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GAROFANI E TULIPANI Storia della nomenclatura della carrozzeria. Non dobbiamo immaginarci che la mancata circolazione di veicoli a motore nelle nostre “domeniche a piedi” restituiscano alle città l’aspetto di cento o duecento anni fa. Nel 1895, in una grande capitale europea come Parigi, prima dell’avvento dell’automobile circolavano oltre 100.000 carrozze! Comode, eleganti, raffinate, straordinariamente funzionali anche per lunghi viaggi, erano il risultato di un’arte carrozziera che affondava le sue radici nei secoli. La categoria dei carrozzieri è un esempio di incredibile capacità di adattamento alle diverse tecnologie man mano disponibili e perfezionate. Alla fine dell’Ottocento questa élite dell’artigianato era in grado, in tutta Europa, di realizzare una produzione qualitativamente e quantitativamente abbondante e di ottima fattura. Vi erano le Berline, così denominate dal loro luogo d’origine, derivanti da un esemplare realizzato su disegno dell’architetto di Federico Guglielmo: veicoli a quattro ruote con casse sospese a cinghie, vetri e copertura mobile (un’anticipazione del tetto apribile?). Era diffuso il Coupé, a quattro ruote e due posti, così detto perché come tagliato fuori dalla cassa centrale di un veicolo più grande. Un capostipite di questo tipo di carrozza fu detto “coupé-diable” per il fracasso appunto diabolico che faceva sul pavé di Parigi. Non dissimile era il Fiacre e un’altra vettura pubblica detta gondole, un fiacre arrotondato. Quindi vi era il Break, originariamente un veicolo usato per domare i cavalli (dall’inglese, to break in), dunque un veicolo pesante, che più tardi fu usato per il trasporto di passeggeri. Il Cab e il Cabriolet risalgono alla stessa epoca (inizio dell’Ottocento): una sedia da posta leggera, ad un cavallo, con mantice. La cabriole era il salto a montone del cavallo, e da questo termine derivò la definizione di un veicolo che, per la leggerezza, sottoponeva i suoi passeggeri a forti sobbalzi. Il Brougham derivava invece da una carrozza concepita per il Cancelliere dello Scacchiere Lord Brougham (1834); originario da un nome proprio anche il Derby, dal nome del nobile fondatore della celebre corsa di cavalli. Il Tonneau era una vettura leggera a due ruote, due o quattro posti, con entrata posteriore e sedili longitudinali. E accenniamo ancora al Landau, così chiamato in onore della città tedesca dove ebbe origine, una cassa a quattro posti protetti da doppio mantice apribile e panchetta per il cocchiere. Ultime a comparire sul mercato prima dell’avvento del motore la Wagonnette (1880-1890), a quattro ruote, cassa bassa, sedili longitudinali; e la Giardiniera, per trasportare cose e persone. Di queste carrozze, spesso veri capolavori di ebanisteria e finizioni, i carrozieri non erano infatti soltanto gli stilisti; bensì anche tecnici espertissimi, in quanto ne realizzavano il guscio esterno e la parte meccanica, il che permetteva loro una grande libertà d’azione, una grande autonomia. Soltanto con l’avvento del motore diventeranno dipendenti da una struttura meccanica costruita da altri, e sarà questo il grande problema. Immaginiamo lo sconquasso provocato dall’apparizione delle prime “horseless carriages”, dei primi veicoli a trazione propria anziché animale. I carrozzieri di tutta Europa, soprattutto in Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia, si trovarono di fronte improvvisamente a qualcosa di “interno” che aveva molta più importanza dell’esterno. Di punto in bianco il confort, la comodità, la bellezza delle carrozze che avevano costruito per secoli non interessavano più. I loro clienti più benestanti erano stati colti da un raptus inspiegabile che li spingeva ad affrontare le intemperie, la polvere, la pioggia, il sole senza alcuna protezione, tra scosse e sussulti, continue pannes e cambi di gomme, una tortura incomprensibile. I carrozzieri si trovarono di fronte a motori elettrici, a vapore, a scoppio, misti, ciascuno con caratteristiche peculiari molto diverse e con pesi diversi di acqua, combustibile, batterie, da sistemare, dissimulare, rendere compatibili con sedili, portiere, ruote, pianali. Ne originò un periodo