Pallottole e ketchup
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Pallottole e ketchup
1 Pallottole e ketchup All’andirivieni della gente ero ormai abituato. Da noi è la norma avere i locali affollati a tutte le ore del giorno e della sera. Risa di africani, asiatici, europei e americani, odori pungenti di corpi frammisti a olezzi di fritto e hamburger non ti abbandonano mai. Si mescolano nell’aria creando una miscela che ti buca il cervello. In quanto a sopravvivenza qui si batte qualsiasi reality show senza premi finali ne copertine. Ad un’ora dalla chiusura però tutta la gente che si accalca alle casse per la scelta del panino più imbottito o della nuova offerta esotica della settimana è davvero insopportabile. I volti sembrano perdere ogni traccia d’umanità lasciando il posto a guizzi animaleschi. Labbra umide si allargano mostrando fameliche fauci con rivoli di saliva che colano fino a bagnare colletti inamidati o variopinte tuniche di lino. Ti trovi davanti un vero e proprio branco di iene che ti fiata sul collo pronto a divorare carogne big, medium o small con contorno di patatine e cola. È solo quando uno dei loro cuccioli ti chiede di cambiare Super Stunk con Lady Jelly in omaggio la settimana prima, intravista casualmente dietro le fila delle friggitrici, che ti ricordi di avere a che fare col genere sapiens. Dove le 2 dobbiamo nascondere le rimanenze per non farci rompere le palle non l’abbiamo ancora capito. Nahzar, il ragazzo addetto alle pulizie, durante l’ultima riunione del personale aveva proposto di metterle in bustine di plastica a mollo negli sciacquoni. A questa insolita proposta abbiamo riso tutti tranne il capo che sospettando pericolose inclinazioni ha finalmente trovato la motivazione che cercava per licenziarlo. Nahzar c’è rimasto sotto non tanto per l’attaccamento al suo posto quanto per l’impellenza di spedire ogni mese gran parte del suo stipendio alla famiglia. Il capo non ha voluto sentire ragioni e dal quel giorno l’abbiamo battezzato The Big Merda. Non avevo mai pensato che a trent’anni sarei finito a lavorare dietro il bancone di un fast food. Quand’ero molto piccolo volevo fare il pompiere, a otto anni l’astronauta, a dodici il calciatore, a quattordici l’attore porno, a quindici l’attore porno, a sedici l’attore porno. A diciotto anni, dopo aver visto un film di Rocco Siffredi, ho capito che mi mancava qualcosa e mi sono iscritto all’università. Ma anche lì è andata male e mi sono buttato in quel che capitava finendo di testa in una friggitrice con una simpatica divisa e un cartellino che permette ad un mucchio di sconosciuti di chiamarmi per nome. Questa è davvero una cosa 3 insopportabile, darebbe fastidio anche a voi, credetemi. Certo se vi chiamaste Brad e vi chiedessero un autografo è un conto, se vi chiamate Ernesto e da voi vogliono la salsa barbecue è un’altra cosa. Ad ogni modo qui pagano e puntualmente. Non come quando mi ero messo in testa di sfondare nella pubblicità. Ero sempre senza un soldo. Gli inizi sono stati divertenti ma il seguito è stato deludente. Per colpa della mia timidezza i casting non andavano mai bene e finivo sempre per interpretare ruoli secondari. Avete presente lo spot “Che bella la digestione con Limonella”? Si sono io. Be’ non il protagonista ma sono proprio alle sue spalle, seduto ad un tavolo a mangiare mentre un cameriere mi versa dell’acqua. In effetti si vede più il cameriere di me ma è pur sempre un esordio. A seguire ci sono state altre partecipazioni: c’è un mio gomito in una reclame per succhi di frutta, un orecchio in uno per dentiere e un piede in una campagna contro l’abuso di alcol. Sul mio piede vomita il primo attore. E’ stato