FermiTutti n° 19 con Annuario 2008-2009 - "Fermi"

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FermiTutti n° 19 con Annuario 2008-2009 - "Fermi"
Francesco Sedda, Il paradiso sulla torre
Francesco Sedda, La lunga vita
Elisabetta Caffarella, Non doveva morire così
Fotografie di Maura Malpetti e di Valentina Monteleone
Recensioni
THR (a cura di Francesco Sedda)
Death Note (a cura di Valentina Monteleone)
Wolverine (a cura di Sonia Madini)
I Gemelli Diversi (a cura di Federico Fabbris)
I G.O.B. (a cura di Federico Fabbris)
Intervista a due giovani band (a cura di Riccardo
Bruno)
Disegni di Simone Micheletti, Michela Federico e
Sara Potyscki
INDICE
ATTUALITA
Greta Moschini, Ciao Eros. E grazie per quello che
ci hai insegnato
Matteo Andreoli, Alle origini della crisi economica:
dai mutui ai subprime
Cristian Chignola, L’EXPO 2015 come la Fiera, ovvero la Milano da mangiare
Francesco Coghi, Staminali, presente e futuro: la
scienza oltre l’etica?
Ambra Fusaro (in la collaborazione con Fabiola), A
volte c’e’ bisogno di aiuto
Anwara Chowdhury, Pacchetto sicurezza o misure
xenofobe?
Dalla 3S, Didascalie d’autore
Giacomo Tirelli, La mia esperienza di studente
Giulia Casetta, Un “fantastico” scambio con degli
studenti polacchi
Sara Zamboni, Il viaggio di istruzione a Monaco:
una lieta sorpresa
Simone Favaro, Una significativa visita a San Patrignano
Maura Malpetti, Malta, un dolce ricordo
Alex Zenegaglia, Visita al Museo Leonardo da Vinci
di Milano
Gabriel Wiwoloku, La prima volta di Radioitis
Andrea Mazzocchi, A scuola di improvvisazione
musicale
Ambra e Giulia, A scuola di teatro con Giovanna e
gli Zerobeat
Sara Zamboni, Conoscere per prevenire: all’Itis un
incontro di educazione alla salute
Al Bonomi c’è Smarties (a cura della redazione)
ENIGMISTICA
Rebus (invenzioni di Claudio Marozzi)
Sei fantasioso? (test)
Soluzioni dei rebus
Punteggio del test
HUMOR E CURIOSITA
Concorso foto curiosa: I vincitori
Giulia Casetta, Un fumetto
Giulia Casetta, La prof.ssa Facchini
Curiosità sul 19 (a cura di Elisabetta Caffarella)
Diario di bordo della 4S
In 4AET tra Carli e D’Amico non mettere il dito
Barzellette bestiali (a cura di Gabriel Wiwoloku)
Battute fredde (a cura di Gabriel Wiwoloku)
Ridacchiamo un po’ (a cura di Gabriel Wiwoloku)
Ripassiamo qualche assioma della legge di Murphy:
“Se qualcosa puo’ andar male, lo farà” (a cura di
Claudio Marozzi)
INTERVISTE E INCHIESTE
Sondaggio sul gradimento dell’Itis da parte di noi
studenti (a cura di Alberto Massara e Loris Caffarra)
Un campione tra noi: intervista a Diego Marani, uno
che sa correre (a cura di Andrea Malavasi)
Palla ovale mon amour: intervista al nostro compagno Andrea Malavasi (a cura di Maura Malpetti)
Intervista al team di Writer’s Dream, il sito degli
scrittori esordienti (a cura di Francesco Sedda)
SPORT
Maura Malpetti, L’ultras è un tifoso, non un delinquente
Paolo Rizzardi, Formula 1: Ma che succede?!
Filippo Gavazzi , Ducati che passione!
I risultati sportivi della nostra scuola (raccolti da
Paolo Rizzardi)
CULTURA
Loris Caffarra, Brutto o bello, giusto o sbagliato?
NO: diverso
Claudia Malpetti, Nonno Futurismo compie cent’anni
Claudio Marozzi, La macchia
Anna Maria Grazzi, La nuotata
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Ciao Eros. E grazie per quello che ci hai insegnato
Eros non c’è più.
Io la morte non la auguro a nessuno, ma sono sempre
più convinta che quelle persone meritino la vita molto
meno di quelli come Eros, che ne è stato privato, che
se l’è sentita portar via giorno dopo giorno, ora dopo
ora. E proprio per questo l’ha gustata più che ha potuto, e ne apprezzato il sapore: unico. E irripetibile.
Di fronte alla sua morte, devo ammettere che non è
solo straziante contemplare lo spazio vuoto che ha
lasciato nell’universo, ma anche vedere due mondi
così vicini e così opposti: da un lato persone che hanno tanta voglia di vivere, dall’altro altre che non si rendono conto dell’opportunità che è stata donata loro.
La cosa che mi fa pensare ancora di più è che molte di queste ultime conoscevano Eros, potendo così
toccare con mano la fragilità della vita, ma nonostante questo continuano imperterrite per il loro sentiero come se niente fosse successo. Allora arrivo a
pormi una domanda: “Perchè?”. Siete in grado voi
di rispondermi? Perchè io non sono ancora riuscita
a capacitarmi del motivo per cui costoro continuano
a fare certe cose, ad assumere sostanze, a correre
come matti in auto, avvicinandosi (e, cosa paurosa,
CONSAPEVOLMENTE) sempre di più alla morte.
Perché la vita è una sola e che va vissuta fino in
fondo, perchè tutto ciò che scriviamo nel “nostro
diario” è indelebile e non lo potremo più cancellare:
farà per sempre parte della nostra storia. Unica. E
irripetibile. Né da noi, né da nessun altro.
Il mio augurio, a me e a tutti, é che sappiamo apprezzare e vivere la vita con la stessa forza con cui Eros
avrebbe voluto continuare a farlo; facciamo tutto ciò
che è in nostro potere, spacchiamo il mondo finché
possiamo, dimostriamogli quanto valiamo, facciamolo in omaggio a Eros. Facciamolo per le persone a
cui vogliamo bene e per quelle che ci hanno lasciato.
Ma soprattutto per noi stessi, perchè non c’è niente di più bello che guardarsi indietro un giorno e vedere quanto sia ricca e meritevole la nostra storia.
Non voglio essere fraintesa, è umano essere curiosi e voler provare e sapere cose delle quali si conosce poco o niente; ma bisogna anche riconoscere i propri limiti, accorgersi di quando è il momento
di fermarsi. Capisco che può essere difficile, ma io,
ad esempio, certe emozioni, come quelle che dicono si provino ad assumere sostanze stupefacenti, mi impongo di non volerle conoscere; non
nascondo la mia curiosità, ma conosco anche la
paura: paura di non riuscire a tornare più indietro,
come succede a molti, troppi adolescenti come me.
Quello che ci scivola dalle mani non riusciremo più a
riprenderlo, perciò afferriamo al volo ogni possibilità,
ogni occasione. Il treno passa solo una volta, e se
parte senza di noi non tornerà più indietro a prenderci.
Non aspettiamo di toccare il fondo prima di risalire.
Più rimandiamo più la salita si allunga e diventa
faticosa.
Quante volte la voglia di adrenalina ci porta ad
appesantire il piede mentre si guida; è normale anche questo; l’adrenalina è una droga naturale che produce il nostro corpo dandoci piacere
e della quale si sente il bisogno. Ma dobbiamo in
continuazione renderci conto dei limiti, quei limiti che non devono essere oltrepassati, perchè la
vita ci porrà sempre di fronte ad un bivio: e solo
noi possiamo decidere quale percorso scegliere.
Pensiamo ogni tanto a Eros. Per ricordarlo. E perché lui ci ricordi tutto questo.
“Gli angeli vengono se tu li prendi,
e quando arrivano ti guardano, ti sorridono
e se ne vanno,
per lasciarti il ricordo di un sogno lungo una notte
ma che vale una vita.
Vivilo in fondo, perchè lui
non torna più.”
Non so a chi sia successo di assistere ad uno spettacolo come quello che ho citato prima dei due mondi
opposti, ma so che per me è veramente vomitevole.
Sapere che esistevano persone come Eros, che era
pieno di vita e gioia, che non aveva mai perso il sorriso, che nonostante tutto ha sempre continuato a studiare. E nello stesso tempo vedere che esistono persone che non solo se ne fregano dello studio (ma fino
a qui la cosa non è nemmeno così grave: al massimo
faranno i lavavetri), ma anche e soprattutto non si rendono conto dell’enorme dono che è stato dato loro:
VIVERE. E lo buttano via con la stessa facilità con
cui si getta un bicchiere di plastica dopo aver bevuto.
Ciao Eros, ti rincontreremo un giorno.
Greta Moschini
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Alle origini della crisi economica: dai mutui ai subprime
Secondo Joseph Stigliz, Nobel per
l’Economia 2001, la crisi che ha travolto le borse e le economie mondiali costerà, complessivamente,circa
1.000 miliardi di euro: 4 volte il Pil
dell’Austria o l’equivalente di 200
maxi transatlantici. Per rendersi conto dell’enormità del problema, non
bisogna essere degli economisti.
Grandi banche come la Lehman Brothers sono fallite, altre come la Goldman Sachs sono state salvate dai governi che (con
i soldi dei contribuenti) hanno ripianato parte dei debiti. Ma i problemi non sono rimasti nelle tasche dei
grandi speculatori: molte famiglie si sono trovate alle
prese con mutui sempre più opprimenti e, secondo
il Financial Times, 6 nazioni rischiano ancora oggi
la bancarotta: Islanda, Pakistan, Argentina, Ucraina,
Kazakistan e Turchia non sarebbero più in grado di
far fronte ai debiti contratti con gli altri Paesi.
Ma come ha potuto crearsi una crisi che mette a rischio persino l’economia di interi stati? Per dare risposta a questa domanda bisogna recarsi negli Stati
Uniti. Lì qualche anno fa comprare casa risultava un
ottimo investimento: i tassi d’interesse erano bassi
e le rate erano sopportabili. Il valore delle case era
in continuo aumento. Comprare un immobile costituiva quindi un buon investimento. Dal canto loro, le
banche facevano di tutto per mantenere questo clima
di ottimismo generale: confidando nella costante crescita dei prezzi delle abitazioni, offrivano mutui pari al
100% del valore della casa. Non solo: pensando che
il tasso d’interesse sarebbe rimasto basso, le banche
avevano spinto i clienti a stipulare mutui a tasso variabile, meno costosi nell’immediato. Oltre a ciò, ricevendo per ogni mutuo emesso una cifra importante,
esse iniziarono a prestare soldi anche a chi aveva
difficoltà a pagare le rate: ed ecco i “subprime”: prestiti su prestiti, cioè debiti su debiti. Tutto è andato
bene fino a quando, nel 2007, la bolla è scoppiata:
i prezzi delle case hanno iniziato a diminuire, molte famiglie si sono trovate con un mutuo più alto del
valore effettivo del loro immobile e hanno smesso di
pagare le rate.
Ma non è stata solo l’euforia dell’erogazione dei
mutui la causa della crisi
economica. L’invenzione
finanziaria che ha causato il crollo delle borse è
stata la “cartolarizzazione”. Grazie a questa operazione i mutui sono stati
“impacchettati” dalla banca che li ha erogati e ven-
duti come obbligazioni.
In pratica: se la banca
“A” ha concesso un mutuo al sig. Rossi di un milione di euro, ha potuto
vendere in Borsa l’equivalente in obbligazioni
che avrebbero dovuto
rendere un buon interesse a chi le comprava. Le
banche hanno così suddiviso i loro crediti in centinaia di altre banche che
hanno fatto lo stesso. Così facendo, le banche hanno erogato sempre più mutui subprime sapendo che
il debito sarebbe stato accollato ad altre banche. E’
stata questa compravendita dei debiti che ha portato
alla crisi: quando i prezzi delle case sono diminuiti si
è capito che i mutui subprime rischiavano di non essere rimborsati. Di conseguenza le obbligazioni hanno perso valore e nessuno ha più acquistato questi
titoli.
La caduta delle banche è dovuta anche al meccanismo contabile “mark to market” che obbliga le società a registrare le attività nei libri contabili al valore
reale. E dato che le attività di una banca sono di tipo
finanziario, quando il loro valore crolla, iniziano i guai.
Guai che presto si estendono a tutto il sistema economico. Non sapendo quanto le loro “sorelle” erano
a rischio e quindi se erano o no in grado di restituire i
prestiti richiesti, le banche hanno smesso di prestarsi
denaro a vicenda paralizzando così il mercato. Nelle
Borse di tutto il mondo si è perciò scatenato il panico.
Le azioni delle banche sono crollate. I clienti che hanno messo in banca il proprio denaro l’hanno chiesto
indietro. In tale situazione è stato possibile che qualche banca (solitamente nessun istituto di credito ha
il denaro liquido per soddisfare molte richieste in una
volta) fallisse. Ma il fallimento ha creato enormi problemi a tutti gli istituti di credito che avevano erogato
prestiti, iniziando un pericoloso effetto domino.
Il nostro paese soffrirà molto di questa crisi? Un
po’ meno di altri, secondo Guido Tabellini, rettore
dell’università Bocconi di Milano: la sua arretratezza
economica permetterà al nostro paese
di essere colpito solo in parte da questa catastrofe. Ma gli effetti comunque si
avvertono: il calo vistoso dei consumi e
degli ordinativi aziendali, l’aumento della cassa integrazione e, ancora peggio,
dei licenziamenti e quindi della disoccupazione.
Matteo Andreoli
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L’Expo 2015 come la Fiera, ovvero la Milano da mangiare
Con l’assegnazione di Expo 2015 a Milano, avvenuta
il 31 marzo 2008, una montagna di quattrini arriverà
nella metropoli milanese.
Questo capitale servirà alla preparazione e alla gestione dell’esposizione universale del 2015, intitolata
“Nutrire il mondo, energia per la vita”. Essa avrà una
durata di sei mesi e si terrà in un’area, ora agricola,
adiacente al polo fieristico Rho-Pero.
Dal primo maggio 2015 al 30 ottobre dello stesso
anno si stima che accederanno all’Expo 29 milioni
di visitatori da tutto il mondo, con una media quindi
di 160mila visitatori al giorno. In funzione dell’evento
verranno accelerate diverse grandi opere infrastrutturali, verranno ristrutturati alcuni quartieri e ne verranno edificati di nuovi.
Expo 2015 viene venduto da centrodestra, da centrosinistra e da tutte le istituzioni coinvolte come una
grande opportunità, ma si sta configurando, in realtà, come una sciagura, vista la cementificazione
selvaggia, e il consumo di territorio che comporta, e
vista la creazione di infrastrutture inutili che, di fatto,
aumenteranno il traffico già oggi insopportabile nel
capoluogo lombardo.
Per l’organizzazione dell’evento molto si attinge dal
modello Fiera, non a caso, infatti, la candidatura di
Milano è stata sostenuta in prima linea, oltre che dalle
istituzioni locali, dalla Fondazione Fiera. Oggi come
allora, quando si costituì Fondazione Fiera, sono
molteplici le promesse fatte per costruire un “immaginario” adatto a vendere al pubblico il prodotto Expo:
Fiera aveva promesso 40mila posti di lavoro, Expo
ne promette 70mila. Fiera avrebbe migliorato la mobilità con l’arrivo della metropolitana a Rho, mentre
Expo migliorerebbe la viabilità milanese con la realizzazione di TAV e di numerose bretelle autostradali
e tangenziali. Fiera avrebbe rilanciato il commercio,
il settore alberghiero e le aziende dell’indotto, così
come Expo rilancerebbe l’economia della Lombardia
in tutti i settori.
Oggi per chi vive nel territorio intorno alla Fiera è chiaro che le tutte promesse sono state disattese: pochi
posti di lavoro precari, saltuari e in nero, una metropolitana accessibile non ai cittadini ma solo al servizio Fiera, una mobilità disastrosa che crea ingorghi
su tutte le strade del circondario e un indotto sul terri-
torio pari a zero, poiché né nell’ambito del commercio
né nell’ambito dei servizi si è avuto un riscontro positivo dall’inizio dell’attività di Fiera. Non finisce, però,
tutto qui: col metodo degli appalti a “scatole cinesi”
(general contractor) i cantieri di costruzione di Fiera
sono stati invasi dal lavoro in nero. Lo stesso metodo verrà adottato per Expo, dato il periodo di tempo
molto ristretto, in cui contano i tempi di costruzione
e i costi, non i diritti dei lavoratori e la qualità delle
opere. Ma oltre il danno la beffa: non solo Fiera non
avuto le ricadute positive sul territorio che erano state
sbandierate, ma questa fondazione non ha nemmeno pagato l’ ICI e le tasse sullo smaltimento dei rifiuti,
aprendo diverse vertenze col comune di Rho, su cui
il TAR si è espresso, nel corso del tempo, dando ragione a quest’ultimo.
Cementificare, cementificare, cementificare: sembrano queste le parole d’ordine degli affaristi che traggono guadagno da Expo 2015. Expo, infatti, non verrà
realizzato all’interno del solo polo fieristico Rho-Pero,
ma anche nell’area Fiorenza, su un terreno agricolo grosso quanto la fiera ad esso adiacente. Dopo
aver costruito i capannoni espositivi, alla fine della
manifestazione, nel 2016, questi saranno abbattuti
e i proprietari potranno costruire un nuovo quartiere
esclusivo in quell’area, in una città come Milano dove
sono attualmente presenti più di 90mila abitazioni
sfitte. Sarebbe poco distruttivo se Expo si limitasse
a questo: infatti esso prevede la costruzione di un
nuovo quartiere a Cascina Merlata, all’insegna della
speculazione edilizia promossa dal comune.
Ora è il tempo di dire che l’”immaginario” costruito
intorno a Fiera era finto. I cittadini di questo territorio,
in vista di Expo 2015, non si possono più ingannare
con le false promesse a reti unificate come è stato
fatto per Fiera. Ora è il tempo di capire l’altra faccia
di Expo, è il tempo di criticare quest’affare per pochi
immobiliaristi e speculatori che va a tutto discapito
della collettività.
Cristian Chignola
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Staminali, presente e futuro: la scienza oltre l’etica?
“Le scelte relative alla ricerca scientifica non devono
essere basate sull’ideologia. Come persona di fede
penso che siamo chiamati a prenderci cura gli uni degli altri e a lavorare per alleviare le sofferenze umane”: così Barack Obama ha espresso il suo pensiero
durante una celebrazione alla Casa Bianca dinnanzi
a scienziati, deputati, premi nobel e celebrità, firmando un ordine esecutivo per delineare le linee guida
dell’amministrazione in materia di rapporto tra scienza e politica e revocando i limiti ai finanziamenti alla
ricerca sulle staminali embrionali decisi da George
W. Bush e in vigore da otto anni.
Esprimendo questa sua opinione Obama ha gelato i
rapporti con il Vaticano, il quale incarna una posizione più conservatrice volta al totale rispetto dell’embrione, ritenuto vita fin dall’atto della fecondazione,
sul quale quindi non è possibile effettuare sperimentazioni e ricerche scientifiche; la vita, intesa in questo
modo, secondo la Chiesa, non può essere “calpestata” e “violata”, termini che, secondo il mio parere, non
dovrebbero essere usati nell’ambito dei rapporti tra
ricerca scientifica e etica, in quanto non è certo scopo della ricerca violare i diritti dell’essere, sarebbe
più corretto, a mio avviso in questo momento, porre
un limite tra ciò che si ritiene vita e ciò che non lo è
ancora. In Gran Bretagna la ricerca sulle cellule staminali è del tutto legale se effettuata entro 14 giorni
dalla fecondazione; un tempo più che sufficiente per
ricavare cellule staminali embrionali totipotenti, per le
quali non è possibile superare i 5 giorni, altrimenti la
loro qualità totipotente verrebbe compromessa.
Le staminali sono state scoperte per la prima volta in
Canada negli anni Novanta da uno staff di ricercatori capitanati dal professor Weiss; questi ricercatori,
studiando il ruolo di alcuni fattori di crescita, individuarono le cellule che, isolate dal cervello dei roditori
adulti, proliferavano attivamente in coltura. Intuirono
che si trattava di una scoperta importante. Da quel
momento in poi la ricerca scientifica non si è fermata
ed ha continuato a a dialogare con la bioetica al fine
di poter ottenere finanziamenti dai governi e in vista
di ulteriori scoperte che avrebbero apportato benessere al campo biomedico.
Le staminali sono cellule indifferenziate che possono assumere differenti “specializzazioni”, per questo
vengono definite totipotenti o multipotenti a seconda
dell’elemento da cui sono state ricavate, infatti le cellule staminali si possono trovare oltre che nell’embrione, anche all’interno del midollo osseo, del cervello, del fegato e dei tessuti epiteliali (epidermide)
nel corpo adulto e inoltre recenti studi hanno trovato
staminali anche nel sangue placentare.
Dagli embrioni si ricavano staminali totipotenti le
quali, una volta moltiplicate, si pensa sarebbero in
grado di assumere qualsiasi tipo di “configurazione”
all’interno del corpo umano, in modo da poter guarire malattie neurodegenerative, come l’ Alzhaimer e il
Parkinson, e poter compensare la funzione dei differenti tessuti umani.
Per evitare le barriere etiche e politiche in fatto di cellule staminali embrionali, gli scienziati stanno tuttora
cercando e hanno trovato fonti alternative, come nel
caso di alcune regioni del corpo umano adulto e del
sangue placentare. Le staminali, questa volta multipotenti, provenienti dal midollo osseo, possono produrre normalmente globuli rossi e a loro volta cellule
del midollo osseo; inoltre recenti studi statunitensi
hanno identificato staminali ricavate dal midollo osseo in grado di differenziarsi in altri tipi di cellule, ma
questi risultati sono ancora in fase di sperimentazione.
