Coworking e lavoro indipendente – Lucia Parrino La prima persona

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Coworking e lavoro indipendente – Lucia Parrino La prima persona
Coworking e lavoro indipendente – Lucia Parrino
La prima persona che ha utilizzato il termine coworking per descrivere un luogo e una modalità di
lavoro è stata Brad Neuberg, ingegnere informatico che nel 2005 ha fondato a San Francisco lo
spazio di coworking Hat Factory.
Di solito la società ci obbliga a scegliere fra lavorare a casa in proprio o lavorare in ufficio
per una compagnia. Se lavoriamo per una compagnia in modo tradizionale, dalle 9.00
alle 17.00, abbiamo comunità e struttura, ma perdiamo la libertà e la possibilità di
controllare le nostre vite. Se lavoriamo in proprio a casa, guadagniamo indipendenza,
ma soffriamo la solitudine e siamo soggetti a quelle cattive abitudini che derivano dal
non essere circondati da una comunità lavorativa. Il coworking è una soluzione a questo
problema. Con il coworking, scrittori, programmatori e creatori indipendenti si trovano
insieme in comunità alcuni giorni alla settimana. Il coworking ti dà l’ufficio tipico del
classico lavoro per un’azienda, ma in un modo assolutamente unico. (Neuberg in Jones,
Sundsted, e Bacigalupo 2009, 9, trad. mia)
Le parole di Neuberg coniugano due temi chiave – lavoro indipendente e comunità – che ricorrono
anche in altre definizioni, in particolare in quella del Wiki ufficiale dedicato al coworking e in quella
del Centre for Social Innovation di Toronto.
L’idea è semplice: i professionisti indipendenti e coloro con un lavoro flessibile
relativamente a spazi e tempi lavorano meglio insieme che da soli. Gli spazi di coworking
sono costruiti attorno all’idea di community-building e sostenibilità. I partecipanti sono
d’accordo nel sostenere i valori stabiliti da coloro che hanno fondato il movimento,
nonché l’interazione e la condivisione reciproche. Stiamo creando posti migliori in cui
lavorare e, di conseguenza, un modo di lavorare migliore. 1
Il coworking fa riferimento alla condivisione di uno spazio lavorativo fra freelance e altri
lavoratori indipendenti. Gli spazi di coworking forniscono spazio lavorativo e comunità a
quelle persone che spesso lavorano da sole. (Centre for Social Innovation 2010, 16, trad.
mia)
Il tema del lavoro indipendente è strettamente legato ai processi organizzativi nel contesto
contemporaneo, caratterizzato da una generale tendenza alla flessibilizzazione del lavoro e dalla
crescente poliedricità e complessità delle identità e delle affiliazioni lavorative. L’indipendenza dei
lavoratori non fa riferimento esclusivamente allo stato freelance o non subordinato degli stessi, ma
anche alla riduzione e alla ridefinizione dei vincoli del lavoro dipendente rispetto ai fattori tempo e
spazio. Infatti, nel 2010-2011, grazie ad un’esplorazione di alcuni spazi a Barcellona e Milano
(Parrino 2015a), abbiamo rilevato eterogeneità fra coworker anche dal punto di vista del loro
status organizzativo. In particolare, oltre a freelance in senso stretto, abbiamo osservato la
presenza di micro-società con sede operativa (e a volte legale) all’interno degli spazi e di lavoratori
— dipendenti o meno dal punto di vista contrattuale — che svolgevano la propria attività per conto
di una società con sede esterna agli spazi di coworking. In quest’ultimo caso il coworking consente
un’autonomia spaziale rispetto ai vincoli della localizzazione principale della propria azienda di
riferimento. Può rientrare, quindi, all’interno di strategie di telelavoro (Di Nicola 2001) che
1 http://wiki.coworking.org/, consultato il 25 marzo 2015, trad. mia.
consentono alle imprese di delocalizzare parte della propria attività in luoghi altri rispetto alla
propria sede centrale per far fronte ad esigenze strategiche, operative e gestionali, o per andare
incontro alle necessità dei dipendenti.