di grande confusione, anzi, come dicono gli storici quando si trovano di fronte a tendenze contradditorie, un periodo di transizione. Ossia i carrozzieri stentavano a dimenticare le bellissime forme che erano state la loro gloria fino a pochi anni prima, e non riuscivano neppure a rinunciare a dettagli anacronistici come il portafrusta o il portaombrelli. Ciò complicava i problemi da affrontare, che a loro volta non avevano confini ben definiti: stavano a metà tra l’arte meccanica e l’arte carrozziera, come le ruote, la sospensione, i pesi non sospesi, lo sterzo, la sistemazione dei passeggeri e del pilota (non si pensi che sia sempre, automaticamente, sistemato davanti: sulla Bedelia del 1911 il pilota si trova dietro al passeggero, in posizione tandem). Fu una scuola estenuante, dalla quale uscirono dei geniali artisti soltanto quando la carrozza a cavalli, con le sue forme e le sue peculiarità, fu dimenticata. Paradossalmente, la perfezione della carrozza ritardò la nascita del concetto di “carrozzeria automobilistica”, nel senso di qualcosa di nuovo e diverso dal passato. Le prime automobili erano sicuramente inferiori alle carrozze a cavalli, e segnarono un momento di incertezza, per non dire di forte regresso, nella costruzione del mezzo di trasporto. Soltanto con il geniale Lamplugh (vedi Auto d’Epoca del ) i primi problemi furono affrontati e risolti, e nel 1908, dal veicolo aperto a tutte le intemperie derivò la prima “torpedo”, dotata persino di un parabrezza articolato e regolabile e, dal 1910, raffinatezza suprema, di un tergicristallo a mano. Era la prima carrozzeria interamente concepita per vestire un veicolo a motore e non semplicemente derivata dalla carrozza a cavalli. Antesignano di una carrozzeria torpedo era già stato il geniale costruttore e carrozziere Jeanteaud, che costruì nel 1899 la sua “Torpilleur”, con cui ChasseloupLaubat toccò i 92 chilometri all’ora; o la “Jamais Contente” del suo rivale Jenatzy, passato alla storia come l’uomo che per primo oltrepassò i cento chilometri all’ora (vedi la loro storia su Auto d’Epoca di ). Senza contare la vettura realizzata da Kellner per Serpollet, il costruttore di vetture a vapore, nel 1903, battezzata modestamente “Uovo di Pasqua”, ma che comunque, a dispetto del nome casalingo, raggiunse la ragguardevole velocità i 123 km/h. Per cogliere l’assoluta novità costituita dalla linea della torpedo, basta confrontarla con la carrozzeria più in voga negli anni immediatamente precedenti: i tonneau, vetture come abbiamo visto derivate di peso dalla carrozza a cavalli, aperte, con i viaggiatori coperti da un mantice estensibile fino a raggiungere il cristallo anteriore, e con tendine laterali. Passo avanti costituisce la Limousine (cosiddetta da un tipo di vettura francese originaria dal Limousin), poiché lo scompartimento posteriore è chiuso e quindi i passeggeri sono al riparo; i due posti anteriori sono comunque protetti in qualche modo dal tetto e dal vetro frontale. Verso il 1905-6 alla struttura tutto legno si comincia ad applicare i pannelli in lastra battuta e si diffondono i primi carter in lamiera. La linea che ne risulta è più elegante e completa, in quanto finalmente priva delle piccole interruzioni e degli sbalzi sgraziati causati proprio dagli organi meccanici in vista. Questo non successe, ovviamente, in modo facile e fluido: nel 1915 una casa costruttrice che aveva nascosto il tappo del radiatore sotto il cofano fu costretta, dalle proteste della clientela, a risistemarlo dov’era. L’adozione della lastratura d’alluminio, comunque, segnò un grande passo avanti: il metallo, meglio plasmabile del legno, permetteva una maggiore leggerezza e facilità di lavorazione. Nascono i primi batti-lastra: figura mitica dell’automobilismo d’antan, che spesso ha riassunto idealmente in sé i mille mestieri necessari a realizzare una automobile nei primi venti anni del secolo scorso. I benefici apportati dalla diffusione della torpedo, a partire dal 1910, si rifletterono sulle carrozzerie chiuse, coupé e limousine: per esempio con l’abbassamento, per tutte, della linea superiore di cintura. Sono anni di grande euforia creativa, di cambiamenti e di invenzioni. Alla rivoluzione portata