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Francesca Vitelli Agli uomini hanno insegnato a scusarsi per la loro debolezza; alle donne, per la loro forza. Lois Wyse Mostratemi una donna che non si senta in colpa e io vi mostrerò un uomo. Rachel Hare-Mustin Donne sullorlo della Conciliazione Appunti tra tempi di vita e di lavoro Francesca Vitelli Donne sull’orlo della conciliazione Appunti tra tempi di vita e di lavoro Riconosco di non essere perfetta in tutto, ma non posso fare a meno di volermi bene. Elizabeth Gilbert Provinciale di Napoli Camera di Commercio I.A.A. di Napoli L’illustrazione in copertina è di Pietro Vanessi Questo libro è dedicato alle donne che hanno lasciato un segno nella mia vita. Mia madre perché sarebbe orgogliosa delle sue figlie, la mia prozia Maria perché mi ha insegnato a giocare a scopa e a ridere, mia sorella perché le sorelle sono come il cioccolato, non se può fare a meno, Tecla perché crede in quello che stiamo costruendo e le amiche, loro sanno chi sono e a tutte le donne del pianeta. Quale pianeta? Quello delle donne, ovviamente! 3 Prefazione Sembra sempre antico e “vintage” parlare di parità fra uomo e donna, i miei due figli maschi mi guardano con aria compassionevole quando mi occupo della mia passione: le pari opportunità. Si tratta di una questione culturale in cui, come in tutte le cose, ci si deve impegnare, per il bene comune. I miei figli cucinano e, spero, non per ultimo che siano uomini attenti alla propria compagna. Ho cercato di formarli con insegnamenti che partono dal fare le cose di casa al rispetto per le donne, saranno le loro mogli a valutare l’impegno di un lavoro lungo e non sempre facile . Il rispetto per l’altro sesso è la base per un diverso sentire nei confronti di altre differenze, è un modus pensandi che presta attenzione al rispetto delle differenze e favorisce una più completa interpretazione dei bisogni degli altri. Sembrano banalità, ma in Italia la legge 53 (congedo parentale) ha visto fino ad oggi uomini che si vergognano a chiederlo; padri che hanno inventato malattie pur non di dichiarare la necessità, e perché no, anche la voglia, di stare con i propri figli. Le vignette scelte paradossalmente esprimono i concetti essenziali del libro che racconta il “sentire” 5 dell’autrice e delle intervistate in cui le lettrici si riconosceranno. Un incrocio di impegni e di priorità si accavallano quotidianamente nella vita della donna che lavora, figuriamoci cosa succede quando ad una delle tante pedine succede un imprevisto…tutto si ingarbuglia e diventa una gestione impossibile, invasiva e dilaniante. La conciliazione è la sofferenza di tutte le donne, sofferenza che costa e pesa anche molto sul sistema sanitario. Le donne sono le custodi e gestiscono la salute della famiglia, ma troppo poco curano la propria. Sono le meno attente alla loro cura e trascurano quasi completamente la prevenzione. Come posticipare la cura dei figli o dei genitori anziani, come lasciarsi spazio per una passione, se si è sempre arretrate sulla linea di marcia e i bisogni di tutti aumentano… La conciliazione deve confluire nel nuovo concetto di integrazione perché i figli e i genitori sono di maschi e femmine e non è lesivo per un padre o un fratello aiutare e contribuire. Ma anche questo non basta perché la società è arretrata e una donna che lavora spende più per pagare il nido del figlio di quello che guadagna, la mamma di un bambino malato non può contare su un’assistenza che copra un orario di lavoro normale senza tener conto che i costi sono superiori. Come si 6 può non voler vedere questi aspetti a cui per mille motivi e un milione di scuse non si è saputo far fronte? A Reggio Emilia da oltre 20 anni c’è un servizio di asilo innovativo ed avanzato che copre i tanti bisogni delle madri lavoratrici, perché i buoni esempi non si duplicano? L’esempio della Germania sui piccoli asili di condominio da noi non si realizza. La banca delle ore non piace…ma come resuscitare da questo sonno che ci fa sognare non più un principe azzurro, ma un compagno che condivida le nostre difficoltà, le nostre corse e che sia Ministro delle Pari opportunità maschio per provvedere con provvedimenti rapidi e concreti a migliorare la sua vita domestica e… finalmente interrompa la nostra maratona. Auguri Francesca per avere scelto di essere ARIETE di un percorso per noi tutte in salita e tanto affannoso. Laura Frati Gucci Presidente Les Femmes Chefs d’Enterprises Mondiales 7 Introduzione Rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena conciliazione tra le aspettative lavorative delle donne e l’organizzazione dei tempi e delle esigenze della famiglia. E’ questo l’obiettivo centrato da Confesercenti della provincia di Napoli attraverso l’azione propositiva e divulgativa a sostegno delle donne che lavorano dentro e fuori le mura di casa. Il binomio lavoro e famiglia per l’universo femminile rappresenta, da sempre, un cortocircuito con effetti dirompenti per le donne lavoratrici e, in particolare, per le donne madri. La tutela legislativa e l’impegno delle parti sociali e datoriali per attenuare le conseguenze derivanti dall’impostazione ancora troppo “maschilista” del mercato del lavoro ha fatto passi considerevoli negli ultimi anni. Ma non basta. E’ necessario un impegno supplementare per dare risposte concrete. A partire dalle esigenze di redistribuzione dei carichi di lavoro, fino all’accesso alla formazione e al fondamentale sostegno all’autoimprenditorialità. La Camera di Commercio di Napoli è impegnata a tutto campo nel rafforzare e sostenere il ruolo delle donne nel mercato del lavoro, attraverso iniziative verticali di promozione e di sviluppo delle attività imprenditoriali al femminile. Puntando sul poten9 ziamento delle propria funzione di snodo e di sintesi tra la rappresentanza istituzionale e gli interessi reali della nostra comunità economica e sociale, l’ente camerale partenopeo è in prima linea, anche attraverso questa pregevole pubblicazione, per garantire il fondamentale diritto al lavoro e la parità di condizioni di accesso e di svolgimento delle attività tra uomini e l’altra metà del cielo. Maurizio Maddaloni Presidente della Camera di Commercio di Napoli 10 PARTE I L’inverno del nostro scontento (è reso estate gloriosa da questo sole di york, e tutte le nuvole che incombevano minacciose sulla nostra casa sono sepolte nel petto profondo dell’oceano) W. Shakespeare Riccardo III 11 Concilia? Concilia? Questa domanda erano soliti formularla i vigili urbani quando fermavano un automobilista indisciplinato. Al malcapitato toccava scegliere tra il riconoscere il proprio comportamento contrario al codice della strada o avviare una discussione sulla contestazione sollevata dal rappresentante dell’ordine pubblico. Altri tempi. Un secolo fa. Oggi le multe le trovi nella cassetta delle lettere perché dei sofisticatissimi marchingegni hanno registrato che la tua velocità era di 51 km orari su di un tratto di strada dove il limite era fissato a 50 km. La tecnologia ha cancellato l’incontro/scontro con i vigili urbani e ci ha mostrato un tutor che non è una persona in carne e ossa ma un dispositivo che in autostrada calcola i tempi di percorrenza da un punto A ad un punto B per stimare la velocità di crociera. Ai giorni nostri la conciliazione ha assunto altri significati che rimandano a contesti del tutto diversi. Escludendo quello di natura giudiziaria ci soffermeremo qui sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La domanda sorge spontanea, che roba è? Proviamo a descrivere in cosa consiste: - accudire con egual pazienza, amore e dedizione tutto il parentado bisognoso senza distinzioni di grado e/o consanguineità dai trisavoli ai pronipoti - crescere i figli (spesso anche i loro padri!) - prendersi cura dei figli pelosi a quattro zampe: cani, gatti, conigli, criceti e quelli forniti di branchie e/o pinne nonché quelli che vivono in gabbia svolazzando e sputacchiando in giro gusci vuoti di semini 15 - evitare che la propria casa venga dichiarata inagibile dall’ufficio sanitario mantenendo un accettabile grado di pulizia e ordine - organizzare, accompagnare e recuperare la prole nelle loro attività ludico/sportivo/sociale - procacciare il cibo e presentarlo più o meno commestibile (le cruditè, il sushi bar e la pizza a domicilio sono l’eccezione non la regola…) - vestire l’intero nucleo familiare con panni lavati e stirati on demand (dov’è la mia camicia azzurra? Perché la tuta che hai lavato solo ieri sera alle undici non è ancora pronta? Perché in questa casa scompaiono sempre i calzini e le mutande?) - occuparsi del bucato (in alcune case la cesta dei panni sporchi cresce di notte come i funghi magici, al mattino ci trovi cose che la sera prima non c’erano) - andare dal parrucchiere almeno due volte l’anno (passando gli altri dieci mesi a farsi la tintura in casa pregando di non guardarsi allo specchio e ritrovarsi con la capigliatura del colore prediletto da Biscardi) - ritagliare del tempo libero da dedicare al lavoro - varie ed eventuali. Questo è un esempio di elenco, assolutamente non esaustivo, delle attività che una donna quotidianamente svolge. Ma che donna? Wonderwoman? No, quella è morta, l’hanno fatta fuori le femministe o forse superman in preda a un raptus estivo, non si sa. No, qui si parla di una comune donna non dotata di 16 superpoteri ma solo di una enorme forza di volontà, una esauribile forza fisica, una sconfinata generosità e un DNA in cui i geni le hanno trasmesso l’informazione che tutte queste faccende spettano a lei. Diva e donna? No. Donna ed essere umano. Queste sono le dimensioni da coniugare. E a volte giunte alla mezzanotte di una giornata intensa e prosciugate di ogni forza fisica (quando ci si sente come un informe ammasso di cellule) e mentale (crollo dopo la lettura di una pagina del libro posato sul comodino, sempre lo stesso da mesi) appare quasi impossibile replicare tale stancante coniugazione il giorno successivo. Come neologismo il vocabolo “conciliazione”, inteso nel senso di convivenza non mortificante tra lavoro e vita privata, appare all’inizio degli anni Novanta nei documenti programmatici con i quali la Comunità Europea indirizza suggerimenti agli Stati membri affinché assumano comportamenti volti all’adozione di iniziative legislative in favore di tutti coloro che lavorano, non solo le donne, poiché siamo nel campo delle pari opportunità, ed è bene ribadirlo, queste non riguardano solo le donne. Affinché siano pari le opportunità devono essere garantite ad ognuno senza vincoli, limiti e preclusione alcuna. E’ tanto vero questo che la legge 53/2000 tratta della materia del congedo parentale e non materno. E’ altresì interessante datare l’apparizione del termine “genere” al 1975 ad opera dell’antropologa Gayle Rubin che come ricordato da Marta Vinci si riferisce a un sex/gender system: “un insieme di norme, 17 mediante il quale il materiale, bruto istinto biologico del sesso e della procreazione è organizzato e soddisfatto. […] Il sesso come noi lo conosciamo, l’identità di genere, […] è un prodotto della società. Nella definizione di Rubin si distinguono dunque il gender, ossia la codificazione sociale della differenza tra sessi, e il sex inteso come natura; mentre il genere denota il maschile e il femminile nel senso di prodotto di un’istruzione storica e socio-culturale, il sesso è un universale biologico, elemento costante ed immutabile della specie umana”1. La conciliazione, ovvero l’esigenza di contemperare gli impegni di lavoro con la sfera privata, non dovrebbe essere appannaggio delle donne ma del genere umano nella sua interezza. Fin quando non ci sarà una rivoluzione culturale in tal senso un datore di lavoro prima di assumere un individuo valuterà se di fronte si trova un uomo che, libero da carichi familiari sarà tendenzialmente più presente, più disponibile e maggiormente produttivo, o una donna che si presume si assenterà per maternità e problemi di cura legati alla crescita dei propri figli. E’ evidente che posta in questi termini la valutazione farà propendere per l’assunzione di un candidato uomo che risulta, secondo gli stereotipi vigenti nella società italiana contemporanea, più affidabile e meno dispendioso in termini di assenze retribuite dal lavoro. Per ovviare a considerazioni di questo tipo bisognerebbe lavorare ad un cambiamento culturale che, per sua natura, richiede un tempo lungo ma si ____________ 1 Scisci A. Vinci M. “Differenze di genere, famiglia, lavoro “Carocci 2002. 