1 « Come se fosse stato il Papa medesimo ». La legazione del
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1 « Come se fosse stato il Papa medesimo ». La legazione del
1 « Come se fosse stato il Papa medesimo ». La legazione del cardinal Pietro Aldobrandini (1600-1601) e la sua rievocazione Jean-François Chauvard « Di là speditamente egli giunse a Roma, dove fu recevuto dal zio con ogni più viva dimostrazione di tenerezza e di onore, e insieme da tutta la corte con ogni più festeggiante applauso, di voci e d’ossequio. Dopo il consistoro pubblico, che suol darsi a’ Legati e quando paratono e quando ritornano, egli poi ripigliò il solito ministerio di prima. »1 L'accoglienza -trionfale, secondo il cardinal Guido Bentivoglio- riservata a Pietro Aldobrandini (1571-1621) di ritorno della sua doppia legazione, sia per benedire solennemente l'unione tra Maria de' Medici ed Enrico IV, che per negoziare le trattative di pace tra Francia e Savoia riguardo al marchesato di Saluzzo, sanciva il trionfo della diplomazia di Clemente VIII. Il pontefice aveva infatti raggiunto una maggiore autonomia politica grazie ad un gioco di equilibri tra Spagna e Francia, operando a favore della pace tra gli Stati cattolici in modo da poter concentrare le sue forze su due obiettivi fondamentali : la lotta contro gli eretici e la formazione d'una coalizione conto i Turchi. Questo negoziato fu un momento cruciale delle relazioni tra la Santa Sede e il ducato di Savoia. Il duca Carlo Emanuele I (1562-1630), « libero et assoluto Prencipe »2 in Piemonte, conservava in virtù del trattato di Lione il marchesato, in cambio delle terre situate al di là dei monti ; nonostante ciò, le sue aspettative nei confronti del papato restavano disattese, prestandosi anzi a strumentalizzazioni aventi lo scopo d'influenzare il negoziato stesso. Le 2 buone intenzioni del cardinal Pietro Aldobrandini nei confronti del Savoia cedettero ben presto il passo all'irritazione di fronte alle astuzie e alla cattiva volontà del duca. Eccezionale sotto diversi punti di vista, la doppia legazione condusse il cardinal-nipote all'apice della gloria e dell'influenza nell'ambiente della Curia ; almeno fino a quando non apparvero i primi segni di contestazione da parte del cardinal Montalto, fautore del partito dei cardinali creato da Sisto V e dai nobili romani che osteggiavano tanto la pratica di governo che gli orientamenti politici, ormai apertamente anti-spagnoli, dell'Aldobrandini. I segni di frattura emersero poi chiaramente nel 1604, nel corso di una disputa in materia d'immunità diplomatica con il cardinal Odoardo Farnese. In questo contesto, l'atto di costruzione delle memorie di legazione è quantomai degno di attenzione : non avvenne nè sull'onda dei successi riportati, nè per controbilanciare le contestazioni di cui l'Aldobrandini fu l'oggetto, ma molto più tardi, quando la sua influenza s'era ormai affievolita. 1. I fatti son risaputi. L'antica disputa tra la Francia e la Savoia per il possesso del marchesato di Saluzzo prese nuovo vigore nel 1548, quando Enrico II si annettè la signoria del marchese, appena deceduto senza discendenti3. Una prima mediazione di papa Pio IV cercò di avvicinare due posizioni inconciliabili : il duca Emanuele Filiberto proponeva lo scambio di Saluzzo con la Bresse, per liberare il Piemonte dalla minaccia d'una invasione francese, mentre il re di Francia teneva a conservare un accesso in Italia. Emanuele Filiberto perseguiva con tenacia il progetto d'impadronirsi del marchesato. Nel 1579 sostenne la conquista del maresciallo de Bellegarde che Caterina de' Medici sfruttò poi a suo favore, nominando quest'ultimo governatore della piazza. 3 Dal canto suo, Carlo Emanuele I, figlio di Emanuele Filiberto, approfittando delle guerre della Lega, prese a pretesto un'incursione delle truppe capitanate dall'ugonotto Lesdiguières, giunto dal Delfinato nel settembre 1588, per impadronirsi del marchesato. Contrariamente a quanto sostenevano i Savoiardi, Papa Sisto V non aveva spinto all'annessione, ma anzi esortato il re di Francia alla pazienza nell'attesa di recuperare i territori, poichè dava la precedenza alla lotta contro l'eresia. É proprio a partire da questo obiettivo, perseguito con costanza, che si definisce la politica pontificia nei confronti di Francia e Savoia. Il rifiuto di Enrico IV di fronte all'imposizione d'una riduzione dei suoi domini, e il sostegno dato da Carlo Emanuele al partito dei Guisa in Provenza dopo aver avanzato pretese sul trono di Francia, non potevano che alimentare una guerra, intervallata da varie fasi di negoziato. Una di queste sfociò nella firma, il 23 ottobre 1595, del trattato di Bourgoin, che stipulava l'annessione di Saluzzo alla Savoia in cambio di circa mezzo milione di scudi, oppure di Barcelonette, di altre terre nella regione della Bresse e di 100000 scudi. Enrico IV, che non poteva risolversi ad abbandonare il marchesato, che il cardinale d'Ossat considerava « come una cittadella per i Francesi, che dà su tutta l'Italia, in particolar modo sul Piemonte »4, rifiutò di ratificare l'accordo sotto il pretesto della repentina scomparsa del negoziatore di Hermance. Carlo Emanuele cercò di sollecitare l'arbitrato di Clemente VIII, che considerava favorevole alle sue mire, benché il pontefice mantenesse una posizione più equilibrata tra le potenze cattoliche in seguito alla conversione e alla levata della scomunica che aveva colpito Enrico IV. Il Savoia sperava di trarre beneficio sia dalle reticenze di Clemente VIII alla presenza francese in Piemonte, che minacciava l'equilibrio italiano ; sia dall'ostilità del pontefice verso qualsiasi tipo d'accordo che potesse favorire la penetrazione dell'eresia protestante in Italia. L'idea che il papa parteggiasse per il partito savoiardo era condivisa dagli ambasciatori veneti 4 a Torino, e dal cardinal d'Ossat che nutriva dei dubbi sulla neutralità della mediazione pontificia5. Nonostante Enrico IV avesse ordinato a Lesdiguières la ripresa dell'offensiva nel 1598, il marchesato di Saluzzo non era che un interesse secondario nel momento in cui il papa si dedicava alla conclusione della pace tra le due monarchie cattoliche. I ministri inviati da Carlo Emanuele a Vervins furono esclusi dalla conferenza da Filippo II che non voleva che gli affari di Savoia interferissero nelle trattative con la Francia. Gli articoli del trattato di Vervins, firmato il 2 maggio 1598, lasciavano in sospeso la questione di Saluzzo6. Ciononostante, il cardinale di Firenze Alessandro de' Medici, che aveva presieduto ai dibattiti preparatori, impose l'idea dell'arbitrato pontificio che fu accettata sia da Carlo Emanuele, preoccupato di guadagnare del tempo prezioso ; sia da Enrico IV, per deferenza nei confronti del pontefice, da cui sperava ottenere l'annullamento del suo matrimonio con Margherita di Valois. Di temperamento indeciso, Clemente VIII accettò controvoglia un ruolo d'arbitro che rischiava di alienargli le due parti in causa. Forte delle sue vittorie e del suo buon diritto Enrico IV era deciso a respingere ogni negoziato, aggiungendo alle sue rivendicazioni una compensazione delle spese di guerra. Carlo Emanuele, quanto a lui, oscillava tra vani tentativi di negoziati diretti con Enrico IV7 e la sottomissione alla sentenza pontificia attesa entro il 2 maggio 1589. Le due parti non fornirono che tardivamente al papa dei titoli e degli argomenti8 il cui esame esigeva del tempo, rischiando di causare uno stallo, dato che i marchesi di Saluzzo avevano di volta in volta riconosciuto come sovrani il duca di Savoia e il re di Francia, secondo le circostanze. Senza rinunciare al suo ruolo d'arbitro, Clemente VIII cercò di ottenere il rinvio della scadenza del giudizio, spingendo le due parti a intraprendere negoziati diretti. Inviò in Francia il nunzio straordinario Bonaventura Secusio da Caltagirone, generale dei recolletti e patriarca 5 di Costantinopoli, incaricandolo di negoziare delle proroghe che ebbero per effetto di indisporre Enrico IV, sicuro del suo buon diritto e irritato dai temporeggiamenti del papa nell'emettere la sentenza. Il re propose allora che il marchesato fosse affidato al pontefice stesso. La soluzione del sequestro non era prevista dal papa che in caso di estrema necessità ; poiché Carlo Emanuele non intendeva privarsi dei vantaggi associati al possesso9, declinò l'offerta, aggiungendovi delle condizioni (riguardanti in particolare la rinuncia alla protezione di Ginevra), che furono a loro volta respinte da Enrico IV. La Santa Sede riuscì a convincere le due parti in causa a intraprendere dei negoziati diretti, offrendo la propria mediazione. Con la minaccia della guerra, e privato della garanzia d'un intervento spagnolo in suo favore, Carlo Emanuele accettò di riprendere le trattative recandosi egli stesso a Fontainebleau alla fine del 1599. Il papa inviò uno dei negoziatori del trattato di Vervins, il patriarca di Costantinopoli, che servì da intermediario tra il duca e il re, poco inclini al compromesso. La situazione si sbloccò quando i Francesi accettarono l'idea di uno scambio, proponendo la cessione di Saluzzo contro Pinerolo. Il trattato di Parigi firmato il 27 febbraio 1600 lasciava a Carlo Emanuele la possibilità di scegliere, nello spazio di tre mesi, tra due opzioni : la restituzione del marchesato o la cessione della Bresse, del vicariato di Barcelonnette, della Val di Stura e di Pinerolo in cambio di Saluzzo10. Questo accordo strappato dal patriarca presentava un doppio svantaggio per la Santa Sede : obbligava il papa a decidere sulla sorte di Saluzzo in caso di restituzione (articolo 16), lasciando aperto ai Francesi un accesso in Italia. Dato che, comunque, ristabiliva la pace, il trattato fu appoggiato dal papa, mentre non poteva soddisfare Carlo Emanuele che tentava di scacciare i Francesi fuori dal Piemonte. Forte delle promesse degli Spagnoli, il Savoia cercò di guadagnare tempo, ottenendo da Enrico IV, al termine della scadenza, un rinvio supplementare che non fu rispettato. 6 Il re raggiunse Lione alla fine del mese di luglio, e si preparò alla guerra prima che il conte di Fuentes, governatore del ducato di Milano, riuscisse a far arrivare i rinforzi alla Savoia. Dopo lo scacco delle ultime trattative, scatenò l'offensiva il 13 agosto, ordinando a Lesdiguières di penetrare in Savoia attraverso il Delfinato, e a Biron di portarsi a Bresse dalla Borgogna. In meno d'un mese il duca di Savoia perse tutti i suoi possedimenti oltremontani, ad eccezione di qualche piazza-forte : la cittadella di Bourg, il forte di Charbonnière, la piazza di Montmélian, giudicata inespugnabile (ma resasi il 16 novembre), il forte di Sainte-Catherine (alle porte di Ginevra, conquistato il 18 dicembre), e i colli della valle della Tarentaise. Il re di Francia era dunque divenuto padrone della Bresse, di Chambéry, della Tarentaise e della Maurienne. 2. Davanti alla gravità d'un conflitto che minacciava di rinfocolare la discordia tra le due monarchie cattoliche portando la guerra in Italia, papa Clemente VIII non aveva altra scelta che interporre la sua mediazione. Durante il concistoro del 25 settembre, decretò una doppia legazione a latere che affidò al nipote, il cardinale Pietro Aldobrandini. La prima riguardava il matrimonio tra Enrico IV e Maria de' Medici che doveva essere celebrato per procura a Firenze ; la seconda aveva per oggetto i negoziati di pace tra la Francia e la Savoia11. La legazione partì da Roma il 26 settembre per raggiungere, passando da Siena, Firenze, dove arrivò il 4 ottobre. Il legato presiedette al matrimonio per procura tra il re di Francia e Maria de' Medici. Nel frattempo, due emissari erano stati inviati a preparare la sua seconda missione : il patriarca di Costantinopoli presso Enrico IV, e il suo segretario Erminio Valenti presso il duca di Savoia e del conte di Fuentes, del quale doveva sondare le intenzioni. Dopo una sosta a Ferrara e a Parma, Aldobrandini s'intrattenne dal 19 al 21 ottobre a Voghera con Fuentes, che lo seguì fino a Tortona, dove incontrò Carlo Emanuele. Dopo tre giorni di discussione, convinse il duca ad aderire ad un protocollo che prevedeva la restituzione del 7 marchesato oppure la sua cessione in cambio di territori savoiardi oltremontani. Il legato ottenne dal duca anche l'invio di due ministri plenipotenziari in difesa dei suoi interessi nel corso del negoziato. Il 4 novembre attraversò il colle del Moncenisio e, dopo aver percorso la Maurienne, giunse il giorno 8 a Chambéry : qui, incontrò Enrico IV che accettò d'aprire le discussioni, sotto il suo arbitrato, con i delegati savoiardi che Emilio Valenti era andato a prendere in Piemonte. Dopo aver toccato le scrofole, il re lasciò Chambéry il 12 per comparire davanti al duca, che minacciava di spingersi nella Tarentaise con truppe fresche. La legazione rimase ancora per qualche giorno a Chambéry, in attesa di Valenti che fece ritorno il 24 con i plenipotenziari designati dal Savoia : Francesco Arcanoti, che l'aveva già rappresentato in Francia, e René de Lucinge, presidente del Parlamento di Chambéry. I due ministri furono ammessi nella capitale savoiarda il 28 presso Enrico IV, che a sua volta designò Jeannin e Silléry come suoi plenipotenziari. Dopo la capitolazione del forte di Sainte-Catherine, il re invitò ufficialmente il legato Aldobrandini alle feste per le sue nozze a Lione, dove doveva incontrare la regina, sbarcata a Marsiglia. Il legato riuscì a convincere gli ambasciatori savoiardi a seguirlo, non senza reticenze, a Lione dove si sarebbero svolti i negoziati. Aldobrandini raggiunse il lago del Bourget il 10, per imbarcarsi il 12 à Yenne, sul Reno ; da lì discese fino