sentenza n. - Corte d`Appello di Milano
Transcript
sentenza n. - Corte d`Appello di Milano
CORTE D’APPELLO DI MILANO CONVEGNO SU: “ La riforma delle impugnazioni civili : esperienza italiana e tedesca a confronto” Milano 22 aprile 2013 Intervento su: “Il processo d’Appello.” civile italiano. L’esperienza delle Corti ----------------------------Nei precedenti interventi sono stati già delineati, con ampie argomentazioni, le principali caratteristiche dell’appello. In particolare ci si è soffermati sul c.d. effetto devolutivo dell’appello e sulla considerazione dell’appello non più come “novum iudicium” ma come “revisio prioris instantiae”; principio recepito da parte della dottrina, ma ormai consolidato nella giurisprudenza. E’ quindi subentrato un diverso modo di considerare e affrontare l’appello e tale diversità appare la logica conseguenza di ripetute modifiche legislative rivolte sostanzialmente a contenerlo e sempre più a delimitarlo. Ciò fino a quando si è esplicitamente ricollegato la disfunzione economica dell’intero sistema degli interscambi commerciali alla durata irragionevole dei processi, e cioè al fatto che i processi, in particolare di secondo grado, in realtà durano troppo, finendo per scoraggiare il ricorso alla giustizia e frustrando le aspettative di chi in poche battute vuole sentirsi dire se ha ragione o torto. Al riguardo è stato anche dichiarato che ciò comporta la perdita annua di prodotto di un punto percentuale di PIL e incide sulla credibilità del sistema Italia agli occhi degli investitori internazionali, costringendo inoltre lo Stato al pagamento di cospicue eque riparazioni per il superamento del termine ragionevole di durata del processo. 1 Già, ma perché in Italia durano tanto i processi d’appello ? Penso che se lo chiederanno soprattutto i nostri ospiti stranieri ed è a loro che rivolgo la mia valutazione, ma avvertendo che la discussione è ampia e i contrasti sono tanti. Tra noi magistrati il discorso più ripetuto è quello della carenza degli organici, accentuata nella Corte d’Appello dal susseguirsi ininterrotto di trasferimenti e pensionamenti. In realtà però personalmente penso che un organico completo potrebbe senz’altro valere a ridurre il termine per la definizione delle cause ( attualmente a Milano è di poco più di 2 anni), ma non consentirebbe di raggiungere quel traguardo che invece sarebbe auspicabile (massimo un anno). Ciò perché siamo comunque pochi ( in generale 14,8 magistrati professionisti per ogni 100.000 abitanti contro i 30,7 della Germania) e perché poi il vero problema sta nel numero eccessivo di cause pendenti ( attualmente circa 450.000 in appello e 100.000 in cassazione), cui se ne aggiungono ogni anno un numero enorme ( circa 2.800.000 contro le 1.100.000 della Germania). Anche il numero eccessivo di avvocati finisce, purtroppo, come da rapporto del Consiglio d’Europa divulgato il 20.9.2012, per essere un’aggravante ( in Italia sono più di 210.000 contro i 150.000 della Germania). Di qui l’introduzione di misure, alcune di tipo sanzionatorio e altre invece finalizzate sia a cercare di velocizzare il procedimento decisionale e sia a incidere sulle nuove cause in arrivo stroncandole sul nascere e quindi impedendo loro di accrescere i ruoli di ciascun giudice. Tra quelle sanzionatorie ricordo sia quanto previsto dal II comma dell’art.283 c.p.c., introdotto dalla legge n.183 del 2011, in cui, nel caso di istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata “inammissibile o manifestamente infondata”, il giudice può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria da € 250 fino a € 10.000, sia la misura da ultimo introdotta con la c.d. legge di stabilità (n.228 del 24.12.2012) che ha disposto che , in caso di rigetto 2 dell’impugnazione, anche incidentale, la parte che l’ha proposta sia tenuta versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto (e già versato) per la stessa impugnazione, principale o incidentale. Qui l’effetto scoraggiante è palese, oltre che non poco censurato, tant’è che in molti sono giunti a dire che l’unica vera finalità era quella di “far cassa”, ma sta di fatto che ancor più rilevanza hanno le altre misure apprestate, come già detto, per accelerare il procedimento decisionale e per scoraggiare velleitari tentativi di impugnazione. Sulla concreta applicazione