Architettura_del_900_Vol_2 copy

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Architettura_del_900_Vol_2 copy
Architettura
del Novecento
Opere, progetti,
luoghi
A-K
II
Architettura del Novecento
II
A cura di Marco Biraghi e Alberto Ferlenga
Opere, progetti, luoghi
A-K
Einaudi
Bernard Tschumi, Parc de la Villette, Parigi.
Foto Universal Images Group / De Agostini / Alamy
/ Milestone.
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Architettura del Novecento
a cura di Marco Biraghi e Alberto Ferlenga
i
Teorie, scuole, eventi
ii
Opere, progetti, luoghi
iii
Opere, progetti, luoghi
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Diamond Houses
%JBNPOE)PVTFT di John Hejduk
Con la designazione di Diamond Houses, o Diamond Projects, è comunemente indicato un trittico di architetture, due case multipiano e
un museo sviluppato su un unico livello, disegnate tra il 1962 e il 1967
dall’architetto americano John Hejduk (1929-2000). Il termine EJBNPOE
fa riferimento all’uso della figura del rombo, fatto da Hejduk nel delineare i tre progetti.
Presentati per la prima volta nel 1967 in occasione della mostra 5IF
%JBNPOEJO1BJOUJOHBOE"SDIJUFDUVSF, organizzata presso l’Architectural
League di New York e curata dallo stesso Hejduk e dal pittore Robert
Slutzky, e coevi a opere come la Saltzman House di Richard Meier, la
Gwathmey Residence di Charles Gwathmey, la Hanselmann House di
Michael Graves e la House I di Peter Eisenman, progettata proprio nel
1967, i rigorosi disegni a china e i plastici che illustravano i tre progetti
rappresentarono uno dei piú significativi e al tempo stesso piú originali contributi alla costituzione di quella Scuola di New York che alcuni
anni piú tardi avrebbe trovato una provvisoria identità sotto l’etichetta
dei New York Five. Tuttavia, nel contesto della produzione del gruppo
newyorkese – una produzione peraltro alquanto diversificata e dedicata
all’esplorazione dei lasciti formali dell’avanguardia architettonica modernista –, l’opera di Hejduk si distingue nettamente per l’originalità e
la radicalità della sua ricerca estetica, basata sull’ipotesi dell’autonomia
dei contenuti della scrittura architettonica.
A tale riguardo, di fondamentale importanza per la formazione di
Hejduk sarà l’incontro con lo storico inglese Colin Rowe, avvenuto presso la scuola d’architettura dell’Università del Texas ad Austin, dove, dal
1954 al 1956, l’architetto newyorkese sarà chiamato a insegnare all’interno di un nuovo programma didattico messo a punto da Rowe stesso,
assieme all’architetto svizzero Bernhard Hoesli. In Texas, Hejduk assimilò in maniera del tutto originale i contenuti del lavoro di definizione,
sistematizzazione e sopratutto storicizzazione dei caratteri formali autonomi dell’architettura del Movimento Moderno che in quegli anni, a
partire dai saggi 5IF.BUIFNBUJDTPGUIF*EFBM7JMMB (1947) e .BOOFSJTN
BOE.PEFSO"SDIJUFDUVSF (1950), lo storico inglese andava sviluppando.
Sintesi di quella esperienza è la serie delle austere Texas Houses sviluppate tra il 1954 e il 1962 quale risultato di una sofisticata riflessione
sulle possibilità compositive dello schema a 9 quadrati e delle sue implicazioni architettonico-strutturali.
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Diamond Houses
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A partire dai primi anni ’60, in parte grazie all’influenza dell’amico
pittore e collega Slutzky, anch’esso incontrato in Texas e autore assieme a Rowe dell’influente saggio 5SBOTQBSFODZ-JUFSBMBOE1IFOPNFOJDBM,
il nucleo concettuale della ricerca di Hejduk si concentrerà sulla trasposizione nell’ambito della propria sperimentazione architettonica dei risultati piú radicali delle esperienze dell’avanguardia pittorica del Novecento, in particolare il cubismo di Juan Gris e soprattutto l’opera di
Piet Mondrian, che l’architettura modernista aveva lasciato inesplorate.
Per comprendere a pieno il significato della sperimentazione architettonica che Hejduk metterà in atto nei Diamond Projects è fondamentale considerare che, all’interno del panorama modernista, tali specifiche
esperienze artistiche saranno tra quelle che, con il loro attacco diretto
all’idea stessa di rappresentazione spaziale prospettica, porteranno a
compimento una critica radicale al naturalismo implicito nell’idea della rappresentazione della profondità spaziale, e degli eventi che in essa
hanno luogo, quale oggetto specifico della presentazione pittorica. Sarà
75. John Hejduk, Diamond House, pianta.
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Diamond Houses
proprio questa critica al naturalismo spaziale che Hejduk trasporterà,
con i Diamond Projects, al centro della sua riflessione architettonica e
che ne costituisce la dimensione piú originale.