18 potrebbe, però, pensare anche a dei correttivi da apportare alle normative vigenti tali da produrre significativi mutamenti socio-culturali in tempi brevi. Nello specifico si potrebbe, nell’ambito della legge 53/2000 in materia di congedi parentali, prevedere l’obbligatorietà del congedo anche per il padre che ne possa usufruire in alternanza con la moglie lavoratrice, riconoscendo un trattamento economico se non al 100% almeno superiore a quello attuale del 30%. In questo modo la nascita di un bambino non sarebbe più soltanto un affare di donne e all’interno della coppia non ci sarebbe il dato economico penalizzante a scoraggiare la partecipazione paterna alla cura dei neo arrivati figli. Le pari opportunità tra uomo e donna nell’accesso al mercato del lavoro si avranno quando un datore di lavoro, facendo le sue valutazioni, non inserirà tra gli elementi da considerare il tempo che una donna potrebbe, eventualmente, sottrarre al lavoro per la cura dei figli poiché questa sarà equamente distribuita tra i genitori. Allo stesso modo la società non colpevolizzerà più le mamme che continuano a difendere strenuamente il loro lavoro quando si comprenderà fino in fondo che lavorare per le donne non vuol dire rinunciare ad avere dei figli, ma al contrario, come si nota laddove i sistemi di servizi all’infanzia funzionano, il lavoro femminile stimola la domanda di servizi per l’infanzia e non provoca il crollo dei tassi di natalità. Secondo uno studio condotto dalla Banca d’Italia nel 2008 la domanda di asili nido sarebbe pari, 19 sull’intero territorio nazionale, al 40%, superiore, quindi, a quanto previsto dalla strategia di Lisbona che fissava per il 2010 il tetto da raggiungere nella misura del 33%. L’attuale offerta di posti disponibili negli asili nido si ferma ad una copertura che oscilla tra il 10 e il 12%. 20 Il concetto di indispensabilità Immagine tratta dal sito www.blog.libero.it Ellen Sue Stern è l’autrice di un bestseller “Riflessioni per donne indispensabili ma esauste” in cui si trovano delle perle di saggezza meditate nel corso del tempo anche grazie allo svolgimento di seminari in cui si era posta l’obiettivo di “guarire uomini e donne indispensabili”. Un distillato di stelle e strisce. (Dubito che la componente maschile presente ai seminari fosse molto numerosa). “Il dramma delle preoccupazioni ci frastorna e non ci permette di provare emozioni più profonde, come la tristezza e la nostalgia. Ed è proprio questo dramma che tiene in scacco la nostra mente, facendo tacere il nostro cuore. La mia vita è troppo preziosa per sprecarla preoccupandomi”.2 Giusto e sacrosanto. Ma se provassimo a dare alle preoccupazioni la valenza di organizzazione delle cose da fare per evitare che ti stacchino la luce e il gas o ti sequestrino l’automobile perché non hai fatto fare la revisione e via enumerando? Il dilemma è di lunga data. Chi è più saggio la cicala che si gode la vita frinendo tra le frasche o la formica che si stanca trasportando cibo per assicurarsi la sopravvivenza? Non c’è dubbio che la cicala si diverta un mondo e non abbia problemi di colite da stress mentre la formica probabilmente avrà il mal di schiena per tutto quell’andare in giro a portare pesi e sarà di pessimo umore la sera ma, a loro, nessuno chiede di conciliare le due realtà. Proseguendo nella lettura della Stern ci si imbatte in un’altra affermazione: “dimentichiamo troppo spesso ____________ 2 E. S. Stern “Riflessioni per donne indispensabili ma esauste”, pag. 17. 23 che amare significa anche permettere agli altri di donare. Ci barrichiamo dietro responsabilità così gravose da meritare la precedenza assoluta e finiamo per respingere coloro che ci amano. Siamo troppo occupate per provare sentimenti e questo ci preclude ogni occasione di intimità. Tuttavia la nostra determinazione a essere indispensabili non sostituisce l’amore: ci trasforma in freddi e solitari robot. L’intimità ha bisogno di dolcezza e di comprensione per le necessità degli altri. E’ un rischio che vale la pena correre. Se le persone mi conoscessero veramente, saprebbero che sono una persona meravigliosa”.3 Ho una curiosità: ma di quanta collaborazione domestica può disporre la dottoressa Stern? A di là del fatto che la maggioranza delle donne è veramente molto occupata a farsi bastare le 24 ore per riuscire a tenere tutta la giostra in piedi (lavoro, casa, famiglia etc.) non vedo perché auto-flaggellarsi affinché gli altri sappiano che esse sono delle persone meravigliose. Tutti questi sentimenti e tramonti meravigliosi fa pensare molto all’irrefrenabile ottimismo di Leo Buscaglia.4 Non tutte le mattine si ha la forza di iniziare la giornata cercando un albero da abbracciare. Anche perché, forse, gli alberi non gradiscono affatto. Altro spunto di riflessione è dato dalle parole: “Focalizzare la nostra attenzione sugli altri ci fa sentire necessarie e ci dà modo di accampare la scusa perfetta per evitare di soffrire, ma anche di maturare, affrontando i nostri problemi. Io sono l’unica responsabile di me stessa. Gli altri ____________ 3 op. cit., pag. 19. 4 Felice Leonardo Buscaglia è uno scrittore americano (1924-1998) conosciuto per i suoi libri in cui racconta la felicità di vivere declinata in ogni sua variante. 24 lo sono per loro stessi”.5 Quest’ultima affermazione è very american! Ma se qui non riusciamo neanche a spostarci di 50 chilometri con il pensiero di lasciar soli dei genitori anziani e nei film americani non fanno altro che andare da una costa all’altra chiudendo baracca e burattini e saltando su una station wagon! Del resto è proprio perché sono una persona responsabile che mi faccio in quattro! E poi la dottoressa non aveva detto che l’intimità ha bisogno di dolcezza e di comprensione per le necessità degli altri? Alla faccia della comprensione. Poche pagine oltre ci si imbatte in queste righe: “Eppure vi stupireste nel vedere quanto gli altri possano essere premurosi e attenti se soltanto ci decidiamo a rivelare i nostri veri sentimenti, comprese le debolezze”.6 La mia esperienza mi insegna che ci sono dei rischi non calcolabili correlati a questa condotta. Se mi mostro debole nel mondo del lavoro apro la porta al killer che sta insidiando la mia posizione in aspra competizione, se assumo un simile atteggiamento in famiglia sto già assaggiando una sconfitta perché non dovrei star lì a tener un simposio sui miei sentimenti e le mie debolezze perché entrambi dovrebbero essere già noti. Se così non è vuol dire che ho rappresentato me stessa in modo completamente diverso da come sono e ciò significa che ho dei problemi a palesare la mia vera natura anche con chi mi vive accanto. In entrambi i contesti sono molto scettica sui risultati che si potrebbero sortire andando in giro a sbandierare le proprie debolezze. ____________ 5 E. S. Stern “Riflessioni per donne indispensabili ma esauste”, pag. 21. 6 op. cit., pag. 23. 25 Continuando a sfogliare il testo si legge una esortazione sull’importanza di saper aspettare come esercizio per raggiungere la serenità. Ma aspettare cosa? Un esercito di fatine notturne che come falene impazzite mettano tutto in ordine e puliscano freneticamente? C’è una tabella di marcia da osservare per tenere in equilibrio la quotidianità. Va bene non farsi venire un infarto ma se si indugia troppo a lungo poi sarà più faticoso far fronte a tutto. Far filone un giorno è, a volte, salutare ma assumere una posizione di meditazione attendendo soluzioni da entità esterne non funziona. Altra esortazione di grande appeal è “meglio piegarsi che spezzarsi” presentato come proverbio svedese. Beh a noi lo ha insegnato quel gran depresso e sfigato di Giacomo Leopardi con il canto sulla ginestra del Vesuvio. La Stern prende come esempio la palma che sta dritta sotto il sole ma si piega alla violenza dell’uragano. Qualcuno dovrebbe dire alla Stern che le palme da noi si stanno estinguendo grazie alle instancabili mascelle del punteruolo rosso che le sta divorando tutte, mentre la ginestra sono millenni che attecchisce fra le aride rocce. Forse Leopardi nella sue cupe riflessioni aveva lampi di genio… La Stern incentra le sue riflessioni sul concetto di indispensabilità che ha molto di femminile. L’approccio culturale americano è distante anni luce da quello europeo ma rimanda, sempre e comunque, a un idem sentire delle donne come depositarie di più funzioni da svolgere, più compiti da assolvere, più necessità da soddisfare, più esigenze a cui dare risposte, più istanze di cui tener conto, più…più…più. 26 Un po’ di autocritica andrebbe fatta. Non possiamo lamentarci che nessuno ci aiuti e poi saltare dal divano se vediamo che chi sta lavando i piatti non lo fa esattamente come lo faremmo noi perché sta lasciando colare l’acqua sulla superficie dei mobili. Non possiamo chiedere supporto e pretendere che questo ci venga dato nella stessa forma in cui noi lo immaginiamo. Certo mette a dura prova il sistema nervoso trovare sporchi quattro piatti, due zuppiere, un tagliere, dieci posate e due mestoli per scoprire che tutto ciò è servito a preparare niente meno che… un pomodoro all’insalata! Ma questo, purtroppo, appartiene al Dna dei maschi. Non sono recuperabili. E’ meglio girarsi dall’altra parte e pensare, almeno per oggi, i piatti non li lavo io. Una donna quando fa una cosa pensa prima di agire. Per questo motivo non si avvicina ai cassetti della cucina con le mani sporche e non apre il rubinetto dell’acqua some se fossero i propulsori dello shuttle sulla rampa di lancio di Cape Canaveral. Un maschio no. Pensa ad altro. Cosa non si sa, ma di sicuro nulla che abbia a che fare con il fatto che dopo il suo passaggio qualcuno dovrà pulire. I ragazzini, però, offrono delle speranze. Vanno coltivati. In presenza di madri che portano il caffé a letto sarebbe consigliabile l’uso del lanciafiamme. Ma senza giungere a tali estremi è sufficiente avviare i giovani virgulti ad una sana capacità di sopravvivenza autonoma. Bisogna far passare il messaggio, anche a costo di immane fatica (pure i disegnini possono essere utili) che in casa si può vivere con decoro anche in assenza di un bipede femmina. 27 In questo la dottoressa Stern è apprezzabile: ”Noi, donne indispensabili, preferiamo fare tutto per i figli piuttosto che insegnare loro a cavarsela da soli. Questo atteggiamento ha una duplice motivazione: da un lato ci permette di controllare i risultati ottenuti; dall’altro ci fa diventare la loro eroina o la loro serva (a seconda del punto di vista…) […] Sono l’insegnante dei miei bambini, non la loro schiava“.7 Tre Urrà per la dottoressa Stern! Il leitmotiv del libro sembra essere un guardarsi allo specchio di continuo per chiedersi ”ciao come stai ?” Il messaggio che ho colto fra le pagine riguarda la capacità di amare se stesse riequilibrando il baricentro tra la dimensione individuale e quella dell’alterità. Se è vero che la felicità non si raggiunge accontentando tutti è necessario essere consapevoli che per maturare tale convinzione bisogna raggiungere una personalità forte e strutturata in grado di non pensare a se stessi fondandosi esclusivamente sul giudizio degli altri. Il mio star bene deriva dal fatto che mi piace la persona che sono o mi soddisfa l’immagine che gli altri hanno di me? Mi Definisco a partire da me o dagli altri? La risposta a questa domanda non è cosa da poco perché rimanda alla dicotomia tra rispetto e approvazione. Cosa è importante per me, che gli altri mi rispettino per quello che sono a prescindere dalla mia adesione a dei modelli sociali condivisi e dominanti o che mi approvino perché in tali modelli mi riconosco ad essi conformandomi? ____________ 7 ibidem, pag.142. 28 “Passare da un sistema di valori culturalmente approvato a uno più personale sembra quasi impossibile, soprattutto quando non ci sono modelli di riferimento reali da seguire. Eppure se non lo facciamo noi, nessuno lo farà per noi. […] Finché non ridefiniamo il successo e il sistema di valori in modo che essi possano includere equilibrio e ricchezza di significato per la nostra vita, rimarremmo bloccate in carriere che ci richiedono di scegliere tra il nostro mondo e un altro artificialmente diviso”. Queste sono le parole di Elizabert McKenna in “Donne che lavorano troppo”. 