dolorosa pagina della cronaca Italiana. Ma intanto i volontari continuano a lavorare ed ad arrivare da tutt’Italia perché come recita l’inno di Mameli “L’Italia Chiamò” e gli Italiani hanno risposto. “Guardando avanti” di Giulia Casetta In piedi, con fatica. Un vigile del fuoco con una “croce”, un frammento di dolore tra le mani. Lo sguardo, diritto avanti a sé, racconta tormento e tante lacrime, ma soprattutto uno smisurato bisogno di darsi da fare, di non fermarsi a osservare la morte, di muoversi in fretta per cercare di riabilitare la gente alla vita. Camminano, i volontari, spostano brandelli di cuore e calce sperando di non trovare sorprese nascoste dalla polvere e dai detriti. Una strage d’anime, una mietitura di vite anzitempo, troppo crudele per poter rimanere impassibili. Questa ferita nella terra trasfigura il giorno in notte, dove le uniche stelle a brillare sono le lacrime, il sudore e il sangue degli abitanti e dei volontari, degli amici e dei parenti, di chiunque abbia visitato questo frammento d’inferno. Gli umori nell’aria sono come miriadi di note disperse su spartiti senza più un senso, ma gli accordi principali rimangono il dolore e la speranza. Speranza, sì, che nonostante il male che questa terra sta subendo, un giorno la vita possa tornare a suonare una melodia più sicura e meno sanguinante di questa. La mia esperienza di studente Ciao, sono Giacomo Tirelli e sono in quinta. Questo perciò per me è l’ultimo anno qui alle superiori e mi è venuta la malsana idea di scrivere un piccolo resoconto della mia esperienza di questi ultimi 5 anni. Partiamo dalla fine: il bilancio. POSITIVO. Non fate quella faccia, anche io fino a più o meno 2 o 3 giorni fa pensavo che andarmene da qui fosse la cosa più bella che mi potesse capitare, ma la stesura di questo articolo mi ha fatto riflettere su ciò che perderò andandomene e crescendo in generale. Gli anni delle scuole superiori sono a volte definiti come i più belli della vita di una persona, ed è vero! Quante cavolate abbiamo fatto? Quanti eventi epocali? I raduni con i motorini, la prima birra con gli amici, la prima volta che ci innamoriamo, la prima volta che ci viene spezzato il cuore (di solito dopo 10 minuti dalla voce precedente...), il trovare gli amici che ci seguiranno per tutta la vita e quelli che perderemo per strada, il primo 4, il confronto con i genitori e gli insegnanti. Questi 5 anni della nostra vita sono molto intensi in quanto passiamo dall’essere bambini al diventare persone adulte e, più o meno, mature. Parte fondamentale di queste esperienze avvengono nella scuola, che occupa praticamente la metà delle nostre giornate. Perchè anche se non lo volete ammettere la scuola non è fatta solo di libri e studio, ma anche di compagni e amici, di scherzi e battute e, perché no, chiacchierate durante le ore di lezione. Passando alla mia presenza nel “Dream Team” del giornalino voglio solo dire che è stato bellissimo lavorare con il professor Marozzi (che riesce quasi a sopportarmi, qualità che apprezzo davvero molto) sempre molto professionale ma aperto alla nostra mentalità giovanile piena di scherzi e battute. I miei colleghi giornalisti sono delle persone eccezionali e si impegnano molto perchè questo insieme di fogli di carta arrivi a voi due volte l’anno... E non è così semplice come sembra. Alla fine so che mi mancherà questa scuola, e se credete di no provate a pensare, guardando in faccia il vostro compagno di banco, che magari lui/lei andrà all’università in un’altra regione e non lo vedrete più per tutta la vita. Magari non accadrà, magari sì, quindi cerchiamo di goderci i momenti felici e sopportiamo un po’ quello che è la parte noiosa del tutto... Ciao a tutti e grazie! 11 Giacomo Tirelli Un “fantastico” scambio con degli studenti polacchi Nella settimana dal 21 al 28 marzo un gruppo di 16 studenti polacchi (3 ragazzi e 13 ragazze) e due insegnanti è stato ospitato da altrettanti ragazzi e insegnanti della nostra scuola. Il programma della settimana (visite “istruttive” dell’ITIS, dei palazzi Ducale e Te, del centro storico e non di Mantova, Verona e Venezia ma soprattutto l’immancabile visita all’industria di schiacciatine Bottoli!) ha visto i due gruppi di studenti scambiarsi confronti formativi da tutti i punti di vista. Non sono certo mancate le difficoltà, soprattutto dal punto di vista linguistico (durante l’intera settimana la lingua ufficiale è stata l’inglese) ma anche organizzativo, superate dalla cooperazione dei due gruppi, ed alla fine della settimana tutti, polacchi e italiani, si sono sentiti parte di un gruppo unico. Le relazioni intrecciatesi in questo scambio memorabile rimarranno come elemento importante di crescita umana e formativa: il diverso stile di vita, la differente formazione scolastica e la comunicazione con i ragazzi polacchi (durante la settimana noi italiani abbiamo imparato un po’ di polacco e viceversa), hanno permesso a entrambe le parti di aprire la mente ad un altro modo di vivere. In definitiva, uno scambio che ha permesso a tutti di avanzare di un altro passo verso la vita adulta, responsabilizzandoci e sensibilizzandoci soprattutto a proposito della civile convivenza nel mondo. Giulia Casetta 12 Il viaggio di istruzione a Monaco: una lieta sorpresa Il primo problema che si pone il rappresentante di classe, che è anche il motivo per cui vuole farsi eleggere, è scegliere la destinazione del viaggio che affronterà coi suoi compagni. Come sappiamo il problema che determina il fatidico 80% è principalmente di natura economica, ma quest’anno abbiamo trovato la città ideale che, a prezzi contenuti, unisce sapere e divertimento: Monaco di Baviera. Il 9 Marzo siamo partiti in autobus da Mantova, alla volta di Monaco chiedendoci cosa sarebbe successo nei giorni successivi. Bene: il nostro è stato un viaggio istruttivo e divertente che ha lasciato spazio sia a riflessioni che a momenti d’allegria. Dopo aver oltrepassato le Alpi si è aperto ai nostri occhi il tipico paesaggio dell’Europa centrale caratterizzato da un alternarsi di verdi praterie e di colline. L’arrivo a Monaco è stato accompagnato dalla neve, quindi, tutti infreddoliti, ci siamo subito diretti ad una prima esplorazione della città. Monaco è una città molto moderna che è stata in gran parte ricostruita dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Il centro storico è caratterizzato dalla grande cattedrale che racchiude al suo interno uno dei più grandi carillon del mondo. Oltre a questo non possono mancare vie suggestive accompagnate da bancarelle e, qua e là, da un tipico pub bavarese perché Monaco è la città della birra per eccellenza. Il giorno dopo abbiamo visitato il Museo della scienza e della tecnica, il più grande al mondo. Il museo si articola in diversi settori; i più apprezzati sono stati quelli della riproduzione di esperimenti di chimica e fisica, un percorso di qualche chilometro di rappresentazione di una miniera (meglio di Gardaland) e di una cellula, fino al gran finale dove abbiamo assistito alla riproduzione di un fulmine. Visto l’entusiasmo generale, abbiamo deciso di fermarci anche al pomeriggio per aver modo di visitare tutto il museo. la classica dieta tedesca. Nei giorni successivi ci siamo recati in altri dei numerosi musei accolti dalla città. Ma il momento più emozionante, quello che ci ha toccato di più, è stata la visita all’ex campo di concentramento, ora Museo alla memoria, di Dachau… Tra le nostre mete, per i più fanatici del calcio, c’è stato il passaggio davanti all’Allianz Arena mentre per gli amanti della musica rock, l’entrata all’Hard Rock Cafè dove sono in esposizione alcune chitarre e abiti degli artisti più famosi. Sulla strada del ritorno abbiamo fatto l’ultima fermata ad un antico castello del re di Baviera. Questo viaggio ha contribuito a rafforzare lo spirito di classe che è fondamentale per ogni studente. E lo consiglio a tutte le classi come meta per l’anno prossimo! Alla sera abbiamo cenato nei pub dove i camerieri vestono i tipici abiti bavaresi e dove abbiamo seguito 13 Sara Zamboni Una significativa visita a San Patrignano Nel mese di aprile noi di 3BME insieme con la 3TLT ci siamo recati in visita alla comunità di recupero per tossicodipendenti di S.Patrignano. Siamo stati da subito accolti molto calorosamente, e ben presto è scomparsa la nostra diffidenza per il passato di queste persone, che invece si sono rivelate molto aperte e socievoli e, dal nostro punto di vista, completamente uscite dal tunnel della droga dopo un percorso durato mediamente 4 anni. Dapprima siamo stati in visita alle cantine, dove viene prodotto un ottimo vino dalle vigne possedute dalla comunità, poi alla stalla da cui chi vive a San Patrignano ricava latte e carne da macello, e via via in tutti i laboratori di falegnameria, conceria, architettura ecc. Ciò che ci ha molto colpito è la perfetta organizzazione e sincronia sia tra i vari settori che tra le persone, ognuna delle quali ha un compito ben preciso. Nella comunità esiste anche un ospedale che è specializzato particolarmente sul virus dell’hiv, dove sono presenti le persone che hanno contratto la malattia, il cui primario stesso è stato “paziente” della comunità. All’ora di pranzo ci siamo recati in un enorme salone dove tutti si riunivano di ritorno dalle proprie sedi di lavoro; ogni cosa all’interno era prodotta all’interno della comunità: dalle posate e dai piatti fino alle panche, ai tavoli e ai cestini per il pane; persino ogni sorta di cibo proviene dalla comunità stessa che è in tutto e per tutto completamente autosufficiente. Tra le altre cose, ci ha stupito molto il fatto che i nostri accompagnatori che stavano ancora finendo il loro percorso di recupero si aprissero completamente con noi raccontandoci molto dettagliatamente la loro esperienza, con storie da lasciarci letteralmente a bocca aperta. Nel pomeriggio poi ci siamo trasferiti nel teatro dove ad aspettarci c’era un altro ex tossicodipendente che ci ha parlato della sua esperienza. Come ha fatto con noi, Mattia, questo era il suo nome, gira l’Italia per parlare e discutere con i ragazzi soprattutto per prevenire la tossicodipendenza. Con Mattia e altri giovani si è acceso un forte dibattito dove noi domandavamo e loro rispondevano completamente disinibiti a domande anche molto pesanti e personali, forse per impressionarci, o comunque sicuramente per farci riflettere. Ognuno di noi ha detto quel che pensava dopo aver ascoltato Mattia, e si è aperta una bella discussione, sicuramente costruttiva. Il discorso puramente scientifico sugli effetti degli stupefacenti, che più volte tutti abbiamo sentito, in questo caso non è stato affrontato, si è invece insistito maggiormente sul lato umano che dal mio punto di vista ha avuto molto più effetto perché quelle che ci venivano raccontate non erano storie di fantasia, era realmente il passato di quelle persone, in alcuni casi anche molto forte, nel quale credo nessuno si vorrebbe mai trovare: “quando ora passo nei posti dove da piccolo e da solo di notte andavo a farmi; mi vengono i brividi” ci ha detto Mattia, a sottolineare quali azioni sconsiderate si possono compiere quando ci si trova in certe situazioni. Era giunta l’ora di tornare, e dopo un veloce giro a visitare il canile, le scuderie con il campo d’equitazione, e il palazzetto dello sport dove abbiamo fatto una foto di gruppo, abbiamo salutato i nostri ospiti. Credo che ognuno abbia portato a casa qualcosa da quest’esperienza, chi più e chi meno, sicuramente quella che era partita come una gita poco entusiasmante si è rivelata al contrario molto interessante e istruttiva, che ci ha aperto gli occhi su un mondo per certi versi a noi sconosciuto ma con le porte completamente spalancate. E’ bene allora sapere cosa c’è al di là di quella soglia, sperando non ci sia mai bisogno di varcarla. Chiunque, prima di compiere azioni azzardate facendo male a sé e a chi gli sta attorno, si ricordi di San Patrignano. Io perlomeno lo farò… 14 Simone Favaro Malta, un dolce ricordo Il viaggio è finito, eppure quei momenti sembrano vivi più che mai in quei cinquantaquattro ragazzi che sono partiti il 26 aprile per Malta con tre professori e la dirigente. Gli otto giorni trascorsi in quel paese straniero hanno regalato mille emozioni, tanti ricordi da portare con sé e più disinvoltura con l’inglese. Infatti, essendo questo un viaggio studio, esso comprendeva quattro ore mattutine di lezioni in lingua Inglese presso la scuola EC di San Julien, in cui, dopo esser stati separati in diversi livelli in base ad un test di ingresso, parte di noi (i livelli: intermediate, high intermediate) hanno potuto conoscere il professore David, a cui molti mi hanno chiesto di dedicare almeno una frase di questo articolo, per la sua capacità di trattare argomenti complessi (la politica, l’emigrazione ecc) in una lingua diversa dall’italiano, e coinvolgerci nel mondo della poesia inglese. I pomeriggi sono stati trascorsi tra le vie di Sliema (in cui era situato il nostro albergo), di Valletta (la capitale, col famoso Giovanni Battista decollato di Caravaggio), Bugibba, Mdina (la città del silenzio in cui abbiamo visitato la cattedrale), tra i ne- gozi di San Julien, la sua spiaggia e la Golden Bay. Per spostarci da una città all’altra abbiamo utilizzato i tipici autobus pubblici maltesi, che scherzosamente avevamo definito del dopo guerra, con la seguente sorpresa: che risalivano agli anni 30! Mentre alla sera le mete preferite sono stati alcuni pub di San Julien (Empire, I love vodka, ecc) e le passeggiate sul lungomare di Sliema. Perfino il virus presente a Malta in quei giorni ha voluto darci il benvenuto colpendo il 31% degli alunni, provocandogli vomito e febbre. Ma con l’aiuto di una vicina farmacia, un po’ di riposo e l’assistenza di professori e preside, tutti hanno superato in pochi giorni l’indisposizione. Oltre a questo abbiamo saputo adattarci senza particolari problemi anche alle condizioni igieniche dell’hotel che non erano delle migliori. In questi otto giorni abbiamo potuto apprezzare la simpatia e l’allegria dei professori che ci hanno accompagnato: Stefania Colarossi, Davide Carrara, Stefania Ferrari. Tre guide che per la prima volta abbiamo potuto conoscere al di là dei banchi di scuola, scoprendone in parte il carattere e la gradita compagnia che questo trio affiatato ci ha regalato. Un grazie speciale va anche alla dirigente, Cristina Bonaglia, che ha saputo imporsi sui meno diligenti, con punizioni simpatiche, e ci ha trasmesso il senso della responsabilità con il sorriso. Malta è lontana, ma i sorrisi condivisi ci scaldano ancora la pelle abbronzata, le nuove conoscenze fatte tra le tre terze del tecnologico si possono cogliere ad ogni cambio dell’ora per i corridoi. La vita è tornata alla normalità, non ci sono più le chiacchiere prima di addormentarsi, la colazione tutti insieme, l’essere contati dalla preside, il fare shopping con la professoressa Colarossi, il vedere i monumenti con la professoressa Ferrari, l’andare in giro per locali col professor Carrara. Tutto questo è passato, ma tutti lo porteremo con noi come un bellissimo ricordo, reso indelebile dalle tante foto fatte insieme. Maura Malpetti 15 Una visita al museo “Leonardo da Vinci” di Milano È possibile rivivere la nascita e lo sviluppo dei sistemi di comunicazione, dai segnali di fumo ai cellulari passando per il telegrafo e la radio, in poco meno di due ore? La risposta è no. A meno di non trovarsi al Museo della