Apparecchio per congelare liquidi Igrometro

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Apparecchio per congelare liquidi Igrometro
dossier innovazione
Apparecchio per congelare liquidi
Francesco Sajno, 13 maggio 1873
Ingegni
Nella storia delle tecnologie del freddo i primi esperimenti si possono collocare nel XVIII secolo, quando William Cullen verificò che l’evaporazione
dell’etere a basse pressioni causava una forte sottrazione di calore. Le tecniche frigorifere per la produzione artificiale soprattutto del ghiaccio trovano le prime applicazioni verso la metà dell’Ottocento. Il primo
brevetto per una ice machine è datato 1851 a firma di
John Gorrie, che propone una macchina frigorifera ad
aria, che una volta compressa e raffreddata nella successiva espansione risulta in grado di sottrarre calore.
Tra i brevetti dello US Patent Office si registra il 2 ottobre 1860 quello del francese
Ferdinand Philip Edward
Carré, che per primo sviluppò un ciclo ad assorbimento ad ammoniaca;
questo sistema sarà usato
sino a quando, in seguito
al divieto di usare ammoniaca per usi alimentari,
si passò al freon. L’invenzione di Sajno si inserisce
tra i dispositivi che hanno segnato la strada alle
moderne gelatiere.
d’Italia
Un racconto dell’eccellenza italiana
attraverso brevetti che hanno fatto la storia
delle invenzioni
di Vittorio Marchis
S
i dice che i periodi di recessione economica siano i più
favorevoli all’innovazione perché il troppo benessere non ha mai giovato allo
sviluppo della società. D’altronde se si esamina la storia
italiana dal 1861 a oggi, ovvero da quando ha
incominciato ad affrontare la Rivoluzione industriale, proprio le innovazioni e i brevetti a
esse legati ci svelano molti aspetti di una storia
spesso dimenticata, ma ricca di sorprese.
La ricerca condotta nei giganteschi archivi
del Patent Office degli Stati Uniti, che ha portato a 150 (anni di) invenzioni italiane, pubblicato da Codice Edizioni, svela una folla di nostri connazionali desiderosi di promuovere le
proprie scoperte anche in uno scenario internazionale che proprio dalla metà del XIX secolo assume inequivocabilmente un ruolo centrale nel progresso tecnologico. Anche se ogni
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Igrometro
Antonio Meucci, 16 ottobre 1876
scelta comporta rinunce, la rassegna di questi
150 brevetti, di cui nelle prossime pagine trovate alcuni esempi, presenta accanto ai giganti
del «genio italiano» anche dei nani, ma non per
questo meno importanti. Perché il famoso aforisma di Bernardo di Chartres a proposito dei
«nani sulle spalle dei giganti» si può invertire.
Molti grandi inventori non sarebbero giunti a
tanto se non fossero stati preceduti da umili artigiani, soldati ed emigranti, operai e sacerdoti che hanno contribuito a formare quel sapere
collettivo che è lo spirito di una civiltà.
E così a fianco di Guglielmo Marconi ed Enrico Fermi, di Corradino D’Ascanio e di Antonio Meucci, si può ritrovare chi come Giovanni
Gilardini arriva a Torino dal Verbano e, sconosciuto ai più, inventa l’ombrello ad apertura
automatica: presto sarà un importante imprenditore. A fianco degli idrovolanti ci sono anche
i giocattoli, e non mancano neppure le pinne
da subacqueo e i lamponi.
Il libro di Vittorio Marchis,
docente di storia della tecnologia,
dell’industria italiana e della cultura
materiale al Politecnico di Torino,
edito da Codice Edizioni.
