Bond bancari, le «chance» nel bail-in

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Bond bancari, le «chance» nel bail-in
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Plus24 - Il Sole 24 Ore
SABATO 8 OTTOBRE 2016
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N. 733
risparmio & investimenti
obbligazioni
Bond bancari, le «chance» nel bail-in
Una scelta oculata
in un settore sotto
pressione potrebbe
riservare opportunità
di rendimento
Marcello Frisone
+ Acquistare oggi bond bancari
potrebbe sembrare un vero e
proprio azzardo. E in parte è vero
ma bisogna dire che in questo
settore difficile da interpretare
(a causa anche del bail-in) ci sono alcuni casi che potrebbero essere una buona opportunità in
termini di rischio-rendimento.
La regola base per dare un pizzico di “sale” ai portafogli rimane
comunque sempre la stessa: investire nel caso una piccola percentuale in questi bond finanziari ed evitare il fai-da-te, il vero
nemico di chi non vuole correre
eccessivi rischi.
il contesto generale
Soprattutto di questi tempi, rendimenti elevati nel settore bancario si associano a rischi che, nella
migliore delle ipotesi, sono assai
difficili da valutare e verificare. Il
settore bancario, infatti, oltre a
non godere di salute particolarmente buona (soprattutto in Europa), presenta un’oggettiva difficoltà di analisi delle reali situazioni di solidità partendo dai meri dati di bilancio.
Basti pensare, per esempio,
alla situazione di molti istituti
italiani gravati da anni dai Npl
(Non performing loans, cioè i
crediti deteriorati) la cui reale
entità varia da banca a banca. Oppure basti pensare alla più recente situazione di difficoltà di un
colosso come Deutsche Bank, il
cui portafoglio di operazioni in
derivati desta preoccupazioni a
livello internazionale, sia per la
dimensione raggiunta, sia per i
criteri di valutazione, sui quali
nessuno ha certezze. «Il settore
bancario – spiega Jacopo Ceccatelli ad di Marzotto Sim - presenta inoltre una situazione di bassa
redditività anche a causa dei tassi
di interesse molto bassi ed elevata incertezza. Proprio questa situazione però determina la presenza di bond con un rendimento decisamente elevato, almeno
in termini relativi rispetto alla
media di settore».
le “opportunità” nel bail­in
A tutto ciò va aggiunto che il settore delle obbligazioni bancarie
(si veda anche pagina accanto) ha
avuto un grosso stravolgimento
dal gennaio scorso con l’introduzione della direttiva Brrd (conosciuta con il nome del bail-in) che
regola il funzionamento e la potenziale compartecipazione alle
perdite degli investitori (anche
piccoli dunque) in caso di salvataggi di banche in difficoltà.
In estrema sintesi, il bail-in
può avvenire con tre modalità: 1)
write-down o azzeramento del
valore nominale del bond ; 2) una
ripartizione degli attivi e dei passivi della banca tra una good bank
e una bad bank (dove vengono
trasferite passività e quindi anche bond in proporzione alle necessità di ricapitalizzazione); 3)
una conversione in azioni di tutto
o parte del valore nominale delle
obbligazioni. «Quella potenzialmente migliore per i bond holder
– spiega Filippo Lanza, gestore di
Hedge Invest Sgr – è quella della
conversione in azioni in quanto
lascia uno spazio per un successivo recupero del valore nel caso di
un re-rating dell’emittente a seguito della ricapitalizzazione».
In pratica, in caso di salvataggio della banca nella quale si è investito si potrebbe ricorrere preventivamente alla cooperazione
degli obbligazionisti (in particolar modo dei subordinati che sono maggiormente esposti) che
potrebbero aiutare a gestire il
processo in maniera ordinata,
senza il ricorso del bail-in. «Questo – ricorda Lanza - è quanto è
successo per centinaia di anni nel
settore societario dove qualora la
società non riesca a ripagare i debiti, i creditori diventano i nuovi
azionisti. Quasi 15 anni fa è successo con la Parmalat dove gli obbligazionisti sono diventati gli
azionisti della società e hanno
potuto recuperare tutto il capitale
investito e anche di più».