L’ultima fonte possibile di cellule staminali è il sangue
normalmente eliminato durante il parto, proveniente
dal cordone ombelicale. Negli ultimi tempi, a questo
proposito, nei paesi che lo permettono, si stanno
moltiplicando le imprese che conservano il cordone
ombelicale e il sangue della placenta nell’eventualità
che il bambino si ammali. Inoltre staff medici sostengono che le cellule così raccolte potranno essere utilizzate per curare problemi sanguigni, come la leucemia, alcuni disturbi genetici e immunitari, altre gravi
malattie vascolari o cerebrali, oltre che il morbo di
Parkinson, il diabete e la distrofia muscolare.
La particolarità di queste cellule staminali multipotenti è quella di poterle ricavare senza dover toccare la
madre, il bambino e neppure l’embrione, evitando,
come dicevo prima, particolari implicazioni etiche.
Nel caso delle cellule staminali embrionali è interessante chiedersi da dove provengano gli embrioni che
possono essere utilizzati nella ricerca oltre i 100000
che sono già conservati in congelatori all’interno di
specifiche “banche”. La provenienza degli embrioni
è particolarmente soggetta a polemiche di varia natura religiosa ed etica. Essi possono derivare da una
spontanea decisione della madre di offrirli e, se questo non è possibile, vengono creati in laboratorio tramite fecondazione di vari ovuli, alcuni di questi vengono impiantati nella madre, altri vengono congelati
nel caso in cui dai primi si abbia un insuccesso. Nel
caso di successo la madre può decidere se far crescere l’embrione, donarlo a favore della ricerca oppure eliminarlo definitivamente. Una sorte diversa tocca
agli embrioni congelati: la decisione di eliminarli o di
tenerli spetta sempre alla coppia donatrice, ma purtroppo spesse volte le coppie si dividono, cambiano
casa, cambiano cognome e in questo caso il futuro
degli embrioni congelati non può essere determinato.
Una seconda fonte di staminali, molto più bersagliata
da polemiche e da critiche, è la creazione di embrioni unicamente volti alla ricerca di nuove cure, senza
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quindi impiantarli in una madre.
Esiste infine un ultimo modo di ottenere embrioni
umani, ancora più protagonista di diatribe etiche,
basato sull’utilizzo della tecnica della clonazione.
Questa tecnica consiste nella creazione di un embrione umano contenente la composizione genetica
completa di una persona in vita. Se fosse trapiantato
nell’utero di una donna, l’embrione potrebbe tecnicamente trasformarsi in un clone (cioè una copia geneticamente uguale) di quella persona. Se fosse utilizzato per compiere ricerche, l’embrione fornirebbe
cellule staminali per la cura di alcune malattie. Tuttavia lo scopo della ricerca scientifica per le cellule staminali non prevedrebbe la formazione di cloni umani.
Comunque sia riguardo la clonazione Barack Obama ha confermato la sua disapprovazione all’utilizzo
del metodo, che non è legalmente consentito negli
U.S.A. Ciò che è sicuro è che grazie al presidente democratico degli Stati Uniti d’America la ricerca, almeno in questo paese e in pochi altri con leggi chiare a
riguardo, può procedere e in alcuni casi, grazie al suo
progredire, si assiste a nuove metodologie che risolvono questioni etiche riguardo il diritto alla vita degli
embrioni (si veda per esempio i risultati ottenuti dalle staminali provenienti dal midollo osseo). Sarebbe
meraviglioso se in un mondo futuro, nel quale nuovi
mezzi e tecnologie riuscissero ad assicurare la vita
senza che questa fosse compromessa dalla scienza,
la ricerca si potesse sviluppare senza vincoli e ostacoli. Certamente per adesso un mondo utopico, ma
reso, in un certo senso, più verosimile dall’impegno
di Barack Obama nei confronti di tutto il mondo.
Coltura di cellule staminali al microscopio.
Ecco come appare al microscopio elettronico una
coltura di cellule staminali estratte da un embrione.
Sviluppate in coltura, queste cellule si trasformano
rapidamente nei principali strati di tessuto delle pareti
embrionali.
Francesco Coghi
A volte c’é bisogno di aiuto
molto più difficili da controllare e ormai parecchio diffusi… Gli attacchi d’ansia ad esempio.
”L’ansia, presa a sé, è un fenomeno del tutto normale
in quanto è un’emozione che prepara ed attiva l’organismo in situazioni che potrebbero essere pericolose.
Diviene invece un disturbo emotivo spiacevole quando lo stato di allarme e paura è “esagerato” rispetto ai
reali pericoli o se i pericoli non ci sono affatto. In questo caso l’ansia non è adattiva, ma diventa un problema che può rendere la persona incapace di controllare le proprie emozioni e di affrontare anche le
situazioni più semplici. Il disturbo d’ansia può essere
un disagio psicologico a sé stante oppure un sintomo
di altri disturbi psicologici (ad es. depressione). Può
manifestarsi a livello emotivo come attesa con apprensione, preoccupazione ed insicurezza, anticipazione di eventi negativi, e a livello fisico con aumento
del ritmo cardiaco, sudorazione, spasmi muscolari,
pallore, tremori, vertigini; nei casi più estremi anche
con reazioni di fuga, immobilizzazione, sensazione di
soffocamento o di costrizione toracica.”
Per noi ragazzi di questa generazione il dialogo con
i genitori sta diventando sempre più difficile, o per
la loro quasi totale assenza a causa del lavoro, o al
contrario per la loro costante presenza, quasi ossessiva.
Sempre più giovani sentono allora la necessità di
confrontarsi con qualcuno che non appartenga al
proprio nucleo familiare, che non esprima opinioni
“da genitore”, con cui perciò sentirsi liberi di parlare
del proprio mondo senza limiti, senza scuse, senza
paure, senza bugie.
Ciò che noi giovani chiediamo è di non essere giudicati, ma di essere capiti e aiutati, lasciandoci fare le
nostre esperienze e le nostre scelte, vogliamo essere liberi… Persino liberi di sbagliare. Ma nonostante
tutta la libertà e l’autonomia che pretendiamo, necessitiamo in alcuni casi di una figura di riferimento, possibilmente di un adulto. Si parla a volte di situazioni
molto complesse, che si distaccano da un semplice
pianto per un ex, senza nulla togliere a queste esperienze. Ciò di cui intendiamo parlare sono problemi
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Questa è la definizione di ansia che ci offrono i siti
internet sulle problematiche psicologiche giovanili. A
leggere i sintomi elencati uno di fianco all’altro sembrerebbe quasi impossibile che il fenomeno sia così
diffuso; e invece è più comune di quello che si crede
e soprattutto sopraggiunge inaspettatamente. Nella
maggior parte dei casi, bastano una parola sbagliata
o un fraintendimento che si sommano ad altre problematiche già presenti e quella parola in più diventa la
goccia che fa traboccare il vaso.
Spesso si sottovalutano i problemi dell’adolescenza a partire sin dai cambiamenti fisici che creano un
trambusto sia ormonale che psicologico. Si incomincia a faticare ad accettarsi ed iniziano ad essere imposti dei canoni di bellezza a cui si cerca di adeguarsi
in tutti i modi, anche sacrificando la propria salute.
Infatti al secondo posto tra i problemi psicologici giovanili troviamo i disturbi alimentari. “Si tratta di comportamenti inadeguati che riguardano l’assunzione
del cibo. Un normale atteggiamento è costituito dal
mangiare per soddisfare le proprie esigenze nutrizionali, attraverso la soddisfazione dello stimolo della
fame. Le persone affette da disturbo alimentare, al
contrario, possono continuare a mangiare anche se
si sentono sazie (bulimia) o smettere di mangiare no-
nostante siano sottonutrite (anoressia). Spesso non
avvertono questi normali stimoli (fame e sazietà), o,
nel caso in cui li avvertano, sentono la necessità di
soddisfare altri bisogni attraverso il loro comportamento alimentare.”
Ecco alcuni dei motivi per cui i giovani cercano un appoggio costruttivo e non invasivo, che possono trovare nella figura dello psicologo o analista. Quest’ultimo
non deve essere definito volgarmente “strizzacervelli” e non deve essere visto come il ricorso ad un aiuto eccezionale perché si è fuori dalla normalità. Aver
bisogno di parlare con uno psicologo è una macchia
da portare addosso come una lettera scarlatta, ma
deve essere considerata come un’opportunità per viversi meglio, con più serenità e consapevolezza delle
emozioni che si provano e del valore delle cose che
ci circondano.
Non consideriamoci fragili solo perché abbiamo bisogno di essere ascoltati, e non definiamoci forti solo
per non volere ammettere di aver bisogno di qualcuno.
Ambra Fusaro
(con la collaborazione di Fabiola)
Pacchetto sicurezza o misure xenofobe?
La crisi colpisce tutti: sia italiani che stranieri, quest’ultimi però sono quelli che subiranno le conseguenze
della recessione più degli italiani. Infatti, al contrario
di questi ultimi, se perdono il lavoro rischiano di non
poter più rinnovare il permesso di soggiorno, in quanto, per poterlo rinnovare, devono dimostrare di avere
un lavoro. Nel caso in cui perdano il posto di lavoro,
all’atto del rinnovo gli verrà rilasciato un permesso
per attesa occupazione valido sei mesi. E se dopo
sei mesi non avranno ancora trovato lavoro? In questo caso rischiano di diventare clandestini, anche se
sono molti anni che lavorano in Italia e si sentono
ormai parte di questo Paese. Mentre scrivo, in Parlamento si sta discutendo sull’approvazione del ddl
733, il cosiddetto “Pacchetto Sicurezza”, che prevede oltre a un generale inasprimento delle pene previ-
ste per il reato di clandestinità, anche tutta una serie
di norme che a tratti rasentano il razzismo.
Questi sono alcuni dei punti controversi presenti nel
“pacchetto sicurezza”:
Ingresso e soggiorno irregolare: Si introduce il reato di ingresso e soggiorno irregolare per cui è prevista un’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Inoltre è
prevista la possibilità di rimpatrio senza il rilascio del
nulla osta da parte dell’autorità competente.
Iscrizione anagrafica: Sarà richiesta, per l’iscrizione
o la variazione della residenza anagrafica, la certificazione dell’idoneità alloggiativa. Moltissime abitazioni,
anche tra quelle reperibili dietro lauto compenso nel
mercato privato, non potranno rispondere a questo
criterio. Ecco uno dei provvedimenti che andranno ad
intaccare i diritti dei cittadini migranti, dei comunitari e
degli stessi cittadini italiani.
Esibizione del permesso di soggiorno: Si introduce la necessità di esibire il permesso di soggiorno
per tutti gli atti di stato civile. Ciò significa che anche
il semplice ma sacrosanto diritto di riconoscere un
figlio verrà sottoposto al filtro della richiesta del permesso di soggiorno.
Soppressione del divieto di segnalazione: I medici ed il personale ospedaliero potranno segnalare all’autorità competente, ai fini dell’espulsione, gli
stranieri senza permesso di soggiorno, ed in possesso quindi della tessera Stp, che si recheranno presso
le strutture ospedaliere.
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curare o di riconoscere un figlio.
Ci sono poi delle disposizioni veramente controproducenti: il punto sulla segnalazione ad esempio
non mette in pericolo il singolo
clandestino ma tutta la comunità, perché questi in mancanza
di cure potrebbe ad esempio trasmettere una malattia contagiosa. Cosa farà allora il governo?
Prenderà coscienza in ritardo?
Forse allora potrebbe essere
troppo tardi.
Qualcuno si sta rendendo conto
della gravità della situazione, che
questo decreto è inaccettabile e deve essere assolutamente rivisto, e per questo motivo ha deciso di
contrastare il “Pacchetto Sicurezza”. A questo scopo sono nati in modo spontaneo dei coordinamenti
dei migranti, i quali promuovono informazioni sul loro
stato e sulle difficoltà che incombono su di loro, se
entreranno in vigore certe norme di questo decreto.
Per far sentire la loro voce, attualmente stanno organizzando una manifestazione nazionale per il 23
Maggio a Milano.
Hanno una grande forza, e sono tutti d’accordo su
un punto: dopo essere arrivati in Italia guardando la
“morte in faccia”, non torneranno nei paesi d’origine,
anche se dovessero rimanere qui in condizioni di
clandestinità.
Un contributo da 80 a 200 euro:
Per tutte le pratiche relative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno si dovrà versare
questo contributo economico; si
ricorda che, attualmente, Chi richiede il rinnovo paga già più di
70 euro e deve aspettare almeno
un anno per avere il permesso di
soggiorno anche se la legge prevede il rilascio in 20 giorni dalla
richiesta di rinnovo.
Esibizione dei documenti: Arresto fino ad un anno e multe fino a
2.000 euro.
Cancellazione anagrafica: E’ prevista dopo sei mesi
dalla data di scadenza del permesso di soggiorno.
Permesso di soggiorno a punti: E’ disposta l’istituzione di un accordo di integrazione articolato in crediti da sottoscrivere al momento della richiesta di rilascio del permesso di soggiorno. I criteri e le modalità
verranno stabiliti da un apposito regolamento.
Non so che ne sarà di tutte queste proposte, dato che
ogni giorno qualche politico se ne esce con nuove
trovate oppure dichiara che questa o quella disposizione verrà cancellata. Una cosa però posso dire
a questo punto della discussione: a me sembra che
con provvedimenti di questo tipo si voglia affermare
che gli stranieri sono solo braccia da lavoro (possibilmente in nero...) e nient’altro, violando così anche i
diritti più elementari della vita, come il diritto di potersi
Anwara Chowdhury
Didascalie d’autore
Gli alunni della classe 3S, hanno scritto delle didascalie d’autore a partire dall’immagine che qui proponiamo relativa al terremoto in Abruzzo, un modo come un altro per ricordare la tragedia che ha colpito il cuore
dell’Italia.
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“Camminando a Testa Alta” di Viola Banzi
Si dice che la speranza sia l’ultima a morire, e io voglio crederci, anche se la vita vuole farmi pensare il
contrario. Come si può dire a coloro che hanno perso tutto di continuare a sperare? Aprile 2009, è notte, la
città dorme e la terra trema, nel giro di pochi istanti l’Aquila si sveglia e perde vite umane, case e futuro. Gli
abitanti non sperano più.
Se lo Stato non si dimenticherà di loro, potranno tornare alla normalità nel giro di una decina d’anni, altrimenti vivranno in un città fantasma per sempre. Mentre le vite perse non torneranno. I bambini rimasti senza
genitori non potranno più abbracciare la loro mamma e il loro papà, però continueranno a vivere e dovranno
guardare avanti, bisognerà farlo. Oltre ai detriti, alle macerie. Guardando verso un domani in cui il passato
sarà solo passato.
Dovranno pensare che non sono soli, tutto il paese è con loro. E’ in questi momenti che l’Italia è unita. E’ lutto
nazionale.
Non si può più perdere tempo a cercare un colpevole, a trovare prove per dimostrare se questo disastro poteva essere evitato. Ora è troppo tardi.
Un Volontario cammina portando sulle spalle una croce, i suoi occhi hanno visto la disperazione delle persone. Donne,uomini,fanciulli in silenzio a chiedersi se tutto questo avesse un senso, se “qualcuno” si fosse
dimenticato di loro.
Per andare avanti bisogna solo rompere questo silenzio, riuscire a camminare di nuovo a testa alta, con la
fiducia sul volto, trasformando la rabbia e il rancore in forza di volontà, per cambiare le cose. Ogni singolo
aiuto, ogni piccolo contributo, è un passo verso la luce,una spinta fuori da questo vortice di macerie, che ha
voluto sconvolgerci la vita.
La Speranza è l’ultima a morire.
“Una Nazione in lutto” di Ambra Fusaro
6 Aprile 2009 la terra trema, questa volta ha colpito l’Abruzzo con scosse che hanno superato il 5° grado
d’intensità anche nei giorni successivi.
Ogni giorno aumentavano i morti; bambini, ragazzi, adulti, il loro ultimo respiro è stato di polvere. “Centro
storico dell’Aquila distrutto - Crollate centinaia di case - Allestita una tendopoli nel campo sportivo per i senzatetto” questo si sentiva ai telegiornali.
Tutto il resto dell’Italia ha inviato volontari in soccorso, ha aiutato come poteva. E chi non poteva far nulla leggeva giornali, seguiva le notizie in TV, pregava. Un brivido gelido percorreva la schiena il giorno dei funerali:
250 bare disposte in 4 file, e quelle piccole bare bianche disposte sopra a quelle delle madri per un ultimo
abbraccio di legno. Scorrevano le immagini di persone in lacrime disperate e sopra di esse i nomi dei nostri
fratelli che ci hanno salutato in questa disgrazia. Legge i nomi… L’età... 3, 4, 19, 20 anni, erano il futuro,
erano giovani e il loro cuore si è fermato, spesso senza che loro se ne accorgessero. Nonni che piangevano
per la perdita del nipote.
Quant’è ingiusta la vita a volte. Ora non ci rimane che pregare e rivolgere il nostro pensiero a tutti coloro che
lavorano da settimane in mezzo ai resti di un paese. Afflitti dal dolore, portando il loro fardello, ancora scavano alla ricerca di corpi da riunire alle proprie famiglie. Immagini agghiaccianti riempiono i nostri schermi da
settimane, i giornali propongono foto in prima pagina in tutte le edizioni come questa di un Vigile del fuoco
con in mano una croce… Momenti catturati di questa tragedia che ci lasciano riflettere… Che non scorderemo mai.
Una nazione unita da questo profondo dolore... Una nazione in lutto per la perdita dei suoi cittadini in una
catastrofe naturale. Quant’è ingiusta la vita a volte.
“L’Italia chiamò” di Gabriel Wiwoloku
Basta guardare i loro sguardi per comprendere la loro determinazione, perché loro sono volontari, nessuno
li ha costretti ad intervenire, ma ognuno ha scelto tra l’agire e il non-agire.
Prelevano e spostano i detriti alla ricerca di un respiro, sperando di non trovare altri cadaveri, non indugiano
davanti ai pericoli di ulteriori crolli e continuano a scavare finché non acquisiscono le certezze di aver trovato
quello che cercano.
In un mondo devastato dalle ingiustizie si mostrano i veri eroi nel momento del bisogno, non super-uomini
come nei fumetti, ma gente comune che mette a disposizione il proprio talento, la propria esperienza e persino il proprio denaro senza pensarci due volte esprimendo coraggio e generosità per salvare le vite di gente
bisognosa.
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Il terremoto in Abruzzo ha innescato un caso di solidarietà come solito avviene nella storia Italia, in cui tutti
compresi i mega partiti (PD-PDL), si sono uniti in un unico movimento solidale che tende a rappresentare
l’identità nazionale Italiana.
Questa foto rappresenta la ferita inferta all’Italia, perché un disastro così imponente si poteva evitare. Non
dovrebbero essere i volontari a portare le croci, ma coloro che avrebbero potuto prevenire questa catastrofe,
i quali dovranno assumersi le loro colpe, anche per rispetto alle oltre 300 vittime di questa dolorosa pagina
della cronaca Italiana.
Ma intanto i volontari continuano a lavorare ed ad arrivare da tutt’Italia perché come recita l’inno di Mameli
“L’Italia Chiamò” e gli Italiani hanno risposto.
“Guardando avanti” di Giulia Casetta
In piedi, con fatica. Un vigile del fuoco con una “croce”, un frammento di dolore tra le mani.
Lo sguardo, diritto avanti a sé, racconta tormento e tante lacrime, ma soprattutto uno smisurato bisogno di
darsi da fare, di non fermarsi a osservare la morte, di muoversi in fretta per cercare di riabilitare la gente alla
vita.
Camminano, i volontari, spostano brandelli di cuore e calce sperando di non trovare sorprese nascoste dalla
polvere e dai detriti.
Una strage d’anime, una mietitura di vite anzitempo, troppo crudele per poter rimanere impassibili.
Questa ferita nella terra trasfigura il giorno in notte, dove le uniche stelle a brillare sono le lacrime, il sudore e
il sangue degli abitanti e dei volontari, degli amici e dei parenti, di chiunque abbia visitato questo frammento
d’inferno.
Gli umori nell’aria sono come miriadi di note disperse su spartiti senza più un senso, ma gli accordi principali
rimangono il dolore e la speranza.
Speranza, sì, che nonostante il male che questa terra sta subendo, un giorno la vita possa tornare a suonare
una melodia più sicura e meno sanguinante di questa.
La mia esperienza di studente
Ciao, sono Giacomo Tirelli e sono in quinta. Questo
perciò per me è l’ultimo anno qui alle superiori e mi
è venuta la malsana idea di scrivere un piccolo resoconto della mia esperienza di questi ultimi 5 anni.
Partiamo dalla fine: il bilancio. POSITIVO.
Non fate quella faccia, anche io fino a più o meno 2
o 3 giorni fa pensavo che andarmene da qui fosse la
cosa più bella che mi potesse capitare, ma la stesura
di questo articolo mi ha fatto riflettere su ciò che perderò andandomene e crescendo in generale. Gli anni
delle scuole superiori sono a volte definiti come i più
belli della vita di una persona, ed è vero! Quante cavolate abbiamo fatto? Quanti eventi epocali? I raduni
con i motorini, la prima birra con gli amici, la prima
volta che ci innamoriamo, la prima volta che ci viene
spezzato il cuore (di solito dopo 10 minuti dalla voce
precedente...), il trovare gli amici che ci seguiranno
per tutta la vita e quelli che perderemo per strada,
il primo 4, il confronto con i genitori e gli insegnanti.
Questi 5 anni della nostra vita sono molto intensi in
quanto passiamo dall’essere bambini al diventare
persone adulte e, più o meno, mature. Parte fondamentale di queste esperienze avvengono nella scuola, che occupa praticamente la metà delle nostre
giornate. Perchè anche se non lo volete ammettere
la scuola non è fatta solo di libri e studio, ma anche di
compagni e amici, di scherzi e battute e, perché no,
chiacchierate durante le ore di lezione.