disgustoso. L’unica a riconoscermi in tutte le mie interpretazioni era mia nonna. Quando è morta, non avendo più fan ne aspettative ho deciso di mollare. L’ispettore non sembra affatto interessato alle mie divagazioni. I suoi profondi occhi neri mi scrutano irrequieti. Certo è che sopravvivere ad una rapina a mano armata che 4 ha visto la morte di tre persone non è da tutti i giorni. Direi che se capita, capita una volta nella vita. Almeno me lo auguro. <<Ora Signor Ernesto>> incalza con un marcato accento ligure <<mi dica esattamente che cosa ricorda dal momento in cui il rapinatore è entrato nel locale>>. <<Le ho già detto, ispettore>> rispondo come il protagonista di uno dei gangster movie che piacevano tanto a mio padre, <<che per lo shock faccio fatica a ricordare>>. Mio padre. Lui sì che avrebbe fronteggiato la situazione a sangue freddo. Era il mio eroe oltre ad essere un eroe nazionale. Dopo soli due giorni di servizio nella Polizia di Stato affrontò da solo tre rapinatori che avevano assalito un ufficio postale. Lui era lì per pagare delle bollette e li ha disarmati tutti a mani nude mettendoli KO. Nel nostro piccolo paese non si è parlato d’altro per molti anni avvenire. Qualche giorno dopo la sua impresa ci fu una grande festa comunale dove gli vennero conferite le chiavi della città e una medaglia all’onore. Fu in quell’occasione che conobbe la mamma. Lei era la segreteria personale del sindaco e si occupò dell’organizzazione della cerimonia. Fu amore a prima vista per entrambi. Mia madre mi diceva sempre che il suo uomo con la pistola glielo invidiavano 5 tutte le donne della città. Solo da grande ho capito il doppio senso di quelle sue parole. L’ispettore sembra non accettare di buon grado il mio sguardo assente. Interpreto la sua impazienza e inizio a parlare. Mancavano cinque minuti alle otto, ora in cui avrei terminato il mio turno, quando dall’entrata laterale fece irruzione un uomo molto alto, con un passamontagna scuro, guanti, giacca a vento nera e un paio di jeans blu denim. Dopo aver sventolato una pistola per aria, intimando a tutti i clienti di gettarsi per terra e non fare scherzi, si diresse immediatamente alle casse ordinandoci di svuotarle. Continuava a ripetere di fare in fretta. Chiamava tutti per nome, leggendo le targhette sulla divisa. Prima di tutto si fece consegnare una busta take away da Linda, poi iniziò ad infilarci dentro il contante. Incredibile come Linda riuscisse ad essere estremamente bella anche in una situazione così disperata. Il primo giorno che la vidi eravamo stipati in un ufficio di pochi metri quadrati assieme ad altri ragazzi. Era il primo dei cinque colloqui che facevamo per il posto in cassa. Chissà perché ultimamente vanno di moda questi colloqui collettivi dove devi presentarti e far capire in dieci minuti di che pasta sei fatto. Sembra di partecipare ad una 6 riunione di alcolisti o di qualche associazione simile che ti aiuta a sconfiggere le dipendenze. Forse in un certo senso eravamo davvero lì per combattere una dipendenza, quella da disoccupazione. Con Linda è stato amore a primo udito. A primo udito perché da quando eravamo entrati non l’avevo ancora vista, ero troppo agitato per la mia autopresentazione da fissare solo il pavimento. <<Buongiorno a tutti, io sono Linda, ho 22 anni e studio lingue e letteratura orientale>>. Cristo, ero cotto. Mi voltai di scatto e vidi la donna della mia vita, almeno così avevo pensato fino a che, già due giorni dopo l’assunzione, la beccai uscire dal bagno di servizio, in compagnia di Nahzar. Sapeva della mia cotta, per questo era doppiamente in imbarazzo. Un’ora dopo si avvicinò mentre rifornivo i dispenser di tovagliolini e