Nello sviluppo di questa ricerca, il primo passo compiuto da Hejduk
consiste nella riflessione svolta sulla serie delle -P[FOHFT dipinte da Mondrian durante gli anni ’20. Nel processo di disgiunzione e contrapposizione tra la cornice ruotata di 45° e la struttura della composizione della
superficie pittorica, che invece rimane invariata, Hejduk individua, oltre
al superamento dell’esperienza cubista, il prodursi di una peculiare condizione spaziale sospesa fra le due e le tre dimensioni. Questa condizione per Hejduk è funzione, da un lato, dell’affermazione della differenza
tra i due piani – quello virtuale, determinato dal taglio della cornice, e
quello reale, virtualmente espanso lateralmente all’infinito, della griglia
della composizione –, e dall’altro dall’assoluta compressione, fino al suo
annullamento, della loro distanza concettuale. Questa tematica formale
è da Hejduk integralmente traslata in architettura a livello delle piante dei tre progetti tramite l’adozione di una griglia strutturale quadrata, composta di pilastri per il progetto A e C e una serie di setti murari
per il progetto B, virtualmente illimitata e intersecata da un perimetro
quadrato ruotato di 45°. In tal modo, nelle intenzioni di Hejduk, sarà
proprio la tridimensionalità implicita nel sistema notazionale bidimensionale della pianta a essere posto in radicale discussione.
Il secondo passo è la constatazione della novità derivata dall’adozione del rombo come figura planimetrica, ossia la constatazione che nella
sua rappresentazione isometrica, e cioè nella condizione di rappresentazione geometrica della tridimensionalità, tale figura diventa un quadrato ruotato verticalmente che comprime tale tridimensionalità tra sé
e il piano del disegno fino alla sua soppressione completa, producendo
nel caso di una struttura a piú piani sovrapposti la percezione della condizione tridimensionale dell’oggetto architettonico rappresentato, conservando al contempo l’astrazione bidimensionale di una serie di piante
proiettate una sull’altra.
Il terzo passo, forse quello di piú difficile comprensione per la sua
natura speculativa, e illustrato da Hejduk solo da un testo scritto supportato da pochi ed elementari diagrammi, prende in considerazione il
rombo dal punto di vista della percezione della sua attuale natura spaziale
in relazione alla geometria del sistema di rappresentazione prospettico.
Anche in questo caso l’oggetto della riflessione è l’annullamento della
profondità spaziale, sia esterna che interna al rombo, che si realizza sulla
superficie bidimensionale di un piano virtuale di proiezione prospettica
qualora si osservi la figura del rombo frontalmente, cioè posizionandosi
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Disneyland
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di fronte a uno dei suoi vertici. La superficie su cui si attua tale compressione prospettica della profondità reale, e che per Hejduk consiste
nel piano su cui vengono ordinate le sensazioni spaziali del soggetto,
coincide con la diagonale stessa del rombo.
Il risultato di questi che possono definirsi letteralmente degli esperimenti condotti con il rigore e la freddezza di un tecnico di laboratorio
consisterà, per Hejduk, nella scoperta del determinarsi, per quelle ricerche architettoniche che vogliano spingersi ai limiti nell’esplorazione
dell’autonomia dei propri contenuti, della definitiva crisi dell’idea stessa
di spazio quale referente, quale naturalità fondante il senso stesso delle
strutture del linguaggio architettonico.
I Diamond Projects marcheranno un punto di svolta fondamentale nell’opera di Hejduk, che a partire dalla fine degli anni ’60, per circa un lustro, dirigerà la sua attenzione verso una sperimentazione formale potenzialmente infinita di composizioni basate sull’aggregazione
di figure geometriche elementari, e che si concluderà con la serie delle
Wall Houses. D’altro canto però, proprio per la loro natura sperimentale, le tesi proposte dai Diamond Projects, cosí come peraltro tutta la
produzione di Hejduk fino alla metà degli anni ’70, diventeranno un
formidabile strumento didattico, tanto che saranno proprio gli studenti della scuola d’architettura della Cooper Union di New York, in cui
Hejduk insegnò dal 1964 fino all’anno della sua morte, che nel 1969 ne
promuoveranno la pubblicazione in una preziosa edizione limitata dal
titolo 5ISFF1SPKFDUT.
guido zuliani
c. rowe, -BNBUFNBUJDBEFMMBWJMMBJEFBMFFBMUSJTDSJUUJ, Zanichelli, Bologna 1990;
j. hejduk5ISFF1SPKFDUT, Cooper Union School of Art and Architecture, New York 1969.
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Disneyland, primo parco tematico del mondo, viene inaugurato ad
Anaheim, Orange County, sobborgo meridionale di Los Angeles, il 17
luglio 1955 su una superficie di 73 ettari. Promotori e proprietari sono
i due fratelli Disney, Walt celebre e pluripremiato autore e produttore
di fumetti e film per l’infanzia (quattro Oscar alla carriera in un decennio, tra il 1932 e il 1942) e suo fratello maggiore Roy, la mente amministrativo-finanziaria della coppia.
I Disney possiedono già degli studi cinematografici a Burbank, cen-
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