Passando alla mia presenza nel “Dream Team” del
giornalino voglio solo dire che è stato bellissimo lavorare con il professor Marozzi (che riesce quasi a
sopportarmi, qualità che apprezzo davvero molto)
sempre molto professionale ma aperto alla nostra
mentalità giovanile piena di scherzi e battute. I miei
colleghi giornalisti sono delle persone eccezionali e
si impegnano molto perchè questo insieme di fogli
di carta arrivi a voi due volte l’anno... E non è così
semplice come sembra.
Alla fine so che mi mancherà questa scuola, e se credete di no provate a pensare, guardando in faccia il
vostro compagno di banco, che magari lui/lei andrà
all’università in un’altra regione e non lo vedrete più
per tutta la vita. Magari non accadrà, magari sì, quindi cerchiamo di goderci i momenti felici e sopportiamo un po’ quello che è la parte noiosa del tutto...
Ciao a tutti e grazie!
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Giacomo Tirelli
Un “fantastico” scambio con degli studenti polacchi
Nella settimana dal 21 al 28 marzo un gruppo di 16
studenti polacchi (3 ragazzi e 13 ragazze) e due insegnanti è stato ospitato da altrettanti ragazzi e insegnanti della nostra scuola. Il programma della settimana (visite “istruttive” dell’ITIS, dei palazzi Ducale
e Te, del centro storico e non di Mantova, Verona e
Venezia ma soprattutto l’immancabile visita all’industria di schiacciatine Bottoli!) ha visto i due gruppi di
studenti scambiarsi confronti formativi da tutti i punti
di vista. Non sono certo mancate le difficoltà, soprattutto dal punto di vista linguistico (durante l’intera settimana la lingua ufficiale è stata l’inglese) ma anche
organizzativo, superate dalla cooperazione dei due
gruppi, ed alla fine della settimana tutti, polacchi e
italiani, si sono sentiti parte di un gruppo unico. Le
relazioni intrecciatesi in questo scambio memorabile rimarranno come elemento importante di crescita umana e formativa: il diverso stile di vita, la differente formazione scolastica e la
comunicazione con i ragazzi polacchi (durante la settimana noi italiani
abbiamo imparato un po’ di polacco
e viceversa), hanno permesso a entrambe le parti di aprire la mente ad
un altro modo di vivere.
In definitiva, uno scambio che ha
permesso a tutti di avanzare di un
altro passo verso la vita adulta, responsabilizzandoci e sensibilizzandoci soprattutto a proposito della
civile convivenza nel mondo.
Giulia Casetta
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Il viaggio di istruzione a Monaco: una lieta sorpresa
Il primo problema che si
pone il rappresentante
di classe, che è anche il
motivo per cui vuole farsi
eleggere, è scegliere la destinazione del viaggio che
affronterà coi suoi compagni. Come sappiamo il problema che determina il fatidico 80% è principalmente
di natura economica, ma
quest’anno abbiamo trovato
la città ideale che, a prezzi contenuti, unisce sapere e
divertimento: Monaco di Baviera.
Il 9 Marzo siamo partiti in autobus da Mantova, alla
volta di Monaco chiedendoci cosa sarebbe successo nei giorni successivi. Bene: il nostro è stato un
viaggio istruttivo e divertente che ha lasciato spazio
sia a riflessioni che a momenti d’allegria. Dopo aver
oltrepassato le Alpi si è aperto ai nostri occhi il tipico
paesaggio dell’Europa centrale caratterizzato da un
alternarsi di verdi praterie e di colline. L’arrivo a Monaco è stato accompagnato dalla neve, quindi, tutti
infreddoliti, ci siamo subito diretti ad una prima esplorazione della città.
Monaco è una città molto moderna che è stata in gran
parte ricostruita dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Il centro storico è caratterizzato
dalla grande cattedrale che racchiude al suo interno
uno dei più grandi carillon del mondo.
Oltre a questo non possono mancare vie suggestive
accompagnate da bancarelle e, qua e là, da un tipico
pub bavarese perché Monaco è la città della birra per
eccellenza.
Il giorno dopo abbiamo visitato il Museo della scienza e della tecnica, il più grande al mondo. Il museo
si articola in diversi settori; i più apprezzati sono stati
quelli della riproduzione di esperimenti di chimica e fisica, un percorso di qualche chilometro di rappresentazione di una miniera (meglio di Gardaland) e di una
cellula, fino al gran finale dove abbiamo assistito alla
riproduzione di un fulmine. Visto l’entusiasmo generale, abbiamo deciso di fermarci anche al pomeriggio
per aver modo di visitare tutto il museo.
la classica dieta tedesca.
Nei giorni successivi ci siamo recati in altri dei numerosi musei accolti dalla città. Ma il momento più
emozionante, quello che ci ha toccato di più, è stata
la visita all’ex campo di concentramento, ora Museo
alla memoria, di Dachau…
Tra le nostre mete, per
i più fanatici del calcio,
c’è stato il passaggio davanti all’Allianz
Arena mentre per gli
amanti della musica
rock, l’entrata all’Hard
Rock Cafè dove sono
in esposizione alcune chitarre e abiti degli artisti più
famosi.
Sulla strada del ritorno abbiamo fatto l’ultima fermata
ad un antico castello del re di Baviera.
Questo viaggio ha contribuito a rafforzare lo spirito di
classe che è fondamentale per ogni studente. E lo
consiglio a tutte le
classi come meta
per l’anno prossimo!
Alla sera abbiamo cenato nei pub dove i camerieri
vestono i tipici abiti bavaresi e dove abbiamo seguito
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Sara Zamboni
Una significativa visita a San Patrignano
Nel mese di aprile noi di 3BME insieme con la 3TLT ci siamo recati in
visita alla comunità di recupero per
tossicodipendenti di S.Patrignano.
Siamo stati da subito accolti molto calorosamente, e ben presto è
scomparsa la nostra diffidenza per
il passato di queste persone, che
invece si sono rivelate molto aperte e socievoli e, dal nostro punto
di vista, completamente uscite dal
tunnel della droga dopo un percorso durato mediamente 4 anni.
Dapprima siamo stati in visita alle cantine, dove viene prodotto un ottimo vino dalle vigne possedute
dalla comunità, poi alla stalla da cui chi vive a San
Patrignano ricava latte e carne da macello, e via via
in tutti i laboratori di falegnameria, conceria, architettura ecc.
Ciò che ci ha molto colpito è la perfetta organizzazione e sincronia sia tra i vari settori che tra le persone,
ognuna delle quali ha un compito ben preciso.
Nella comunità esiste anche un ospedale che è specializzato particolarmente sul virus dell’hiv, dove sono
presenti le persone che hanno contratto la malattia, il
cui primario stesso è stato “paziente” della comunità.
All’ora di pranzo ci siamo recati in un enorme salone dove tutti si riunivano di ritorno dalle proprie sedi
di lavoro; ogni cosa all’interno era prodotta all’interno della comunità: dalle posate e dai piatti fino alle
panche, ai tavoli e ai cestini per il pane; persino ogni
sorta di cibo proviene dalla comunità stessa che è in
tutto e per tutto completamente autosufficiente.
Tra le altre cose, ci ha stupito molto il fatto che i nostri accompagnatori che stavano ancora finendo il
loro percorso di recupero si aprissero completamente con noi raccontandoci molto dettagliatamente la
loro esperienza, con storie da lasciarci letteralmente
a bocca aperta.
Nel pomeriggio poi ci siamo trasferiti nel teatro dove
ad aspettarci c’era un altro ex tossicodipendente
che ci ha parlato della sua
esperienza. Come ha fatto con noi, Mattia, questo
era il suo nome, gira l’Italia per parlare e discutere
con i ragazzi soprattutto
per prevenire la tossicodipendenza. Con Mattia e
altri giovani si è acceso un
forte dibattito dove noi domandavamo e loro rispondevano
completamente
disinibiti a domande anche molto pesanti e personali, forse per impressionarci, o comunque sicuramente per farci riflettere.
Ognuno di noi ha detto quel che pensava dopo aver
ascoltato Mattia, e si è aperta una bella discussione,
sicuramente costruttiva. Il discorso puramente scientifico sugli effetti degli stupefacenti, che più volte tutti
abbiamo sentito, in questo caso non è stato affrontato, si è invece insistito maggiormente sul lato umano
che dal mio punto di vista ha avuto molto più effetto
perché quelle che ci venivano raccontate non erano
storie di fantasia, era realmente il passato di quelle
persone, in alcuni casi anche molto forte, nel quale
credo nessuno si vorrebbe mai trovare: “quando ora
passo nei posti dove da piccolo e da solo di notte andavo a farmi; mi vengono i brividi” ci ha detto Mattia,
a sottolineare quali azioni sconsiderate si possono
compiere quando ci si trova in certe situazioni.
Era giunta l’ora di tornare, e dopo un veloce giro a
visitare il canile, le scuderie con il campo d’equitazione, e il palazzetto dello sport dove abbiamo fatto una
foto di gruppo, abbiamo salutato i nostri ospiti.
Credo che ognuno abbia portato a casa qualcosa da
quest’esperienza, chi più e chi meno, sicuramente
quella che era partita come una gita poco entusiasmante si è rivelata al contrario molto interessante e
istruttiva, che ci ha aperto gli occhi su un mondo per
certi versi a noi sconosciuto ma con le porte completamente spalancate. E’ bene allora sapere cosa c’è
al di là di quella soglia, sperando non ci sia mai bisogno di varcarla. Chiunque, prima di compiere azioni
azzardate facendo male a sé e a chi gli sta attorno,
si ricordi di San Patrignano. Io perlomeno lo farò…
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Simone Favaro
Malta, un dolce ricordo
Il viaggio è finito, eppure quei momenti sembrano
vivi più che mai in quei cinquantaquattro ragazzi che
sono partiti il 26 aprile per Malta con tre professori
e la dirigente. Gli otto giorni trascorsi in quel paese
straniero hanno regalato mille emozioni, tanti ricordi da portare con sé e più disinvoltura con l’inglese.
Infatti, essendo questo un viaggio studio, esso comprendeva quattro ore mattutine di lezioni in lingua
Inglese presso la scuola EC di San Julien, in cui,
dopo esser stati separati in diversi livelli in base ad
un test di ingresso, parte di noi (i livelli:
intermediate, high intermediate) hanno
potuto conoscere il professore David,
a cui molti mi hanno chiesto di dedicare almeno una frase di questo articolo,
per la sua capacità di trattare argomenti complessi (la politica, l’emigrazione
ecc) in una lingua diversa dall’italiano,
e coinvolgerci nel mondo della poesia
inglese.
I pomeriggi sono stati trascorsi tra le
vie di Sliema (in cui era situato il nostro albergo), di
Valletta (la capitale, col famoso Giovanni Battista decollato di Caravaggio), Bugibba, Mdina (la città del
silenzio in cui abbiamo visitato la cattedrale), tra i ne-
gozi di San Julien, la sua spiaggia e la Golden Bay.
Per spostarci da una città all’altra abbiamo utilizzato
i tipici autobus pubblici maltesi, che scherzosamente
avevamo definito del
dopo guerra, con la
seguente sorpresa:
che risalivano agli
anni 30! Mentre alla
sera le mete preferite
sono stati alcuni pub
di San Julien (Empire, I love vodka, ecc)
e le passeggiate sul
lungomare di Sliema.
Perfino il virus presente a Malta in quei
giorni ha voluto darci
il benvenuto colpendo il 31% degli alunni, provocandogli vomito e febbre.
Ma con l’aiuto di una vicina farmacia, un po’ di riposo
e l’assistenza di professori e preside, tutti hanno superato in pochi giorni l’indisposizione. Oltre a questo
abbiamo saputo adattarci senza particolari problemi
anche alle condizioni igieniche dell’hotel che non erano delle migliori.
In questi otto giorni abbiamo potuto apprezzare la
simpatia e l’allegria dei professori che ci hanno accompagnato: Stefania Colarossi,
Davide Carrara, Stefania
Ferrari. Tre guide che per la
prima volta abbiamo potuto
conoscere al di là dei banchi
di scuola, scoprendone in
parte il carattere e la gradita
compagnia che questo trio
affiatato ci ha regalato. Un grazie speciale va anche
alla dirigente, Cristina Bonaglia, che ha saputo imporsi sui meno diligenti, con punizioni simpatiche, e
ci ha trasmesso il senso della responsabilità con il
sorriso.
Malta è lontana, ma i sorrisi condivisi ci scaldano ancora la pelle abbronzata, le nuove conoscenze fatte
tra le tre terze del tecnologico si possono cogliere ad
ogni cambio dell’ora per i corridoi. La vita è tornata
alla normalità, non ci sono più le chiacchiere prima
di addormentarsi, la colazione tutti insieme, l’essere contati dalla preside, il fare shopping con la professoressa Colarossi, il vedere i monumenti con la
professoressa Ferrari, l’andare in giro per locali col
professor Carrara. Tutto questo è passato, ma tutti lo
porteremo con noi come un bellissimo ricordo, reso
indelebile dalle tante foto fatte insieme.
Maura Malpetti
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Una visita al museo “Leonardo da Vinci” di Milano
È possibile rivivere la nascita e lo sviluppo dei sistemi di comunicazione, dai segnali di fumo ai cellulari
passando per il telegrafo e la radio, in poco meno di
due ore? La risposta è no. A meno di non trovarsi al
Museo della scienza e della tecnica di Milano, il più
grande museo tecnico-scientifico in Italia, con oltre
40.000 mq di spazio espositivo e circa 10.000 reperti.
Il museo non si limita alle telecomunicazioni, ma
tratta anche di trasporti, chimica, genetica, robotica,
energia e ambiente, suono e biotecnologie, per non
parlare di un intera galleria dedicata a disegni e progetti di Leonardo Da Vinci.
Il tutto suddiviso nei cosiddetti “laboratori interattivi”,
che consentono visite guidate da animatori e corredate
da esperimenti e
dimostrazioni eseguibili in prima persona.
La visita risulta così
molto interessante e
affascinante.
In conclusione, il Museo della scienza e della tecnica
di Milano è una tappa consigliata a chiunque vada a
Milano, e, come direbbe Giacobazzi, una “sbadilata
di cultura” non indifferente.
Alex Zenegaglia
La prima volta di Radioitis
Good Morning Itis è il suo nome, e rappresenta un
progetto che la scuola sta promuovendo portando a
scuola una delle innovazioni più grandi della storia
della scuola italiana.
Una decina di ragazzi, il prof. Franzetti, il Mauri e
molta molta determinazione, è questo il mix che sta
pian piano conquistando il cuore degli studenti della
scuola. All’inizio tutti erano scettici su questo progetto, professori che si lamentavano per il casino creato
dalla radio, alunni che la ritenevano inutile e banale,
ma alla fine molti si sono dovuti ricredere, certo, non
tutti perché niente è perfetto, ma è già un traguardo e soprattutto una soddisfazione per tutti noi che
facciamo parte dello staff della radio quando studenti o magari professori ci fermano per congratularsi,
per richiedere canzoni oppure per darci consigli che
lo staff ascolta e cerca di integrare con il programma radiofonico, perché infatti ci sono molti difetti da
correggere, esposizione coerente delle informazioni
scolastiche e soprattutto il volume (magari aggiungendo qualche cassa in più).
L’inventiva dei DJ è illimitata, interviste doppie stile
“iene” con professori, humor, simpatia, annuncio dei
compleanni e molto di più, i gruppi che s’alternano
settimana su settimana e che hanno uno stile diverso
che rende il programma un melting pot di idee.
Nonostante tutto c’è chi ancora s’ostina a criticare, ma il progetto, forte del sostengo della
dirigente prof.ssa Bonaglia, che concede ai
DJ libertà di espressione (sempre nel rispetto
delle norme etiche) senza limitazioni, sta accrescendo il numero dei sostenitori, professori
che richiedono canzoni, studenti che ricordano ai DJ che il giorno successivo è il loro compleanno ponendo le basi per una continuazione del progetto nel prossimo anno scolastico.
Radioitis ha saputo stupirci con questo inizio
adrenalinico, anche l’anno prossimo non perdetevi le sue trasmissioni, e aiutateci a farla
diventare sempre di più la radio di tutti.
Gabriel Wiwoloku
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A scuola di improvvisazione musicale
Ogni giovedì pomeriggio
quest’anno si sono svolti
nel nostro istituto i laboratori di musica e teatro
che hanno lavorato in
contemporanea, ma in
sedi separate, per confluire a fine anno nello
spettacolo teatrale che
molti di voi avranno visto.
Il laboratorio di musica
ha coinvolto circa venti
studenti, che avevano già una certa esperienza in
campo musicale, ed è stato diretto dal professor Signoretti, per gli amici “Cigno”, un autentico esperto
sia nel settore musicale sia in quello teatrale. L’obiettivo principale che A SCUOLA DI TEATRO CON GIOVANNA E GLI ZEROBEAT
si era posto questo nostro “direttore” era quello di
insegnare agli studenti “l’arte” dell’improvvisazione.
L’improvvisazione permette al musicista di non essere troppo legato allo spartito, e di seguire invece
quello che accade sul palco accompagnandolo con
la musica.
Nello spettacolo finale il laboratorio di musica ha
così creato la colonna sonora, che, come tutti (credo) sappiamo, è quella che dà più espressività alla
scena. Ricordiamo per esempio il film “Il gladiatore”
che senza quella colonna sonora non sarebbe mai
rimasto nella storia del cinema come uno dei colossal
più famosi.
E’ stata decisamente una bella esperienza, arricchente sia sul piano umano che su quello musicale. A
volte “inventare” è faticoso. Ma è sempre stimolante
e ricco di soddisfazioni.
Andrea Mazzocchi
A scuola di teatro con Giovanna e gli Zerobeat
Quest’anno i laboratori di musica, pittura, teatro e
scrittura fisica di sono coalizzati per dar vita allo spettacolo del 19 maggio, con un maggiore numero di
studenti partecipanti e migliorandosi rispetto all’anno
scorso.
Nelle prime lezioni di teatro e scrittura fisica, i laboratori hanno lavorato insieme per definire meglio la
direzione dello spettacolo e per orientare verso l’uno
o l’altro i ragazzi, ma questi ultimi hanno poi deciso di
far parte di entrambi, trovandosi una volta a settimana per tre ore per prepararsi all’evento.
Diego Devincenzi e Federico Ferrari del gruppo teatrale Zero Beat hanno coordinato la recitazione, insegnando dapprima qualche tecnica per ben utilizzare
corpo e voce sul palco, passando poi ad esercizi mirati ad una presa di coscienza del proprio personaggio.
Giovanna Venturini ha invece pensato alla parte di
“danza”. Virgolettato perché non si tratta di danza
classica né di un qualsiasi tipo di danza possa venire in mente, ma di movimenti, soprattutto a terra
ma non solo, in coppia, in gruppo o solitari, che raccontano una storia, senza parole, ma con espressioni del corpo. Praticamente, Giovanna ha insegnato
a noi studenti alcuni movimenti, inserendoli poi nello
spettacolo che andava definendosi nella sua parte
recitata, eliminando delle parti, modificandone altre,
dando così senso compiuto alle parole non espresse.
Tirando le somme alla vigilia dell’ultimo incontro, è
stato un anno faticoso ma che ha dato i suoi frutti,
che ha fatto crescere culturalmente, umanamente e
creativamente sia noi sia i nostri “maestri”, con una
responsabile collaborazione da ambo le parti.
Ambra e Giulia
Conoscere per prevenire: all’Itis un incontro di educazione alla salute
“Ho visto morire due generazioni di mantovani.” Queste sono le parole che più hanno scosso le classi
dell’Itis che hanno partecipato all’incontro sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Il
18 Aprile, nell’aula magna del Fermi si è infatti tenuto
un incontro organizzato dal Prof. Rossi per alcune
classi del liceo e del biennio su tale tema. I relatori hanno esposto le malattie sessuali più diffuse, la
loro classificazione e il processo di diffusione che
hanno avuto negli ultimi 50 anni. Sono passati poi
ad un’analisi più specifica del caso italiano tramite
schemi e grafici, prevalentemente relativi all’AIDS,
che hanno lasciato di stucco i presenti.
La maggior parte delle persone, soprattutto i ragazzi,
infatti ignora la vastità della malattia e la facilità con
cui può essere trasmessa. Il dato più allarmante è
però la rapidità con cui essa a volte può degenerare
e portare alla morte in breve tempo. Ma a fianco della
colonna dei casi identificati si nota un ulteriore dato:
quello dei casi non notificati che, uniti ai precedenti, indicano che almeno 59.000 italiani sono malati
di AIDS e che ogni anno muoiono ancora migliaia di
persone. La guardia dunque non va abbassata, anche se di HIV non si parla più come un tempo.
17
Dopo la spiegazione è stato ritagliato dello spazio per
le domande, spazio che è stato ampiamente riempito
dagli interventi degli studenti che hanno chiesto ulteriori informazioni e i sintomi di questa malattia. L’incontro si è rivelato molto utile e gli studenti si sono
dimostrati veramente interessati all’argomento.
Distribuzione percentuale di categorie a rischio dei
casi di AIDS nel tempo in Italia
Distribuzione annuale dei casi di AIDS e dei decessi
in Italia al 31 Dicembre 2006 (COA)
Sara Zamboni
Al Bonomi c’é Smarties
Da alcuni anni all’istituto Bonomi-Mazzolari è stata
avviata un’esperienza giornalistica decisamente diversa dalla nostra di FermiTutti. In quella scuola infatti si è pensato di dare voce ai tanti, tantissimi studenti provenienti da nazioni diverse dalla nostra che
frequentano l’istituto. Così, senza distinzioni di razza,
lingua, cultura, religione, è nato Smarties, un titolo
che fa riferimento ai vari colori di quei gustosi dolcetti
rotondi che sono famosi in tutto il mondo e che rimandano alla mescolanza di popoli e culture che questo
giornale rappresenta.
La caratteristica che lo rende diverso dagli altri è
infatti senza dubbio la redazione, composta unicamente da studenti di origini straniere. E così, attraverso quelle pagine, ci arriva la voce di quei nostri
compagni di origini non italiane che hanno affrontato
percorsi faticosi, a volte avventurosi e spesso anche
pericolosi, da soli o con dei loro familiari, alla ricerca
di un po’ di benessere e serenità. C’è chi racconta
esperienze di viaggio, chi di accoglienza, chi di discriminazione, chi di amicizia e di solidarietà. Possiamo trovarci dai pareri sulle politiche didattiche in
Italia alle prime esperienze scolastiche, con le loro
difficoltà e i loro successi.