8 Leslie Carroll in “Amore e centrifughe” fa dire all’io narrante, una psicoterapeuta che presta soccorso alle vicine nel locale adibito a lavanderia comune: “Carol lavora a Wall Street e incarna molti degli stereotipi più negativi spesso associati alle avvocatesse: cercano di comportarsi da uomini per essere competitive in un ambiente che per molti versi è ancora dominato dal sesso maschile; sono più dure con i dipendenti di quanto lo siano i loro colleghi uomini; non hanno senso dell’umorismo; si vestono come suore e non saprebbero riconoscere una scarpa elegante neanche se gliela sfilasse dal c… e gliela mostrasse; e dimostrano un’ignoranza altrettanto abissale nell’uso dei cosmetici. Lavoro con Carol per insegnarle ad apprezzare la sua femminilità e a gioirne, anziché cercare di rispecchiare criteri impossibili, molti dei quali imposti artificiosamente”. L’analisi di Gabriella Sforza in “Tempo Comune – conciliazione di vita e lavoro e armonizzazione dei tempi della città” uno studio condotto sul Sistema Locale del Lavoro di Bari giunge a queste conclusioni: ____________ 8 McKenna E. P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002. 29 «L’appartenenza generazionale delinea tre tipi di donna. Le più adulte, ultra-cinquantenni, onnipotenti deluse, sono cresciute e si sono formate con la cultura della rivendicazione in campo sociale e in relazione alla propria condizione ma, figlie della transizione, hanno vissuto con colpa l’allontanamento dalla casa, per cui si sono fatte carico di ogni impegno, non cercando aiuto nella rete parentale e talvolta rifuggendolo. Interpretano le pari opportunità prevalentemente come pari trattamento sul lavoro,perché è ciò che ha significato per la loro generazione, ma anche come diritto alla divisione dei compiti domestici, stanche per una scelta totalizzante che le ha penalizzate […] Le intermedie, ultra-quarantenni, rampanti, hanno vissuto in un contesto sociale che in buona parte ha posto riparo alle discriminazioni formali, per cui interpretano il concetto di pari opportunità come parità di trattamento sul posto di lavoro, ponendo l’accento sul diritto alla carriera che ritengono si conquisti con la competenza. Investono molto nel lavoro e nella possibilità di accedere, come gli uomini, a posti di comando comprendendo bene, forti dell’esperienza delle sorelle maggiori, che per raggiungere tale obiettivo devono fare una scelta. Rinunciano ai figli e scelgono il lavoro di cui accettano le regole- compreso il regime di orario – e di cui si dichiarano attualmente soddisfatte, perché si è rivelato adeguato alle aspettative, ad eccezione della carriera sulla quale, però, avevano investito tutte le loro risorse […] Le più giovani, poco più che trentenni, strumentali, appaiono più laiche delle loro colleghe nel senso che, più socialmente garantite delle altre nei diritti, sembrano trovare un maggior equilibrio tra privato e lavoro. Investono poco in battaglie ideologiche (una percentuale minoritaria è a conoscenza delle leggi sulla condizione femminile),delegano buona parte 30 degli impegni domestici – che non percepiscono inevitabilmente di loro competenza – alla rete parentale, coniuge compreso, intendono il lavoro come un’opportunità per sé di conquistare l’indipendenza economica e di intessere una vita di relazioni fuori dalla famiglia. Ritengono di avere diritto alla carriera che si realizza mettendo in campo qualità “al femminile” (creatività, capacità di adattamento, flessibilità), testimoniando così un modo specifico di essere protagoniste del sistema produttivo, cioè senza diventare vittime ma anche senza imitare gli uomini. Ciò che invece accomuna le lavoratrici intervistate è la progressiva perdita di centralità del lavoro nella loro vita e una tendenza a rientrare nel privato, attraverso la richiesta comune della risorsa tempo. […]ciò potrebbe documentare un approccio differente al problema, ma in generale un diverso modo di intendere la conciliazione, determinato proprio dall’appartenenza generazionale: le donne della generazione dell’onnipotenza operano strategie orientate a moltiplicare il tempo per essere in grado di assolvere a tutti gli impegni; le donne giovani, per le quali esiste già in natura un diritto alla corresponsabilità, anche in relazione agli affari domestici, chiedono di poter decidere i modi della conciliazione.» 31 La coabitazione è un atto contro natura Immagine tratta dal sito www.solleviamoci.wordpress.com Da quando gli uomini vivevano nelle caverne le cose andarono progressivamente complicandosi. Tutto cominciò nel momento in cui un maschio della specie abbrancò una femmina per la chioma e la trascinò nel suo antro. Confessiamo a noi stessi, chi non vorrebbe poter disporre di tutta la casa solo per se stesso senza doverla condividere con nessuno? Niente file per il bagno, niente fastidiosi flaconcini sulle mensole e sul lavandino, niente tubetti del dentifricio spremuti a metà, telefoni sempre disponibili, nessuna competizione per il controllo del telecomando, nessun obbligo, insomma, se non quello di scegliere e decidere per sé stessi. Questo è tanto più vero quando lo spazio vitale si riduce e i metri quadri a disposizione scarseggiano. In tale realtà la coabitazione diventa un atto contro natura in cui bisogna combattere per difendere il proprio territorio. Non c’è spazio a sufficienza per contenere gli oggetti e le estensioni delle singole personalità. Libri, vestiti, cd, scarpe, giocattoli, fogli di carta sciolti, appunti, biglietti e ammennicoli vari si depositano ovunque perché non ci sono armadi in grado di contenerli. C’è bisogno di un generale in grado di tenere il campo. Su chi ricadrà la scelta? Le statistiche dicono che nel 99,9% dei casi si tratta dell’individuo di sesso femminile presente nella coppia genitoriale. Sarà un caso? Mah. Quel che è certo è che suddetto esponente del sesso femminile si cimenta in sforzi sovraumani per rendere vivibili anche 40 metri quadrati calpestabili con uno slancio e uno sfoggio di abilità strategica degni di Napoleone. Si adottano regole ferree per mantenere in ordine l’accampamento ed evitare diserzioni. Si mettono a 35 dura prova i fondamentali delle leggi della fisica sull’impenetrabilità dei corpi. Come riuscire a far entrare tutto il necessario in un casa di Barbie? No, Barbie non è l’esempio giusto perché nella sua casa è sempre tutto in ordine, meglio le case dei Puffi che sembra che nessuno ci spazzi e spolveri da almeno tre mesi. E’ necessario adeguare lo stile di vita agli spazi disponibili. La domanda fatidica di fronte a qualsiasi oggetto che concupisce non è più: me lo posso permettere? Ma, diventa, dove lo metto? All’IKEA ti propongono con convinzione soluzioni abitative improbabili che ricordano molto da vicino Jurij Gagarin nello spazio. Certo si potrebbe pensare di sfruttare il soffitto che lasciato così inutilizzato è uno spreco… Non è facile contrarre i propri spazi fisici perché questi rappresentano l’ingombro delle nostre menti sotto forma di interessi che coltiviamo. (Anche le amebe che si limitano a grugnire davanti alla televisione hanno necessità di un tavolino per poggiare piedi e birra). Perciò alle donne non resta che trovare soluzioni fantasiose, mettere in ordine di continuo e sperare di vincere alla lotteria per potersi permettere una casa più grande. Conosco una donna che non smania davanti alle vetrine delle gioiellerie ma che insegue disperatamente un oggetto del desiderio: un ripostiglio. 36 Le donne chiocciola Immagine tratta dal sito www. it.123rf.com Il rapporto fra le donne e lo spazio che occupano dice molto di loro stesse e del modo in cui la razza umana declinata al femminile interpreta la vita. Nella maggioranza dei casi entrando in un ufficio si capisce se a lavorarci è una donna o un uomo. Da cosa lo si comprende. Dall’odore? Per fortuna capita raramente. No, ciò che contraddistingue la personalizzazione dello spazio sono gli oggetti che lo abitano testimoniando frammenti di vita vissuta, ricordi, storie, emozioni, traguardi raggiunti, affetti presenti e perduti. Le donne tendono a riempire di significato lo spazio in cui trascorrono il loro tempo sia che si tratti di quello lavorativo, in un ufficio, sia che si tratti di quello privato, in un alloggio. La scelta del termine alloggio non è casuale perché una donna, anche quando si trasferisce per un periodo non lunghissimo, tende a portare con sé degli oggetti che le trasmettano accoglienza, calore, serenità. Negli uffici sulle scrivanie accanto ai computer spuntano piantine, magneti, fotografie, piccoli oggetti, souvenir, bomboniere ricevute in occasione di battesimi e oggetti di varia natura. Nei luoghi di soggiorni temporanei legati a trasferte di lavoro si trovano testimonianze della vita trasportate con sé. Se potessero le donne si porterebbero dietro, sempre, l’intera casa come le lumache. Non mi riferisco alla fin troppo banale immagine di una donna alle prese con il bagaglio vacanziero di valigie e beauty –case ma parlo di qualcosa di più profondo. Di un bagaglio fisico ed emotivo, concreto e astratto. Di quella parte del 39 proprio mondo che una donna porta quando si sposta per lavoro pagando un prezzo elevato in termini affettivi e di dilatazione dei tempi lavorativi a scapito di quelli di vita. In queste trasferte affiora la chiocciola che è in noi. Vorremmo poter ricomporre nel luogo in cui andremo se non tutto, almeno una parte, del nostro spazio. Il nostro bagaglio tende ad essere composito, un collage di cose e sensazioni. Ci sono mille modi diversi per declinare questo mix. Per dirla con le parole di mia sorella ci sono persone che viaggiano intorno al mondo portandosi dietro un cofanetto “Sperlari” e altre che per stare fuori casa tre giorni si trascinano dietro il baule per far visita a Sant’Elisabetta. Ognuno cerca e sperimenta il proprio modo di riempire i bagagli. Come il cammello fa scorta d’acqua noi abbiamo bisogno di fare scorta di segni identitari distintivi. Abbiamo bisogno di circondarci di cose che rivestono un significato e che in quanto tali ci ricordano chi siamo e come siamo arrivate ad esserlo donandoci una piacevole sensazione di tranquillità. Non è il mio indirizzo che mi conferisce identità ma l’esatto contrario. Sono io ad avere valore non il nome della strada dove abito o della città dove risiederò per un certo tempo. 40 Eta Beta e Mary Poppins Immagine tratta dal sito www. kijiji.it www. lemcronache.blogspot.com Cosa hanno in comune Eta Beta e Mary Poppins? Che dalle tasche dell’uno e dalla borsa dell’altra esce di tutto. Hanno il mondo a portata di mano. E noi misere comuni mortali come scegliamo il contenitore degli oggetti ritenuti indispensabili per affrontare l’uscita quotidiana dalle mura domestiche? La borsa racconta molto di una donna. Partiamo dalle dimensioni. Assomiglia a un accessorio femminile o a un cargo umanitario? E’ piccola, media o grande? Dentro c’è spazio solo per chiavi, cellulare e rossetto o per chili di derrate alimentari (ho visto estrarre interi barattoli di nutella!), agende, telefoni, fazzolettini imbevuti e non, ricambi di vestiario, cassetta di pronto soccorso. E la proprietaria della borsetta /cargo come si relaziona con l’imprescindibile accessorio? E’ un coordinato di risibili dimensioni poco più che inutile o, invece, la sua ancora di salvezza? Siamo in presenza di una cosina luccicante e modaiola o di un pozzo di San Patrizio dal quale fuoriescono inenarrabili meraviglie? L’osservazione non deve, poi, tralasciare il conteggio dell’uso congiunto dell’oggetto in questione. Eh, sì ci sono persone che si muovono anche con più borse… dimmi cosa c’è nella tua borsa e ti dirò chi sei! Nel caso in cui mi imbatto nel formato mini immagino che la donna che l’ha scelta abbia le idee molto chiare su come affrontare le sue esigenze in modo soddisfacente con il minimo sforzo. Il pensiero che mi trasmette è: non ho bisogno di portar niente con me poiché qualunque cosa succeda troverò il modo di rimediare ciò che occorre. Se incontro una donna con una borsa dalle dimensioni medie so che ha raggiunto 43 dei compromessi tra quello che è assolutamente indispensabile portare con sé e quello che non lo è. Ma se le dimensioni sono impegnative… allora so che mi sono imbattuta o in una persona molto previdente, o in una versione moderna di Florence Nightingale, o in una mamma. Le novelle Florence Nightingale hanno una naturale vocazione a prendersi cura dell’universomondo, motivo per il quale, non possono in nessun caso allontanarsi da casa senza aver racimolato il necessario per soccorrere il prossimo. Per quanto riguarda le mamme va detto che esse tendono a rimanere tali anche al crescere dei figli. Ciò significa che le grosse borse non scompaiono con il superamento della tenera età dei pargoli. Con il passare