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Cultura 39
Corriere della Sera Domenica 21 Marzo 2010
Libri
L’incipit
di DARIN STRAUSS
Quindici minuti prima di essere abbandonato dalla felicità,
Josh Goldin prese per un gomito la sua stagista estiva per
condividere con lei i piaceri del venerdì pomeriggio.
Nell’Ufficio vendite tutti si stavano preparando a levare le
tende. Qualcuno aveva fatto i popcorn nel microonde e
l’odore di burro si insinuava nei cubicoli.
«SOLO PER IL TUO BENE», MONDADORI
Epoche Lo scontro per la successione nelle corrispondenze di Salvatore Aponte per il «Corriere»
Gli autogol politici di Trotzkij
di Ermanno Paccagnini
La battaglia sul «Testamento» di Lenin: le mosse vincenti di Stalin
di LUCIANO CANFORA
voltura (la interpolazione nel testo del
«non-bolscevismo» di Trotzkij) e di una abilità politica senza pari (dalle dimissioni date
al XIII Congresso al micidiale discorso al Cc
del 23 ottobre ’27, dove il pezzo forte è la lettura di due documenti: l’attacco ferocissimo
di Trotzkij contro Lenin nel 1913 e la sprezzante sconfessione di Eastman da parte di
Trotzkij), culminante nella accettazione piena della definizione data da Lenin nel Testamento della «rozzezza» dello stesso Stalin.
Ma alla base di tutto questo ci sono la inconcludenza e la contraddittorietà (e impul-
O
Il testo
Anticipiamo la parte
finale dell’introduzione
scritta da Luciano
Canfora per il libro di
Salvatore Aponte «Il
"Corriere" tra Stalin e
Trotzkij 1926-1929»
(Fondazione Corriere
della Sera, pp. 600,
e 12), che raccoglie
le corrispondenze
dall’Urss di Aponte
sulla lotta per la
successione a Lenin
(nella foto), un ampio
carteggio e gli scritti di
Trotzkij apparsi sul
«Corriere»
L’incontro
Il volume esce in
libreria il 24 marzo: lo
stesso giorno verrà
presentato a Milano
(ore 18) presso la Sala
Buzzati (via Balzan 3)
da Francesco
Benvenuti, Luciano
Canfora e Paolo Mieli
Equivoci e manipolazioni
Le ultime volontà del capo
Lo scritto noto come Testamento di Lenin è in realtà una lettera
del dicembre 1922, rivolta al XII Congresso del Partito
comunista (ma letta solo al XIII, in una seduta a porte chiuse,
nel 1924), in cui l’artefice della rivoluzione bolscevica, già
gravemente malato (morirà un anno dopo), esprime giudizi
piuttosto pesanti sui principali esponenti della classe dirigente
sovietica. Il testo comprende anche un Poscritto del 4 gennaio
1923, in cui Lenin suggerisce di togliere a Stalin, in quanto
troppo «rozzo», la carica di segretario generale del partito. Nella
lettera vi è poi un accenno, peraltro piuttosto equivoco, al
«non-bolscevismo» di Trotzkij (il quale in effetti era stato
menscevico e aveva aderito al partito solo nel luglio 1917) che
venne usato da Stalin contro il suo avversario nella lotta per la
successione. Luciano Canfora, nel libro La storia falsa (Rizzoli),
sostiene che quel passo del Testamento è frutto di una
manipolazione compiuta proprio da Stalin.
Paolo Piccirillo: uomini
e animali (anzitutto pitbull)
in un incrocio di destini
sività, per quanto attiene al Poscritto) del Testamento di Lenin. Chiedere infatti la rimozione del segretario perché «rozzo», precisando però contestualmente che tale carattere negativo è «tollerabile nei rapporti tra noi
comunisti», non è una meditata decisione
politica — né si fonda su argomenti politici
— ma piuttosto uno scatto di umore. Così
come, tracciare un profilo a somma zero di
tutti i principali dirigenti non è un passo politico produttivo ma un disastroso veicolo di
sbandamento.