In particolare nell’ultimo numero è pubblicata la storia
di Abi: un sedicenne afghano che racconta l’incredibile esperienza che lo ha condotto in Italia.
Smarties è un giornale semplice. Ma ha un grande
valore: quello di contribuire a far crollare i muri di xe-
nofbia della nostra società. Su questa linea l’ultimo
numero muove una critica alla proposta delle cosiddette “Classi Ponte”, ovvero classi composte unicamente da stranieri, un sistema in cui è evidente che
i nuovi alunni stranieri faticherebbero ad integrarsi e
ad imparare la nostra lingua e la nostra cultura.
Da quest’anno la redazione di Smarties si è ampliata: partecipano infatti al progetto anche studenti del
Mantegna e del Vinci.
Auguri Smarties, e complimenti per il ruolo che hai.
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La Redazione
L’ultras è un tifoso, non un delinquente
La spiegazione
letterale del termine ultras la si
può trovare su
qualsiasi sito per
tifosi: “Col termine ultras o ultrà (derivato dal
francese) si suole definire il tifoso organizzato di una determinata società sportiva.
L’origine è un po’ ambigua: in passato erano le bande
di francesi nazionalisti che lottavano (o massacravano) il popolo algerino, in Italia sembra che i media
iniziarono a usarla per definire i tifosi più fanatici.”
Alcuni, rimanendo legati a questa descrizione, che
definirei alquanto barbara, sono convinti che quella
di Ultras sia un’etichetta strettamente legata alla violenza. Un giorno, discutendo con un ragazzo mi sono
sentita dire che “essere ultras è anche utilizzare la
violenza, se no si è tifosi normali!”. A troppe persone
sfugge la differenza sostanziale tra l’essere un tifoso
e un delinquente: ragazzi che dopo la partita sfasciano lo stadio o si picchiano fra loro non credo possano
essere definiti né dei tifosi, né tanto meno degli ultrà, ma più semplicemente dei criminali. La mentalità
teppistica con cui alcune persone si avvicinano allo
sport del calcio porta il resto dell’opinione pubblica a
fare di tutta l’erba un fascio: persone che vanno ad
una partita per picchiare e magari uccidere qualcuno
diventano l’etichetta errata che si incolla sulla tifoseria in generale.
Un Ultras invece non è colui che vive per la violenza,
che va alle partite per picchiarsi con la polizia, che
nasconde la sua criminalità dietro alla felpa di una
squadra, l’Ultras vive in funzione della sua passione, la notte prima della partita si sogna ogni possibile
azione, ogni sperato gol, ogni inaspettato fallo; l’Ultras
gioisce, soffre, ride, piange per la propria squadra, e
alla sera, tornando da una sconfitta, non gli va di festeggiare il weekend; lui è quello che non risparmia la
propria voce nei cori, convinto che siano determinanti
per il risultato; che si ritrova a parlare di calcio anche
con persone che non ne sanno nulla, col desiderio di
urlargli quanto ama questo sport, anche se non lo fa
perché si rende conto che diventerebbe ridicolo. L’Ultras conta i giorni che lo separano dal fischio di inizio,
e una volta arrivati quei 90 minuti li sente scorrere
troppo in fretta; segue la propria squadra ovunque,
senza perdersi una trasferta, e non gli importa della
neve, della pioggia o del caldo tropicale: lui ci sarà
sempre a cantare e a battere le mani.
L’Ultras è un tifoso, non un criminale, uno che non
dice “hanno vinto”, ma “abbiamo vinto”, che si sente
il dodicesimo giocatore in campo. La sua seconda
casa è la curva, questo posto incantato in cui migliaia
di cuori battono insieme, mille gole cantano senza
risparmiarsi, mentre i piedi si scaldano saltellando sui
gradini e le mani battono più forte che possono. Ecco
gli Ultras: migliaia di tifosi che amano quella maglia
più di qualsiasi altra cosa.
Molti di voi penseranno che una ragazza non possa parlare di calcio, perché il “genere femminile” è
considerato ignorante su questo argomento: scusate
allora la presunzione, ma sappiate che ogni sabato
l’essere dell’Ultras lo vivo nei cuori degli amici della curva, compagni di vittorie, sconfitte, pareggi, lo
leggo nei loro occhi, lo respiro nell’aria di quel luogo semplicemente meraviglioso, che troppe persone considerano barbaro, ma che in realtà è luogo di
passione sincera e, se vissuto con rispetto e civiltà,
può diventare la tanto sognata “isola che non c’è”.
Perché il vero tifo è il tifo senza violenza: che non è
mancanza di coraggio, ma attaccamento vero a una
bandiera e ad uno sport. Solo chi ha la passione per
il calcio può capire ciò che si prova dinanzi al gioco
della propria squadra, l’Ultras vive ogni giorno con
quest’emozione nel cuore, reagendo ad ogni sconfitta, gioendo per ogni vittoria, considerando la propria
vita un’incredibile partita da giocare.
Maura Malpetti
19
Formula 1: Ma che succede?!
E’ cambiato tutto! La
stagione 2009 del
mondiale di Formula
1 è iniziata tra polemiche, dubbi e tante
innovazioni, tecniche,
aerodinamiche e non
solo. Ritornate le gomme slick, ovvero gomme
completamente
lisce, dopo dieci anni
di pneumatici scanalati. Questa introduzione
è dovuta al fatto che si
vuole dare una maggiore aderenza meccanica e aerodinamica. Con questo tipo di gomme
saranno facilitati i sorpassi in curva. Da quest’anno le
vetture, inoltre, potranno montare il Kers, ossia il sistema di recupero di energia cinetica, col quale verrà
immagazzinata tutta l’energia che si disperde con le
frenate in curva (si genererà un aumento di potenza
del motore di circa 80 cavalli, che dura circa sette secondi): l’unico aspetto negativo è il notevole peso di
questo sistema che incide sulla massa complessiva
della vettura. Anche i motori sono stati rivoluzionati in quanto non dovranno essere utilizzati solo per
due gare, ma per tre, dunque si richiedono motori più
affidabili. Insieme alle gomme slick, l’aerodinamica
è il cambiamento fisico più consistente. Le macchine sono completamente diverse e più semplici; ad
esempio l’alettone anteriore è diventato più largo,
quello posteriore più stretto ed alto. Il diffusore è stato arretrato in modo da cambiare la sua deportanza,
infine i telai sono privi di flap e di tutte le particolarità
aerodinamiche che li caratterizzavano nelle passate
stagioni.
Non tutti hanno interpretato le nuove regole allo stasso modo, tanto è vero che l’inizio del campionato è
stato segnato da ricorsi e sentenze riguardanti i diffusori adottati da Brawn Gp, Toyota e Williams, rinominate la “banda del buco”: secondo i grandi team
del circus le tre scuderie non avrebbero seguito il regolamento, costruendo macchine irregolari; in effetti
il gap tra la “banda del buco” e le altre scuderie già
dal primo gp si è notato, anche perché gran parte
dei team si sono concentrati più sullo sviluppo del
Kers (sistema che Brawn Gp, Toyota e Williams non
hanno) più che su altri fattori aerodinamici, appunto
perché il regolamento non prevedeva uno sviluppo
così consistente sui diffusori. Sta di fatto che per i
giudici le vetture della “banda del buco” sono regolari
e quindi dovranno essere le altre scuderie ad “aggiornarsi”; attualmente la Brawn Gp sta dominando sia
nel mondiale piloti che nel costruttori e i grandi team
inseguono. Sarà curioso vedere come
si evolverà questa
stagione, se Ferrari,
McLaren, Renault e
BMW riusciranno a diminuire il gap, a combattere per una pole.
E’ un campionato
strano ma che affascina, nelle gare ci sono
più sorpassi, più duelli; restano, però, molti
dubbi sui regolamenti,
ci si chiede perché i
grandi del circus inseguono e le “piccole realtà” come la Red Bull riescano
a comandare l’intera Formula 1. Ma non finisce qua.
Max Mosley (numero 1 della FIA) ha espresso la volontà di allargare dall’anno prossimo il circus in modo
da arrivare ad avere circa 24-26 vetture in gara, ha
stabilito un tetto per le spese pari a circa 44,4 milioni
di euro, oltre ad un nuovo regolamento per l’assegnazione del campionato (non più a punti ma a vittorie ottenute). Tutto questo, secondo Mosley, servirebbe ad attirare nuove scuderie (Prodrive, Aston
Martin, Minardi e altre). I Grandi team (la FOTA) non
sono d’accordo: è chiaro che si sta andando verso
la rottura con la Fia e questo potrebbe portare a due
scenari: il ritiro delle Case dalla F1 o la nascita di una
serie alternativa. La stagione 2009 sarà dunque avvincente sia per il mondiale in atto sia soprattutto per
quello che verrà, per il futuro di uno sport, sì costoso,
ma da sempre affascinante ed emozionante. Probabilmente quando questo giornale sarà pubblicato alcune risposte le conosceremo già.
20
Paolo Rizzardi
Ducati che passione!
Due foto di Filippo Gavazzi della visita all’azienda della DESMO16
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I risultati sportivi 2008/2009 dell’Itis
Gli studenti della nostra scuola, preparati e seguiti con la solita passione dai loro insegnanti di Educazione
fisica, anche quest’anno hanno ottenuto una valanga di risultati di rilievo. Eccoveli, suddivisi per tornei a
squadre e gare individuali.
Squadre
Atletica a squadre:
Allievi: 1°posto (8°anno consecutivo)
Juniores: 1°posto (3°anno consecutivo)
Calcio:
1°posto
Calcio a 5:
Allievi: 2°posto
Campestre:
Allievi: 2°posto
Juniores: 2°posto
Nuoto:
Allievi: 6 x 50m stile libero: Alberti, Morselli,
Brutti, Gandini, Casella, Busi 3°posto
Pallamano:
Allievi: 1°posto
Allieve: 3°posto
Pallavolo:
Allievi: 2°posto
Allieve: 3°posto
Scacchi:
Allievi: 2°posto
Juniores: 1°posto
Sci:
Allievi: 1°posto
Juniores: 2°posto
Tamburello:
Allievi: 1°posto
Allieve: 1°posto
Juniores: 1°posto
Individuali
Atletica:
Allievi:
110m ostacoli: Nana Andrea 2°posto
Salto in alto: Mascoli Riccardo 3°posto
Lancio del Disco (1.5Kg): Diani Matteo 1°posto,
Tosi Andrea 3°posto
300m: Ferri Vittorio 1°posto,
Chiozzi Sebastiano 3°posto
Juniores femminile:
100m ostacoli: Negri Matilde 2°posto
Salto in lungo: Banzi Viola 2°posto
Lancio del Peso (3Kg): Casetta Giulia 1°posto
Juniores maschile:
100m: Toffali Andrea 2°posto
110m ostacoli: Adu Isaac 2°posto
Peso (6Kg): Zecchini Francesco 1°posto,
Leso Francesco 3°posto
Lancio del Disco (1.5Kg):
Capucci Riccardo 2°posto,
Daveti Massimiliano 3°posto
Nuoto:
Allievi:
50m stile libero: Alberti Michael 1°posto
50m rana: Busi Simone 1°posto
50m farfalla: Bettinazzi Lorenzo 3°posto
Juniores:
50m farfalla: Orlandi Michele 2°posto
Sci alpino:
Slalom Gigante: Vincenzi Giovanni 2°posto,
Boceda Filippo 3°posto
Atletica allievi
Staffetta: 2°posto
Raccolti da Paolo Rizzardi
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Sondaggio sul gradimento dell’Itis da parte di noi studenti
In marzo è stato sottoposto alle classi del Triennio un
questionario per verificare il livello di gradimento della
nostra scuola. Il questionario presentava la seguente
domanda: “Se dipendesse solo da te e nessuno
ti facesse pressioni in senso alcuno, oggi come
oggi continueresti a frequentare questa scuola?”
Si poteva rispondere NON CAMBIEREI o CAMBIEREI indicando un motivo principale tra 3 possibili:
Per il primo caso:
- È proprio la scuola che volevo fare. Mi piace un
sacco!
- È l’unica scuola che mi permetterà di fare il lavoro
che desidero.
- Ci sono dei difetti ma i pregi sono di più
Per il secondo caso:
- Ha deluso le mie aspettative
- È troppo impegnativa per me
- Col tempo mi sono accorto di avere altri interessi
che questa scuola non soddisfa
Analizzando più dettagliatamente i dati, possiamo
stilare una classifica delle classi più soddisfatte e di
quelle meno soddisfatte dell’Itis. Partendo dalle classi più soddisfatte, la medaglia di bronzo va alla IV T,
secondo posto la V informatica ed al primo posto la
III informatica!!!
Passiamo ora alle dolenti note: la terza classe più insoddisfatta dell’Itis è la IV elettronica, seguita dalla
V chimica, mentre al primo posto, regina dell’insoddisfazione, si posiziona la VB elettronica !!! Come
si vede, gli esiti ricalcano da vicino il gradimento
espresso dalle specializzazioni nel loro insieme.
Per completezza, aggiungiamo che in totale il 56%
degli alunni che frequentano il Triennio si dicono
soddisfatti della proprio scelta e della scuola. Quindi
solamente poco più della metà. Come spiegarselo?
Forse a causa di tanto serpeggiante malcontento è la
presenza di interessi che la nostra scuola, purtroppo,
non può soddisfare.
Il questionario è stato consegnato solamente agli
alunni del Triennio perché sono quelli che frequentano questa scuola da più tempo, quindi ne conoscono meglio pregi e difetti, e soprattutto perché la loro
scelta è praticamente irrevocabile, infatti è impensabile che un alunno di terza, quarta o quinta decida
di cambiare scuola, contrariamente ad un ragazzo di
prima o seconda che ha maggiori possibilità di farlo.
Analizzando i dati raccolti, si possono trovare delle situazioni interessanti. Se consideriamo prima le
specializzazioni, indicando convenzionalmente il
liceo come una di queste, vediamo che al primo posto come indirizzo di cui si è più soddisfatti si trova quello Informatico col 77% di persone che non
cambierebbe scuola. Seguono il Liceo (74%) e, sul
terzo gradino del podio, a pari merito la Chimica e
l’Elettrotecnica (60%). È clamoroso invece il risultato che riguarda l’Elettronica, infatti più della metà
degli elettronici cambierebbero scuola (59%), seguiti
dai Meccanici, con un risultato comunque nettamente meno significativo (41%). Si può concludere quindi
dicendo che l’Elettronica è l’indirizzo che vede meno
studenti soddisfatti della propria scelta.
Adesso analizziamo i dati dividendoli tra terza, quarta
e quinta. Le classi terze sono quelle più soddisfatte
(73%), forse perché sono affascinate da qualcosa di
nuovo che stanno studiando o anche perché la classe terza è quella più semplice del triennio. In quarta
si ha un’ inversione di rotta sostanziale; infatti solamente il 56% degli alunni è soddisfatto. Poco cambia
in quinta, poiché il gradimento sale solamente di tre
punti percentuali, facendo sì che gli studenti insoddisfatti scendano al 41%.
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TERZE
QUARTE
QUINTE
INFORMATICA
ELETTRONICA
MECCANICA
ELETTROTECNICA
TECNOLOGICO
CHIMICA
A cura di Alberto Massara e Loris Caffarra
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Un campione tra noi: intervista a Diego Marani, uno che sa correre
LA “CARTA DI IDENTITA’ DI DIEGO:
Nome e cognome: Diego Marani
Data di nascita: 27 Aprile 1990
Città natale: Asola
Altezza: 1,86
Peso: 71 Kg
Società: Atletica Riccardi Milano
Squadra del cuore: Milan
Sport alternativi: Calcetto (un tempo calcio, col numero 7)
Studi: Finisco quest’ anno
Piatto preferito: Pizza
I SUOI RISULTATI SPORTIVI
IN ITALIA:
Ottobre 2007
1° campionati italiani allievi a Cesenatico sui 200
Giugno 2008
1° campionati italiani juniores a Torino sui 200
Agosto 2008
3° campionati italiani assoluti a Cagliari sui 200
Febbraio 2009
5° campionati italiani juniores indoor ad Ancona sui
60
Febbraio 2009
1° campionati italiani assoluti indoor a Torino con la
staffetta
ALL’ESTERO:
Com’è la tua giornata tipo?
Sveglia a 6.30, scuola, ritorno a casa in autobus per
le 2, pranzo e studio, alle 4 si parte per andare a fare
allenamento a Mantova, ritorno verso le 7, doccia,
cena e finalmente un po’ di relax al computer o guardando la tv.
Quali sono le tue aspirazioni e/o desideri come
atleta?
Vivere di questo senza dover lavorare e tanti anni di
vittorie e soddisfazioni.
Luglio 2008
9° mondiali juniores in Polonia sui 200
Agosto 2008
1° “Coppa del Mediteranno” in Marocco sui 200
Marzo 2009
2° nel triangolare Italia-Francia-Germania indoor in
Francia sui 200m
Come hai cominciato?
Per caso a scuola mentre ci prendevano i tempi sui
30 metri nelle ore di ginnastica, poi ho fatto un paio
di prove in pista che poi sono diventate qualche gara
fino a quando non ho vinto il titolo italiano e allora ho
deciso che quello sarebbe stato il mio sport.
Tra quattro anni a Londra ci saranno le Olimpiadi.
Tu per quella data dove ti vedi?
Io mi vedo là ad essere eliminato quasi subito ma
comunque contento per il traguardo raggiunto.
Hai degli hobbies?
Direi di no; quando trovo del tempo libero lo impiego
riposando.
Tra la ragazza o lo sport chi scegli?
Queste domande provocatorie… Voglio riuscire a
conciliare tutti e due, ma comunque sceglierei la ragazza.
L’emozione più grande quando l’hai provata?
Vincendo il mio primo titolo giovanile. Ero andato là
25
senza nessuna aspirazione e invece ho colto
una vittoria inaspettata che mi ha riempito di
felicità.
Cosa pensi dell’atletica in Italia? Cioè, come
mai siamo così scarsi?
Perché i ragazzi preferiscono fare altri sport,
quindi pochi giovani che praticano fanno avere
minori possibilità di trovare l’atleta che può diventare forte portando in alto il nome dell’Italia
in queste competizioni
Riesci a conciliare la scuola con lo sport e
conle relazioni personali?
Fino ad ora ci sono riuscito, certo ci sono da
fare molti sacrifici dal punto di vista personale,
però al momento non mi posso lamentare.
Un ringraziamento speciale?
Ci sarebbero davvero tantissime persone da ringraziare, però il mio primo pensiero va al mio allenatore
Giovanni Grazioli che ha sempre creduto in me.
Un tuo idolo?
No, nessuno.
A cura di Andrea Malavasi
Palla ovale mon amour: intervista al nostro compagno Andrea Malavasi
DOMANDE FLASH
Nome e Cognome: Andrea Malavasi
Soprannome: Mala
Data di nascita: 01/11/1989
Città natale: Mantova
Altezza: 1.77
Peso: 74
Ruolo: Mediano di mischia
Numero: 9
Squadra attuale: Dak Rugby Mantova
Sport alternativo: Calcetto con gli amici, bere birra
Studi: Qui all’Itis, in Quinta Elettronica
Piatto preferito: Risotto con le salamelle
Film: Io sono leggenda
Frase in dialetto: Ta fat, belo!
Citazione: “Se non le fai a 18 anni queste cose quando le fai?!?!”
farsi del male, ma come può succedere negli altri sport come il calcio, la
pallavolo, il basket…
Come hai cominciato?
Così come per scherzo in prima
media, e dal quel giorno non ho più
smesso… Mi sono affezionato troppo.
Quale è il tuo ruolo in squadra e
cosa ne pensi?
Un mediano di mischia non si deve
essere alto, anzi deve avere il centro
di gravità molto basso e l’abilità di parlare “non-stop” durante tutta la partita,
anche quando si viene abbattuti e si è
quasi privi dei sensi, e bisogna essere rapidi nell’aprire la palla per quelli veloci che poi fanno meta…
Quali sono i valori del rugby?
Prima dei singoli c’ è la squadra, e il rispetto degli
avversari, poi che vinca il migliore…
La complicità fra compagni di squadra quanto incide sul risultato della partita?
Molto, infatti quest’anno abbiamo vinto il titolo regionale under 19 grazie anche all’affiatamento che abbiamo tra di noi…
Qual è la differenza sostanziale tra il rugby e il
calcio?
Il calcio è uno sport da gentiluomini giocato da bestie.
Il Rugby è uno sport da bestie giocato da gentiluomini.
Qual è la cosa che ami di più di questo sport?
Il terzo tempo, cioè finita la partita quando ci si trova
con l’altra squadra per mangiare e bere, tutti insieme.
Questo sport è violento quanto appare agli spettatori?
No no, non è poi così violento, cioè può succedere di
Quali sono i pregi e i difetti del mondo del rugby?
Pregi tanti, come il rispetto per gli avversari e l’arbitro, e anche tra i tifosi… Infatti non si vedranno mai
degli scontri tra le tifoserie avversarie nel rugby,
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perché è molto più bello gustarsi una bella pinta di
birra fresca che andare a picchiarsi per lo stadio. Di
difetti, boh, non ne ho trovati…
Quali sono le tue aspirazioni e i tuoi desideri
come rugbista?
Il mio sogno sarebbe quello di giocare nella nazionale italiana di rugby dei vigili del fuoco, e vincere
un campionato con il Mantova.
Per essere un buon rugbista cosa è fondamentale avere?
Voglia di birra, volersi fare in 4 per la squadra, e
essere un po’ pazzi...
Qual è il “motto” con cui affronti il mondo dello
sport?
Ci sarà sempre un avversario da placcare...
A tuo parere si può paragonare la vita ad una partita?
