ICT e alterit femminile, di Serena Dinelli
Transcript
ICT e alterit femminile, di Serena Dinelli
6. ICT e “alterità” femminile: una risorsa e una spinta per rinnovare l’innovazione? Serena Dinelli* 1. Introduzione Focalizzarsi sulla posizione delle donne nella Società dell’Informazione può forse sembrare a qualcuno occuparsi di un tema secondario, “aggiuntivo”. Riteniamo invece quest’ottica molto rilevante sia in termini specifici (cosa sta accadendo alle donne con lo sviluppo della ICT), sia in termini più ampi, per così dire “metodologici”. Troppo spesso infatti, l’approccio alla ICT si impernia su argomenti preminentemente strutturali, tecnologici, economici e professionali. Rimangono invece molto più in ombra da un lato gli aspetti di potere, dall’altro le implicazioni macro e microsociali e le dimensioni culturali e soggettive. Quando si parla di “ritardi”, “resistenze al cambiamento”, di “gap”, si allude in effetti alla soggettività umana che si relaziona alla tecnologia. Allora ci si può chiedere: - se si considerano le soggettività e le loro posizioni esistenziali, se la tecnologia non è più vista, implicitamente, come una sorta di variabile indipendente, su cui le altre variabili debbono semplicemente modellarsi, quali indicazioni ne possono venire per “innovare l’innovazione” nel nostro paese? - da questo vertice di osservazione possono forse venire suggestioni interessanti per ri-pensare e progettare tecnologia? - questa prospettiva può forse aiutare a cogliere dimensioni che l’innovazione fin qui avvenuta si è lasciata troppo presto alle spalle, inducendo squilibri che occorre affrontare? L’ONU, il Parlamento Europeo, la Commissione Europea e le organizzazioni femminili hanno spesso sottolineato i rischi cui è esposta la metà femminile del mondo per l’ intenso cambiamento legato anche allo sviluppo tecnologico. * Comitato scientifico FTI. 169 Data la tipica pervasività della ICT, ciò comporta un’attenzione che attraversa un po’ tutte le aree. Ad esempio, il Rapporto del gruppo di lavoro del Parlamento Europeo su “Women in New Information Society”, (Anna Karamanou, 2003)1, avanza critiche e richieste sulla base di trattati e risoluzioni europei relativi a una vastissima gamma di temi: sviluppo della società dell’informazione e suoi assetti proprietari, mercato del lavoro, scienza e ricerca, luoghi decisionali, servizi e politiche familiari, proprietà e contenuti dei Media, e-learning e life long learning, ecommerce, sistemi educativi e di orientamento e altro ancora. Questa attenzione a tutto campo e questo sforzo di ricomposizione, se necessari in termini di genere, lo sono certo anche a livello complessivo. Si può affrontare la tematica “donne ICT” in almeno due chiavi differenti. Una prima chiave è di tipo emancipatorio e “compensativo”: vedere le donne come categoria sociale “estranea”alla tecnologia che va salvaguardata da dinamiche di emarginazione. Una seconda chiave è invece considerare le donne come metà dei soggetti che danno vita alla società a partire da collocazioni esistenziali loro tipiche: considerare quindi in che termini la loro vita è toccata dai cambiamenti in atto, sia come problemi che ne nascono, sia invece come apporti significativi che queste peculiari soggettività possono dare e stanno già dando al cambiamento. In questo contributo includeremo le due prospettive, che entrambe contengono una parte di verità. 2. L’esclusione proprietaria I rischi di esclusione e le possibilità di accesso/inclusione nella Società dell’Informazione non sono uguali per i diversi gruppi sociali. Tra le donne, si va da una totale emarginazione alla possibilità di cogliere nuove opportunità culturali e occupazionali: ma prima ancora c’è il fatto che a tutt’oggi le donne partecipano in misura più o meno insignificante al potere, alle grandi decisioni e alla proprietà in quest’area. Questo è vero a livello globale, pur con differenze nei diversi paesi, ma è indubbiamente vero nel nostro paese. Tanto che le discussioni in atto in Italia pongono la questione al più in termini di carriera e di potere in azienda, ma non toccano praticamente mai la dimensione proprietaria. In tale carenza si rispecchia la totale marginalità delle donne italiane nelle strutture economiche forti, e al contempo la relativa marginalità del “Paese Italia” in area ICT. 1. http://www.europarl.eu.int/meetdocs/committees/femm/20030709/495344en.pdf. Il Rapporto si è poi tradotto in una risoluzione del Parlamento Europeo, 6 novembre 2003. 170 3. L’esclusione delle pensionate: indicazioni di lavoro Se andiamo ad osservare da vicino quali gruppi di donne rischiano il massimo di emarginazione abbiamo davanti una precisa tipologia, che non sempre è stata presa in considerazione per raggiungerla con iniziative ad hoc. Questo contributo ci sembra una buona occasione per entrare nel merito. Un gruppo emarginato è quello delle pensionate, che, in misura maggiore degli uomini, oggi hanno mediamente un livello culturale molto basso. Questa situazione è destinata a durare nel tempo: il nostro paese è giunto alla alfabetizzazione di massa in ritardo e in modo tuttora incompleto, perciò i limiti culturali dei futuri pensionati/e miglioreranno, ma solo in modo lento e parziale. L’emarginazione delle pensionate non è generica, ma ben specifica: l’analfabetismo informatico può comportare problemi di fruizione dei servizi, dalle