a Lione, dove risiedette nell'abbazia d'Ainey. Su domanda di Enrico IV che non voleva accontentarsi del matrimonio ufficiale celebrato a Firenze, il cardinal Aldobrandini riprese la sua prima missione : dopo un'entrata solenne, presiedette una cerimonia religiosa per poi assistere alle feste che seguirono. La fine delle solennità vide l'inizio dei negoziati, che però furono presto paralizzati dagli eccessi delle due parti in causa. I Savoiardi, che respingevano le compensazioni stabilite dal trattato di Parigi, stavano per accettare la restituzione pura e semplice del marchesato. I Francesi, dal canto loro, reclamavano in più i versamenti delle 8 entrate per 12 anni, un'indennità di guerra, e la rinuncia del duca a tutti i diritti. Il legato minacciò allora d'abbandonare i negoziati e portarsi ad Avignone. In assenza del re, tornato a Parigi, Aldobrandini sottopose una proposta -restituzione o scambio- che comportava due condizioni : la Savoia avrebbe conservato le piazze-forti intorno a Saluzzo (Casteldelfino, Centallo, Demonte, Roccasparviera), diversamente da quanto previsto dal trattato di Parigi ; la Spagna avrebbe disposto d'un passaggio tra la Savoia e la Franca Contea per l'invio di truppe. Coscienti che questa seconda condizione fosse stata richiesta per fare in modo che la Spagna si portasse garante dell'accordo, i Francesi l'accettarono offrendo come punto di passaggio il ponte di Grésin. Ma l'annuncio della distruzione del forte di Sainte-Catherine che teneva a bada la Ginevra calvinista fu considerata come un'offesa dal cardinal Aladobrandini, che interruppe quindi le trattative. Rosny riuscì a riportarlo verso i negoziati, con la promessa di ricostruire il forte, diminuendo anche le indennità richieste ai Savoiardi. Dopo aver ridimensionato le pretese francesi, il legato convinse il duca di Savoia ad autorizzare i suoi ministri a firmare il trattato. Il giorno stesso della firma, il 16 gennaio 1601, giunse però una lettera che gli intimava il contrario : il cardinale si vide allora obbligato a forzare la mano ai plenipotenziari12. Al termine dell'accordo, la Savoia perdeva la Bresse, la regione di Bugey e Gex, oltre a Valromey ; doveva pagare 50000 scudi per le spese di guerra, guadagnando però in cambio il marchesato di Saluzzo, recuperando le altre sue piazze savoiarde senza gli armamenti sequestrati. Il trattato rinforzava le posizioni del ducato sul versante piemontese, corroborando inoltre un cambiamento iniziato nel 1563 con il trasferimento della capitale da Chambéry a Torino. Il regno di Francia si estendeva in direzione del Reno, spostando la frontiera, presso Lione, a Ginevra. 9 Il 23 gennaio, il cardinal Aldobrandini lasciò Lione per Avignone, dove apprese che il duca di Savoia rifiutava di ratificare il trattato dietro consiglio del Fuentes, e che aveva inviato a Roma il cancelliere Belli per chiedere al papa una revisione del trattato. Incaricò il nunzio Silingardi13 e Ottavio Tassone di negoziare a Lione presso i Francesi un prloungamento della tregua dopo l'intervallo di un mese richiesto per la ratifica. Aldobrandini si rimise in viaggio il 5 febbraio, attraversando la Provenza innevata, per raggiungere Cannes, dove si imbarcò per Nizza il giorno 11 febbraio. Giunse a Genova via mare dove fu ricevuto dal 16 al 21 febbraio. Forte della sicurezza di cui faceva prova il papa che aveva respinto le lagnanze di Belli, e in attesa della risposta di Filippo III che era il solo a poter piegare il Savoia, il 22 Aldobrandini decise di recarsi a Tortona ad incontrare Fuentes, che finalmente si mostrò conciliante impegnandosi a non appoggiare militarmente Carlo Emanuele. Dato che l'incontro previsto con quest'ultimo a Voghera fu annullato, il legato si recò il 28 a Milano, sempre attendendo la lettera di Filippo III ; risposta che giunse il 1° marzo e che ingiungeva al duca di firmare il trattato, nell'interesse, evidentemente, della Spagna. Fu cosa fatta il 6 marzo ; dopodichè Aldobrandini prese la strada del ritorno, passando da Parma, Ferrara, poi Ancona e Loreto dove rese grazie per la buona riuscita della sua missione, prima di fare la sua entrata a Roma il 29 marzo. La mediazione pontificia proseguì durante la delicata fase d'applicazione del trattato di pace. Gli articoli di restituzione firmati il 16 marzo furono difficili da mettere in pratica. Aldobrandini fece pressione sul duca perché accettasse di pagare delle indennità salate a Lesdiguières, che teneva in ipoteca Barcelonnette. Chiese poi al nunzio Silingardi di appellarsi al re contro lo stesso Lesdiguières che aveva provocatoriamente raso al suolo il forte di Beauvoisin, e che rifiutava di rendere la Tarentaise e la Maurienne, dietro il pretesto che il duca non aveva ancora versato le indennità dovute alla Francia. Gli sforzi congiunti del 10 nunzio e del papa presso il re condussero alla restituzione delle terre ancora occupate in Savoia. Dopo aver operato per stabilire la pace tra il re cattolico e il re cristianissimo, la Santa Sede riportava una nuova vittoria diplomatica, grazie alla quale aveva realizzato uno dei suoi obiettivi più ambiziosi : instaurare la pace tra le potenze cattoliche per meglio lottare contro l'Infedele in Ungheria e contro l'eresia in Europa. 3. Indipendentemente dal successo che l'avrebbe poi coronata, la legazione di Aldobrandini aveva rivestito sin dagli inizi una dimensione particolare : quella, a latere, d'un cardinale, dato che il papa pensava che la gravità dell'affare e l'importanza dei protagonisti richiedessero un legato di rango14. La legazione a latere fu condotta soprattutto dal nipote del papa, che aveva precedentemente rivestito la medesima funzione nel 1598, al momento della devoluzione di Ferrara. Pietro Aldobrandini mostrava di possedere eccellenti qualità personali15. Di maniere urbane e carattere accessibile, sano, giovane (29 anni), Aldobrandini possedeva i talenti dell'abile negoziatore : pazienza, fermezza e prudenza16. Era inoltre colui che meglio conosceva il dossier, dato che alla Segreteria di Stato era incaricato degli affari di Francia, Spagna e Savoia fin dall'inizio del pontificato. Mano a mano che s'andava affermando il potere di Enrico IV, Aldobrandini fu uno dei sostenitori, anche se con qualche esitazione, dell'assoluzione e quindi della riabilitazione del Bearnese, che aveva sottoposte a condizioni (la pace con la Spagna, e la rottura con gli Stati protestanti) ; vedeva infatti nel rafforzamento della monarchia francese il modo di controbilanciare la potenza spagnola, allo scopo di conferire alla Santa Sede una maggiore autonomia politica. Da Roma, operò con costanza per concludere la pace tra le potenze cattoliche, prima tra Francia e Spagna ; poi tra Francia e 11 Savoia, ispirando gli sforzi di mediazione pontificia, come testimonia la sua nutrita corrispondenza con i nunzi presso Enrico IV e Carlo Emanuele. Il cardinale Aldobrandini riuscì a porre in atto una concentrazione di poteri, più di quanto non avessero potuto fare i suoi predecessori alla Segreteria di Stato. Esercitando una forte influenza sul cugino Cinzio Aldobrandini, al quale erano stati inizialmente affidati gli affari di Germania, Italia e Polonia, il cardinale divenne l'unico artefice della diplomazia pontificia, che continuò a dirigere da Ferrara, dove risiedette nel 1598 in qualità di legato a latere incaricato di condurre a buon fine la devoluzione del ducato agli Stati della Chiesa. Pietro Aldobrandini, che allora rivestiva la doppia carica di Camerlengo e Segretario di Stato (ufficialmente condivisa con suo cugino), ha dunque ricoperto un ruolo decisivo nel processo d'accrescimento dei poteri in mano al cardinal-nipote, e ciò con il pieno assenso di Clemente VIII17. Fu aiutato nell'impresa da collaboratori a lui dediti e brillanti, tra i quali figurano il suo segretario personale Erminio Valenti ; i fratelli Girolamo e Giovanni Battista Agucchi ; il conte Ottavio Tassone, e Leone Strozzi : presero tutti parte alle sue missioni in qualità di legato, e tutti furono ricompensati da Clemente VIII per i loro eccellenti servigi. Nel corso della sua legazione, Aldobrandini poteva appoggiarsi su una rete di connessioni diplomatiche di cui occupava la posizione centrale, e che si articolava a partire da ricchi sc ambi epistolari : con il papa e il cardinale di San Giorgio a Roma ; con il nunzio Riccardi e Erminio Valenti a Torino ; con il patriarca, il nunzio Silingardi e Leone Strozzi in Francia18. Forte delle sue qualità, della sua esperienza e del suo entourage, Pietro Aldobrandini era proprio l'uomo adatto, a giudizio del nipote stesso di Gregorio XIV, il cardinale Paolo Camillo Sfondrato19. Il cardinale Aldobrandini poteva avvalersi d'una doppia autorità. La prima, di natura giurisdizionale, gli era stata delegata dal pontefice. Secondo le istruzioni di quest'ultimo, Aldobrandini disponeva della piena facoltà di impegnarsi in nome e per conto della Sede 12 apostolica, come pure del potere di comminare la pena della scomunica ai principi, attributo precipuo della supremazia spirituale del papa20. La seconda autorità era di natura familiare. Essendo dello stesso sangue del papa, Aldobrandini riceveva, in virtù di ciò, parte della sacralità che emanava dalla persona del pontefice. Rappresentante del papa sul piano giuridico, il cardinale era il suo sostituto sul piano simbolico. Proprio facendo appello a questa doppia autorità, Pietro Aldobrandini spiegò all'ugonotto Rosny la ragione per la quale l'aveva potuto incontrare, mentre il patriarca aveva rifiutato di farlo : « Ma il Cardinale lo scusò, dicendo che altra autorità haueua egli e molte cose a lui, come Legato e nepote di Papa, conuenirsi, che ad vn Nuntio non sarebbe conueniente […] »21. La legazione Aldobrandini assomigliava ad un viaggio pontificio ; il che la rendeva fuori dal comune, dato che i papi raramente si allontanavano da Roma viaggiando fuori dai confini dei loro Stati. Se Clemente VIII si era recato a Ferrara nel 1589, era per prendere possesso del ducato ; proprio come, prima di lui, Clemente VII si era messo in viaggio per Bologna nel 1530, per l'incoronazione di Carlo V . Ed è al pari del papa che il cardinale fu trattato di volta in volta dai suoi ospiti. Il suo segretario Giovanni Battista Agucchi non sbagliava quando scriveva che il re di Francia aveva ordinato al maestro di cerimonie di « ricevere et honorare S. S. illustrissima come se fosse stato il Papa medesimo”22. Ovunque i principi si facevano un onore d'inviare degli emissari di rango elevato, e recandosi essi stessi ad incontrare Aldobrandini quando questi faceva ingresso nei loro Stati23. Così Carlo Emanuele lasciò Tortona, in cui avrebbe avuto luogo il suo primo e unico incontro con il legato, per recarsi nel ducato ad accoglierlo di persona. I Medici e i Farnese lo ospitavano nelle loro rispettive 13 residenze, a Firenze e a Parma. Aldobrandini risiedette sia a Torino che ad Avignone nei palazzi vescovili; a Genova, nel palazzo di Giovanni Battista Doria, messogli a disposizione dalla Repubblica; a Lione, nell'abbazia d'Aynet, su invito del re che però non fu generoso quanto a sistemazione degli appartamenti e mantenimento del seguito del cardinale. A tavola, gli ospiti riservavano sempre il posto d'onore all'Aldobrandini; a Lione, il cardinale prese parte ad un sontuoso banchetto organizzato da Stefano Buonvisi. La benedizione dell'unione tra Enrico IV e Maria de' Medici conferì al viaggio un lustro cerimoniale tutto particolare. Il legato fece due entrate solenni, a Firenze, poi a Lione, dove ripercorse lo stesso cammino seguito solo alcuni giorni prima da Maria de' Medici: in tenuta da cerimonia, incedeva su una mula, riparato da un baldacchino, in uno scenario effimero fatto d'archi trionfo inneggianti alla famiglia fiorentina24. Durante tali cerimonie, la folla, numerosa, si accalcava al suo passaggio, proprio come se sfosse il papa in persona. Il legato fu particolarmente attento a difendere in ogni occasione la dignità pontificia. Il suo segretario Agucchi non nascondeva un certo disagio, che poteva rasentare l'umiliazione quando Aldobrandini non riceveva gli onori dovuti al suo rango, sia perché le condizioni di viaggio erano proibitive; si perché durante gli spostamenti l'alloggio era rudimentale e la tavola grossolana; sia ancora perché le maniere dei suoi ospiti -francesi- erano trascurate, o lo svolgimento delle cerimonie caotico. Il legato vegliava a che i vescovi rispettassero, nella sua persona, le prerogative del potere pontificio durante le cerimonie, oppure in questioni d'etichetta: intendeva « sostenere il grado e la persona che rappresentaua con puntualità, piaceuolezza e cortesia insieme »25. L'edificazione passava innanzitutto da un comportamento esemplare. Aldobrandini rifiutò la carrozza e i cavalli che il conte di Fuentes gli aveva offerti a Tortona, per non ritrovarsi in debito nei confronti di quest'ultimo26. Come pure declinò la proposta di fare un'entrata solenne a Torino e a Genova, perché non poteva vestire gli abiti da cerimonia, rimasti indietro insieme 14 ad una parte del seguito a causa di imprevisti di viaggio. Esigeva dai suoi compagni la medesima disciplina che imponeva alla sua persona. La magnificenza del corteo di 1000 persone che l'avevano accompagnato a Firenze e che vedeva in prima fila vescovi, baroni romani, dignitari della curia e teologi, lasciò il posto, per il resto della missione, ad un seguito ristretto formato da più d'un centinaio d'uomini tra i quali figuravano il vescovo d'Avellino, il suo medico, due predicatori (i padri Monopoli e Tolosa), la maggior parte degli ufficiali curiali (i segretari Erminio Valenti, Giovanni Battista