degli anni non c’è un ridimensionamento del bagaglio. Se ciò accade si tratta di un fenomeno raro perché il modello della mamma previdente tende ad essere inossidabile, resiste al passare del tempo. Il conforto e le comodità si regalano a chi si trova a tiro, che poi sia figlio di qualcun altro poco importa sempre figlio è e come tale bisognoso di assistenza. Se gettiamo l’occhio oltre il bordo della borsa, e poco educatamente, osserviamo il modo in cui l’interno della borsa è organizzato et voilà il gioco è fatto. Abbiamo scattato la fotografia del carattere delle donna che è seduta accanto a noi. Il suo io più recondito è messo a nudo. Le portatrici sane di borse si dividono in tre categorie: organizzate maniacali, organizzate-disorganizzate e casiniste pure. Nella prima categoria rientrano le donne ossessivocompulsive che devono tener sotto controllo ogni 44 minimo dettaglio. L’incubo degli acari, le persecutrici dei microbi, la benedizione dei commercianti di elettrodomestici, delle case farmaceutiche e dei produttori di detersivi e disinfettanti, di tutti coloro, cioè, che propongono prodotti per combattere la crociata contro lo sporco. Parlo di quelle donne che per controllare l’inarrestabile avanzata della polvere in casa scrutano le superfici in controluce con il microscopio da laboratorio. Fuori casa, temendo assalti assassini da parte di terrificanti morbi in agguato, spruzzano disinfettante con abbondante frequenza su ignari bambini. Nel secondo gruppo si collocano le donne consapevoli che tenere sotto controllo ogni aspetto della vita non è sano perché porta all’esaurimento nervoso. Esse si concedono, perciò, un caos organizzato comprensibile solo a loro stesse in cui ad una apparenza sconclusionata corrisponde un ordine rilassato. Sotto controllo ci sono solo le variabili ritenute cardinali. Le appartenenti al genus consapevole hanno bisogno di scavare nella borsa. L’operazione di scavo è resa necessaria dalla presenza di stratificazioni sedimentate: penne, agenda, vecchie liste della spesa, biglietti usati dell’autobus, mazzi di chiavi da far invidia a San Pietro, telefono cellulare, telecomando del garage, rossetto, specchietto, articoli di giornali ritagliati, mentine e caramelle, vecchi accendini inutilizzabili, cartacce da non gettare a terra e conservate per buttare una volta giunte a casa… Nell’ultimo gruppo riconosciamo le casiniste DOC. 45 Per loro non necessitano delucidazioni al riguardo. L’essere casinista è una categoria di pensiero, uno stile di vita. Nelle loro borse non alberga nessun ordine, né apparente né sostanziale, in esse impera trionfante l’anarchia. Non è possibile rintracciare alcun nesso logico tra gli oggetti presenti che non sia l’accumulo. Attinenze e collegamenti sfuggono all’umana comprensione. Personalmente mi riconosco nella seconda categoria, quella delle organizzate-disorganizzate, nella mia borsa c’è sempre una gran confusione ma tutto quel che serve è reperibile. Periodicamente metto ordine e mi disfo della zavorra. Forse non la penserebbe così un malcapitato a cui chiedessi di recuperare qualcosa da lì dentro che verrebbe colto da un attacco di panico. Ma, si sa, ognuno sa gestire il proprio caos. C’è da dire che rispetto all’epoca delle nostre madri sono cambiate molte cose. Potremmo stilare una lista delle cose cadute in disuso e di quelle sconosciute alla loro generazione. Tra le prime un posto d’onore spetta al portacipria. Oggetto di grande fascino e seduzione. C’era quello da mattina e quello da sera. Oggetti artistici con i quali le donne potevano tenere sotto controllo il maquillage e tirarsi elegantemente fuor d’impaccio in svariate situazioni. Oggi potremmo rifugiarsi giusto nel blackberry! O meglio ci si possono rifugiare coloro che in fatto di tecnologia non sono analfabete di ritorno. O anche solo di andata, senza ritorno. Al secondo posto metterei il portapillole. Immancabile nelle borse di nonne e vecchie zie. Anche questi, oggetti che potevano 46 assurgere a punte di notevole raffinatezza, sconfinavano nell’accessorio gioiello. A Natale ne ho cercato uno da regalare e hanno tentato di contrabbandarmi una costosissima, quanto sgraziata, bomboniera. Scavando ancora ci si poteva imbattere nei fazzoletti con le cifre. Di cotone, ovviamente, anzi batista. Mai stropicciati, leggermente imbevuti della fragranza profumata usata dalla proprietaria, rappresentavano un rifugio sicuro in numerose e disparate occasioni: improvvise lacrime da commozione (vere o simulate), filtro contro gli odori molesti (i sali dopo l’Ottocento erano stati dimessi), medicazioni di bambini caduti dalla bicicletta, memento di amori passati (quando la nonna si chiamava Ortensia e l’iniziale ricamata era la C e non si trovava un parente con un nome che cominciasse con quella lettera fino alla quarta generazione manco a pagarlo oro…). Accanto al fazzoletto il ventaglio. Immancabile. Anch’esso declinabile nella versione da mattina e da sera. Realizzato in diversi materiali era un accessorio dalle molteplici funzioni: sollievo alla calura, oggetto da tormentare con le mani in momenti di rabbia e/o agitazione come ottimo deterrente contro lo strangolamento di soggetti molesti, vezzo da abbinare all’abbigliamento, oggetto contundente alla bisogna. Altro must i guanti. Qualcuno potrà obiettare che sono in uso ancora oggi. Sì, ma sfido chiunque a rintracciarne un paio estivi! Una vera signora non usciva mai senza. Altro emblema delle femminilità che impazzava: il bocchino per fumare. All’improvviso le nostre madri erano diventate tutte Greta Garbo. D’ambra, d’avorio, d’osso, di plastica colorata e chi più ne ha più ne metta. 47 Una mia zia lo trovava troppo lezioso e fumava le STOP senza filtro. Grandi boccate di catrame accompagnate da un bicchierino di Sambuca. Roba da bocche rivestite d’amianto. Il decalogo delle buone maniere di mia madre recitava che una signora può fumare in pubblico ma mai camminando per strada e, sempre, con stile (con o senza bocchino). Anche gli ombrelli erano accessori di moda. Costosi ed eleganti in legno e stoffa con pomelli istoriati. Guai a perderli. Niente a che vedere con i nostri piccolissimi e tascabili. Non a caso c’era chi gli ombrelli li aggiustava. La filosofia “usa e getta” era di là da venire. Ricordo che quando frequentavo le scuole elementari, per insegnarmi a non perderli, me ne fecero scegliere uno tutto per me. Era di plastica trasparente con due ranocchi blu e l’asta celeste. Lo adoravo. Facevo la danza della pioggia tutte le sere nella speranza di averne bisogno la mattina seguente. Quando si ruppe dovetti elaborarne il lutto. Adesso ne perdo un paio all’anno, di quelli fatti in Cina e senza ranocchi. Sul fondo della borsa materna, sempiterno oggetto del desiderio, tastando con le nostre manine paffutelle (in verità non so se le mie lo siano mai state), ci potevamo imbattere in un oscuro oggetto del desiderio: un porta profumo. Che classe le nostre madri! Ricordo che la mia aveva un minuscolo imbutino per travasare il Cabochard dalla bottiglia posata sul comò al portaprofumo da borsetta. Bastava spruzzarne un po’ e subito nell’aria aleggiava odore di mamma. Le bambine di oggi fanno più fatica a far aleggiare l’odore della propria mamma perché nelle nostre borse 48 abbonda la tecnologia. Essa assolve principalmente a due funzioni: essere rintracciabili 24 ore su 24 e proteggere la propria casa. Al posto di tutti quegli eleganti oggetti che costituivano il contenuto delle borse delle nostre progenitrici abbiamo telefoni cellulari, palmari, i-phone, i-pod, dispositivi per controllare la segreteria telefonica a distanza, chiavi di porte blindate da mezzo chilo che mettono a dura prova fodere di borse e tasche, telecomandi di cancelli e garage, telecomandi di antifurti. E che dire dell’evoluzione delle penne. Le penne che popolavano le borse materne erano sottili, dorate, piccole, aggraziate, ultra femminili. Le nostre sono di tre tipi. Lo status symbol: la Mont Blanc. Lo strumento utile da battaglia: la biro. Quelle rivelatrici della personalità: le penne pennarello con punta sottile. Tutte hanno in comune una cosa: immancabilmente perdono metà dell’inchiostro all’interno della borsa e te ne accorgi al cambio di stagione. Agli oggetti finora individuati vanno aggiunte le gomme da masticare. Vera rivoluzione generazionale. Le nostre madri (nonne e zie) dispensavano caramelle. Di tutti i tipi. Di gelatina, di zucchero, con il ripieno morbido, sciroppose, colorate. Di tutti i gusti: menta, frutta, violetta. Rendevano i nostri baci di bambini appiccicosi e profumati. Quelle assolutamente da evitare, anche simulando uno svenimento, erano quelle all’anice. Terribili. Le gomme da masticare erano vietate. Off limits. “Fanno male ai denti. Se le ingoi ti si attaccano all’appendice. Una signorina non rumina”. 49 Oggi ce le presentano come uno dei più efficaci strumenti di igiene orale. Evidentemente non si attaccano più all’appendice. Sono state sdoganate come la coca cola e la nutella che nella nostra infanzia furono messe al bando. Una carissima amica mi ha confessato: “A volte mi sento una SS, le mamme delle amichette di Sofia spacciano nutella, merendine e coca cola a tutte le ore del giorno e della notte in tutti i mesi dell’anno, io se cedo alle sue insistenze e le consento qualcosa di diverso da un panino, un po’ di frutta o un dolce fatto in casa mi sento Lucrezia Borgia che stilla veleno!”. Con l’avvento del consumismo anche l’ora della merenda ha subito dei cambiamenti. Le quarantenni sono cresciute facendo spuntini con pane, burro e zucchero, pane e cioccolata (cioccolata non nutella!), banane, torte margherite, prussiane, maddalene, brioche (biscotti secchi insomma perché creme: Niet!), succhi di frutta e latte. Anche le feste erano così, organizzate rigorosamente in casa si giocava sotto la supervisione dei fratelli maggiori e poi si mangiavano graffette, panini dolci con salumi, pizzette e una torta. Tutto preparato dalle mamme. Oggi le feste dei treenni contemplano ricevimenti in ludoteche e buffet sostanziosissimi. Ne sa qualcosa la mia amica Valeria che scandalizzata mi ha informata di una nuova pratica in voga secondo la quale il regalo al bambino va scelto in una lista predisposta dalla mamma del suddetto presso un negozio. Io potrei aggiungere che sono stata invitata a una festa di diciotto anni in cui il regalo fatto in gruppo è stato una busta con dei soldi 50 “perché tanto i ragazzi oggi hanno tutto!”. Mia madre sarebbe inorridita, Valeria ed io anche. C’è una misura in tutte le cose. Le madri che lavorano e hanno un discreto equilibrio mentale che non le porta verso il martirio e l’autoflaggelazione si organizzano. Si può dare una festa per bambini nella propria casa senza farsela distruggere, si possono alternare le merendine con delle cose cucinate, e soprattutto, si può evitare di scadere nel cattivo gusto. Esistono dei gruppi di supporto tra amiche per l’organizzazione di una festa che funzionano meglio dell’anonima alcolisti. Se non fosse stato per il pronto soccorso di Melina e Raella all’ultimo festeggiamento di compleanno di famiglia una parte delle cibarie non sarebbero mai arrivate sulla tavola… 51 Il superamento del concetto di “doppia presenza” Immagine tratta dal sito: www. ilcivennese.blogspot.com Negli anni Settanta Laura Balbo introdusse il concetto di “doppia presenza” riferendosi al duplice ruolo svolto dalle donne nel mondo del lavoro e in famiglia.9 Era il decennio di attività del movimento femminista in cui molto si rifletteva sul ruolo della donna nella società contemporanea. Oggi, dopo oltre quarant’anni, la situazione è cambiata. Parlare di doppia presenza è riduttivo, non tiene conto di altri ambiti nei quali le donne operano. E’ senz’altro vero che le donne sono capaci di lavorare in multitasking ma è innegabile che si rischia spesso, molto spesso, l’overload! Quando è troppo è troppo! La moltitudine di compiti cui le donne sono chiamate a far fronte per gestire la vita quotidiana assomiglia agli esercizi dei giocolieri. Il lavoro, la scuola dei figli, la spesa, la pulizia della casa, il bucato, l’ufficio postale, la lavanderia, l’accudimento di genitori o suoceri anziani, l’idraulico, l’elettricista, il dentista, l’oculista, l’accompagnamento in piscina, al calcetto, alle feste dei compagni di scuola, il meccanico per l’automobile … la lista potrebbe allungarsi all’infinito. Si corre sempre in preda all’ansia di non riuscire a fare tutto, di dimenticare qualcosa. Si rivede di continuo la lista delle priorità. E ci si stanca. Molto, moltissimo. La pianificazione è fondamentale, tutto deve funzionare a incastro. E se si è in ritardo sulla tabella di marcia si finisce con il trascinarsi tutto il giorno quell’ora di impegni non prevista che pregiudica tutti gli appuntamenti prefissati. Se già la doppia presenza ____________ 9 Balbo L., “La doppia presenza”, Inchiesta n. 32, 1978. 