Certo l’ultimo Lenin, di fronte al dispiegarsi dei contrasti tra i capi che verranno dopo
di lui, ripiega su categorie squisitamente
personali, come nella
più classica tradizione storiografica: come in Tacito, modello
insuperato di storiografia che privilegia i
conflitti tra persone e
l’analisi del loro carattere, Lenin arriva a
scrivere che «i rapporti tra Stalin e Trotzkij
rappresentano una
buona metà del pericolo di scissione».
Non si può eludere
l’osservazione che
proprio l’impianto elitistico del bolscevismo — secondo cui
le decisioni e gli scontri risolutivi avvengono nel più selezionato
e ristretto vertice —
sia la premessa di questo interessante e all’apparenza inatteso
ripiegamento del
maggior esponente
del bolscevismo su categorie e strumenti di valutazione così intrinsecamente tradizionali.
Il fatto infine che, nel radicale rivolgimento del XX e del XXII Congresso del Pcus
(1956, 1961) Kruscev abbia ripreso in mano il
Testamento di Lenin come elemento della
demolizione di Stalin ha creato un ulteriore
equivoco: che cioè davvero quello fosse il
senso di quel (contraddittorio) documento.
Donde l’imbarazzo con cui in Occidente, soprattutto Pci e Pcf, hanno continuato, talvolta comicamente, a trattare la questione, ridiventata, negli anni Sessanta, appannaggio
dell’asse socialisti-trotzkisti; il tutto, mentre
la restaurazione brezneviana •«codificava»
nell’Enciclopedia Sovietica l’interpretazione
«ufficiale» del Testamento (trattato in appendice alla voce XIII Congresso del Pcus)
come risolutiva condanna del «non-bolscevismo» di Trotzkij. Raramente un documento
ha avuto una storia testuale così inquinata e
falsificatrice.
asce come Bestiario Zoo col semaforo dell’esordiente
Paolo Piccirillo. Nasce cioè nella tradizione che dal
Medioevo ai Buzzati, Cortázar, sino al Boffa di Sei una
bestia, Viskovitz fa degli animali i protagonisti
specchio del vivere umano: in un incrocio (in Boffa come in
Piccirillo) tra come gli uomini vedono gli animali, e come
vedono l’uomo questi ultimi, in cui l’occhio dello scrittore cerca
d’immedesimarsi. E di tale origine narrativa il testo conserva il
significato sostanziale, pur nel ridisegno che Piccirillo ne fa,
traducendo in romanzo l’originaria stesura da libro di racconti,
nel quale peraltro funge da elemento unificante l’incrociarsi di
vicende tra loro lontane di pitbull. Come il quieto pitbull di
Salvatore che improvvisamente azzanna un bambino e, inseguito
e raggiunto, viene abbandonato moribondo su una strada. O
come il pitbull che ha ucciso vent’anni
prima Nicola, figlio dodicenne dell’oggi
settantenne Carmine, gestore di quattro
campetti di calcio che trascorre il tempo
a rileggere sempre un manoscritto con
racconti di animali, e che da allora si
reca quotidianamente a pulire la strada
intorno alla lapide che lo ricorda. E
come le storie dei padroni di quei due
pitbull: l’albanese clandestino dal volto
sfigurato, Slator detto Salvatore, fuggito
da una storia familiare di crudeltà
paterna nei confronti del suo cane e dei
L’autore
vicini kosovari; e il suicida padrone del
Paolo Piccirillo è un
pitbull assassino di Nicola, autore del
esordiente, nato nel
manoscritto che Carmine rilegge. Il
1987 a Santa Maria
romanzo è dunque il montaggio a
Capua Vetere
puzzle di quelle storie, con un procedere
in provincia
temporale progressivo nel seguire le vie
di Caserta. Dopo gli
dell’odierna vendetta, ma soprattutto
studi di Filosofia si
regressivo nel riannodare le storie
è trasferito a Roma.