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Antonio Meucci era nato nel quartiere fiorentino di San
Frediano il 13 aprile 1808, e aveva studiato all’Accademia di
Belle Arti del capoluogo toscano. Aveva trovato lavoro alle
dogane e come tecnico di scena al Teatro della Pergola, ma
dopo essere stato coinvolto nei moti rivoluzionari del 1831
lasciò il Granducato di Toscana ed emigrò a Cuba. Nel 1845
lasciò l’Avana per Clifton, New York: qui aprì una fabbrica
di candele dove ebbe modo di conoscere Giuseppe Garibaldi
e collaborare con lui, fra il 1850 e il 1853. Tutti conoscono
la sua invenzione del «teletrofono», il primo vero telefono, il
cui brevetto fu rilevato da Graham Bell. La sua completa riabilitazione come inventore del telefono è stata decretata l’11
giugno 2002 dal Congresso degli Stati Uniti, con la risoluzione 269. Pochi sanno delle sue altre 22 invenzioni brevettate, per esempio una bevanda a base di frutta e vitamine (patent n. 122.478 del 1871) e nel 1873 un condimento
per pasta e altri cibi, insieme ad Angiolo P. Agresta di New
York (patent n. 142.071), ma anche un processo per produrre fogli di carta bianca e resistente e un nuovo modo di fabbricare candele.
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Procedimento
per la produzione
di filamenti per lampade
a incandescenza
Trasmissione
di segnali elettrici
Guglielmo Marconi,
18 luglio 1897
Alessandro Cruto, 29 luglio 1884
Quando Guglielmo Marconi ottenne questo brevetto si trovava da poco più di un anno in Inghilterra. Il 12 febbraio
1896 aveva lasciato l’Italia con la madre, e a Londra, il 5 marzo dello stesso anno, presentò la prima richiesta provvisoria di
brevetto, con il numero 5028 e con il titolo Miglioramenti nella telegrafia e relativi apparati. Il 19 marzo Marconi ricevette dall’ufficio brevetti conferma dell’accettazione, e il 2 giugno dello stesso anno depositò una domanda definitiva per
un sistema di telegrafia senza fili (n. 12.039) dal titolo Perfezionamenti nella trasmissione degli impulsi e dei segnali elettrici e negli apparecchi relativi. Nel luglio 1897 Marconi fondò a Londra la Wireless Telegraph Trading Signal Company,
che presto divenne la Marconi Wireless Telegraph Company.
Il primo ufficio si trovava in Hall Street, a Chelmsford, e l’anno successivo avrebbe avuto una cinquantina di impiegati.
La prima trasmissione radio attraverso uno specchio di mare
avvenne nel 1899 da Ballycastle, nell’Irlanda del Nord, all’isola di Rathlin. Guglielmo Marconi ricevette il premio Nobel
per la fisica a Stoccolma il 10 dicembre 1909.
In occasione dell’Esposizione Generale Italiana del 1884, si celebrò il trionfo dell’elettrotecnica nell’Esposizione Internazionale
di Elettricità e con una speciale galleria inaugurata il 27 maggio.
Gli eventi furono festeggiati con fantastiche illuminazioni pubbliche, e la stessa Galleria del Mobilio vide l’impiego delle lampadine di Alessandro Cruto, self made man affascinato dal progresso della tecnica. Volendo produrre diamanti artificiali tramite
l’evaporazione del carbonio sotto vuoto, nel corso dei suoi esperimenti riuscì a depositare uniformi e sottilissime pellicole di questa sostanza; capì subito che era il modo ideale per produrre filamenti di lampadine, migliori e più efficienti di quelli del colosso
Thomas A. Edison. Era l’inizio di un’avventura tutta piemontese
che però avrebbe avuto vita breve: dopo aver avviato una fabbrica ad Alpignano, presto mancarono i necessari finanziamenti per
continuare. Il 15 gennaio 1895 fu depositato l’atto di scioglimento della A. Cruto e C. (Archivio di Stato di Torino, Atti di Società,
Vol. I, fasc. 62), società in accomandita semplice, costituita il 25
febbraio 1882, che alla data dello scioglimento aveva un capitale sociale di 5000 lire.
