Capitolo 19 - Altervista

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Capitolo 19 - Altervista
Ruedoki o il fiore di
ciliegio
Detective Conan Fan Fiction by Eowyn79 (Alias Lucas Corso)
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Diciannovesimo Capitolo
“ …il volo AZ 547 in arrivo da Los Angeles, è appena atterrato sulla pista numero quattro. Ladies
and Gentlemen, the fly AZ 547…”All’aeroporto internazionale della città di Tokyo, la voce
metallica della speaker riempì le pareti della hall, rimbalzando sulle chiome multietniche e finendo
nei padiglioni auricolari di una donna pronta all’ascolto.
L’avvocato Eri Kisaki stava attendendo quei numeri da molto tempo.
La sua migliore amica e suo marito avrebbero oltrepassato tra poco quella porta e il solo vedere il
loro sorriso le avrebbe dissipato le strane nubi che le si erano addensate dentro. Si trattava solo di
coincidenze. La scomparsa di Eri Kudo era stata un tragico evento. Ma la paura che il fatto si
ripetesse solo perché la sua Ran somigliava a quella donna scomparsa tanto tempo fa era del tutto
irrazionale.
La donna sorrise di se stessa.
Le era possibile oltre ogni dubbio riuscire a controllare le emozioni in qualunque situazione…
Che non riguardasse la sua famiglia.
Sospirò ancora, prendendo atto del fatto che non poteva essere un avvocato anche nella sua stessa
casa.
Avrebbe comprato a Yukiko quei cioccolatini italiani di cui andava pazza.
E sarebbero andati insieme a trovare i loro figli.
Ora il problema era cercare di ignorare quello strano senso di inquietudine che, da qualche ora,
sembrava non volere proprio lasciarla in pace.
Un attimo dopo stava stringendo in un abbraccio la donna con la quale aveva più cose in comune,
mentre Yusaku Kudo le guardava sorridendo, nascondendo la sua aria stanca sotto le lenti scure
degli occhiali da sole.
Heiji Hattori guardò gli ultimi raggi di un sole ormai tramontato oltre le montagne ad ovest e lasciò
che il vento freddo di quel giorno gli sferzasse la pelle scura. Dietro era seduta Kazuha, troppo
silenziosa per i suoi gusti. Stava sicuramente tramando qualcosa.
Tuttavia non era riuscito ad ignorare quella fiamma verde che le aveva invaso non appena il ladro
Kid aveva cominciato a parlare….
Avrebbero rischiato tutti la vita.
E Kazuha non c’entrava nulla.
Assolutamente.
E nemmeno lui aveva qualcosa a che fare con tutta quella strana faccenda.
Lasciò che lo sguardo vagasse sul paesaggio che scorreva oltre il vetro del finestrino leggermente
aperto.
La Volkswagen del tondo professor Hiroshi Agasa si muoveva, quasi silenziosa, sull’autostrada che
li avrebbe condotti fuori Tokyo, a quella maledetta villa Imai dove, se tutto andava come doveva,
finalmente si sarebbe potuti arrivare ad una conclusione.
Una conclusione, già.
Ma dopotutto a lui cosa ne fregava?
Non c’entrava assolutamente nulla e l’idea di chiamarlo non era stata di Kudo, ma del suo vicino di
casa.
Kudo non lo voleva.
Come al solito si era incaponito a voler risolvere da solo i suoi guai.
Più ci pensava più quelle parole gli ronzavano nel cervello.
Il giovane detective del Kansai aggrottò le folte sopracciglia scure, mentre una ruga prematura
increspava la sua fronte di ragazzo.
Aveva fatto chilometri per raggiungerlo da Osaka e precipitarsi al suo fianco, e lui se la prendeva in
quel modo?
E lui, lui, il figlio del grande Heizo Hattori stava aiutandolo ugualmente?
Sbuffò appoggiando con forza il mento sul palmo della mano, gli occhi lucenti, le labbra atteggiate
ad un buffo rimprovero.
“Dai Heiji, non fare così, lo sai com’è fatto Kudo – kun!” disse all’improvviso Kazuha alle sue
spalle con un sorriso sincero che nelle ultime ore il ragazzo aveva rimpianto.
“Kazuha ha ragione, Heiji” aggiunse Hiroshi Agasa con un sorriso senza staccare lo sguardo dalla
strada che si faceva ogni minuto che passava più scura “ Shinichi si comporta sempre in modo
assurdo quando a rischiare la pelle c’è qualcuno a cui tiene molto”
Il giovane Hattori non lasciò che quel senso di soddisfazione gli rovinasse l’aria imbronciata che si
era costruito.