pratiche amministrative alla salute, all’assistenza, ai viaggi, alla vita sociale e culturale, e restringe l’accesso all’informazione per la partecipazione democratica. È una categoria di quasi 9 milioni di donne che si limita ad usufruire della televisione di massa (per limiti culturali e di reddito2) e del telefono. Molte di queste donne sono state dotate di cellulari dai figli, ma di solito ne fanno un uso elementare, senza poter/saper usare nemmeno funzioni minime, come la segreteria telefonica, l’invio di SMS o simili. La loro presenza vale a ricordare all’Europa e ancor più all’Italia attuali che la società contadina è scomparsa, ma è appena dietro l’angolo, e che il cambiamento ha risvolti imponenti. La massa delle pensionate è anche emblematica del potenziale di emarginazione dell’attuale dinamica socio-tecnica. La condizione delle pensionate deve far riflettere e far ricercare soluzioni in termini operativi. Infatti, man mano che la fruibilità dei servizi di ogni tipo si sposta sempre più nell’area della ICT, può diventare più difficile per le donne anziane usufruirne senza l’aiuto di qualcuno, magari dell’occupatissimo nipote “smanettone”: questo cozza con la spiccata esigenza di autonomia oggi chiaramente espressa dagli anziani in tutti i sondaggi. Essi sono infatti ben consapevoli della difficoltà di ottenere aiuto dai membri della famiglia allargata, sempre più pressati dalla vita quotidiana. Potrebbe essere interessante, per esempio, immaginare forme di connessione telematica molto accessibili, del tipo che alcuni stanno studiando per il Terzo Mondo, riducendo l’emarginazione di questo vasto gruppo sociale, e mettendolo invece in condizioni di usufruire dei vantaggi della telematica per la vita quotidiana. Si potrebbe in aggiunta o in alternativa immaginare “ministrutture informatiche-telematiche assistite” di quartiere, cui anziane e anziani si possano rivolgere per sbrigare facilmente tutte le pratiche loro necessarie. Tali mini strutture dovrebbero essere capaci di fornire anche servizi a domicilio (con work station 2. Le donne sono il 53 % dei pensionati italiani, ma percepiscono solo il 44 % dei redditi pensionistici (dati ISTAT). 171 mobili in dotazione agli operatori) ed essere gestite per esempio da consorzi pubblici-privati-sindacali, in “sedi locali di vicinato” di vario tipo (uffici pensionistici e postali, scuole, cooperative, uffici comunali, biblioteche, sedi sindacali, Internet points privati certificati etc). Si potrebbe anche immaginare che offrano ulteriori servizi diretti ad altre fasce sociali, per es. casalinghe, artigiane, immigrate e piccole commercianti (vedi paragrafi successivi), ai ragazzi, a giovani in cerca di lavoro e simili. 4. Le casalinghe: sulla soglia della ICT Una secondo gruppo rilevante è quello delle casalinghe che, nelle fasce d’età più avanzata, si sovrappone in parte al precedente3. La posizione delle casalinghe rispetto all’innovazione tecnologica varia sicuramente molto a seconda dei contesti e culture locali, dei livelli socio-economico-culturali e dei modelli familiari. Varia in termini di disponibilità economica e di attributi di ruolo in famiglia, e quindi di reale accesso personale alla tecnologia; in termini di strumenti culturali, più o meno idonei ad affrontare la ricca complessità offerta dalla società dell’informazione; in termini di capacità/possibilità di sfruttare iniziative trainanti eventualmente offerte dal contesto di vita locale. Stimoli ad accostarsi alla ICT possono venire alle casalinghe dai figli piccoli e adolescenti, dalla scuola, dalla necessità di utilizzare servizi privati o amministrativi o di ottimizzare gli acquisti, dal desiderio di svilupparsi come persone o di mantenere una buona cultura di base non utilizzata per un impiego, ma anche di prepararsi a un possibile passaggio al lavoro extrafamiliare. Anche qui si tratta di milioni di donne di età svariata, dalle neomamme venti-trentenni, alle casalinghe anziane ancora attive; e iniziative recenti fanno pensare che le grandi aziende informatiche stiano cominciando a rendersi conto di questa realtà come mercato potenziale4. Se si pensa che in Italia una parte significativa del dinamismo nella diffusione della ICT passa attualmente per i consumi privati5, quella delle casalinghe è una realtà potenzialmente interessante. L’accesso delle casalinghe alla ICT può essere molto importante per obbiettivi strettamente legati all’innovazione globale: 3. Categoria apparentemente unitaria, ma di fatto assai ibrida. Com’è noto, nel nostro paese risulta un alto numero di donne collocate in questo ruolo, ma la diffusione del lavoro nero, a volte anche a livelli sociali elevati, deve rendere prudenti nel valutare l’effettiva consistenza della categoria. 4. Si veda per es. l’iniziativa “Futuro al femminile” lanciata dal Microsoft Italia insieme al Ministero delle P.O., che include programmi di alfabetizzazione informatica per le “mamme” e indicazioni sull’uso della ICT per la vita quotidiana. 5. Si veda per es. la recente ricerca Eurisko, “Internet e tipologie di consumo”, capitolo della ricerca “Lo scenario di Internet: dimensioni, segmenti, bisogni e logiche d’uso”, maggio 2003, in http://eurisko.it, o il II Rapporto Censis sulla comunicazione. Italiani e Media. Le diete mediatiche per gruppi e tribù”, Censis 2003. 