Sì, perchè no, anche nella vita basta metterci la buona volontà, rimboccarsi le maniche, e si può arrivare
dappertutto.
Che emozioni ti dà una vittoria?
Tante. Troppe.
E davanti ad una sconfitta come reagisci?
Dipende da cosa sono riuscito a fare in campo, se
ho fatto degli errori allora ci ripenso, e mi inca*** con
me stesso...
Non ti sei mai sentito dire che il tuo fisico non era
adatto per questo sport?
Ehm, tutte le volte che uno mi chiede “Che sport
fai?”… Ma alla fin fine servono anche quelli “piccoli”!
Qual è stato il peggior infortunio che hai subito
nella tua carriera?
Ehm… Uno solo?!?! Mmm...
Allora diciamo la distorsione del ginocchio destro…
Riesci a conciliare in modo soddisfacente il tuo
impegno sportivo con le relazioni personali e la
scuola?
Ovvio… =) Basta sapersi organizzare.
Nei confronti dei rivali oltre alla competizione c’è
anche rispetto (atteggiamento che spesso manca
nel mondo del calcio)?
Si si, come detto prima, durante la partita ce ne diamo di santa ragione poi nel terzo tempo si mangia e
si beve insieme.
La tifoseria del rugby in cosa differisce da quella
del calcio?
Dalla quantita di birra che beve, e un tifoso di rugby
lo si riconosce dalla sportività e nel rispetto dell’altra
squadra.
Qual è il tuo idolo nel mondo del rugby? Perché?
Alessandro Troncon, il perché come me è un mediano di mischia, ed è un grande del rugby italiano e
mondiale.
A cura di Maura Malpetti
Intervista al Team di Writer’s Dream, il sito degli scrittori esordienti
Il Writer’s Dream (www.writersdream.org) è un portale dedicato agli scrittori in erba.
La sua data di nascita è il 1° aprile 2008 (ma non è
un pesce d’aprile…) e nel giro di un anno ha superato
i 500 utenti. WD offre diversi servizi per gli scrittori
principianti: tra le altre cose, naturalmente il sito, e
poi un blog, un forum, recensioni sugli editori (avete
capito bene: sugli editori, non sui libri) e l’ultima nata:
una rivista mensile chiamata Scrittevolmente.
Inoltre Writer’s Dream offre gratuitamente servizi degni di un’agenzia letteraria: consulenza editoriale,
correzione bozze, lettura critica e recensione di testi
inediti ed editi.
Quella che segue è un’intervista a tre dei pilastri del
Writer’s Dream: Ayame (Founder del WD), Ayesha
(Admin) e Dabria (Admin).
Com’è nata l’idea del Writer’s Dream e in cosa
consiste?
Ayame: Il WD era nato inizialmente per condividere
i miei scritti. Poi, nel giro di un mese, mi è venuto lo
sclero di creare un punto di riferimento per tutti gli
scrittori che condividevano il mio sogno, un luogo
dove migliorare e trovare informazioni serie sul mondo dell’editoria.
Ayesha: Il WD è nato dalla fervida immaginazione
di Ayame. All’inizio era il suo archivio privato, poi è
diventato un punto di discussione per gli aspiranti
27
scrittori, dove possono mettersi in gioco e migliorare. Attualmente è il luogo più congeniale
per lo scrittore: le informazioni
sono di prima qualità e la comunità è molto unita, sempre
disposta a dare il giusto sostegno per far crescere l’esordiente. Insomma, un posto
felice per gli amanti della scrittura.
Dabria: La mamma del WD è Ayame che, come ha
detto, voleva uno spazio per i suoi scritti. Poi WD è
diventato un punto d’incontro per tanti aspiranti scrittori e per tanti accaniti lettori: un posto dove girano
anche editori ma soprattutto gente che ha voglia di
mettere alla prova la propria passione per la parola.
Buffo che quella che doveva essere una vetrina personale sia diventata un luogo di aggregazione.
Cosa cercano gli utenti che visitano il vostro sito
e il vostro forum?
Ayame: I nostri utenti cercano informazioni serie, reali e obiettive sulle case editrici, che spesso risulta
difficile trovare in rete. Cercano inoltre critiche e consigli per crescere e migliorare.
Ayesha: Cercano un luogo dover poter ricevere critiche e consigli, nuove amicizie che coltivano la stessa
passione e magari un po’ di svago tra uno scritto e
l’altro.
Dabria: Io spero che cerchino confronto, che cerchino qualcuno di onesto che faccia capire dove sbagliano. Molti di loro vengono qui per leggere e per
potere mettere alla prova le loro capacità critiche. La
domanda che spero si pongano è “Sono in grado di
capire se questa storia funziona?”. Inoltre qui si trovano informazioni pratiche su come trattare con gli
editori, su cosa significa sinossi, su come non farsi
fregare dai tanti aguzzini del mondo editoriale.
Cosa ne pensate delle grandi case editrici?
Ayame: Ho una pessima opinione della grande editoria. Pubblicano libri in base alla fama dell’autore,
non in base alla qualità. Insomma: pubblicano quasi
sempre solamente porcherie.
Ayesha: Non ne ho un ottimo giudizio. Girando per
le librerie si trovano libri scadenti, scritti in un italiano
approssimativo e dalla trama pessima. Preferiscono
tradurre libri stranieri e pubblicare solo le “schifezze”
dei Vip italiani tipo Taricone, quindi siamo messi proprio male.
Dabria: A mio avviso mettono prima di tutto i loro interessi e spesso dietro ci sono troppi soldi perché ci
sia la voglia di puntare sull’esordiente di turno. Quasi
mai c’è la vera passione di pubblicare qualcosa di
buono. Nonostante ciò non sono il male: seguono le
mode per poter talvolta pubblicare opere meno commerciali ma di maggior valore culturale. Ovvio che
però pubblicando robaccia il panorama s’impoverisce.
E’ dunque così difficile per uno “scrittore in erba”
pubblicare un libro?
Ayame: È difficile pubblicare con una grande casa
editrice. Gli editori cercano la fama, non il talento.
Pubblicare con un piccolo o medio editore invece, se
si è bravi, se si sa scrivere e se si ha qualcosa di
originale da raccontare, non è affatto difficile. Pubblicare a pagamento poi è semplicissimo, basta avere
il portafogli gonfio. Però, mi raccomando: NON PUBBLICATE A PAGAMENTO! Non si fa! Sono gli editori
a dover pagare gli scrittori, non viceversa!
Ayesha: Sì, come ho detto prima le grandi case editrici fanno ostruzionismo ai “non famosi”. Se un esordiente vuole pubblicare si trova davanti a una porta
chiusa e dato in pasto agli editori a pagamento con
il sogno di poter pubblicare. Mai fidarsi degli editori a
pagamento, ci sono molte case editrici che pubblicano gratuitamente, non fatevi infinocchiare! Sul forum
trovate tutte le informazioni riguardo gli editori.
Dabria: Sì, soprattutto se non sa scrivere o se vuole
per forza pubblicare con Einaudi. Ci vuole umiltà, voglia di lavorare, essere pronti a sporcarsi le mani e a
mettersi in gioco.
Quali altri consigli avete da dare agli esordienti
scrittori?
Ayame: Non mettetevi su un piedistallo: accettate le
critiche. CERCATE le critiche: i complimenti non vi
fanno migliorare. Leggete, leggete tanto, sopratutto
libri di esordienti: basta con i grandi editori! E non
pretendete di esser pubblicati e letti se voi per primi
non leggete.
Ayesha: Accettare le critiche e non considerarsi dei
non plus ultra. Non pubblicare mai con editori a pagamento.
Dabria: Non pagate per essere pubblicati. Piuttosto
andate in tipografia e fatevi stampare 100 copie se
volete sentirvi dire che siete bravi dai vostri amici. Se
volete pubblicare davvero, ricordatevi che scrivere è
narrare una storia che vorreste che vi raccontassero.
Soprattutto lavorate e siate pronti a riscrivere mille
volte la stessa cosa se questo servirà a farla arrivare
meglio al lettore. Se non siete pronti a mettere da
parte l’orgoglio, evitate di tediare gli editori con i vostri
scritti: se non siete pronti, non siete pronti e basta.
28
A cura di Francesco Sedda
Brutto o bello, giusto o sbagliato?
NO: diverso
Il diverso. Parola fin troppo diffusa, utilizzata spesso
con sfumature
negative.
Ma che chi è il
diverso?
Ovviamente
c’è il diverso
per
problemi fisico-psicologici, e in
questo caso
contrastante è
l’atteggiamento delle persone nei suoi confronti. A scuola o sul lavoro un portatore di handicap ci può far sentire buoni, generosi,
umani, filantropi. Ma quando il portatore di handicap
ci costringe a farci carico di problemi o ci rallenta l’attività, già la percezione cambia.
Poniamo poi che il “diverso” sia un individuo etnicamente diverso; quando nella società emerge questo
tipo di “diversità” e viene messo a tema e diventa
oggetto di discussione è perché forse molte persone
non sono poi così aperte socialmente e culturalmente da accettare che qualcuno possa essere, per una
motivazione fisica, come il colore della pelle, o per
una motivazione religiosa, come l’usanza del velo
per le donne musulmane, o per altri motivi, diverso
dallo stereotipo di individuo che è considerato il modello per questa società (d’altronde, anche secondo
Einstein era più difficile distruggere un pregiudizio di
un atomo).
Da questo atteggiamento di “diffidenza” e “sospetto”
nasce la discriminazione, e dalla discriminazione nasce il razzismo. Metto in chiaro subito che non voglio
fare del moralismo e non voglio nemmeno santificare
me stesso. Accetto anzi il crucifige, non dico di non
aver mai offeso qualcuno armandomi con un “negro
di m…”, ad esempio durante una partita o durante
una lite.
Ma non credo che quello sia propriamente razzismo, piuttosto una volgare manifestazione di rabbia.
Mi spiego meglio, ad esempio durante questa lite o
quella partita, come può scappare un “figlio di …”,
può scappare anche un “negro di …”. Sono offese
che nell’agonismo del gioco, in una discussione accesa o in altre situazioni, vengono usate anche non
troppo di rado ma a parer mio con lo stesso peso,
più per un’abitudine che deriva da un atteggiamento
razzista di generazioni passate che da un’intenzione
razzista contemporanea.
Ma vorrei ora parlare del diverso come di colui che
non segue consuetudini e convenzioni prestabilite.
Possiamo darne una definizione molto generale di
questo tipo: colui/colei che ha il coraggio di andare
controcorrente per un ideale, che ha il coraggio di
dire cosa pensa e di mostrarsi agli altri seguendo ciò
che detta il suo cervello e non i media. Ovviamente
prendendosene tutti i rischi.
Diverso allora è chi non ha paura di tingersi i capelli,
o di farsi un piercing nel posto più astruso.
Diverso è chi non ha paura di vestirsi come più gli
piace, diverso è chi non teme il giudizio degli altri,
diverso è anche chi si guarda allo specchio e si accetta per come è senza avere l’ansia di piacere a tutti
i costi alla gente (chi sarà poi mai questa “gente”?),
diverso è chi si discosta dalla massa per sperimentare quello che gli altri non si sentono di fare e per dire
“no” se qualcosa non gli va.
Ma come valutare la trasgressione? E’ costruttiva, in
cerca della propria originalità, o è distruttiva?
E’ evidente che qui ci si muove su una linea di confine, dove il diverso o trasgressivo può diventare bello,
unico, originale, ma anche brutto, deviato e distruttivo.
Per molti è difficile conoscere e incontrare l’altro nella sua bellezza, peculiarità e unicità. Più facile è formulare pre-concetti, pre-giudizi, schemi di pensiero
autoreferenziali, decisi da sé, che ci difendono e ci
tutelano. Ciò che è simile a noi, infatti, è più rassicurante, riconoscibile, controllabile.
Ma devo sottolineare, e lo sottolineo due volte, che
29
tutti o quasi abbiamo fatto almeno una volta esperienza di questo senso di diversità. Di che altro, se
non di questo, si è trattato quando siamo sfuggiti a
regole o obblighi familiari, sociali, istituzionali dettati
da altre persone per noi?
Questo dimostra che la diversità, così come la normalità, è un concetto relativo.
Io sono contento di come sono. E voi?
“Non è per vincere che vivo ma per ardere, perciò
se dovrò perdere lasciatemi perdere e avrò perso, cosciente che non sono né migliore né peggiore di nessuno. Finché sarò diverso...” (da una
canzone dei nostri giorni)
Loris Caffarra
ARTE
Nonno Futurismo compie cent’anni
Oggi sembra normale tutta la realtà moderna che ci
circonda: l’industria, le fabbriche, quei fili che disturbano la quiete del cielo, il rombo delle automobili, il
traffico, la vita frenetica, la velocità… Ma esattamente un secolo fa tutto ciò era una novità. Con la terza
industrializzazione, infatti, il trionfo della borghesia e
l’importanza dell’economia diventarono le colonne
portanti dell’inizio del ‘900 e la realtà culturale cambiò
profondamente. Come sempre l’arte e la letteratura
rappresentano il reale e ogni decisiva modificazione
della società. Nei primi anni del Novecento si svilupparono così in tutta Europa organizzazioni culturali
decise a rompere gli schemi tradizionali e classici
dell’arte: le cosiddette Avanguardie.
In Italia si manifestò la prima di queste organizzazioni attraverso il “Manifesto del futurismo” scritto da
Filippo Tommaso Marinetti e pubblicato a Parigi sul
“Figaro” il 20 Febbraio 1909. Il futurismo segnò una
profonda rottura fra Ottocento e Novecento e l’inizio di una nuova era culturale e artistica. Marinetti
era intenzionato a spezzare tutti i canoni tradizionali: “Vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida
cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e
d’antiquari”, anche attraverso la violenza se necessario: “Vogliamo esaltare il movimento aggressivo, …
lo schiaffo e il pugno”.
Ma se non si vuole più esaltare tutto ciò che fino a
metà dell’Ottocento si era portato su un palmo di
mano, quale deve essere il soggetto della nuova
arte? Solamente le “luci elettriche”, “le stazioni ingorde”, “ponti simili a ginnasti giganti”, “i piroscafi
avventurosi”, “le locomotive che scalpitano sulle rotaie”, “un’automobile da corsa col suo cofano adorno
di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo”, “un
automobile ruggente”.
Non è impressionante come possano cambiare i gusti artistici e le idee a distanza di pochissime decine d’anni? Tutto ciò non investe solamente la pittu-
ra. Marinetti fa molto di più: nel “Manifesto tecnico
della letteratura futurista” tenta di disgregare anche
le regole della scrittura e della letteratura: “Bisogna
distruggere la sintassi”, “Abolire anche la punteggiatura”, e c’è un “bisogno furioso di liberare le parole,
traendole fuori dalla prigione del periodo latino”.
Addirittura la nuova bellezza per questo movimento è
“il brutto in letteratura”.
Le idee di questo intellettuale antitradizionalista e anticlassico trascinarono ben presto molti altri, e non
solo letterati ma anche e soprattutto musicisti, architetti, scultori, pittori. E anzi, se del Futurismo letterario
ci restano testi paradossali e spesso incomprensibili,
fu proprio nell’arte figurativa che il Futurismo diede
il meglio di sé con Boccioni, Balla, Carrà, Severini,
Depero.
Quest’anno il futurismo compie un secolo e questo
straordinario centenario viene festeggiato con mostre, grandi manifestazioni nelle più importanti piazze d’Italia, spettacoli teatrali, discussioni televisive; e
persino le sfilate di moda milanesi del 2009 si sono
ispirate ai colori futuristi, violenti e irrazionali.
Tanti auguri “Futurismo”… A te che hai cambiato le
tradizioni, l’arte e il modo di rappresentare la realtà. Tanti auguri per i tuoi prorompenti cent’anni di influenza culturale.
Marinetti: Zang, Tumb, Tumb
Nel poema “parolibero” Zang, Tumb Tumb, pubblicato a
Milano nelle Edizioni futuriste di “Poesia” del 1914, Filippo
Tommaso Marinetti mette in atto - con la collaborazione del
tipografo - le teorie espresse nel Manifesto tecnico della
letteratura futurista: sintassi disarticolata, verbo all’infinito,
uso dei segni matematici, utilizzo di caratteri diversi e di
varia grandezza.
30
Depero: L’aratura
Nell’Aratura di Fortunato Depero (Galleria d’arte moderna,
Torino) si riconoscono alcuni dei motivi e delle tecniche
del futurismo: stilizzazione del gesto, scomposizione del
colore e della forma, rappresentazione esasperata del
movimento. Il tema bucolico – accademico e tradizionale
– dell’aratura viene interpretato qui in una versione
“meccanica” e moderna: il bue è una locomotiva sbuffante,
composta di elementi cilindrici di acciaio, e il contadino che
segue con l’aratro appare come una sorta di operaio dei
campi. Sullo sfondo, la luce fiammeggiante del sole evoca
il bagliore delle fucine.
Boccioni: Forme uniche della continuità nello spazio
L’artista trasmette nella scultura non solo il dinamismo
del corpo ma anche quello dei vortici d’aria che il corpo
muove.
Claudia Malpetti
RACCONTI
La macchia
Severini: Treno suburbano
In quest’opera di Gino Severini, il senso di movimento
e velocità tipico dell’arte futurista è reso mediante linee
dinamiche e pennellate rapide, vigorose, espressive.
Le forme stilizzate fino a diventare disegni geometrici e
l’assenza di profondità spaziale lasciano intravedere
l’influsso del cubismo.
Erano partiti da due giorni i proprietari
dell’appartamento sopra il suo in Via Canepari. Erano
andati in vacanza non sapeva dove in quel luglio così
afoso come non se ne vedevano da anni. Anche la
famiglia che abitava allo stesso piano era partita. Il
piccolo condominio si era praticamente svuotato in
pochi giorni.
Anche lui era in ferie. Impiegato cinquantacinquenne
in una ditta di trasporti, celibe, o meglio scapolo, o
meglio solo. Viveva da solo in quell’appartamentino al
piano terra. Non aveva fratelli e i genitori erano morti
da tempo. Conduceva una vita metodica, Anselmo
Giudici, giorni molto uguali tra loro, l’ufficio, la casa,
il giornale, qualche passeggiata per le vie del centro,
la tivù. E il suo unico hobby, la sua vera passione:
l’automodellismo. Non aveva veri e propri amici,
perché così non si potevano chiamare le conoscenze
con i colleghi dell’ufficio, le solite battute, e l’aperitivo
o il caffè al bar Tre Stelle. Ma a lui andava bene così,
quella era la sua vita, magari monotona e grigia agli
occhi degli altri ma non per lui, che amava le tranquille
sicurezze quotidiane.
Dunque erano partiti da due giorni quelli
dell’appartamento al piano superiore. Lui invece non
sarebbe andato in vacanza. Non amava i mare e il
sole e tanto meno la ressa rumorosa dei bagnanti
31
sulla spiaggia. E in montagna non poteva più andare
come una volta per via del cuore, che un paio d’anni
prima gli aveva giocato un brutto scherzo, un infarto,
non gravissimo, da cui si era ripreso abbastanza
bene; ma era stato pur sempre un infarto. In seguito
a ciò, Anselmo aveva accentuato la metodicità della
propria vita quotidiana, scandita dai soliti tempi e dalle
solite occupazioni, senza scosse, senza sussulti.
Perciò niente vacanze. Se ne sarebbe stato in città
a riposare, a leggere qualche romanzo, a guardare il
Tour de France alla tivù e soprattutto a coltivare il suo
hobby per i modellini di automobili. Ne aveva la casa
piena, di piccole autovetture dai colori sgargianti,
montate pezzo dopo pezzo con pazienza infinita e
con lucida passione. Ce n’erano sugli scaffali della
libreria, sui pensili della cucina, sui mobili della
stanza da letto, persino qualcuno in bagno: un’Isotta
Fraschini, dipinta in rosso e nero, e una Cadillac color
giallo canarino con le finiture blu.
E fu proprio nel bagno, due giorni dopo che i vicini
del piano di sopra se n’erano andati, che apparve
la macchia. Non era una macchia grande; era larga
circa una decina di centimetri e lunga venti, a partire
dallo spigolo del soffitto a sinistra della finestra.
Anselmo la guardò un poco perplesso, chiedendosi
se c’era sempre stata e lui non se ne fosse mai
accorto. Era una tipica macchia di umidità, appena
più scura del bianco del soffitto, quasi invisibile,
modesta, immobile, indifferente.
Era martedì mattina e Anselmo aveva in programma
la spesa settimanale all’ipermercato a pochi chilometri
dalla città. Perciò, dopo aver lanciato quello sguardo
un po’ dubbioso alla piccola macchia, non ci pensò
più, si lavò, si preparò e uscì di casa con la nota della
spesa che aveva preparato la sera precedente.
Quando tornò, carico di bottiglie e di borse di plastica,
era quasi mezzogiorno. Il termometro in cucina
indicava 28 gradi. Fuori ce n’erano almeno 32 o 33.
E Anselmo sudava copiosamente. Perciò, sistemata
la spesa, si recò in bagno per rinfrescarsi il viso e le
ascelle.
Solo allora si ricordò della macchia. Alzò gli occhi
verso il soffitto e la guardò. Aveva un aspetto informe
e irregolare ad eccezione della parte che coincideva
con lo spigolo tra soffitto e parete. Era ferma, inerte.
Sì, forse era sempre stata lì, si disse Anselmo, che si
lasciò riprendere dalle sue occupazioni. Consumò un
pranzo leggero a base di prosciutto, insalata e frutta.
Con quel caldo non veniva appetito e poi era meglio
non affaticare il cuore. Prese il giornale e si coricò a
letto a leggerlo. L’intenzione era quella di riposarsi
un poco e poi dedicarsi al modellino di Bugatti che
aveva iniziato a costruire il giorno precedente. Invece
si addormentò profondamente e si svegliò quasi alle
cinque, madido di sudore. Il cuscino era addirittura
umido e lui si sentiva come se fosse appena uscito da
una sauna. Gli ci voleva una doccia per rinfrescarsi
e svegliarsi dall’intontimento di quel pesante sonno
pomeridiano.