La commerciale dell’impresa di gourmet ha la sua impresa di riferimento a Tarragona,
nel sud della Catalogna e lavora qui perché è la responsabile dell’area di Barcellona. […].
Anche questo ragazzo: lavora per un’impresa che ha la sua sede centrale a Girona, nel
nord della Catalogna e lui è il responsabile per questa area del Vallés. Alla sua impresa
non conviene allestire un ufficio solo per lui. (M.T., proprietaria e lavoratrice spazio di
coworking nell’area metropolitana di Barcellona, trad. mia)
Quest’altro ragazzo è impiegato danese, ma vive qua in Spagna perché ha la ragazza
spagnola, quindi la sua ditta… Lui sta lavorando, la ditta gli permette di lavorare da qua.
[…]. Perché lui qua è collegato con la Danimarca. E lui lavora per la sua ditta, ma lavora
da qua. […]. M., lui è italiano, è rappresentante di una ditta italiana di elettronica. (F.M.,
proprietaria e lavoratrice spazio di coworking nell’area metropolitana di Barcellona, trad.
mia)
Questi esempi ci mostrano come il lavoro negli spazi di coworking riguardi anche il “lavoro
tradizionale”. Assistiamo in questi anni ad un’ibridazione tra tipologie di lavoro, favorita anche
dalle possibilità offerte da nuove pratiche, quali il coworking. Come mostrato anche dalle due
testimonianze qui citate, il lavoro dipendente contemporaneo attinge spesso a quella flessibilità
spaziale e organizzativa che caratterizza il lavoro freelance.
Fa riferimento a questo connubio fra coworking e modalità di utilizzo degli spazi la decisione del
Comune di Milano di coinvolgere gli spazi di coworking nell’edizione 2015 della Giornata del
Lavoro Agile2: un’iniziativa di promozione dello smart working (Parrino 2015b), ossia di una
modalità di lavoro basata sulla forte flessibilizzazione di spazi e orari, facilitata dalle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione (ICT) contemporanee.
Mentre la prima edizione – nel 2014 – è stata pensata per imprese ed istituzioni “tradizionali”,
l’edizione 2015 ha visto l’adesione di 15 spazi di coworking, che hanno aperto gratuitamente le
proprie porte ai lavoratori interessati.
Secondo l’Assessore alle Politiche per il lavoro Cristina Tajani:
questo consentirà alle persone che vorranno aderire, e anche alle aziende, di utilizzare
degli spazi in città, magari vicino casa del lavoratore, per avere un appoggio in termini di
connessione Wi-Fi o altri servizi, e quindi lavorare da una postazione diversa da quella
abituale.3
Coworking e tecnologie
Ulteriori elementi da citare nel considerare il più ampio contesto economico e sociale entro cui si
inquadra la diffusione del coworking sono l’incremento della componente intellettuale e
2 L. Parrino, “La giornata del lavoro agile” http://nuvola.corriere.it/2015/03/25/la-giornata-del-lavoro-agile/
3 https://www.youtube.com/watch?v=9t1qan1sm2M ,consultato il 25 marzo 2015.
immateriale del lavoro (Rullani 2004) – con conseguenze in termini di riduzione dello spazio
necessario per lo svolgimento delle attività lavorative – e il crescente utilizzo delle ICT. Infatti, i
cambiamenti nei processi organizzativi, uniti allo sviluppo delle ICT e all’intellettualizzazione e
immaterializzazione del lavoro, sono strettamente legati all’emergere di nuove pratiche di utilizzo e
creazione degli spazi lavorativi.
Laura Forlano (Forlano 2011) rileva la crescente mobilità che caratterizza le pratiche lavorative
contemporanee e considera il coworking come uno degli ambienti entro cui si è espansa l’attività
lavorativa, tradizionalmente chiusa dentro gli spazi di singole organizzazioni: il lavoro mobile si
fonda sull’esistenza di organizzazioni virtuali e diffuse e consente l’espansione dell’attività
lavorativa in nuovi contesti e ambienti, quali bar, parchi, spazi pubblici e comunità di coworking
(Forlano 2011).