Agucchi; il maestro di casa Cesare Pandini; il maestro di cerimonie Guido Prevosti); dei nobili (Antonio Schiaffinati, Matteo Argenti, Clemente Delfini, Lorenzo Bernardini, Luigi Marliani), e il personale di casa. Dopo aver attraversato il Moncenisio27, Aldobrandini li esortò tutti a comportarsi in modo esemplare, proibendo loro di fare richieste: « Non ha mai voluto che si dimandi un stecco, ne manco che si ricusai niente »28. L'esigenza d'osservare un comportamento irreprensibile, impregnato di ritegno, da parte dei suoi era associata alla volontà del legato di fare del viaggio una missione pastorale. Non perse un'occasione di applicare le raccomandazioni della riforma tridentina. Al suo arrivo a Tortona, Aldobrandini ordinò che l'orazione delle Quarant'ore fosse praticata in tutte le chiese deu ducati di Savoia e Lombardia, somministrando lui stesso la comunione29. Aldobrandini reiterò gli stessi gesti a Chambéry, accompagnati stavolta dalla concessione d'indulgenze30. Invitò i due predicatori di fama che l'accompagnavano, Monopoli e Tolosa, a predicare a più riprese in presenza d principi e vescovi. Non mancò di visitare le chiese degli ordini più attivi nella riforma religiosa. Difese con fermezza la disciplina ecclesiastica di fronte a un Enrico IV che intendeva conferire una solennità particolare alle feste per il suo fidanzamento. Considerando che la cerimonia di Firenze costituiva l'autentico matrimonio religioso, Aldobrandini rifiutò sia di celebrare una messa solenne cantata che di riinnovare la cerimonia dell'assenso, in favore d'una messa bassa. Infine, diede prova di pietà 15 personale inchinandosi davanti alla Sacra Sindone a Torino, e recandosi a Loreto per render grazie alla Vergine per il successo della sua missione. Al di là di questi obiettivi immediati, la legazione serviva a confortare i nuovi orientamenti diplomatici della Santa Sede in Italia. La celebrazione del matrimonio tra Enrico IV e Maria de' Medici costituiva il perfezionamento del riavvicinamento tra il papato e il Granducato di Toscana, e più ancora la reconciliazione tra la famiglia Aldobrandini e la Casa de' Medici. Il viaggio permise, all'andata come al ritorno, una sosta più che opportuna a Parma, in segno d'alleanza tra i Farnese e gli Aldobrandini, sancita dalle nozze tra il duca Ranuccio e Margherita, figlia di Gianfrancesco e d’Olimpia Aldobrandini31. Sulla via del ritorno, la visita a Genova, dove Aldobrandini fu accolto sontuosamente, rinforzò i legami con una Repubblica posta nell'orbita spagnola all'apice della sua potenza finanziaria. Infine, la legazione permetteva d'affermare l'autorità del papa sui suoi Stati : nel Comtat che formava un'enclave nel Regno di Francia ; in Romagna e nelle Marche, che il legato attraversò al suo ritorno fermandosi a Ravenna, Rimini, Ancona, Fano, Loreto e Foligno. Ma la preoccupazione principale d'Aldobrandini era di onorare con la sua presenza Ferrara dove aveva soggiornato sia all'andata che al ritorno : in questo modo intendeva rinforzare il legame personale che l'univa alla città, la riannessione della quale aveva appena presieduto, prendendo abili decisioni in materia fiscale e giudiziaria32. 4. Per riuscire a conciliare posizioni contrapposte, il cardinale dovette perpetuamente fornire garanzie di neutralità, mostrandosi al contempo intrasigente nel difendere gli interessi della Santa Sede. La Francia e la Savoia accordavano sufficiente credito all'offerta di mediazione del papa, tanto da accettarla, ma fingevano di dubitare che la sua neutralità fosse sincera. 16 Il compito del cardinal Aldobrandini consisteva dunque nel convincere le due parti che il papa stesse tentando d'instaurare la pace tra gli Stati cattolici sulla falsariga della politica inaugurata dal concilio, operando così per la « salute della christianità », indipendentemente da qualsiasi considerazione personale33. Nel 1599, il papa era restio ad accettare la proposta di Enrico IV di porre sotto sequestro il marchesato per non dare adito alle insinuazioni dei fautori della guerra : questi sospettavano che il pontefice intendesse creare un principato per Gianfrancesco Aldobrandini, a scapito della Francia, come sosteneva il cardinale d'Ossat ; o della Savoia, come temeva il duca34. Non soltanto il papa non ne aveva l'intenzione, ché un tale progetto non rientrava più negli usi pontifici; nel corso dei negoziati fornì addirittura le prove del suo desiderio di vedere infine stabilita la pace : nel dicembre 1600, ad esempio, durante una fase di stallo delle trattative, propose di pagare una parte delle spese di restituzione che il duca rifiutava persino di contemplare35. Il Legato dovette dunque offrire garanzie della sua buona fede. Nonostante si recasse a Chambéry su invito d'Enrico IV, e fosse accolto con i più grandi onori dalla corte36, Aldobrandini non ispirava fiducia ai Francesi, che lo sospettavano di parteggiare per i Savoiardi. Non giocava certo in suo favore il fatto d'aver rifiutato, nel 1586, d'interessarsi degli affari di Francia presso la corte di Roma, accettando invece nel 1598 di seguire gli affari della Savoia, abbinati stavolta ai benefici d'una ricca abbazia. Gli si attribuiva inoltre il disegno di far sposare una delle sue nipoti con l'erede di Carlo Emanuele, in modo da consolidare l'alleanza degli Aldobrandini con le grandi famiglie principesche della Penisola, come lasciava presagire il precedente delle nozze tra Ranuccio Farnese e Margherita. Infine, i Francesi sospettavano il Papato di sostenere la Savoia, dietro il pretesto che Carlo Emanuele teneva a bada i Genovesi, e conduceva una vigorosa campagna contro gli eretici nei suoi Stati37. Il cardinal Aldobrandini si era scontrato con l'ostilità del cardinale d'Ossat che aveva tentato d'impedirne l'invio in missione,38 convincendo Sillery e l'entourage del re che il legato 17 intendesse servirsi dell'arbitrato per temporeggiare, permettendo così alla Savoia di ricomporre le sue forze con l'aiuto della Spagna. Aldobrandini se ne crucciò in una lettera indirizzata al cardinale di Saint-Georges, recante la data del 16 novembre, e nella quale rendeva conto dei cambiamenti operati presso il re al termine dell'udienza ufficiale del giorno 11 novembre39. In quell'occasione, il legato aveva proclamato la sua intenzione di firmare la pace in nome del papa e a beneficio della cristianità. La sua presenza e gli argomenti addotti avevano convinto il re : questi, benché agli inizi avesse condiviso la diffidenza dei suoi ministri in proposito, sapeva quanto la nobiltà e il partito cattolico fossero restii alla guerra40. Non dubitando più del fatto che il papa volesse mantenere con fermezza l'equilibrio tra le due parti in causa, il re aderì dunque al principio dell'arbitrato. La diffidenza di alcuni ministri, in particolare di Sillery, non fu però completamente dissolta, non foss'altro perché le accuse di servire la causa savoiarda furono strumentalizzate nel corso del negoziato. L'incidente dello smantellamento del forte di Sainte-Catherine ad opera dei Genovesi con la complicità dei Francesi ne fornisce un esempio. Scandalizzato - « spianato » écrit-il 41 - da una tale offesa agli interessi della Chiesa42, il legato reagì vigorosamente rompendo il negoziato, seguito dai delegati savoiardi, e minacciando di partire per Avignone43. I Francesi, a disagio, interpretarono questa reazione come una manovra favorevole ai Savoiardi44. Bisognò che Rosny promettesse la ricostruzione del forte perchè le trattative riprendessero. Il legato seppe sfruttare l'incidente in modo che Ginevra non traesse alcun beneficio dal trattato di Lione, trovandosi anzi in perdita, poiché il paese di Gex, sulle quali aveva avanzato delle pretese, le sfuggì. L'episodio del forte di Sainte-Catherine fu rivelatore della controversia persistente tra la monarchia francese e il papato a proposito della questione protestante. Mentre la prima, instaurando un regime di coesistenza religiosa mediante l'editto di Nantes, si era appoggiata su ministri e capi riformati (Rosny, Lesdiguières), e non era disposta a rinunciare alla sua 18 alleanza con gli Stati protestanti, il secondo impiegava tutte le forze diplomatiche di cui disponeva al servizio della lotta contro l'eresia, che passava tanto dalla riconquista spirituale, che dall'isolamento degli Stati riformati. La Santa Sede non poteva che opporsi alle iniziative che rischiavano d'introdurre in Italia e il protestantesimo, e la guerra. Per questa ragione il legato si inquietò per l'occupazione di Barcelonnette, e dell'incursione in Piemonte delle truppe ugonotte di Lesdiguières nel gennaio 160145 ; oltre al fatto che queste avanzate rischiavano d'accrescere le esigenze francesi, causando poi una reazione da parte degli Spagnoli. In questo contesto, non sorprende che il papato abbia privilegiato l'opzione dello scambio piuttosto che della restituzione del marchesato di Saluzzo : era infatti nel suo interesse che la Francia non disponesse di facilitazioni territoriali per interventi armati nella Penisola. Lotta accanita contro l'eresia e preservazione della pace in Italia : questi due obiettivi, di primordiale importanza per la diplomazia pontificia, potevano contrariare gli interessi politici della monarchia francese e perciò stesso alimentare un clima latente di diffidenza reciproca, che un incidente bastava ad infiammare. Così i tentativi infruttuosi del legato nel convincere il re ad ammettere i decreti del concilio di Trento, autorizzando il ritorno dei Gesuiti, rammentavano al papato il vigore del gallicanesimo. 5. Le stesse ragioni per le quali i Francesi sospettavano il papato di parteggiare per la Savoia inducevano Carlo Emanuele a credere che questa potesse essere ben disposta nei suoi confronti. Il duca aveva dato garanzie circa la sua intransigenza verso le comunità protestanti di Chablais, alle quali il papato certo non poteva restare insensibile ; aveva convinto il cardinal Aldobrandini ad accettare di occuparsi degli affari di Savoia in cambio di considerevoli vantaggi finanziari ; accoglieva favorevolmente il progetto d'una alleanza tra le due famiglie che gli avrebbe valso un sostegno politico ; non ignorava che la Santa Sede, pur 19 essendosi dissociata dal sostegno incondizionato alla Spagna, e pur avendo apprezzato l'appoggio di Enrico IV al momento della devoluzione di Ferrara, era restia ad un'eccessiva presenza francese in Italia. Ma, aggredito e privato dei suoi Stati oltremontani, Carlo Emanuele restava un fautore della guerra, confortato dalle promesse di assistenza da parte del conte di Fuentes -« essendo egli di natura amatore della guerra »46 - e dall'oltranzismo del suo entourage spagnolo47 ; dal canto suo, il papato voleva impedire ad ogni costo che il conflitto si estendesse oltre i confini della Savoia, mettendo così in pericolo la pace sancita a Vervins tra le monarchie cattoliche48. In più, l'attitudine di Carlo Emanuele, che oscillava tra concessioni e indietreggiamenti fin dalla denuncia del trattato di Parigi, aveva finito per stancare, a Roma, dove lo si giudicava « instabile », al dire del papa stesso 49. Il duca e il legato non giunsero dunque nelle migliori condizioni di spirito all'incontro di Tortona. Il primo non nascondeva la sua delusione davanti alla neutralità rivendicata dalla Santa Sede 50 ; il secondo non si fidava della versatilità del duca, delle sue provocazioni e della propensione a far valere la protezione del papa 51 . D'altra parte, se il legato contava intrattenersi con il conte di Fuentes per ottenere delle garanzie sul non-attraversamento delle Alpi da parte delle truppe spagnole -cosa che ottenne-, lo contrariava il fatto di dover incontrare il duca in presenza del governatore di Milano, dato che preferiva l'elasticità delle trattative bilaterali. Al suo arrivo a Tortona il 21 ottobre, Aldobrandini s'installò nel palazzo vescovile, dove fu raggiunto dal conte di Fuentes e, due giorni più tardi, dal duca di Savoia, accompagnato dall'ambasciatore di Spagna, don Mendo di Ledesma ; dal marchese d'Ansa, don Giovanni Mendoza ; dal il cancelliere Belli e dal nunzio Riccardi. Giovanni Battista Agucchi stese un ritratto impietoso del duca, che rende conto dello stato d'animo di quest'ultimo nelle situazioni avverse : 20 “Egli è di persona piccola et ha le spalle curve, ma ha la faccia grande e nobile et che mostra nell'apparente un animo da prencipe. Se ne stette in que' giorni molto sopra di sé et più tosto con segnale d'animo perturbato e mesto che tranquillo e lieto, o fosse ch'egli, ritenendo un'apparente gravità, stava di più così posto nel negotio che si ravisava ad huomo profondamente cogitabondo o perchè, andando male le cose sue in Savoia, poichè s'intendeva che il Governatore di Momigliano haveva pattovito di renderlo se non era soccorso fra un mese, si vedeva constretto di venire a quelle conditioni di pace ch'egli non havrebbe voluto.”52 Il negoziato ebbe luogo tra il 23 e il 25 ottobre, e si svolse in tre sessioni. Il duca e il conte presentarono le loro proposte ripartendole in quattro capitoli, disposti in ordine di preferenza: porre il marchesato nelle mani del papa per tre anni, in attesa d'un giudizio definitivo; restituirlo, a condizione di costituire una lega condotta dal pontefice per impedire ai Francesi di minacciare l'Italia; affidare al papa la designazione immediata del sovrano del marchesato; scambiare Saluzzo con Pinerolo, concedendo il baliato di Gex come unica compensazione al di là delle Alpi53. Ai primi tre punti, relativi alla restituzione con l'intervento del papa, Aldobrandini oppose un netto rifiuto, motivandolo con il fatto che l'affidamento al papa era già stato escluso in precedenza; che costituire una lega sarebbe stata un'operazione lunga, mentre invece ere necessario far cessare i combattimenti; che non si sarebbe potuta emettere alcuna sentenza pontificia senza un approfondito esame degli argomenti dei vari partiti. La quarta proposta, poi, dava per scontato il principio dello scambio, il che non era il caso. Dopo due giorni di discussioni, il legato impose allora un accordo che poneva le basi del negoziato che avrebbe arbitrato lui stesso: la restituzione, come richiesto da Enrico IV, e la compensazione, di cui però le modalità restavano ancora da definire. 