In bagno, quasi distrattamente, lo sguardo corse
per un attimo alla macchia, poi si riabbassò. Ma
in quei pochi istanti il cervello percepì qualcosa
che lo turbò. Anselmo tornò a guardare con più
attenzione la macchia. C’era in effetti in lei qualcosa
di nuovo, non c’erano dubbi. I suoi bordi irregolari gli
apparvero diversi, modificati, un poco più ampi. La
macchia di umidità si era mossa, ingrandita. Pochi
centimetri eppure visibili al confronto con l’immagine
della macchia che Anselmo aveva stampata nella
memoria. Non fu piacevole per lui quella scoperta.
Significava che la macchia non era qualcosa di
morto, di antico, da tempo fermo lì. No, la macchia
era viva. Si muoveva, cresceva. Qualche tubatura
dell’appartamento sopra il suo perdeva. E l’acqua
filtrava fino al suo soffitto. Come fermarla coi vicini
appena partiti per le vacanze? Calma, si disse
Anselmo, in fondo non è che una piccola macchia di
umidità ed è aumentata di pochissimo da quando me
ne sono accorto. I vicini torneranno e provvederanno
prima che diventi troppo estesa. E poi, se farà danni,
se si scrosterà una parte del soffitto, saranno loro a
dover rimediare, non io.
Ma la sera dopo cena, quando tornò appositamente
a osservare la macchia, Anselmo sentì un piccolo
tuffo al cuore accorgendosi che si era ulteriormente
estesa. E non di pochi centimetri. La sua protuberanza
irregolare aveva ora assunto una forma convessa,
come quella di un palloncino, o come la testa di
un polipo. Chissà perché Anselmo ebbe questa
impressione. Di certo fu quella che prevalse: un
polipo, o una piovra, coi tentacoli raccolti e invisibili
pronti a scattare in avanti.
Non dormì molto bene quella notte, il sonno agitato
da immagini di un mare tenebroso che infrangeva il
suo pugno d’onda contro scogli scuri e affilati. E tra
gli scogli ombre inquietanti, lucide sotto la luna, sfere
grigie e viscide in lento movimento.
Si svegliò presto, stanco e teso. Il primo pensiero fu
per la macchia. Con il passo ancora assonnato ma
con la mente ben desta aprì la porta del bagno. La
macchia era là e lo guardava imponente dal soffitto,
quasi raddoppiata rispetto alla sera precedente, una
testa enorme che estendeva la propria ombra verso
il centro della stanza divorando trionfante un’ampia
porzione di soffitto. Ma la piovra non si era mossa
solo orizzontalmente. Due corti tentacoli spuntavano
da sotto l’enorme capo e si protendevano verso il
basso, lungo la parete.
Anselmo si appoggiò allo stipite, incredulo e inorridito
di fronte all’espandersi disgustoso della macchia
molle e umida sopra la sua testa. Quella presenza
viva e incombente sconvolgeva la sua vita regolata
di solitario. Ora erano in due nell’appartamento, lui
e quell’ospite indesiderato e minaccioso che stava
impossessandosi del bagno. Come avrebbe potuto
continuare le proprie occupazioni quotidiane come
32
se niente fosse quando lì qualcosa, quella cosa,
ingoiava il soffitto e si impadroniva lentamente delle
pareti? Che fare? Si sentì smarrito di fronte a quella
domanda che gli pulsava nel cervello. Fermarla non
poteva. E allora che fare? L’unica cosa che gli venne in
mente fu di controllarla, di controllarne l’espansione,
di verificare metodicamente l’entità del pericolo. Era
un tentativo per ricondurre il problema in un ambito a
lui familiare, quello del metodo e della razionalità; un
modo per sentirsi un poco più tranquillo.
Prese scala e matita e salì fino al soffitto. Quasi con
ribrezzo tracciò dei minuscoli trattini attorno al bordo
dell’enorme testa umida e al vertice dei due tentacoli.
Poi scese e richiuse la porta dietro di sé. Ora doveva
sforzarsi di non pensare alla macchia per qualche
ora. Doveva assolutamente riprendere il filo interrotto
della sua vita, concentrarsi sulle proprie occupazioni,
ritrovare il proprio equilibrio. C’erano quei trattini
di matita a vigilare. Loro lo avrebbero avvertito dei
progressi e degli spostamenti della macchia. In cuor
suo sapeva benissimo che non sarebbero bastati a
fermare la piovra d’acqua eppure gli davano un po’ di
sicurezza quelle sentinelle di grafite al suo servizio,
metro di misura della pericolosità del nemico.
Andò in cucina - il suo era un appartamento piccolo,
composto da camera da letto, corridoio, bagno e
cucina confinanti tra loro - dove in bell’ordine sul
tavolo lo attendevano i pezzi della Bugatti che stava
montando. Preparò il caffè e fece colazione cercando
di pensare a come avrebbe organizzato quel
mercoledì di luglio. Fuori, anche se erano solo le otto,
il sole era già forte; solo una minima brezza, quasi
impercettibile, muoveva a stento le foglie dei cespugli
del giardinetto della casa di fronte. Si prospettava
un’altra giornata caldissima. Meglio uscire subito a
comprare il pane fresco e il quotidiano e poi tapparsi
in casa col ventilatore acceso e dedicarsi alla
costruzione del modellino.
Tornò con riluttanza in bagno, sforzandosi di non
sollevare lo sguardo verso l’alto, fece toilette e si
preparò per uscire. Alle nove e trenta era di ritorno
e si sedette al tavolo concentrato sulla Bugatti.
Concentrato si fa per dire, poiché il pensiero correva
da solo a quel soffitto e a quella parete. Immaginava la
macchia muoversi strisciando in continue ondulazioni
lungo i muri, e i tentacoli che si allungavano silenziosi
e infidi verso il pavimento. Le sue mani non erano
ferme come al solito e i pezzi a volte gli sfuggivano
e la colla non si stendeva bella uniforme, in strisce
sottili, ma con minuscole fastidiose sbavature che lui
doveva continuamente correggere.
Dopo poco più di un’ora, insoddisfatto del proprio
operato, si alzò stizzito dalla sedia chiedendosi cosa
gli stesse accadendo. In realtà sapeva benissimo
il motivo del suo nervosismo. Era l’ossessione di
quella macchia viva che lo perseguitava come un
incubo cosciente, di quella piovra che era entrata di
prepotenza a sconvolgere la metodicità della sua vita,
a insidiare il tranquillo tran tran del proprio mondo di
certezze.
Mentre pensava con rabbia a tutto questo alzò
lo sguardo. E rimase come impietrito. La piovra
lo stava osservando! Un suo occhio umido si
sporgeva dal soffitto della cucina. Anche lì, anche
lì, la bestia lo aveva inseguito. Quell’occhio privo di
pupilla, apparentemente cieco, era venuto a spiarlo
invadendo un nuovo spazio, insidiando la sua intimità.
La macchia dunque aveva deciso di perseguitarlo,
forse di contrastargli il possesso anche della cucina.
Immaginò il ghigno invisibile della bestia molle che
calava dall’alto a invadergli tutto l’appartamento.
Corse in bagno, aprì la porta con un misto di
determinazione e di orrore e guardò agitato sopra
di sé. I confini da lui tracciati erano stati travolti
dall’espansione inarrestabile del nemico. Decine di
centimetri erano stati divorati dalla piovra che ora
giganteggiava fino al centro del soffitto. Si sforzò
di osservare la sua corpulenta minaccia e vide la
superficie della sua pelle costellata di minuscole
protuberanze acquose, stille innumerevoli che
trasudavano dal soffitto come se la bestia stesse
uscendo tutta intera per gettarsi a corpo morto sul
pavimento e cominciare a strisciare per tutta la casa.
Stava iniltre allungando altri tentacoli, mentre i primi
che erano spuntati quasi lambivano le piastrelle che
si innalzavano a due metri da terra. Il primo impulso
di Anselmo fu quello di chiudere a chiave la porta,
di imprigionare la macchia per sempre nel bagno;
ma si rendeva conto che era una reazione stupida,
peggio insensata. Il secondo pensiero fu senz’altro
più razionale: se non era in grado di rintracciare i
proprietari, e non lo era, si sarebbe rivolto ai pompieri.
Ma dalla caserma dei vigili del fuoco gli risposero
cortesemente che loro non potevano intervenire
in casi di quel genere, spiacenti ma non era di loro
competenza.
Dunque era solo a combattere quel viscido nemico
che intendeva impossessarsi dell’appartamento.
Alzò lo sguardo all’occhio umido che lo aveva
guardato dal soffitto della cucina e vide che si stava
trasformando in una grande lingua lucida protesa a
ingoiare la parete sopra il lavello. La piovra era ormai
passata all’attacco anche lì.
Agitato, frustrato, smarrito, Anselmo non aveva
voglia di mangiare benché fosse ora di pranzo. Il
caldo intanto si era fatto soffocante. Per un attimo fu
attraversato dalla speranza che quel calore avrebbe
fermato la macchia, l’avrebbe uccisa prosciugandone
le viscere nascoste oltre il soffitto del proprio bagno.
Ma era una speranza assurda, ne convenne. Non
aveva mai smesso di fare caldo eppure la piovra era
cresciuta ugualmente, vorace, indifferente all’afa di
luglio.
Non gli restava che provare a contrastare l’avanzata
di quel nemico inafferrabile e inquietante. Stabilì, con
ferma determinazione, che mai e poi mai gli avrebbe
33
lasciato un palmo di pavimento della sua casa.
Avrebbe relegato la piovra alle pareti; le avrebbe
impedito di scendere ad ogni costo. Il bagno era suo,
gli serviva; e anche la cucina. Avrebbe resistito su
quel confine fino al ritorno dei vicini dalle vacanze.
Giorno e notte, notte e giorno avrebbe vegliato
perché la piovra d’acqua non calasse al suolo. Tutti i
suoi pensieri, le sue energie, tutto il suo fiato avrebbe
messo in campo in quel duello con l’umido estraneo
che gli si era infilato in casa.
Decise di fare turni di veglia e di riposo di tre ore;
mangiò un pezzo di formaggio e della frutta, poi entrò
in bagno e volse lo sguardo in alto dove l’ombra grigia
aveva ormai ricoperto più di due terzi del soffitto e
della parete sinistra. Con riluttanza utilizzò il water e
si lavò in fretta le mani, caricò la sveglia per le 17.00
e cercò di dormire.
Ma non ci riusciva. Si scoprì più volte a spiare verso
la porta del bagno attendendosi che un tentacolo
d’acqua scivolasse oltre la scoglia, e continuò a
“vedere” la macchia allargarsi come una gigantesca
mano pronta a chiudersi su di lui. Respirava a
fatica, per il caldo e l’agitazione. Resistette a letto
controvoglia per riposare comunque un poco e attese
con ansia il suono della sveglia.
Vennero le 17.00. Allo squillare della sveglia Anselmo
si accorse di essersi infine veramente assopito. L’afa
era opprimente, il suo respiro un poco irregolare.
Era stanco, il corpo si rifiutava di sollevarsi e dovette
compiere uno sforzo di volontà per alzarsi dal letto.
Subito guardò verso il bagno. Per fortuna non c’era
traccia d’acqua davanti alla porta. Il mostro era
ancora chiuso là dentro. E in cucina. Fu qui che si
diresse imponendosi di non aprire per il momento la
porta del bagno. Aveva bisogno di un buon caffè.
Ma in cucina lo attendeva uno spettacolo sgradevole:
la lingua d’acqua ormai scompariva dietro lo
scolapiatti puntando decisa verso il suolo mentre
un’altra striscia, più sottile ma non meno insidiosa,
aveva iniziato a colare in direzione del frigorifero
sottostante. Se in tre ore era potuto accadere questo
in cucina, chissà cos’era avvenuto in bagno! Stai
calmo Anselmo e preparati, si disse. Estrasse dal
lavello due strofinacci da pavimento e il catino del
bucato, le sue armi per l’imminente battaglia, poi,
facendo forza su se stesso, i battiti del cuore un poco
accelerati, aprì la porta del bagno.
E vide. Vide in alto un’unica uniforme macchia
puntellata di gocce trasparenti e tre pareti cosparse
di tentacoli, alcuni appena pronunciati, altri che
avevano raggiunto le piastrelle, altri ancora che si
allungavano apparentemente innocui sul pavimento
di mattonelle blu e sembravano volersi congiungere
al centro della stanza.
<<Il bagno è mio!>> esclamò Anselmo attraversato
da una irritazione che confinava con l’ira, e con
furia si precipitò ad asciugare e strizzare, strizzare
e asciugare. Fu questione di pochi minuti. Anselmo,
grondante sudore e ansimante per lo sforzo e
l’eccitazione, guardò soddisfatto il lavoro compiuto: il
pavimento era completamente asciutto, sgombro da
ogni traccia della piovra. L’aveva costretta a ritirarsi
sulle pareti come si era riproposto. Il bagno era
ancora suo.
In cucina si abbassò sotto i mobili ma non vide nulla.
Che la macchia si fosse fermata di fronte alla sua
rabbiosa determinazione? Non era il caso di lasciarsi
prendere da facili trionfalismi, meglio stare all’erta.
Avrebbe dato un’occhiata al quotidiano, non ancora
aperto dalla mattina, poi sarebbe tornato a guardare
in bagno. Scorse distrattamente titoli e occhielli,
incapace di immergersi nella lettura degli articoli. Lo
colpì all’interno un titolo sulla situazione climatica:
<<35 gradi ieri in città. Per oggi temperatura e umidità
ancora in aumento>>. Ecco perché faccio così fatica
a respirare e sudo in continuazione, pensò Anselmo,
mi ci vuole proprio una doccia. Una doccia di là, nella
tana della piovra? E perché no? si disse imbaldanzito
dal precedente successo, basta non pensarci e fare
come se niente fosse. In fondo è una questione di
pochi minuti.
Detto fatto tornò verso il bagno, convinto che
la macchia se ne fosse stata quieta in quella
mezz’ora. Ma non era così. Di nuovo, in più punti,
in corrispondenza dei lunghi tentacoli sul muro,
l’acqua filtrava dalle mattonelle delle pareti fino al
pavimento. Dannazione, pensò Anselmo, e corse a
prendere gli strofinacci in cucina con l’animo gonfio
di rabbia. E anche in cucina, come aveva fatto a
non accorgersene prima?, un sottile rigagnolo era
comparso da sotto il lavello. Era attaccato da due
parti, ma non si sarebbe dato per vinto. Si chinò in
fretta ad asciugare, prima il rivolo sotto il lavello poi
l’altro che nel frattempo si era fatto strada sotto il frigo
che Anselmo dovette spostare per fare un lavoro
completo. Alla fine aveva il fiato grosso e grosse
gocce gli imperlavano la fronte. Ma non aveva tempo
per rifiatare se voleva respingere la piovra dal bagno
prima che fosse troppo tardi.
E fu di nuovo nell’altra stanza, chinato sul pavimento
e circondato dai molli tentacoli che lo lambivano e
che si mise a scacciare con foga asciugando e
strizzando con sempre maggiore eccitazione, poiché
non faceva quasi a tempo a tamponare da un lato
che già dall’altro, insistente, irriducibile, la piovra
allungava di nuovo le proprie spire d’acqua irridendo
silenziosa alla fatica dell’uomo. E Anselmo asciugava
e strizzava, strizzava e asciugava, il fiato sempre più
grosso e sempre più corto e affannato, preso da una
smania incontrollabile, grondante sudore nel tardo
pomeriggio di quel mercoledì di luglio in cui tutta la
città se ne stava a bocca aperta per l’afa opprimente
e guardava un cielo appannato grondante umidità.
Ad un tratto, mentre era chino sul pavimento, Anselmo
fu colpito da una lama fredda alla schiena, poi subito
da un’altra. Guardò in alto e capì: dalla sua enorme
34
bocca spalancata la piovra gli rovesciava addosso
pesanti gocce di saliva, sempre più scatenata e
sicura di sé e della propria vittoria. Una goccia gli
cadde sulla guancia, un’altra sul braccio.
Fu allora che Anselmo fu assalito dal panico, dal
terrore di non farcela, perché la piovra era troppo
grossa, troppo forte, troppo gonfia d’acqua. E
tuttavia continuava a correre qua e là, ad asciugare
e strizzare, strizzare e asciugare, travolto dall’ansia
e dalla foga, ansante, col cuore in tumulto, offrendo
inerme la propria schiena alla bava cadente che si
staccava dal soffitto in una rada pioggia pesante.
Finché una goccia gli penetrò viscida nel collo e nello
stesso tempo qualcosa di diverso gli attraversò il
braccio ed il costato. Prima un formicolio fastidioso
poi subito un colpo acuto, un pugno acuminato che
gli strinse il petto in una morsa da gigante che gli
tolse il respiro. Era qualcosa che ricordava già di
avere provato anni prima, ma non così forte, non
così forte. Si sentì esplodere il cuore con pochi battiti
forsennati, pesanti rintocchi di un’enorme campana,
poi il fiato che non veniva, un pulsare pesante delle
tempie, un nodo in gola che non andava né su né giù.
Si rizzò un istante, le mani serrate sul petto, annaspò,
spalancò la bocca a cercare l’aria che non trovava;
e una goccia gli penetrò in gola, come a volerlo
spingere giù. E finalmente Anselmo cadde. Restò lì,
sul pavimento di mattonelle blu, una gamba distesa e
una rannicchiata, le mani a pugno sul cuore, gli occhi
e la bocca aperti verso l’alto.
Allora la macchia non ebbe più ritegno e gli riversò
dall’alto tutta la sua potenza. Mentre lunghi sinuosi
tentacoli scivolavano verso di lui avviluppandolo
nelle proprie spire acquose.
Claudio Marozzi
La nuotata
Quella mattina Carmela si era alzata prima del solito
e, dopo aver guardato il mare che si intravedeva
lontano, dal quarto piano del suo vecchio palazzo in
Ortigia, decise che avrebbe potuto riprendere le sue
quotidiane nuotate... Dopo due giorni di burrasca il
mare quella mattina era una tavola e lei per nulla al
mondo avrebbe rinunciato al suo sport preferito.
In realtà non era nemmeno uno sport, l’acqua era
il suo ambiente, aveva sempre fatto parte della sua
vita…era il modo per esprimere la sua sicilianità.
Portò a scuola i due bambini e poi, inforcata la
vecchia “graziella”, raggiunse con veloci pedalate la
sua spiaggetta... “la mia piscina”, la chiamava lei.
Era ottobre inoltrato, ormai, ma a Siracusa l’autunno
può regalare giornate ancora assolate; cosi Carmela,
abbandonata la bici contro un muretto a secco,
raggiunse il bagnasciuga, si tolse la tuta che la
infagottava e, rimasta in costume, con tre falcate
entrò in acqua…
Ebbe subito una strana sensazione -sarà il ventopensò, o il fatto che non nuoto da alcuni giorni..
Cominciò a nuotare vigorosamente ed in breve
raggiunse la sua boa;
per lei costituiva un punto di riferimento: oltre, il mare
cominciava a diventare più profondo e lei aveva
promesso a suo marito che sarebbe stata prudente.
Aggrappata alla boa riprese fiato, ma una strana
inquietudine si era impadronita della donna.
“Ora torno indietro, l’acqua è troppo fredda…” fece
un profondo respiro e cominciò a nuotare verso riva,
quando la spalla destra toccò qualcosa…Carmela
era una provetta nuotatrice, ma in quel momento
sentì i brividi in tutto il corpo. “Cosa può essere stato?
Forse la tempesta dei giorni scorsi ha sollevato delle
alghe!”
Alzò lo sguardo e cercò di guardare meglio nell’acqua
scura e si rese conto di avere urtato un indumento, la
giacca nera di una tuta.
“Che razza di incivili, ormai in mare ci si trova di
tutto!” Col cuore in gola raggiunse rapidamente
la riva. La corrente l’aveva leggermente spostata
rispetto al punto di partenza, ma non se ne avvide, lì
per lì, perché, uscendo dall’acqua, la sua attenzione
fu catturata da qualcosa abbandonato sulla sabbia.
Si avvicinò con circospezione, non c’era nessuno a
quell’ora del mattino… e con grande orrore vide che
si trattava del corpo di una donna, in evidente stato
di gravidanza.
Le toccò il collo per accertarsi del respiro, ma era
così confusa e spaventata che non riuscì a stabilire
se fosse viva o morta. Si guardò attorno e con una
rapida occhiata individuò i suoi abiti, abbandonati
prima di immergersi, e come una pazza li raggiunse
e telefonò al 112.
Nel giro di pochi minuti Carabinieri e Croce Rossa
raggiunsero la spiaggia e, dopo una prima ispezione,
ci si rese conto che la donna era gravissima, ma che
forse era ancora possibile salvare il bambino..
Andò cosi, infatti, i medici fecero venire alla luce
una bambina bellissima con una pelle leggermente
ambrata.
Rimase nella culla termica alcuni giorni poi cominciò
crescere senza problemi.
Le indagini dei Carabinieri appurarono che la povera
donna era senza dubbio caduta da una carretta del
mare, o, peggio, era stata gettata in acqua perchè
creduta morta… Molto probabilmente la giovane
madre era di nazionalità nordafricana visti i suoi tratti
somatici.
Carmela seguì con grande interesse la vicenda e
manifestò presto il desiderio di adottare la piccola,
malgrado avesse già due bambini suoi.
Il marito non si oppose, poiché comprese che la
moglie non avrebbe cambiato idea... -Dove si mangia
in quattro si mangia anche in cinque!-
35
E così la questione era finita.
Non fu difficile aggirare le pastoie burocratiche
relative all’adozione...in Sicilia è così…al nord tutto
ciò non sarebbe potuto accadere!
La chiamarono Onda, …Carmela così aveva
deciso…-La trovai al mare…Onda è!La bambina crebbe tranquilla, molto seria, poco
incline al sorriso, ma affezionata ai fratelli ed ai
genitori adottivi.