mi disse << Erny, lo so come siete fatti voi ragazzi, quindi per favore acqua in bocca>>. “Io invece so come siete fatte voi”, avrei voluto dirle, “la guerra di Troia l’ho studiata molto bene”. Tuttavia riuscii solo a bofonchiare un timidissimo ok. Quella fu la nostra ultima chiacchierata, se così possiamo chiamarla. Mentre speravamo che tutto finisse in fretta e senza imprevisti Big Merda, che stava ultimando il giro dei controlli prima della chiusura, arrivò dalla cucina strisciando 7 per terra, insinuandosi tra gli scaffali fino ad accucciarsi sotto il bancone. Credendo di non essere visto cercò di attivare la chiamata d’emergenza attraverso un pulsante nascosto sotto una delle casse. Il gesto furtivo non passò inosservato e fu bloccato da un colpo secco di pistola. Il proiettile esploso, proprio come in una gara agonistica, segnò l’avvio della tragedia. La gente cominciò ad urlare. I più vicini alle porte d’uscita si catapultarono all’esterno. Due ragazzi molto robusti afferrarono una sedia cercando di scaraventarla alle spalle del rapinatore. Non ci riuscirono. Due proiettili trafissero i loro bulbi oculari permeando le cervella. Il sangue schizzò sui tavoli, investendo avanzi di cibo, giacche e persone. Per un attimo sembrò che qualcuno avesse lanciato da un cannone una palla da bowling contro un’enorme bottiglia di ketchup. In quello stesso istante sopraggiunse l’assordante suono delle sirene della polizia. I clienti in salvo erano sicuramente riusciti a dare l’allarme. Pensai che finalmente eravamo fuori pericolo anche noi e che in pochi minuti il ladro si sarebbe arreso alle forze dell’ordine. Ma non andò così. Non si diede per vinto. Con un agile balzo passò dietro il bancone, mi ordinò di prendere le chiavi dell’uscita sul retro e di fargli strada. Compiere quei pochi passi con una pistola puntata alle spalle non fu 8 semplice. Per un attimo mi parve di percorrere il famoso miglio verde, forse anche per via degli avanzi di lattuga e cetrioli che ricoprivano il pavimento. Finalmente la porta. Non rimaneva che aprire il lucchetto, pensai, e forse tutto sarebbe finito senza cattive conseguenze. Avvertivo però uno strano disagio. La mia camicia bianca era macchiata di sangue. Qualcosa di viscido ricopriva le mie scarpe. Difficile dire se fosse stato un Big Menu o i resti del cervello di Big Merda. Nella confusione avevo perso anche il mio cartellino. Forse il destino mi aveva fatto un regalo: se fossi morto in quell’istante l’avrei fatto da uomo e non da impiegato di una multinazionale americana. <<Cazzo, vuoi sbrigarti con quelle chiavi! Non ho tempo da perdere>>. Completamente assorto nei miei pensieri mi scordai per un attimo di lui. <<Cazzo Ernesto, muoviti!>> mi intimò agitando la pistola. <<Cosa hai detto?>> sospirai. <<Muoviti bastardo!>> gridò esasperato. <<Mi hai chiamato per nome>> belai incredulo, <<come fai a ricordarti il mio nome? Non ho più il cartellino... chi diavolo sei?>>. <<Dammi quelle cazzo di chiavi o ammazzo anche te!>>, urlò al limite delle forze. Poi d’un tratto, dall’oscurità, una figura di donna avanzò lentamente come un’amazzone da un bosco. Tra le sue mani reggeva un arco. In realtà si trattava 9 di Linda e l’arco altro non era che il piede di porco che solitamente utilizziamo per aprire le casse di salse che ci arrivano direttamente d’oltreoceano. La prima volta che le apri ti sembra di essere un pirata intento a scassinare un forziere ricolmo di antiche reliquie. Già dalla seconda volta, la fantasia lascia posto alle imprecazioni per la chiusura eccessivamente resistente per un carico di maionese e salsa yogurt alle erbe. Linda ci fissò entrambi con risoluzione e avvenenza. <<Ora