21 Il duca accettò d'inviare due plenipotenziari in Savoia perché negoziassero a suo nome. « E così partì il Duca non molto allegro », come confida Pietro Aldobrandini nella sua relazione54. Il cardinale prolungò le discussioni qualche giorno più tardi, a Torino, dove fu ricevuto con fasto al castello, e dove celebrò la messa d'Ognissanti in cattedrale, prima di presiedere, l'indomani, la cerimonia di esposizione della Sacra Sindone. Il duca e il legato non si sarebbero più rivisti ; la diffidenza reciproca troverà però altre occasioni di manifestarsi. La prima fu nel mese di gennaio, quando il duca, restio a concludere, spingeva perché il cardinale migliorasse i termini dell'accordo, ora che il principio dello scambio era ormai acquisito55. Secondo una diceria proveniente da Torino, fatta circolare dall'ambasciatore di Spagna in Savoia e trasmessa al papa dal duca di Sessa, ambasciatore a Roma, il legato sarebbe stato impaziente di chiudere i negoziati a scapito della Spagna per fare rientro a Roma. Si trattava di una campagna diffamatoria pura e semplice, il cui scopo era di far sì che Clemente VIII prendesse le distanze da suo nipote, dato che quest'ultimo sapeva perfettamente che lo scambio dovesse offrire garanzie circa il passaggio delle truppe tra la Savoia e la Franca-Contea, perché fosse accettato dalla Spagna. Clemente VIII non vi prestò fede, ma il cardinale giudicò opportuno di riportare l'accaduto nella sua relazione56. L'irritazione del legato non fece che aumentare al momento della firma del trattato, dato che i ministri plenipotenziari che erano stati autorizzati ad apporre la propria firma ricevettero il giorno stesso una missiva che ingiungeva loro di non farlo. Il legato appoggiandosi all'ambasciatore spagnolo, dovette dunque convincerli a procedere oltre, firmando una dichiarazione mediante la quale egli si attribuiva l'intera responsabilità della firma57. Ora che non poteva più prendersela con il legato, il duca, furioso, mise al bando i suoi due ministri. D'Allymes si trovò costretto a elemosinare la protezione del papa, ricevendo come magra compensazione della sua caduta in disgrazia 500 scudi dal cardinale. Il duca non nascose il suo malcontento nei confronti del legato, facendone parola con Valenti che era stato 22 inviato a Torino58. Il cardinale, dal canto suo, era esasperato sia dal rifiuto del Savoia di ratificare il trattato, che dai suoi reiterati tentativi di appellarsi al papa inviando a Roma il cancelliere Belli, personalmente favorevole allo scambio59. Per quanto vana, questa manovra fu considerata dagli agenti pontifici come un attentato all'autorità delegata dal papa al legato60. Aldobrandini tentava di mettere al passo i Francesi chiedendo al nunzio Silingardi, allora a Lione, di sollecitare una proroga della ratifica, fornendo delle garanzie sulla buona disposizione del duca 61 ; tuttavia, negli scambi epistolari il legato non dissimulava la sua esasperazione di fronte alle astuzie e ai temporeggiamenti del Savoia. Nella lettera inviata il 26 gennaio 1601 al nunzio di Torino, la sua riprovazione è senza appello : « L’avviso della sua delli 23 che sia il duca per far difficoltà nella ratificazione mi ha disgustatissimo : mi consola che il monde buttarà la colpa addosso a chi è cieco et non vede il suo bene »62. L'esasperazione di Aldobrandini raggiunse il limite quando il duca lo piantò in asso a Tortona alla fine del mese di febbraio. Mentre attendeva la risposta di Filippo III, al quale aveva chiesto di esortare il duca a firmare una pace che giovava sia ai suoi interessi che a quelli della Spagna, il legato si era deciso a mettersi in gioco in prima persona, incontrando ancora una volta Carlo Emanuele. Da Genova, Aldobrandini passando per il Milanese, arrivò a Tortona il 22 febbraio, dove tre mesi prima era avvenuto il suo primo incontro con il Savoia : Giovanni Battista Agucchi riferì a suo fratello le parole del cardinale : “Hoggi sono quattro mesi che scrivemmo a Roma di questa città con lo spaccio portato dal Prencipe Piombino et stiamo su la medesima aspettativa della persona del Duca di Savoia et con il medesimo bisogno di ritornare un'altra volta a ristabilire le cose che si conchiusero all'hora e fra gl'istessi timore e speranza di buon successo. Il padrone mostra di sperare bene et pare che tutto il male e l'origine d'ogni difficoltà venga da Savoia, per havere rapresentato quel che non è et hora siamo su lo scoprire et chiarire la 23 verità. Questa sera mi diceva S. S. illustrissima, parlando delle gran difficultà incontrate in questo negotio: che, se si conchiuderà hora questa pace, 4 volte l'haverà poi stabilita: la prima quando fummo qui l'altra volta, la seconda a Lione inanzi l'accidente del forte di Santa Catarina, la 3a nella sottoscrittione de' capitoli e questa sera, piacendo a Dio, la 4a.”63 Fu una speranza disattesa, dato che il duca si fermò a Felizzano, alla frontiera dei suoi Stati, dietro il pretesto che due dei suoi figli erano malati. Il legato non si fece ingannare da questa ulteriore manovra che consisteva a non discutere di alcunché senza aver prima avuto il parere del re di Spagna. Mortificato, ma impassibile, secondo il suo segretario, Aldobrandini accettò dunque di recarsi a Milano su invito del conte di Fuentes: “Si stava qui attendendo il signor Duca di Savoia di giorno in giorno, anzi d'hora in hora, quando la grave malatia di un figliolo o, come altri pensano, la voluntà che non ha di venire di presente et prima che non arrivi qualche risposta et risolutione di Spagna all'abboccamento, ha fatto trattenere Sua Altezza a Turino senza certezza di quando ella si habbia da venire, onde il signor Conte di Fuentes, che pur s'inmaginò sia partecipe, se non autore, del concertato, patendo grandemente per l'incommodità di questa stanza, et per altro nel trattenersi per lungo tempo, ha mostrato di tenere non solo desiderio ma bisogno di ritornare a Milano et ha invitato e pregato il signor cardinale a trasferirvesi, parendoli che S. S. illustrissima non possa fermarsi meglio altrove e giudicando che il Duca sia sempre per venire egualmente volentieri ad abboccarsi in quella città. Il signore cardinale, a cui sono noti fino a dentro gl'altrui arteficii, se pure si usano, credo che non possa ricevere se non disgusto da questa diversione e dall'allungarsi tuttavia più la speranza e della pace e del ritorno, ma, conoscendo quanto gl'importi il tenere 24 persuaso et guadagnato il Conte et non darli campo onde li possa scapare dalle mani, stima che li convenga andarlo secondando con la pazienza et flemma che ha sempre adoprata in questa negotiatione et non allentarsene punto, per esser presente a tutte l'occorrenze et per non restare solo in questa città poco felice o ritirarsi ad aspettare in altro luogo con poca reputatione.”64 Quest'ultimo trucco confermava l'opinione che il legato aveva del duca, giudicato « instabile, testardo, ragazzo, et anche peggio » ; la ragion di stato gli imponeva purtroppo di trattarlo da sovrano, se voleva conservare l'appoggio della Savoia in altre imprese. Nei mesi successivi, il cardinal Aldobrandini stabilì un accordo segreto, pare senza l'assenso del papa, con il duca al quale prometteva in cambio della riconquista di Genova e del paese di Vaud il sostegno indefettibile della Santa Sede, nonché un intervento perché Enrico IV non prestasse soccorso alla città calvinista. Il legato rispolverò anche l'idea di un'unione tra la dinastia di Savoia e Casa Aldobrandini, facendo convolare a nozze un'altra figlia di Gianfrancesco con l'erede del ducato, Filippo Emanuele. Ma a causa della dote richiesta dal duca al papa (concessione d'un titolo reale, investitura d'Avignone, approvazione dell'occupazione di Ginevra, comando della lega contro i Turchi), giudicata esagerata, il progetto d'alleanza dinastica non fu altro che un fuoco di paglia 65. Fu poi Aldobrandini a far prova d'indecisione, nel momento in cui il duca intraprese la Scalata di Ginevra nel 1602-160366 : se anche si sforzò di tenere fede ai suoi impegni obbligando il papa a protestare contro il sostegno fornito da Enrico IV a Ginevra, il legato rifiutò alla Savoia, sotto la pressione del papa, un appoggio più consistente nel timore di rompere la pace ; ritornò dunque al ruolo di moderatore degli ardori bellicosi tanto della Francia che della Savoia. Ma Carlo Emanuele s'era forse sentito autorizzato a lanciarsi alla conquista di Ginevra, dato che il legato, che aveva fino ad allora fatto prova d'una neutralità ferrea nell'affare di Saluzzo, propendeva ormai in suo favore, trattandosi di annientare i 25 calvinisti. Il che equivaleva però a dimenticarsi che Clemente VIII, anzi Aldobrandini stesso, accordavano più importanza alla salvaguardia della pace così duramente raggiunta tra le potenze cattoliche. Eppure, ciò non influenzò in maniera duratura i rapporti tra Carlo Emanuele e il legato, dato che nel 1608 in seguito ad un violento litigio con il legato di Ferrara cardinal Caetani, Pietro Aldobrandini che occupava la sede vescovile fin dal 1604, si rifugiò qualche mese dopo presso il duca di Savoia. I due erano accomunati dal fatto d'aver preso le distanze dalla Spagna : il duca operava in favore d'un riavvicinamento con la Francia, sancito nel 1620 dal trattato di Bruzolo ; il cardinale non solo si era violentemente opposto sia al partito spagnolo alla corte di Roma, sia al cardinale Odoardo Farnese, ma aveva anche osteggiato l'elezione del candidato filo-spagnolo nei due conclavi del 1605 67. La politica che li aveva allontanati nel 1600-1601 li riavvicinò nel 1608. 6. In una lettera indirizzata al cardinal Aldobrandini qualche giorno prima del suo ritorno a Roma, Clemente VIII gli faceva notare, non senza malizia, la necessità di celebrare il successo di questa legazione fuori dal comune, prima che cadesse nell'oblio68. E' giocoforza constatare che, una volta lasciate alle spalle le cerimonie d'azione di grazie, il cardinale non manifestò l'intenzione di scriverne la storia per i posteri. Di tutt'altro parere i Francesi e i Fiorentini : diedero seguito alle nozze reali con un'abbondante produzione iconografica e testuale che traduceva la dimensione politica dell'alleanza, mettendo in rilievo la nozione di 69 governo mediante le arti che i Medici intendevano coltivare . Le cerimonie fiorentine diedero luogo, da parte medicea, alla richiesta di libri illustranti le feste, e di diversi dipinti al pittore Iacopo Empoli70. Il viaggio della regina da Livorno a Marsiglia fu narrato in un libriccino, come pure le entrate solenni ad Avignone e a Lione ; in quest'ultimo caso, il percorso della regina in città fu ricordato con un'incisione 71 . Tutte queste opere furono 26 realizzate poco dopo la fine delle cerimonie. Fu solo nel 1621 che Maria de' Medici ordinò a Rubens il ciclo pittorico del palazzo del Lussemburgo, comprendente quattro tele relative agli eventi dell'anno 1600 72 ; tuttavia, l'intento dell'opera era di più ampio respiro : illustrare le gesta di colei che fu di volta in volta regina, e reggente, e regina-madre. La guerra franco-savoiarda e il trattato di Lione non ricevettero il medesimo trattamento. Nel 1603, Enrico IV conservava nel suo studiolo al Louvre una tela a olio, probabilmente dipinta a Milano, e composta da quattro scene nelle quali apparivano sia Clemente VIII e il duca di Savoia73. L’histoire universelle depuis 1543 jusqu’en 1607 di Jacques-Auguste de Thou, pubblicata nel 1607, fu la prima opera a stampa a rendere conto, nel nono tomo, dei principali eventi militari e dell'andamento dei negoziati. Nel 1619, Omero Tortora pubblicò a Venezia una Historia di Francia da Enrico II a Enrico IV, che trattava non solo della guerra per il marchesato di Saluzzo, ma anche della mediazione pontificia74. Questo libro causò la reazione del cardinal Aldobrandini che, allora arcivescovo di Ravenna, aveva perduto gran parte della sua influenza in seguito all'elezione di Paolo V Borghese. Avendo avuto modo di leggere l'opera prima della pubblicazione, Aldobrandini aveva riscontrato delle inesattezze, e autorizzato dunque Tortora ad accedere alle sue carte personali, dato che « la negoziazione era stata tutta notata in carta, secondo che era stata udita »75. Non soddisfatto della versione definitiva, Aldobrandini decise di chiarire i fatti, commissionando una Relatione in forma d’Historia nel negotiato del Cardinale Aldobrandini sopra la pace del Marchesato di Saluzzo (Cf. Allegato). L'opera di Tortora, ben documentata, poteva presentare due difetti agli occhi del cardinale : il primo consiste nel fatto che accordi la stessa importanza sia agli eventi militari che all'andamento delle trattative, presentando il legato come un personaggio fra i tanti ; il secondo, probabilmente più grave, è che riporta frasi e giudizi del cardinale sia errati, sia non degni d'essere riportati, tanto da non figurare nemmeno nella relazione dello stesso Aldobrandini 76. 