dall’affermarsi della torpedo contribuì anche quel genio di Porsche, uno dei progettisti più longevi e fecondi del secolo scorso. Il suo colpo d’ingegno fu di pensare alla tecnica aeronautica, ed intuire, quando tutti si concentravano su come aumentare la potenza, l’importanza di ridurre il peso, molto più semplice. Così nel 1910 costruì la sua carrozzeria Tulipano, senza angoli, con cofano in leggera salita, parafanghi dal bordo anteriore tagliente e le sporgenze, anche le più piccole come fari e maniglie, ridotte al minimo. Aveva intuito, primo fra tutti, il significato dell’aerodinamica, e il suo Tulipano, insieme alla Torpedo, costituirono l’inizio dello studio della forma. Nel 1912 comparvero le prime macchine di serie prodotte dalla casa già carrozzate: seminarono il panico nei carrozzieri, che vi vedevano un inaccettabile attacco ai loro interessi. Ci pensò la guerra a distrarre gli animi, per lo meno quelli europei: perché la produzione automobilistica, carrozzieri compresi, fu quasi interamente convertita ad una produzione di guerra. Non fu così per gli americani, che non avendo una guerra in casa, poterono dedicarsi ancora al loro principale obiettivo: realizzare un prodotto in serie, a bassi costi, accessibile alla maggior parte della popolazione. Si presentarono sui mercati internazionali, alla fine della guerra, con vetture completamente rinnovate, dalle lamiere stampate, tecnica costruttiva che facilitava le linee curve. Colpisce confrontare le rigide squadrate vetture di casa nostra del 1919-1920 con quelle americane, che sembrano anni luce avanti, con le loro linee fluide ed eleganti. Ma nel 1923 l’Europa riacquista una momentanea supremazia con un nuovissimo modello destinato a grande successo: la Weymann, ideata dal costruttore francese che le diede il nome. Si trattava di uno scheletro di legno rivestito da un materiale di lavorazione ben più facile della lamiera, cioè da finta pelle (pegamoid). In questo modo si otteneva una vettura elegante, silenziosa, economica e facilmente riparabile. Per due anni fu un successo senza precedenti. Dopodiché cadde nel più assoluto oblio, essendosi rivelata fragile, deteriorabile, incapace di dare riparo ai passeggeri in caso di incidenti, come invece una carrozzeria a struttura metallica robusta. Insieme alla Weymann cadeva nel dimenticatoio anche la torpedo, simbolo stesso dell'automobile dei primi anni venti. Tutte le cure dei progettisti si stavano infatti concentrando sulla vettura chiusa, tanto che tra il 1920 e il 1930 il mercato si rovescia. Se la vettura chiusa costituiva nel 1920 il 10% della costruzione totale, nel 1928-29 è la vettura aperta a rappresentare un misero 2-3% delle vendite. La guida interna fu concepita per la prima volta da Renault, nel 1899. Aveva ideato come una specie di altissimo armadio, che raggiungeva il metro e 90, a due posti, con un motore De Dion di 3 1/2 HP. Ci provò anche l’americano Leland su una Cadillac, nel 1903; poi non se ne parlò più per quasi venti anni. Ma già nel 1924 vi fu una vettura a guida interna iscritta al Circuito del Mugello: significa che la tecnica costruttiva era arrivata al punto da potersi permettere un confronto persino sul piano delle prestazioni sportive. Siamo dunque in un periodo in cui la carrozza a cavalli è completamente dimenticata e surclassata; in cui l’automobile è comoda, veloce, affidabile, sempre meno sogno e sempre più realtà; in cui la concorrenza americana stimola i carrozzieri europei a sfornare modelli ancora più belli e curati che mai. La varietà di forme offerte è enorme, con un’infinità di definizioni e sottodefinizioni, quasi tutte originarie dal francese e dall’inglese, che non di rado gli stessi carrozzieri aumentavano, per battezzare, con nomi di fantasia, le loro ultime creazioni. A tal punto che la nazione storicamente meno propensa alle uniformizzazioni, la Gran Bretagna (che a tutt’oggi si rifiuta di accettare il metro e il grammo, per tacere dell’Euro) nel 1926 definì i ventuno tipi principali di carrozzeria. Fu un’idea della British Engineering Standards, una associazione di ingegneri che aveva appunto lo scopo di unificare tipi, materiali, sistemi costruttivi. Essi elaborarono una