Comprendere quindi la nuova
regolamentazione del bail-in potrebbe creare opportunità d’investimento? «Sì – risponde Grégoire Mivelaz di Gam - soprattutto se
si investe nei cosiddetti titoli di
capitale o nel debito subordinato
che però non è tutto uguale e per
questa ragione è molto importante la selezione. Attualmente
I rendimenti a scadenza
l’obbligazione unicredit
Il bond in scadenza nel gennaio 2021
2,10
preferiamo i titoli legacy Tier 1
che sono stati emessi sotto Basilea II con lo scopo di regolamentare il capitale come alternativa
più economica all’equity».
le scelte nel portafoglio
1,75
1,68
1,40
1,05
1,03
0,70
11/09/15
30/09/16
l’obbligazione veneto banca
Il bond in scadenza a gennaio 2017
10
8
6
5,87
4
3,63
2
11/09/15
30/09/16
Il comportamento allora certamente più sensato è quello di limitare i rischi, sia da un punto di
vista dimensionale (cioè di peso
percentuale sul totale degli investimenti), sia dal punto di vista
delle scelte degli emittenti e dei
titoli. «In quest’ottica – suggerisce Ceccatelli - si potrebbero fare
scelte “calcolate”. Per esempio, se
da un lato investire in bond Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza presenta un profilo di rischio assai elevato, dall’altro potrebbe rappresentare un’ottima
opportunità se ci si limita a emissioni con scadenze molto brevi
(entro i 12 mesi rendimenti tra il
5% e il 7%), anche grazie ai recenti
aumenti di capitale sottoscritti
dal fondo Atlante».
E sulle emissioni di altri istituti
italiani meno “chiacchierati”?
«Queste - conclude l’ad di Marzotto Sim - offrono rendimenti
tra l’1% e il 3% (su scadenze tra i tre
e cinque anni) e incorporano una
parte di rischio Paese, componente che potrebbe aumentare
con l’approssimarsi del referendum del 4 dicembre. In caso di vittoria del “sì” ci potrebbero essere
delle soddisfazioni anche nel
breve periodo (in termini di rivalutazione rapida dell’investimento)».
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Nuove prospettive per i corporate emergenti
In pole position le blue chip
con debito in dollari e attente
a gestire rischi default
Lucilla Incorvati
+ Chi ha diversificato nei fondi che
puntano alle obbligazioni dei paesi
emergenti ha potuto contare su rendimenti più che decorosi. Non solo nell’ultimo triennio dove i best performer
hanno messo a segno risultati in qualche caso superiore al 40% ma anche
nell’ultimo anno ci sono fondi con
performance superiori al 15%. Questo
trend continuerà? Secondo un’analisi
condotta dalla sudafricana Investec
che ha analizzato i ricavi di 354 società,
sono diversi i fattori che giocano a favore di questa asset class.
aziende globali
«Le aziende dei mercati emergenti
in media stanno assumendo sempre più un profilo globale, dispongono di molta liquidità e sono abituate a operare durante le fasi involutive dei mercati - spiega Victoria
Harling, strategist sui corporate
bond emergenti di Investec - e quel-
le che emettono bond in dollari
americani rappresentano il segmento blue chip di questo universo.