27 Come scrive lui stesso77, non aveva l'intenzione di rievocare la legazione per le nozze reali, la storia del marchesato di Saluzzo, o lo svolgimento del viaggio ; quanto piuttosto fornire un resoconto della mediazione pontificia, e del trattato di Vervins fino al suo ritorno a Roma, presentando la posizione dei diversi attori durante ogni tappa del negoziato, spiegandone gli sbalzi, e avendo cura d'inserire dei frammenti d'istruzioni, di corrispondenza, di articoli de trattato. La redazione aveva comportato l'uso di una mole di documenti conservati presso la Segreteria di Stato, o negli archivi personali del cardinale. Il testo, preciso, equilibrato, scritto in stile ampio, era ovviamente una difesa, da un lato, delle qualità di negoziatore del cardinale, che era riuscito a conciliare interessi opposti grazie a un talento consumato nel condurre i dibattiti; dall'altro, delle inquietudini e dei sentimenti del negoziatore, permeato da un desiderio di pace. Mettendo in risalto il suo ruolo, Aldobrandini intendeva descrivere in negativo quello rivestito dal cardinale di Firenze e dal patriarca che non erano stati capaci di concludere l'affare di Saluzzo, né a Vervins, né a Parigi. E' degno di nota il fatto che la relazione redatta da Aldobrandini in risposta all'opera a stampa di Tortora sia rimasta allo stato manoscritto ; anche se è stata oggetto di numerose trascrizioni, enumerare o identificare con precisione le copie esistenti è tanto più arduo che la relazione originale è anonima78. Verosimilmente è stata scritta da Giovanni Battista Agucchi (1570-1532) 79. Sia lui che il fratello maggiore Girolamo (1555-1605) appartenevano a una famiglia nobile bolognese, ed erano nipoti del cardinal Filippo Sega, legato della lega, che si occupò della loro educazione, guidandoli agli inizi della carriera curiale. Alla morte dello zio nel 1596, i due fratelli entrarono al servizio del cardinal-nipote, Pietro Aldobrandini. Girolamo, che aveva accompagnato suo zio in Francia, fu vice-governatore di Fermo, poi maggiordomo di Pietro Aldobrandini fino al 1604, data in cui fu creato cardinale da Clemente VIII insieme ad altri suoi protetti : Erminio Valenti, Giacomo Sannesio, Anselmo Marzato. Suo fratello, Giovanni Battista, invece, iniziò la sua carriera sotto la protezione di Pietro 28 Aldobrandini, che servì presso la Segreteria di Stato, seguendolo poi a Ravenna dal 1604 al 615, anno del suo ritorno a Roma, dovuto al miglioramento delle relazioni tra il cardinale e Paolo V. Sotto il pontificato di Gregorio XIV (1621-1623), Giovanni Battista divenne segretario dei brevi del cardinal Ludovico Ludovisi gestendo, di fatto, la corrispondenza diplomatica pontificia80. Nel 1623, fu nominato arcivescovo titolare d’Amasea da Urbano VIII e allontanato da Roma, dato che fu inviato come nunzio a Venezia. Nonostante il cardinal Bentivoglio apprezzasse poco il suo stile81, Agucchi fu una figura intellettuale di primo piano della Roma pontificia, facendo prova d'interessi polimorfi : per storia, erudizione, astronomia ; per i suoi scambi epistolari con Galileo ; per la redazione del trattato De cometis oggi andato perso ; per le arti, dato che proteggeva il Domenichino, e fu anche autore d'un Trattato della pittura, che anticipava la teoria classica del bello. Nel 1600, Giovanni Battista curava la sua formazione presso il fratello, immerso nell'entourage del cardinal Aldobrandini. Probabilmente gli erano state affidate delle mansioni di piccolo segretariato, quando fu chiamato a sostituire suo fratello, malato, come maggiordomo della Casa cardinalizia nel corso della legazione di Aldobrandini. A questo titolo, si vide attribuire una doppia funzione : provvedere all'organizzazione del seguito cardinalizio, che prevedeva trasporto, vitto e alloggio per una compagnia di più di cento persone, garantendo inoltre il servizio di corrispondenza diplomatica in assenza del segretario Erminio Valenti, perennemente in missione. Il doppio compito valse all'Agucchi di divenire il consigliere più prossimo al cardinal nipote, nonché il suo più intimo confidente durante i sei mesi che durò la legazione. Vi è ragione di credere che sia proprio lui l'autore della relazione. A differenza delle Memorie del cardinal Bentivoglio che affrontano la legazione a partire da una documentazione di seconda mano, la relazione è stata composta da qualcuno che aveva vissuto dal di dentro i negoziati, tenendo conto della precisione nel riportare gli interventi dei diversi protagonisti. 29 Se anche il cardinal ha deciso struttura e contenuto della relazione, rettificandola poi di sua mano, l'uso voleva che ne affidasse la redazione a qualcuno che fosse non soltanto capace di riunire le varie scritture, ma che possedesse anche una conoscenza approfondita del negoziato, per essere stato uno dei testimoni. Giovanni Battista Agucchi era quel qualcuno. D'altra parte, il cardinale aveva espresso il desiderio che si scrivesse una storia delle manifestazioni esteriori – dei « particolari » - della legazione, mentre nel caso della relazione aveva scelto di non trattare che del contenuto del negoziato82. Ora, l'autore di questa storia fu lo stesso Agucchi, dato che aveva tenuto un diario nel quale s'impegnò a rendere conto delle peripezie della legazione. Il DIARIO del viaggio fatto dal cardinale Pietro Aldobrandini nell'andar Legato a Firenze per la celebrazione dello sposalitio della Regina di Francia e dopoi in Francia per la pace. Scritto da Monsignor Agucchia83, incorpora al racconto degli avvenimenti politici e militari, riflessioni personali, annotazioni sulle condizioni di viaggio e le cose viste, conferendo particolare importanza alla descrizione delle cerimonie, dell'etichetta, dei banchetti, dei costumi e delle maniere di corte. La composizione del diario è ibrida : al resoconto continuo del viaggio da Roma al Piemonte segue un epistolario che include 29 lettere indirizzate a suo fratello Girolamo. Agucchi stesso giustificò il cambiamento di struttura con il fatto che le lettere erano andate perdute in Piemonte a causa delle intemperie, e che aveva ovviato a questa mancanza riscrivendo il resoconto del primo mese di viaggio84. Scrivendo così regolarmente, Agucchi ha probabilmente seguito le raccomandazioni del fratello, che gli aveva chiesto di tenerlo informato sulle peripezie del viaggio. Le sue lettere sono dunque state scritte con l'intento di render conto, con minuzia di dettagli, di tutte le cose viste che non avrebbero trovato posto nella corrispondenza diplomatica. Non contenevano alcuna informazione od opinione che ne impedisse la diffusione pubblica ; probabilmente sono state lette da altri, e fors'anche concepite per questo scopo. E' anche questa la ragione per la quale Agucchi decise di 30 diffornderle in forma manoscritta. La data alla quale risalgono le prime copie del manoscritto autografo resta ignota : può forse essere collocata già nei primi anni del 1600 ? Oppure intorno al 1610 ? Tuttavia, una cosa è certa : il titolo di alcuni manoscritti indica che Giovanni Battista era nunzio a Venezia, e sono dunque posteriori al 1623 ; il che lascerebbe supporre che altri manoscritti siano stati copiati in seguito alla redazione e alla diffusione della redazione del cardinal Aldobrandini nel 162085. Si possono dunque formulare due ipotesi : la prima, è che Agucchi avesse già fatto trascrivere il diario al momento in cui il cardinale gli aveva chiesto di redigere la relazione, approfittandone per aumentarne la diffusione; la seconda, è che Agucchi avesse reso pubblico il diario in seguito alla diffusione della relazione, come lascerebbe credere la raccomandazione del cardinale di scrivere una storia della legazione – e non del negoziato – così come la menzione apposta su diversi manoscritti della sua nunziatura. Quel che è certo, è che i due manoscritti furono riprodotti dopo il 1623, dunque in seguito alla morte del cardinale, avvenuta nel 162186. Se anche quest'ultimo aveva ordinato di redigere la relazione e, probabilmente, ispirato il diario, è soltanto ad Agucchi che si deve l'iniziativa di diffonderli garantendo loro, se non la gloria, quantomeno la reputazione postuma del suo antico protettore. La forma manoscritta non deve sorprendere. Molti scritti non riuscivano a giungere allo stadio di stampa, benchè circolassero come testimoni manoscritti. Era il caso dei testi relativi alle controversie dottrinali, discusse senza però essere ufficialmente rese pubbliche ; come pure dei memoriali, delle istruzioni, dei diari che nelle case nobili rivestivano una funzione utilitaria -partecipando tanto alla formazione degli eredi che alla costruzione della memoria familiare- o ricreativa, offrendo il piacere raffinato della lettura d'un testo, raro proprio perché trascritto in poche copie. Le biblioteche della famiglie principesche e delle case aristocratiche abbondavano di questo genere di manoscritti, la cui rarità contribuiva appunto alla distinzione del proprietario. Il diario di Agucchi fu posseduto da grandi famiglie romane, quelle nelle quali uno dei figli aveva potuto prender parte alla 31 legazione fino a Firenze per il matrimonio per procura, o accompagnare il legato in Francia , o seguire dalla curia l'avanzamento dei negoziati87. Poiché fu offerto in dono alle famiglie principesche delle quali il legato fu ospite, il manoscritto è oggi conservato nelle biblioteche di Firenze, di Parma o di Torino. Passato tra le mani di Mria de' Medici, è poi stato depositato nelle collezioni regie. Il manoscritto era destinato ad un pubblico ristretto, nel novero dei protagonisti o dei testimoni dei fatti riportati, che vi ritrovava il racconto di una parte della propria storia. Non era stato concepito per uscire da una cerchia di familiari e iniziati. In tal senso, non possedeva lo stesso status delle memorie del cardinal Bentivoglio che pur riportando gli stessi avvenimenti, sono sprovviste del valore d'una testimonianza di cose viste e vissute. Nel gioco d'equilibri che caratterizzava la diplomazia di Clemente VIII verso le potenze cattoliche, la legazione del cardinal Aldobrandini segnò un momento ricco di tensioni con il ducato di Savoia. Il cardinale voleva costringerlo alla pace con il regno di Francia, sia per non propagare la guerra in Italia, sulla stabilità della quale vegliava il papa in qualità di potenza temporale ; sia per renderlo disponibile alla lotta all'eresia, contro la quale la Chiesa combatteva in nome di principi spirituali. Il giudizio personale che il cardinale aveva potuto esprimere sul duca Carlo Emanuele I nel corso del negoziato passava in secondo piano davanti all'ambizione di consolidare i legami della famiglia Aldobrandini con le dinastie principesche italiane, prima che la scomparsa del pontefice non vi ponesse un termine definitivo. La legazione fu un successo perché aveva stabilito la pace senza ipotecare il futuro delle relazioni con la Savoia. Ne apriva anzi un nuovo capitolo posto sotto il segno del ritorno a una più stretta alleanza, il cui unico limite era il preservamento della pace con la Francia. 32 E' giocoforza constatare che il cardinale non ha cercato di prolungare un simile successo con una celebrazione memoriale, né nel periodo immediatamente successivo al suo ritorno, probabilmente perché all'apice della sua influenza non aveva bisogno di una storia edificante ; né quando si trovò al centro d'una viva contestazione da parte della fazione filo-spagnola della curia, perché la storia era uno strumento di governo troppo debole per rispondere alle sfide allora in corso ; né durante i primi anni in cui fu arcivescovo di Ravenna, perché la diffusione di scritti nei quali non nascondeva le critiche contro Carlo Emanuele non era proprio opportuna nel momento in cui quest'ultimo gli offriva protezione. Fu la pubblicazione dell'opera di Tortora, cioé il giudizio della storia, che lo spinse tardivamente a costruire la memoria di quello che fu il suo più grande motivo di gloria. Giovanni Battista Agucchi, il suo fedele e brillante servitore ne fu l'artefice, scegliendo appositamente la forma manoscritta nella speranza, dopo la scomparsa del cardinale, di ravvivare i ricordi di alcuni testimoni d'eccezione, e di scrivere per la posterità. Allegato Fonte : La Legazione in Francia del Cardinal Pietro Aldobrandini narrata da lui medesimo e pubblicata in occasione del congresso internazionale di scienze storiche in Roma da Luigi Fumi, Città di Castello, 1903, p. 1-2 (Biblioteca capitolina, 13441) Lettera del Cardinal Pietro Aldobrandini al Sig. Homero Tortora Signor Homero, 33 Confesso d’hauer vsata negligenza in tardare di farui vedere i Registri et altre scritture della mia Legatione di Francia mentre andauate componendo la vostra historia, hauendomi voi di ciò più volte pregato. Ma io, mentre tempo opportuno andaua cercando, perchè, insieme col farvi vedere le scritture, potessi con voi discorrere delle cause di alcune cose di quel negotio ed auuvertirui di altre che nelle scritture non si trouaranno, lasciai scorrere la cosa tant’oltre, che voi, impatiente della troppa mia dimora, deste all estampe l’Opra e del negotio della Legatione diceste poco, e quello non in tutto aggiustato col fatto. Del che auuertendouene, ve ne doleste meco, nè io vi seppi negar la colpa. E perchè il libro era stampato, ma non publicato, vedendo voi all’hora li miei Registri, aggiungeste molte cose et altre variaste, mutando e ristampando gl’vltimi fogli. Il che, se bene aggiustò quel poco che voi scrivete di tal negotio, non è che sia la cosa molto mozza e mancevole. Onde più volte mi hauete detto che volete stenderla perfettamente, per darla fuori quando, la seconda volta, ristameperete l’Opra. Io ve ne lodo e ve ne prego insieme. E perchè meglio e con più facilità il possiate fare, ho fatto come vn racconto, ouero una minuta narratiua di tutto quello, che successe in quella Legatione per mandaruelo ; perchè, se non altro, io haurò l’ammenda della mia negligenza fatta. Non trouarete in queste mie carte la descrittione di Saluzzo, che è la cosa che si contendeua, nè le ragioni delle parti ; perchè appartenendo a chi scriue l’historia, a voi tocca ciò di fare, senzachè già nella vostra, stampata, ottimamente fatto l’hauete. Voi trouarete bene, forsi, alcune cose più minutamente stese di suel che ad vn’historia vniversale pareranno conuenirsi, lasciando il rimanente. Ecco, dunque, che io ui mando il netto, intiero, minuto e verissimo con le cause che di ciò s’andava operando. Cauatene voi quel che vi piace et ornatelo come a buon’historico si conuiene ; e come ciò haurete fatto, potrete dare al fuoco la mia scrittura. E quando anche se ciò, per amore di chi la manda, fare non vogliate, essa compiacendosi in sè medesima di hauer consacrata quella parte che voi ne cauerete all’immortalità, si contenterà di starsene, nel rimanente, in obliuione tra gli scartafogli. 