scienza e della tecnica di Milano, il più grande museo tecnico-scientifico in Italia, con oltre 40.000 mq di spazio espositivo e circa 10.000 reperti. Il museo non si limita alle telecomunicazioni, ma tratta anche di trasporti, chimica, genetica, robotica, energia e ambiente, suono e biotecnologie, per non parlare di un intera galleria dedicata a disegni e progetti di Leonardo Da Vinci. Il tutto suddiviso nei cosiddetti “laboratori interattivi”, che consentono visite guidate da animatori e corredate da esperimenti e dimostrazioni eseguibili in prima persona. La visita risulta così molto interessante e affascinante. In conclusione, il Museo della scienza e della tecnica di Milano è una tappa consigliata a chiunque vada a Milano, e, come direbbe Giacobazzi, una “sbadilata di cultura” non indifferente. Alex Zenegaglia La prima volta di Radioitis Good Morning Itis è il suo nome, e rappresenta un progetto che la scuola sta promuovendo portando a scuola una delle innovazioni più grandi della storia della scuola italiana. Una decina di ragazzi, il prof. Franzetti, il Mauri e molta molta determinazione, è questo il mix che sta pian piano conquistando il cuore degli studenti della scuola. All’inizio tutti erano scettici su questo progetto, professori che si lamentavano per il casino creato dalla radio, alunni che la ritenevano inutile e banale, ma alla fine molti si sono dovuti ricredere, certo, non tutti perché niente è perfetto, ma è già un traguardo e soprattutto una soddisfazione per tutti noi che facciamo parte dello staff della radio quando studenti o magari professori ci fermano per congratularsi, per richiedere canzoni oppure per darci consigli che lo staff ascolta e cerca di integrare con il programma radiofonico, perché infatti ci sono molti difetti da correggere, esposizione coerente delle informazioni scolastiche e soprattutto il volume (magari aggiungendo qualche cassa in più). L’inventiva dei DJ è illimitata, interviste doppie stile “iene” con professori, humor, simpatia, annuncio dei compleanni e molto di più, i gruppi che s’alternano settimana su settimana e che hanno uno stile diverso che rende il programma un melting pot di idee. Nonostante tutto c’è chi ancora s’ostina a criticare, ma il progetto, forte del sostengo della dirigente prof.ssa Bonaglia, che concede ai DJ libertà di espressione (sempre nel rispetto delle norme etiche) senza limitazioni, sta accrescendo il numero dei sostenitori, professori che richiedono canzoni, studenti che ricordano ai DJ che il giorno successivo è il loro compleanno ponendo le basi per una continuazione del progetto nel prossimo anno scolastico. Radioitis ha saputo stupirci con questo inizio adrenalinico, anche l’anno prossimo non perdetevi le sue trasmissioni, e aiutateci a farla diventare sempre di più la radio di tutti. Gabriel Wiwoloku 16 A scuola di improvvisazione musicale Ogni giovedì pomeriggio quest’anno si sono svolti nel nostro istituto i laboratori di musica e teatro che hanno lavorato in contemporanea, ma in sedi separate, per confluire a fine anno nello spettacolo teatrale che molti di voi avranno visto. Il laboratorio di musica ha coinvolto circa venti studenti, che avevano già una certa esperienza in campo musicale, ed è stato diretto dal professor Signoretti, per gli amici “Cigno”, un autentico esperto sia nel settore musicale sia in quello teatrale. L’obiettivo principale che A SCUOLA DI TEATRO CON GIOVANNA E GLI ZEROBEAT si era posto questo nostro “direttore” era quello di insegnare agli studenti “l’arte” dell’improvvisazione. L’improvvisazione permette al musicista di non essere troppo legato allo spartito, e di seguire invece quello che accade sul palco accompagnandolo con la musica. Nello spettacolo finale il laboratorio di musica ha così creato la colonna sonora, che, come tutti (credo) sappiamo, è quella che dà più espressività alla scena. Ricordiamo per esempio il film “Il gladiatore” che senza quella colonna sonora non sarebbe mai rimasto nella storia del cinema come uno dei colossal più famosi. E’ stata decisamente una bella esperienza, arricchente sia sul piano umano che su quello musicale. A volte “inventare” è faticoso. Ma è sempre stimolante e ricco di soddisfazioni. Andrea Mazzocchi A scuola di teatro con Giovanna e gli Zerobeat Quest’anno i laboratori di musica, pittura, teatro e scrittura fisica di sono coalizzati per dar vita allo spettacolo del 19 maggio, con un maggiore numero di studenti partecipanti e migliorandosi rispetto all’anno scorso. Nelle prime lezioni di teatro e scrittura fisica, i laboratori hanno lavorato insieme per definire meglio la direzione dello spettacolo e per orientare verso l’uno o l’altro i ragazzi, ma questi ultimi hanno poi deciso di far parte di entrambi, trovandosi una volta a settimana per tre ore per prepararsi all’evento. Diego Devincenzi e Federico Ferrari del gruppo teatrale Zero Beat hanno coordinato la recitazione, insegnando dapprima qualche tecnica per ben utilizzare corpo e voce sul palco, passando poi ad esercizi mirati ad una presa di coscienza del proprio personaggio. Giovanna Venturini ha invece pensato alla parte di “danza”. Virgolettato perché non si tratta di danza classica né di un qualsiasi tipo di danza possa venire in mente, ma di movimenti, soprattutto a terra ma non solo, in coppia, in gruppo o solitari, che raccontano una storia, senza parole, ma con espressioni del corpo. Praticamente, Giovanna ha insegnato a noi studenti alcuni movimenti, inserendoli poi nello spettacolo che andava definendosi nella sua parte recitata, eliminando delle parti, modificandone altre, dando così senso compiuto alle parole non espresse. Tirando le somme alla vigilia dell’ultimo incontro, è stato un anno faticoso ma che ha dato i suoi frutti, che ha fatto crescere culturalmente, umanamente e creativamente sia noi sia i nostri “maestri”, con una responsabile collaborazione da ambo le parti. Ambra e Giulia Conoscere per prevenire: all’Itis un incontro di educazione alla salute “Ho visto morire due generazioni di mantovani.” Queste sono le parole che più hanno scosso le classi dell’Itis che hanno partecipato all’incontro sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Il 18 Aprile, nell’aula magna del Fermi si è infatti tenuto un incontro organizzato dal Prof. Rossi per alcune classi del liceo e del biennio su tale tema. I relatori hanno esposto le malattie sessuali più diffuse, la loro classificazione e il processo di diffusione che hanno avuto negli ultimi 50 anni. Sono passati poi ad un’analisi più specifica del caso italiano tramite schemi e grafici, prevalentemente relativi all’AIDS, che hanno lasciato di stucco i presenti. La maggior parte delle persone, soprattutto i ragazzi, infatti ignora la vastità della malattia e la facilità con cui può essere trasmessa. Il dato più allarmante è però la rapidità con cui essa a volte può degenerare e portare alla morte in breve tempo. Ma a fianco della colonna dei casi identificati si nota un ulteriore dato: quello dei casi non notificati che, uniti ai precedenti, indicano che almeno 59.000 italiani sono malati di AIDS e che ogni anno muoiono ancora migliaia di persone. La guardia dunque non va abbassata, anche se di HIV non si parla più come un tempo. 17 Dopo la spiegazione è stato ritagliato dello spazio per le domande, spazio che è stato ampiamente riempito dagli interventi degli studenti che hanno chiesto ulteriori informazioni e i sintomi di questa malattia. L’incontro si è rivelato molto utile e gli studenti si sono dimostrati veramente interessati all’argomento. Distribuzione percentuale di categorie a rischio dei casi di AIDS nel tempo in Italia Distribuzione annuale dei casi di AIDS e dei decessi in Italia al 31 Dicembre 2006 (COA) Sara Zamboni Al Bonomi c’é Smarties Da alcuni anni all’istituto Bonomi-Mazzolari è stata avviata un’esperienza giornalistica decisamente diversa dalla nostra di FermiTutti. In quella scuola infatti si è pensato di dare voce ai tanti, tantissimi studenti provenienti da nazioni diverse dalla nostra che frequentano l’istituto. Così, senza distinzioni di razza, lingua, cultura, religione, è nato Smarties, un titolo che fa riferimento ai vari colori di quei gustosi dolcetti rotondi che sono famosi in tutto il mondo e che rimandano alla mescolanza di popoli e culture che questo giornale rappresenta. La caratteristica che lo rende diverso dagli altri è infatti senza dubbio la redazione, composta unicamente da studenti di origini straniere. E così, attraverso quelle pagine, ci arriva la voce di quei nostri compagni di origini non italiane che hanno affrontato percorsi faticosi, a volte avventurosi e spesso anche pericolosi, da soli o con dei loro familiari, alla ricerca di un po’ di benessere e serenità. C’è chi racconta esperienze di viaggio, chi di accoglienza, chi di discriminazione, chi di amicizia e di solidarietà. Possiamo trovarci dai pareri sulle politiche didattiche in Italia alle prime esperienze scolastiche, con le loro difficoltà e i loro successi. In particolare nell’ultimo numero è pubblicata la storia di Abi: un sedicenne afghano che racconta l’incredibile esperienza che lo ha condotto in Italia. Smarties è un giornale semplice. Ma ha un grande valore: quello di contribuire a far crollare i muri di xe- nofbia della nostra società. Su questa linea l’ultimo numero muove una critica alla proposta delle cosiddette “Classi Ponte”, ovvero classi composte unicamente da stranieri, un sistema in cui è evidente che i nuovi alunni stranieri faticherebbero ad integrarsi e ad imparare la nostra lingua e la nostra cultura. Da quest’anno la redazione di Smarties si è ampliata: partecipano infatti al progetto anche studenti del Mantegna e del Vinci. Auguri Smarties, e complimenti per il ruolo che hai. 18 La Redazione L’ultras è un tifoso, non un delinquente La spiegazione letterale del termine ultras la si può trovare su qualsiasi sito per tifosi: “Col termine ultras o ultrà (derivato dal francese) si suole definire il tifoso organizzato di una determinata società sportiva. L’origine è un po’ ambigua: in passato erano le bande di francesi nazionalisti che lottavano (o massacravano) il popolo algerino, in Italia sembra che i media iniziarono a usarla per definire i tifosi più fanatici.” Alcuni, rimanendo legati a questa descrizione, che definirei alquanto barbara, sono convinti che quella di Ultras sia un’etichetta strettamente legata alla violenza. Un giorno, discutendo con un ragazzo mi sono sentita dire che “essere ultras è anche utilizzare la violenza, se no si è tifosi normali!”. A troppe persone sfugge la differenza sostanziale tra l’essere un tifoso e un delinquente: ragazzi che dopo la partita sfasciano lo stadio o si picchiano fra loro non credo possano essere definiti né dei tifosi, né tanto meno degli ultrà, ma più semplicemente dei criminali. La mentalità teppistica con cui alcune persone si avvicinano allo sport del calcio porta il resto dell’opinione pubblica a fare di tutta l’erba un fascio: persone che vanno ad una partita per picchiare e magari uccidere qualcuno diventano l’etichetta errata che si incolla sulla tifoseria in generale. Un Ultras invece non è colui che vive per la violenza, che va alle partite per picchiarsi con la polizia, che nasconde la sua criminalità dietro alla felpa di una squadra, l’Ultras vive in funzione della sua passione, la notte prima della partita si sogna ogni possibile azione, ogni sperato gol, ogni inaspettato fallo; l’Ultras gioisce, soffre, ride, piange per la propria squadra, e alla sera, tornando da una sconfitta, non gli va di festeggiare il weekend; lui è quello che non risparmia la propria voce nei cori, convinto che siano determinanti per il risultato; che si ritrova a parlare di calcio anche con persone che non ne sanno nulla, col desiderio di urlargli quanto ama questo sport, anche se non lo fa perché si rende conto che diventerebbe ridicolo. L’Ultras conta i giorni che lo separano dal fischio di inizio, e una volta arrivati quei 90 minuti li sente scorrere troppo in fretta; segue la propria squadra ovunque, senza perdersi una trasferta, e non gli importa della neve, della pioggia o del caldo tropicale: lui ci sarà sempre a cantare e a battere le mani. L’Ultras è un tifoso, non un criminale, uno che non dice “hanno vinto”, ma “abbiamo vinto”, che si sente il dodicesimo giocatore in campo. La sua seconda casa è la curva, questo posto incantato in cui migliaia di cuori battono insieme, mille gole cantano senza risparmiarsi, mentre i piedi si scaldano saltellando sui gradini e le mani battono più forte che possono. Ecco gli Ultras: migliaia di tifosi che amano quella maglia più di qualsiasi altra cosa. Molti di voi penseranno che una ragazza non possa parlare di calcio, perché il “genere femminile” è considerato ignorante su questo argomento: scusate allora la presunzione, ma sappiate che ogni sabato l’essere dell’Ultras lo vivo nei cuori degli amici della curva, compagni di vittorie, sconfitte, pareggi, lo leggo nei loro occhi, lo respiro nell’aria di quel luogo semplicemente meraviglioso, che troppe persone considerano barbaro, ma che in realtà è luogo di passione sincera e, se vissuto con rispetto e civiltà, può diventare la tanto sognata “isola che non c’è”. Perché il vero tifo è il tifo senza violenza: che non è mancanza di coraggio, ma attaccamento vero a una bandiera e ad uno sport. Solo chi ha la passione per il calcio può capire ciò che si prova dinanzi al gioco della propria squadra, l’Ultras vive ogni giorno con quest’emozione nel cuore, reagendo ad ogni sconfitta, gioendo per ogni vittoria, considerando la propria vita un’incredibile partita da giocare. Maura Malpetti 19 Formula 1: Ma che succede?! E’ cambiato tutto! La stagione 2009 del mondiale di Formula 1 è iniziata tra polemiche, dubbi e tante innovazioni, tecniche, aerodinamiche e non solo. Ritornate le gomme slick, ovvero gomme completamente lisce, dopo dieci anni di pneumatici scanalati. Questa introduzione è dovuta al fatto che si vuole dare una maggiore aderenza meccanica e aerodinamica. Con questo tipo di gomme saranno facilitati i sorpassi in curva. Da quest’anno le vetture, inoltre, potranno montare il Kers, ossia il sistema di recupero di energia cinetica, col quale verrà immagazzinata tutta l’energia che si disperde con le frenate in curva (si genererà un aumento di potenza del motore di circa 80 cavalli, che dura circa sette secondi): l’unico aspetto negativo è il notevole peso di questo sistema che incide sulla massa complessiva della vettura. Anche i motori sono stati rivoluzionati in quanto non dovranno essere utilizzati solo per due gare, ma per tre, dunque si richiedono motori più affidabili. Insieme alle gomme slick, l’aerodinamica è il cambiamento fisico più consistente. Le macchine sono completamente diverse e più semplici; ad esempio l’alettone anteriore è diventato più largo, quello posteriore più stretto ed alto. Il diffusore è stato arretrato in modo da cambiare la sua deportanza, infine i telai sono privi di flap e di tutte le particolarità aerodinamiche che li caratterizzavano nelle passate stagioni. Non tutti hanno interpretato le nuove regole allo stasso modo, tanto è vero che l’inizio del campionato è stato segnato da ricorsi e sentenze riguardanti i diffusori adottati da Brawn Gp, Toyota e Williams, rinominate la “banda del buco”: secondo i grandi team del circus le tre scuderie non avrebbero seguito il regolamento, costruendo macchine irregolari; in effetti il