Divenne grande giocando a nascondino coi compagni
di scuola nei vicoli di Ortigia, coi fratelli andava spesso
alla spiaggia, ma non metteva mai i piedi nell’acqua
…non volle mai imparare a nuotare, benché Carmela
avesse provato di tutto per convincerla…
-L’acqua è brutta non ci voglio andare..non imparerò
mai a nuotare!Tuttavia la si poteva trovare spesso al molo a
guardare il mare…se ne stava assorta ad osservare
le navi che passavano al largo; anche quando aveva
problemi o si sentiva inquieta si sedeva su qualche
scoglio a fissare le onde.
Un giorno Carmela ritenne che fosse arrivato il
momento di parlarle della sua storia…Onda ascoltò
assorta le parole della madre, non disse nulla e la
abbracciò con tenerezza.
Dopo il triennio delle superiori Onda non volle più
studiare e andò a lavorare in una pizzeria, dove
conobbe Giuseppe, e di lì a pochi anni si sposarono.
I primi anni di matrimonio furono piuttosto duri, ma
appena la coppia ebbe un po’ di risparmi Giuseppe le
propose un viaggio in Marocco.
–E’ vicino, non costa molto, poi lo sai che il mio sogno
è quello di vedere il desertoOnda non aveva nessuna voglia di intraprendere il
viaggio per mare ma, per non dispiacere al marito, gli
disse di prenotare il traghetto.
La traversata fu tranquilla, il mare calmo, tuttavia
Onda non rimase nemmeno un minuto sul ponte, ma
stette seduta tutto il tempo sotto coperta. Una leggera
ansia la rendeva ancora più bella... i lunghi e ondulati
capelli le incorniciavano il viso in cui spiccavano
occhi dolci e vellutati che avevano fatto innamorare il
suo Giuseppe.
I giorni passarono veloci...i ritmi all’interno del villaggio
turistico non davano tregua. Finalmente si arrivò al
giorno dell’escursione nel deserto, appuntamento
tanto atteso da Giuseppe.
Sveglia all’alba, freddo cane, i due giovani salirono,
insieme ad altri turisti, sul fuoristrada che li avrebbe
condotti nell’oasi di Kafila.
Furono svegliati da un’alba rosa meravigliosa che ad
ogni momento sembrava cambiare tonalità…dune
e sabbia, sabbia e dune e stelle che mano a mano
se ne andavano per lasciare il posto ad un cielo di
perla. Onda era affascinata; lo fu meno quando un
improvviso guasto alla vecchia jeep li costrinse ad
una sosta fuori programma e piuttosto prolungata
nell’oasi. Poteva andare peggio!
Obtorto collo si prepararono a trascorrere la notte
attorno ad un fuoco quanto mai necessario per potere
resistere al freddo del deserto. Ogni tanto arrivava un
uomo ad aggiungere legna...era una persona molto
affabile e quando si rese conto che i turisti erano
italiani ed in particolare siciliani, disse che conosceva
la loro isola. -Ho lavorato da voi.. a Catania, in un
supermercato come uomo di fatica...dopo due anni
di sacrifici ho fatto di tutto affinché mia moglie mi
raggiungesse...- smise di raccontare.
-E dopo ?– lo incalzò Giuseppe.
-Ho pagato il viaggio per Fatiha, ma non è mai arrivata
e non ne ho saputo più nulla…-Ma come, non ti sei interessato? Non hai chiesto?Imad, cosi si chiamava l’uomo, non rispose,
imbarazzato.
-Io clandestino… lavoro in nero- si portò una mano al
petto -amavo Fatiha, aspettava un bambino…Allah
ha voluto così: egli è grande e giusto e ha voluto
così…Rendendosi conto di aver turbato i suoi amici, Imad
aggiunse con orgoglio: -Ora ho altra moglie e quattro
figli...Il viaggio di ritorno fu particolarmente silenzioso, Onda
come assorta in pensieri lontani guardava il mare,
Giuseppe pensò fosse esausta per la stanchezza.
La situazione a casa non cambiò: Onda sembrava
apatica, quasi scontrosa, spesso di malumore.
Usciva di casa e se ne stava ore “alla piscina” a
guardare lontano, persa in pensieri che non confidava
a nessuno.
Dopo circa tre settimane dal loro ritorno Carmela se
la vide comparire un pomeriggio più pallida e ansiosa
che mai…
Onda raccontò del viaggio, dell’oasi e di quello strano
incontro..di quella disgraziata madre…
Carmela non disse nulla…non c’era nulla da
dire...l’attirò a sé e la tenne stretta. Ormai era quasi
sera, la condusse al mare, alla loro piscina.
Senza una parola la accompagnò alla riva e
dolcemente la bagnò…
Era tempo, ormai… che Onda venisse abbracciata
da sua madre…
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Anna Maria Grazzi
Il paradiso sulla torre
La lunga vita
Il soldato rimase a riposare nella grotta.
Aveva freddo, aveva perso i compagni, non mangiava da giorni. L’unica salvezza era stata quella grotta,
se di salvezza si poteva parlare. Stava iniziando a
pensare, infatti, che fosse invece solo un pretesto per
rimandare la sua inevitabile fine.
La fame si fece sentire, quindi tentò di nuovo con il
rilevatore.
Niente.
Uscì sbuffando dalla grotta, osservando il piatto orizzonte.
Ed eccola li, l’altissima torre.
La torre era talmente alta che non se ne poteva vedere la cima ed era lontana talmente tanto che non si
poteva stimare quanto tempo avrebbe impiegato lui
per arrivarci.
Diverse leggende che gli avevano raccontato da piccolo narravano del paradiso che si credeva esserci
sopra la torre. Ma mai nessuno, tuttavia, era tornato
indietro per raccontare se fosse verità o menzogna.
Il soldato aveva fame e, dopo aver imbracciato l’arma
e il rilevatore, si incamminò, quasi dimenticandosi del
suo arto lacerato. Si era provocato una profonda ferita alla gamba combattendo insieme ai suoi compagni
contro il popolo di giganti che abitava quella pianura.
Era stato dopo quella battaglia che era rimasto solo.
La gamba rotta lo costrinse a trascinarsi con le mani
verso la torre. Lui comunque non si perse d’animo.
Non seppe mai quanti giorni passò in quella sterminata pianura finché arrivò a destinazione. L’altissima
struttura era composta da un materiale che sembrava legno, ma molto più robusto e lucido, e non presentava né porte né finestre.
Il soldato decise così di scalarla. Ma che fatica e
quanta sofferenza con quella gamba rotta.
Ed infine, dopo giorni passati a scalare la torre, arrivò
in cima.
Vide una sterminata pianura che sembrava rimanere
sospesa nell’aria, dove erano disseminati frutti ovunque.
Era il paradiso.
Corse verso delle mele, affamato e stravolto dalle fatiche che aveva sopportato per arrivare fino a lì.
E, finalmente, salì su una di esse e iniziò a mangiare,
finché una grande ombra calò su di lui...
“Mamma, mamma! C’è una formica su questa mela!
Che schifo! Non la mangio più!” - strillò il bambino.
La mamma prese la mela dal tavolo, la lavò e gliela
porse nuovamente.
“Ora è pulita... Mangiala che ti fa bene...”
Quella sera la luna splendeva sopra le alte torri della
città di vetro e i suoi riflessi perlacei si riflettevano sui
palazzi.
Era la tipica città moderna, costruita per lo più in verticale.
E proprio in uno di quei giganti, dall’ampia vetrata di
un monolocale, qualcuno osservava la città.
William Pearl era il suo nome.
Osservava spesso la metropoli e ormai si sentiva
parte di essa: aveva potuto infatti osservarla mentre
da piccolo centro abitato qual’era si era trasformata
col passare del tempo diventando l’enorme città che
ora spezzava il cielo con le sue altissime torri. La tecnologia aveva compiuto passi da gigante e questo
aveva permesso la costruzione di edifici alti anche
migliaia di metri.
Dal monolocale si poteva osservare tutta la parte est
della città e all’alba vi si poteva scorgere senza problemi il sole riconquistare il cielo.
Ma per ora era ancora notte e William poteva permettersi di rimanere affacciato ad osservare quel mondo
artefatto che gli esseri umani avevano iniziato a costruire.
Quand’ecco un dirigibile pubblicitario passare tra i
palazzi.
“Aggiornate le vostre parti meccaniche! Sono disponibili i nuovi Hardware per il vostro corpo!”
Preso da un’ira improvvisa, Pearl tirò un pugno alla
vetrata, che si scheggiò.
Guardandosi la mano sanguinante per il colpo, egli
imprecò contro i vetri antisfondamento, poi l’odore
ferroso del sangue lo riportò ai vecchi ricordi. Una
breve lacrima solcò il suo viso pallido, andando ad
asciugarsi sul freddo pavimento.
Si allontanò dalla vetrata chiudendo i tendaggi, prese
il cappotto dall’attaccapanni e uscì dal piccolo appartamento. Scese al piano terra e uscì dal palazzo, dirigendosi senza meta per le strade della città.
Ripensava rabbioso e insieme rattristato alla pubblicità del dirigibile. Sì, ormai i discorsi erano tutti di quel
tipo: “Sai che l’altra sera mi sono collegato biologicamente con una tipa! Un vero spasso!” “E’ ottimo
proprio come ti dicevano! Visto che braccio artificiale
che ho adesso? Una vera potenza!” “Ehi, gira voce
che fra un po’ uscirà il nuovo Firmware per l’apparato
visivo... Con questi occhi ho solo lo zoom fino al 5x...”
Le tipiche conversazioni in città.
Tutta quella tecnologia era stata la sua rovina.
Era proprio questo progresso che aveva distrutto la
sua vita.
Se lo ricordava ancora il sapore del sangue, quel caldo liquido vitale...
Ma ormai era da diversi secoli che non ne assaporava più e il ricordo di quel sapore stava lentamente
svanendo in lui...
Un’altra lacrima gli scese sul volto.
Francesco Sedda
37
Se solo avesse potuto berne ancora...
E’ una vera sfortuna per un vampiro dover vivere in
un mondo popolato solamente da robot ricombinati...
Francesco Sedda
Non doveva morire così
“Non doveva morire così”, “Sarà sempre nei nostri
cuori”, “Era così giovane”... Sento queste voci in continuazione e in loro riconosco le voci delle persone a
me più care, ma non capisco cosa stia succedendo,
dove io sia e ancora meno perché non riesco a muovermi.
Poi una voce sconosciuta attira la mia attenzione e
quella di tutti gli altri presenti: “Siamo qui riuniti per
celebrare il rito funebre della giovane Elisabetta...”.
Mi si blocca il respiro, il cuore si raggela, le labbra
sono incollate, il corpo paralizzato, urlo... Ma solo
nella mia testa.
Continuo a sentire quella voce che parla, parla, parla
di me, di quell’atroce momento... Io non so, io non ricordo. Ad un tratto il silenzio. Sento qualcosa venirmi
addosso. Poi un tonfo sordo, poi un altro, e un altro
ancora... Ora ho capito: per loro sono morta!
I rumori sono ora ovattati, ma riesco a sentire la terra
che cade sulla mia bara e la ricopre. La gente piange,
poi torna a casa, le macchine si allontanano.
Ora sono sola e la mia paura non viene più distratta
da quelle voci, sono bloccata e non riesco ad uscire.
Vorrei piangere, vorrei disperarmi, ma non posso.
Devo liberarmi!
Di tempo non ne rimane molto... Sento già l’aria mancare; cerco di urlare ma non ce la faccio, la mia bocca è bloccata.
Pian piano riesco a muovere le dita, ora le mani, provo a a picchiare sulla bara, a grattare via il legno. Le
schegge che penetrano sotto le dita provocano un
immenso dolore che mi fa sentire ancora più viva. Sì,
perché io sono sepolta viva!
Ora capisco che la mia fine sarà ancora più atroce di
quella di cui parlavano le persone vicine a me al mio
funerale.
So che pian piano l’ossigeno mancherà e che la sete
e la fame si faranno sentire. Fino a quando il cuore,
stremato, si fermerà.
Rinuncio, non riuscirò a liberarmi! Mi vengono in
mente tutte quelle persone che in questi quindici anni
mi hanno voluta bene, mia madre, i miei amici... Poi,
non so come, riesco ad aprire gli occhi. Ma non vedo
nulla, intorno a me c’è solo il buio! Riprendo forza,
provo ancora a picchiare, a urlare, a fare rumore.
Nessuno mi sente, nessuno mi sentirà mai.
No! Aspetta! C’è qualcuno! Non so chi, non so cosa
sta facendo, so solo che è qui.
Urlo, picchio, faccio più rumore che posso. Ecco, sì,
forse mi ha sentita!
Sta scavando, urla… E’ mia madre!
Poi il nulla di nuovo. Di certo è andata a chiamare
qualcuno. È andata a chiamare qualcuno, vero? Ma
non torna, dov’è? Non c’è più!
No, un attimo, sento di nuovo la sua voce, non mi ha
abbandonata! Ma c’è anche qualcun altro, e stanno
scavando, e tra poco sarò libera!
E di colpo la luce!
È accecante, e sono viva! Non vedo nulla, sento una
sirena, dicono che è per me, perché? Io sto bene…
Sono viva!
Ora riesco a distinguere le ombre, poi i colori e a
poco a poco anche le forme, fino a tornare a vedere.
Tante persone mi portano via, via da mia madre, io
voglio stare con lei, perchè non la lasciano venire?
Poi il buio di nuovo…
Adesso sono finalmente sveglia, in un letto, vicino a
me c’è mia madre, le chiedo cosa è successo. Dice
che sono svenuta mentre i dottori mi portavano via;
ma sono passate delle ore, perché è già buio. Ora
però sto bene, i medici lo confermano: domani potrò
tornare a casa!
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Elisabetta Caffarella
FOTOGRAFIE
Maura Malpetti
Sorriso
Scarpe di donna
Studio
Miù
Scorre il tempo
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Speranza
Valentina Monteleone
Garden
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RECENSIONI
Death note
MANGA
Death Note è un manga giapponese incentrato su un
ragazzo che decide di liberare il mondo dal male con
l’aiuto di un quaderno dai poteri
soprannaturali.
Light Yagami è
uno studente modello, annoiato dal
suo stile di vita e
stanco di essere
circondato da crimini e corruzione.
La sua vita prende
una svolta decisiva quando trova
per terra un misterioso quaderno
con la scritta “Death Note”.
Le istruzioni del Death Note asseriscono che qualsiasi persona il cui nome venga scritto sul quaderno
morirà.
Inizialmente scettico sull’autenticità del Death Note,
credendolo uno scherzo, Light si ricrede quando assiste alla morte di due criminali di cui aveva scritto il
nome sul quaderno.
Dopo aver incontrato il vero proprietario del Death
Note, uno shinigami (Dio della morte) di nome Ryuk,
Light cercherà di diventare il “nuovo giustiziere”, in
grado di decidere da solo leggi e punizioni.
In breve, il grande numero di morti inspiegabili cattura l’attenzione del distretto di polizia e di un misterioso detective conosciuto solo come Elle ( L ). Elle
scopre presto che il serial killer, soprannominato dai
media Kira, si trova in Giappone. Conclude anche
che Kira può uccidere solo conoscendo la faccia e il
nome delle persone che vuole eliminare.
Light capisce subito che Elle sarà il suo maggior nemico, e da qui ha inizio una sfida fra i due per provare
la propria superiorità.
Tutor Hitman Reborn
Non siete forse stufi dei soliti Manga dove il protagonista è un figo tremendo, con poteri sovrannaturali e
armi micidiali? Se è così, questo manga vi sconvolgerà!
In Tutor Hitman Reborn, il protagonista
è un ragazzo di nome
Tsuna che, contro il
suo volere, si ritrova
candidato ad essere il
nuovo boss della famiglia mafiosa italiana dei
Vongola.
L’attuale boss, chiamato il Nono per essere appunto
il IX° boss della famiglia in ordine cronologico, sta
infatti morendo e decide di affidare la guida della famiglia a Tsuna.
Per far questo invia in Giappone un famoso serial killer di nome Reborn con lo scopo di fare di Tsuna un
perfetto boss mafioso.
Nonostante il problema della mafia in Italia non sia
da sottovalutare, in questo Manga è trattato in modo
piuttosto divertente e coinvolgente. I primi 5-6 numeri hanno la funzione di
introdurre molti dei personaggi principali che
assisteranno il protagonista, tra cui il già citato
Reborn, un dinamitardo
chiamato Gokudera, un
giocatore di Baseball
di nome Yamamoto e
molti altri.
Tuttavia è dal numero
7 che si entra nel vivo
dell’azione, inizialmente con la comparsa di altri gruppi che vogliono togliere di mezzo Tsuna e poi con l’arrivo in Giappone dei
Varia: i temibili mercenari un tempo al servizio dei
Vongola ma che ora ambiscono al posto di Decimo
Boss.
Complessivamente questo è il Manga più coinvolgente che io abbia mai letto: un intreccio di trama
ben strutturata e colpi di scena come se piovesse!
Non manca mai infatti il colpo di scena finale che ti
lascia sulle spine fino all’uscita del numero seguente!
Detto questo, vi auguro una buona lettura.
Francesco Sedda
Valentina Monteleone
CINEMA
X-men le origini: Wolverine
Regia: Gavid Hood
Interpreti: Hugh Jackman, Ryan Reynolds, Live
Shreiber, Danny Huston, Lynn Collins
Si tratta del quarto film della Fox dedicato all’universo
dei mutanti, incentrato sul passato tormentato del più
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amato degli X-Men James Howlett detto Logan, alias
Wolverine. Il personaggio è interpretato ancora una
volta da Hugh Jackman, coproduttore del film.
Dopo anni e anni di guerre e violenze Logan cerca
la pace sulle montagne canadesi insieme alla sua
amata Silverfox (Lynn Collins) che lo incoraggia a
perseguire la sua natura umana. L’arrivo del fratello
Victor e la morte dell’amata riporta Logan a rispolverare il suo lato animalesco in nome della vendetta, la stessa che lo porterà a consegnarsi nelle mani
del generale William Stryker (Danny Huston) che lo
renderà, attraverso un esperimento rischioso e doloroso, l’invincibile Arma X dotata dell’indistruttibile
scheletro metallico d’adamantio. La forza del film sta
nel non essere affatto un “X-Men 4”: la trama è decisamente Wolverine-centrica e gli altri personaggi,
sebbene numerosi, sono ben delineati e rimangono
fortunatamente solo una cornice; ad eccezione del
bravo Liev Shreiber (Victor) che con il suo carisma
fa da spalla al protagonista ma non oscura la forte
presenza scenica di Jackman.
Fra i tanti aspetti positivi sono da apprezzare i vari
riferimenti ai primi tre film: alcune scene sono molto simili o comunque coerenti ai flashback del primo
della serie, riconosciamo infatti un ancora inesperto Ciclope e, con un po’ di attenzione, una giovane
Tempesta.
Lo sceneggiatore David Benioff cerca un giusto equilibrio fra attinenza al fumetto e rivisitazioni, cosa non
affatto semplice con le imprevedibili reazioni dei fan
del fumetto e dei film. La trama è ben costruita: sullo schermo viene riportata la fragilità e l’umanità del
mutante che si intravede molto bene anche tra botte,
inseguimenti mozzafiato e azione a non finire, resa
spettacolare da effetti speciali molto curati. Peccato
solo per i fondali e la scenografia che a volte risultano
un po’ troppo digitali.
Sonia Madini
MUSICA
I gemelli diversi
La band dei Gemelli Diversi, attiva dal 1997, è composta da: Alessandro Merli (DJ, nome d’arte THG),
Francesco Stranges (voce, nome d’ arte Strano),
Emanuele Busnaghi (rapper, nome d’ arte Thema),
Luca Aleotti (rapper, nome d’ arte Grido).
Con i Gemelli Diversi la musica hip hop è arrivata a
Sanremo 2009. Nella prima serata del Festival (17
febbraio) i Gemelli Diversi hanno infatti presentato
la loro canzone intitolata “Vivi per un Miracolo”. E di
sicuro quella dei Gemelli Diversi è una delle canzoni
più orecchiabili e radiofoniche ascoltate al festival. La
canzone “Vivi per un Miracolo” con il ritornello “Ce
l’hai un attimo per me?” ha tutte le carte in regola
per diventare un tormentone. In oltre è
un pezzo che affrontato ed analizzato
più profondamente
fa notare, oltre a fatti
tristissimi dei nostri
giorni, anche problemi e domande inerenti alla religione e
a come una persona
può affrontare tutti i problemi rivolgendo domande a
Dio.
Senza fine è il sesto album dei Gemelli Diversi, in
commercio dal 20 febbraio 2009. È una raccolta che
comprende i brani più famosi della band in aggiunta
a tre nuovi pezzi. Oltre al brano illustrato sopra, troviamo d’interessanti Icaro, Nessuno è perfetto e Tu
corri. Icaro è un pezzo lento e molto melodico che
incita noi ragazzi a non arrenderci mai ed a rincorrere
sempre i nostri sogni senza mai reprimerli; come anche Tu corri, altro pezzo che racconta la storia di un
giovane giocatore talentuoso che vede il suo sogno
realizzato mentre altri lo buttano via. Nessuno è perfetto è un pezzo allegro e nel classico stile Hip-Hop
italiano che, come si intuisce dal titolo, suggerisce
di “stare sempre con i piedi per terra però”. Oltre a
questi brani la raccolta comprende altri pezzi storici
tra cui Mary, tormentone di estati passate, e Anima
gemella con la partecipazione di Eros Ramazzotti.
Questo album, come ho detto prima, è un Greatest
Hits, e devo ammettere che anche se gran parte dei
pezzi sono conosciuti, non mi ha per niente deluso e
credo che sia un’ottima raccolta ed un’ottima idea. Il
mio consiglio per chi apprezza questo genere di musica, è come sempre di procurarselo perché questo è
un “pezzo di storia” dell’Hip-Hop/R&B italiano.