di tali misure da parte di questa Corte d’Appello, vi dico subito che l’auspicata partecipazione dei suoi componenti è stata al riguardo anche più convinta e proficua di quanto si potesse pensare dopo le scettiche riflessioni iniziali. Ciò vale innanzi tutto per il sistema acceleratorio introdotto attraverso la consentita applicazione anche al giudizio d’appello della decisione a seguito di trattazione orale, e cioè del disposto dell’art.281 sexies c.p.c.. L’innovazione è della legge n.183 del 2011, con decorrenza dal 15.12.2011, che ha esteso all’appello quanto già previsto in I grado. Proprio in I grado tale modalità di decisione ha avuto e continua ad avere un successo sempre più crescente ( le sentenze pronunciate ex art.281 sexies sono oltre il 50%), laddove invece in appello la sua applicazione, forse per la scarsa dimestichezza nell’adoperarla, aveva inizialmente sollevato più di una perplessità. Ciò in particolare per la prevista “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, da molti ritenuta incompatibile con una più esauriente e completa motivazione propria delle sentenze di appello e con il rischio di possibili omissioni censurabili in cassazione. La svolta positiva è derivata dalla ancor più accentuata difficoltà iniziale di riuscire ad applicare il c.d. filtro su appelli non accoglibili, decidendo a tale ultimo riguardo con un’ordinanza dalla motivazione ancora più stringata ( “succinta”) e per di più non soggetta ad impugnazione. 3 Meglio, si era detto, motivare di più e scrivere però una sentenza , con ciò assecondando l’esigenza acceleratoria, ma consentendo al tempo stesso la possibilità di una impugnazione in Cassazione. Sul punto la discussione , all’interno delle diverse sezioni, non è però mai venuta meno e anzi, come attestato dai risultati conseguiti, ha finito per mettere in luce una ben chiara differenza tra i due rimedi e la possibilità di utilizzarli entrambi in modo proficuo. In particolare si è avuto modo di considerare che la sentenza ex art.281 sexies, non solo si presta per appelli ritenuti agevoli e tali da poter essere decisi in poche battute, ma va utilizzata contro appelli meritevoli di una loro valutazione di merito e per i quali è prospettabile una riforma totale o parziale della sentenza impugnata o, a tutto concedere, una conferma della stessa, ma con diversa e più penetrante motivazione. Ciò pur permanendo ancora un certo contrasto interno sulla valutazione di quale sia lo strumento migliore da utilizzare (sentenza ex art.281 sexies o ordinanza di inammissibilità) nel caso di appello non accoglibile, per ridurre i tempi di durata e il carico dei processi pendenti. Come si accennava, i risultati al riguardo sono stati senz’altro positivi e, per quel che ancor più interessa, con un trend in continua crescita. Il dato relativo al I trimestre 2013 sta ad indicare il deposito n.124 sentenze, di cui 9 della sezione lavoro, e tale dato, rapportato a quello totale delle sentenze ( n. 1.759) , esprime una percentuale del 7%; percentuale non certo bassa tenuto conto del ristretto lasso di tempo preso in considerazione. Di segno diametralmente opposto quello delle decisioni relative alla forma della domanda di cui alla nuova formulazione dell’art.342 c.p.c. e, per le cause di lavoro, dell’art.434 c.p.c.. Nei nuovi articoli non c’è più traccia dei motivi specifici, che saranno ricordati come fonte di una fin troppo vasta elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, ma si prevede invece che l’appello deve essere, a pena di inammissibilità, motivato , con indicazione delle parti del 4 provvedimento impugnato che si intendono sottoporre a riesame, delle modifiche che si richiedono e, ove si lamenti una violazione di legge, dell’indicazione delle circostanze da cui essa deriva in uno con la rilevanza di tali circostanze ai fini della decisione. In realtà, premesso che questa Corte, dal punto di vista procedurale, ha ritenuto che la carenza o l’inadeguatezza di tale motivazione vada pronunciata, sia pure in termini di inammissibilità, a mezzo sentenza, sta di fatto che allo stato, e sempre con riguardo al I trimestre2013, nonostante le diverse previsioni ( forse ricordando il successo, sia pure per soli tre anni, del c.d. quesito di diritto” in Cassazione), non risultano emesse sentenze di tal tipo, e ciò