“Volete che non lo sappia?” sbuffò chiudendo gli occhi e sospirando come se avesse a che fare con
un bambino un po’ capriccioso “ma questo non gli da il diritto di comportarsi così quando la sua
ragazza è in pericolo!”
“Non si tratta solo di Ran” disse il professor Agasa lanciando uno sguardo malizioso al giovanotto
seduto accanto a lui.
“E questo lo sai bene anche, Heiji!” sorrise Kazuha affacciata in mezzo ai due sedili posteriori.
Il ragazzo si massaggiò il naso con l’indice, in imbarazzo, fissando un punto imprecisato della
strada, vale a dire la cima di un grande pino.
“Uffa!” disse con le guance leggermente imporporate “vedete se devo sentirmi stranito per un tizio
del genere!”
Kazuha e il dottor Hiroshi Agasa sorrisero, entrambi divertiti.
“Spera solo che non ti rubi la scena, caro il mio Kudo!” Rise il giovane Heiji Hattori con il cuore
che in petto gli ballonzolava.
Questa volta se la sarebbe ricordata con una soddisfazione mai provata prima, sorrise fra se e se.
La donna guidava la macchina che aveva trovato nel garage della villa affianco con scioltezza,
anche se era da molto che non prendeva il volante in mano. E poi…poi c’era da dire che in quel
buco di laboratorio non è che aveva avuto molte occasioni di guidare.
Sorrise e si ricordò della prima volta che aveva preso in mano un’auto.
Sua sorella per poco non si era sentita male, quando per sbaglio stava per investire un gattino e
aveva dovuto sterzare con una manovra da far impallidire anche un provetto pilota. Quel gatto si era
salvato.
E sua sorella alla fine lo aveva adottato.
Lei, già schiava di provette, non avrebbe avuto tempo di dedicarcisi, anche se non dimenticava mai
di potargli un regalino ogni volta che aveva occasione di vederlo.
Ora anche quel gatto era morto.
Non aveva più nulla.
Lanciò uno sguardo al ragazzo addormentato accanto a lei, mentre un’auto rossa sfrecciava a
velocità incredibile nella parte opposta a quella che aveva deciso di percorrere.
Forse non aveva perso tutto.
Forse quello che era stato poteva esserci di nuovo.
Nessuno l’avrebbe sostituita, non ci sarebbe stata una nuova Akemi…
Tuttavia….
Tuttavia adesso sapeva.
Ora aveva compreso quello che si agitava nel suo cuore.
Shiho Miyano sorrise.
Sarebbe stato senz’altro più facile schivare i colpi di un ragazzo malandato, col raffreddore e che
sapeva usare più il cervello che le mani, piuttosto che una donna che aveva vinto un torneo di
karate.
‘Certo che sei proprio cambiata Sherry!’ si disse premendo la pianta del piede sull’acceleratore che
con un suono pieno sciolse le briglie del motore.
“Che ci fai ancora qui?” chiese la voce seccata dell’uomo smunto dai capelli color paglia,
inguainato in un’orribile imitazione di smoking da maggiordomo alla porta della villa Imai.
Jun Miyashiro sorrise imbarazzato portandosi una mano alla nuca.
“Credo di aver perso una cosa nel magazzino dove abbiamo sistemato le casse. Potrei andare a
controllare?”
“Mhmm…” chiese l’uomo squadrando il giovane dall’alto in basso come a volergli trovare un
qualche sintomo di malattia incurabile.
“Si tratta di una catenina. Non ha alcun valore, ma me l’ha regalata una persona speciale e vorrei
tanto riaverla” disse il ragazzo con una voce supplichevole “ la prego! Solo cinque minuti!”
“Entra” sbuffò l’ometto dagli occhietti acquosi “ma tra cinque minuti ti voglio vedere fuori di qui!”
“Sarà fatto!” Sorrise il ragazzo correndo attraverso l’atrio illuminato a festa.
Lanciò solo un debole sguardo alla finestra dove già poteva vedere i fari della auto dei primi ospiti
che si sarebbero riuniti per la serata.
“Cominciamo” sussurrò con un sorriso obliquo avvicinando leggermente il volto al colletto della
tuta da lavoro.
Le luci brillavano con un’affascinante luce dorata che rimbalzava sulle pareti cremisi donando a
tutta la villa un’atmosfera ovattata. Tante voci ormai provenivano dal fondo delle scale e il suo
passo sembrava non esistere sul tessuto morbido del tappeto che stava calpestando.
Solo il velluto dell’abito strusciando contro il pavimento emanava un fruscio croccante, indistinto,
quasi irreale.