172 - facilitare nelle figlie femmine atteggiamenti nuovi verso la tecnologia; - diffondere la capacità di utilizzare l’innovazione tecnico-organizzativa promossa dalla Pubblica Amministrazione; - promuovere e sostenere il processo di diffusione della ICT nella scuola; - promuovere un uso familiare più maturo dei media6; - facilitare la partecipazione a reti di volontariato non profit; - facilitare la partecipazione a processi di life long learning, tanto più necessaria in una fase in cui la UE si pone l’obbiettivo di un massiccio inserimento delle donne nel mercato del lavoro a sostegno della competitività del sistema Europa7; - utilizzare per questo macroobbiettivo la dinamica di diffusione della ICT nel nostro paese, che passa appunto molto per i consumi privati. Si tratta di fatto di un enorme campo inesplorato anche a livello di ricerca e di ideazione di possibili iniziative; ma ci sembra che sia mancato finora un attento e articolato interrogarsi su quali relazioni con la ICT possano avere senso per queste donne in termini diversi dal mero consumo o dalla cerchia familiare. 5. Bambine e ragazze tra consumo, spettacolarizzazione e ritardi di innovazione nella scuola Un terzo gruppo a rischio è quello delle ragazze inserite in scuole poco toccate dall’innovazione tecnologica. La scuola risulta essere un ambiente importantissimo per l’avvicinamento delle bambine e ragazze alla ICT. Nella famiglia, per stereotipi di genere, l’acquisto di un computer è più probabile e precoce per il figlio che per la figlia. Per i maschi l’approccio all’elettronica è legato al gruppo dei pari; per le ragazze è il mondo adulto che consente o favorisce l’esperienza. D’altronde molti dei giochi elettronici hanno uno sfondo culturale così nettamente maschile da essere poco attraente per le bambine e le ragazze. Interessante anche il diverso modo di vivere e immaginare la ICT da parte dei due sessi. I maschi, da bambini e da adulti, hanno con essa un rapporto ludico e un interesse tecnico intrinseco, e pensano che può dare vantaggi economici e di successo sociale; le femmine di ogni età vedono la ICT come cosa utile per i propri 6. Dalle ricerche emerge un modo ancora “povero” e immaturo dell’uso dei media nel nostro paese. Si veda ad es. il già citato “II Rapporto annuale sulla comunicazione: Italiani e media”, Censis 2003. 7. Secondo l’Eurostat nel 2002 le lavoratrici erano in Italia il 42% della popolazione femminile, un dato in crescita, ma sotto la media (il 54,9% delle donne europee lavora) e ben lontano dall'obiettivo che l’UE si è prefissata: il 60% di occupazione femminile entro il 2010. In Italia, sempre secondo l’Eurostat l’80% delle donne che lavorano è impiegato nel settore servizi, l’18,6% nell'industria e il 3,9% nell’agricoltura. Punta massima nell’UE la Danimarca, dove 7 donne su dieci lavorano. In coda proprio l’Italia, insieme alla Grecia (42,5%). 173 scopi, come strumento per fare e per progettarsi come persone8. Le ragazze utilizzano molto il computer per la videoscrittura e la ricerca di fonti, mentre i ragazzi fanno un grande uso di videogiochi, di film e di musica. Emerge inoltre la maggiore attenzione delle ragazze alla dimensione relazionale, soddisfatta da Internet e dalla posta elettronica (anche per il maggior isolamento, dovuto al controllo familiare sulle figlie)9. Le ragazze appaiono inoltre più interessate ad un avvicinamento alla ICT non tanto di tipo “fai da te”, “provaci ancora”, quanto invece di tipo metodico, che consente loro sia di superare le prime difficoltà, sia di farsi una formazione di base più solida e sistematica. Anche l’immaginario è diverso: durante una ricerca svolta in una scuola media milanese, per esempio, i ragazzini sono stati invitati a rappresentare graficamente la ICT. I disegni dei ragazzi sono pieni di esplosioni e colori sanguigni; quelli delle ragazze pieni di ordinate geometrie che tendono all’infinito, di intrecci di fili e di reti10. Ciò spinge a riflettere una volta di più sull’importanza di includere le femmine nel cambiamento in atto. È evidente perciò la crucialità della scuola nell’avvicinamento femminile alla ICT. Com’è noto, nell’ultimo ventennio c’è stato un progressivo spostarsi delle ragazze verso scelte di studio meno tradizionali, sia nella scuola secondaria che all’Università, e una netta tendenza delle femmine a prolungare i propri studi, con medie identiche a quelle dei paesi avanzati11. Allo stesso tempo è iniziato un lavoro della Amministrazione scolastica per promuovere la ICT ad ogni livello12. A tutt’oggi però la situazione, come dotazione/manutenzione dei mezzi, come loro effettivo utilizzo pedagogico e didattico, è probabilmente molto variabile da scuola a scuola. L’area di maggior impegno dell’Amministrazione è restata quella tradizionale degli Istituti Tecnici, dove le femmine sono in minoranza. Sospettiamo che ci possano essere notevoli differenze anche geografiche. Esiste perciò una quota di ragazze che, per stereotipi di genere familiari e personali, per collocazione scolastica e geografica, rischiano di restare ai margini e di non utilizzare il pro- 8. Tendenze confermate da varie ricerche italiane e straniere, e anche, di recente, dalla ricerca condotta dalla Prof. Zajczyk con la Microsoft “Genere, Scienza e Tecnologia”, a cura del dipartimento di Sociologia dell’Università Bicocca. La ricerca, non pubblicata, è stata sintetizzata dall’autrice in un recente convegno a COMPA, Roma, maggio 2005. 