Ombrello
Dispositivo per sollevare
oggetti sommersi
Giovanni Gilardini, 2 giugno 1885
Caterina Pino, 13 febbraio 1906
Giovanni Gilardini, originario del Verbano, in Piemonte, negli
anni quaranta del XIX secolo arrivò a Torino, e in località Ponte Mosca aprì un laboratorio per la fabbricazione di ombrelli. Intorno alla metà degli anni cinquanta l’azienda cominciò a interessarsi di produzione conciaria, avviando un’attività produttiva
che vide spesso tra i clienti l’esercito, per il quale produsse equipaggiamenti. Tra il 1860 e il 1875 l’azienda aprì un nuovo stabilimento in Lungo Dora Firenze. Negli ultimi anni del secolo la
Gilardini dava lavoro a quasi 1000 operai (quasi un terzo della
manodopera complessiva impiegata nell’intero settore conciario
cittadino) suddivisi in due sezioni: meccanica (equipaggiamenti e abbigliamenti per le forniture militari, nonché fabbricazione di ombrelli) e conciaria. Il 4 dicembre 1905 l’azienda si trasformò in Società Anonima Giovanni Gilardini, e nel 1911 vide
crescere ulteriormente le sue commesse per l’esercito in occasione della guerra di Libia. Tra il 1915 e il 1918 lo stabilimento torinese produsse migliaia di pezzi: calzature alpine e gambaletti
(circa 40.000), cinghie per fucili (100.000) e finimenti per stanghe (12.000).
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Poche sono le donne titolari di brevetti industriali, soprattutto nel XIX secolo. I registri del Regno di Sardegna
riportano Paolina Verdeaux, che nel 1829 e nel 1839 presentò domanda e ottenne il brevetto per i suoi busti ortopedici, Lorenza Correa, che nel 1832 ottenne un brevetto per la fabbricazione di pettini, la vedova Dumail, che
propose un sistema di annaffiamento delle piante (1844),
Maria Saxe per una macchina per ricamare (1840), Amelia
Pajot per la fabbricazione di maglie (1848), Caterina Roatis
per una bevanda alcoolica (1854). Pochissime, comunque,
rispetto alle centinaia di brevetti presentati all’Accademia
delle Scienze di Torino. Sull’Annuario Scientifico e Industriale del 1904 (pubblicato dall’editore Treves) apparve
una breve notizia relativa all’invenzione di un «Apparecchio per la discesa, la propulsione ed il lavoro sott’acqua»
a firma di Kunkl S. e Pino G. Di quest’ultimo la signora
Caterina Pino, née Rossi (nata Rossi), fu probabilmente la
consorte.
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Macchina
per scrivere
Motore a combustione
interna
Aeromobile
multiplano
Giovanni Enrico, 3 agosto 1909
Gianni Caproni, 10 agosto 1920
Camillo Olivetti,
20 luglio 1926
Il 29 ottobre 1908 a Ivrea, nella «fabbrica in mattoni rossi», venne fondata la Ing. C. Olivetti e C. Alla preparazione del primo modello di macchina per scrivere lavorò un gruppo di una ventina di persone guidato
dello stesso ingegner Camillo, che alla fine del 1908
compì un nuovo viaggio negli Stati Uniti per raccogliere informazioni utili al progetto. Dopo quasi tre anni il primo modello, la M1, venne presentato all’esposizione di Torino del 1911. Ai primi anni di difficoltà
seguirono finalmente i successi: dopo un secondo modello, la M20, nel 1922 nacque a Ivrea la fonderia e nel
1926 la OMO (Officina Meccanica Olivetti) per la costruzione di macchine utensili. Il primo manifesto pubblicitario venne affidato al pittore Teodoro Wolf Ferrari, che raffigurò Dante Alighieri intento a indicare
con un atteggiamento autorevole una M1. Altri slogan furono questi: «Se i nostri padri potessero vedere
la macchina da scrivere Olivetti griderebbero al miracolo», «La macchina italiana che nulla ha da invidiare
alle macchine straniere», «Italiano, tu che hai combattuto sofferto e vinto non preferire la macchina straniera all’italianissima Olivetti», «La storia dell’Italia vittoriosa si deve scrivere con la macchina Olivetti».