gap tra la “banda del buco” e le altre scuderie già dal primo gp si è notato, anche perché gran parte dei team si sono concentrati più sullo sviluppo del Kers (sistema che Brawn Gp, Toyota e Williams non hanno) più che su altri fattori aerodinamici, appunto perché il regolamento non prevedeva uno sviluppo così consistente sui diffusori. Sta di fatto che per i giudici le vetture della “banda del buco” sono regolari e quindi dovranno essere le altre scuderie ad “aggiornarsi”; attualmente la Brawn Gp sta dominando sia nel mondiale piloti che nel costruttori e i grandi team inseguono. Sarà curioso vedere come si evolverà questa stagione, se Ferrari, McLaren, Renault e BMW riusciranno a diminuire il gap, a combattere per una pole. E’ un campionato strano ma che affascina, nelle gare ci sono più sorpassi, più duelli; restano, però, molti dubbi sui regolamenti, ci si chiede perché i grandi del circus inseguono e le “piccole realtà” come la Red Bull riescano a comandare l’intera Formula 1. Ma non finisce qua. Max Mosley (numero 1 della FIA) ha espresso la volontà di allargare dall’anno prossimo il circus in modo da arrivare ad avere circa 24-26 vetture in gara, ha stabilito un tetto per le spese pari a circa 44,4 milioni di euro, oltre ad un nuovo regolamento per l’assegnazione del campionato (non più a punti ma a vittorie ottenute). Tutto questo, secondo Mosley, servirebbe ad attirare nuove scuderie (Prodrive, Aston Martin, Minardi e altre). I Grandi team (la FOTA) non sono d’accordo: è chiaro che si sta andando verso la rottura con la Fia e questo potrebbe portare a due scenari: il ritiro delle Case dalla F1 o la nascita di una serie alternativa. La stagione 2009 sarà dunque avvincente sia per il mondiale in atto sia soprattutto per quello che verrà, per il futuro di uno sport, sì costoso, ma da sempre affascinante ed emozionante. Probabilmente quando questo giornale sarà pubblicato alcune risposte le conosceremo già. 20 Paolo Rizzardi Ducati che passione! Due foto di Filippo Gavazzi della visita all’azienda della DESMO16 21 I risultati sportivi 2008/2009 dell’Itis Gli studenti della nostra scuola, preparati e seguiti con la solita passione dai loro insegnanti di Educazione fisica, anche quest’anno hanno ottenuto una valanga di risultati di rilievo. Eccoveli, suddivisi per tornei a squadre e gare individuali. Squadre Atletica a squadre: Allievi: 1°posto (8°anno consecutivo) Juniores: 1°posto (3°anno consecutivo) Calcio: 1°posto Calcio a 5: Allievi: 2°posto Campestre: Allievi: 2°posto Juniores: 2°posto Nuoto: Allievi: 6 x 50m stile libero: Alberti, Morselli, Brutti, Gandini, Casella, Busi 3°posto Pallamano: Allievi: 1°posto Allieve: 3°posto Pallavolo: Allievi: 2°posto Allieve: 3°posto Scacchi: Allievi: 2°posto Juniores: 1°posto Sci: Allievi: 1°posto Juniores: 2°posto Tamburello: Allievi: 1°posto Allieve: 1°posto Juniores: 1°posto Individuali Atletica: Allievi: 110m ostacoli: Nana Andrea 2°posto Salto in alto: Mascoli Riccardo 3°posto Lancio del Disco (1.5Kg): Diani Matteo 1°posto, Tosi Andrea 3°posto 300m: Ferri Vittorio 1°posto, Chiozzi Sebastiano 3°posto Juniores femminile: 100m ostacoli: Negri Matilde 2°posto Salto in lungo: Banzi Viola 2°posto Lancio del Peso (3Kg): Casetta Giulia 1°posto Juniores maschile: 100m: Toffali Andrea 2°posto 110m ostacoli: Adu Isaac 2°posto Peso (6Kg): Zecchini Francesco 1°posto, Leso Francesco 3°posto Lancio del Disco (1.5Kg): Capucci Riccardo 2°posto, Daveti Massimiliano 3°posto Nuoto: Allievi: 50m stile libero: Alberti Michael 1°posto 50m rana: Busi Simone 1°posto 50m farfalla: Bettinazzi Lorenzo 3°posto Juniores: 50m farfalla: Orlandi Michele 2°posto Sci alpino: Slalom Gigante: Vincenzi Giovanni 2°posto, Boceda Filippo 3°posto Atletica allievi Staffetta: 2°posto Raccolti da Paolo Rizzardi 22 Sondaggio sul gradimento dell’Itis da parte di noi studenti In marzo è stato sottoposto alle classi del Triennio un questionario per verificare il livello di gradimento della nostra scuola. Il questionario presentava la seguente domanda: “Se dipendesse solo da te e nessuno ti facesse pressioni in senso alcuno, oggi come oggi continueresti a frequentare questa scuola?” Si poteva rispondere NON CAMBIEREI o CAMBIEREI indicando un motivo principale tra 3 possibili: Per il primo caso: - È proprio la scuola che volevo fare. Mi piace un sacco! - È l’unica scuola che mi permetterà di fare il lavoro che desidero. - Ci sono dei difetti ma i pregi sono di più Per il secondo caso: - Ha deluso le mie aspettative - È troppo impegnativa per me - Col tempo mi sono accorto di avere altri interessi che questa scuola non soddisfa Analizzando più dettagliatamente i dati, possiamo stilare una classifica delle classi più soddisfatte e di quelle meno soddisfatte dell’Itis. Partendo dalle classi più soddisfatte, la medaglia di bronzo va alla IV T, secondo posto la V informatica ed al primo posto la III informatica!!! Passiamo ora alle dolenti note: la terza classe più insoddisfatta dell’Itis è la IV elettronica, seguita dalla V chimica, mentre al primo posto, regina dell’insoddisfazione, si posiziona la VB elettronica !!! Come si vede, gli esiti ricalcano da vicino il gradimento espresso dalle specializzazioni nel loro insieme. Per completezza, aggiungiamo che in totale il 56% degli alunni che frequentano il Triennio si dicono soddisfatti della proprio scelta e della scuola. Quindi solamente poco più della metà. Come spiegarselo? Forse a causa di tanto serpeggiante malcontento è la presenza di interessi che la nostra scuola, purtroppo, non può soddisfare. Il questionario è stato consegnato solamente agli alunni del Triennio perché sono quelli che frequentano questa scuola da più tempo, quindi ne conoscono meglio pregi e difetti, e soprattutto perché la loro scelta è praticamente irrevocabile, infatti è impensabile che un alunno di terza, quarta o quinta decida di cambiare scuola, contrariamente ad un ragazzo di prima o seconda che ha maggiori possibilità di farlo. Analizzando i dati raccolti, si possono trovare delle situazioni interessanti. Se consideriamo prima le specializzazioni, indicando convenzionalmente il liceo come una di queste, vediamo che al primo posto come indirizzo di cui si è più soddisfatti si trova quello Informatico col 77% di persone che non cambierebbe scuola. Seguono il Liceo (74%) e, sul terzo gradino del podio, a pari merito la Chimica e l’Elettrotecnica (60%). È clamoroso invece il risultato che riguarda l’Elettronica, infatti più della metà degli elettronici cambierebbero scuola (59%), seguiti dai Meccanici, con un risultato comunque nettamente meno significativo (41%). Si può concludere quindi dicendo che l’Elettronica è l’indirizzo che vede meno studenti soddisfatti della propria scelta. Adesso analizziamo i dati dividendoli tra terza, quarta e quinta. Le classi terze sono quelle più soddisfatte (73%), forse perché sono affascinate da qualcosa di nuovo che stanno studiando o anche perché la classe terza è quella più semplice del triennio. In quarta si ha un’ inversione di rotta sostanziale; infatti solamente il 56% degli alunni è soddisfatto. Poco cambia in quinta, poiché il gradimento sale solamente di tre punti percentuali, facendo sì che gli studenti insoddisfatti scendano al 41%. 23 TERZE QUARTE QUINTE INFORMATICA ELETTRONICA MECCANICA ELETTROTECNICA TECNOLOGICO CHIMICA A cura di Alberto Massara e Loris Caffarra 24 Un campione tra noi: intervista a Diego Marani, uno che sa correre LA “CARTA DI IDENTITA’ DI DIEGO: Nome e cognome: Diego Marani Data di nascita: 27 Aprile 1990 Città natale: Asola Altezza: 1,86 Peso: 71 Kg Società: Atletica Riccardi Milano Squadra del cuore: Milan Sport alternativi: Calcetto (un tempo calcio, col numero 7) Studi: Finisco quest’ anno Piatto preferito: Pizza I SUOI RISULTATI SPORTIVI IN ITALIA: Ottobre 2007 1° campionati italiani allievi a Cesenatico sui 200 Giugno 2008 1° campionati italiani juniores a Torino sui 200 Agosto 2008 3° campionati italiani assoluti a Cagliari sui 200 Febbraio 2009 5° campionati italiani juniores indoor ad Ancona sui 60 Febbraio 2009 1° campionati italiani assoluti indoor a Torino con la staffetta ALL’ESTERO: Com’è la tua giornata tipo? Sveglia a 6.30, scuola, ritorno a casa in autobus per le 2, pranzo e studio, alle 4 si parte per andare a fare allenamento a Mantova, ritorno verso le 7, doccia, cena e finalmente un po’ di relax al computer o guardando la tv. Quali sono le tue aspirazioni e/o desideri come atleta? Vivere di questo senza dover lavorare e tanti anni di vittorie e soddisfazioni. Luglio 2008 9° mondiali juniores in Polonia sui 200 Agosto 2008 1° “Coppa del Mediteranno” in Marocco sui 200 Marzo 2009 2° nel triangolare Italia-Francia-Germania indoor in Francia sui 200m Come hai cominciato? Per caso a scuola mentre ci prendevano i tempi sui 30 metri nelle ore di ginnastica, poi ho fatto un paio di prove in pista che poi sono diventate qualche gara fino a quando non ho vinto il titolo italiano e allora ho deciso che quello sarebbe stato il mio sport. Tra quattro anni a Londra ci saranno le Olimpiadi. Tu per quella data dove ti vedi? Io mi vedo là ad essere eliminato quasi subito ma comunque contento per il traguardo raggiunto. Hai degli hobbies? Direi di no; quando trovo del tempo libero lo impiego riposando. Tra la ragazza o lo sport chi scegli? Queste domande provocatorie… Voglio riuscire a conciliare tutti e due, ma comunque sceglierei la ragazza. L’emozione più grande quando l’hai provata? Vincendo il mio primo titolo giovanile. Ero andato là 25 senza nessuna aspirazione e invece ho colto una vittoria inaspettata che mi ha riempito di felicità. Cosa pensi dell’atletica in Italia? Cioè, come mai siamo così scarsi? Perché i ragazzi preferiscono fare altri sport, quindi pochi giovani che praticano fanno avere minori possibilità di trovare l’atleta che può diventare forte portando in alto il nome dell’Italia in queste competizioni Riesci a conciliare la scuola con lo sport e conle relazioni personali? Fino ad ora ci sono riuscito, certo ci sono da fare molti sacrifici dal punto di vista personale, però al momento non mi posso lamentare. Un ringraziamento speciale? Ci sarebbero davvero tantissime persone da ringraziare, però il mio primo pensiero va al mio allenatore Giovanni Grazioli che ha sempre creduto in me. Un tuo idolo? No, nessuno. A cura di Andrea Malavasi Palla ovale mon amour: intervista al nostro compagno Andrea Malavasi DOMANDE FLASH Nome e Cognome: Andrea Malavasi Soprannome: Mala Data di nascita: 01/11/1989 Città natale: Mantova Altezza: 1.77 Peso: 74 Ruolo: Mediano di mischia Numero: 9 Squadra attuale: Dak Rugby Mantova Sport alternativo: Calcetto con gli amici, bere birra Studi: Qui all’Itis, in Quinta Elettronica Piatto preferito: Risotto con le salamelle Film: Io sono leggenda Frase in dialetto: Ta fat, belo! Citazione: “Se non le fai a 18 anni queste cose quando le fai?!?!” farsi del male, ma come può succedere negli altri sport come il calcio, la pallavolo, il basket… Come hai cominciato? Così come per scherzo in prima media, e dal quel giorno non ho più smesso… Mi sono affezionato troppo. Quale è il tuo ruolo in squadra e cosa ne pensi? Un mediano di mischia non si deve essere alto, anzi deve avere il centro di gravità molto basso e l’abilità di parlare “non-stop” durante tutta la partita, anche quando si viene abbattuti e si è quasi privi dei sensi, e bisogna essere rapidi nell’aprire la palla per quelli veloci che poi fanno meta… Quali sono i valori del rugby? Prima dei singoli c’ è la squadra, e il rispetto degli avversari, poi che vinca il migliore… La complicità fra compagni di squadra quanto incide sul risultato della partita? Molto, infatti quest’anno abbiamo vinto il titolo regionale under 19 grazie anche all’affiatamento che abbiamo tra di noi… Qual è la differenza sostanziale tra il rugby e il calcio? Il calcio è uno sport da gentiluomini giocato da bestie. Il Rugby è uno sport da bestie giocato da gentiluomini. Qual è la cosa che ami di più di questo sport? Il terzo tempo, cioè finita la partita quando ci si trova con l’altra squadra per mangiare e bere, tutti insieme. Questo sport è violento quanto appare agli spettatori? No no, non è poi così violento, cioè può succedere di Quali sono i pregi e i difetti del mondo del rugby? Pregi tanti, come il rispetto per gli avversari e l’arbitro, e anche tra i tifosi… Infatti non si vedranno mai degli scontri tra le tifoserie avversarie nel rugby, 26 perché è molto più bello gustarsi una bella pinta di birra fresca che andare a picchiarsi per lo stadio. Di difetti, boh, non ne ho trovati… Quali sono le tue aspirazioni e i tuoi desideri come rugbista? Il mio sogno sarebbe quello di giocare nella nazionale italiana di rugby dei vigili del fuoco, e vincere un campionato con il Mantova. Per essere un buon rugbista cosa è fondamentale avere? Voglia di birra, volersi fare in 4 per la squadra, e essere un po’ pazzi... Qual è il “motto” con cui affronti il mondo dello sport? Ci sarà sempre un avversario da placcare... A tuo parere si può paragonare la vita ad una partita? Sì, perchè no, anche nella vita basta metterci la buona volontà, rimboccarsi le maniche, e si può arrivare dappertutto. Che emozioni ti dà una vittoria? Tante. Troppe. E davanti ad una sconfitta come reagisci? Dipende da cosa sono riuscito a fare in campo, se ho fatto degli errori allora ci ripenso, e mi inca*** con me stesso... Non ti sei mai sentito dire che il tuo fisico non era adatto per questo sport? Ehm, tutte le volte che uno mi chiede “Che sport fai?”… Ma alla fin fine servono anche quelli “piccoli”! Qual è stato il peggior infortunio che hai subito nella tua carriera? Ehm… Uno solo?!?! Mmm... Allora diciamo la distorsione del ginocchio destro… Riesci a conciliare in modo soddisfacente il tuo impegno sportivo con le relazioni personali e la scuola? Ovvio… =) Basta sapersi organizzare. Nei confronti dei rivali oltre alla competizione c’è anche rispetto (atteggiamento che spesso manca nel mondo del calcio)? Si si, come detto prima, durante la partita ce ne diamo di santa ragione poi nel terzo tempo si mangia e si beve insieme. La tifoseria del rugby in cosa differisce da quella del calcio? Dalla quantita di birra che beve, e un tifoso di rugby lo si riconosce dalla sportività e nel rispetto dell’altra squadra. Qual è il tuo idolo nel mondo del rugby? Perché? Alessandro Troncon, il perché come me è un mediano di mischia, ed è un grande del rugby italiano e mondiale. A cura di Maura Malpetti Intervista al Team di Writer’s Dream, il sito degli scrittori esordienti Il Writer’s Dream (www.writersdream.org) è un portale dedicato agli scrittori in erba. La sua data di nascita è il 1° aprile 2008 (ma non è un pesce d’aprile…) e nel giro di un anno ha superato i 500 utenti. WD offre diversi servizi per gli scrittori principianti: tra le altre cose, naturalmente il sito, e poi un blog, un forum, recensioni sugli editori (avete capito bene: sugli editori, non sui libri) e l’ultima nata: una rivista mensile chiamata Scrittevolmente. Inoltre Writer’s Dream offre gratuitamente servizi degni di un’agenzia letteraria: consulenza editoriale, correzione bozze, lettura critica e recensione di testi inediti ed editi. Quella che segue è un’intervista a tre dei pilastri del Writer’s Dream: Ayame (Founder del WD), Ayesha (Admin) e Dabria (Admin). Com’è nata l’idea del Writer’s Dream e in cosa consiste? Ayame: Il WD era nato inizialmente per condividere i miei scritti. Poi, nel giro di un mese, mi è venuto lo sclero di creare un punto di riferimento per tutti gli scrittori che condividevano il mio sogno, un luogo dove migliorare e trovare informazioni serie sul mondo dell’editoria. Ayesha: Il WD è nato dalla fervida immaginazione di Ayame. All’inizio era il suo archivio privato, poi è diventato un punto di discussione per gli aspiranti 27 scrittori, dove possono mettersi in gioco e migliorare. Attualmente è il luogo più congeniale per lo scrittore: le informazioni sono di prima qualità e la comunità è molto unita, sempre disposta a dare il giusto sostegno per far crescere l’esordiente. Insomma, un posto felice per gli amanti della scrittura. Dabria: La mamma del WD è Ayame che, come ha detto, voleva uno spazio per i suoi scritti. Poi WD è diventato un punto d’incontro per tanti aspiranti scrittori e per tanti accaniti lettori: un posto dove girano anche editori ma soprattutto gente che ha voglia di mettere alla prova la propria passione per la parola. Buffo che quella che doveva essere una vetrina personale sia diventata un luogo di aggregazione. Cosa cercano gli utenti che visitano il vostro sito e il vostro forum? Ayame: I nostri utenti cercano informazioni serie, reali e obiettive sulle case editrici, che spesso risulta difficile trovare in rete. Cercano inoltre critiche e consigli per crescere e migliorare. Ayesha: Cercano un luogo dover poter ricevere critiche e consigli, nuove amicizie che coltivano la stessa passione e magari un po’ di svago tra uno scritto e l’altro. Dabria: Io spero che cerchino confronto, che cerchino qualcuno di onesto che faccia capire dove sbagliano. Molti di loro vengono qui per leggere e per potere mettere alla prova le loro capacità critiche. La domanda che spero si pongano è “Sono in grado di capire se questa storia funziona?”