basta>> disse, <<Apri quella maledettissima porta e facciamola finita>>. Ero confuso. <<Non te lo ripeterò un’altra volta>> sibilò. In quel momento vidi con la coda dell’occhio il ladro sfilarsi il passamontagna, era Nahzar. Non potevo crederci, era tutto così assurdo. Lentamente iniziai a ricollegare tutti i pezzi. Da tempo entrambi erano schivi nei confronti di tutti e soprattutto del capo. Quando Nahzar fu licenziato, Linda la prese molto male. Sospettava che il capo avesse capito della loro relazione clandestina e che fosse accecato dalla gelosia. Tutti desideravano Linda, lui compreso, e non accettò mai il fatto che Nahzar fosse riuscito dove lui aveva fallito. Avevano premeditato tutto nei minimi dettagli da giorni, forse da settimane ma evidentemente non avevano fatto i conti con l’inaspettato coraggio di Big Merda. 10 Nahzar mi ripuntò la pistola alla tempia. Il sangue nelle mie vene divenne solido. Non avevo mai immaginato che un giorno sarei stato minacciato da una calibro qualcosa, per lo più da due persone che credevo amiche o per lo meno non nemiche. Mi feci coraggio e aprii il lucchetto. “Ammazzalo” ordinò Linda subito dopo a Nahzar, “È meglio non lasciare in vita testimoni”. Quelle poche parole dette con estrema freddezza, senza un minimo d’umanità, mi spronarono all’azione, a compiere come una preda in trappola il tentativo estremo di ribellione. Quello che mi occorreva era un diversivo. Impilate al mio fianco c’erano decine di scatole di ketchup che solitamente stiviamo nel retro per problemi di spazio nelle cucine. Più che pensare agii. Spinsi con tutte le mie forze le scatole verso i Bonnie e Clyde del fritto misto e mi lanciai in fuga nel vicolo sul retro, lasciandomi alle spalle un lago di salsa di pomodoro. Finalmente ero salvo. <<Può andare Ernesto, la farò accompagnare a casa da un agente. Nel caso le venisse in mente qualcos’altro mi chiami>>. Ringrazio l’ispettore, accetto il passaggio e torno a casa. Accendo subito la televisione. <<Il malvivente alla fine ha preso in ostaggio uno dei dipendenti e ha cercato di fuggire dal retro del locale>>, incalza la giornalista del Tg, 11 <<Ma lui e la sua complice, Linda Daretti, hanno dovuto fare i conti con l’audacia del giovane Ernesto, che è riuscito a disarmarli e bloccarli, sotterrandoli sotto una montagna di scatole di ketchup>>. Cambio canale, <<Pallottole e ketchup sono volate questa sera in uno dei fast food del centro città. Tre i feriti a morte durante una rapina a mano armata, organizzata da un ex dipendente...>>. Tutte le emittenti televisive riportano la stessa notizia. Lo squillo del telefono mi fa uscire dalla trance mediatica. Dopo il beep della segreteria il nastro inizia a registrare <<Salve!>>, esordisce una squillante voce di donna <<Mi chiamo Miriam, sono la segretaria personale del sindaco. Al municipio abbiamo appreso tutti del suo gesto eroico signor Ernesto, e il sindaco avrebbe il piacere di conferirle una medaglia al valore durante una cerimonia organizzata in suo onore dove sarebbe commemorato anche il coraggio di suo padre. Come si dice, buon sangue non mente>>. Una coinvolgente risatina spezza la presentazione prima del secondo round vocale. La segreteria continua a registrare imperterrita il messaggio mentre i miei pensieri volano. Che strana la vita, è da quando sono piccino che cerco in tutti i modi di escogitare qualcosa per emergere e questa notte, grazie a qualche litro di ketchup, riesco a dimostrare a 12 me stesso, alla mia famiglia e alle fan di Rocco Siffredi quello che valgo. Mi sento bene, come non mai. Anche la mia timidezza per un attimo mi sembra sconfitta. Alzo la cornetta <<Salve Miriam, sono Ernesto, diceva?>>. 13