personali di Carmine e Salvatore, coi
Lavora nel cinema
racconti del manoscritto a fungere da
intarsio e contrappunto. E devo dire
Il libro
che, pur cosciente che la soluzione a
Paolo Piccirillo,
puzzle è senza dubbio una soluzione più
«Zoo col semaforo»,
efficace d’un racconto disposto
Nutrimenti,
normalmente, il montaggio non mi
pp. 128, e 12
convince del tutto quanto a disposizione
delle tessere narrative, rallentanti la
lettura e talora spiazzanti nella ricostruzione. Convince invece
quanto sta alla radice del racconto: perché la prospettiva animale
è quanto concorre a definire nella loro componente «umana» e
viva i personaggi salienti di Carmine e Salvatore, di contro alla
bestialità, più da prassi di narrativa camorristica, dei vendicatori
che uccidono il cane e vanno a caccia di Salvatore (e ne sono
intaccati gli stessi bambini che giocano a calcio). Spetta poi a
una scrittura sensibile, insieme dura e intima, già apprezzabile
negli amabili pur se malinconici racconti animali, ridisegnare
storie e psicologie di Carmine e Salvatore: due vite che rinascono
da esperienze di morte (Nicola e l’esanime pitbull di Salvatore,
da lui raccolto presso la tomba del figlio, per Carmine; i cani e la
madre morente che il padre sopprime per pietà, per Salvatore),
soprattutto per il coraggio da essi acquisito di riviverle nel
ricordo. Vite vaganti in un mondo desolato di cui è specchio un
paesaggio sfigurato dall’abusivismo edilizio che ha trasformato
in tangenziale la strada di campagna con la lapide di Nicola. Una
Napoli-Aversa i cui segni di morte sono le carcasse d’animali
vittime dell’uomo e dei suoi mezzi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il rivoluzionario russo Lev D. Bronstein, detto Trotzkij (1879-1940), in una foto del 1924 © Hulton-Deutsch Collection/Corbis
rmai sappiamo quanta circolazione gli appunti noti come Testamento di Lenin abbiano avuto nel
momento stesso in cui venivano
dettati e ricopiati, tra la fine del 1922 e gli
inizi del 1923. Le segretarie parlavano e avevano referenti politici nel Comitato centrale
bolscevico e nel Poljtburo. E una di loro fece
persino sapere che era in arrivo «una bomba
contro Stalin», il Poscritto in cui Lenin ne
suggeriva la destituzione da segretario del
partito. Dunque molti sapevano molto.
L’arma non era perfetta. Conteneva infatti
il macigno dell’accenno al «non-bolscevismo» di Trotzkij che, come sappiamo dalla
preziosa testimonianza resa da Radek a Emil
Ludwig, turbò Trotzkij, che dalla lettura a
porte chiuse del Testamento nel maggio
1924 probabilmente si aspettava soprattutto
la «bomba» contro Stalin. Questi d’altronde,
con la consueta abilità, offrì prontamente le
dimissioni da segretario generale, ben sapendo che il XIII Congresso, da lui accuratamente preparato, non le avrebbe accolte. E così la
«bomba» era disinnescata, mentre tutto il resto era equamente imbarazzante per tutti.
Ecco perché da subito, ai primi di giugno
del 1924, incomincia l’operazione, dovuta
certamente alla cerchia di Trotzkij, di far filtrare all’estero resoconti «ben orientati» del
Testamento: prima de Korab, poi i menscevichi esuli a Berlino, poi Eastman. Al punto da
costringere Trotzkij a penose smentite, come quella sul «Bolscevik» del 1˚settembre
’25. Tattica erronea e soprattutto perdente,
consistente nel rischiosissimo ricorso all’estero e nella propalazione di opinabili varianti del testo mescolate a interpretazioni
(Trotzkij designato successore, testamento
occultato dal vertice del partito) che andava
poi a parare alla disastrosa sconfessione di
Eastman. Ostinatamente Trotzkij continua a
pensare che quel Testamento sia un’arma a
lui favorevole (ne dà la sua interpretazione,
finalmente in prima persona, nell’autobiografia: era la «mia designazione al primo posto»!), essenzialmente facendo leva sul Poscritto — alla cui notifica al partito Lenin
stesso aveva rinunziato — e sulla svalutazione delle critiche a lui rivolte (che sono molto
serie e non si riferivano al «non-bolscevismo» interpolato da Stalin) con l’ingenua
trovata che esse servirebbero a «rendere meno traumatica presso gli altri la proposta di
designarlo successore»! E per anni egli ha
continuato a stampare e ristampare quel testo rabberciandolo nel punto dolente del
«non-bolscevismo» con l’aggiunta di un’imbarazzante controinterpolazione. Tutta la gestione del Testamento da parte di Trotzkij è
stata errata e perdente, compreso il lancio in
extremis, anche presso la stampa estera a
Mosca, all’indomani della propria espulsione dal partito e del fallito putsch del 7 novembre 1927 e alla vigilia del XV Congresso.