34 1 2 Memorie del Cardinale Bentivoglio, lib. II, cap. VI, in Venetia, 1648, p. 407. La Legazione in Francia del Cardinal Pietro Aldobrandini narrata da lui medesimo e pubblicata in occasione del congresso internazionale di scienze storiche in Roma da Luigi Fumi [La Legazione… cit.], Città di Castello, 1903, p. 132. 3 D. Muletti, Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo, vol. VI, Saluzzo, 1830 ; C. Manfroni, I diritti di casa Savoia sopra il Marchesato di Saluzzo, Rome, 1885 ; Id., Carlo Emanuele I e il trattato di Lione. Con documenti inediti tratti dal R. Archivio di Torino, in Rivista di storia italiana, VII, 1890, pp. 217-224 [Carlo Emanuele I… cit.] ; G. Leonardi-Mercurio, Carlo Emanuele I e l’impresa di Saluzzo (1580-1601), PalermoTorino, 1892. 4 Lettera CCXXXVI a « monsieur de Villeroy », 14 agosto 1600, in Lettres du cardinal d’Ossat avec des notes historiques et politiques de Mr Amelot de la Houssaie, t. 4, à Amsterdam chez Pierre Humbert, 1708, p. 52. 5 Lettera LXXIV a « monsieur de Villeroy », 19 novembre 1996, libro II, in Lettres de l’illustrissime et Reverendissime cardinal d’Ossat, de Baievx, à Paris, 1624, p. 208 : « Non vorrei affatto che Voi riferiste al Papa ciò di cui state dibattendo con il duca di Savoia, avendo Sua Santità già reso assai manifesto di desiderare e di essere da'vviso che il Re si accordi con il detto duca di Savoia a qualsiasi condizione, e per il troppo timore che la guerra non giunga in Italia [...] » ( « Je ne voudrois point que vous vous remissiez au Pape de ce dont vous estes en debat avec le duc de Savoye, pource que Sa Saincteté s’est des-ja assez declaree de desirer 35 et d’estre d’aduis que le Roy s’accordast auec le dit duc de Savoye a quelque condition que ce fust et à trop grande peur que la guerre ne s’attache en Italie […] »). 6 Sulla mediazione del papato a Vervins, si veda A. Louant, L’intervention de Clément VIII dans le traité de Vervins, in Bulletin de l’Institut historique belge de Rome, t. 12, 1932, pp. 127-186 ; B. Barbiche, Le grand artisan du traité de Vervins : Alexandre de Médicis, cardinal, légat a latere, in C. Vidal et F. Pilleboue (dir.), La paix de Vervins, Laon, 1998, pp. 65-74 ; A. Borromeo, Clément VIII, la diplomatie pontificale et la paix de Vervins, in J.-F. Labourdette, J.-P. Poussou, M.-C. Vignal (dir.), Le Traité de Vervins, Parigi, 2000, pp. 323344 ; B. Haan, La médiation pontificale entre la France et la Savoie de la paix de Vervins à la paix de Lyon (1598-1601) , in Le Rattachement des pays de l’Ain à la France, t. 2 : Le Traité de Lyon en son temps, pubblicato in Cahiers René de Lucinge, t. 34, 2000, pp. 5-20. 7 Carlo Emanuele inviò il suo segretario Roncas presso Enrico IV agli inizi dell'anno 1598 con la raccomandazione di comportarsi con prudenza per non offendere il papa. Citato da C. Manfroni, Carlo Emanuele I… cit., p. 249, documento n° 9 (ASTo, Negoziazione Francia, VI, 16), 8 gennaio 1598, istruzione del duca di Savoia al suo segretario Roncas, ambasciatore straordinario in Francia : « Et puisque estant porté sur le bien et pur une si s.te occasion vous aurez beaucoup de comodité de traicter, il nous semble que ne debuons la perdre, ainz tascher pour un coup d’achever tous nos afferes avec le dict Roy sans venir à l’arbitrage et ce neaulmoins avec telle dexterité que le Pape ne s’en ombrage et croie que ce fust par deffiance de son jugement et ce moyennant ces conditions ». 8 I giurisconsulti savoiardi, Ottavio Cacherano et Pietrino Belli raccolsero le loro lettere in un unico volume a stampa : Responsa variorum juris consultorum ad causam Marchiae Salutiarum. L'insieme dei documenti presentati dagli ambasciatori Morozzo e Sillery al papa sono citati da C. Manfroni, Carlo Emanuele I… cit., p. 255. 9 Ibid., p. 251, documento n°13 (ASTo, Negoziazione Francia, VIII, 1598). 36 10 B. Haan, Le traité de Paris (27 février 1600) : un traité pour rien ?, in Le rattachement des pays de l’Ain à la France, vol. 1 : Les années décisives (1598-1600), Ambérieu-en-Bugey, 1999, pp. 41-52 (Cahiers René de Lucinge, t. 33). 11 Sulla legazione furono pubblicati alla fine del XIX secolo numerosi saggi di storia diplomatica contenenti fonti inedite. C. Manfroni, Nuovi documenti intorno alla legazione del cardinale Pietro Aldobrandini in Francia (1600-1601) tratti dall’Archivio secreto Vaticano, in Archivio della Società romana di storia patria, XIII, 1890, pp. 101-150 [Nuovi documenti… cit.] ; C. Manfroni, Carlo Emanuele ed il trattato di Lione con documenti inediti tratti dal R. Archivio di Torino, in Rivita storica, anno VII, 1890, pp. 217- 255 ; L. Fumi, Cardinale Aldobrandini e il trattato di Lione, Pérouse, 1896 ; L. Fumi, La legazione in Francia del cardinale Aldobrandini narrata da lui medesimo, Città di Castallo, 1903 ; P. Richard, La légation Aldobrandini et le traité de Lyon (septembre 1600-mars 1601). La diplomatie pontificale, ses agents au temps de Clément VIII, in Revue d’Histoire et de Littérature religieuses, VII/6, 1902, pp. 481-509 ; VIII, 1903, pp. 25-48 e133-151. 12 La storiografia recente ha rinnovato lo studio del trattato di Lione, ampliando e diversificando metodi e punti di vista : L. Marini, René de Lucinge Signor des Allymes. Le fortune savoiarde nello Stato sabaudo e il trattato di Lione (1601), in Rivista storica italiana, LXVII, 1955, pp. 358, 359 ; J. L. Cano de Gardoqui, La cuestión de Saluzzo en las communicaciones del imperio español, 1588-1601, Valladolid, 1962, pp. 76-88 ; Le rattachement des pays de l'Ain à la France, vol. 2, Le Traité de Lyon en son temps (1601), a cura dell’Association ‘Les amis du château des Allymes et de René de Lucinge’, Ambérieuen-Bugey, 2000 ; D. Turrel (dir.), Le traité de Lyon (1601), in Cahiers d'histoire, 46/2, 2001 (tra cui l'articolo di A. Hugon, Le duché de Savoie et la Pax Hispanica autour du traité de Lyon (1601), pp. 212-242 ; B. Haan, La mise en application du traité de Lyon, in Le 37 rattachement des pays de l’Ain à la France… cit., t. 3, 2003, pp. 63-74 (Cahiers René de Lucinge, t. 37). 13 B. Haan, Correspondance du nonce en France Gasparo Silingardi évêque de Modèle (1599-1601), Roma, 2002 (Acta nuntiaturae Gallicae 17). 14 La Legazione… cit., p. 72, estratto dell'istruzione a Valenti presso il re di Francia : « A fine aggiunse il Papa, che potendo essere che si risoluesse a mandare vn Cardinale con vna legatione solenne, parendo che la qualità del negotio il richiedesse […] ». 15 Si rinvia alla bibliografia sintetica di E. Fasano Guarini, Pietro Aldobrandini, in DBI, 2, 1960 (online). 16 Sulle cui qualità personali i pareri convergono. L'ambasciatore veneziano Giovanni Delfino scrive nel 1598 : « mostra assai buon spirito et attende assiduamente ai negozi, è assai humano e facile nel trattare » (Relazioni degli ambasciatori veneziani, t. X, p. 443) ; « di natura nobilissima, amabile e graziosa, quanto si possa dire » (Ibid., p. 457). Il suo segretario Giambattista Agucchi svrive : « pazienza che usa il signor Cardinale in tutto questo progresso è mirabile et insieme l’assiduità del negotiare o scrivere per questo conto ». Lorenzo Cardella vanta la sua grazia naturale (Memorie storiche de’ cardinali della Santa Chiesa Romana, Roma, 1792, t. VI, pp. 7-8). 17 Sul nepotismo sotto Clemente VIII, H. Jaschke, ‘Das persönliche Regiment’ Clemens’VIII. Zur Geschichte des päpstlichen Staatssekretariats, in Römische Quartalschrift für christiliche Altertumskunde und Kirchengeschichte, 65, 1970, pp. 133-144 ; G. Fragnito,‘Parenti’ e ‘familiari’ nelle corti cardinalizie del Rinascimento, in C. Mozzarelli (ed.), ‘Famiglia’ del principe e famiglia aristocratica, Rome, 1988, pp. 565-87 ; M. T. Fattori, Clemente VIII e il sacro collegio : Meccanismi istituzionali e accentramento di governo, Stuttgart, 2004. 38 18 Sull'implicazione del papa nella corrispondenza diplomatica, si veda Z. Kristen, Intorno alla partecipazione personale di Clemente VIII ad disbrigo della corrispondenza diplomatica, in Bolletino dell’Istituto storico cecoslovacco di Roma, 1, 1937, pp. 29-52. 19 La Legazione… cit., p. 75 : « Disse, dunque, che, hauendo questo negotio bisogno di persona de grand’autorità e fornita di esperienza e prudenza insieme, egli non vedeua che Sua Santità potesse far di meno di non mandare il Cardinale Aldobrandini suo nepote, nel quale considerò la strettezza del sangue con Sua Beatitudine, che li recava il rispetto de’ Prencipi, l’applicatione a’ negotij, l’esperienza delle cose di Stato e informazione di quest’affare tanto intrigato ; la fresca riputatione dell’impresa di Ferrara, l’età non solo atta alla fatica, ma proprio tra la gioventù e la consistenza per negotij difficili, che congiunge l’ardire e la felicità in coloro che non si compiacciono dell’otio, ma si dilettano di esperimentarsi ne’ grandi affari, doue ci uole conseglio, esperienza et ardire. Non ignoraua che il priuarsi Sua Santità del nepote sarebbe s’incommodo, ma il pubblico bene e la quiete della christianità ciò domandauano ; onde credeua che Sua Beatitudine ne hauerebbe tollerato volontieri questo disagio ». 20 Ibid., p. 77 : « Fu dato conto di questa Legatione a tutti li Prencipi di christianità. E le facoltà del Legato, solite spedirsi par Dataria, furono amplissime, ma con lettere secrete, di mano del Papa, furono ampliate a segno, che poteua far ciò che il Papa medesimo far potesse. Nè fu altra la sua instruttione, che, per questa et un’altra lettera simile, riportarsi il Pontefice a lui medesimo : che incaminasse il negotio per quella via che miglior gli paresse, riponendo intieramente il tutto in lui, volendo haver rato e fermo dall’hora ciò che facesse, benché occorresse minacciare l’armi temporali e spirituali, e venire a censure et a scommuniche contro qualsiuoglia Re o Prencipe, et obligare il Papa et la Sede Apostolica a dar parola per loro in qualsiuoglia sorte di cosa e di occasione ». Si veda inoltre l’Istruzione per il cardinal Pietro Aldobrandini, Rome, 23 settembre 1600, in K. Jaitner, Die Hauptinstruktionen 39 Clemens’ VIII für di Nuntien und Legaten an den europäischen Fürstenhöfen 1592-1605, t. 1, Tübingen, 1984, pp. 651-652. 21 22 La Legazione… cit., p. 92. Giovanni Battista Agucchi, Diario del viaggio del card. Pietro Aldobrandini nell’andar Legato a Fiorenza per la celebrazione dello sposalitio della regina di Francia e dopo in Francia per la pace. ASV, Libro miscellaneo, Politicorum, t. LXX [Diario… cit.], fol. 74v. 23 La Legazione… cit., p. 90 : « Partì da Turino il Legato il secondo giorno di novembre, essendo stato e dal Duca e da’suoi figlioli honorato et accarezzato per tutto il Piemonte regiamente, et con ogni termine di ossequij ». 24 Ibid., p. 103 : « Il popolo fece grand’instanza che il Legato facesse l’entrata solenne, et il re, per soddifattione del medesimo popolo, ne mostrò desiderio : onde il Legato, benchè ne hauesse poco uoglia, ui si condusse. Fu, inuero, l’entrata fatta con tutta quella pompa ecclesiastica maggiore che si poteua […]. Poi egli montato su la mula sotto il baldacchino della città, caualcò solo con la cappa et altri ornamenti pontificali soliti, fin tanto che trovò uicino alla chiesa maggiore il baldacchino del clero, dove lasciato quello della città, entrò sotto l’altro et andò sino alla chiesa, quivi riceuto colle solite ceremonie. E fatte le solite orationi, si compì la pompa ». 25 Ibid., p. 77 : « L’accompagnamento che condusse seco il Cardinale a Firenze, fu nobilissimo ; numeroso più di mille persone ; tra le quali erano molti vescoui, Auditori di Rota et altri Prelati grandi, diuersi Baroni e Caualieri Romani, e la sua propria famiglia, finita di tutti gl’offitiali che ad vn gran Prencipe potesse conuenire e di molta Nobilità. Gl’honori fattigli furono straordinarij et i riceuimenti nobilissimi. Et egli procurò di sostenere il grado e la persona che rappresentaua con puntualità, piaceuolezza e cortesia insieme ». 26 Ibid., p. 89 : « Il Conte presentò al Legato una carrozza da viaggio foderata di velluto rosso con sei bellissimi caualli, vna lettiga con suoi muli e due cavalli nobilissimi, vno di Spagna e 40 l’altro cortaldo. Recusò il Cardinale il dono, così per esser solito suo et istrutto dal Papa di andar riseruato in accettar doni, come perchè non andasse la fama inanzi, in Francia, chegli fusse stato presentato da Spagnoli, et essendo solito sempre accrescersi queste cose dal dir delle persone, il renderssero sospetto. » 27 Ibid., p. 91 : « Diede, perciò, ordine come che hauesse voluto, che in ogni luogo la sua famiglia fusse vissuta quale a seruitori di vn Legato conueniua, all’hora più che mai douessero ciò fare, et astenendosi da giochi, da bagordi, da conuersationi di donne, non ammettendo neanco quele cose che la libertà del paese comporta negli altri ». 