. Inoltre qui si trovano informazioni pratiche su come trattare con gli editori, su cosa significa sinossi, su come non farsi fregare dai tanti aguzzini del mondo editoriale. Cosa ne pensate delle grandi case editrici? Ayame: Ho una pessima opinione della grande editoria. Pubblicano libri in base alla fama dell’autore, non in base alla qualità. Insomma: pubblicano quasi sempre solamente porcherie. Ayesha: Non ne ho un ottimo giudizio. Girando per le librerie si trovano libri scadenti, scritti in un italiano approssimativo e dalla trama pessima. Preferiscono tradurre libri stranieri e pubblicare solo le “schifezze” dei Vip italiani tipo Taricone, quindi siamo messi proprio male. Dabria: A mio avviso mettono prima di tutto i loro interessi e spesso dietro ci sono troppi soldi perché ci sia la voglia di puntare sull’esordiente di turno. Quasi mai c’è la vera passione di pubblicare qualcosa di buono. Nonostante ciò non sono il male: seguono le mode per poter talvolta pubblicare opere meno commerciali ma di maggior valore culturale. Ovvio che però pubblicando robaccia il panorama s’impoverisce. E’ dunque così difficile per uno “scrittore in erba” pubblicare un libro? Ayame: È difficile pubblicare con una grande casa editrice. Gli editori cercano la fama, non il talento. Pubblicare con un piccolo o medio editore invece, se si è bravi, se si sa scrivere e se si ha qualcosa di originale da raccontare, non è affatto difficile. Pubblicare a pagamento poi è semplicissimo, basta avere il portafogli gonfio. Però, mi raccomando: NON PUBBLICATE A PAGAMENTO! Non si fa! Sono gli editori a dover pagare gli scrittori, non viceversa! Ayesha: Sì, come ho detto prima le grandi case editrici fanno ostruzionismo ai “non famosi”. Se un esordiente vuole pubblicare si trova davanti a una porta chiusa e dato in pasto agli editori a pagamento con il sogno di poter pubblicare. Mai fidarsi degli editori a pagamento, ci sono molte case editrici che pubblicano gratuitamente, non fatevi infinocchiare! Sul forum trovate tutte le informazioni riguardo gli editori. Dabria: Sì, soprattutto se non sa scrivere o se vuole per forza pubblicare con Einaudi. Ci vuole umiltà, voglia di lavorare, essere pronti a sporcarsi le mani e a mettersi in gioco. Quali altri consigli avete da dare agli esordienti scrittori? Ayame: Non mettetevi su un piedistallo: accettate le critiche. CERCATE le critiche: i complimenti non vi fanno migliorare. Leggete, leggete tanto, sopratutto libri di esordienti: basta con i grandi editori! E non pretendete di esser pubblicati e letti se voi per primi non leggete. Ayesha: Accettare le critiche e non considerarsi dei non plus ultra. Non pubblicare mai con editori a pagamento. Dabria: Non pagate per essere pubblicati. Piuttosto andate in tipografia e fatevi stampare 100 copie se volete sentirvi dire che siete bravi dai vostri amici. Se volete pubblicare davvero, ricordatevi che scrivere è narrare una storia che vorreste che vi raccontassero. Soprattutto lavorate e siate pronti a riscrivere mille volte la stessa cosa se questo servirà a farla arrivare meglio al lettore. Se non siete pronti a mettere da parte l’orgoglio, evitate di tediare gli editori con i vostri scritti: se non siete pronti, non siete pronti e basta. 28 A cura di Francesco Sedda Brutto o bello, giusto o sbagliato? NO: diverso Il diverso. Parola fin troppo diffusa, utilizzata spesso con sfumature negative. Ma che chi è il diverso? Ovviamente c’è il diverso per problemi fisico-psicologici, e in questo caso contrastante è l’atteggiamento delle persone nei suoi confronti. A scuola o sul lavoro un portatore di handicap ci può far sentire buoni, generosi, umani, filantropi. Ma quando il portatore di handicap ci costringe a farci carico di problemi o ci rallenta l’attività, già la percezione cambia. Poniamo poi che il “diverso” sia un individuo etnicamente diverso; quando nella società emerge questo tipo di “diversità” e viene messo a tema e diventa oggetto di discussione è perché forse molte persone non sono poi così aperte socialmente e culturalmente da accettare che qualcuno possa essere, per una motivazione fisica, come il colore della pelle, o per una motivazione religiosa, come l’usanza del velo per le donne musulmane, o per altri motivi, diverso dallo stereotipo di individuo che è considerato il modello per questa società (d’altronde, anche secondo Einstein era più difficile distruggere un pregiudizio di un atomo). Da questo atteggiamento di “diffidenza” e “sospetto” nasce la discriminazione, e dalla discriminazione nasce il razzismo. Metto in chiaro subito che non voglio fare del moralismo e non voglio nemmeno santificare me stesso. Accetto anzi il crucifige, non dico di non aver mai offeso qualcuno armandomi con un “negro di m…”, ad esempio durante una partita o durante una lite. Ma non credo che quello sia propriamente razzismo, piuttosto una volgare manifestazione di rabbia. Mi spiego meglio, ad esempio durante questa lite o quella partita, come può scappare un “figlio di …”, può scappare anche un “negro di …”. Sono offese che nell’agonismo del gioco, in una discussione accesa o in altre situazioni, vengono usate anche non troppo di rado ma a parer mio con lo stesso peso, più per un’abitudine che deriva da un atteggiamento razzista di generazioni passate che da un’intenzione razzista contemporanea. Ma vorrei ora parlare del diverso come di colui che non segue consuetudini e convenzioni prestabilite. Possiamo darne una definizione molto generale di questo tipo: colui/colei che ha il coraggio di andare controcorrente per un ideale, che ha il coraggio di dire cosa pensa e di mostrarsi agli altri seguendo ciò che detta il suo cervello e non i media. Ovviamente prendendosene tutti i rischi. Diverso allora è chi non ha paura di tingersi i capelli, o di farsi un piercing nel posto più astruso. Diverso è chi non ha paura di vestirsi come più gli piace, diverso è chi non teme il giudizio degli altri, diverso è anche chi si guarda allo specchio e si accetta per come è senza avere l’ansia di piacere a tutti i costi alla gente (chi sarà poi mai questa “gente”?), diverso è chi si discosta dalla massa per sperimentare quello che gli altri non si sentono di fare e per dire “no” se qualcosa non gli va. Ma come valutare la trasgressione? E’ costruttiva, in cerca della propria originalità, o è distruttiva? E’ evidente che qui ci si muove su una linea di confine, dove il diverso o trasgressivo può diventare bello, unico, originale, ma anche brutto, deviato e distruttivo. Per molti è difficile conoscere e incontrare l’altro nella sua bellezza, peculiarità e unicità. Più facile è formulare pre-concetti, pre-giudizi, schemi di pensiero autoreferenziali, decisi da sé, che ci difendono e ci tutelano. Ciò che è simile a noi, infatti, è più rassicurante, riconoscibile, controllabile. Ma devo sottolineare, e lo sottolineo due volte, che 29 tutti o quasi abbiamo fatto almeno una volta esperienza di questo senso di diversità. Di che altro, se non di questo, si è trattato quando siamo sfuggiti a regole o obblighi familiari, sociali, istituzionali dettati da altre persone per noi? Questo dimostra che la diversità, così come la normalità, è un concetto relativo. Io sono contento di come sono. E voi? “Non è per vincere che vivo ma per ardere, perciò se dovrò perdere lasciatemi perdere e avrò perso, cosciente che non sono né migliore né peggiore di nessuno. Finché sarò diverso...” (da una canzone dei nostri giorni) Loris Caffarra ARTE Nonno Futurismo compie cent’anni Oggi sembra normale tutta la realtà moderna che ci circonda: l’industria, le fabbriche, quei fili che disturbano la quiete del cielo, il rombo delle automobili, il traffico, la vita frenetica, la velocità… Ma esattamente un secolo fa tutto ciò era una novità. Con la terza industrializzazione, infatti, il trionfo della borghesia e l’importanza dell’economia diventarono le colonne portanti dell’inizio del ‘900 e la realtà culturale cambiò profondamente. Come sempre l’arte e la letteratura rappresentano il reale e ogni decisiva modificazione della società. Nei primi anni del Novecento si svilupparono così in tutta Europa organizzazioni culturali decise a rompere gli schemi tradizionali e classici dell’arte: le cosiddette Avanguardie. In Italia si manifestò la prima di queste organizzazioni attraverso il “Manifesto del futurismo” scritto da Filippo Tommaso Marinetti e pubblicato a Parigi sul “Figaro” il 20 Febbraio 1909. Il futurismo segnò una profonda rottura fra Ottocento e Novecento e l’inizio di una nuova era culturale e artistica. Marinetti era intenzionato a spezzare tutti i canoni tradizionali: “Vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari”, anche attraverso la violenza se necessario: “Vogliamo esaltare il movimento aggressivo, … lo schiaffo e il pugno”. Ma se non si vuole più esaltare tutto ciò che fino a metà dell’Ottocento si era portato su un palmo di mano, quale deve essere il soggetto della nuova arte? Solamente le “luci elettriche”, “le stazioni ingorde”, “ponti simili a ginnasti giganti”, “i piroscafi avventurosi”, “le locomotive che scalpitano sulle rotaie”, “un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo”, “un automobile ruggente”. Non è impressionante come possano cambiare i gusti artistici e le idee a distanza di pochissime decine d’anni? Tutto ciò non investe solamente la pittu- ra. Marinetti fa molto di più: nel “Manifesto tecnico della letteratura futurista” tenta di disgregare anche le regole della scrittura e della letteratura: “Bisogna distruggere la sintassi”, “Abolire anche la punteggiatura”, e c’è un “bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino”. Addirittura la nuova bellezza per questo movimento è “il brutto in letteratura”. Le idee di questo intellettuale antitradizionalista e anticlassico trascinarono ben presto molti altri, e non solo letterati ma anche e soprattutto musicisti, architetti, scultori, pittori. E anzi, se del Futurismo letterario ci restano testi paradossali e spesso incomprensibili, fu proprio nell’arte figurativa che il Futurismo diede il meglio di sé con Boccioni, Balla, Carrà, Severini, Depero. Quest’anno il futurismo compie un secolo e questo straordinario centenario viene festeggiato con mostre, grandi manifestazioni nelle più importanti piazze d’Italia, spettacoli teatrali, discussioni televisive; e persino le sfilate di moda milanesi del 2009 si sono ispirate ai colori futuristi, violenti e irrazionali. Tanti auguri “Futurismo”… A te che hai cambiato le tradizioni, l’arte e il modo di rappresentare la realtà. Tanti auguri per i tuoi prorompenti cent’anni di influenza culturale. Marinetti: Zang, Tumb, Tumb Nel poema “parolibero” Zang, Tumb Tumb, pubblicato a Milano nelle Edizioni futuriste di “Poesia” del 1914, Filippo Tommaso Marinetti mette in atto - con la collaborazione del tipografo - le teorie espresse nel Manifesto tecnico della letteratura futurista: sintassi disarticolata, verbo all’infinito, uso dei segni matematici, utilizzo di caratteri diversi e di varia grandezza. 30 Depero: L’aratura Nell’Aratura di Fortunato Depero (Galleria d’arte moderna, Torino) si riconoscono alcuni dei motivi e delle tecniche del futurismo: stilizzazione del gesto, scomposizione del colore e della forma, rappresentazione esasperata del movimento. Il tema bucolico – accademico e tradizionale – dell’aratura viene interpretato qui in una versione “meccanica” e moderna: il bue è una locomotiva sbuffante, composta di elementi cilindrici di acciaio, e il contadino che segue con l’aratro appare come una sorta di operaio dei campi. Sullo sfondo, la luce fiammeggiante del sole evoca il bagliore delle fucine. Boccioni: Forme uniche della continuità nello spazio L’artista trasmette nella scultura non solo il dinamismo del corpo ma anche quello dei vortici d’aria che il corpo muove. Claudia Malpetti RACCONTI La macchia Severini: Treno suburbano In quest’opera di Gino Severini, il senso di movimento e velocità tipico dell’arte futurista è reso mediante linee dinamiche e pennellate rapide, vigorose, espressive. Le forme stilizzate fino a diventare disegni geometrici e l’assenza di profondità spaziale lasciano intravedere l’influsso del cubismo. Erano partiti da due giorni i proprietari dell’appartamento sopra il suo in Via Canepari. Erano andati in vacanza non sapeva dove in quel luglio così afoso come non se ne vedevano da anni. Anche la famiglia che abitava allo stesso piano era partita. Il piccolo condominio si era praticamente svuotato in pochi giorni. Anche lui era in ferie. Impiegato cinquantacinquenne in una ditta di trasporti, celibe, o meglio scapolo, o meglio solo. Viveva da solo in quell’appartamentino al piano terra. Non aveva fratelli e i genitori erano morti da tempo. Conduceva una vita metodica, Anselmo Giudici, giorni molto uguali tra loro, l’ufficio, la casa, il giornale, qualche passeggiata per le vie del centro, la tivù. E il suo unico hobby, la sua vera passione: l’automodellismo. Non aveva veri e propri amici, perché così non si potevano chiamare le conoscenze con i colleghi dell’ufficio, le solite battute, e l’aperitivo o il caffè al bar Tre Stelle. Ma a lui andava bene così, quella era la sua vita, magari monotona e grigia agli occhi degli altri ma non per lui, che amava le tranquille sicurezze quotidiane. Dunque erano partiti da due giorni quelli dell’appartamento al piano superiore. Lui invece non sarebbe andato in vacanza. Non amava i mare e il sole e tanto meno la ressa rumorosa dei bagnanti 31 sulla spiaggia. E in montagna non poteva più andare come una volta per via del cuore, che un paio d’anni prima gli aveva giocato un brutto scherzo, un infarto, non gravissimo, da