La maschera le aderiva al volto, fin sopra il mento, lasciandole scoperte le labbra che la donna dai
capelli d’oro liquido le aveva tinto di rosso. Si sentiva strana con quegli abiti addosso.
Come se fosse stata un’altra persona….
Ma non aveva tempo di pensarci.
Forza.
La dolce musica di un’arpa accompagnò i suoi passi lungo la scalinata, mentre avanzava nell’atrio
che solo qualche ora prima era stato deserto.
E solo il giorno prima teatro della sua prigionia.
Papà, Mamma.
Ran Mouri mantenne il viso alto mentre la gente cominciava a fissarla stupita.
Nessuno di loro portava una maschera.
Niente di più adatto alla sua situazione.
Vi salverò.
Ran Mouri sorrise accorgendosi che anche se quello che stava per fare era pericoloso, ormai non si
poteva più tornare indietro.
E si meravigliò lei stessa della proprio determinazione.
A qualunque costo…io vi salverò.
L’uomo in fondo alle scale sorrise vedendola incedere verso i convenuti e si avvicinò a lei fin
quando la ragazza, con studiata lentezza non gli porse la sua mano. Proprio secondo il copione che
poco prima l’uomo dai lunghi capelli biondi le aveva spiegato.
“Diamo il benvenuto al nostro affascinante Fiore di Ciliegio, signore e signori, la dea mascherata
che veglierà le nostre azioni questa sera” cominciò l’uomo con un sorriso irreale tanto quanto quello
che sembrava accadere.
Ran Mouri gli rivolse solo un fuggevole sguardo.
E l’uomo non ebbe paura di incontrare le iridi blu della ragazza.
Le aveva strizzato un occhio o se l’era immaginato?
Non poteva essere!
A Ran Mouri il cuore ballonzolò nel petto mentre si della stupida: il solo fatto di sapere che ci fosse
qualcuno in grado di aiutarla l’aveva fatta sentire, in un certo qual modo, sollevata.
E tuttavia, non avrebbe permesso che, ancora, si rischiasse la vita per lei.
“ Da questa parte signori.” Disse l’uomo lasciando guizzare gli occhi azzurri sui presenti, facoltosi
mercenari d’arte “ Lo spettacolo sta per iniziare e stasera abbiamo molte sorprese per voi che in
questa notte avete avuto l’audacia di avventurarvi in lande così desolate.
Per voi, questa sera, ogni mistero sarà svelato”
“Si può sapere che stai facendo?” gracchiò Heiji Hattori accucciato dietro allo sportello del
maggiolino giallo, scrutando le luci che arrivavano dalla villa Imai.
Kazuha e il dottor Agasa, a pochi passi da lui, perfettamente eretti, come l’evoluzione aveva voluto
che fosse per questa branchia delle scimmie terrestri, lo guardavano attoniti, mentre il ragazzo si
destreggiava a sincronizzare uno dei badge dei giovani detective.
“Che? Non sento un tubo! Ehi?Che hai detto?” continuò Hattori continuando a pressare senza sosta
la piccola rotella delle frequenze che scricchiolava con un suono lugubre.
Kazuha, con lo sguardo seccato, gli strappò il badge di mano, diede un colpetto alla rotella e parlò a
bassa voce, eliminando tuttavia quell’aria scema da cospiratore che per Heiji sembrava fosse
diventata il tono naturale di voce da dieci minuti a questa parte.
“Kaito, mi senti?” chiese la ragazza mentre il suo amico si alzava sbuffando e borbottando qualcosa
che lei decise di ignorare. Anche il professore si fece più vicino accostando l’orecchio alla piccola
ricetrasmittente.
“Ayumi mi ucciderà se non le riporto il badge integro” sussurrò l’ometto con un sorriso.
“Non si preoccupi professore! Ne avrò cura…” iniziò la voce metallica dall’altro capo del
microfono “ non mi chiamo Hattori”
“Appena ci vediamo vedi se non ti trito come si deve” sbottò il giovane detective del Kasai
lasciando che le sue nocche crocchiassero pericolosamente.
“ Dove ti trovi?” chiese Kazuha mettendo fine ai battibecchi.
“Nel covo del diavolo e dove se no?” la voce dell’ultimo mago del secolo risuonò beffarda “ e in
più c’è un fiore che sono sicuro Kudo dovrebbe proprio vedere!”
“Hai visto qualcuno?” chiese Heiji Hattori convinto di aver utilizzato un tono neutro.
Kazuha Toyama gli rivolse un sorriso maligno. Idiota. A prenderli i delinquenti era un mago…a
farlo….era un altro conto.