9. Ricerca milanese condotta nel 1998/99 presso tutte le classi della scuola media statale “Dino Buzzati” di Milano, aderente al Progetto Multilab; vedi anche M. Prezza, M. G. Pacilli & S. Dinelli, Loneliness and new technologies in a group of Roman adolescents. Computers in Human Behavior, pp. 5, 20, 691-709, 2004; Eurisko, “Internet e tipologie di consumo 2003” già cit, dove risulta che le ragazze usano di più la connessione, rispetto ai compagni di classe. 10. Ricerca citata alla nota precedente. 11. Le considerazioni sulla scarsa scolarizzazione nel nostro paese, ritenuta giustamente ostacolo all’innovazione, non rilevano questa differenza tra ragazzi e ragazze. Si tratta invece di una tendenza forte e precisa, vera peraltro anche altrove in Europa. 12. Ricerca CNEL-FTI, “La Trasformazione silenziosa. Donne, ICT, Innovazione”, Roma, 2004, specialmente Parte Seconda, capp. 3-5. 174 prio potenziale. Va anche ricordato che in questi anni i mass media italiani hanno lavorato in tutt’altra direzione: hanno proposto alle ragazze stereotipi femminili banali, inviti pressanti al consumo e alla spettacolarizzazione di sé, e nessuna sollecitazione a valorizzarsi come creature intelligenti e progettuali nella realtà contemporanea13. Ci sono anche precisi indizi che la soluzione non può stare nel mero travaso di ragazze in scuole secondarie tradizionalmente maschili. L’adolescenza è infatti un’età di forte ricerca della propria identità di genere, e può succedere che le ragazze evitino scuole ben dotate per la ICT perché frequentate in netta prevalenza da maschi14. Sembra che per accostarsi alla ICT le ragazze preferiscano “contesti neutri”. Tutto questo evidenzia l’importanza cruciale di una diffusione qualificata della ICT nella scuola nel suo complesso. Ma anche di iniziative che, facendo perno sulla scuola o altre strutture giovanili, promuovano l’accostamento di bambine e ragazze sia alla ICT, sia alla scienza e alla tecnologia, anche sostenendole nella valorizzazione di loro possibili approcci originali15. 6. Artigiane, piccole commercianti e mini-imprenditrici: “Mi serve questa tecnologia così com’è?” Un’altra categoria di donne che può restare emarginata è quella delle artigiane e piccole commercianti. Di fatto in queste attività spesso ci sono scarsi vantaggi nell’utilizzo della ICT, rispetto al costo di pagarsi un corso base e aggiornamenti e di dedicarvi il pochissimo tempo libero. Anche questa è una realtà di milioni di donne, ed è pure emblematica dei problemi di numerosissime “microimprese” italiane, non di rado costituite da un’unica persona. Artigiane, piccole commercianti, mini-imprenditrici operano spesso in attività localmente circoscritte per le quali la ICT nelle sue varie forme non dà un evidente valore aggiunto. Rispetto ai limitatissimi capitali disponibili i costi delle dotazioni tecniche sono alti, e sospettiamo che la complessità dei formati e i loro costi di gestione e aggiornamento siano sproporzionati ai vantaggi ricavabili16. È evidente l’importanza di una formazione di base nella scuola: ridurrebbe l’impegno successivo necessario a usare i mezzi, per esempio per la tenuta/gestione della contabilità o per svolgere pratiche presso 13. Si veda tra l’altro CARES, Osservatorio di Padova, “Donna, lavoro, TV. La rappresentazione femminile nei programmi televisivi”, G. Carminati e G. Lo sito (a cura di), edizione CNEL 2002. 14 “La Trasformazione silenziosa” cit, Parte Seconda., in particolare capp. 2-7. 15 “La Trasformazione silenziosa” cit, Parte Seconda, in particolare capp.6 e 8. 16. Riflessioni critiche di questo tipo emergono per es. nelle risposte di piccole imprenditrici, specie di aziende piccole e/o di avvio recente, nella ricerca condotta dal Censis per la AIDDA (“Primo Rapporto Donna e Impresa 2000: le imprenditrici e la sfida tecnologica”). Ma questi problemi sono molto sentiti dalle piccole imprese in genere. Si veda ad es. Maria Chiarvesio, “Nuove tecnologie e MPI: i risultati dell’osservatorio TeDis”, in Verso la e-society, VIII Rapporto sulla TIC in Italia, pp.370-378, su imprese del Nord Est, Franco Angeli, Milano, 2002. 175 le amministrazioni pubbliche. Iniziative delle associazioni di categoria possono aiutare, ma solo relativamente: infatti è un’area in cui la partecipazione associazionistica è molto bassa. Anche qui si apre un campo di ricerca e riflessione su possibili formule realmente utili, significative. Sembra che qualche grande azienda ICT negli ultimi anni abbia cominciato a accorgersi che gli strumenti vanno pensati “su misura” del singolo cliente (almeno in linea di principio). C’è da chiedersi se l’Italia, come paese di microimprese, non potrebbe/dovrebbe fare molto di più per promuovere nuove visioni sulle tecnologie adatte a micro-sistemi, promuovendo innovazione nell’innovazione. È stimolante immaginare che proprio ricercatrici, progettiste e consulenti donne possano applicarsi a questa problematica, con un’accurata analisi dei contesti. Bisognerebbe anche capire se proprio la ICT possa contribuire a far evolvere l’area dei “piccoli”, magari verso formule consortili di vario tipo, capaci di rispettare la natura capillare dei servizi offerti, ma anche di generare innovazione e sviluppo. Rispetto all’innovazione è un problema molto pertinente, giacché nel nostro e in altri paesi europei e del Terzo Mondo queste forme di attività non solo sono spesso tipiche delle donne, ma anche tutt’altro che secondarie nell’economia complessiva. 