cui si era ripreso abbastanza bene; ma era stato pur sempre un infarto. In seguito a ciò, Anselmo aveva accentuato la metodicità della propria vita quotidiana, scandita dai soliti tempi e dalle solite occupazioni, senza scosse, senza sussulti. Perciò niente vacanze. Se ne sarebbe stato in città a riposare, a leggere qualche romanzo, a guardare il Tour de France alla tivù e soprattutto a coltivare il suo hobby per i modellini di automobili. Ne aveva la casa piena, di piccole autovetture dai colori sgargianti, montate pezzo dopo pezzo con pazienza infinita e con lucida passione. Ce n’erano sugli scaffali della libreria, sui pensili della cucina, sui mobili della stanza da letto, persino qualcuno in bagno: un’Isotta Fraschini, dipinta in rosso e nero, e una Cadillac color giallo canarino con le finiture blu. E fu proprio nel bagno, due giorni dopo che i vicini del piano di sopra se n’erano andati, che apparve la macchia. Non era una macchia grande; era larga circa una decina di centimetri e lunga venti, a partire dallo spigolo del soffitto a sinistra della finestra. Anselmo la guardò un poco perplesso, chiedendosi se c’era sempre stata e lui non se ne fosse mai accorto. Era una tipica macchia di umidità, appena più scura del bianco del soffitto, quasi invisibile, modesta, immobile, indifferente. Era martedì mattina e Anselmo aveva in programma la spesa settimanale all’ipermercato a pochi chilometri dalla città. Perciò, dopo aver lanciato quello sguardo un po’ dubbioso alla piccola macchia, non ci pensò più, si lavò, si preparò e uscì di casa con la nota della spesa che aveva preparato la sera precedente. Quando tornò, carico di bottiglie e di borse di plastica, era quasi mezzogiorno. Il termometro in cucina indicava 28 gradi. Fuori ce n’erano almeno 32 o 33. E Anselmo sudava copiosamente. Perciò, sistemata la spesa, si recò in bagno per rinfrescarsi il viso e le ascelle. Solo allora si ricordò della macchia. Alzò gli occhi verso il soffitto e la guardò. Aveva un aspetto informe e irregolare ad eccezione della parte che coincideva con lo spigolo tra soffitto e parete. Era ferma, inerte. Sì, forse era sempre stata lì, si disse Anselmo, che si lasciò riprendere dalle sue occupazioni. Consumò un pranzo leggero a base di prosciutto, insalata e frutta. Con quel caldo non veniva appetito e poi era meglio non affaticare il cuore. Prese il giornale e si coricò a letto a leggerlo. L’intenzione era quella di riposarsi un poco e poi dedicarsi al modellino di Bugatti che aveva iniziato a costruire il giorno precedente. Invece si addormentò profondamente e si svegliò quasi alle cinque, madido di sudore. Il cuscino era addirittura umido e lui si sentiva come se fosse appena uscito da una sauna. Gli ci voleva una doccia per rinfrescarsi e svegliarsi dall’intontimento di quel pesante sonno pomeridiano. In bagno, quasi distrattamente, lo sguardo corse per un attimo alla macchia, poi si riabbassò. Ma in quei pochi istanti il cervello percepì qualcosa che lo turbò. Anselmo tornò a guardare con più attenzione la macchia. C’era in effetti in lei qualcosa di nuovo, non c’erano dubbi. I suoi bordi irregolari gli apparvero diversi, modificati, un poco più ampi. La macchia di umidità si era mossa, ingrandita. Pochi centimetri eppure visibili al confronto con l’immagine della macchia che Anselmo aveva stampata nella memoria. Non fu piacevole per lui quella scoperta. Significava che la macchia non era qualcosa di morto, di antico, da tempo fermo lì. No, la macchia era viva. Si muoveva, cresceva. Qualche tubatura dell’appartamento sopra il suo perdeva. E l’acqua filtrava fino al suo soffitto. Come fermarla coi vicini appena partiti per le vacanze? Calma, si disse Anselmo, in fondo non è che una piccola macchia di umidità ed è aumentata di pochissimo da quando me ne sono accorto. I vicini torneranno e provvederanno prima che diventi troppo estesa. E poi, se farà danni, se si scrosterà una parte del soffitto, saranno loro a dover rimediare, non io. Ma la sera dopo cena, quando tornò appositamente a osservare la macchia, Anselmo sentì un piccolo tuffo al cuore accorgendosi che si era ulteriormente estesa. E non di pochi centimetri. La sua protuberanza irregolare aveva ora assunto una forma convessa, come quella di un palloncino, o come la testa di un polipo. Chissà perché Anselmo ebbe questa impressione. Di certo fu quella che prevalse: un polipo, o una piovra, coi tentacoli raccolti e invisibili pronti a scattare in avanti. Non dormì molto bene quella notte, il sonno agitato da immagini di un mare tenebroso che infrangeva il suo pugno d’onda contro scogli scuri e affilati. E tra gli scogli ombre inquietanti, lucide sotto la luna, sfere grigie e viscide in lento movimento. Si svegliò presto, stanco e teso. Il primo pensiero fu per la macchia. Con il passo ancora assonnato ma con la mente ben desta aprì la porta del bagno. La macchia era là e lo guardava imponente dal soffitto, quasi raddoppiata rispetto alla sera precedente, una testa enorme che estendeva la propria ombra verso il centro della stanza divorando trionfante un’ampia porzione di soffitto. Ma la piovra non si era mossa solo orizzontalmente. Due corti tentacoli spuntavano da sotto l’enorme capo e si protendevano verso il basso, lungo la parete. Anselmo si appoggiò allo stipite, incredulo e inorridito di fronte all’espandersi disgustoso della macchia molle e umida sopra la sua testa. Quella presenza viva e incombente sconvolgeva la sua vita regolata di solitario. Ora erano in due nell’appartamento, lui e quell’ospite indesiderato e minaccioso che stava impossessandosi del bagno. Come avrebbe potuto continuare le proprie occupazioni quotidiane come 32 se niente fosse quando lì qualcosa, quella cosa, ingoiava il soffitto e si impadroniva lentamente delle pareti? Che fare? Si sentì smarrito di fronte a quella domanda che gli pulsava nel cervello. Fermarla non poteva. E allora che fare? L’unica cosa che gli venne in mente fu di controllarla, di controllarne l’espansione, di verificare metodicamente l’entità del pericolo. Era un tentativo per ricondurre il problema in un ambito a lui familiare, quello del metodo e della razionalità; un modo per sentirsi un poco più tranquillo. Prese scala e matita e salì fino al soffitto. Quasi con ribrezzo tracciò dei minuscoli trattini attorno al bordo dell’enorme testa umida e al vertice dei due tentacoli. Poi scese e richiuse la porta dietro di sé. Ora doveva sforzarsi di non pensare alla macchia per qualche ora. Doveva assolutamente riprendere il filo interrotto della sua vita, concentrarsi sulle proprie occupazioni, ritrovare il proprio equilibrio. C’erano quei trattini di matita a vigilare. Loro lo avrebbero avvertito dei progressi e degli spostamenti della macchia. In cuor suo sapeva benissimo che non sarebbero bastati a fermare la piovra d’acqua eppure gli davano un po’ di sicurezza quelle sentinelle di grafite al suo servizio, metro di misura della pericolosità del nemico. Andò in cucina - il suo era un appartamento piccolo, composto da camera da letto, corridoio, bagno e cucina confinanti tra loro - dove in bell’ordine sul tavolo lo attendevano i pezzi della Bugatti che stava montando. Preparò il caffè e fece colazione cercando di pensare a come avrebbe organizzato quel mercoledì di luglio. Fuori, anche se erano solo le otto, il sole era già forte; solo una minima brezza, quasi impercettibile, muoveva a stento le foglie dei cespugli del giardinetto della casa di fronte. Si prospettava un’altra giornata caldissima. Meglio uscire subito a comprare il pane fresco e il quotidiano e poi tapparsi in casa col ventilatore acceso e dedicarsi alla costruzione del modellino. Tornò con riluttanza in bagno, sforzandosi di non sollevare lo sguardo verso l’alto, fece toilette e si preparò per uscire. Alle nove e trenta era di ritorno e si sedette al tavolo concentrato sulla Bugatti. Concentrato si fa per dire, poiché il pensiero correva da solo a quel soffitto e a quella parete. Immaginava la macchia muoversi strisciando in continue ondulazioni lungo i muri, e i tentacoli che si allungavano silenziosi e infidi verso il pavimento. Le sue mani non erano ferme come al solito e i pezzi a volte gli sfuggivano e la colla non si stendeva bella uniforme, in strisce sottili, ma con minuscole fastidiose sbavature che lui doveva continuamente correggere. Dopo poco più di un’ora, insoddisfatto del proprio operato, si alzò stizzito dalla sedia chiedendosi cosa gli stesse accadendo. In realtà sapeva benissimo il motivo del suo nervosismo. Era l’ossessione di quella macchia viva che lo perseguitava come un incubo cosciente, di quella piovra che era entrata di prepotenza a sconvolgere la metodicità della sua vita, a insidiare il tranquillo tran tran del proprio mondo di certezze. Mentre pensava con rabbia a tutto questo alzò lo sguardo. E rimase come impietrito. La piovra lo stava osservando! Un suo occhio umido si sporgeva dal soffitto della cucina. Anche lì, anche lì, la bestia lo aveva inseguito. Quell’occhio privo di pupilla, apparentemente cieco, era venuto a spiarlo invadendo un nuovo spazio, insidiando la sua intimità. La macchia dunque aveva deciso di perseguitarlo, forse di contrastargli il possesso anche della cucina. Immaginò il ghigno invisibile della bestia molle che calava dall’alto a invadergli tutto l’appartamento. Corse in bagno, aprì la porta con un misto di determinazione e di orrore e guardò agitato sopra di sé. I confini da lui tracciati erano stati travolti dall’espansione inarrestabile del nemico. Decine di centimetri erano stati divorati dalla piovra che ora giganteggiava fino al centro del soffitto. Si sforzò di osservare la sua corpulenta minaccia e vide la superficie della sua pelle costellata di minuscole protuberanze acquose, stille innumerevoli che trasudavano dal soffitto come se la bestia stesse uscendo tutta intera per gettarsi a corpo morto sul pavimento e cominciare a strisciare per tutta la casa. Stava iniltre allungando altri tentacoli, mentre i primi che erano spuntati quasi lambivano le piastrelle che si innalzavano a due metri da terra. Il primo impulso di Anselmo fu quello di chiudere a chiave la porta, di imprigionare la macchia per sempre nel bagno; ma si rendeva conto che era una reazione stupida, peggio insensata. Il secondo pensiero fu senz’altro più razionale: se non era in grado di rintracciare i proprietari, e non lo era, si sarebbe rivolto ai pompieri. Ma dalla caserma dei vigili del fuoco gli risposero cortesemente che loro non potevano intervenire in casi di quel genere, spiacenti ma non era di loro competenza. Dunque era solo a combattere quel viscido nemico che intendeva impossessarsi dell’appartamento. Alzò lo sguardo all’occhio umido che lo aveva guardato dal soffitto della cucina e vide che si stava trasformando in una grande lingua lucida protesa a ingoiare la parete sopra il lavello. La piovra era ormai passata all’attacco anche lì. Agitato, frustrato, smarrito, Anselmo non aveva voglia di mangiare benché fosse ora di pranzo. Il caldo intanto si era fatto soffocante. Per un attimo fu attraversato dalla speranza che quel calore avrebbe fermato la macchia, l’avrebbe uccisa prosciugandone le viscere nascoste oltre il soffitto del proprio bagno. Ma era una speranza assurda, ne convenne. Non aveva mai smesso di fare caldo eppure la piovra era cresciuta ugualmente, vorace, indifferente all’afa di luglio. Non gli restava che provare a contrastare l’avanzata di quel nemico inafferrabile e inquietante. Stabilì, con ferma determinazione, che mai e poi mai gli avrebbe 33 lasciato un palmo di pavimento della sua casa. Avrebbe relegato la piovra alle pareti; le avrebbe impedito di scendere ad ogni costo. Il bagno era suo, gli serviva; e anche la cucina. Avrebbe resistito su quel confine fino al ritorno dei vicini dalle vacanze. Giorno e notte, notte e giorno avrebbe vegliato perché la piovra d’acqua non calasse al suolo. Tutti i suoi pensieri, le sue energie, tutto il suo fiato avrebbe messo in campo in quel duello con l’umido estraneo che gli si era infilato in casa. Decise di fare turni di veglia e di riposo di tre ore; mangiò un pezzo di formaggio e della frutta, poi entrò in bagno e volse lo sguardo in alto dove l’ombra grigia aveva ormai ricoperto più di due terzi del soffitto e della parete sinistra. Con riluttanza utilizzò il water e si lavò in fretta le mani, caricò la sveglia per le 17.00 e cercò di dormire. Ma non ci riusciva. Si scoprì più volte a spiare verso la porta del bagno attendendosi che un tentacolo d’acqua scivolasse oltre la scoglia, e continuò a “vedere” la macchia allargarsi come una gigantesca mano pronta a chiudersi su di lui. Respirava a fatica, per il caldo e l’agitazione. Resistette a letto controvoglia per riposare comunque un poco e attese con ansia il suono della sveglia. Vennero le 17.00. Allo squillare della sveglia Anselmo si accorse di essersi infine veramente assopito. L’afa era opprimente, il suo respiro un poco irregolare. Era stanco, il corpo si rifiutava di sollevarsi e dovette compiere uno sforzo di volontà per alzarsi dal letto. Subito guardò verso il bagno. Per fortuna non c’era traccia d’acqua davanti alla porta. Il mostro era ancora chiuso là dentro. E in cucina. Fu qui che si diresse imponendosi di non aprire per il momento la porta del bagno. Aveva bisogno di un buon caffè. Ma in cucina lo attendeva uno spettacolo sgradevole: la lingua d’acqua ormai scompariva dietro lo scolapiatti puntando decisa verso il suolo mentre un’altra striscia, più sottile ma non meno insidiosa, aveva iniziato a colare in direzione del frigorifero sottostante. Se in tre ore era potuto accadere questo in cucina, chissà cos’era avvenuto in bagno! Stai calmo Anselmo e preparati, si disse. Estrasse dal lavello due strofinacci da pavimento e il catino del bucato, le sue armi per l’imminente battaglia, poi, facendo forza su se stesso, i battiti del cuore un poco accelerati, aprì la porta del bagno. E vide. Vide in alto un’unica uniforme macchia puntellata di gocce trasparenti e tre pareti cosparse di tentacoli, alcuni appena pronunciati, altri che avevano raggiunto le piastrelle, altri ancora che si allungavano apparentemente innocui sul pavimento di mattonelle blu e sembravano volersi congiungere al centro della stanza. <<Il bagno è mio!