55 creava problemi di identità frammentata figurarsi la presenza multipla! Roba da schizofrenici conclamati. La situazione si complica quando il lavoro non è stabile ma precario. Altro che frammentarietà siamo di fronte alla smolecolarizzazione. Il precariato è una declinazione recente che si aggiunge alle difficoltà di una donna che si interroga innanzitutto sulla capacità di tenuta: riuscirò a fare tutto (senza accoltellare nessuno)? Sarò una buona madre (sarà poi vera ‘sta storia sulla qualità del tempo al posto della quantità o qualcuno se lo è inventato per evitare la disperazione)? Riuscirò ad avere una vita degna di questo nome (tempo per me)? Scamperò allo schiacciante senso di colpa (che mi spinge a fare cose che hanno del sovraumano)? Ci si interroga, poi, sull’economicità del continuare a lavorare (soprattutto se il lavoro è precario) quando quel poco che si guadagna si spende per baby sitter o per scuole che garantiscono il tempo prolungato. Ci si dilania, insomma, tra mille interrogativi nel continuo lavorio per trovare la quadra. E’ interessante notare come il significato dell’espressione “doppia presenza” si presti a più interpretazioni. Per Marina Piazza la scelta del termine presenza rimanda al significato che le donne attribuiscono al lavoro come elemento costitutivo della propria identità, non si tratta solo di una modalità reddituale. Il “doppio” è vissuto come alternanza tra due mondi che si modifica nel corso degli anni: «In una prima fase (anni Settanta/primi anni Ottanta) sembra prevalere un tipo di comportamento, rispetto alla doppia 56 presenza, caratterizzato dal tentativo di mantenimento parallelo dei due poli del lavoro e della famiglia. Esso apparirebbe connotato da onnipotenza, fatica, disagi, scarsità di strumenti culturali, ostilità del clima culturale. Quanto più rigidi sono i vincoli esterni (orari lunghi nell’industria, mancanza di servizi o di reti interfamiliari efficienti) e forti i vincoli interni (scarsa comprensione familiare, incapacità di leggere la propria esperienza invece che come forma di inadeguatezza, come vissuto condiviso da un sempre maggiore numero di donne) tanto più si moltiplicano le fuoriuscite verso il polo familiare. In una seconda fase (seconda metà degli anni Ottanta/primi anni Novanta) sembra prefigurarsi un intreccio che potremmo definire improntato a “strategie di diacronicità”, connotato da posposizione della maternità, strumenti culturali più precisi, legami più forti con il mondo del lavoro, strategie di posizionamento su quel mercato verso professioni non “ostili”».10 Per Anna Scisci e Marta Vinci il concetto di presenza va preso in considerazione insieme al suo opposto, l’assenza, che mette in evidenza la solitudine in cui le donne dovevano gestire e ancora gestiscono il loro tempo e i loro impegni. La presenza è da intendere – per le autrici- come partecipazione ad un “mondo vitale” quale contesto pregno di significati che risente fortemente di limiti culturali prima che organizzativi.11 Si potrebbe suggerire un neologismo per la “multipresenza” femminile parlando delle donne ____________ 10 Piazza M. “Le trentenni-Fra maternità e lavoro, alla ricerca di una nuova identità” Mondadori 2003. 11 Scisci A. Vinci M. “Differenze di genere, famiglia, lavoro” Carocci 2002. 57 come “allwinner” visto che gli uomini sono stati definiti nella società industriale “breadwinner” ovvero procacciatori di cibo, di sostentamento. Emma Chiaia sul sito internet www.vitafelice.it ha scritto una interessante riflessione sul rapporto tra le donne e il tempo. Secondo l’autrice fino all’età adulta la percezione del tempo declinata al femminile è di un tempo dilatato, infinito, in cui ci sono continue chiacchiere con le amiche, diari da scrivere, impegni rilassati. Tutte attività che contemplano un percorso di introspezione. Per i ragazzi, invece, niente introspezione ma sport e attività di gruppo, l’espressione usata dalla Chiaia per descrivere questo tempo maschile è: “l’uomo trova se stesso nel tempo riempito”. Arrivata all’età di maggior impegno, quello della presenza multipla, le donne cercano di difendere con le unghie e con i denti piccoli scampoli di tempo per loro stesse. In linea di massima sono tutti d’accordo nel ritenere che ciò sia giusto e sacrosanto ma nei fatti… La Chiaia fa notare come gli uomini tendano ad essere comprensivi quando gli spazi delle loro compagne sono ritagliati in un tempo in cui loro sono comunque impegnati (al lavoro, al bar con gli amici, al calcetto…) ma guai a organizzarlo in un tempo in cui loro sono a casa. “L’idea che un uomo debba tornare a casa e cenare da solo – scrive la Chiaia - perché la moglie sta per conto suo (magari per un programma innocente come una serata tra amiche) sembra ancora a tanti uomini un affronto inconcepibile”. Sull’uso del tempo delle donne Marita Ramazzi scrive: «Il tempo per se, che le donne hanno sempre 58 appezzato e rivendicato, anche perché ne hanno sempre avuto così poco, è un tempo solo apparentemente “da sprecare” perché, in realtà, è quello della riflessività, quello in cui si ritrova il senso di sé, ridando voce a ciò che non è visibile immediatamente dall’esterno e ricostruendo, così i presupposti che danno un senso e un valore all’intimità”».12 La variabile rappresentata dal tempo è, per le donne, molto importante. Non stupisce, perciò, che l’invenzione della Banca del tempo sembra sia da attribuire proprio a loro. Essa è una versione moderna e più strutturata di una società di mutuo soccorso. Chi vi si iscrive mette a disposizione delle ore del proprio tempo per svolgere compiti diversificati: badare ai bambini, prendersi cura di anziani anche facendo la spesa, fare consulenza gratuita in materie di propria competenza. In un’ottica di scambio con offerta a catalogo ognuno offre parte del proprio tempo per usufruire di quello degli altri. Si sistematizza, così, un collaudato sistema di collaborazione esistente tra parenti, amici e vicini di casa ampliando la rete dei contatti. A giugno di quest’anno sono stata invitata insieme al Direttore della Confesercenti di Napoli (donna volitiva affetta da una cronica insufficienza di tempo disponibile) dalla Confesercenti di Reggio Emilia per una discussione sul precariato delle donne. In un caldissimo pomeriggio estivo si sono incontrati due mondi diversi, noi sembravamo appena atterrate da Marte su un pianeta in cui le donne, lavorano, hanno ____________ 12 Ramazzi M. “Tempo di vita/tempo di lavoro nell’esperienza femminile” corso “Donne, Politica, Istituzioni” a.a. 2005-06. 59 potere decisionale, contano, si sostengono e sono tostissime. Nel celebrare il centocinquantenario dell’unità d’Italia si sono incontrate due Italie differenti. Il nostro racconto di donne meridionali che fanno molta fatica ad affermarsi in un mondo ancora fortemente declinato al maschile nei suoi ruoli apicali ha dato l’impressione che la parte bassa dello stivale sia intrappolata, per uno strano fenomeno tipo stargate, in un epoca passata. Arrivati al Garigliano c’è uno strappo spazio-temporale. Una delle partecipanti, una donna sessantenne, mi ha detto che il precariato delle quarantenni dipende anche da una loro responsabilità: perchè esse avrebbero vanificato il risultato delle battaglie condotte dalle loro madri negli anni Settanta. Avremmo abbandonato il campo disperdendo i risultati ottenuti dalla generazione di donne che ci ha preceduto. Le ho risposto che non penso sia andata proprio così. Non abbiamo preferito non lottare pensando che tutto fosse scontato abbiamo, soltanto, seguito il modello che la famiglia, la scuola e la società ci avevano indicato: studiate, laureatevi, lavorate, sposatevi, compratevi una casa e fate dei figli. Ma il sistema si è inceppato perché il mercato del lavoro, mentre noi studiavamo e ci laureavamo, è cambiato. Le regole del gioco sono cambiate in corsa e noi ci siamo trovate spiazzate senza strumenti per controbattere. Quando lo abbiamo capito abbiamo elaborato, o meglio stiamo elaborando, nuove strategie di sopravvivenza. Ci stiamo riprendendo la parola creando luoghi di incontro, di discussione e di confronto per formulare proposte ai detentori pro tempore del potere decisionale. Non sono i collettivi e 60 i gruppi di autocoscienza ma degli spazi di dibattito costruiti sulle mutate condizioni storiche, sociali, culturali ed economiche. Le relazioni industriali e lo scenario produttivo sono cambiati, stiamo cercando di cambiare anche noi. 61 Necrologio di Wonderwoman Immagine tratta dal sito www. soundonsight.org Wonderwoman è morta, le indagini sulla sua morte continuano. Chi ne sente la mancanza sono soprattutto gli uomini. Solo lei, infatti, era in grado di sostenere i ritmi richiesti quotidianamente alle donne. Quelle comuni, le povere mortali senza superpoteri, devono cercare sistemi organizzativi tarati sulle proprie esigenze concedendosi dei margini di fallibilità tali da impedire il crollo (fisico e mentale). Per affrontare la quotidianità esistono piccoli trucchi e strategie di sopravvivenza che le amiche si confidano ma, per lo più, si tratta di impegno costante e amore a palate per le persone che costituiscono il proprio mondo affettivo. Non esistono ricette miracolose. Non ci sono piani perfetti. E’ consigliabile essere consapevoli della propria capacità di resistenza e saper riconoscere i segnali di cedimento in tempo utile per evitare il peggio. Fondamentale è la capacità di porsi (e porre agli altri) dei limiti. Essere intransigenti come la signorina Rottermaier non paga, l’aspirazione al martirio non conduce alla felicità (solo alla probabile strage per omicidio). Si fa del proprio meglio e non è poco. Si operano continue scelte sulle priorità da soddisfare e si finisce, di solito, per posporre nella lista il tempo per se stesse. “Un errore nel quale facilmente si cade è quello di cedere al ricatto del tutto o niente. E poi, in un crescendo pericolosissimo si pretende di fare tutto; di fare tutto bene e in fretta. Solo a leggerla questa sequenza mette un’ansia terribile: pretendere di compiere questi tre passi in successione conduce alla delusione e non consente di fare 65 neppure le cose semplici”. Sono le parole scritte da Cinzia Sasso e Susanna Zucchelli in Un’ora sola io vorrei. A leggerle il loro pensiero appare chiaro eppure, andando avanti con le pagine, ci si imbatte in un suggerimento che lascia perplessi: “[…] attività che possono efficacemente essere svolte in contemporanea perché sono simili o perché impegnano parti diverse della nostra attenzione […] cucinare il risotto e controllare le spese della carta di credito”. Mah. Non saprei. “Bè non ci sono superdonne, non è possibile che le donne riescano a svolgere tutte le mansioni che credono sia loro compito svolgere. Non si può fare tutto senza modificare l’organizzazione del lavoro. […] Non possiamo inserirci nel mondo del lavoro così come è concepito. Non c’è alcuna possibilità per le donne di adeguarsi con pari opportunità alla struttura economica oggi esistente: non è possibile. Non con tutte le altre responsabilità che pesano sulle loro spalle, non finché il ruolo degli uomini all’interno della casa e della famiglia non è pari a quello delle donne, così come quest’ultime sono pari a loro al di fuori di queste realtà. Non finché non abbiamo trasformato il sistema”. Così la pensa Elizabeth McKenna.13 E qui dubbi non me ne sorgono. Tra le tante donne incontrate nel corso degli anni ce ne sono alcune che raccontano con raccapriccio di aver vissuto un periodo della propria vita nel quale anche farsi una doccia era impossibile perché vivevano con un bambino piccolo letteralmente incollato addosso. Una mi disse che l’ultima volta che aveva dormito per otto ore consecutive risaliva ad un decennio prima. ____________ 13 McKenna E.P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002 pag. 172. 