al momento può essere spiegato o con l’utilizzo dei diversi strumenti a disposizione o anche dando il giusto riconoscimento alla capacità dei legali di aver saputo ottemperare alle suddette norme attraverso la predisposizione di appelli più adeguatamente strutturati. Infine va considerata la novità più dirompente introdotta con la legge n.134 del 2012 e cioè quella dell’inammissibilità dell’appello che il giudice competente dichiara quando lo stesso non ha una ragionevole probabilità di essere accolta. E’ il c.d. filtro in appello di cui avete ascoltate le numerose critiche avanzate dalla dottrina, in uno con quelle dell’avvocatura che è giunto ad etichettarlo come rimedio peggiore del male che si vuole curare, facendone anche oggetto, insieme ad altre contestate misure, dello sciopero del 20 e 21 settembre 2012. Il fine di detto filtro, come già detto, è quello di porre un argine al numero eccessivo di cause che continuano ad affluire, tenuto del resto conto, come si legge nella relazione accompagnatoria all’art.348 bis c.p.c., che il 68% delle impugnazioni che vengono proposte si conclude con la conferma della sentenza di primo grado. Di qui l’esigenza di selezionare quelle impugnazioni meritevoli di essere trattate, con rapida esclusione di quelle che, pur avendo superato lo sbarramento di cui al citato art. 342 c.p.c. sulla forma della domanda, in realtà sono destinate a non essere accolte. 5 Dopo una prima e approfondita valutazione di tale nuova riforma, questa Corte ha avuto modo di far conoscere preventivamente a tutti, con pubblicazione sull’apposito sito della Corte, le direttive cui si sarebbe ispirata, da un punto di vista procedurale e sostanziale, fatta salva la verifica in concreto della validità di quanto previsto. Il tutto con la doverosa premessa che se da un lato andava riconosciuto al legislatore la volontà di deflazionare i carichi di lavoro giunti a livello insopportabile, dall’altro era più che auspicabile e giustificato che la riforma fosse applicata con scrupolosa attenzione, senza né aprioristiche preclusioni né l’ossessione di puntare a radicali potature che avrebbe finito per non rendere una vera giustizia e anzi per creare un clima di malcontento e di sfiducia. In quest’ottica, e sotto l’aspetto procedurale, si è innanzi tutto previsto che per la valutazione dell’inammissibilità dell’appello non vi sarebbe stata un’udienza filtro distinta da quella di trattazione, ma alcun giorni prima di quest’ultima udienza sarebbe stato il Collegio a effettuare una “pre-camera” di consiglio, ai fini delle opportune considerazioni. Naturalmente, stante la necessità di una valutazione non differita nel tempo, si è anche previsto che, per le cause introdotte con ricorso e quindi destinate ad una udienza di trattazione fissata più a lungo, la sezione lavoro avrebbe operato attraverso un esame a monte di tutte le cause nuove da parte del Presidente della sezione ai fini della preventiva selezione di quelle suscettibili di inammissibilità e destinate ad udienze ravvicinate, mentre nella sezione III, in tema di locazioni, dopo la normale fissazione dell’udienza di discussione, sarebbe stato il giudice relatore ad esaminare le cause a lui assegnate per evidenziare al Presidente quelle passibili di inammissibilità e quindi meritevoli di un’ apposita e anticipata valutazione. Particolare attenzione è stata poi rivolta al tema del contraddittorio fra le parti, inserito nell’art.348 ter in sede di conversione del precedente decreto legge. Al riguardo si è innanzi tutto previsto che nell’apposito modulo adoperato per la fissazione della prima 6 udienza di trattazione, ai sensi dell’art.168 bis, 4° o 5° comma, c.p.c., fosse indicato che in tale udienza è anche prevista “la discussione sull’ammissibilità dell’appello ai sensi dell’art.348 bis c.p.c.”