7. Il gender gap come spinta a ripensare la ICT? Da alcune delle precedenti considerazioni si possono trarre riflessioni di carattere sia specifico che generale. Mentre scrivevamo queste pagine è uscito su “La Repubblica delle Donne” un articolo di un giornalista esperto del settore, Riccardo Staglianò, sull’esigenza di semplificazione della ICT in tutti gli ambiti (dal PC alle macchine fotografiche digitali, ai videoregistratori o lettori DVD, fino ai telefonini multifunzione). Staglianò rileva che in questi anni l’aggressività del mercato ICT ha finito per generare sviluppi paradossali: gli oggetti tecnologici, per rendersi attraenti, si sono in realtà complicati in modo eccessivo e inutile, mentre la concorrenza spietata ha moltiplicato la incompatibilità degli standards. Ciò costringe tra l’altro l’utente a riimparare ogni volta da zero ad usare i suoi strumenti. Collateralmente l’autore rileva come oggetti molto semplici, quali l’iPod della Apple o la consolle del Game Boy, siano stati capaci di imporsi in modo sorprendente e durevole (il Game Boy) proprio per la loro estrema semplicità. E cita una recente ricerca commissionata dal marketing della Philips da cui è emerso che i due terzi degli americani intervistati sono delusi dalla tecnologia per la sua complicatezza eccessiva17. 17. Riccardo Staglianò, “7 tasti in 7 giorni”, in La Repubblica delle Donne, n. 449, pp.132 e ss., 7 maggio 2005. 176 Molto interessante in questo senso anche un recente studio italiano, condotto su fonti nazionali e internazionali dall’AICA (Associazione Italiana Calcolo Automatico)18. Vi risulta che l’adozione di ICT, in particolare nei contesti lavorativi, richiede a tutt’oggi investimenti molto impegnativi per la formazione e espone a un impressionante consumo di energie per “far funzionare” le tecnologie: incredibile la quantità di tempo che i dipendenti impiegano a spiegarsi tra loro come procedere e come superare le frequenti difficoltà incontrate. Queste considerazioni sono stimolanti se le riferiamo al nostro discorso. Anzitutto c’è da chiedersi se la delusione di quei “due terzi di americani” non si evidenzi proprio perché sul dato viene a incidere la presenza femminile: tra gli utenti di tecnologia c’è ormai in USA un altissimo numero di donne. E poi ci si può chiedere se, proprio grazie alla presenza delle donne, non diventino statisticamente visibili anche le consistenti minoranze di uomini a disagio con la tecnologia. Finora queste minoranze di uomini di ogni età erano condannate all’insignificanza statistica, schiacciate sotto lo stereotipo dell’uomo comunque munito di una sorta di “gene tecnologico”. In realtà non è vero che la tecnologia sia effettivamente familiare e facile per tutti gli uomini. In linea generale, le scelte di sviluppo dei grandi decisori finora sono state in parte probabilmente “biased”, influenzate cioè anche dalle scelte e passioni dei soggetti “più tecnologici”, presenti nei forum, nei “liberi laboratori in rete”, nei luoghi di confronto e riviste on line ecc: in cui gli appassionati di tecnologia vanno a caccia di novità e “chicche” d’avanguardia, si consigliano a vicenda nuovi prodotti, “fanno tendenza”, tirando il mercato e orientando le scelte dei produttori. Ma c’è da chiedersi se questi orientamenti di punta oggi rispecchino in modo adeguato le esigenze della massa di utilizzatori di ICT e di nuovi utenti potenziali. 8. Il successo della ICT e la sua cultura di origine: nuovi ambiti, nuove sfide? Nel doppio processo di complicazione della ICT da un lato, e di “delusione” degli utenti dall’altro, si manifesta probabilmente qualcosa di sostanziale e generale. La ICT è nata e continua a svilupparsi nelle sue forme avanzate in un ambiente tecnico-scientifico ristretto, caratterizzato da determinate mentalità. In termini psico-sociologici, è stato a lungo un ambiente di “giovani maschi bianchi occidentali” (come hanno fatto notare ricercatori del Terzo Mondo e donne attive nell’area). È un ambiente in cui la passione tecnica rende molto attraente lo sviluppo del potenziale interno a una cultura che ha dato risultati straordinari e ammirevoli; una cultura oggi anche pressata e conformata dalle frenetiche esigenze del mercato. Ma la diffusione capillare e di massa della ICT, la sua penetrazione negli ambiti 18. P. F. Camussone, G. Occhini (a cura di), Il costo dell’ignoranza nella società dell’informazione, Etas, Milano, 2003. 177 più diversi, mette in luce pure i limiti di questa cultura di origine. Ci si può chiedere: è forse il suo stesso successo che costringe ormai la ICT a confrontarsi nei fatti con formae mentis, culture, esigenze operative lontanissime dalle sue fonti d’origine? Forse sta suonando l’ora delle contaminazioni necessarie? E il tema dello spazio delle soggettività femminili nella ICT si può e si deve inserire in un più ampio processo di innovazione nell’innovazione? 