28 G. B. Agucchi, Diario… cit., fol. 40v. 29 La Legazione… cit., pp. 83-84 : « Mentre si aspettaua il duca di Sauoia, fece il Legato preparare le orationi delle quarant’hore e publicare indulgenza plenaria per implorare il diuino aiuto per il buon indirizzo del negotio. Et ordinò a tutte le chiese, così secolari come regolari dello Stato di Milano e del Piemonte, che il medesimo facessero e recitassero continuamente letanie e preci all’istesso fine. Furono, dunque, poste con solenne pompa nella cattedrale di Tortona le quarant’hore e con apparato nobile di drappi e di lumi e con precessione. Nella quale il Legato, doppo la messa bassa, portò il Santissimo Sacramento. E fu notato per cosa prodigiosa che essendosi aspettato la sera auanti il Duca, nella quale haueua fatto sapere di douer arriuare, e trattenuta la messa, buona pezza della mattina, ancora egli non uenisse ; ma non aspettandosi più sin doppo desinare, arriuasse appunto il Legato usciua di chiesa con il Santissimo Sacramento in mano. Onde l’vscir di carrozza et il buttarsi genochioni, fu tutta vna cosa. Communicò il Legato la sua famiglia e molte altre persone, e ragionorono i suoi due predicatori dottamente et acconcio a persuadere la pace. » 30 Ibid., p. 99 : « Volse per ciò in Ciambery porre le quarant’hore e publicare indulgenza nel medesimo del luogo, hauendo hauuto seco l’assistenza di tutti i magistrati del Re che quiui si ritrouauano ». 41 31 Gli Aldobrandini, che occupavano una posizione inferiore rispetto alle famiglie principesche, cercarono di approfittare dell'elevazione d’Ippolito Aldobrandini al trono di Pietro per stringere alleanze matrimoniali con quelle più importanti. Soltanto l'alleanza con i Farnese fu coronata da successo. Si veda R. Zapperi, Der Neid und die Macht. Die Farnese und Aldobrandini im barocken Rom, München, 1994 et F. Satta, Margherita Farnese, in DBI, 45, 1995 (online). 32 Sulla devoluzione di Ferrara si veda E. Callegari, La devoluzione di Ferrara alla S. Sede (1598), in Rivista storica italiana, XII, 1895, pp. 1-57 ; G. L. Masetti Zannini, La capitale perduta : la devolutione di Ferrara 1598 nelle carte vaticane, Ferrara, 2000. 33 Lettera di Clemente VIII al cardinal Aldobrandini del 7 dicembre 1600, pubblicata da C. Manfroni, Nuovi documenti, p. 137. 34 Ibid., pp. 106, 108. 35 Lettera di Clemente VIII al cardinal Aldobrandini del 26 dicembre 1600 (ibid., pp. 137- 138) : « Quanto alla restituzione del marchesato fanno grand’esclamationi, come fa il duca di Savoia intorno ai denari ; però quando la cosa battesse in questo, ci contentariamo noi di metterci del nostro cinquanta, sessanta e sino a cento mila scudi per concludere questo negotio, perchè in qualche modo troveremo via di rivalersene […]. » 36 Il legato è ricevuto da Sully, Épernon e l'esercito al completo. In serata raggiunge Chambéry. Lo accompagnano i due principi del sangue Conti et Montpensier, e i grandi signori di Saint-Pol, figli dei Mayenne e dei Guisa, giunti ad incontrarlo con 1000 cavalieri. 37 Nel 1598, in presenza del cardinale di Firenze da ritorno da Vervins, Carlo Emanuele annunciò a Thonon il bando dei protestanti di Clablay dove erano tollerati. J. Baux, Histoire de la réunion des provinces de Bresse, Bugey et Gex sous Charles-Emmanuel Ier, Bourg-enBresse, 1852, pp. 351-353. 38 Lettres diplomatiques, tomo IV, publblicato da Amelot de la Houssaye, 1708, pp. 325-327. 42 39 C. Manfroni, Nuovi documenti… cit., pp. 128-129, II.I.B., lettera del cardinal Aldobrandini al cardinal San Giorgio, da Chambéry, del 14 novembre 1600 : « […] Ho trovato in Sua Maestà et in tutta la corte un infinità di ombre della mia venuta, et la principale era ch’io fussi venuto qua ad istanza de i spagnuoli et del duca di Savoia, cosa che non potevano patire ; mi è stato necessario prima d’ogni cosa torle via et ci è stato da fare et ha bisognato industriarsi ; però mi pare di haverle superate o tutte o la maggior parte (…) mi accorgo che siamo stati mal serviti da chi ha scritto di costà ai ministri del re, o altri che siano stati. (…) qua però ha detto a Sua Maestà che l’officio mio era di trattar la pace, della quale avevo pregato instantissimamente in nome di Sua Santità et questo con sicurezza dell’esecuzione di quel che si restasse d’accordo […] ». La Legazione…cit., p. 93 : « Haueuano detto al Re che il Cardinale era partiale di Sauoia, portando il titolo di protettore di quel Prencipe ; che hauerebbe caminato con moto de’ Spagnoli per star bene con loro, e che la negotiatione era da ministri di Spagna e da quel Re stata bene con loro, e che la negotiatione era da ministri di Spagna e da quel Re stata procurata non per far la pace, ma per trattenere, volendo, con l’autorità del Pontefice per la cosa in negotio, far sospendere l’armi e prender tempo d’armarsi e di attaccar buone prattiche nel regno per trauagliarlo e con la guerra e con la negotiatione ». 40 N. Le Roux, « Ce sont les rois qui ont les jettons à la main ». Henri IV, la noblesse et la guerre autour de 1600, in Cahiers d’histoire, 46/2, 2001, pp. 243-265. 41 La Legazione…cit., p. 111 « […] fu auuisato il Legato che si spianaua. » 42 Ibid., p. 106 : « […] non conuenendo che in vna pace trattata coll’autorità del Papa e per mezzo del suo Legato e nepote, si facesse sì fatto commodo a i ribelli di Santa Chiesa e nemici di Dio, e che se sarebbe prima partito, che veder cosa tale ». Ibid., p. 111 : « […] si meravigliaua infinitamente che vn Re sì grande e glorioso, fusse stato consigliato a vn’attione come questa ; la quale, oltre a contenere un fauore espresso de’ Geneurini, nemici di Santa 43 Chiesa e nido d’ogni eresia, conteneua poco rispetto al Papa et al suo Legato et vn espresso mancamento di parola ». p. 112 : « Rappresentaua, nel principio, il trauaglio, che sentiua d’vn tale accidente, il quale cadeua in affronto di sua persona, che se bene per se stessa era minima e di nessuna consideratione, per rispetto di chi rappresentaua non potere non sotenerla, nè sopportare gli fusse fatto verun torto ». 43 La Legazione…cit., p. 105 : « Et a questo parole seguirono i fatti di cominciare a porre in assetto le cose per il suo viaggio ». 44 Ibid., p. 113 : « Ma il Legato che haveva vudito andare attorno uoci cauated a Sillery che non vi fusse mancamento di parola e che questo risentimento fusse vn suo capriccio per far piacere a Sauoia e per altri suoi interessi[…] ». 45 Ibid., p. 98 «[…] renderebbe vano il trattato di pace, nel quale premeua il Papa per seruitio e quiete di tutta la christianità, ma singolarmente per quella d’Italia, dove era la sua sede et era obligato di haverne più cura che altroue ». 46 Historia di Francia di Homero Tortora, da Pesaro, divisa in libri venti due, nella quale si contengono le cose avvenute sotto Francesco secondo, Carlo nono, Enrico terzo, e Enrico quarto..., Venetia : G.-B. Ciotti, 1619, p. 466. 47 Sull’entourage spagnolo di Carlo Emanuele, P. Merlin, Tra guerre e tornai. La corte sabauda nell’età di Carlo Emanuele I, Torino, 1991. 48 La Legazione… cit., p. 67 : « […] dicendo ben spesso che, occorrendo, sarebbe andato a trouar quei Principi egli medesimo in persona, stimando di douer stringerli nel principio, altrimenti dandoci tempo, la guerra sarebbe fermata tra i monti, nè rimasta tra gl’angusti confini della Sauoia, ma haurebbe ben tosto auumapata l’Italia e tutta la christianità ». 49 Lettera del papa ad Aldobrandini del 16 octobre (C. Manfroni, Nuovi documenti… cit., p. 136) : «[…] Quello che dice il duca di Savoia di volersi abbocare con il conte di Fuentes in presenza vostra, a noi non piace per la instabilità del duca et perchè havendo in questo 44 concetto i spagnoli, in questo abboccamento non può riuscir cosa buona, e più facilmente a quattr’occhi cavarete e dall’altro l’intentione loro che in questo modo ». 50 Nella sua relazione il legato allude ad una campagna calunniatoria di cui sarebbe stato oggetto da parte degli ambasciatori di Spagna e Savoia a Roma. La Legazione… cit., p. 67 : « Nè lasciava di aggiungerli molestia qualche puntura che vdiua vscir calunniosa di bocca delli ministri di Spagna e da quelli di Sauoia contro la sua persona ». 51 Ibid., p. 82 : « Hauerebbono voluto auanzar tempo e valersi dell’autorità del Pontefice ». 52 G. B. Agucchi, Diario… cit., fol. 30v. 53 La Legazione… cit., 85 : « Il primo che si depositasse il Marchesato in mano del Papa per ternerlo tre anni, ne i quali dovesse sententiare e darlo a chi fusse di ragione ; e se lo spatio di tre anni paresse troppo lungo, si lasciaua in arbitrio di Sua Santità o del Legato di restingerlo o sminuirlo quanto piacesse loro. Il secondo, che non piacendo questo partito e uolendo il Papa et il Legato che il Marchesato si restituisse senza deposito, trouassero essi modo di assicurare il Re di Spagna, che i Francesi non muouerebbe le armi in Italia e non molestarebbono il Duca di Savoia, asserendo di voler ciò per tener lontano gli eritici et assicurare la religione in Italia ; e per dar modo al Papa di far quest’assicuratione, domandauano che si facesse vna lega defensiua et offensiua contro Francesi, quando non stessero a i patti et alla pace, e contro ogn’altro che l’havesse uoluta turbare in Italia ; dovesse entrare in questa lega il Pontefice, il Re di Spagna, la signoria di Venetia, il Duca di Savoia e gli altri potentati d’Italia. Il terzo partito fu, che non volendosi far questo, il Papa, prima d’ogn’altra cosa, sententiasse e desse il Marchesato a chi giudicasse di ragione. Il quarto era, che si desse la ricompensa tutta di là da’ monti, ma non si offeriua, in cambio di Pinarolo, altro che il Baliaggio di Gesse ». 54 La Legazione… cit., p. 89. 45 55 Ibid., p. 110 : « Il Duca fece diuersi consigli e fu molte uolte a congresso con l’Ambasciator di Spagna in presenza del Nuntio, sempre concludento che le conditioni non gli piaceuano e pregando il Cardinale, che le facesse migliorare ». 56 Ibid., p. 107 : « Che ringratiaua la Santità Sua dell’auuvertimento e della buona opinone che di lui haueua : dispiaceuali ciò che haueua detto il Duca di Sessa, ma più gli sarebbe dispiaciuto, se il Duca havesse parlato di propria opinione, per la stima che faceua del suo valore ; ma parlando di opinione di Don Mendo, ministro nuouo e poco prattico di quegli affari, si mitigaua il suo dispiacere, mitigandolo insieme l’occasione che gli daua, anzi la necessità in che lo poneua, di scriuere per sua giustificatione di quelle cose che hauerebbe altrimenti taciuto per modestia ; e pure per la medesima ne parlarebbe parcamente e con ogni riserbo e riuerenza ; che tanto era lontano dal uero chee la uoglia di tornare a Roma gli facesse precipitare il negotio, che di questo solo colore si era seruito per condurlo a buon fine ». 57 Ibid., p. 118 : « che se, per altre cause che non si sapeuano, il duca si era mutato d’opinione, oltre il non vedersi con che ragione il facesse, e non gli piacesse quello che altre uolte gl’era piacuto, la reuocatione no era arriuata a tempo e che il Legato haueva raggione col dire che era venuta a cose fatte ». 58 Ibid., p. 127 : « Nè lasciaua di dolersi, ma con più circospenttione, del Legato, che a sottoscriuere i capitoli gli hauesse costretti ». 59 Fin dall'inzio dei negoziati, il cancelliere Domenico Belli si mostrò favorevole sia alla mediazione pontificia che allo scambio territoriale in vista d' « una honorata e sicura pace, essendo trattata col mezzo et auttorità del papa » (lettere a Carlo Emanuele I, a Torino, 13 dicembre 1600, ASTo, Sezione I, Lettere di particolari, B, mazzo 37 ; citata in DBI, 7, 1970, voce Domenico Belli). 46 60 Ibid., p. 128 : « Replicò il Valenti ciò esser superfluo, essendo cosa ridicola il pensare che il Papa volesse alterare quello che haueua fatto vn suo Legato e nepote, e tutto con la spinta della necessità e del ben pubblico ». 61 C. Manfroni, Nuovi documenti… cit., pp. 128-129, II.I.C., letttera del cardinal Aldobrandini al nunzio in Francia, da Avignone, del 31 gennaio1601 : « et quando il tempo s’accostasse al fine che la ratificazione non fosse venuta, si pigli qualche scusa et si dimandi qualche giorno di tempo in più ». Ibid., pp. 128-129, II.I.D., letttera del cardinal Aldobrandini al nunzio in Francia, da Genova, del 17 febbraio 1601 : «Et inoltre desidero che V.S. dichi più in ristretto a Sillery ch’egli si può ben raccordare quello le dissi, che col volere tirar troppo l’arco s’era una volta corso pericolo di spezzarlo affatto, et che non vorrei, poichè siamo a così buon termine, che hora si facesse il medesimo, et che in somma si contentasse di havere un poco di pazienza. Et quanto all’andata a Roma del gran cancelliere de duca, V.S. potrà assicurarli che può ben andare quanto vuole, ma che trovarà Nostro Signore così fermo et risoluto che non sarà per alterare punto le cose presso S.B., anzi piuttosto operarà effetto contrario ». Ibid., pp. 128-129, II.I.F, letttera del cardinal Aldobrandini al nunzio in Francia, da Tortona, del 25 febbraio 1601 : « Et tutto questo ella potrà dire liberamente a cotesti signori, perchè io non li voglio gabbare, et assicurarli di più che, quando vedessi le cose disperate, ch’io non vedo, anzi so che questa pace s’ha da fare in ogni modo, se credessi d’andar io in Spagna in persona, scriverò tanto a tempo l’esclusione che S.M. non possa esser surpresa all’improvviso nè sarà gabbata sotto la mia parola ; ma spero che ciò non seguirà ; è necessario solo haver questa poco pazienza la quale è più dannosa a me che a nessuno ». 