. Ciò pur considerando tale avviso in apparenza superfluo stante l’esplicita previsione legislativa. Alla prima udienza poi, a parte la già frequente presenza di un’apposita eccezione di inammissibilità sollevata dall’appellato nella sua costituzione, si invitano in ogni caso le parti a esprimere le loro valutazioni al riguardo, non escludendo, nel caso di richiesta in tal senso, di far luogo ad un breve differimento dell’udienza e quindi al rinvio, sia pure a breve, della relativa discussione. Per l’aspetto sostanziale v’è da considerare che la legge sembrerebbe chiara nel precisare che “l’appello è dichiarato inammissibile quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolto”, ma è una chiarezza non certo percepita da tutti, stante il pullulare di commenti che vanno dal più cupo pessimismo (non si sa fare più una legge) ad un più drastico senso distruttivo (era molto meglio togliere del tutto un grado di impugnazione). L’idea del filtro, non se ne fa mistero nei lavori preparatori , risulta ispirata alla legislazione di altri paesi come la Germania e il Regno Unito anche se in tali paesi tale filtro è inserito in una più generale regolamentazione del tutto diversa da quella italiana e, come osservato dal prof. Caponi nel suo commento, in un clima più disteso di rapporti tra avvocatura e ordine giudiziario. La nostra formula sembra meno netta di quella tedesca (“manifesta carenza di qualsivoglia prospettiva di successo”), ma sta di fatto che si tratta pur sempre di una valutazione probabilistica e che tale probabilità deve essere “ragionevole”, e cioè come da dizionario della lingua italiana, giudiziosa, sensata, giusta, come rilevabile dalla succinta motivazione che deve accompagnare tale valutazione, potendo al riguardo farsi luogo, stante le indicazioni dell’art.348 ter, al rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti causa e il riferimento a precedenti conformi. 7 In realtà in una prima valutazione della norma sembrò non difficile prevedere che la ragionevole probabilità si sarebbe ricollegata al fumus boni iuris, criterio ispiratore ai fini dell’emissione di una misura cautelare e anche della valutazione della sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata. Il fumus viene definito come l’apparenza del diritto a salvaguardia del quale si intende richiedere la tutela e qui verrebbe a dar fondamento ad una ragionevolezza della decisione e con essa al probabile esito dell’appello.. Il discorso appariva decisamente più complesso per le cause di lavoro, in cui i più recenti e contrastati interventi legislativi sembravano piuttosto consigliare la riduzione di ogni elemento di eccessiva discrezionalità in attesa della formazione di una giurisprudenza consolidata. Di fatto proprio tale complessità vale al momento a spiegare il perché nel I trimestre 2013 non si segnala alcuna pronuncia di inammissibilità da parte della sezione lavoro di questa Corte. Diverso è a dirsi, invece, per quanto riguarda le altre sezioni civili della Corte , in cui le pronunce di inammissibilità sono state 45 pari al 2,6% del totale delle sentenze depositate. Trattasi di un numero che, a mio parere, è significativo non solo di quel “cambiamento di mentalità”, auspicato dal Vice Presidente del C.S.M., ma anche dell’avvenuto superamento di una prima fase in cui lo scetticismo sembrava poter contrastare la disponibilità ad attuare il disposto normativo. Alla data odierna, cioè dopo ulteriori 20 giorni, il trend positivo non solo continua, ma ancor più si accentua, pur rimanendo, numericamente in quei limiti ridotti che ben esprimono, a mio parere, anche la prudenza nell’operare, al di là del temuto abuso di interventi poco preoccupati della bontà delle questioni proposte e rivolti unicamente a ridurre i ruoli delle cause. Ma non basta. Anche l’ulteriore timore di inammissibilità non solo numerose, ma affidate a frettolose e stereotipate motivazioni si è rivelato infondato. 8 Tutte le suddette ordinanze (come già detto 45) sono ampiamente ed esaurientemente motivate, mettendo in debito rilievo sia l’insussistenza di una diversa interpretazione dei fatti di causa, sia la decisione delle questioni di diritto sulla falsariga di precedenti e conformi indirizzi giurisprudenziali, sia la mancanza di diversi elementi di valutazione desumibili dall’atto di appello principale o incidentale. Lo stesso è a dirsi quanto alle ordinanze provenienti da altre corti d’appello ( alludo a quelle poche pubblicate su riviste specializzate e provenienti da Roma, Salerno e Reggio Calabria), per cui in definitiva si può ben dire che la riforma ha certamente preso piede e la sua attuazione, allo stato, appare del tutto conforme alle aspettative di chi giustamente ne auspicava un’applicazione scrupolosa e misurata . Federico Buono Presidente IV sezione civile Corte d’Appello di Milano 9