Nato a Casale Monferrato nel 1851, Giovanni Enrico si laureò alla Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Torino il 31 dicembre 1876. Nel 1879 aprì un’officina meccanica in via degli Artisti
34, dove cominciò a produrre motori a vapore e idraulici, due dei
quali furono esposti durante l’Esposizione Nazionale del 1881. Fu
assunto come direttore progettista della FIAT nel 1901 da Giovanni Agnelli, al posto di Aristide Faccioli, e per primo realizzò il modello 12 HP con motore a 4 cilindri biblocco e con radiatore a nido d’ape. Progettista dotato di grande professionalità, brevettò un
sistema di anticipo automatico con magnete a bassa tensione e
un tipo di cambio con ingranaggi sempre in presa. Fu l’innovatore della posizione delle valvole dei motori a scoppio: sino ad allora erano poste in posizione laterale al cilindro, mentre Enrico decise di portarle in testa, con la classica inclinazione e comandate
da un singolo bilanciere. Questa soluzione fu adottata sul modello 100 HP del 1905.
Matita con serbatoio
Rodolfo Debenedetti,
21 maggio 1929
Dopo la Realschule di Rovereto e la laurea in ingegneria civile
al Politecnico di Monaco di Baviera nel 1907, il trentino Giovanni
Battista Caproni conobbe lo scienziato Henri Coanda a Liegi, dove si stava specializzando in elettrotecnica. Proprio a Liegi, dopo
aver assistito a una dimostrazione dei fratelli Wright, iniziò a coltivare interesse nell’allora emergente campo dell’aeronautica. Ritornato in Trentino dopo un breve soggiorno a Parigi, si mise al lavoro al suo primo velivolo a motore, il Ca.1, e intanto si trasferì in
Italia, a Cascina Malpensa, dove fu fondata la Caproni. Il Ca.1 fece
il suo primo volo il 27 maggio 1910, ma si distrusse nell’atterraggio. A Vizzola Ticino Caproni lavorò ai modelli successivi. Dopo
una serie di prototipi sviluppò il Ca.18, destinato all’osservazione aerea, che però uscì sconfitto dal primo concorso militare italiano, tenutosi all’inizio del 1913. L’azienda in difficoltà economiche
fu acquistata dallo Stato italiano: Caproni vi rimase come direttore tecnico, progettando i trimotori da bombardamento che furono utilizzati dalle forze aeree di Italia, Francia, Regno Unito e Stati
Uniti durante la prima guerra mondiale. Dagli anni venti gli aerei
Caproni continuarono a far parlare di sé.
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L’Aurora venne fondata nel 1919 a Torino, come Fabbrica Italiana Penne a Serbatoio Aurora, dal finanziere e commerciante di tessuti Isaia Levi, figlio di Donato e Arianna De Benedetti. Isaia Levi, futuro presidente della Zanichelli, aveva voluto diversificare l’attività nel
distretto di Settimo Torinese, cominciando a imitare le fountain pen
americane che allora dominavano il mercato, come la Waterman. Dopo
i primi modelli di penne rientranti con caricamento a contagocce, negli anni venti l’Aurora incominciò a produrre penne a riempimento automatico con corpo in ebanite, e parallelamente anche i primi modelli in celluloide con la serie Duplex. Nel 1929 l’azienda si ristrutturò, e
incominciò a produrre anche penne economiche che sarebbero entrate
nei circuiti commerciali con il nome Asco. In questi anni la produzione
si aprì anche ad altri prodotti, come il portamine presentato in questo
brevetto. Nel 1930 venne lanciato il nuovo modello Superba, con caricamento a levetta e con una originale forma affusolata. Erano gli anni
dell’apertura a nuovi mercati, come quello spagnolo e francese. Attiva
ancora oggi, l’Aurora ha recentemente conosciuto nuovi successi con il
modello Hastil disegnato da Marco Zanuso.