tabella, puntualmente ripresa da Auto Italiana, dove accanto ad ogni definizione veniva accostato il disegno della carrozzeria in modo da metterne in evidenza le peculiarità rispetto alle altre. Ecco l’elenco: 1. Two seater 2. Coupé cabriolet 3. Salon landaulette 4. Clover leaf (nome poeticissimo: foglia di garofano) 5. Open touring 6. Single landaulette 7. Three quarter cabriolet 8. Coupé 9. Brougham 10. Clover leaf coupé 11. Enclosed cabriolet 12. Clever leaf coupelette (piccolo coupé a foglia di garofano) 13. Three quarter landaulette 14. Enclosed limousine 15. Coupelette 16. Saloon 17. All-weather 18. Clover leaf cabriolet 19. Limousine 20. Single cabriolet 21. Enclosed landaulette Cosa pensarono di fare gli italianissimi redattori di “Auto Italiana”, in collaborazione con quelli della “Carrozzeria”? Indissero dalle pagine della rivista un referendum tra costruttori di automobili e di carrozzerie e gli stessi lettori per attribuire un nome italiano a ciascuna delle carrozzerie individuate dalla British Engineering Standards. In realtà gli stessi autori del referendum non si sognavano di cambiare radicalmente la nomenclatura della carrozzeria, ben sapendo quanta parte delle creazioni dei nostri carrozzieri andasse all’estero e dunque quanto fosse impraticabile un’autarchia linguistica che sarebbe risultata poco comprensibile sui mercati. Il vero scopo era arrivare ad attribuire un nome soltanto ed inequivocabile alla stessa carrozzeria, superando le ambiguità e le incertezze di un lessico complicato e pesante. Quattro anni dopo, nel 1930, sul numero di aprile della “Carrozzeria” si poteva leggere: “Negli anni scorsi bandimmo anche un referendum per trovare dei nomi italiani…ma la nostra iniziativa non ebbe alcun successo e dal canto loro i nostri carrozzieri contribuirono ancor più a imbrogliar la faccenda prendendo a prestito dall’estero i nomi più svariati e fantasiosi. Ed ogni anno che passa le cose si complicano ancor più perché aumentano i tipi di carrozzeria e più che altro si mescolano l’una con l’altra quelle caratteristiche che prima servivano appunto a differenziarli”. In Francia, per esempio, paese dove l’arte carrozziera si era affermata più magistralmente, si potevano individuare 23 tipi diversi di forme automobilistiche, due in più che in Gran Bretagna. Eccole: Phaeton; Torpedo; Torpedo-cabriolet; Coupé; Coupé-limousine; Limousine; Conduite-coupé; Demi-berline; Berline; Conduite-limousine; Landaulet; Landaulet-limousine; Cabriolet; Cabrioletlimousine; Conduite-landaulet; Conduite-landaulet-limousine; Conduite-cabriolet; Conduitecabriolet-limousine; Berline transformable; Conduite trasformable; Coupé-limousine demiconduite; Phaeton sport; Conduite-coupé sport. E chi ci si poteva raccapezzare? Chi era in grado, anche tra i più ferrati, di ricordare la differenza tra una conduite cabriolet limousine e una conduite landaulet limousine? Roba da perderci il senno. Più pragmatici come sempre gli americani, che di forme ne avevano individuate dieci soltanto: Roadster; Phaeton; Coupé; Coach; Closed coupled sedan; Sedan; Imperial sedan; Landau; Cabriolet; Convertible sedan. Più pragmatici, ma indipendenti abbastanza da usare una terminologia completamente diversa da quella europea. E gli italiani? Nessuno, tranne uno, cercò strade alternative a questa miriadi di definizioni, una più complicata dell’altra. Ci fu infatti una sola risposta, in tutta Italia, al referendum, ed arrivò tre anni dopo, nel 1929. “La nomenclatura della carrozzeria deve soddisfare ad alcuni requisiti…prima di tutto ad ogni nome deve corrispondere un tipo ben determinato ed unico di carrozzeria. In secondo luogo la nomenclatura deve essere facilmente accessibile ai costruttori e al pubblico. Come terzo requisito… è l’italianità delle denominazioni”. Continuava, l’anonimo autore sulle pagine di “La Carrozzeria” dell’ottobre 1929, che non erano tanto le denominazioni principali, quali torpedo, spider, coupé, cabriolet, a creare confusione; quanto quelle composte da due, tre, anche quattro parole, come lo spider clover leaf coupelette, che nessuno, tranne forse un anziano carrozziere britannico, sarebbe stato in grado di descrivere compiutamente. Ma in fondo, si chiese