9. ICT e propensione femminile. Non solo semplificazione? Ci si può chiedere se queste considerazioni abbiano o meno fondamento in termini di disponibilità soggettiva delle donne verso la ICT. Sono forse auspici destinati a scontrarsi con una resistenza femminile alla tecnologia? Come abbiamo già messo in luce in precedenti contributi, non è così. L’esame della letteratura e della webgrafia rivela tutto un mondo popolato di giovani donne attive, curiose, spesso disposte a farsi una formazione impegnativa in area ICT. Ma anche di donne a rischio di espulsione/esclusione dal mercato del lavoro pronte però ad avvicinarsi alla ICT se ne hanno l’occasione: tra gli iscritti al “Progetto IN”, grande progetto di alfabetizzazione informatica promosso dallo Stato nel Mezzogiorno, il 63 % sono state giovani donne, molte con figli e disoccupate. Mentre ormai quasi il 40% di chi fa corsi per la Patente Informatica Europea è donna e mediamente più giovane degli iscritti uomini. Ed è vivace la presenza anche in Italia di reti e aggregazioni attive sulla tematica di genere nella ICT: aggregazioni colte, con peso e sfumature culturali diverse, spesso capaci di collegare la tematica genere/tecnologie alle più ampie dimensioni simboliche e culturali (specie nella creazione di modelli formativi); e capaci di utilizzare le risorse messe in campo dalla Unione Europea per promuovere la presenza delle donne in area ICT. Aggregazioni però anche fragili, perché legate al finanziamento pubblico, con tutta l’instabilità che questo comporta. In questi ambienti, tra l’altro, alcune donne si interrogano sulla possibilità di immaginare il software, il computer e la ICT in termini diversi, a partire da un orientamento di genere19. E rilevano come questo tipo di tecnologia, molto diversa dalla meccanica e dall’elettronica, e caratterizzata da una logica connessionistica e inclusiva, possa essere molto vicina alle donne: la costruzione sociale della loro identità e del loro stile cognitivo le renderebbe più degli uomini attente al “frame”, al contesto e alle implicazioni complessive di ogni loro intervento. Il che avrebbe una grande utilità, anche operativa, rispetto a una tecnologia che si inserisce nei contesti modificandoli profondamente20. 19. Ciò è emerso nel corso della ricerca su fonti italiane, “La Trasformazione silenziosa” già citata, in particolare nell’ambito del progetto Portico a Bologna, del progetto GROW dell’ENAIP e di un corso di formazione curato da Gender, Poliedra e Orientalavoro a Milano. Questa tematica è del resto ben presente in aggregazioni di donne del settore a livello internazionale, in particolare negli USA. 20. Si veda Adele Pesce, “Introduzione”, in Le Pagine Gialle. Delle nuove professioni per le ragaz- 178 È evidente, peraltro, che l’eventuale potenziale delle donne in termini di innovazione potrà esprimersi effettivamente solo col tempo e con una consistenza quali-quantitativa della loro presenza nel settore. 10. Profili di donne ben inserite nella ICT Ma molto rivelatori sono anche i dati della presenza femminile nel settore produttivo della ICT in senso stretto e nella New Economy. Dai dati disponibili, pur frammentari, risulta una quota del 15 % di donne tra gli occupati nel settore. Risulta anche che in certi settori, per esempio Comunicazione Interna e Esterna, Gestione delle risorse umane con sistemi informatici, Sicurezza, Gestione di servizi informativi, Formazione a distanza o Area Commerciale, Multimedialità, le donne stanno prendendo piede. Spesso riciclano formazioni umanistiche, e a volte anche con ottime realizzazioni di guadagno e di carriera, giacché si tratta di settori strategici per le aziende della nuova economia21. Una recente ricerca svolta con interviste dal neonato sindacato di settore, “The Bread & the Roses”, pubblicata sulla newsletter del sito Dol’s, dà un’idea molto concreta del dinamismo e della ricchezza di esperienze che molte giovani donne stanno sviluppando nel settore, lavorando come dipendenti, socie, imprenditrici o consulenti. Ci sono situazioni in cui il genere conta poco e altre dove il predominio resta maschile. Vediamo dove permangono le difficoltà. Qualcuna nota che “Il ruolo di sistemista è ancora una figura prevalentemente maschile, soprattutto quando prevede la gestione di macchine server, in particolare Linux…E nei convegni dedicati a tecnologie avanzate, le donne si contano sulla punta delle dita”. “Il ruolo da sistemista prevede anche che si metta mano alle macchine, magari per cambiare un disco o una scheda di rete e questa è ancora vista…come un’attività maschile. Difficile poi arrivare alla gestione dei server di un’azienda, giudicati forse troppo delicati per essere affidati ad una donna”. Molte intervistate concordano: “Forse…c’è una preponderanza maschile nei settori più fortemente ed ze, e anche i ragazzi, pubblicato da ENAIP Emilia Romagna, 2000, FSE. Si veda anche AAVV, “Competenze s-convenienti: domanda di lavoro, valori organizzativi e modi di produzione femminili” ENAIP-AESSE editore, 2000. 21. Si veda “La Trasformazione silenziosa” cit, in particolare Parte Terza, capp. 5 e 6; e “ICT: Professioni e Carriere 2003: Prima indagine Nazionale sull’evoluzione professionale, retributiva e formativa degli addetti che operano nella ICT”, in http://www.ictsquare.com/HtmlIt/Indagine%20ICT%20professioni%20e%20carriere.PDF. Si veda anche un’indagine relativa alla presenza femminile nella realtà aziendale e nel settore ICT della provincia di Roma, effettuata da Unicab in collaborazione con l'Unione Industriali e con il Consorzio Gioventù Digitale del Comune di Roma e illustrata in un convegno del 2004 dal direttore generale di Unicab, Leonardo Abbruzzese. Dai primi risultati della ricerca emerge che tra i manager le donne rappresentano il 29,5%. Nell’ambito del settore ICT, sempre nella Provincia di Roma, sul totale dei lavoratori le donne erano il 32,0%. 