>> esclamò Anselmo attraversato da una irritazione che confinava con l’ira, e con furia si precipitò ad asciugare e strizzare, strizzare e asciugare. Fu questione di pochi minuti. Anselmo, grondante sudore e ansimante per lo sforzo e l’eccitazione, guardò soddisfatto il lavoro compiuto: il pavimento era completamente asciutto, sgombro da ogni traccia della piovra. L’aveva costretta a ritirarsi sulle pareti come si era riproposto. Il bagno era ancora suo. In cucina si abbassò sotto i mobili ma non vide nulla. Che la macchia si fosse fermata di fronte alla sua rabbiosa determinazione? Non era il caso di lasciarsi prendere da facili trionfalismi, meglio stare all’erta. Avrebbe dato un’occhiata al quotidiano, non ancora aperto dalla mattina, poi sarebbe tornato a guardare in bagno. Scorse distrattamente titoli e occhielli, incapace di immergersi nella lettura degli articoli. Lo colpì all’interno un titolo sulla situazione climatica: <<35 gradi ieri in città. Per oggi temperatura e umidità ancora in aumento>>. Ecco perché faccio così fatica a respirare e sudo in continuazione, pensò Anselmo, mi ci vuole proprio una doccia. Una doccia di là, nella tana della piovra? E perché no? si disse imbaldanzito dal precedente successo, basta non pensarci e fare come se niente fosse. In fondo è una questione di pochi minuti. Detto fatto tornò verso il bagno, convinto che la macchia se ne fosse stata quieta in quella mezz’ora. Ma non era così. Di nuovo, in più punti, in corrispondenza dei lunghi tentacoli sul muro, l’acqua filtrava dalle mattonelle delle pareti fino al pavimento. Dannazione, pensò Anselmo, e corse a prendere gli strofinacci in cucina con l’animo gonfio di rabbia. E anche in cucina, come aveva fatto a non accorgersene prima?, un sottile rigagnolo era comparso da sotto il lavello. Era attaccato da due parti, ma non si sarebbe dato per vinto. Si chinò in fretta ad asciugare, prima il rivolo sotto il lavello poi l’altro che nel frattempo si era fatto strada sotto il frigo che Anselmo dovette spostare per fare un lavoro completo. Alla fine aveva il fiato grosso e grosse gocce gli imperlavano la fronte. Ma non aveva tempo per rifiatare se voleva respingere la piovra dal bagno prima che fosse troppo tardi. E fu di nuovo nell’altra stanza, chinato sul pavimento e circondato dai molli tentacoli che lo lambivano e che si mise a scacciare con foga asciugando e strizzando con sempre maggiore eccitazione, poiché non faceva quasi a tempo a tamponare da un lato che già dall’altro, insistente, irriducibile, la piovra allungava di nuovo le proprie spire d’acqua irridendo silenziosa alla fatica dell’uomo. E Anselmo asciugava e strizzava, strizzava e asciugava, il fiato sempre più grosso e sempre più corto e affannato, preso da una smania incontrollabile, grondante sudore nel tardo pomeriggio di quel mercoledì di luglio in cui tutta la città se ne stava a bocca aperta per l’afa opprimente e guardava un cielo appannato grondante umidità. Ad un tratto, mentre era chino sul pavimento, Anselmo fu colpito da una lama fredda alla schiena, poi subito da un’altra. Guardò in alto e capì: dalla sua enorme 34 bocca spalancata la piovra gli rovesciava addosso pesanti gocce di saliva, sempre più scatenata e sicura di sé e della propria vittoria. Una goccia gli cadde sulla guancia, un’altra sul braccio. Fu allora che Anselmo fu assalito dal panico, dal terrore di non farcela, perché la piovra era troppo grossa, troppo forte, troppo gonfia d’acqua. E tuttavia continuava a correre qua e là, ad asciugare e strizzare, strizzare e asciugare, travolto dall’ansia e dalla foga, ansante, col cuore in tumulto, offrendo inerme la propria schiena alla bava cadente che si staccava dal soffitto in una rada pioggia pesante. Finché una goccia gli penetrò viscida nel collo e nello stesso tempo qualcosa di diverso gli attraversò il braccio ed il costato. Prima un formicolio fastidioso poi subito un colpo acuto, un pugno acuminato che gli strinse il petto in una morsa da gigante che gli tolse il respiro. Era qualcosa che ricordava già di avere provato anni prima, ma non così forte, non così forte. Si sentì esplodere il cuore con pochi battiti forsennati, pesanti rintocchi di un’enorme campana, poi il fiato che non veniva, un pulsare pesante delle tempie, un nodo in gola che non andava né su né giù. Si rizzò un istante, le mani serrate sul petto, annaspò, spalancò la bocca a cercare l’aria che non trovava; e una goccia gli penetrò in gola, come a volerlo spingere giù. E finalmente Anselmo cadde. Restò lì, sul pavimento di mattonelle blu, una gamba distesa e una rannicchiata, le mani a pugno sul cuore, gli occhi e la bocca aperti verso l’alto. Allora la macchia non ebbe più ritegno e gli riversò dall’alto tutta la sua potenza. Mentre lunghi sinuosi tentacoli scivolavano verso di lui avviluppandolo nelle proprie spire acquose. Claudio Marozzi La nuotata Quella mattina Carmela si era alzata prima del solito e, dopo aver guardato il mare che si intravedeva lontano, dal quarto piano del suo vecchio palazzo in Ortigia, decise che avrebbe potuto riprendere le sue quotidiane nuotate... Dopo due giorni di burrasca il mare quella mattina era una tavola e lei per nulla al mondo avrebbe rinunciato al suo sport preferito. In realtà non era nemmeno uno sport, l’acqua era il suo ambiente, aveva sempre fatto parte della sua vita…era il modo per esprimere la sua sicilianità. Portò a scuola i due bambini e poi, inforcata la vecchia “graziella”, raggiunse con veloci pedalate la sua spiaggetta... “la mia piscina”, la chiamava lei. Era ottobre inoltrato, ormai, ma a Siracusa l’autunno può regalare giornate ancora assolate; cosi Carmela, abbandonata la bici contro un muretto a secco, raggiunse il bagnasciuga, si tolse la tuta che la infagottava e, rimasta in costume, con tre falcate entrò in acqua… Ebbe subito una strana sensazione -sarà il ventopensò, o il fatto che non nuoto da alcuni giorni.. Cominciò a nuotare vigorosamente ed in breve raggiunse la sua boa; per lei costituiva un punto di riferimento: oltre, il mare cominciava a diventare più profondo e lei aveva promesso a suo marito che sarebbe stata prudente. Aggrappata alla boa riprese fiato, ma una strana inquietudine si era impadronita della donna. “Ora torno indietro, l’acqua è troppo fredda…” fece un profondo respiro e cominciò a nuotare verso riva, quando la spalla destra toccò qualcosa…Carmela era una provetta nuotatrice, ma in quel momento sentì i brividi in tutto il corpo. “Cosa può essere stato? Forse la tempesta dei giorni scorsi ha sollevato delle alghe!” Alzò lo sguardo e cercò di guardare meglio nell’acqua scura e si rese conto di avere urtato un indumento, la giacca nera di una tuta. “Che razza di incivili, ormai in mare ci si trova di tutto!” Col cuore in gola raggiunse rapidamente la riva. La corrente l’aveva leggermente spostata rispetto al punto di partenza, ma non se ne avvide, lì per lì, perché, uscendo dall’acqua, la sua attenzione fu catturata da qualcosa abbandonato sulla sabbia. Si avvicinò con circospezione, non c’era nessuno a quell’ora del mattino… e con grande orrore vide che si trattava del corpo di una donna, in evidente stato di gravidanza. Le toccò il collo per accertarsi del respiro, ma era così confusa e spaventata che non riuscì a stabilire se fosse viva o morta. Si guardò attorno e con una rapida occhiata individuò i suoi abiti, abbandonati prima di immergersi, e come una pazza li raggiunse e telefonò al 112. Nel giro di pochi minuti Carabinieri e Croce Rossa raggiunsero la spiaggia e, dopo una prima ispezione, ci si rese conto che la donna era gravissima, ma che forse era ancora possibile salvare il bambino.. Andò cosi, infatti, i medici fecero venire alla luce una bambina bellissima con una pelle leggermente ambrata. Rimase nella culla termica alcuni giorni poi cominciò crescere senza problemi. Le indagini dei Carabinieri appurarono che la povera donna era senza dubbio caduta da una carretta del mare, o, peggio, era stata gettata in acqua perchè creduta morta… Molto probabilmente la giovane madre era di nazionalità nordafricana visti i suoi tratti somatici. Carmela seguì con grande interesse la vicenda e manifestò presto il desiderio di adottare la piccola, malgrado avesse già due bambini suoi. Il marito non si oppose, poiché comprese che la moglie non avrebbe cambiato idea... -Dove si mangia in quattro si mangia anche in cinque!- 35 E così la questione era finita. Non fu difficile aggirare le pastoie burocratiche relative all’adozione...in Sicilia è così…al nord tutto ciò non sarebbe potuto accadere! La chiamarono Onda, …Carmela così aveva deciso…-La trovai al mare…Onda è!La bambina crebbe tranquilla, molto seria, poco incline al sorriso, ma affezionata ai fratelli ed ai genitori adottivi. Divenne grande giocando a nascondino coi compagni di scuola nei vicoli di Ortigia, coi fratelli andava spesso alla spiaggia, ma non metteva mai i piedi nell’acqua …non volle mai imparare a nuotare, benché Carmela avesse provato di tutto per convincerla… -L’acqua è brutta non ci voglio andare..non imparerò mai a nuotare!Tuttavia la si poteva trovare spesso al molo a guardare il mare…se ne stava assorta ad osservare le navi che passavano al largo; anche quando aveva problemi o si sentiva inquieta si sedeva su qualche scoglio a fissare le onde. Un giorno Carmela ritenne che fosse arrivato il momento di parlarle della sua storia…Onda ascoltò assorta le parole della madre, non disse nulla e la abbracciò con tenerezza. Dopo il triennio delle superiori Onda non volle più studiare e andò a lavorare in una pizzeria, dove conobbe Giuseppe, e di lì a pochi anni si sposarono. I primi anni di matrimonio furono piuttosto duri, ma appena la coppia ebbe un po’ di risparmi Giuseppe le propose un viaggio in Marocco. –E’ vicino, non costa molto, poi lo sai che il mio sogno è quello di vedere il desertoOnda non aveva nessuna voglia di intraprendere il viaggio per mare ma, per non dispiacere al marito, gli disse di prenotare il traghetto. La traversata fu tranquilla, il mare calmo, tuttavia Onda non rimase nemmeno un minuto sul ponte, ma stette seduta tutto il tempo sotto coperta. Una leggera ansia la rendeva ancora più bella... i lunghi e ondulati capelli le incorniciavano il viso in cui spiccavano occhi dolci e vellutati che avevano fatto innamorare il suo Giuseppe. I giorni passarono veloci...i ritmi all’interno del villaggio turistico non davano tregua. Finalmente si arrivò al giorno dell’escursione nel deserto, appuntamento tanto atteso da Giuseppe. Sveglia all’alba, freddo cane, i due giovani salirono, insieme ad altri turisti, sul fuoristrada che li avrebbe condotti nell’oasi di Kafila. Furono svegliati da un’alba rosa meravigliosa che ad ogni momento sembrava cambiare tonalità…dune e sabbia, sabbia e dune e stelle che mano a mano se ne andavano per lasciare il posto ad un cielo di perla. Onda era affascinata; lo fu meno quando un improvviso guasto alla vecchia jeep li costrinse ad una sosta fuori programma e piuttosto prolungata nell’oasi. Poteva andare peggio! Obtorto collo si prepararono a trascorrere la notte attorno ad un fuoco quanto mai necessario per potere resistere al freddo del deserto. Ogni tanto arrivava un uomo ad aggiungere legna...era una persona molto affabile e quando si rese conto che i turisti erano italiani ed in particolare siciliani, disse che conosceva la loro isola. -Ho lavorato da voi.. a Catania, in un supermercato come uomo di fatica...dopo due anni di sacrifici ho fatto di tutto affinché mia moglie mi raggiungesse...- smise di raccontare. -E dopo ?– lo incalzò Giuseppe. -Ho pagato il viaggio per Fatiha, ma non è mai arrivata e non ne ho saputo più nulla…-Ma come, non ti sei interessato? Non hai chiesto?Imad, cosi si chiamava l’uomo, non rispose, imbarazzato. -Io clandestino… lavoro in nero- si portò una mano al petto -amavo Fatiha, aspettava un bambino…Allah ha voluto così: egli è grande e giusto e ha voluto così…Rendendosi conto di aver turbato i suoi amici, Imad aggiunse con orgoglio: -Ora ho altra moglie e quattro figli...Il viaggio di ritorno fu particolarmente silenzioso, Onda come assorta in pensieri lontani guardava il mare, Giuseppe pensò fosse esausta per la stanchezza. La situazione a casa non cambiò: Onda sembrava apatica, quasi scontrosa, spesso di malumore. Usciva di casa e se ne stava ore “alla piscina” a guardare lontano, persa in pensieri che non confidava a nessuno. Dopo circa tre settimane dal loro ritorno Carmela se la vide comparire un pomeriggio più pallida e ansiosa che mai… Onda raccontò del viaggio, dell’oasi e di quello strano incontro..di quella disgraziata madre… Carmela non disse nulla…non c’era nulla da dire...l’attirò a sé e la tenne stretta. Ormai era quasi sera, la condusse al mare, alla loro piscina. Senza una parola la accompagnò alla riva e dolcemente la bagnò… Era tempo, ormai… che Onda venisse abbracciata da sua madre… 36 Anna Maria Grazzi Il paradiso sulla torre La lunga vita Il soldato rimase a riposare nella grotta. Aveva freddo, aveva perso i compagni, non mangiava da giorni. L’unica salvezza era stata quella grotta, se di salvezza si poteva parlare. Stava iniziando a pensare, infatti, che fosse invece solo un pretesto per rimandare la sua inevitabile fine. La fame si fece sentire, quindi tentò di nuovo con il rilevatore. Niente. Uscì sbuffando dalla grotta, osservando il piatto orizzonte. Ed eccola li, l’altissima torre. La torre era talmente alta che non se ne poteva vedere la cima ed era lontana talmente tanto che non si poteva stimare quanto tempo avrebbe impiegato lui per arrivarci. Diverse leggende che gli avevano raccontato da piccolo narravano del paradiso che si credeva esserci sopra la torre. Ma mai nessuno, tuttavia, era tornato indietro per raccontare se fosse verità o menzogna. Il soldato aveva fame e, dopo aver imbracciato l’arma e il rilevatore, si incamminò, quasi dimenticandosi del suo arto lacerato. Si era provocato una profonda ferita alla gamba combattendo insieme ai suoi compagni contro il popolo di giganti che abitava quella pianura. Era stato dopo quella battaglia che era rimasto solo. La gamba rotta lo costrinse a trascinarsi con le mani verso la torre. Lui comunque non si perse d’animo. Non seppe mai quanti giorni passò in quella sterminata pianura finché arrivò a destinazione. L’altissima struttura era composta da un materiale che sembrava legno, ma molto più robusto e lucido, e non presentava né porte né finestre. Il soldato decise così di scalarla. Ma che fatica e quanta sofferenza con quella gamba rotta. Ed infine, dopo giorni passati a scalare la torre, arrivò in cima. Vide una sterminata pianura che sembrava rimanere sospesa nell’aria, dove erano disseminati frutti ovunque. Era il paradiso. Corse verso delle mele, affamato e stravolto dalle fatiche che aveva sopportato per arrivare fino a lì. E, finalmente, salì su una di esse e iniziò a mangiare, finché una grande ombra calò su di lui... “Mamma, mamma! C’è una formica su questa mela! Che schifo! Non la mangio più!” - strillò il bambino. La mamma prese la mela dal tavolo, la lavò e gliela porse nuovamente. “Ora è pulita... Mangiala che ti fa bene...” Quella sera la luna splendeva sopra le alte torri della città di vetro e i suoi riflessi perlacei si riflettevano sui palazzi. Era la tipica città moderna, costruita per lo più in verticale. E proprio in uno di quei giganti, dall’ampia vetrata di un monolocale, qualcuno osservava la città. William Pearl era il suo nome. Osservava spesso la metropoli e ormai si sentiva parte di essa: aveva potuto infatti osservarla mentre da piccolo centro abitato qual’era si era trasformata col passare del tempo diventando l’enorme città che ora spezzava il cielo con le sue altissime torri. La tecnologia aveva compiuto passi da gigante e questo aveva permesso la costruzione di edifici alti anche migliaia di metri. Dal monolocale si poteva osservare tutta la parte est della città e all’alba vi si poteva scorgere senza problemi il sole riconquistare il cielo. Ma per ora era ancora notte e William poteva permettersi di rimanere affacciato ad osservare quel mondo artefatto che gli esseri umani avevano iniziato a costruire. Quand’ecco un dirigibile pubblicitario passare tra i palazzi. “Aggiornate le vostre parti meccaniche! Sono disponibili i nuovi Hardware per il vostro corpo!” Preso da un’ira improvvisa, Pearl tirò un pugno alla vetrata, che si scheggiò. Guardandosi la mano sanguinante per il colpo, egli imprecò contro i vetri antisfondamento, poi l’odore ferroso del sangue lo riportò ai vecchi ricordi. Una breve lacrima solcò il suo viso pallido, andando ad asciugarsi sul freddo pavimento. Si allontanò dalla vetrata chiudendo i tendaggi, prese il cappotto dall’attaccapanni e uscì dal piccolo appartamento. Scese al piano terra e uscì dal palazzo, dirigendosi senza meta per le strade della città. Ripensava rabbioso e insieme rattristato alla pubblicità del dirigibile. Sì, ormai i discorsi erano tutti di quel tipo: “Sai che l’altra sera mi sono collegato biologicamente con una tipa! Un vero spasso!” “E’ ottimo proprio come ti dicevano! Visto che braccio artificiale che ho adesso? Una vera potenza!” “Ehi, gira voce che fra un po’ uscirà il nuovo Firmware per l’apparato visivo... Con questi occhi ho solo lo zoom fino al 5x...” Le tipiche conversazioni in città. Tutta quella tecnologia era stata la sua rovina. Era proprio questo progresso che aveva distrutto la sua vita. Se lo ricordava ancora il sapore del sangue, quel caldo liquido vitale... Ma ormai era da diversi secoli che non ne assaporava più e il ricordo di quel sapore stava lentamente svanendo in lui... Un’altra lacrima gli scese sul volto. Francesco Sedda 37 Se solo avesse potuto berne ancora... E’ una vera sfortuna per un vampiro dover vivere in un mondo popolato solamente da robot ricombinati... Francesco Sedda Non doveva morire così “Non doveva morire così”, “Sarà sempre nei nostri cuori”, “Era così giovane”... Sento queste voci in continuazione e in loro riconosco le voci delle persone a me più care, ma non capisco cosa stia succedendo, dove io sia e ancora meno perché non riesco a muovermi. Poi una voce sconosciuta attira la mia attenzione e quella di tutti gli altri presenti: “Siamo qui riuniti per celebrare il rito funebre della giovane Elisabetta...”