I coworking sono, quindi, frequentati da lavoratori con status organizzativi e professionali
differenti, accomunati dal fatto di poter svolgere la propria attività in tali spazi anche grazie alla
forte presenza delle ICT nelle loro pratiche lavorative.
Il coworking si colloca, quindi, nel contesto della “trasformazione digitale” del lavoro e delle
potenzialità e criticità che ne conseguono (Mettling 2015). Tuttavia, è importante notare come gli
spazi di coworking, oltre ad essere luoghi per il lavoro in remoto o “digitale”, vengano utilizzati
anche per incontrare clienti, partner e fornitori, e possano diventare luoghi fisici di collaborazione
e lavoro congiunto fra coworker, arrivando, in alcune esperienze più estreme, a diventare anche
luoghi di coliving4.
Coworking e comunità
Come nelle tre definizioni precedentemente proposte, anche nella riflessione di Laura Forlano sui
nuovi luoghi lavorativi e sul coworking (Forlano 2011) è presente il tema comunità. Il termine fa
riferimento ai possibili risvolti relazionali della co-localizzazione dei lavoratori all’interno di uno
stesso spazio.
Nelle parole di Neuberg, alla solitudine che caratterizza il lavoro a casa viene contrapposta la
“community” (Jones, Sundsted, e Bacigalupo 2009, 9) degli uffici aziendali e degli spazi di
coworking. Townsend, Forlano e Simeti rilevano come per molti freelance e persone che lavorano
all’interno di microimprese lo svolgimento della propria attività lavorativa possa essere
un’esperienza isolante.
Ciò ha spinto molti lavoratori ad individuare soluzioni di condivisione dei luoghi di lavoro con altre
persone: i lavoratori possono non aver più la necessità di co-localizzarsi per avere accesso a
strumenti e risorse condivisi, tuttavia ricercano ancora la prossimità fisica per via del bisogno di
socializzare, interagire e collaborare. Coerentemente con tale visione, anche il coworking viene
letto come una risposta all’isolamento delle pratiche di lavoro contemporanee fortemente
virtualizzate (Townsend, Forlano, e Simeti 2011).
Nelle definizioni proposte sino ad ora il concetto di comunità sottolinea il ruolo del coworking
come contesto lavorativo in grado di fornire socialità ai coworker; gli spazi appaiono come
4 Un esempio è lo spazio di coworking e coliving Casa Netural di Matera: link pagina Spazio Lavoro
ambienti in cui possono svilupparsi relazioni e interazioni interpersonali, non necessariamente con
risvolti professionali o in termini di scambio di conoscenza.
L’enfasi posta sul termine comunità in molti siti Internet e articoli dedicati al coworking sembra
essere proprio connessa alla crescente importanza attribuita a questo concetto nel contesto
dell’economia della conoscenza: nel pensiero economico contemporaneo, infatti, comunità di
pratica e altri ambienti di apprendimento practice-based sono considerati risorse chiave per
rispondere alle sfide connesse a creatività e innovazione (Amin e Roberts 2008).
Le comunità di pratica sono definite come gruppi di lavoratori che condividono esperienze,
expertise ed impegno in iniziative e progetti comuni; la produzione condivisa e lo scambio di
conoscenza all’interno di queste comunità avvengono attraverso momenti e pratiche di problemsolving collaborativi, e grazie al supporto di differenti mezzi e forme di comunicazione che
consentono la circolazione di conoscenza (Gertler 2008). Secondo questa visione, la creazione e la
diffusione di conoscenza all’interno di e fra organizzazioni è più facile quando è mediata da queste
comunità. Inoltre, se la prossimità relazionale è sufficientemente forte, i flussi di conoscenza
possono trascendere i confini locali e nazionali: in presenza di prossimità relazionale,
apprendimento e condivisione di conoscenza tacita non sono necessariamente costretti da vincoli
spaziali (Gertler 2008).