179 esclusivamente tecnologici, mentre c’è una buona presenza femminile i tutti gli altri”. “La donna nell’ICT è molto più presente, a vari livelli, a partire dalle numerose valenti programmatrici software, fino a tutte le altre figure”. E dice un’intervistata “I Curriculum Vitae che mi arrivano sono ugualmente distribuiti. Nelle aziende nostre clienti la situazione in alcuni casi è equilibrata, in altre i CED sono monopolizzati dagli uomini”. Ma “con l’entrata di un numero sempre maggiore di donne nel settore, la forza dei fatti cambierà anche queste convinzioni; o, quantomeno, ne disinnescherà i possibili effetti negativi”. E un’altra: “Nell’azienda dove lavoravo fino a due anni fa, il CED era diventato ogni anno sempre più maschile, e le poche donne presenti erano o programmatrici o impiegate per l’installazione, per l’aggiornamento dei pc e per l’assistenza all’utenza”. Il processo di sviluppo professionale femminile nel settore è favorito dal ringiovanimento medio della managerialità nella PMI italiana, il che aiuta le donne che sono spesso piuttosto giovani. Ma questo non può, a quanto pare, realizzarsi in tutti i contesti. Sono le culture e organizzazioni aziendali aperte all’innovazione e alla pressione internazionale quelle più favorevoli a un inserimento soddisfacente e durevole per le donne. Interessante in tal senso una recente ricerca Towers Perrin, prestigiosa azienda di consulenza aziendale: condotta in Europa, Medio Oriente e Africa su 15 tra le maggiori aziende high tech (tra cui Microsoft, Accenture, Ibm, Motorola, Intel, Nokia, Texas Instruments), la ricerca ha fotografato la presenza femminile nelle diverse famiglie professionali22. In questo ambito ristretto in Italia le donne che lavorano nelle tecnologie risultano essere il 24%. Nel top management sono il 9% (negli altri settori sono solo il 5%), il 18% nelle vendite, il 53% nel marketing, il 69% nei reparti amministrativi ed il 22% in ruoli tecnici. A sorpresa, in questo ristretto ambito, il nostro è tra i Paesi con più donne nei ruoli tecnici, pari alla Svezia e superato solo da Danimarca (23%) e Irlanda (26%)23. Recentemente, varie grosse aziende hanno cominciato politiche di assunzione favorevoli alle donne, anche nell’ambito della Ricerca & Sviluppo: ci si sta cominciando ad accorgere che spesso le donne portano un punto di vista diverso, che arricchisce la base concettuale su cui prendere decisioni; che sono abili nel condurre gruppi di lavoro e formare i dipendenti; che hanno spesso una buona capacità di ascolto del cliente24. Ma non mancano le ombre: in molte situazioni (molte piccole imprese, imprese medie di impianto tradizionale) le donne possono trovarsi del tutto emarginate rispetto ai processi innovativi legati alla ICT, o relegate a bassi livelli, o inserite nel22. La ricerca, non pubblicata, è sintetizzata in www.universitadelledonne.it/condorelli.htm 23. Altre sorprese: in Irlanda l’occupazione tecnologica femminile nelle imprese high tech arriva al 42%; in Grecia il 26 % del top management è donna, contro una media europea del 10%. 24. Si veda ad es. A. Maria Sersale, “Lauree hi-tech, le aziende scelgono le donne: record di assunzioni al femminile nei settori dell’alta tecnologia e delle scienze: anche ai vertici”, in Il Messaggero, p. 1, 16 maggio 2005. 180 la ICT con guadagni inferiori agli uomini fino al 35%25. Il mondo aziendale appare tuttora solo in parte capace di raccogliere le sfide di trasformazione proposte dalla ICT, sviluppando un nuovo equilibrio tra componenti tecniche “oggettive” (algoritmi, technicalities della progettazione, linguaggi ecc.) e componenti “soggettive” (comportamenti, stili relazionali e cognitivi) a livello non solo del singolo individuo, ma delle stesse organizzazioni. Le donne rivelano la loro disponibilità alla ICT anche come imprenditrici. Le PMI gestite da donne adottano l’ICT in misura non minore della bassa media italiana, e una quota di imprenditrici è molto attenta e abile nell’uso della ICT. Più in generale le imprenditrici mostrano una buona capacità di navigare a vista nel cambiamento e nell’innovazione, di cui spesso sembrano saper cogliere i più ampi risvolti in termini di politiche di gestione, anche del capitale umano26. 11. Tra esclusione e successo, una vasta area intermedia Tra i due poli, delle grandi escluse e delle inserite in ascesa, si estende un mondo femminile quanto mai variegato nei suoi rapporti culturali ed occupazionali con la ICT. G. Pacifici ha proposto una tipologia che identifica utilmente queste variegate posizioni27. Già le esperienze in atto a livello di istruzione possono essere molto diverse. Come FTI ci si sta interrogando sulla penetrazione della ICT nella formazione universitaria nel nostro paese. Se è interessante sapere che le donne stanno crescendo in percentuale nelle Facoltà di tipo tecnico-scientifico, non ci si può fermare a questo solo indicatore per almeno tre motivi: - le ragazze continuano a iscriversi in prevalenza in facoltà umanistiche; - le discipline umanistiche o scientifiche soft sono sempre più toccate dalla ICT (dalla catalogazione informatica di beni culturali, alla medicina e biologia, dal giornalismo on-line, all’apprendimento delle lingue, alle scienze della formazione, ecc.); - una formazione umanistica può rivelarsi preziosa, se coniugata con una formazione tecnica, anche per inserirsi nella ICT in senso stretto. Non è facile però aver dati utili per capire dove e quanto l’approccio alla ICT si sostanzia nella formazione delle universitarie. Quanto si limita all’esperienza di word processing e/o elaborazione dati nello scrivere la Tesi finale? Quanto invece ha luogo un utilizzo diffuso della ICT in vari momenti del percorso universitario? 