“Si. Ma ora non posso parlare. Vi contatto io. Voi seguite il piano”
Il sonoro click annunciò che la comunicazione era terminata.
“Il piano” sbuffò Heiji incrociando le braccia sul petto “ che schifo di piano! E a proposito dov’è
finito il nostro cavaliere senza macchia e senza paura?”
“Anche la piccola Ai non è venuta con noi…” chiese Kazuha pensierosa rivolgendosi al professore
Agasa.
L’ometto era peggio di Heiji. Ogni stato d’animo gli si leggeva in faccia e sui baffoni che avevano
cominciato a tremolare.
“Shinichi mi ha detto che sarebbe arrivato a momenti… “ sorrise il dottore in palese imbarazzo “
voleva assicurarsi che Ai fosse al sicuro ….è una bambina così sensibile e gli si è affezionata
tanto…”
“Tantissimo” insinuò Hattori con una risatina.
Hiroshi Agasa gli calpestò un piede con una violenza inusitata.
“Scusa….non l’avevo visto” ghignò l’ometto.
Il giovane dalla pelle scura fissò truce l’ometto prima di scrollare le spalle, massaggiarsi il piede
dolorante.
“Che stiamo aspettando, allora?” sbuffò alla fine Kazuha frugando nella sacca che il professore si
era portato dietro “Si comincia o no?” disse mentre la luce della luna si rifletteva lungo la lama di
un coltellaccio affilato illuminando di una luce maligna il sorriso della ragazza.
“Ho creato un mostro” sussurrò Heiji Hattori mentre la vide partire, zoppicando, verso il retro della
villa.
Poi scrollò le spalle e si mise a seguirla.
“Lei rimanga qui a monitorare in nostri movimenti, dottore”
“Chiamerò chi di dovere non appena avremo quello che vogliamo” disse Agasa rispondendo al
ragazzo con una strizzatina d’occhi.
“E speriamo di arrivare fino in fondo prima che quella scema si faccia ammazzare!” sbuffò poi
avviandosi nel buio.
Shinichi Kudo aprì gli occhi a fatica, ferito dalla luce intensa della luna riflessa sulla neve che
impreziosiva il paesaggio montano poco distante da Tokyo.
La luce di un rado lampione lo rese consapevole del fatto che si trovava su una strada mai percorsa
prima, mentre di quello che era successo ricordava pochissimo. Il rumore dell’auto non gli giovava
di certo all’emicrania e si sollevò sul sedile massaggiandosi la fronte.
“Ma lo sai che russi?” disse una voce beffarda alla sua destra.
Il giovane detective del Kanto conosceva quell’intonazione…tuttavia era abituato a sentirla
pronunciata da una bambina.
“Perché diavolo mi hai drogato?” borbottò massaggiandosi una tempia già dolorante per
quell’influenza che lo appestava da due giorni “ in quel modo poi! “ sbuffò arrossendo.
“Mhmm che cosa dovrai dire adesso alla tua bella Ran?” sorrise la ragazza con una graziosa malizia
nella voce da adulta “ se non mi fossi comportata così non sarei mai riuscita ad avvicinarti”
continuò a sorridere e questa volta con una nota serena che Shinichi non le aveva sentito che di
rado. Seppe che aveva detto la verità.
”Su adesso non fare il ragazzino timido, non credo sia il momento, abbiamo questioni più urgenti da
risolvere”
“Ma come ti è saltato in mente di tornare nei tuoi panni? “sbottò Kudo fissandola con rimprovero “
lo sai che Gin e Vermouth ti stanno cercando”
“Lo so” disse la ragazza seria, mentre un soffio d’aria gelida le scompigliò i corti capelli biondi “ ed
è proprio per questo, credo, che Ran si trova nei guai”
Kogoro Mouri sbuffò mentre uno dei legacci si era sciolto e finalmente era riuscito a liberarsi i
polsi. Sbuffò massaggiandosi la pelle.
“Stupida donna!” bofonchiò guardandosi in giro con la speranza di vedere una provvidenziale
lattina di birra.
Si.
Come no.
Un miracolo ci voleva perché quella donna ne tenesse in casa una!
L’uomo espirò rumorosamente mentre si lasciava andare contro la spalliera del letto, le costole che
scricchiolavano dolorosamente.
“Questa me la paga! Non si tratta così un povero ammalato! Per un favore che le si chiede, ecco la
ricompensa!”
E speriamo che quel bamboccio idiota si stia prendendo cura della mia Ran, nel frattempo.
Sbuffò cadendo subito dopo in un profondo e sonoro sonno.
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