dispensa 2 prima parte

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dispensa 2 prima parte
S.Sbordoni "Web, Libertà e Diritto"©
DISPENSA II (prima parte)
INTERNET E LIBERTA’: CARATTERISTICHE DI UNA “COMUNITA’ VIRTUALE”
SEMPRE PIU’ DISTINTA DALLA “COMUNITA’ MATERIALE”
Uno dei padri fondatori di Internet, Vinton G. Cerf ha affermato: “Internet è uno dei
veicoli più solidi per la difesa della libertà, poiché offre la verità a chi vuole vederla e
intenderla".
Questa citazione può essere un punto di partenza nell'analisi di ciò che oggi
rappresenta Internet tanto sul piano sociale e culturale quanto sul versante giuridico e
in particolare con riferimento alla questione della territorialità, dei rapporti tra mondo
del web e normative statali o sovranazionali.
Indubbiamente
Internet
costituisce
oggi
uno
strumento
di
conoscenza
e
di
comunicazione fondamentale per la società, evoca un pensiero di “libertà” a 360
gradi posto che, grazie alla navigazione sul web, oggi è possibile ampliare ogni forma
di conoscenza, superare molti ostacoli legati al territorio ed all’appartenenza ad uno
stato, estendere a dismisura le possibilità di comunicazione.
Sempre più la parola “Internet” fa pensare a un mondo, quello del web, quasi
“sganciato” da quello “fisico”, un mondo libero, senza confini e senza limiti.
La consapevolezza della portata del fenomeno ha spinto l’uomo a teorizzare un mondo
della rete distinto dalla comunità materiale, e a sostenere una sorta di libertà assoluta
dei cittadini della rete.
Espressione di questo fenomeno sono, ad esempio, gli hacker (dal verbo to hack che
significa letteralmente tagliare, fare a pezzi; coniato negli Stati Uniti, e che viene
tradotto in italiano con la parola “smanettone”) i quali affermano con forza il principio
della libertà in rete ed il binomio Internet-Libertà.
Secondo la “cultura-hacker” i sistemi di elaborazione potevano essere violati per
elevare il livello delle conoscenze scientifiche e per verificare l’efficacia delle protezioni
contro le intrusioni, anche se non era consentito danneggiare i programmi e le
informazioni.
Principio fondamentale era il dovere di non alterare il funzionamento degli
elaboratori e di non corrompere nessun file di sistema, con esclusione delle
informazioni che dovevano essere necessariamente modificate per consentire ulteriori
accessi in futuro e per evitare l’identificazione dell’operatore.
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Con la diffusione di Internet e delle moderne tecnologie, le tecniche di “hacking”
hanno iniziato ad essere usate per scopi criminosi e, da allora, il termine hacker ha
assunto il significato di “pirata informatico”.
È stata così creata la figura del cracker per distinguere, tra gli operatori, le diverse
finalità e le motivazioni dei comportamenti: il cracker è colui che, per scopi illeciti e
criminosi, si introduce abusivamente nei sistemi automatizzati pubblici o privati,
eludendo le misure di sicurezza, per diffondere virus, per esaminare, sabotare,
alterare,
manipolare
e
duplicare
gli
altrui
patrimoni
informativi,
per
captare
informazioni riservate o per commettere ulteriori azioni illecite.
Le motivazioni di tali azioni possono essere le più varie: da quelle più ludiche a quelle
vandaliche, per giungere fino a vere e proprie operazioni professionali di intrusione o
sabotaggio dei sistemi informatici.
In una recente pubblicazione intitolata “Hacker – Il richiamo della libertà”1
l’autore, Giovanni Ziccardi illustra, ad esempio, un aspetto della particolare realtà di
Internet, evidenziando come siano “ ... migliaia i dissidenti digitali attivi ogni giorno in
tutto il mondo che rischiano la vita per opporsi a forme di governo liberticide e a
politiche votate al controllo dei comportamenti dei cittadini. Dediti allo sviluppo di
tecniche per aggirare divieti e per nascondere, cifrare, rendere anonime e svelare
informazioni, sono costantemente sorvegliati da gruppi di potere. Muniti di telefoni
cellulari, macchine fotografiche, telecamere e computer portatili, trasmettono in
tempo reale gli orrori della società. Si attivano per eliminare filtri; si battono per
squarciare veli di omertà e per eludere sistemi di censura; rifiutano l'idea di segreto
nelle questioni d'interesse pubblico e la consacrano nell'ambito del loro privato;
mirano a erodere monopoli mediatici e a smentire false verità di Stato. Allestiscono
siti web che pubblicano documenti riservati o aggiornano blog al solo fine di rendere il
loro (e il nostro) mondo più trasparente e più libero. Sviluppano un codice informatico
di grande complessità e affinano le loro competenze con in mente un unico scopo:
opporsi”.