È significativo osservare il fatto che per Jones, Sundsted e Bacigalupo (2009) comunità, apertura e
collaborazione siano associati e costituiscano – insieme a sostenibilità e accessibilità – i valori
fondanti del movimento del coworking.
Il coworking come movimento
Il tema del movimento è dunque relativo alla diffusione del coworking visto come un fenomeno
basato su determinati valori: comunità, apertura, collaborazione, accessibilità e sostenibilità. Il
termine comunità fa riferimento alla co-localizzazione dei coworker all’interno di uno stesso spazio
e ai risvolti relazionali. Apertura e collaborazione riguardano la condivisione di idee, pensieri,
conoscenza, e la cooperazione fra lavoratori. L’accessibilità è relativa ai singoli coworker e
all’opportunità per gli stessi di accedere ai processi di scambio e collaborazione interni agli spazi. La
sostenibilità ha una connotazione economica e si riferisce alla necessità dei singoli spazi di
individuare un piano di business che permetta loro di sostenersi economicamente e durare nel
tempo (Jones, Sundsted, e Bacigalupo 2009).
Il coworking inteso come movimento è finalizzato alla promozione e alla diffusione di spazi che
condividano il rispetto di questi valori. A questa concezione è associata quell’idea di coworking
community5 che, questa volta, vede il termine comunità come relativo alla dimensione esterna agli
spazi di coworking e sottolinea l’esistenza di legami e contatti fra le persone interessate al
coworking e alla diffusione degli spazi. Secondo questa accezione, la comunità non è più legata al
contesto fisico del singolo spazio di coworking, ma è deterritorializzata, virtuale e a livello globale.
5 Si veda, ad esempio, l’home page del Global Coworking Blog che recita “condividi, apprendi e contribuisci alla
coworking community: http://blog.coworking.com/, consultato il 25 marzo 2015.
Tanto il tema del movimento, quanto questa seconda interpretazione del termine comunità fanno
riferimento all’esistenza di interazioni sincrone o asincrone fra persone legate al coworking, anche
al di fuori dai singoli spazi. I canali di comunicazione privilegiati dagli esponenti del movimento e
membri della comunità virtuale sono quelli mediati dalla rete. In particolare, il Wiki, il Gruppo
Google e il Global Coworking Blog6 sono strumenti di comunicazione many-to-many utilizzati da
responsabili di spazi, coworker e altre persone interessate per condividere linee guida, pratiche,
esperienze, opinioni, informazioni. Occasioni di confronto e interazione non mediati sono
rappresentate, invece, dagli incontri organizzati periodicamente dai responsabili degli spazi, a volte
attraverso la formula del BarCamp che permette a tutte le persone interessate di proporsi come
relatori e di definire i contenuti, le aree tematiche e la struttura dei meeting. Ad esempio, in Italia,
dal 2010, il network Cowo organizza annualmente CowoCamp: il BarCamp Nazionale sul
Coworking7.
È importante sottolineare il fatto che non tutti gli spazi che si definiscono coworking – e i relativi
membri e responsabili – sono legati al coworking inteso come movimento e comunità globale. Al
tempo stesso, va osservato come comunità, apertura, collaborazione, accessibilità e sostenibilità
non costituiscano i valori fondanti per tutti gli spazi presenti nei canali di comunicazione della
community. Su questo aspetto le definizioni e i contributi sul coworking considerati sino ad ora si
dividono. Jones, Sundsted e Bacigalupo (2009), secondo un approccio più esclusivista, considerano
veri spazi di coworking solo quelli che fanno riferimento al movimento e ai suoi valori
fondamentali, ma riconoscono che la parola coworking di fatto venga utilizzata anche per indicare
spazi di natura differente. Altre visioni di coworking, come quella della definizione del Centre for
Social Innovation di Toronto (2010:16) precedentemente proposta, sono invece più flessibili, e non
considerano l’adesione a determinati valori un elemento fondante degli spazi di coworking.