. Mi si blocca il respiro, il cuore si raggela, le labbra sono incollate, il corpo paralizzato, urlo... Ma solo nella mia testa. Continuo a sentire quella voce che parla, parla, parla di me, di quell’atroce momento... Io non so, io non ricordo. Ad un tratto il silenzio. Sento qualcosa venirmi addosso. Poi un tonfo sordo, poi un altro, e un altro ancora... Ora ho capito: per loro sono morta! I rumori sono ora ovattati, ma riesco a sentire la terra che cade sulla mia bara e la ricopre. La gente piange, poi torna a casa, le macchine si allontanano. Ora sono sola e la mia paura non viene più distratta da quelle voci, sono bloccata e non riesco ad uscire. Vorrei piangere, vorrei disperarmi, ma non posso. Devo liberarmi! Di tempo non ne rimane molto... Sento già l’aria mancare; cerco di urlare ma non ce la faccio, la mia bocca è bloccata. Pian piano riesco a muovere le dita, ora le mani, provo a a picchiare sulla bara, a grattare via il legno. Le schegge che penetrano sotto le dita provocano un immenso dolore che mi fa sentire ancora più viva. Sì, perché io sono sepolta viva! Ora capisco che la mia fine sarà ancora più atroce di quella di cui parlavano le persone vicine a me al mio funerale. So che pian piano l’ossigeno mancherà e che la sete e la fame si faranno sentire. Fino a quando il cuore, stremato, si fermerà. Rinuncio, non riuscirò a liberarmi! Mi vengono in mente tutte quelle persone che in questi quindici anni mi hanno voluta bene, mia madre, i miei amici... Poi, non so come, riesco ad aprire gli occhi. Ma non vedo nulla, intorno a me c’è solo il buio! Riprendo forza, provo ancora a picchiare, a urlare, a fare rumore. Nessuno mi sente, nessuno mi sentirà mai. No! Aspetta! C’è qualcuno! Non so chi, non so cosa sta facendo, so solo che è qui. Urlo, picchio, faccio più rumore che posso. Ecco, sì, forse mi ha sentita! Sta scavando, urla… E’ mia madre! Poi il nulla di nuovo. Di certo è andata a chiamare qualcuno. È andata a chiamare qualcuno, vero? Ma non torna, dov’è? Non c’è più! No, un attimo, sento di nuovo la sua voce, non mi ha abbandonata! Ma c’è anche qualcun altro, e stanno scavando, e tra poco sarò libera! E di colpo la luce! È accecante, e sono viva! Non vedo nulla, sento una sirena, dicono che è per me, perché? Io sto bene… Sono viva! Ora riesco a distinguere le ombre, poi i colori e a poco a poco anche le forme, fino a tornare a vedere. Tante persone mi portano via, via da mia madre, io voglio stare con lei, perchè non la lasciano venire? Poi il buio di nuovo… Adesso sono finalmente sveglia, in un letto, vicino a me c’è mia madre, le chiedo cosa è successo. Dice che sono svenuta mentre i dottori mi portavano via; ma sono passate delle ore, perché è già buio. Ora però sto bene, i medici lo confermano: domani potrò tornare a casa! 38 Elisabetta Caffarella FOTOGRAFIE Maura Malpetti Sorriso Scarpe di donna Studio Miù Scorre il tempo 39 Speranza Valentina Monteleone Garden 40 RECENSIONI Death note MANGA Death Note è un manga giapponese incentrato su un ragazzo che decide di liberare il mondo dal male con l’aiuto di un quaderno dai poteri soprannaturali. Light Yagami è uno studente modello, annoiato dal suo stile di vita e stanco di essere circondato da crimini e corruzione. La sua vita prende una svolta decisiva quando trova per terra un misterioso quaderno con la scritta “Death Note”. Le istruzioni del Death Note asseriscono che qualsiasi persona il cui nome venga scritto sul quaderno morirà. Inizialmente scettico sull’autenticità del Death Note, credendolo uno scherzo, Light si ricrede quando assiste alla morte di due criminali di cui aveva scritto il nome sul quaderno. Dopo aver incontrato il vero proprietario del Death Note, uno shinigami (Dio della morte) di nome Ryuk, Light cercherà di diventare il “nuovo giustiziere”, in grado di decidere da solo leggi e punizioni. In breve, il grande numero di morti inspiegabili cattura l’attenzione del distretto di polizia e di un misterioso detective conosciuto solo come Elle ( L ). Elle scopre presto che il serial killer, soprannominato dai media Kira, si trova in Giappone. Conclude anche che Kira può uccidere solo conoscendo la faccia e il nome delle persone che vuole eliminare. Light capisce subito che Elle sarà il suo maggior nemico, e da qui ha inizio una sfida fra i due per provare la propria superiorità. Tutor Hitman Reborn Non siete forse stufi dei soliti Manga dove il protagonista è un figo tremendo, con poteri sovrannaturali e armi micidiali? Se è così, questo manga vi sconvolgerà! In Tutor Hitman Reborn, il protagonista è un ragazzo di nome Tsuna che, contro il suo volere, si ritrova candidato ad essere il nuovo boss della famiglia mafiosa italiana dei Vongola. L’attuale boss, chiamato il Nono per essere appunto il IX° boss della famiglia in ordine cronologico, sta infatti morendo e decide di affidare la guida della famiglia a Tsuna. Per far questo invia in Giappone un famoso serial killer di nome Reborn con lo scopo di fare di Tsuna un perfetto boss mafioso. Nonostante il problema della mafia in Italia non sia da sottovalutare, in questo Manga è trattato in modo piuttosto divertente e coinvolgente. I primi 5-6 numeri hanno la funzione di introdurre molti dei personaggi principali che assisteranno il protagonista, tra cui il già citato Reborn, un dinamitardo chiamato Gokudera, un giocatore di Baseball di nome Yamamoto e molti altri. Tuttavia è dal numero 7 che si entra nel vivo dell’azione, inizialmente con la comparsa di altri gruppi che vogliono togliere di mezzo Tsuna e poi con l’arrivo in Giappone dei Varia: i temibili mercenari un tempo al servizio dei Vongola ma che ora ambiscono al posto di Decimo Boss. Complessivamente questo è il Manga più coinvolgente che io abbia mai letto: un intreccio di trama ben strutturata e colpi di scena come se piovesse! Non manca mai infatti il colpo di scena finale che ti lascia sulle spine fino all’uscita del numero seguente! Detto questo, vi auguro una buona lettura. Francesco Sedda Valentina Monteleone CINEMA X-men le origini: Wolverine Regia: Gavid Hood Interpreti: Hugh Jackman, Ryan Reynolds, Live Shreiber, Danny Huston, Lynn Collins Si tratta del quarto film della Fox dedicato all’universo dei mutanti, incentrato sul passato tormentato del più 41 amato degli X-Men James Howlett detto Logan, alias Wolverine. Il personaggio è interpretato ancora una volta da Hugh Jackman, coproduttore del film. Dopo anni e anni di guerre e violenze Logan cerca la pace sulle montagne canadesi insieme alla sua amata Silverfox (Lynn Collins) che lo incoraggia a perseguire la sua natura umana. L’arrivo del fratello Victor e la morte dell’amata riporta Logan a rispolverare il suo lato animalesco in nome della vendetta, la stessa che lo porterà a consegnarsi nelle mani del generale William Stryker (Danny Huston) che lo renderà, attraverso un esperimento rischioso e doloroso, l’invincibile Arma X dotata dell’indistruttibile scheletro metallico d’adamantio. La forza del film sta nel non essere affatto un “X-Men 4”: la trama è decisamente Wolverine-centrica e gli altri personaggi, sebbene numerosi, sono ben delineati e rimangono fortunatamente solo una cornice; ad eccezione del bravo Liev Shreiber (Victor) che con il suo carisma fa da spalla al protagonista ma non oscura la forte presenza scenica di Jackman. Fra i tanti aspetti positivi sono da apprezzare i vari riferimenti ai primi tre film: alcune scene sono molto simili o comunque coerenti ai flashback del primo della serie, riconosciamo infatti un ancora inesperto Ciclope e, con un po’ di attenzione, una giovane Tempesta. Lo sceneggiatore David Benioff cerca un giusto equilibrio fra attinenza al fumetto e rivisitazioni, cosa non affatto semplice con le imprevedibili reazioni dei fan del fumetto e dei film. La trama è ben costruita: sullo schermo viene riportata la fragilità e l’umanità del mutante che si intravede molto bene anche tra botte, inseguimenti mozzafiato e azione a non finire, resa spettacolare da effetti speciali molto curati. Peccato solo per i fondali e la scenografia che a volte risultano un po’ troppo digitali. Sonia Madini MUSICA I gemelli diversi La band dei Gemelli Diversi, attiva dal 1997, è composta da: Alessandro Merli (DJ, nome d’arte THG), Francesco Stranges (voce, nome d’ arte Strano), Emanuele Busnaghi (rapper, nome d’ arte Thema), Luca Aleotti (rapper, nome d’ arte Grido). Con i Gemelli Diversi la musica hip hop è arrivata a Sanremo 2009. Nella prima serata del Festival (17 febbraio) i Gemelli Diversi hanno infatti presentato la loro canzone intitolata “Vivi per un Miracolo”. E di sicuro quella dei Gemelli Diversi è una delle canzoni più orecchiabili e radiofoniche ascoltate al festival. La canzone “Vivi per un Miracolo” con il ritornello “Ce l’hai un attimo per me?” ha tutte le carte in regola per diventare un tormentone. In oltre è un pezzo che affrontato ed analizzato più profondamente fa notare, oltre a fatti tristissimi dei nostri giorni, anche problemi e domande inerenti alla religione e a come una persona può affrontare tutti i problemi rivolgendo domande a Dio. Senza fine è il sesto album dei Gemelli Diversi, in commercio dal 20 febbraio 2009. È una raccolta che comprende i brani più famosi della band in aggiunta a tre nuovi pezzi. Oltre al brano illustrato sopra, troviamo d’interessanti Icaro, Nessuno è perfetto e Tu corri. Icaro è un pezzo lento e molto melodico che incita noi ragazzi a non arrenderci mai ed a rincorrere sempre i nostri sogni senza mai reprimerli; come anche Tu corri, altro pezzo che racconta la storia di un giovane giocatore talentuoso che vede il suo sogno realizzato mentre altri lo buttano via. Nessuno è perfetto è un pezzo allegro e nel classico stile Hip-Hop italiano che, come si intuisce dal titolo, suggerisce di “stare sempre con i piedi per terra però”. Oltre a questi brani la raccolta comprende altri pezzi storici tra cui Mary, tormentone di estati passate, e Anima gemella con la partecipazione di Eros Ramazzotti. Questo album, come ho detto prima, è un Greatest Hits, e devo ammettere che anche se gran parte dei pezzi sono conosciuti, non mi ha per niente deluso e credo che sia un’ottima raccolta ed un’ottima idea. Il mio consiglio per chi apprezza questo genere di musica, è come sempre di procurarselo perché questo è un “pezzo di storia” dell’Hip-Hop/R&B italiano. Federico Fabbris 42 I G.O.B Intervista a due giovani band a cura di Riccardo Bruno G.O.B, che dire… Sono un nuovo gruppo emergente e, cosa più importante, sono della nostra città. I G.O.B, che starebbe per Games Over Boys (i ragazzi dei giochi finiti) è uno dei nuovi gruppi Hip-Hop presenti sulla scena italiana e che, a mio avviso, hanno tutte le carte in regola per diventare grandi. Il primo album ufficiale uscirà i primi di luglio e s’intitola “Partire da zero”; essendo un mixtape, i prezzi saranno relativamente contenuti. I pezzi presenti nel cd sono 12 e vanno da “It’s my turn” che parla principalmente del fatto che ora è il proprio turno e il proprio tempo, a “Fuori” che tratta della storia di un giovane senegalese di Milano morto a causa di discriminazioni razziali; e ancora vanno da “G.O.B”, che sarebbe un inno del gruppo, a “Piccolo soldato”, storia di un ipotetico “bambino soldato” di paesi in guerra. O ancora “Tira su le mani” con la partecipazione di Son-J, altro rapper emergente, che è un incitamento a far festa come “Mantova stand up” altro incitamento per la propria città, anche questo creato con la partecipazione di altri artisti. Altri pezzi su cui soffermarsi sono “Muovilo”, pezzo in tipico stile americano e che vi lascio immaginare di cosa parla (è dedicato alle signorine), e “Life is killing me” che parla della vita moderna che sotto alcuni punti di vista può essere pericolosa e mortale. Il pezzo più interessante, secondo me, è però il numero 3 “Come fai”: pezzo melodico e molto orecchiabile, che al di là dell’ottimo sound, parla dell’importanza della musica e dell’amore verso il proprio genere musicale, e quanto questo possa farti sentire vivo. Il mio consiglio è di procurarvelo appena verrà pubblicato perché per quanto ad uno possano piacere altri generi posso assicurarvi che queste canzoni non stancano, e vanno bene per ogni occasione, sia per rilassarsi che per divertirsi o per incitare. E poi… CAVOLO, ragazzi, sono della nostra città!!! I Noots Da quanto tempo suonate insieme? E’ dal 2006. Chi sono i componenti del gruppo? E come si è formato? Greg alla chitarra e alla voce, Gara alla batteria e Giorgio al basso. Abbiamo iniziato a suonare insieme per divertimento, poi ci siamo appassionati a abbiamo deciso di contare organizzandoci meglio. Abbiamo già anche inciso un disco. Che genere di musica proponete? Indie-rock Diteci del disco... Ci sono quattro canzoni: The helmet, Morphine, Kids’ Anthem, Wonderland. Fate delle uscite? Certamente: ogni tanto organizziamo o partecipiamo a delle serate. Ne avete in programma attualmente? Per ora no. Aspettiamo l’estate. Allora ne faremo sicuramente. Gli Hertz Federico Fabbris Da quanto tempo suonate insieme? Suoniamo da circa un anno Chi compone il gruppo? E come si è formato? Mandra alla chitarra, Giova alla batteria, Emo al basso mentre Gianky, alla chitarra ritmica, è anche voce. Abbiamo iniziato per passatempo e poi ci abbiamo trovato gusto. Suonate da poco e penso non abbiate ancora 43 canzoni vostre… No, però ci stiamo lavorando. Per ora facciamo prevalentemente delle cover. Di che genere? Punk-rock e pop-punk DISEGNI Simone Micheletti 44 Michela Federico 45 46 Disegno di Sara Potyscki REBUS 47 48 TEST Sei fantasioso? Misura la tua creatività! 