66 Altre riflettono ad alta voce sul fatto che vorrebbero poter dedicare più tempo ai propri interessi e quasi tutte si rammaricano di non aver tempo per svolgere un po’ di attività fisica. Ma chi sono le donne di cui scrivo? Non sono le manager degli anni Ottanta descritte da Cinzia Sasso in “Donne che amano il lavoro e la vita – La via femminile al successo” nel quale emerge un quadro di donne realizzate in un mondo del lavoro diverso da quello odierno. Un mondo in cui essere giovani era un opportunità ed essere una donna un privilegio. Donne che hanno avuto un percorso formativo arricchito da significative esperienze all’estero. Donne che svolgono un lavoro in posizione apicale. No, le donne di cui qui si ragiona sono impiegate del settore pubblico, di quello privato, libere professioniste, artigiane, commercianti, precarie di tutti i settori economici: primario, secondario e terziario. Donne comuni che incontriamo tutti i giorni e che circa l’uso del tempo sanno inconsciamente quel che Elizabeth Gilbert ha scritto in “Mangia, prega, ama”: “i giorni qualche volta si contano e qualche volta si pesano”. 67 Donne e lavoro Immagine tratta dal sito www.jobtalk.blog.ilsole24ore.com Il tema è di quelli che appassiona. Da quando le donne sono entrate numerose nella forza lavoro nel nostro Paese, negli anni Settanta, sono state condotte numerose indagini. Le scienze sociali si interrogano da lungo tempo sui cambiamenti prodotti nel tessuto socioculturale dalle modificazioni economico produttive. «Dire di una donna che è una donna che lavora non è così ovvio come dire di un uomo che è un uomo che lavora. Dietro la prima affermazione c’è sempre una sospensione di senso, un’interrogazione su che cosa vuole questa donna: guadagnarsi il pane, aiutare la famiglia, costruire la propria indipendenza economica e psicologica, salvaguardarsi rispetto a possibili esiti negativi del matrimonio, fare carriera, dimostrare al mondo che le donne valgono come e più degli uomini. C’è sempre dunque un retropensiero, che in qualche modo mette in discussione l”ovvietà”, pescando nel grande mare della tradizione e degli stereotipi, tanto che spesso questo “pensiero nascosto” arriva persino a formularsi in risentita esclamazione: ma perché nel mondo del lavoro sono entrate anche loro, che cosa vogliono queste donne?”».14 Queste sono le parole di Marina Piazza per illustrare un concetto strisciante secondo il quale una donna che lavora deve sempre motivare, in qualche modo, la sua scelta. Secondo la Piazza se si vogliono comprendere l’evoluzione del mondo del lavoro e i cambiamenti sociali bisogna abbandonare un paradigma di lettura basato sulla contrapposizione per adottarne uno costruito sulla compresenza. Bisogna ____________ 14 Piazza M., “Le trentenni fra maternità e lavoro , alla ricerca di una nuova identità” Mondatori, 2003. 71 guardare all’inclusione e alla convivenza e non più al rigido scartare una cosa in favore di un’altra. Sta tutto insieme. Non si può per facilitare le cose (agli uomini, perché le donne lo sanno che non si può fare) scindere gli ambiti per trattarli separatamente. Il fatto che una donna lavori continua a non essere un fatto scontato ma risponde a una logica da ricercare, un continuo domandarsi qualche motivo ci dovrà pur essere. Soprattutto risulta difficile capire la tenacia delle donne che benché brave, capaci e competenti continuano a guadagnare meno degli uomini, ad occupare raramente ruoli decisionali e a essere messe da parte dopo la nascita di un figlio. In diversi casi avere delle donne in squadra è un’ottima scelta di marketing perché presenta l’azienda come progressista e attenta alle pari opportunità. Ma bisogna vedere quanto potere è stato accordato a questa donna che viene esibita alla società come segno di riconoscimento delle sue capacità. «Le donne sono di moda, e gli uomini di cinquant’anni e più che oggi, statisticamente, controllano la maggior quantità di potere nel nostro paese lo sanno e di solito se lo ricordano, almeno quando si tratta della propria immagine o di quella della propria azienda. E’ una grande possibilità, da conoscere e da esplorare. Ma…ma, nonostante questo, le donne sono ancora più disoccupate degli uomini. I loro risultati scolastici, costantemente migliori di quelli maschili, non sono ancora sufficienti a garantire la parità nella carriera, quando di “carriera” si tratta”». Questa è la riflessione di Vera Schiavazzi in “Il lavoro è il miglior amico delle donne”. 72 I ministeri affidati alle donne sono esemplificativi di questo ragionamento così come lo sono le posizioni verticistiche di aziende e organizzazioni sindacali importanti. Riccardo Zuffo sull’esibizione delle donne in azienda quale simbolo di progresso e ossequio alle pari opportunità scrive: “Un’attenzione alla diversità quasi artificiale dunque, troppo spesso adottata o come strategia interna alle company per contenere la cultura della competitività maschilista, banalizzante nella sua tramontata razionalità e mono-orientata verso comportamenti semplificanti, oppure come strategia esterna per apparire e tutelare quote di mercato”.15 Con l’avvento della società industriale quando la produzione del reddito si trasferisce al di fuori delle mura domestiche si configura la diversità di ruoli tra l’uomo che va a lavorare e la donna che accudisce figli e casa. “La transizione da un’economia fondata sull’agricoltura e sull’artigianato, in cui spesso la casa e il luogo di lavoro venivano a coincidere e tutti i membri della famiglia lavoravano insieme, ad una di tipo industriale in cui la forza lavoro usciva dalle mura domestiche e si vendeva per un salario, non deve tuttavia far pensare che questa forza fosse solo maschile. In realtà, nella prima fase di questo passaggio, la componente principale della manodopera era di sesso femminile, ma era costituita generalmente da donne sole appartenenti alle classi più povere. A fronte di questo fenomeno si registrava quindi una progressiva esclusione dal mercato del lavoro delle donne sposate, che non ____________ 15 Bombelli M.C. Cuomo S. “Il tempo al femminile” Etas 2003. 73 potevano più svolgere una attività a casa propria e contemporaneamente prendersi cura dei figli e della famiglia”.16 Quando sopra riportato è parte dell’argomentazione di Marta Vinci per sostenere che la differenza tra la sfera di azione maschile e quella femminile non è stata il frutto di una necessità scaturente dalle diverse caratteristiche biologiche che connotano gli uni e le altre ma, piuttosto, una costruzione socio-economico-culturale. Questa separazione dei ruoli ha comportato una modellizzazione del contesto lavorativo sulle specificità maschili. Il mondo del lavoro è maschile. I parametri della produzione sono maschili. I tempi della produzione sono maschili. Le modalità della produzione sono maschili. Non si tratta di una esagerazione ma del frutto di osservazioni e approfondimenti condotti da diversi studiosi, non tutte donne. Partiamo dal lavoro di Georg Simmell che nel 1911 scrisse nel suo saggio “Il relativo e l’assoluto nel problema tra i sessi”: “Nel misurare la produttività e l’indole, l’intensità e le forme strutturali della natura maschile e femminile ricorriamo a determinati parametri di tali valori, ma ci accorgiamo che questi parametri non sono neutrali, equidistanti tra i due sessi: essi risultano di tipo maschile […] Se attribuiamo a queste idee che si presentano come assolute il nome Oggettivo per eccellenza, allora nella vita storica della nostra specie vale l’eguaglianza:oggettivo = maschile”.17 ____________ 16 Schiavazzi V. “Il lavoro è il miglior amico delle donne” Sperling & Kupfer 2004. 17 Scisci A., Vinci M. “Differenze di genere, famiglia, lavoro” Carocci, 2002. 74 Simmell si sofferma, inoltre, sulle differenze di tipo ontologico tra i due generi e mentre all’uomo riconosce una mente analitica fondata sulla scomposizione nella donna riscontra la capacità di unitarietà, di coesione. Carol Pateman definisce un modello dualistico o di genere della “cittadinanza”nelle moderne democrazie in cui le donne non possono raggiungere lo status di cittadinanza in quanto donne e quindi soggetto lontano e diverso dall’uomo. Lister alla fine degli anni Novanta ha cercato il superamento di questo pensiero attraverso la teoria dell’universalismo differenziato che tende all’armonizzazione universalistica delle politiche in cui lasciare spazio alla differenza nei processi creativi di tipo democratico. In quest’ultimo modello le donne dovrebbero ritagliarsi il loro spazio rivendicando una diversità di genere in modo negativo, per sottrazione da tutto ciò che è dato ed è codificato secondo una declinazione maschile. La difficoltà di definire le peculiarità della presenza delle donne nel mondo del lavoro viene rilevata anche nel testo curato da Adriana Nannicini “Le parole per farlo – Donne al lavoro nel postfordismo”18 in cui si evidenzia come ci sia una questione lessicale da ridefinire. “…non disponiamo di un lessico capace di dire la soggettività del rapporto con il lavoro/i. E si rafforza se si pensa che il lavoro è l’oggetto centrale dei discorsi informali ____________ 18 Nannicini A.“Le parole per farlo – Donne al lavoro nel postfordismo” DeriveApprodi 2002. 75 tra donne, occupa più spazio e riceve più attenzione che non l’amore o il sesso. E questo scivolamento di centralità non appare tanto collegato a una particolare generazione di donne quanto piuttosto a determinati luoghi e contesti lavorativi. Si può ipotizzare che, per chi lavora in situazioni di elevata flessibilità, derivi dalla necessità di rinnovare continuamente l’osservazione e di sviluppare una conoscenza sempre più consapevole delle condizioni in cui il proprio lavorare si attua. […] C’è dunque da inventare un lessico. E che non sia conservatore, ma conservativo di una storia trascorsa…”. Che i modelli di riferimento nei contesti lavorativi siano maschili vien fuori anche dalle storie raccontate da Cinzia Sasso in “Donne che amano il lavoro e la vita – La via femminile al successo” e nelle pagine di Vera Schiavazzi in “Il lavoro è il miglior amico delle donne” quando scrive: “Nel panorama generale del lavoro, le donne occupano le posizioni più basse in ciascun settore, salgono più lentamente, o non salgono affatto, lungo la scala gerarchica, quindi anche se in pratica svolgono lo stesso lavoro, il loro livello contrattuale risulta comunque più basso, le donne lavorano per meno tempo, e/o interrompono per la maternità, quindi la loro anzianità è minore, ricevono più difficilmente aumenti salariali a titolo di riconoscimento per le loro prestazioni (anche perché li chiedono meno spesso), alle donne tocca buona parte dei contratti economicamente meno vantaggiosi, come quelli part time”.19 ____________ 19 Schiavazzi V. “Il lavoro è il miglior amico delle donne” Sperling & Kupfer 2004. 76 Elizabeth McKenna sostiene: «Le donne componevano la loro vita aggiungendo alla propria identità femminile l’identità di successo definita dagli uomini. Se le donne volevano riuscire, dovevano imparare a valutarsi nel modo in cui lo facevano gli uomini. Dovevano compararsi agli uomini mentre entravano in competizione con loro. Nel fare questo si arriva a un’impercettibile ma consistente atrofizzazione di altri aspetti importanti nella vita di una donna. Come dichiarò la dirigente di una società immobiliare: Qualsiasi cosa odori di “mamma e torte” indebolisce la mia posizione in azienda. Debbo competere con gli uomini alle condizioni imposte dagli uomini». E ancora: “… come può sgualcirsi il tessuto della nostra vita quando andiamo a lavorare in un mondo maschile se facciamo quel lavoro come donne ma alle condizioni degli uomini. Il mondo del lavoro ci ha aperto le porte, ma con tutto il nostro idealismo non siamo riuscite a cambiare il modo in cui opera o le ricompense che offre. Il mondo del lavoro rimane un luogo discriminante. Un luogo costruito per gli uomini che hanno una moglie a tempo pieno che rimane a casa a prendersi cura del resto della vita”.20 In un intervista fatta da Lili Gruber alla psicanalista Simona Argentieri sul rapporto tra donne e mercato del lavoro si legge: “E’ un problema di autostima: una donna per avere successo deve necessariamente possederne una solida. Per gli uomini è il contrario: l’autostima è il frutto dei traguardi tagliati”.21 ____________ 20 McKenna E.P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002 pag. 20. 21 Gruber L. “Streghe-la riscossa delle donne d’Italia” Rizzoli 2008. 