L’eterogeneità del coworking
Al fine di studiare la diffusione e le caratteristiche di tali spazi e conoscere i profili di chi vi lavora,
negli ultimi anni sono state realizzate diverse ricerche, in genere promosse dagli spazi stessi o da
realtà legate al coworking. È il caso delle Global Coworking Survey promosse da Deskmag, della
European survey on Coworking curata dagli organizzatori della conferenza Coworking Europe, o, in
Italia, degli studi dell’Osservatorio Permanente sul Coworking della rete Cowo 8. Sono esempi di
come vi sia un interesse di ricerca nei confronti del fenomeno, che, partito prevalentemente dai
soggetti che lo praticano e lo promuovono, coinvolge adesso anche ricercatori e istituzioni.
Townsend, Forlano e Simeti sono stati fra i primi nel mondo accademico a studiare alcuni degli
spazi presenti a New York, rilevando l’eterogeneità che li caratterizza.
6 http://wiki.coworking.org/, http://groups.google.com/group/coworking, http://blog.coworking.com/, consultati il 25
marzo 2015.
7 http://barcamp.org/w/page/81011639/CowoCamp2014, consultato il 25 marzo 2015.
8 http://www.deskmag.com/en/the-4th-global-coworking-survey-is-online-883,
https://coworkingeu.wordpress.com/2010/11/19/the-results-of-the-first-european-survey-about-coworking/,
http://www.coworkingproject.com/2014/03/25/osservatorio-coworking/, consultati il 25 marzo 2015.
Gli spazi visitati erano differenti per formalità—da caffè con un nucleo regolare di clienti
lavoratori mobili a un incubatore per startup del settore high-tech. La comunità di
lavoratori mobili in ogni spazio visitati variava per la formalità della sua adesione allo
stesso (pubblica e aperta versus strutturata), per il focus su alcuni settori industriali
(sviluppo di software, giornalismo, o design) e per lo stadio nel processo di sviluppo
dell’attività economica (fase di definizione del concetto versus pianificazione e ricerca
del capitale). (Townsend, Forlano, e Simeti 2011, trad. mia)
Tanto quest’osservazione quanto le considerazioni fatte precedentemente a proposito delle
definizioni mostrano come di fatto il termine coworking faccia riferimento ad un ventaglio di
tipologie di spazi fra loro differenti per finalità istituzionali, adesione a valori e movimenti, status e
occupazione dei coworker, livello delle relazioni con gli altri spazi, e così via. Un altro elemento di
differenziazione è la presenza o meno, negli spazi, di attività e mezzi finalizzati a stimolare la
nascita di relazioni e collaborazioni fra i lavoratori. Analizzando i casi di Milano e Barcellona
(Parrino 2015a), abbiamo osservato come si possa parlare di un continuum che a un polo vede la
presenza di una piattaforma articolata di strumenti e iniziative finalizzata a favorire la conoscenza
fra coworker e all’altro polo la totale assenza di questo tipo di proposte; fra questi due estremi vi
sono molti spazi in cui vengono organizzate riunioni, incontri di networking o seminari.
Al di là delle differenze esistenti fra gli spazi, quindi, due sembrano essere gli aspetti costanti del
coworking: la presenza di lavoratori eterogenei per professione e/o settore in cui operano e/o
status e appartenenza organizzativi, e la co-localizzazione dei coworker all’interno di uno stesso
spazio lavorativo.
Sharing desk: lavoro collaborativo?
Questa breve panoramica sul coworking ha mostrato come via sia una forte enfasi sulla
dimensione della co-localizzazione, della prossimità fra coworker. Il tema della prossimità fra attori
economici è centrale negli studi dell’economia urbana contemporanea che considerano la costante
creazione e mobilitazione di conoscenza processi cruciali per lo sviluppo (Amin e Roberts 2008;
Amin e Cohendet 2004). Si tratta, infatti, di un’economia che si contraddistingue non solo per la
crescita del peso economico di alcuni “settori della conoscenza” (Foray 2006, 20), ma anche per la
proliferazione di attività knowledge-intensive in tutti i settori dell’economia (Eliasson 1990; Foray
2006; Scott 2008).