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Elicottero
Bicicletta a motore
Corradino d’Ascanio
e Pietro Trojani,
22 maggio 1934
Corradino d’Ascanio, 27 dicembre 1949
Al termine della guerra l’Italia si trovava in una situazione disastrosa, con
la maggior parte delle fabbriche bombardata. Alla Piaggio di Pontedera, oltre
alla ricostruzione, bisognava pensare alla riconversione per una produzione
«di pace». Enrico Piaggio, figlio di Rinaldo, il fondatore, ebbe l’idea di costruire un motociclo a basso costo utilizzando i motori a scoppio già impiegati come starter degli aerei. Affidò inizialmente il compito a un ingegnere del suo
staff, che realizzò l’MP5, soprannominato Paperino, che però, non trovando
il favore del pubblico, venne abbandonato. Nell’estate dello stesso anno il progetto passò nella mani di Corradino D’Ascanio, che affrontò il problema con
una filosofia completamente nuova, più aeronautica che motociclistica, prendendo spunto dai velivoli intorno ai quali aveva lavorato sino ad allora. Il primo modello, chiamato 98, fece la sua comparsa ufficiale nel 1946, e fu esposto al salone del ciclo e motociclo di Milano. Con la Lambretta, prodotta dalla
Bianchi l’anno seguente e diventata subito l’antagonista, la Vespa (questo il
nome che porta ancora oggi) cambiò lo stile di vita degli italiani, anticipando le utilitarie e diventando lo scooter più famoso al mondo. Una menzione a
parte meritano le pubblicità: «La S.p.A Piaggio & C. presenta la Motoleggera utilitaria Vespa»; «Non è una motocicletta, ma piuttosto una piccola vettura a due ruote»; «Assicurati sulle strade bagnate e viscide da una stabilità eccezionale»; «Meglio una Vespa oggi che una vettura domani»; «Lo scooter più
diffuso». E poi: «Vespizzatevi!»; «Chi Vespa mangia le mele»; «Mela compro la
Vespa!»; «Gioiati Vespa!». Negli Stati Uniti la pubblicità dichiarava: «Forse la
vostra seconda automobile non dovrebbe essere un’automobile».
Corradino D’Ascanio nacque a Popoli, in Abruzzo, il
1º febbraio 1891. Nel 1906 costruì una sorta di deltaplano, che usò per lanci sperimentali. Dopo il diploma
nel 1909 al Regio Istituto Tecnico Ferdinando Galliani di
Chieti, si laureò a Torino in ingegneria industriale meccanica nel 1914. A dicembre si arruolò volontario nell’arma
del genio, nella divisione Battaglione Aviatori, assegnato
al collaudo dei motori. Inviato in Francia per scegliere un
motore rotativo da fabbricare in Italia, fu l’artefice della produzione italiana dei motori Le Rhone. Con lo scoppio della guerra si occupò della manutenzione del materiale delle squadriglie di volo, ma nel 1916 fu assegnato
alla società per costruzioni aeronautiche Pomilio, che nel
1918 lo portò in America. Ritornato in Italia, a Popoli, nel
1925 fondò una società con il barone Pietro Trojani di
Pescosansonesco. Qui cominciò l’avventura con gli elicotteri. I primi prototipi di elicottero D’AT1 e D’AT2 ebbero esito negativo. Il terzo prototipo, D’AT3, commissionato dal ministero dell’Aeronautica, realizzato nelle officine
del genio aeronautico a Roma e dotato di un motore Fiat
A.50 S HP90, conquistò nel 1930 i primati internazionali
alzandosi dal suolo per 18 metri.