1. Quale tra i seguenti generi di lettura preferisci? a) Romanzi gialli b) Poesie c) Biografie storiche 2. In quale tra le seguenti località ti piacerebbe passare una settimana di vacanza? a) Guatemala b) Londra c) Maldive 3. Mentre parli al telefono, ti capita di scarabocchiare sui fogli? a)Spesso b) Qualche volta c) Raramente 4. Cosa attira di più la tua attenzione quando cammini per strada? a) Le persone che incontro b) I giardini e le piante c) Le vetrine dei negozi 5. Ricevi una grossa somma di denaro inaspettatamente e vuoi festeggiare con i tuoi amici. Cosa organizzi? a) Un week-end a Euro Disney b) Una festa In un locale c) Una cena in un ristorante di classe 6. Ti piace riparare gli oggetti? a) Si b) Solo se capisco qua! E’ il guasto c) No 7. Quale sceglieresti tra le seguenti professioni, se ti garantissero la sicurezza di avere successo? a) Neurochirurgo b) Avvocato c) Politico 8. Quale tra le seguenti attività ti piacerebbe praticare come hobby? a) Qualcosa di artistico come la ceramica b) Uno sport c) Collezionismo 9. Ti piace giocare al computer? a) Si b) Forse, se avessi più tempo c) No 10. È notte e non riesci a prendere sonno, quale potrebbe essere la ragione? a) La mia mente è iperattiva b) Sono preoccupato per qualcosa c) Non sono stanco 11. Hai un carico di lavoro davvero notevole e delle scadenze strette. Cosa fai? a) Cerco di pensare a un metodo per ridurre i tempi ed essere più produttivo b) Individuo le priorità e svolgo per primo il lavoro più urgente c) Mi metto subito al lavoro e non smetto finché non ho terminato 12. Cosa ti piacerebbe regalare al tuo partner per Natale? a) Qualcosa che esaudisca un suo desiderio b) Qualcosa che abbiamo visto insieme e sono sicuro che possa piacere c) Un buono per acquistare quello che vuole 13. Se ti invitassero al circo, quale tra questi personaggi vorresti che non mancasse nello spettacolo? a) Mago b) Giocoliere c) Acrobata 14. Quali doti dovrebbe avere il tuo cane? a) Dovrebbe essere allegro e tenermi compagnia b) Dovrebbe essere ubbidiente e tranquillo c) Dovrebbe proteggermi dai pericoli 15. Quale di questi sport ti piacerebbe praticare? a) Golf b) Calcio c) Pugilato 16. Quale tra i seguenti film di Alfred Hitchcock ti pia- cerebbe vedere, o rivedere? a) Pysco b) Gli uccelli c) La finestra sul cortite 17. Quale dei seguenti aggettivi ti si addice maggiormente? a) Stravagante b) Dinamico c) Ordinato 18. Qual è il tuo fiore preferito tra questi? a) Orchidea b) Tulipano c) Margherita 19. Dovendo scegliere tra i seguenti giochi enigmistici, quale preferiresti risolvere? a) Dettagli nascosti b) Anagrammi c) Parole crociate 20. Credi ai fenomeni paranormali? a) Si b) Solo ad alcuni c) No 21. Cosa pensi dell’arte moderna? a) E’ originale e induce a riflettere b) Non sempre mi piace c) La trovo insignificante 22. Pensi al futuro con preoccupazione? a) Si, frequentemente b) Qualche volta c) Solo occasionalmente 23. Potendo scegliere, dove ti piacerebbe abitare? a) In una casa antica con molte stanze e corridoi b) In una casa colonica spaziosa e lontana dalla confusione c) In una casa in centro piccola ma funzionale 24. Quale dei seguenti aggettivi ti descrive meglio? a) Curioso b) Operoso c) Soddisfatto 25. Ti definiresti una persona che segue la moda? a) No, preferisco il mio stile b) Fino ad un certo punto c) Si, in generale 49 La Redazione SOLUZIONI REBUS (9,3,4) Pistoleri del west (7,10) Zuccata spaventosa (4,2,4,7) Uomo di bell’aspetto (11,2,7,6) Esposizione di oggetti romani (8,2,8,6) Scoperta di notevole valore (9,10) Stendardi imperiali (8,5,8,1,5) Numerosi metri percorsi a piedi (6,7,8,5,7) Roseto fiorito rovinato dalla pioggia (6,3,8,10) Mulino per macinare granaglie PUNTEGGIO TEST “SEI FANTASIOSO?” Assegna 2 punti ad ogni risposta A, 1 punto ad ogni risposta B, 0 punti alle risposte C. 35-50 punti: Sei una persona estremamente creativa, fantasiosa, originale e anche un po’ eccentrica. Non hai paura di infrangere le convenzioni e uscire dagli schemi. 16-34 punti: Sei una persona equilibrata e obiettiva, tendi a rispettare le convenzioni e le regole sociali ma ciò non fa di te una persona rigida perché sai ragionare con la tua testa e hai una mentalità aperta. Meno di 16 punti: Sei una persona piuttosto razionale, conformista e precisa e poco fantasiosa per natura. Nel lavoro e nello studio ti muovi con ordine e meticolosità. 50 Foto curiosa: I vincitori Tra le foto che ci sono pervenute per il concorso “FOTO CURIOSA”, la giuria ha scelto la seguente proveniente da Andrea Malavasi, Paolo Rizzardi e Federico Veneri. In 4AET tra Carli e D’Amico non mettere il dito Prof Carli -”Rosario mi hai detto la noia è un aggettivo, un sostantivo e poi un sentimento, non so dimmi che è anche un bullone già che ci sei...” -”1 Non puoi parlare, 2 Non si è capito una mazza, 3 Do una nota a quest’uomo!!!“ -”Gatti dimmi cos’è il Barocco..” - “ Eh il Barocco è un movimento...” - “ Movimento di cosa? Del bacino?” -”Immaginatevi la fusione tra Bonini e Fusoli: Bonisoli il mostro a due teste!!!“ -”Non è che la Divina Commedia sono le barzellette di Totti eh...” -”Busoli, meno parli più ti apprezzo… E tu Gatti leggi, se ti ricordi come si fa...” -”Domani chi non ha il tema lo interrogo su quello che voglio io… Mah, anche biologia per esempio” -”Massa stai giocando la carta simpatia, discutibilissima oltretutto...” -”Ma va a ciapàr i ràt!!!” -”Non dovete pensare che il Medioevo sia iniziato esattamente nello stesso momento in tutta Europa, non è che c’era un tipo che diceva <Pronti, attenti, via! Siamo nel Medioevo!!!>“ -”Molinari hai il libro?” - “No profe…” - “ Bene ti do un meno..” - “ Ma l’ho sempre avuto!!!” -“Mah… Nell’incertezza ti do un meno lo stesso...” Prof D’Amico -“Mi raccomando, state zitti e fate finta di ascoltare“ -”Avete visto che attorno ai paninari non ci sono mai i gatti? Sono tutti dentro i panini” -”Io faccio le domande, le risposte non le so...” -”Le macchine sono fatte per stare fuori! “ - ”E allora perchè esistono i garage?” - “Per affittarli ai fessi!” -”Non è importante perchè non c’è... E’ importante che non ci sia” -”Voglio sentire il rumore del silenzio “ - “Ma che rumore è?” - “ Se taci lo sentiamo...” -”Chi muore annegato a l’è ‘n stupid. Se poi abita in Pianura Padana l’è stupid al quadrat perchè ci sono tanti canali” -”Se ti butti dal quinto piano non assumi la classica forma a goccia” -“Controllate voi stessi: se state parlando ditevi di smettere” -”Se i tappini delle biro sono bucati vi hanno rubato dei soldi” -”Quando parli con me... DEVI STARE ZITTO!!!” -“Prof, quando andiamo in settimana bianca?” - “A fine giugno” -”Non è che vogliamo fare la hit parade della stupidità” -”Se non taci perdo il filo del discorso, mi affatico, mi viene fame e poi devi pagarmi gli alimenti” -”Ma devi proprio fare 5 cose di fretta? Fanne 4 con calma” -”Sono talmente abituato che non mi ricordo” -”Non è che ogni volta che sbadigliate devo fare l’otorinolaringoiatra e controllarvi le tonsille” Risate bestiali Un uccellino sta girando per il bosco e a un certo punto trova un cane e gli chiede: “E tu chi sei?” E il cane: “Un cane-lupo” E l’uccellino: “Perché canelupo?” Il cane: “Perché mia mamma era un cane e mio papà un lupo”... L’uccellino va avanti e trova un pesce: “E tu chi sei?” Il pesce: “Una trota-salmonata” L’uccellino: “Perché una trota-salmonata?” Il pesce: “Perché mia mamma era una trota e mio papà un salmone”... L’uccellino va avanti e trova una zanzara e le domanda: “E tu chi sei?” “Una zanzara-tigre” E l’uccellino: “Ma va a…” Un bruco nel prato incontra una bella bruca… Bionda, occhi azzurri, snella... E le chiede il suo nome: “Ciam” risponde lei. “Vuoi uscire con me stasera?” “Sì”. Si scambiano il numero di telefono per incontrarsi la sera. Poi il bruco incontra un’altra bella bruca. Questa volta castana, con molte curve, labbra carnose ed occhi marroni. “Come ti chiami?” “Ciam” risponde la bruca. “Vuoi uscire con me domani sera?” “Sì”. E si scambiano il numero di telefono. Il bruco incontra infine un’altra bruca, anch’essa bella, con capelli lunghi fino alle spalle, neri, con occhi azzurri, fisico perfetto. “Come ti chiami?” “Ciam” risponde la bella bruca. “Vuoi uscire con me posdomani sera?” “No” dice lei. Morale della favola: non tutte le Ciam belle escono col bruco... 51 A cura di Gabriel Wiwoloku Battute fredde Ci sono due pecore che si fissano per degli istanti interminabili. Alla fine una fa all’altra con aria di sfida: “Beeeh?” Cosa fanno due squali fuori da una gara? Sono stati squalificati!!! Un tacchino a una papera: “Dove abiti?” e la papera: “Qua!” Due topi davanti ad un cinema: “Entriamo?” “Ma no, ci sono solo quattro gatti” Qual è l’animale più incerto su dove andare? L’aqui-la! Che cosa fa un maiale che cade dal 5° piano? “SPECK!!!” A cura di Gabriel Wiwoloku Prof.ssa Facchini (di Giulia Casetta) Fumetto (di Giulia Casetta) 52 Curiosità sul 19 (dedicato a questo numero di FERMI TUTTI) Il 19 è: - L’ottavo numero primo - ll terzo numero il cui reciproco decimale è di lunghezza massima, in questo caso 19 cifre: 1/19 = 0,052631578947368421 - Il numero atomico del potassio (K). - La risata nella “smorfia” Il numero binario corrispondente al 19 è 00010011 Ed ora un po’ di giorni 19: 19-6-1885: La Statua della Libertà arriva nel porto di New York 19-3-1918: Il congresso USA stabilisce il fuso orario e approva l’ora legale estiva 19-6-1938: A Parigi l’Italia batte 4-2 l’Ungheria nella finale dei Mondiali di Calcio e si laurea per la seconda volta Campione del Mondo 19-10- 1957: Primo test sotterraneo statunitense di una bomba nucleare 19-12-1972: L’Apollo 17, ultima missione dell’uomo sulla luna, rientra sulla terra 19-12-1974: Viene messo in vendita l’Altair 8800, il primo personal computer 19-4-1987: I Simpson fanno la loro prima apparizione al Tracey Ullman Show in un breve episodio intitolato Good night 19-7-1992: Palermo: a pochi mesi dalla strage di Capaci, viene ucciso il procuratore della Repubblica Paolo Borsellino 19-11-2007: La Fontana di Trevi viene colorata di rosso A cura di Elisabetta Caffarella DIARIO DI BORDO DELLA 4S Prof. Oliani: “Cosa leggevi prima che non eri attenta?” - “Il I° canto del Purgatorio” - “Ma dai!!! È più divertente quello che dico io!” Prof.ssa Sarzi: “Non fate i compiti alla vacca maniera.” “Non parlate come scaricatori di porto.” Prof. Oliani: “Togli il casco dal banco che anche se cade non si rompe... O l’hai preso all’Hao Mai?” Prof. Garilli: “Una volta dicevano che le donne sono meno intelligenti perché hanno il cervello che pesa meno rispetto a quello maschile; non è vero: sono meno intelligenti per altri motivi!” “Continuate a esprimere quello che avete in testa, cioè state zitti.” Dopo aver visto la nostra foto come sfondo del registro elettronico della classe: “Non ho capito perché dovete affliggermi con le vostre facce anche sul desktop” “La profe di chimica ha un gesso invadente: non si riesce a cancellare.” “Gli idrocarburi finiscono tutti in ‘ano’; si vede che quello che li ha scoperti era gay.” Prof.ssa Sbarbada: “Cambiamo i bambini nella culla, facciamo col coseno” Prof.ssa Motta: “Questi esercizi hanno una componente di rottura, nel senso che dopo un po’ che li fai ti rompi.” Prof.ssa Facchini: -“Adesso vi espongo quello che sarà il programma di quest’anno così vi do subito la mazzata!” -”L’uomo è così: ha una linea di schifezza.” -”Stancari sei stanco?” - “Sì, un pochino” - “Fai onore al tuo nome!” “Basta!!! Non è che a Natale siamo tutti più buoni.” “Per San Valentino interrogherò il maggior numero di persone per la massima infelicità possibile!” Lezione di inglese: “Nella cultura vichinga esisteva la dea Frida. Poi noi l’abbiamo rapita e portata all’Itis.” 53 Ripassiamo qualche assioma della Legge di Murphy: Se qualcosa puo’ andar male, lo farà Alcuni corollari 1. Niente e’ facile come sembra. 2. Tutto richiede più tempo di quanto si pensi. 3. Se c’è una possibilità che varie cose vadano male, quella che causa il danno maggiore sarà la prima a farlo. 4. Se si prevedono quattro possibili modi in cui qualcosa può andare male, e si prevengono, immediatamente se ne rivelerà un quinto. 5. Lasciate a se stesse, le cose tendono a andare di male in peggio. 6. Non ci si può mettere a far qualcosa senza che qualcos’altro non dovesse essere fatto prima. 7. I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedirgli di nuocere. La filosofia di Murphy: Sorridi... Domani sarà peggio. La costante di Murphy: Le cose vengono danneggiate in proporzione al loro valore. Versione relativistica della legge di Murphy: Tutto va male contemporaneamente. Postulato di Boling: Se sei di buon umore, non ti preoccupare. Ti passerà. Legge di Iles: Quando il modo migliore ci sta davanti agli occhi, specialmente per lunghi periodi, non lo vediamo. Legge di Chisholm: Quando tutto va bene, qualcosa andrà male. Corollari della Legge di Chisholm: 1. Quando non può andar peggio di così, lo farà. 2. Se le cose sembrano andar meglio, c’è qualcosa di cui non stiamo tenendo conto. 3. Se si spiegano le cose in maniera tale che nessuno possa non capire, qualcuno non capirà. 4. Se si fa qualcosa con l’assoluta certezza dell’approvazione di tutti, a qualcuno non piacerà. 5. Se si vuol mettere qualcuno di fronte al fatto compiuto, il fatto non si verificherà. Prima legge di Scott: Qualsiasi cosa vada male, avrà probabilmente l’aria di andare benissimo. Terza legge di Finale: In un qualsiasi insieme di dati, la cifra cosi’ evidentemente corretta da non richiedere un controllo è l’errore. Legge di Gumperson: La probabilità che qualcosa accada è inversamente proporzionale alla sua desiderabilità. Legge di Rudin: In casi di crisi che obbligano la gente a scegliere tra varie linee di condotta, la maggioranza sceglierà la peggiore possibile. Teorema di Ginsberg 1. Non puoi vincere. 2. Non puoi pareggiare. 3. Non puoi nemmeno abbandonare. Chiosa di Freeman al teorema di Ginsberg: Tutte le più importanti filosofie che cercano di dare un significato alla vita sono basate sulla negazione di una parte del teorema di Ginsberg. Per esempio: 1. Il capitalismo è basato sul presupposto che si possa vincere. 2. Il socialismo è basato sul presupposto che si possa pareggiare. 3. Il misticismo è basato sul presupposto che si possa abbandonare. Teorema di Stockmayer: Se sembra facile, è dura. Se sembra difficile, è fottutamente impossibile. Quattordicesimo corollario di Atwood: Non si perde mai nessun libro prestandolo, a eccezione di quelli cui si tiene particolarmente. Leggi complementari di Richard sulla proprietà: 1. Se si tiene a qualcosa abbastanza a lungo lo si potrà buttare. 2. Qualsiasi cosa si butti, servirà non appena non sarà più disponibile. Legge di Lewis: Per quanto uno cerchi e si informi prima di comprare un qualsiasi articolo, lo troverà a minor prezzo da un’altra parte non appena l’avrà acquistato. Osservazione di Zenone: L’altra coda va più veloce. Legge dei treni: Se il proprio treno è in ritardo, la coincidenza partirà in perfetto orario. Legge di Johnson e Laird: Il mal di denti tende a cominciare di venerdì sera. Legge di Boob: Si troverà sempre una qualsiasi cosa nell’ultimo posto in cui la si cerca. 54 A cura di Claudio Marozzi FermiTutti n° 19 con Annuario 2008-2009 Edizione giugno 2009 Grafica e impaginazione del giornale Sara Potyscki e Giacomo Tirelli con la collaborazione di Alessandro Bonichini Grafica e impaginazione dell’annuario Sara Potyscki e Giacomo Tirelli con la collaborazione dei rappresentanti di istituto La copertina di FermiTutti 19 è stata creata da Marco Brondi La copertina dell’Annuario 2008-2009 è stata creata da Alessandro Bonichini Responsabile del progetto prof. Claudio Marozzi 55