Alla base della letteratura contemporanea nel campo della geografia economica vi è l’idea che la
prossimità conti e che sostenga co-produzione, circolazione e condivisione di conoscenza (Gertler
2008). Alcuni degli autori che hanno contribuito alla ricerca sui vantaggi della co-localizzazione
hanno messo in evidenza il fatto che, oltre a quella geografica, vi sono altre forme di prossimità
fondamentali per comprendere le dinamiche di scambio di conoscenza, innovazione e
apprendimento interattivo. Prossimintà organizzata, relazionare, cognitiva, organizzativa, sociale,
istituzionale: il dibattito multidisciplinare sulle differenti dimensioni di prossimità e sulle possibili
interazioni fra le stesse è aperto (Gilly e Torre 2000; Torre 2010; Gertler 2008; Boschma 2005).
Nel 2010-2011, proprio per capire il ruolo giocato dalla prossimità – e da quale prossimità – fra
coworker nel favorire lo scambio di conoscenza, abbiamo studiato due diverse configurazioni di
spazio di coworking (Parrino 2015a): una caratterizzata dalla sola co-presenza di coworker e l’altra
caratterizzata dalla co-presenza di coworker e dall’esistenza di una piattaforma organizzativa
(incontri, workshop, attività di facilitazione, social media dedicato) finalizzata a creare sinergie fra i
lavoratori.Questo ci ha consentito di tratteggiare due differenti situazioni:
1. Laddove i coworker condividevano solo uno spazio fisico si sono riscontrate scarse manifestazioni
di socialità di base fra coworker e l’assenza di relazioni collaborative o fornitore-cliente fra gli stessi.
L’esperienza in questo spazio non sembra avere avuto alcun ruolo nell’ampliare i network di
collaborazioni e prestazioni lavorative dei coworker. Le situazioni di trasmissione di conoscenza
erano poche e a carattere episodico.
2. Nello spazio caratterizzato dalla co-presenza di coworker e dall’esistenza di una piattaforma
organizzativa, tutti i coworker hanno riportato flussi di conoscenza con altri lavoratori, anche
ricorrenti o collocati nel contesto di relazioni collaborative. Fra i soggetti interni le manifestazioni di
socialità di base erano frequenti. Sul piano professionale erano rilevanti tanto l’esistenza di
collaborazioni fra coworker (a volte potenziali e in fase di definizione), quanto il ruolo dei legami
interni allo spazio nel creare occasioni di collaborazione e lavoro con soggetti esterni: l’esperienza
ha contribuito ad ampliare i network di collaborazioni e prestazioni lavorative dei coworker.
Nel complesso i risultati dello studio hanno ridimensionato l’immagine degli spazi di coworking
come luoghi di relazioni, collaborazioni e interazioni “automatici” fra lavoratori, immagine che
spesso viene comunicata attraverso i canali istituzionali di molti spazi e realtà legate al coworking
(gruppi di interesse, riviste online). Secondo quanto visto, infatti, elementi di prossimità
organizzativa e sociale giocano un ruolo determinante nello stimolare le collaborazioni fra
lavoratori e nel promuovere lo scambio di altre forme di conoscenza, mentre non è detto che
questo tipo di legami si instaurino all’interno di spazi caratterizzati dalla sola co-presenza di
coworker (Parrino 2015a). In particolare, nello spazio caratterizzato dalla sola co-presenza fisica, le
collaborazioni si sono rivelate assenti e i flussi di conoscenza eccezionali e sporadici: il coworking
era “poco ‘co’ e molto ‘working’” (coworker intervistato).
Questo ci aiuta ad abbandonare l’idea, spesso semplicistica, che il coworking sia automaticamente
luogo di socializzazione e collaborazione tra lavoratori. Condividere uno spazio, per bisogno o per
scelta, non vuol dire necessariamente generare nuove relazioni produttive che abbiano anche
ricadute in termini di creazione di modelli economici alternativi o di nuove forme di aggregazione e
collaborazione tra i lavoratori.
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