Certo è che il rapporto tra Internet e libertà (nel senso più ampio del termine)
costituisce un argomento sempre più attuale e delicato, che rimanda a una serie di
problematiche di non facile soluzione.
Numerosi sono gli interrogativi e i dibattiti riguardanti l’opportunità di sancire il diritto
di accesso alla rete e di codificarlo come diritto fondamentale, nonché
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d’individuare i soggetti che dovrebbero rendersi promotori dei diritti su Internet (ONU
e/o Stati nazionali?).
Particolarmente rilevanti sono fenomeni come WikiLeaks2, che ha dato origine ad
accese discussioni sulle questioni citate, coinvolgendo operatori del diritto e teorici del
ciberspazio, tanto da condurre addirittura alla proposta di adozione di una Carta
mondiale dei diritti su Internet.
Studi recenti evidenziano come oggi soltanto il 20% della popolazione del nostro
pianeta accede a Internet, mentre il restante 80%, come acutamente osservato da
Tim Berners-Lee3, potrebbe ottenere beni e servizi di primaria necessità come acqua e
sanità, di cui oggi purtroppo non dispone.
In quest’ottica, dunque, Internet si pone, per alcune popolazioni, non tanto come una
comodità, ma come un efficace strumento per migliorare le condizioni di vita delle
popolazioni meno fortunate; la rete ha un potenziale talmente elevato che sarebbe in
grado di aiutare gli abitanti del pianeta in generale ed alcune popolazioni in particolare
nello sviluppo culturale, nella condivisione di informazioni e nelle comunicazioni,
cosicché tutti potrebbero beneficiare delle conoscenze collettive.
Rendere l’accesso alla rete “libero”, anche a velocità minime o anche solamente locali,
sarebbe quindi già un passo avanti di enorme importanza.
Per questi motivi Tim Berners-Lee ha espresso recentemente4, una sorta di appello
a che sia promossa la diffusione di Internet in tutto il mondo, osservando come
Internet debba essere considerato un diritto e non un lusso e come tutti abbiano
diritto di accedervi a titolo gratuito.
D’altra parte, secondo Berners-Lee, esiste un modo per realizzare la diffusione di
Internet su larga scala e per consentire l’accesso alla rete da parte di tutti gli
interessati; secondo l’informatico britannico basterebbe offrire connessioni a banda
stretta, in modo da dare a tutti la possibilità di collegarsi alla rete, sfruttando così
tutti i vantaggi offerti dal web.
1
“Hacker – Il richiamo della libertà” di Giovanni Ziccardi, 2011.
2
WikiLeaks è un'organizzazione internazionale senza scopo di lucro che. attraverso un contenitore (drop box) protetto
da un sistema di cifratura molto potente, riceve in modo anonimo documenti segreti (coperti, ad esempio, da segreto
di stato, segreto militare, segreto bancario, segreto industriale), caricandoli sul proprio sito web al fine di portare a
conoscenza della collettività i comportamenti dei governi e delle aziende contrari all’etica. L'organizzazione dichiara di
verificare l'autenticità del materiale prima di pubblicarlo, preservando l’assoluto anonimato degli informatori.
3
Il co-inventore del World Wide Web, insieme a Robert Cailliau.
In particolare, si fa riferimento all’intervento di Berners-Lee nella conferenza Nokia World 2010, tenutasi a settembre
2010.
4
3
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La chiave per la diffusione di massa di Internet dovrebbe essere ricercata, a giudizio di
Berners-Lee, nelle connessioni mobili e nella copertura mondiale che potrebbe da
sola essere sufficiente a offrire una connessione limitata in qualsiasi zona della terra.
Quello del “Diritto a Internet”, soprattutto del diritto alla fruizione gratuita della
rete, costituisce un tema importante del dibattito ormai sviluppatosi a livello mondiale.
Anche in Italia la questione ha costituito oggetto di disquisizioni e dibattiti, anche da
parte di giuristi e di politici, sfociando addirittura nell’interrogativo sull’opportunità o
meno di modificare la Costituzione per rendere Internet un diritto fondamentale.
Durante
l’Internet
Governance
Forum
2010,
Stefano
Rodotà,
giurista,
costituzionalista e politico, che già nel 2006 aveva presentato la Carta dei Diritti per
Internet5, ha avanzato la proposta di inserimento nella Costituzione italiana
dell’articolo 21 bis, per la promozione e la difesa del diritto dei cittadini di accedere
a Internet.
Il testo proposto era il seguente: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete
Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che
rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”.
La proposta ha destato molti consensi, tra i quali quello della rivista Wired6, che si è
immediatamente schierata a favore dell’articolo 21 bis, promuovendo una petizione on
line volta ad ottenere consensi per fare assurgere Internet a diritto costituzionale.