Al contrario l’uso del medesimo documento
da parte di Stalin è stato di una cinica disin-
Scrittori d’Italia
N
Saggi Gabriel Zaid: il concetto di fama nella cultura globale
Il segreto dei mediocri
di CRISTINA TAGLIETTI
«S
e nel mondo tutto fosse eccelso, nulla lo sarebbe» scriveva Diderot ne Il
nipote di Rameau. La citazione offre
a Gabriel Zaid, poeta e saggista nato a Monterrey nel 1934 (è stato chiamato «la Cassandra
del Messico» per la sua capacità di prevedere
le trasformazioni sociali ed economiche), lo
spunto per una riflessione su quello che definisce «il paradosso del progresso». La cultura
infatti, scrive ne Il segreto della fama, agile e
divertente saggio ora tradotto da Mario Gabbi
per Jaka Book (pp. 146, e 14), «aspira a una eccellenza sempre maggiore in tutte le discipline, e a una uguaglianza sempre maggiore di
tutte le persone umane. Ma come conciliare
uguaglianza ed eccellenza?».
La domanda fa da sfondo a tutto il saggio,
un libro denso di notizie, aneddoti, dati storici sulle trasformazioni della cultura globale,
sull’oralità, sui bestseller, sulla figura dell’au-
DA L 17 0 7
tore e la sua (eventuale) scomparsa, sull’uso
(o l’abuso) delle citazioni e delle note a piè di
pagina. C’è anche un capitolo intitolato «Che
fare dei mediocri?». «La medietà un tempo fu
neutrale, poi positiva, poi negativa e ora è tabù» scrive Zaid ricostruendo come si è passati
dalla saggezza antica che diffidava della esagerazione e dell’eccesso (Aristotele nell’Etica Nicomachea definisce la virtù come il giusto
mezzo tra due estremi, Orazio celebra la «dorata medietà», Seneca sottolinea il disprezzo
per la grandezza) all’idea romantica per cui il
fallimento assoluto sia preferibile alla
mediocrità, fino alla tendenza contemporanea dove la «competenza nell’arrampicarsi»
diventa una virtù, mentre «maestri, giurati,
editori, per non sentirsi carnefici diventano
complici del lavoro mal fatto e subito un povero diavolo, approvato per compassione, o stanchezza, o irresponsabilità, diventa il loro capo, il loro giudice o il loro carnefice».
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Aste 20 – 22 aprile 2010
Dipinti antichi e del XIX secolo
Oggetti d’arte, gioielli
Palais Dorotheum Vienna, Dorotheergasse 17, 1010 Vienna
Esposizione di una selezione di opere in asta a Vienna:
Dorotheum Roma, 26 – 28 marzo
Palazzo Colonna, Piazza SS. Apostoli, 66, Roma
tel. +39 06 699 23 671, [email protected]
Dorotheum Milano, 31 marzo
Palazzo Amman, Via Boito, 8, Milano
tel. +39 02 303 52 41, [email protected]
www.dorotheum.com
Giovanni Francesco Barbieri, il Guercino, Rinaldo trattiene Armida dal ferirsi con
una freccia (part.), 1664, olio su tela, 113,5 x 153,5 cm, € 400.000 – 600.000