l’autore, che cos’è una carrozzeria? E’ un recipiente, si rispose, che si mette sullo chassis e dentro al quale devono stare delle persone. E allora…perché non denominare le carrozzerie a partire dal numero dei posti? In fondo, non si sarebbe fatto altro che estendere un concetto adottato già per parecchie carrozzerie sia nella nomenclatura inglese che in quella italiana (two seater…). Si sarebbe immediatamente messa in luce la finalità ultima di quella forma; e sarebbe stata una nomenclatura facilmente accessibile tanto ai costruttori quanto al grande pubblico. Importante però sarebbe anche stato far capire, all’interno dei nomi, se i posti sono o no coperti; e quanti scoperti o coperti da una semplice capotte. E’ a questo punto che le cose cominciano a complicarsi. “Si suppone che ogni carrozzeria abbia due sorta di posti: posti scoperti e posti coperti e si nominano i due numeri che indicano quanti posti dell’una e dell’altra categoria ci sono. Se i posti di una categoria sono mancanti, essi posti mancanti si indicano con la cifra zero”. Ecco i primi esempi: “Una carrozzeria torpedo, con tutti i quattro i posti scoperti, la chiameremo quattro-zero, perché, secondo quanto si è detto sopra, la seconda cifra indica i posti coperti, che nel caso della torpedo non esistono con uno zero. Una berlina a quattro posti tutti coperti resta individuata con la denominazione zeroquattro…Una carrozzeria che abbia posti scoperti e posti coperti come sarebbe ad esempio un Brougham verrebbe indicata con le denominazioni: uno-due: Brougham con un posto per il conducente e 2 per i passeggeri; due-due: Brougham con 2 posti scoperti davanti e 2 posti coperti dietro; uno-quattro: Brougham con un posto scoperto per il conducente e 4 posti coperti per passeggeri”. Vi pare sufficiente? All'autore invece non bastava. “Certe carrozzerie hanno degli strapontini che normalmente stanno ripiegati e si ribaltano in caso di necessità; non sono dei posti veri e propri ma dei posti di sussidio, come sarebbe a dire dei mezzi posti. Si può, volendo (ma qualcuno voleva?) distinguerli appunti con la voce mezzo intercalata tra le cifre che rappresentano i posti coperti e i posti scoperti”. Una torpedo da sei posti, definita triple phaeton, sarebbe stata denominata con questo sistema due-mezzo-zero. Ed ecco infine le “Norme per la nomenclatura proposta: “Si scrive dapprima la cifra dei posti. Se non ci sono posti scoperti se ne indica la mancanza mediante uno zero. Se i posti davanti sono coperti dal protendersi del tetto dei posti posteriori si usa la voce mezzo. Si scrive per seconda la cifra dei posti coperti. Se non ci sono posti coperti se ne indica la mancanza con uno zero. Se la copertura è ribaltabile si usa la voce mezzo. Se oltre i due tipi di posti ci sono degli strapontini si indicano pure con la voce mezzo”. Ed ecco, al posto dei garofani e dei tulipani, come sarebbe suonata la tabella inglese con i suoi ventuno tipi secondo la nuova proposta: two seater: due-zero; coupé cabriolet: mezzo-zero; saloon landaulette: zero-due-mezzo; clover leaf: tre-zero; open touring: sei-zero; single landaulette: mezzo-mezzo; three quarter cabriolet: due-mezzo; coupé: zero-due; brougham: due-due; clover leaf coupé: zero-tre; enclosed cabriolet: mezzo-mezzo-mezzo; clover leaf coupelette: zero-tre coupelette; three quarter landaulette: mezzo-mezzo-mezzo; enclosed limousine: zero-sei; coupelette: zero-mezzo; saloon: zero-quattro; all-weather: mezzo-mezzo; clover leaf cabriolet: zero tre cabriolet; limousine: mezzo-quattro; single cabriolet: mezzo-due; enclosed landaulette: zero-sei. Bella soddisfazione, in ufficio, annunciare ai colleghi invidiosi di essersi comprati un mezzomezzo; o sentire le urla della moglie perché anziché una zero-sei ci si è lasciati tentare da una zerodue. Insomma, il problema non si risolse. O meglio, in realtà una soluzione alla fine arrivò, ma fu decretata dal mercato, che emarginò lentamente una varietà così vasta di offerte, grazie ad una crescente industrializzazione e serializzazione anche delle carrozzerie. Inevitabile destino, ma più accettabile e glorioso della trasformazione di un garofano in uno zero. donatella Biffignandi Museo dell’Automobile 2001