77 Allison Pearson in “Ma come fa a far tutto” scrive: “Un uomo che annuncia di doversi assentare dall’ufficio per andare a vedere sua figlia in piscina passa per un padre esemplare, affettuoso e sensibile. Una donna che annuncia di doversi assentare dall’ufficio per restare al capezzale del figlio malato, invece, viene tacciata di disorganizzazione, irresponsabilità e scarsa disponibilità. Che un padre faccia il Padre è una dimostrazione di forza; che una madre ammetta di essere Madre è segno di deplorevole vulnerabilità. Belle le pari opportunità eh? […] Credo nella parità tra i sessi? Non lo so. Un tempo ci credevo con tutta l’appassionata certezza di chi è molto giovane e sa assolutamente tutto, ovvero niente di niente. Era una bella idea, quella della parità, dell’uguaglianza, nobile e innegabilmente giusta, ma come diavolo la si poteva mettere in pratica? Possono offrirci ottimi posti di lavoro e tutta l’aspettativa possibile in caso di maternità, ma finché gli uomini non saranno programmati per notare che è finita la carta igienica, qualsiasi progetto è destinato a fallire. Le donne pensano costantemente ai problemi della vita domestica, ce li hanno sempre in testa, non c’è niente da fare”. Il mio professore di filosofia del liceo ci raccontava di trovare singolare il modo in cui la cinematografia americana di una certa epoca facesse apparire le donne lavoratrici. Il suo esempio era Doris Day le cui giornate erano pressappoco così organizzate: ore 9 colazione in terrazzo con il marito e lettura dei giornali avvolta in vaporose e merlettate vestaglie, ore 10 toilette, ore 10, 30 – 13,00 sopralluogo in ufficio, o altro luogo ad esso assimilabile, ore 13,30 colazione con le amiche, ore 16,00 salone di bellezza, ore 18,00 shopping, ore 19,00 78 aperitivo con marito e poi vestito da sera e a cena fuori e a ballare. Il saggio uomo ammoniva noi, sue giovani allieve, a diffidare di quei film e nel bel mezzo di una interrogazione sui filosofi presocratici ci chiedeva se avevamo imparato a preparare il tortano (noto rustico napoletano del periodo pasquale) cosa altrettanto importante e di pari dignità per la nostra formazione del pensiero presocratico. E ho detto tutto. Il Global Gender Gap Report da cinque anni valuta i Paesi secondo criteri di distribuzione di risorse e opportunità tra uomini e donne a prescindere dal livello globale di risorse. Secondo il Rapporto 2010 del World Economic Forum sul Gender gap a livello globale si nota una riduzione delle disparità uomo/donna negli ambiti dell’educazione e della salute. Ma per quanto riguarda la performance del nostro paese c’è poco da stare allegri. L’Italia scivola dal 72esimo posto dell’anno precedente all’attuale 74esimo sui 134 censiti nella classifica che misura il divario di opportunità tra uomini e donne. Siamo posizionati dopo il Malawi e il Ghana non lontani dall’Angola e dal Bangladesh. Non male. Ai primi posti dell’hit parade (manco a dirlo) Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia. Prima di arrivare a leggere l’italico nome nell’elenco bisogna superare quello del Mozambico (22esimo) e del Botswana (62). Tra i Paesi ad alto reddito, solo una manciata registra risultati più bassi dell’Italia: Malta (83), Giappone (94) e Arabia Saudita (129). Gli USA risalgono rispetto all’anno precedente dal 31esimo posto al 19esimo. Una bella 79 rimonta. Spiegano al World Economic Forum: “La scalata riflette il più alto numero di donne con ruoli di rilievo nell’attuale amministrazione e i progressi nel divario degli stipendi”. Buone prestazioni per Spagna (11), Germania (13) e Regno Unito (15) mentre la Francia precipita in serie B perdendo 28 posizioni (dal 18esimo al 46esimo posto). Chiudono la classifica Pakistan (132), Ciad (133) e Yemen (134). I parametri di valutazione presi in considerazione per l’analisi sono: la partecipazione e opportunità economica delle donne, l’accesso all’educazione, le differenze tra uomo e donna in termini di salute e di aspettative di vita e l’accesso femminile al potere politico. Rispetto al primo l’Italia ha guadagnato la 97esima posizione, per il secondo ha conquistato la 49esima, il terzo la vede alla 95esima e per l’ultimo strappa un 54esimo posto. Non c’è che dire: un campionato da urlo. Sì, ma di disperazione! 80 L’imparità salariale Immagine tratta dal sito: www. leiweb.it 82 “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro le devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. Qualcuno potrà pensare che stia citando il contenuto delle letterine a Babbo Natale di molte donne, qualcun altro che abbia riportato parte della legislazione di un paese lontano, molto lontano e invece no, il virgolettato è il testo dell’articolo 37 della Costituzione italiana. Quando si dice la distanza tra la costituzione formale e quella materiale… Vogliamo parlare di differenziale salariale, di come cioè uomini e donne a parità di mansioni svolte, responsabilità attribuite, ore lavorate e anzianità di carriera vengono pagati diversamente? Ma sì, facciamoci del male. Le teorie economiche spiegano il differenziale salariale di genere basandosi sull’analisi di due aspetti delle dinamiche del mercato del lavoro. La prima si fonda sull’interpretazione di Bergmann secondo cui l’esclusione delle donne da alcune professioni e mestieri crea un conseguente affollamento (crowding hypothesis) di determinati settori, definiti ad occupazione femminile, dove l’aumento dell’offerta di forza lavoro fa diminuire i salari. La seconda si basa sull’ipotesi avanzata da Filer per il quale le donne scelgono il lavoro prediligendo un aspetto anche a discapito di altri. A prevalere è sempre la ricerca della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Una percentuale significativa delle donne presenti nel mercato del lavoro accetta una minor retribuzione a fronte della possibilità di contemperare i propri impegni familiari con l’occupazione lavorativa. 83 Secondo una recente (2009) ricerca condotta sul tema da Sda Bocconi – HayGroup le retribuzioni delle donne sono inferiori del 3% a quelle degli uomini a parità di posizione ed incarico, ma la verità è che questa parità di incarico è cosa rara. Dopo tre anni di ricerca, 97 aziende coinvolte e la posizione di 31.882 lavoratori analizzata, la conclusione è che le donne sono concentrate nei segmenti di lavoro più bassi. L’analisi svolta mostra che le impiegate guadagnano l’1,9% in meno, i quadri il 3,6% in meno e le dirigenti il 3%. La media ponderata è pari al 2%. L’Istat dichiara, invece, una media del 7% (dati Istat 2007) Unioncamere il 17% (dati Unioncamere 2008) l’Isfol l’8,75% (dati Isfol 2009), l’Eurispes il 16% (dati Eurispes 2009) e i documenti del Patto europeo dell’uguaglianza di genere il 18% (2010). La media assoluta nazionale dà un dato diverso, le donne italiane guadagnano meno rispetto agli uomini, la forbice è tra il 22,8% (retribuzione annua lorda) ed il 25,2% (retribuzione globale annua). Meglio di noi la Germania dove la forbice è del 20% mentre in Spagna si attesta al 27%, in Belgio al 29% ed in Francia al 42%. Di entità più preoccupante è il dato dichiarato dall’Isfol nel I Rapporto sull’occupazione femminile in Italia reso pubblico nel 2010 in cui si legge: “il persistente divario di genere nella retribuzione è stabilmente assestato sul 15% dal 2003”. Caterina Soffici in “Ma le donne No – Come si vive nel paese più maschilista d’Europa” a riguardo scrive: “A parità di lavoro, le donne italiane guadagnano il 26 percento in meno dei colleghi maschi. Nel 2004 il divario è 84 stato il più alto del ultimi venticinque anni. E da allora il trend non si è più invertito. Anzi, complici la crisi economica globale e il tracollo occupazionale con aumento del lavoro precario e atipico, il gap è aumentato ulteriormente. Quando si legge che la parità salariale è stata raggiunta o che gli scarti sono inferiori all’8 per cento, i dati si riferiscono ai casi di lavori non qualificati o agli impieghi statali. Perché le donne italiane non reagiscono? Perché non hanno gli strumenti per farlo”. Il differenziale salariale tra uomini e donne non viene in rilievo solo attraverso la lettura della cifra netta percepita in busta paga perché nell’analisi del fenomeno bisogna tener conto, della continuità retributiva, delle indennità di posizione, dei premi di produttività, degli avanzamenti di carriera e degli effetti, e nel caso delle donne dei mancati effetti, che si produrranno nel trattamento pensionistico e in caso di applicazione di ammortizzatori sociali. Le donne lavorano come o più degli uomini ma guadagnano meno. Questo è vero per tutti i settori e i comparti produttivi. Lo è da sempre. Le argomentazioni a sostegno sono le più fantasiose, come l’inadeguatezza anatomica a svolgere lavori pesanti, ma allora non si capisce perché le braccianti agricole che fanno lo stesso lavoro degli uomini che, leggero non è, siano pagate meno, all’inattitudine ad assumere ruoli dirigenziali perché gli uomini si sentirebbero a disagio a prendere ordini da una donna fino a giungere alla mancanza di tempo perché assorbite dalle necessità familiari. A ben vedere sono argomentazioni fragili ma, nonostante ciò, esse continuano a penalizzare e mortificare le donne. 85 Nel percorso lavorativo di molte donne ci sono delle interruzioni i cui effetti sulla contribuzione si palesano al momento del calcolo della pensione o nel caso di indennità di disoccupazione o cassa integrazione. L’indagine condotta dalla UE EU_SILC mostra come, a parità di condizioni, nel 2007 una donna (nubile) abbia percepito un sussidio di disoccupazione inferiore di circa il 17% a quello di un uomo (celibe) perché i guadagni della prima erano, rispetto a quelli del suo collega uomo, inferiori, su base annua, del 27%. La Soffici interrogandosi sui motivi che disincentivano le donne dall’insorgere e protestare li rintraccia nell’assenza di modalità per intervenire. Io la penso diversamente. Sono convinta che molto si possa, e si debba fare, con la contrattazione di secondo livello, con la revisione della materia dei contratti di lavoro. Il ruolo dei sindacati e delle associazioni di categoria è lo snodo fondamentale per raggiungere dei risultati degni di questo nome. Non viviamo negli Stati Uniti dove le class action proposte da migliaia di dipendenti di grandi catene scuotono il sistema dalle fondamenta, noi viviamo in una realtà in cui le donne si sentono isolate e non sanno come difendere i propri diritti. Le battaglie per il riconoscimento del merito e della professionalità, unito all’intangibile diritto alla maternità, nel mondo del lavoro non si possono portare avanti in solitudine. Anche perché si profila il rischio di appiattire il concetto di conciliazione su un’unica dimensione che non tenga conto delle tante, diverse istanze. Gabriella Sforza avverte: «Paradossalmente, nella battaglia per la conquista delle pari opportunità si potrebbe correre il rischio 86 di elaborare un unico modello di emancipazione femminile, provocando un nuovo processo di discriminazione. L’emancipazione è un obiettivo realizzabile con l’esercizio della tolleranza e nel rispetto della diversità, attraverso la rimozione di tutti gli ostacoli, compresi quelli creati da una cultura “ideologicamente” al femminile. Il quadro che comincia a delinearsi racchiude, in estrema sintesi, l’equivalenza che si intende sostenere: l’emancipazione delle donne attraverso la conquista delle pari opportunità è un processo da coniugare insieme all’idea di libertà. Libertà di sperimentare il modello organizzativo e lavorativo dominante, nonché libertà di esprimere le proprie capacità e le proprie attitudini mettendo in discussione il modello dominante come l’unico possibile – in ambedue i casi per realizzare le proprie aspirazioni attraverso la crescita professionale e lavorativa – ma anche libertà di non scegliere un modello di realizzazione attraverso il lavoro, secondo un progetto di vita che al lavoro riserva un ruolo marginale». Non bisogna tralasciare l’interpretazione del combinato disposto dell’art 37 della Costituzione, citato in apertura, e degli articoli 28 e 29 del Decreto Legislativo 198/2006 (Codice delle Pari opportunità tra uomo e donna) che recitano rispettivamente: “La lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore. I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne” e “E’ vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera”. Entrambi gli articoli 87 riprendono i contenuti di una legge del 1977 (903/1977 artt. 2 e 3). Nel marzo del 2010 il Consiglio Europeo ha adottato il “Patto europeo per l’uguaglianza di genere” uno strumento per contrastare la discriminazione salariale attraverso azioni che possano produrre un cambiamento culturale: sensibilizzare i datori di lavoro, sostenere azioni per la