Qualche perplessità è stata invece sollevata da chi, ragionando su un piano etico
sociale più che giuridico, ha evidenziato come la rete Internet sia nata come gratuita e
accessibile a tutti, e non presenti la necessità di un riconoscimento sul piano giuridico,
tanto più a livello costituzionale, di tali sue caratteristiche.
Il “fenomeno Internet” inteso, non soltanto come sistema di telecomunicazione e
come evento che ha rivoluzionato la tecnologia, ha fatto nascere accesi dibattiti sulla
possibilità di farlo assurgere a diritto o addirittura a diritto costituzionale, che
nemmeno l’avvento del telefono (anch’esso strumento che ha rivoluzionato la nostra
vita) aveva mostrato.
5
Cfr. la Repubblica.it, scienza & tecnologia, “Perchè Internet ha bisogno di una Carta dei diritti”, di Stefano Rodotà; si
veda anche: Tommaso Del Lungo, “Una Carta dei Diritti di Internet: l’Italia dice la sua”, su saperi.forumpa.it, articolo
dell’11.10.2007.
6
Rivista mensile statunitense, nata nel 1993 a San Francisco e considerata la “bibbia” della rivoluzione digitale;
pubblicata, a partire dal 2009 anche in versione italiana con il nome: “Wired. Storie, idee e persone che cambiano il
mondo”.
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Internet è, infatti, molto di più: uno strumento di comunicazione e di interazione
sociale, fondamentale anche al fine di tutelare la democrazia.
La consapevolezza della portata del fenomeno è d’altronde sempre più ampia e trova
ormai spazio anche nelle fasce culturali originariamente spaventate e diffidenti nei
confronti della rete.
La maggior parte delle persone, chi più chi meno, hanno ormai contatti con il “mondo
Internet” posto che negli ultimi anni è aumentata in modo esponenziale l’offerta di
servizi, pubblici e privati, in rete divenendo, in molti casi, gli unici servizi fruibili (si
pensi, solo per fare un esempio, al d.l. 223/2006, cosiddetto "Decreto Bersani",
che dal 1º ottobre 2006 ha imposto ad alcune categorie di contribuenti in possesso di
partita IVA l'obbligo di effettuare la presentazione del modello F24 solo in forma
telematica, obbligo esteso poi, a partire dal 1º gennaio 2007, a tutti i titolari di
partita IVA).
Sono dunque ben lontani i tempi in cui in un convegno su Internet un relatore
simpaticamente interveniva esordendo: “Per chiarire il mio pensiero vorrei cominciare
con dei saluti un po’ atipici: ‘Benvenuto all’accolita di pedofili e delinquenti che è
riunita in questa sala’. Si, perché l’utilizzo di Internet sembra legittimare nella mente
di parecchie persone l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico di una categoria
che nessuno, nemmeno Arturo Rocco si era sognato di prendere in considerazione, e
cioè la cosiddetta colpa per tipo d’autore. Non si è responsabili per ciò che si fa, ma
responsabili per la rispondenza del proprio essere ad un prototipo, chi usa Internet è
un delinquente: questa è l’equazione che da qualche anno è assolutamente presente
nell’immaginario collettivo complice una informazione veramente povera di contenuti e
idee ...”7.
Peraltro, i temi affrontati in quella sede sono ancora attuali, posto che anche allora,
come oggi, si evidenziava come nel dibattito su Internet svolgessero un ruolo
fondamentale due macro interlocutori: da una parte le leggi, cioè lo Stato e
dall’altra parte la società civile.
Ad oggi permangono, comunque, grosse difficoltà nel “calibrare” il fenomeno.
7
Intervento al convegno “Internet, libertà e censura”, tenutosi a Roma il 22 luglio 1997, di Andrea Monti – Copyright
CGIL, su www.ictlex.net.
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Da una parte, infatti, vi sono coloro che qualificano Internet
come un diritto di cui
tutti devono fruire liberamente; dall’altra parte, vi sono addirittura governi che
escludono o limitano fortemente la libertà di accesso alla rete.
E ancora, il concetto di Internet come strumento di democrazia, che non può
essere in alcun modo compresso o limitato, spesso si va a scontrare con la necessità
di tutela di diritti altrettanto fondamentali della popolazione mondiale che
inevitabilmente collidono con una visione di libertà assoluta della rete.
Sicuramente,
come
in
ogni
contesto
civile,
occorrono
delle
regole
e
conseguentemente la messa in atto di limiti volti a contemperare gli interessi dei
cittadini.
Partendo da questo principio, è necessario distinguere il piano dell’accesso e
dell’informazione su Internet, che devono indubbiamente essere connotati da
ampia libertà, da quello dei comportamenti su Internet, che devono essere
improntati al rispetto delle regole e della normativa posta dai singoli ordinamenti
giuridici (argomento sul quale si tornerà nei capitoli successivi).
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