62 Ibid., pp. 134-135, II.I.H., letttera del cardinal Aldobrandini al nunzio di Savoia, da Avignone, del 29 gennaio 1601 : « L’avviso della sua delli 23 che sia il duca per far difficoltà 47 nella ratificazione mi ha disgustatissimo : mi consola che il monde buttarà la colpa addosso a chi è cieco et non vede il suo bene. Monsignore, questa pace è la più utile et più onorata, che habbi mai fato la corona di Spagna, ad ogn’uno che considera le conditioni. I francesi medesimi la tengono disavantaggiosa per loro et ne hanno poco contento. La colpa è del duca che non ama la pace et però vuol dare ad intendere il contrario, e secondo me ha guadagnato Don Mendo con dargli ad interdere lucciole per lanterne. È necessario che V. S. li disinganni e li dia intendere che cosa importi l’haver fatto lasciar ai francesi con tanti stenti quanto avevano in Italia e che il duca per ricompensa del marchesato ha voluto dar più a Parigi di quello che ora. Et sturi pur V.S. l’orecchie a Don Mendo, dal quale viene ogni male, poichè si lascia persuadere et aggirare dal duca et ha posto anco difficultà nella mente del conte di Fuentes contro la mente espressa del re di Spagna ch’io so benissimo ; massime che al re importa che il duca dia poco più o meno per rihaver tante piazze e far la pace e discostare i francesi da Milano e dalli altri Stati d’Italia. […] Se questa cosa non i finisce et non viene la ratificazione in tempo e spedita, è rotta più che mai, con Borgo in Bressa in mano dei francesi di più, et sperare che il re condiscenda ad altro è pazzia. Mi duole bene che il re dice esser gabbato sotto la mia parola. Ma io, s’Erminio non mi scrive meglio, ripigliarò la mia parola con una lettera e me n’andrò a Roma, perchè non voglio niuno si tenga gabbato da me. Dica pure liberamente. Di Avignone, 29 gennaro 1601 ». 63 G. B. Agucchi, Diario… cit., fol. 152v-153r. 64 Ibid., fol. 154rv. 65 ASTo, Matrimoni, m. 3, fasc. 10. 66 Documents sur l’Escalade de Genève tirés des archives de Simancas, Turin, Milan, Rome, Paris et Londres, 1598-1603, a cura di F. de Crue, Ginevra, 1903, pp. 447-449 ; 48 Correspondance ente Henri IV et Béthune, ambassadeur de France à Rome, 1602-1604, a cura di J. E. M. Lajeunie, Ginevra, 1952. 67 La disputa tra il cardinal Aldobrandini e il cardinal Odoardo Farnese ebbe origine da una violazione dell'antico privilegio di diritto d'asilo di cui godevano le famiglie nobili romane. L'inseguimento di un evaso rifugiatosi a Palazzo Farnese provocò l'ira del cardinal Farnese, di diversi baroni e cardinali romani, nonché dell'ambasciatore spagnolo, che minacciò di far arrivare a Roma delle truppe da Napoli. Sull'argomento si veda M. A. Visceglia, ‘La reputacion de la grandeza ‘ : il marchese di Villena alla corte di Roma (1603-1606), in Roma moderna e contemporanea, XV, fasc-1-3, numero monografico a cura di M. A. Visceglia, Diplomazia e politica della Spagna a Roma Figure di ambasciatori, 2007, pp. 131-156, in particolare pp.135-141. 68 Lettera di Clemente VIII al cardinal Aldobrandini del 14 marzo 1600 (C. Manfroni, Nuovi documenti, p. 139) : « Ci siamo risoluti di far la cappella pro gratiarum actione la settimana che entra, et credo che sarà mercordì, havendo giudicato meglio rispetto di Sua Maestà Divina per non tardare a darle collegialmente gratie di sì segnalato beneficio et rispetto anco al mondo, perchè, come sapete, questa è una città che si scorda le cose in poche hore, et se questa cosa non si facesse in questa caldezza della nuova, facilmente refrigesceret ». 69 S. Saward, The Golden Age of Marie de’Medici, Ann Arbor, 1982 ; S. Mamone, Paris et Florence : deux capitales du spectacle pour une reine, Marie de Médicis, Parigi, 1990 ; Caterina e Maria de’ Medici: donne al potere. Firenze celebra il mito di due regine di Francia (catal.), a cura di C. Innocenti, Firenze, 2008. 70 F. De Luca, Le nozze di Maria de’Medici con Enrico IV. Jacopo da Empoli per l’apparato di Palazzo Vecchio, Firenze, 2006. 49 71 L.-H. Labande, Fêtes et réjouissances d’autrefois. Entrée de Marie de Médicis à Avignon 19 novembre 1600, Avignone,1893 ; M. Baudière, Marie de Médicis et le livre de fête, in Les Nouvelles de l’INHA, 33, 2008, pp. 11-13. 72 Gli eventi dell'anno 1600 furono organizzati in quattro quadri: lla presentazione del ritratto della regina al re, le nozze a Firenze (nella cui composizione il il cardinale occupa una posizione centrale), lo sbarco a Marsiglia e l'incontro di re e regina a Lione. 73 L’originale è andato perduto nel XVII secolo a causa di un incendio. Una copia intitolata Henri IV et la guerre de Savoie, è oggi conservata al Musée national du Château de Pau. La scheda descrittiva è consultabile a partire dal sito web RNMN (Réunion Nationale des Musées de France). 74 Historia di Francia di Homero Tortora, da Pesaro, divisa in libri venti due, nella quale si contengono le cose avvenute sotto Francesco secondo, Carlo nono, Enrico terzo, e Enrico quarto..., Venetia : G.-B. Ciotti, 1619. La questione del marchesato di Saluzzo e la guerra di Savoia sono trattate nell'ultimo libro (22), in particolare da p. 464 a p. 485, l'ultima dell'opera. Il tomo 5 della Historia di Jacques-Auguste de Thou, pubblicato in latino nel 1620 dopo la morte dell’autore da Pierre Dupuy e Nicolas Rigault, rendeva conto dei principali eventi militari e dell'andamento dei negoziati (Illustris viri Jacobi Augusti Thuani,... Historiarum sui temporis ab anno... 1543 usque ad annum... 1607 libri CXXXVIII, quorum LXXX priores multo quam antehac auctiores, reliqui vero LVIII nunc primum prodeunt ; opus in quinque tomos distinctum. Accedunt Commentariorum de vita sua libri sex hactenus inediti. T. 5, Liber CXXV). 75 La Legazione… cit., p. 113. 76 Tortora presta al papa un giudizio severo sul conte di Baudis, governatore della fortezza di Montmélian, colpevole di aver sposato una ex monaca di clausura: « […] cosa non aspettata dal Duca, mà molto bene predettagli dal Papa, il quale havendo saputo, che quest’huomo 50 haveva sposata Battista della Ciambra, monaca, e Badessa di trent’anni del monastero di Betone della diocesi di Moriana, tenuta da lui la dentro molto tempo, fè dire al Duca, che se non lasciava di servirsi di un’huomo così empio, e Sacrilego, perderebbe quella fortezza, che costui haveva in custodia » (Historia di Francia di Homero Tortora… cit., p. 472). Tortora, allo stesso modo, riferisce la collera del legato in seguito alla distruzione del forte di di Saint-Catherine e altre sue recriminazioni, le quali, però, non si ritrovano nel testo della sua Legazione : « Con questa occasione si dolse anche di altre male soddisfattioni, ch’egli haveva ricevute, e di altri disordini, ch’erano seguiti, ciò che’l Digheres havesse poco meno, che sulle porte di Lione fatta la cena all’usanza de’Calvinisti ; e che fosse stata in Arles a suon di trombe ammessa la libertà della concienza, conforme all’edito, che’l Rè haveva fatto rinovare un pezzo prima ; mà non era stato publicato per tutto » (Ibid., p. 478). 77 Ibid., p. 77 : « Ma perché la sua prima Legatione, fu a Firenza per le nozze, io non intendo narrare i particolari che in questo viaggio e città occorressero, sì per essere quella Legatione separata, come per essere tali materie diuerse dal mio proposito. Nè di loro toccarò altro che ciò che sarà necessario pr il negotio che ho preso a narrare, lasciando il rimanente a chi scriuerà gl’auuvenimenti di quel tempo e di quel pontificato. » 78 Alcune copie sono ora conservate negli Archivi Segreti Vaticani (ASV, Miscellanea, Armadio XV, 207, fol. 202rv), nella Biblioteca nazionale centrale di Roma (Ges.538) e nella Bibliothèque nationale de France (Fonds Dupuy, 720 ; Fonds italien, Mss. 673, Mss. 674). La copia conservata in Vaticano aveva appartenuto alla famiglia Piccolomini-Febei d’Orvieto, erede della famiglia Cartari ; ora, Carlo Cartari fu, sotto Urbano VIII, prefetto degli Archivi di Castel Sant'Angelo e fece trascrivere la relazione a partire da una versione autografa (La Legazione in Francia del Cardinal Pietro Aldobrandini narrata da lui medesimo e pubblicata in occasione del congresso internazionale di scienze storiche in Roma da Luigi Fumi, Città di Castello, 1903, Prefazione, p. VIII). 51 79 Su Giovanni Battista Agucchi, si veda: Agucchi Giovanni Battista, in DBI, 1, 1960 di I. Toesca, R. Zapperi, pp. 504-506 ; G. Lenzi, Vita di monsignor Giambattista Agucchi, in L’Album, XVII, 1850, pp. 41-45 ; A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, in Atti del Real Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, 1904, 63, pp. 168-187 ; S. Ginzburg Carignani, The Portrait of Agucchi at York reconsidered, in The Burlington Magazine, CXXXVI, 1090, January 1994, pp. 4-14 ; Ead., Domenichino e Giovanni Battista Agucchi, in Catalogo della mostra Domenichino 1581-1641, Milano, 1996, pp. 121-137 ; Ead., Giovanni Battista Agucchi e la sua cerchia, in O. Bonfait, C. Luitpold Frommel, M. Hochmann, S. Schütze, Poussin et Rome, Parigi, 1996, pp. 273-291 ; A. De Marchi, Scrivere sui quadri. Ferrara e Roma, Agucchi e alcuni ritratti rinascimentali, Firenze, 2004. 80 S. Giordano, Uomini e apparati della politica internazionale del papato, in M. A. Visceglia (dir.), Papato e politica internazionale nella prima età moderna, Roma, 2013, p. 135. 81 Memorie del Cardinale Bentivoglio, Lib. I, cap. 9 : « Eragli fratello, ma d’età molto inferiore, Giovanni Battista, che serviva ancor degli in affari di segretaria il Cardinale Aldobrandino medesimo. Sin d’allora mostrava Gio. Battista un talento particolare in quella sorte di professione, e poi vi si avanzò di maniera, che diventò segretario di stato di Gregorio XV. E si tenne allora per certo, che , se Gregorio fosse alquanto più lungamente vivuto, l’avrebbe promosso al cardinalato. Morto dipoi Gregorio egli esercitò per molti anni la nunziatura di Venezia sotto il presente pontificato, e venne a morte in quel carico, lasciata gran fama di se in tutte le qualità più riguardevoli che potesse avere un ministro pubblico. E veramente egli nell’intendere e nel maneggiare le materie politiche era dotato d’una sì chiara e sì giudiziosa capacità, che lo rendeva in tal guisa non solo uguale, ma superiore ad ogni più difficile impiego. Non aveva pero egli la medesima chiarezza e facilità nello stile, perché spesso dava nello stentato, e per conseguenza nel tenebroso ; e volendo anche spesso 52 affettare i più reconditi toscanesmi, faceva che molte sue composizioni sapessero di scuola molto più che di corte. » 82 La Legazione… cit., p. 78 : « Et i particolari sono da sapersi : e si potrebbe biasimare colui che scriverà l’historia di quel tempo se non li narasse, perché priuarebbe i lettori di cose belle e di sapere come il Legato seppe valersi dell’autorità sua non a pompa della propria persona, ma per far risplendere più chiaramente la maestà e il decoro ecclesiastico ». 83 Del manoscritto conservato negli Archivi Segreti Vaticani (ASV, Libro miscellaneo, Politicorum, LXX) è in corso di pubblicazione un'edizione curata da Jean-François Chauvard e Beatrice Quaglieri. Edizioni parziali figurano in P. M. Salvago, inGiornale Ligustico di archeologia, storia e belle arti, 1877, pp. 263-278 eC. Manfroni, Nuovi documenti… cit., pp. 114-135. 84 G. B. Agucchi, Diario… cit., f. 37r : « Gli avvenimenti contenuti nel presente diario sono stati significati da me per lettere a monsignor Agucchia mio fratello, ma tra perchè in alcune di esse lettere scritte da principio sono mescolati affari e perchè l'ultime scritte in Asti e portate a Turino si guastarono nel naufragio dell'acque e così mal concie, per non haver tempo le mandai a Roma, perciò, più tosto che dare a leggere le nominate lettere, ho toccati brevemente i successi del viaggio, secondo che di giorno in giorno sono seguiti, ma nell'avvenire non havendo massimamente fatta nota niuna del viaggio, aggiungerò al presente diario le lettere stesse originali che al mio ritorno ho trovate in Roma ben conservate, nelle quali non meno distintamente che nel diario, si potrà seguitare a veder la relatione di quel felice viaggio. » 85 Come indica ad esesempio il titolo del manoscritto conservato alla BNF, Fonds Dupuy, 720 : « Diario del viaggio del cardinal Pietro Aldobrandino nell’andar legato apostolico à Firenze per il sponsalitio della regina di Francia [Maria de’ Medici], e dopo in Francia per la pace, descritto da Mons. Giambattista Agucchia, morto nuntio apostolico in Venetia ». 53 86 Agucchi è l'autore di un terzo testo, più corto, che riassume il diario : Relatione mandata da Monsigr Agucchia nuntio di Venetia, della legatione del sr cardinal Pietro Aldobrandino in Francia (BNF, Fonds Dupuy, 720, 2° fascicolo). 87 Senza alcuna pretesa d'esaustività, ecco una lista dei testimoni manocritti del diario ad oggi conservati : Città del Vaticano. ASV : Fondo Borghese, Serie II, 466 ; Libro miscellaneo, Politicorum, t. LXX, fol. 98-29 ; Misc. Arm. XV n. 206 ; BAV : Capponi 71 ; Chigi M.I.12 ; Ferrajoli. 38 ; Ferrajoli. 638 ; Ottoboni 2620 ; Vat. Lat. 8510 ; Vat. Lat. 13433. Napoli. Biblioteca Naz. Vittorio Emanuele : Ms. Brancacciano, III C 11. Roma. Biblioteca Casanatense : 10. Ms. 1569n ; 10. Ms. 2887. Biblioteca Corsiniana : 10. Ms. 38 A 19 (240) ; 11. Ms. 38 A 24 (162) ; 12 ms. 39 A 17 (395). Frascati, Archivio storico Aldobrandini : 13. s.n., Acefalo. Firenze. Biblioteca Moreniana :14. Ms. Acquisti Diversi 173. Parma. Biblioteca Palatina, Palatino : Ms. Pal. 0572, ff. 295. Parigi. BNF : Fonds Dupuy, 720 ; Fonds italien : Mss. 377 ; Mss. 675; Mss. 1323. Londra. British Library : 15 Ms. Add. 20.018. Malibu (E.U.). The Getty Research Institut, 521655. Un manoscritto parzialmente trascritto (a cura di P. M. Salvago, op. cit.), conservato a Genova, non è però stato ancora localizzato.