Hanno dimensioni globali anche in
termini di apporto alle economie,
paragonabili alle maggiori compagnie americane ed europee». Secondo l’analisi, in media, in termini
assoluti, la dimensione delle società
investment grade dei mercati emergenti rappresenta i due terzi di quelle investment grade americane ma
le più grandi aziende high yield dei
mercati emergenti hanno una “scala” maggiore di quelle high yield negli Usa e in Europa, misurata con la
media dei ricavi.
la diversificazione
Molti guadagni vengano realizzati in
mercati diversi. Un esempio di questa diversificazione viene dall’universo delle aziende brasiliane. Qui le
aziende che producono beni di consumo realizzano poco più del 40% dei
ricavi nel mercato domestico e il rimanente fuori. Come Jbs, la più grande azienda del settore alimentare del
mondo oppure Minerva Foods e Marfrig. « Questa diversificazione dei ricavi - aggiunge Harling - li rende
tranquilli perché la maggior parte del
loro debito è in dollari Usa.
il peso della valuta forte
Alcune aziende dei paesi emergenti usano le esportazioni in valuta forte per aumentare i margini
di profitto. Per esempio, la russa
Tmk ha realizzato il 16% dei ricavi
del 2015 vendendo i tubi ai produttori di shale oil americani e
agli operatori europei. L’azienda
turca Arçelik ha fatto il 60% dei ricavi del 2015 esportando le sue lavatrici Grundig e altri beni di consumo in tutto il mondo. Per ottenere ricavi in valuta forte, le
aziende degli emergenti esportano anche la loro expertise. Come
la cinese Country Garden, il costruttore più importante della
Malesia nel 2014 e nel 2015.
conservatorismo finanziario
Harling sottolinea che in futuro
difficilmente i livelli di default di
queste società potranno superare
quelli dei mercati sviluppati e saranno comunque inferiori al passato. «Si tratta di campioni nazionali, abili a trovare fondi di finanziamento alternative - spiega
l’esperta - molte sono conservative e quando necessario hanno venduto asset e raccolto capitali per
aggiustare i credit ratio».
I migliori fondi a tre anni
Chi investe nei corporate dei paesi
emergenti
performance
1 anno 3 anni*
15,19 49,04
BNY Mellon Em
Aberdeen Glb Em 14,74 48,80
Neuberger
12,92 47,02
Berman Em
12,28 44,54
GS Em Mkts
Amundi Fds Bd Gl. 14,51 44,37
Nordea­1 Em Mar. 13,33 43,89
14,01 43,89
Ms Invf Em. M
T. Rowe Price Em. 13,89 43,12
13,92 41,68
Investec Gsf Em
Schroder
11,77 41,19
ISF EmMar
AB Sicav I
11,53 40,40
Emg Mkt
MainFirst
18,47 40,39
Em Mkts
Hsbc Gif
6,79 37,03
Global Em Mkt
PineBridge
12,56 35,69
Glbl Em Mkts
Pimco Gis
13,21 32,11
Emerg Mkts
Legg Mason
11,46 29,19
WA EmMark
nota: Performance: dati in euro
i settori ai raggi x
Analizzando i settori,e le industrie
e le aziende di beni di consumo
hanno usato le esportazioni per ridurre l’esposizione al mercato interno. Petrolio, gas, metalli, attività
estrattive e in alcuni casi la cellulosa, sono settori dove i ricavi sono
solitamente in dollari americani e
ciò li rende poco sensibili agli
aspetti macro del mercato domestico. Al contrario, le tlc, i media e le
tecnologie (Tmt) sono tra i settori
più orientati all’interno. Di solito si
rivolgono ai consumatori domestici e i prezzi sono in valuta locale.
Tuttavia, fusioni proattive e strategie di acquisizione hanno fatto sì
che le compagnie delle tlc di mercati
come Qatar, India, Cina e Hong
Kong realizzino fino al 70% dei ricavi all’estero. Da quando nel 1994 ha
portato il business fuori dai confini
cinesi, Huawei ha tra i suoi grandi
clienti Vodafone. Huawei è oggi il
principale fornitore di servizi di rete per il mercato americano, che vale 170 miliardi $. È anche il terzo
produttore al mondo di smartphone, dopo Samsung e Apple, con oltre 100 milioni di telefoni spediti in
tutto il mondo nel 2015.
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