Apparato per la bonifica di oli lubrificanti usati
Dispositivo per cuciture
a zig-zag
Giacomo Bottaio, 6 febbraio 1945
Giuseppe Amman,
29 dicembre 1953
Nel 1911 il chimico genovese Giacomo Bottaro, di Genova,
ottenne dallo US Patent Office un brevetto per la «Produzione
di acidi grassi». Il brevetto venne riportato l’anno seguente sullo Year-Book for Colorists and Dyers, Presenting a Review of the
Year’s Advances in the Bleaching, Dyeing, Printing and Finishing of Textiles, e descritto come il tentativo di ottenere acidi grassi più leggeri usando sapone di calce come uno dei componenti. Poche sono le notizie relative a questo chimico, il quale
però tra gli anni trenta e cinquanta continuò a brevettare i propri ritrovati. Sul n. 50 della rivista «Technica» (aprile 1937) apparve tra i Petites Annonces Commerciales la seguente inserzione: «M. Giacomo Bottaro, titulaire du brevet français 771.447 du
9 avril 1934, pour Perfectionnements aux appareils ou machines
pour la préparation d’infusions ou d’extraits liquides chauds ou
froids de n’importe quelle nature, désire le vendre ou en céder des
licences d’exploitation. Pour tous renseignements, s’adresser à
Mm. Germain et Moreau, ingénieurs-conseils, 31, rue de l’Hôtelde-Ville, à Lyon». Nel 1940 brevettò un «Processo per estrazione
controcorrente» e nel 1953 un «Countercurrent extraction apparatus and process».
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Una delle innovazioni che caratterizzarono le macchine
per cucire Necchi fu la presenza di un dispositivo capace
di realizzare il punto a zig-zag. Di ciò fu l’artefice Giuseppe Amman. La storia delle macchine da cucire Necchi inizia nel 1927, con la creazione della Bobina Domestica, che
negli anni trenta avrebbe subito importanti evoluzioni tanto nella velocità quanto nella tipologia dei punti, sino alla
creazione del punto a zig-zag. In questo modo un prodotto di qualità con caratteristiche «industriali» conobbe anche
un vastissimo e apprezzato uso domestico. La Necchi si impose nel corso degli anni sul mercato, non solo italiano, per
via della moderna tecnologia e anche per la collaborazione
con grandi designer. La Visetta del 1949 era stata disegnata
da Giò Ponti, il modello 1100/2 Borletti da Marco Zanuso; le
bellissime Necchi Supernova (1953), Lidia (1955), e Mirella
(1957) portano invece la firma di Marcello Nizzoli. La Necchi Logica, del 1981, fu disegnata da Giorgio Giugiaro.
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Sistema pulente in un
impianto di lavaggio
per autovetture
Calcolatore elettronico
Pier Giorgio Perotto
e Giovanni De Sandre,
23 settembre 1969
Umberto Capra,
25 gennaio 1977
Pietro Ceccato nel 1936 fondò l’azienda che tuttora porta il suo nome: dalla produzione di forni da
pane la Ceccato passò con il tempo ai compressori d’aria e alle attrezzature per stazioni di servizio. In
seguito progettò e realizzò un motore ausiliario per
biciclette, e intraprese la produzione di motociclette sportive. Umberto Capra era invece un geniale inventore, che sviluppò all’interno dell’azienda nuove
macchine e sistemi di lavaggio per automezzi. Nel
1956, alla morte del fondatore e in parallelo con il
boom economico e l’esplosione delle vendite di autovetture, la Ceccato venne acquisita dalle famiglie
Capra e Dolcetta. All’alba degli anni ottanta Ceccato era ormai un gruppo industriale leader negli impianti automatici per il lavaggio dei veicoli; in questi anni sono state aperte nuove aziende in Brasile,
Germania e Polonia. Nel 1997 è stata dismessa la
produzione di compressori d’aria, mentre nel 1999
è stata acquisita Daerg Italia, specializzata in piste
di lavaggio self service, che sarà parte integrante di
Ceccato a partire dal 2005.