25. “La Trasformazione silenziosa” cit, in particolare Parte Terza, capp. 3 e 7, Parte Quarta, spec. capp. 3 e 4. 26. “La Trasformazione silenziosa” cit, Parte Terza, cap.7.e S. Dinelli, Città della Scienza. 27. G. Pacifici, “Innovazione per una società che si trasforma”, in Innovazione per la e-society, in particolare il paragrafo “L’altra metà dell’ICT”, pp. 34 e ss., Franco Angeli, Milano 2004. 181 Quanto le facoltà richiedono una formazione sistematica di questo tipo nei curricola? Un giro sul Web per le Facoltà di Psicologia, per esempio, mostra che in non poche sedi universitarie italiane una conoscenza della ICT sta entrando a far parte sempre più spesso dei curricoli, con percorsi non solo operativi, ma anche teoricosistematici. Ma anche nella vasta zona grigia del primo inserimento nel lavoro sembra emergere una grande varietà di situazioni. Si va dalla ragazza del Mezzogiorno che magari fa un corso di formazione in area ICT e poi rischia di non trovare in loco un lavoro coerente; alle giovani donne che iniziano a lavorare, ma poi si perdono scoraggiate dalle molte difficoltà (come accade per es. nell’area della Ricerca)28; a quelle che non sanno utilizzare il loro “capitale sociale” per progettare un proprio sviluppo professionale29; a quelle che invece cominciano magari da posizioni amministrative e o relativamente marginali in azienda e poi fanno una clamorosa carriera30; a quelle che, dopo esperienze come dipendenti, finiscono per mettere su una propria piccola azienda o una studio di consulenza, ecc. In tutto ciò gioca una grande molteplicità di fattori, da contestuali a soggettivi/personali, fino alle dimensioni simbolico-culturali attive nelle donne stesse e nel loro ambiente sociale, e all’andamento economico del Paese nel suo complesso. Una cosa appare comunque chiara: il potenziale soggettivo delle donne necessita di interlocutori attenti, interessati a valorizzare una risorsa che in varie sedi è ormai riconosciuta come non secondaria anche per lo sviluppo e la competitività del sistema economico. In questo, purtroppo, il nostro paese appare tuttora non abbastanza consapevole. Per concludere, accenniamo (fin troppo succintamente) qualche linea di lavoro utile: - secondo le indicazioni UE, sviluppo di sistemi statistici di rilevazione sistematicamente distinti per genere; - sviluppo di politiche del sistema formativo che coniughino genere, scienza, tecnologia, ICT, e che collochino il Computing nell’area del linguaggio anziché della matematica; - politiche attente al genere nella Ricerca & Sviluppo (inserimento delle donne nei processi decisionali; provvedimenti per la carriera delle ricercatrici; per modelli organizzativi anche attenti alla ricerca interdisciplinare, che è una tendenza altrimenti penalizzante delle ricercatrici donne, ecc.); - politiche di sviluppo e sostegno per le imprese femminili in area ICT e per le PMI di donne per il sostegno alla ICT; 28. Si veda “La Trasformazione silenziosa” cit, Parte Quarta. 29. “La Trasformazione silenziosa” cit, Parte terza, cap 6. 30. Ciò risulta in non poche biografie di “donne eccellenti”in area ICT e New Economy pubblicate in prima pagina da La Repubblica nei suoi Supplementi del Lunedì. 182 - politiche aziendali attente al genere, alla diversità nei modelli di carriera, agli aspetti non solo tecnici dell’innovazione legata alla ICT; - politiche di conciliazione che non lascino solo alla singola donna il compito di ricomporre la scissione tra vita e lavoro che tuttora caratterizza il nostro mondo, nonostante la nostra società si definisca “post-fordista”. Riferimenti bibliografici AAVV, Competenze s-convenienti: domanda di lavoro, valori organizzativi e modi di produzione femminili, ENAIP-AESSE, 2000. Assinform-ICT Square-Linea EDP, “ICT: Professioni e Carriere 2003: Prima indagine Nazionale sull’evoluzione professionale, retributiva e formativa degli addetti che operano nella ICT”, in http://www.assinform.it P. F. Camussone, G. Occhini (a cura di), Il costo dell’ignoranza nella società dell’informazione, Etas, Milano, 2003. Censis, II Rapporto sulla comunicazione. Italiani e Media. Le diete medianiche per gruppi e tribù, Censis, Roma 2003. CNEL, Commissione Attività produttive e risorse ambientali “La trasformazione silenziosa. Donne, ICT, innovazione. Una ricerca bibliografica e webgrafica su fonti italiane”, Rapporto della ricerca condotta dal Forum per la Tecnologia dell’Informazione, diretta da S. Dinelli e G. Pacifici. Roma, 2004. Eurisko, “Lo scenario di Internet: dimensioni,segmenti, bisogni e logiche d’uso”, maggio 2003, in http://eurisko.it A. Karamanou, “Women in New Information Society”, Rapporto del gruppo di lavoro della Commissione del Parlamento Europeo per le P.O., in http://www.europarl.eu.int/meetdocs/committees/femm/20030709/495344en.pdf. Il Rapporto si è poi tradotto in una risoluzione del Parlamento Europeo, 6 novembre 2003. 183