Federico Fabbris
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I G.O.B
Intervista a due giovani band
a cura di Riccardo Bruno
G.O.B, che dire… Sono un nuovo gruppo emergente e, cosa più importante, sono della nostra città. I
G.O.B, che starebbe per Games Over Boys (i ragazzi
dei giochi finiti) è uno dei nuovi gruppi Hip-Hop presenti sulla scena italiana e che, a mio avviso, hanno
tutte le carte in regola per diventare grandi.
Il primo album ufficiale uscirà i primi di luglio e s’intitola “Partire da zero”; essendo un mixtape, i prezzi
saranno relativamente contenuti.
I pezzi presenti nel cd sono 12 e vanno da “It’s my
turn” che parla principalmente del fatto che ora è il
proprio turno e il proprio tempo, a “Fuori” che tratta
della storia di un giovane senegalese di Milano morto
a causa di discriminazioni razziali; e ancora vanno da
“G.O.B”, che sarebbe un inno del gruppo, a “Piccolo
soldato”, storia di un ipotetico “bambino soldato” di
paesi in guerra.
O ancora “Tira su le mani” con la partecipazione di
Son-J, altro rapper emergente, che è un incitamento
a far festa come “Mantova stand up” altro incitamento
per la propria città, anche questo creato con la partecipazione di altri artisti.
Altri pezzi su cui soffermarsi sono “Muovilo”, pezzo
in tipico stile americano e che vi lascio immaginare
di cosa parla (è dedicato alle signorine), e “Life is killing me” che parla della vita moderna che sotto alcuni
punti di vista può essere pericolosa e mortale.
Il pezzo più interessante, secondo me, è però il numero 3 “Come fai”: pezzo melodico e molto orecchiabile, che al di là dell’ottimo sound, parla dell’importanza della musica e dell’amore verso il proprio genere
musicale, e quanto questo possa farti sentire vivo.
Il mio consiglio è di procurarvelo appena verrà pubblicato perché per quanto ad uno possano piacere
altri generi posso assicurarvi che queste canzoni non
stancano, e vanno bene per ogni occasione, sia per
rilassarsi che per divertirsi o per incitare.
E poi… CAVOLO, ragazzi, sono della nostra città!!!
I Noots
Da quanto tempo suonate insieme?
E’ dal 2006.
Chi sono i componenti del gruppo? E come si è
formato?
Greg alla chitarra e alla voce, Gara alla batteria e
Giorgio al basso.
Abbiamo iniziato a suonare insieme per divertimento,
poi ci siamo appassionati a abbiamo deciso di contare organizzandoci meglio. Abbiamo già anche inciso
un disco.
Che genere di musica proponete?
Indie-rock
Diteci del disco...
Ci sono quattro canzoni: The helmet, Morphine, Kids’
Anthem, Wonderland.
Fate delle uscite?
Certamente: ogni tanto organizziamo o partecipiamo
a delle serate.
Ne avete in programma attualmente?
Per ora no. Aspettiamo l’estate. Allora ne faremo sicuramente.
Gli Hertz
Federico Fabbris
Da quanto tempo suonate insieme?
Suoniamo da circa un anno
Chi compone il gruppo? E come si è formato?
Mandra alla chitarra, Giova alla batteria, Emo al basso mentre Gianky, alla chitarra ritmica, è anche voce.
Abbiamo iniziato per passatempo e poi ci abbiamo
trovato gusto.
Suonate da poco e penso non abbiate ancora
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canzoni vostre…
No, però ci stiamo lavorando. Per ora facciamo prevalentemente delle cover.
Di che genere?
Punk-rock e pop-punk
DISEGNI
Simone Micheletti
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Michela Federico
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Disegno di Sara Potyscki
REBUS
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TEST
Sei fantasioso? Misura la tua creatività!
1. Quale tra i seguenti generi di lettura preferisci?
a) Romanzi gialli b) Poesie c) Biografie storiche
2. In quale tra le seguenti località ti piacerebbe passare una settimana di vacanza?
a) Guatemala b) Londra c) Maldive
3. Mentre parli al telefono, ti capita di scarabocchiare
sui fogli?
a)Spesso b) Qualche volta c) Raramente
4. Cosa attira di più la tua attenzione quando cammini per strada?
a) Le persone che incontro b) I giardini e le piante
c) Le vetrine dei negozi
5. Ricevi una grossa somma di denaro inaspettatamente e vuoi festeggiare con i tuoi amici. Cosa organizzi?
a) Un week-end a Euro Disney b) Una festa In un
locale c) Una cena in un ristorante di classe
6. Ti piace riparare gli oggetti?
a) Si b) Solo se capisco qua! E’ il guasto c) No
7. Quale sceglieresti tra le seguenti professioni, se ti
garantissero la sicurezza di avere successo?
a) Neurochirurgo b) Avvocato c) Politico
8. Quale tra le seguenti attività ti piacerebbe praticare
come hobby?
a) Qualcosa di artistico come la ceramica
b) Uno sport c) Collezionismo
9. Ti piace giocare al computer?
a) Si b) Forse, se avessi più tempo c) No
10. È notte e non riesci a prendere sonno, quale potrebbe essere la ragione?
a) La mia mente è iperattiva b) Sono preoccupato per
qualcosa c) Non sono stanco
11. Hai un carico di lavoro davvero notevole e delle
scadenze strette. Cosa fai?
a) Cerco di pensare a un metodo per ridurre i tempi
ed essere più produttivo b) Individuo le priorità e svolgo per primo il lavoro più urgente c) Mi metto subito al
lavoro e non smetto finché non ho terminato
12. Cosa ti piacerebbe regalare al tuo partner per Natale?
a) Qualcosa che esaudisca un suo desiderio b) Qualcosa che abbiamo visto insieme e sono sicuro che
possa piacere c) Un buono per acquistare quello che
vuole
13. Se ti invitassero al circo, quale tra questi personaggi vorresti che non mancasse nello spettacolo?
a) Mago b) Giocoliere c) Acrobata
14. Quali doti dovrebbe avere il tuo cane?
a) Dovrebbe essere allegro e tenermi compagnia
b) Dovrebbe essere ubbidiente e tranquillo c) Dovrebbe proteggermi dai pericoli
15. Quale di questi sport ti piacerebbe praticare?
a) Golf b) Calcio c) Pugilato
16. Quale tra i seguenti film di Alfred Hitchcock ti pia-
cerebbe vedere, o rivedere?
a) Pysco b) Gli uccelli c) La finestra sul cortite
17. Quale dei seguenti aggettivi ti si addice maggiormente?
a) Stravagante b) Dinamico c) Ordinato
18. Qual è il tuo fiore preferito tra questi?
a) Orchidea b) Tulipano c) Margherita
19. Dovendo scegliere tra i seguenti giochi enigmistici, quale preferiresti risolvere?
a) Dettagli nascosti b) Anagrammi c) Parole crociate
20. Credi ai fenomeni paranormali?
a) Si b) Solo ad alcuni c) No
21. Cosa pensi dell’arte moderna?
a) E’ originale e induce a riflettere b) Non sempre mi
piace c) La trovo insignificante
22. Pensi al futuro con preoccupazione?
a) Si, frequentemente b) Qualche volta c) Solo occasionalmente
23. Potendo scegliere, dove ti piacerebbe abitare?
a) In una casa antica con molte stanze e corridoi
b) In una casa colonica spaziosa e lontana dalla confusione c) In una casa in centro piccola ma funzionale
24. Quale dei seguenti aggettivi ti descrive meglio?
a) Curioso b) Operoso c) Soddisfatto
25. Ti definiresti una persona che segue la moda?
a) No, preferisco il mio stile b) Fino ad un certo punto
c) Si, in generale
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La Redazione
SOLUZIONI
REBUS
(9,3,4) Pistoleri del west
(7,10) Zuccata spaventosa
(4,2,4,7) Uomo di bell’aspetto
(11,2,7,6) Esposizione di oggetti romani
(8,2,8,6) Scoperta di notevole valore
(9,10) Stendardi imperiali
(8,5,8,1,5) Numerosi metri percorsi a piedi
(6,7,8,5,7) Roseto fiorito rovinato dalla pioggia
(6,3,8,10) Mulino per macinare granaglie
PUNTEGGIO TEST “SEI FANTASIOSO?”
Assegna 2 punti ad ogni risposta A, 1 punto ad
ogni risposta B, 0 punti alle risposte C.
35-50 punti: Sei una persona estremamente creativa, fantasiosa, originale e anche un po’ eccentrica. Non hai paura di infrangere le convenzioni
e uscire dagli schemi.
16-34 punti: Sei una persona equilibrata e obiettiva, tendi a rispettare le convenzioni e le regole sociali ma ciò non fa di te una persona rigida
perché sai ragionare con la tua testa e hai una
mentalità aperta.
Meno di 16 punti: Sei una persona piuttosto razionale, conformista e precisa e poco fantasiosa
per natura. Nel lavoro e nello studio ti muovi con
ordine e meticolosità.
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Foto curiosa: I vincitori
Tra le foto che ci sono pervenute per il concorso
“FOTO CURIOSA”, la giuria ha scelto la seguente
proveniente da Andrea Malavasi, Paolo Rizzardi e
Federico Veneri.
In 4AET tra Carli e D’Amico
non mettere il dito
Prof Carli
-”Rosario mi hai detto la noia è un aggettivo, un sostantivo e poi un sentimento, non so dimmi che è anche un bullone già che ci sei...”
-”1 Non puoi parlare, 2 Non si è capito una mazza, 3
Do una nota a quest’uomo!!!“
-”Gatti dimmi cos’è il Barocco..” - “ Eh il Barocco è un
movimento...” - “ Movimento di cosa? Del bacino?”
-”Immaginatevi la fusione tra Bonini e Fusoli: Bonisoli
il mostro a due teste!!!“
-”Non è che la Divina Commedia sono le barzellette
di Totti eh...”
-”Busoli, meno parli più ti apprezzo… E tu Gatti leggi,
se ti ricordi come si fa...”
-”Domani chi non ha il tema lo interrogo su quello che
voglio io… Mah, anche biologia per esempio”
-”Massa stai giocando la carta simpatia, discutibilissima oltretutto...”
-”Ma va a ciapàr i ràt!!!”
-”Non dovete pensare che il Medioevo sia iniziato
esattamente nello stesso momento in tutta Europa,
non è che c’era un tipo che diceva <Pronti, attenti,
via! Siamo nel Medioevo!!!>“
-”Molinari hai il libro?” - “No profe…” - “ Bene ti do un
meno..” - “ Ma l’ho sempre avuto!!!”
-“Mah… Nell’incertezza ti do un meno lo stesso...”
Prof D’Amico
-“Mi raccomando, state zitti e fate finta di ascoltare“
-”Avete visto che attorno ai paninari non ci sono mai
i gatti? Sono tutti dentro i panini”
-”Io faccio le domande, le risposte non le so...”
-”Le macchine sono fatte per stare fuori! “ - ”E allora
perchè esistono i garage?” - “Per affittarli ai fessi!”
-”Non è importante perchè non c’è... E’ importante
che non ci sia”
-”Voglio sentire il rumore del silenzio “ - “Ma che rumore è?” - “ Se taci lo sentiamo...”
-”Chi muore annegato a l’è ‘n stupid. Se poi abita in
Pianura Padana l’è stupid al quadrat perchè ci sono
tanti canali”
-”Se ti butti dal quinto piano non assumi la classica
forma a goccia”
-“Controllate voi stessi: se state parlando ditevi di
smettere”
-”Se i tappini delle biro sono bucati vi hanno rubato
dei soldi”
-”Quando parli con me... DEVI STARE ZITTO!!!”
-“Prof, quando andiamo in settimana bianca?” - “A
fine giugno”
-”Non è che vogliamo fare la hit parade della stupidità”
-”Se non taci perdo il filo del discorso, mi affatico, mi
viene fame e poi devi pagarmi gli alimenti”
-”Ma devi proprio fare 5 cose di fretta? Fanne 4 con
calma”
-”Sono talmente abituato che non mi ricordo”
-”Non è che ogni volta che sbadigliate devo fare l’otorinolaringoiatra e controllarvi le tonsille”
Risate bestiali
Un uccellino sta girando per il bosco e a un certo
punto trova un cane e gli chiede: “E tu chi sei?” E
il cane: “Un cane-lupo” E l’uccellino: “Perché canelupo?” Il cane: “Perché mia mamma era un cane e
mio papà un lupo”... L’uccellino va avanti e trova un
pesce: “E tu chi sei?” Il pesce: “Una trota-salmonata”
L’uccellino: “Perché una trota-salmonata?” Il pesce:
“Perché mia mamma era una trota e mio papà un
salmone”... L’uccellino va avanti e trova una zanzara
e le domanda: “E tu chi sei?” “Una zanzara-tigre” E
l’uccellino: “Ma va a…”
Un bruco nel prato incontra una bella bruca… Bionda, occhi azzurri, snella... E le chiede il suo nome:
“Ciam” risponde lei. “Vuoi uscire con me stasera?”
“Sì”. Si scambiano il numero di telefono per incontrarsi la sera. Poi il bruco incontra un’altra bella bruca.
Questa volta castana, con molte curve, labbra carnose ed occhi marroni. “Come ti chiami?” “Ciam” risponde la bruca. “Vuoi uscire con me domani sera?”
“Sì”. E si scambiano il numero di telefono. Il bruco
incontra infine un’altra bruca, anch’essa bella, con
capelli lunghi fino alle spalle, neri, con occhi azzurri,
fisico perfetto. “Come ti chiami?” “Ciam” risponde la
bella bruca. “Vuoi uscire con me posdomani sera?”
“No” dice lei. Morale della favola: non tutte le Ciam
belle escono col bruco...
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A cura di Gabriel Wiwoloku
Battute fredde
Ci sono due pecore che si fissano per degli istanti interminabili. Alla fine una fa all’altra con aria di
sfida: “Beeeh?”
Cosa fanno due squali fuori da una gara? Sono stati
squalificati!!!
Un tacchino a una papera: “Dove abiti?” e la papera:
“Qua!”
Due topi davanti ad un cinema: “Entriamo?” “Ma no,
ci sono solo quattro gatti”
Qual è l’animale più incerto su dove andare? L’aqui-la!
Che cosa fa un maiale che cade dal 5° piano?
“SPECK!!!”
A cura di Gabriel Wiwoloku
Prof.ssa Facchini
(di Giulia Casetta)
Fumetto (di Giulia Casetta)
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Curiosità sul 19
(dedicato a questo numero di FERMI
TUTTI)
Il 19 è:
- L’ottavo numero primo
- ll terzo numero il cui reciproco decimale è di lunghezza massima, in questo caso 19 cifre: 1/19 =
0,052631578947368421
- Il numero atomico del potassio (K).
- La risata nella “smorfia”
Il numero binario corrispondente al 19 è 00010011
Ed ora un po’ di giorni 19:
19-6-1885: La Statua della Libertà arriva nel porto di
New York
19-3-1918: Il congresso USA stabilisce il fuso orario
e approva l’ora legale estiva
19-6-1938: A Parigi l’Italia batte 4-2 l’Ungheria nella
finale dei Mondiali di Calcio e si laurea per la seconda volta Campione del Mondo
19-10- 1957: Primo test sotterraneo statunitense di
una bomba nucleare
19-12-1972: L’Apollo 17, ultima missione dell’uomo
sulla luna, rientra sulla terra
19-12-1974: Viene messo in vendita l’Altair 8800, il
primo personal computer
19-4-1987: I Simpson fanno la loro prima apparizione
al Tracey Ullman Show in un breve episodio intitolato
Good night
19-7-1992: Palermo: a pochi mesi dalla strage di Capaci, viene ucciso il procuratore della Repubblica Paolo Borsellino
19-11-2007: La Fontana di Trevi viene colorata di
rosso
A cura di Elisabetta Caffarella
DIARIO DI BORDO DELLA 4S
Prof. Oliani:
“Cosa leggevi prima che non eri attenta?” - “Il I°
canto del Purgatorio” - “Ma dai!!! È più divertente
quello che dico io!”
Prof.ssa Sarzi:
“Non fate i compiti alla vacca maniera.”
“Non parlate come scaricatori di porto.”
Prof. Oliani:
“Togli il casco dal banco che anche se cade non
si rompe... O l’hai preso all’Hao Mai?”
Prof. Garilli:
“Una volta dicevano che le donne sono meno intelligenti perché hanno il cervello che pesa meno
rispetto a quello maschile; non è vero: sono
meno intelligenti per altri motivi!”
“Continuate a esprimere quello che avete in testa, cioè state zitti.”
Dopo aver visto la nostra foto come sfondo del
registro elettronico della classe: “Non ho capito
perché dovete affliggermi con le vostre facce anche sul desktop”
“La profe di chimica ha un gesso invadente: non
si riesce a cancellare.”
“Gli idrocarburi finiscono tutti in ‘ano’; si vede che
quello che li ha scoperti era gay.”
Prof.ssa Sbarbada:
“Cambiamo i bambini nella culla, facciamo col
coseno”
Prof.ssa Motta:
“Questi esercizi hanno una componente di rottura, nel senso che dopo un po’ che li fai ti rompi.”
Prof.ssa Facchini:
-“Adesso vi espongo quello che sarà il programma di quest’anno così vi do subito la mazzata!”
-”L’uomo è così: ha una linea di schifezza.”
-”Stancari sei stanco?” - “Sì, un pochino” - “Fai
onore al tuo nome!”
“Basta!!! Non è che a Natale siamo tutti più buoni.”
“Per San Valentino interrogherò il maggior numero di persone per la massima infelicità possibile!”
Lezione di inglese:
“Nella cultura vichinga esisteva la dea Frida. Poi
noi l’abbiamo rapita e portata all’Itis.”
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Ripassiamo qualche assioma della
Legge di Murphy:
Se qualcosa puo’ andar male, lo farà
Alcuni corollari
1. Niente e’ facile come sembra.
2. Tutto richiede più tempo di quanto si pensi.
3. Se c’è una possibilità che varie cose vadano male,
quella che causa il danno maggiore sarà la prima a
farlo.
4. Se si prevedono quattro possibili modi in cui qualcosa può andare male, e si prevengono, immediatamente se ne rivelerà un quinto.
5. Lasciate a se stesse, le cose tendono a andare di
male in peggio.
6. Non ci si può mettere a far qualcosa senza che
qualcos’altro non dovesse essere fatto prima.
7. I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedirgli di nuocere.
La filosofia di Murphy: Sorridi... Domani sarà peggio.
La costante di Murphy: Le cose vengono danneggiate in proporzione al loro valore.
Versione relativistica della legge di Murphy: Tutto va
male contemporaneamente.
Postulato di Boling: Se sei di buon umore, non ti preoccupare. Ti passerà.
Legge di Iles: Quando il modo migliore ci sta davanti agli occhi, specialmente per lunghi periodi, non lo
vediamo.
Legge di Chisholm: Quando tutto va bene, qualcosa
andrà male.
Corollari della Legge di Chisholm: 1. Quando non può
andar peggio di così, lo farà. 2. Se le cose sembrano
andar meglio, c’è qualcosa di cui non stiamo tenendo
conto. 3. Se si spiegano le cose in maniera tale che
nessuno possa non capire, qualcuno non capirà. 4.
Se si fa qualcosa con l’assoluta certezza dell’approvazione di tutti, a qualcuno non piacerà. 5. Se si vuol
mettere qualcuno di fronte al fatto compiuto, il fatto
non si verificherà.
Prima legge di Scott: Qualsiasi cosa vada male, avrà
probabilmente l’aria di andare benissimo.
Terza legge di Finale: In un qualsiasi insieme di dati,
la cifra cosi’ evidentemente corretta da non richiedere un controllo è l’errore.
Legge di Gumperson: La probabilità che qualcosa
accada è inversamente proporzionale alla sua desiderabilità.
Legge di Rudin: In casi di crisi che obbligano la gente
a scegliere tra varie linee di condotta, la maggioranza
sceglierà la peggiore possibile.
Teorema di Ginsberg 1. Non puoi vincere. 2. Non puoi
pareggiare. 3. Non puoi nemmeno abbandonare.
Chiosa di Freeman al teorema di Ginsberg: Tutte le
più importanti filosofie che cercano di dare un significato alla vita sono basate sulla negazione di una
parte del teorema di Ginsberg. Per esempio: 1. Il capitalismo è basato sul presupposto che si possa vincere. 2. Il socialismo è basato sul presupposto che si
possa pareggiare. 3. Il misticismo è basato sul presupposto che si possa abbandonare.
Teorema di Stockmayer: Se sembra facile, è dura. Se
sembra difficile, è fottutamente impossibile.
Quattordicesimo corollario di Atwood: Non si perde
mai nessun libro prestandolo, a eccezione di quelli
cui si tiene particolarmente.
Leggi complementari di Richard sulla proprietà: 1. Se
si tiene a qualcosa abbastanza a lungo lo si potrà
buttare. 2. Qualsiasi cosa si butti, servirà non appena
non sarà più disponibile.
Legge di Lewis: Per quanto uno cerchi e si informi
prima di comprare un qualsiasi articolo, lo troverà a
minor prezzo da un’altra parte non appena l’avrà acquistato.
Osservazione di Zenone: L’altra coda va più veloce.
Legge dei treni: Se il proprio treno è in ritardo, la coincidenza partirà in perfetto orario.
Legge di Johnson e Laird: Il mal di denti tende a cominciare di venerdì sera.
Legge di Boob: Si troverà sempre una qualsiasi cosa
nell’ultimo posto in cui la si cerca.
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A cura di Claudio Marozzi
FermiTutti n° 19 con Annuario 2008-2009
Edizione giugno 2009
Grafica e impaginazione del giornale
Sara Potyscki e Giacomo Tirelli
con la collaborazione di Alessandro Bonichini
Grafica e impaginazione dell’annuario
Sara Potyscki e Giacomo Tirelli
con la collaborazione dei rappresentanti di istituto
La copertina di FermiTutti 19
è stata creata da Marco Brondi
La copertina dell’Annuario 2008-2009
è stata creata da Alessandro Bonichini
Responsabile del progetto
prof. Claudio Marozzi
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