Così nel 2002 Pier Giorgio Perotto, a capo del team che progettò la Olivetti Programma 101, ricordava in un’intervista l’avventura della progettazione del primo personal computer tutto italiano:
«[…] subito dopo la laurea avevo lavorato come ricercatore al Politecnico di Torino ed ero rimasto colpito dalla mancanza di strumenti di calcolo di uso personale che affliggeva i ricercatori, per i
quali l’accesso al lontano mainframe era complicato o quasi impossibile. […] La Olivetti P101, nacque nel 1965 e, nonostante nella forma assomigliasse più a una calcolatrice che a un PC dei giorni nostri, del personal aveva molte delle caratteristiche. Prima di
tutte quella di essere uno strumento personale di elaborazione dati,
dotato di un programma che poteva essere registrato in memoria;
[…] un semplice sistema di progettazione con un linguaggio facile
da apprendere in poche ore anche da un utente non specializzato;
inoltre era fornita di una libreria di programmi di tipo matematico, statistico, finanziario. La P101 era in grado di fare velocemente le operazioni aritmetiche elementari, in più poteva essere programmata dall’utente con un massimo di 120 istruzioni, scelte fra
15 funzioni disponibili».
Pinna a rigidezza differenziata
Distributore rotante
per lavatrici
Lino Zanussi, 2 marzo 1971
All’inizio del Novecento Antonio Zanussi aveva aperto a Pordenone l’Officina Fumisteria Antonio Zanussi, con cui produceva stufe economiche a cui avrebbe imposto il marchio Rex in seguito alla conquista del Nastro Azzurro da parte del transatlantico
italiano Rex. La fumisteria intanto si era trasformata assumendo
nuovi operai e producendo la famosa cucina AZP (Antonio Zanussi Pordenone), destinata al successo internazionale. In tempi in cui
il Friuli era ancora terra di emigrazione la Zanussi stava cambiando il volto di una regione che sino ad allora aveva visto soltanto
poche industrie tessili. Lino Zanussi ereditò dal padre (morto nel
1946) l’azienda, che trasformò da industria familiare a leader europea nel mercato degli elettrodomestici, cucine a gas ed elettriche,
frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie (con i marchi Rex e Naonis nella gamma superiore) e televisori, con il marchio Seleco. La Zanussi
cambiò così il volto di Pordenone e del territorio circostante, creando occupazione e benessere. Questo brevetto, uno dei tanti nel
settore delle lavatrici, fu presentato l’8 maggio 1968; Lino Zanussi
sarebbe morto per un incidente aereo a San Sebastian, in Spagna,
il 18 giugno dello stesso anno.
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Carlos Alberto Godoy, 8 agosto 2006
Nel 1938 i fratelli Egidio e Nanni Cressi fecero a mano le
prime maschere e i primi fucili per la pesca subacquea. Ma
la prima «vera» maschera Cressi, la Sirena, entrò in produzione solo nel 1943, e sarebbe restata in catalogo, con vari aggiornamenti, per più di trent’anni. Il 1946 fu l’anno
di nascita ufficiale della Cressi di Genova, che si presentava nel primo catalogo con circa una dozzina di fucili. L’anno successivo fu la volta dell’Aro AR47, il primo autorespiratore a circuito chiuso. A partire dagli anni cinquanta
la ditta genovese inizia una serie di invenzioni che hanno letteralmente fatto la storia delle immersioni subacquee
in Italia. La maschera Pinocchio e le pinne Rondine; i nuovi fucili CO2 e gli autorespiratori a ossigeno (Aro AR57B);
i fucili oleopneumatici, gli erogatori Polaris e soprattutto le
maschere ottiche dotate di lenti correttive negli anni sessanta: sono solo i principali prodotti lanciato sul mercato dalla ditta genovese. Nel 1970 Cressi è stata la prima a
introdurre un innovativo giubbetto che faceva un tutt’uno con le bombole. La prima filiale estera della Cressi è stata aperta in Francia, a Nizza, nel 1980.
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