realizzazione delle pari opportunità e supportare lo sviluppo di strumenti per la misurazione del gender pay gap. Immagine tratta dal sito www.ingenere.it 88 Gli effetti della crisi economica sull’occupazione femminile La vignetta di Pat Carra è tratta dal sito: www.nadirpress.net. Nel I rapporto sull’occupazione femminile in Italia pubblicato dall’Isfol nel 2010 si legge: “Dai dati Istat, la situazione occupazionale delle donne appare comparativamente migliore di quella degli uomini. Ma si tratta di un riparo apparente. Se, sempre sulla base dei dati Istat, l’identikit del nuovo disoccupato corrisponde ad un uomo tra i 35 e i 54 anni, residente al centro-nord, con titolo di studio inferiore alla laurea – che nella maggior parte dei casi ha perso il lavoro nell’industria e si tratta di un padre di famiglia, bisogna in realtà considerare alcuni fattori prima di definire le donne estranee a questo quadro”. A voler analizzare la posizione delle donne sul mercato del lavoro si osserva un quadro che si connota per una doppia fragilità: una prima di tipo strutturale alla quale se ne aggiunge una seconda di carattere congiunturale derivante dallo scossone della crisi economica che ha investito come un’onda d’urto l’Europa dove aver mietuto le sue vittime oltreoceano. L’ingresso significativo delle donne nel mercato del lavoro, iniziato con il nuovo millennio, mostrava un trend di crescita lento ma di segno positivo passando dal 39% del 2000 al 47% del 2009 22, ma il trend si è bruscamente interrotto invertendo il valore da positivo in negativo facendo registrare un meno 2 punti percentuali. La fuoriuscita della componente femminile dal mercato del lavoro è da rintracciarsi in diversi fattori. I primi che vengono in rilievo sono quelli a carattere strutturale, e precisamente, il massiccio ricorso ad una tipologia contrattuale atipica ____________ 22 Dati Istat 2010. 91 e discontinua trasversale ai settori economici, la femminilizzazione di alcuni settori con la conseguente esclusione delle donne da segmenti del mercato del lavoro e le peculiarità territoriali che penalizzano l’accesso al mercato del lavoro per motivi di esiguità di domanda e modelli culturali che prescrivono per la donna un lavoro di cura parentale di tipo domestico. In seconda battuta bisogna prendere in considerazione i fattori congiunturali che contribuiscono alla disoccupazione femminile. All’inizio della crisi le rilevazioni sull’andamento occupazionale mostravano una tenuta dell’occupazione femminile rispetto al crollo di quella maschile. Ciò è dovuto alla scarsa presenza di forza lavoro femminile nei settori economici più colpiti dalla crisi come quello dell’edilizia, il metalmeccanico e quello delle attività finanziarie e al non trascurabile dato che la rilevazione dell’andamento occupazionale si basa anche sulla quantificazione delle forme di sussidio e sostegno erogate ai lavoratori, interventi questi ultimi, che hanno carattere di continuità solo per i lavoratori stabili e non per chi ha sottoscritto un contratto a progetto, un contratto di lavoro a termine o una qualsiasi altra fattispecie contrattuale non standard. Tutte tipologie contrattuali, queste ultime, dove la presenza femminile è molto alta. Ma per condurre un’analisi attendibile oltre all’incrocio tra le caratteristiche strutturali del mercato del lavoro e le dinamiche congiunturali sarebbe, poi, importante prendere in considerazione un intervento valutativo dell’ impatto di genere al fine di adottare decisioni strategiche mirate. 92 La mancanza di un’analisi di genere comporta una non visibilità di fenomeni significativi su cui interrogarsi. Uno di questi è l’interdipendenza tra i dati rilevati relativamente alla variazione dei tassi di occupazione e quelli relativi all’andamento dei tassi di inattività. Nel III trimestre del 2009 il tasso nazionale di inattività femminile ha raggiunto il 49,5%, quasi il doppio rispetto a quello maschile rilevato al 26,5% . Se poi si leggono i dati relativi al Mezzogiorno i numeri dell’inattività femminile schizzano al 64,2%.23 Quest’ultima triste fotografia viene spiegata da Alessandro Rosina2 4come risultante del fattore G composto da tre elementi: genere, generazione e geografia. Un tris di assi al contrario, di carte cioè, che il destino ha distribuito alle giovani donne nate al Sud se, non per far perdere la partita fin dall’inizio, quanto meno per renderla molto difficile. La trasposizione in numeri di tale difficoltà la si può leggere nel Documento di programmazione “Italia 2020 – Programma di azioni per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro” elaborato dal Ministero per le Pari Opportunità con la collaborazione del Ministero del Lavoro: “Rispetto alla Unione Europea a 27 l’Italia registra un tasso di occupazione femminile più basso di circa 12 punti percentuali e distante di quasi 14 punti percentuali dagli obiettivi fissati a Lisbona per il 2010. Nel complesso il divario occupazionale tra i generi è assai più marcato in Italia rispetto agli altri Paesi europei. Il tasso di occupazione ____________ 23 Indagine Istat sulle forze di lavoro. 24 “Mercato del lavoro e politiche di genere – I rapporto sull’occupazione femminile in Italia” Isfol. 93 maschile è, infatti, di 22 punti percentuali superiore rispetto a quello femminile (dato al II trimestre 2009). Il ritardo rispetto all’Europa e ai benchmark di Lisbona è pertanto attribuibile per intero ai modesti tassi di occupazione femminile nelle Regioni del Mezzogiorno che, infatti, si colloca sui livelli più bassi di tutti i restanti Paesi dell’Unione. In un trend positivo di crescita (1998-2008) le problematiche della occupazione femminile nel nostro Paese sono, dunque, largamente imputabili ai persistenti differenziali tra Nord e Sud rispetto alla domanda di lavoro e alle reali opportunità occupazionali offerte dalle economie locali”. Che l’andamento occupazionale non sia uniforme sul territorio nazionale è un fatto acclarato. Al Nord si registra un tasso di occupazione femminile del 57%, al Centro del 52,3% mentre al Sud e nelle Isole è fermo al 30,7%.25 Ma il fenomeno va letto nella sua complessità, non ci si può limitare a considerare esclusivamente il tasso di occupazione o disoccupazione, bisogna incrociare questi ultimi con il tasso di inattività e con i dati relativi al lavoro sommerso, quello a pelo d’acqua e la sottoccupazione. Al Meridione la forza lavoro femminile è costituita da una numerosa componente di donne con basso livello di istruzione che, scoraggiate dalla difficoltà di trovare una collocazione, abbandonano il mercato del lavoro e da una sempre più numerosa pattuglia di donne con un livello di istruzione-medio alto sottooccupate o intrappolate in forme di lavoro ____________ 25 Dati tratti da: “I Rapporto sull’occupazione femminile in Italia” Isfol 2011. 94 precario. A tal riguardo è sintomatico il dato riportato dall’Eurostat nel 2010 secondo cui il tasso di femminilizzazione degli studenti universitari italiani è pari al 57,4% più alta della media europea pari al 55,3%. Al di là della differente incidenza della crisi economica sul territorio, che fa emergere distinzioni e lontananze all’interno del nostro paese, vi sono effetti che investono con schiacciante difficoltà le donne di ogni parte dello stivale. Un significativo numero di collaborazioni e contratti a termine giunti a scadenza nel dicembre del 2010 non sono stati rinnovati generando al contempo due diversi fenomeni, entrambi negativi. Il primo riguarda la perdita del lavoro, seppur precario, per moltissime donne mentre il secondo è relativo alla cancellazione di servizi alle famiglie. Si è innescato un circolo vizioso per il quale con i tagli alla spesa pubblica molte donne non solo sono scivolate nell’incubo della disoccupazione ma si sono anche ritrovate prive di una rete di prestazioni che permettevano la conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di vita. Esse si ritrovano oggi nella ancor più difficile situazione di dover cercare una nuova occupazione non sapendo come sostenere i costi relativi alla cura e l’accudimento di figli, soggetti anziani e/o disabili. La crisi ha un impatto negativo, inoltre, su un altro aspetto del lavoro femminile, quello della cura familiare non retribuito. In presenza di diminuzione del reddito le famiglie tendono a contrarre i consumi 95 e soddisfare le esigenze con un maggior impegno domestico. Va’, poi, fronteggiata la cancellazione di servizi di assistenza pubblica per i soggetti con disabilità o patologie che richiedono assistenza. In entrambi i casi all’interno del nucleo familiare ad aumentare è il lavoro delle donne. Per favorire e incentivare l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro da diversi anni si dibatte sul tipo di intervento da perseguire. Secondo alcuni sarebbe auspicabile una tassazione con aliquote differenziate per genere. Riserve al riguardo sono state avanzate da più parti. I motivi per i quali le aliquote non fanno registrare molti consensi sono da rintracciare nella discriminazione che ne nascerebbe per gli uomini, anche alla luce del nostro dettato costituzionale. All’aspetto di equità di trattamento si aggiunge la forte rigidità salariale verso il basso dove l’aumento dell’offerta di lavoro femminile lascerebbe invariata la domanda. Vi è, poi, chi suggerisce come correttivo una diminuzione della contribuzione sociale. Ma tale strada, percorsa in passato, è applicabile solo in alcune aree geografiche riconosciute come svantaggiate perché, altrimenti, si configurerebbe la fattispecie dell’Aiuto di Stato ritenuta dalla UE una forma di distorsione della libera concorrenza. Altri ipotizzano l’adozione di una misura adottata negli Stati Uniti negli anni Settanta e vigente oggi in alcuni stati europei: il credito fiscale sul reddito da lavoro EITC (Earned income tax credit) che introduce un sussidio proporzionale alle ore lavorate erogato fino ad una soglia stabilita di guadagno e scalato in misura 96 proporzionale, fino a scomparire, all’aumento del guadagno. In Gran Bretagna è stato adottato per sostenere un segmento specifico di popolazione, le madri sole con figli. Questo tipo di sostegno non è previsto, quindi, per tutte le donne lavoratrici ma solo per quelle che hanno stipendi molto bassi al fine di evitare che abbandonino il mercato del lavoro. Questo fa parte delle misure definite in-work benefits (IWB) in cui rientra anche il sistema britannico Working Tax Credit (WTC) basato sul sussidio concesso alle famiglie a condizione che almeno un individuo lavori per 16 o più ore alla settimana (in assenza di figli le ore minime di lavoro salgono a 30). L’ammontare del sussidio erogato dipende dalla composizione familiare (le famiglie con figli hanno diritto ad una sussidio più alto) e dal reddito complessivo della famiglia (l’ammontare del sussidio percepito decresce all’aumentare del reddito familiare). Nel 2010, per una coppia con figli, l’entità massima del sussidio era pari a 380 sterline al mese e si azzerava per famiglie con un reddito di 1500 o più sterline al mese. Il regime WTC interviene anche attraverso un sostegno alle famiglie in cui entrambi i genitori lavorano a tempo pieno tramite il rimborso di parte (il 70%) delle spese per la cura dei figli, fino a un massimo 120 sterline alla settimana in presenza di un figlio e 210 per quelle con due o più figli. In Italia si parla ultimamente di quoziente familiare, una misura di sostegno al reddito calcolata in base alla composizione del nucleo familiare e al suo reddito complessivo. Ma c’è chi fa notare che questa misura 97 finirebbe per favorire due aspetti negativi. Il primo a venire in rilievo sarebbe l’applicazione di una forma di agevolazione estesa a tutti senza distinzione tra chi ne ha più bisogno e chi meno, il secondo riguarderebbe l’effetto scoraggiamento all’ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Queste ultime, infatti, potrebbero scegliere di non voler alterare lo status di famiglia monoreddito dal quale discende il diritto alle agevolazioni per il quoziente familiare. Qui il dibattito è sulla contrapposizione tra due modelli sociali da perseguire: una società più equa in cui la povertà tenda a diminuire per tutti e un’altra che si fondi sull’efficienza di un mercato del lavoro in cui il maggior numero di individui trovi spazio. Per ovviare all’effetto disincentivante del quoziente familiare alla Conferenza nazionale sulla famiglia svoltasi a Milano nel novembre del 2010 è stata avanzata la proposta del “fattore famiglia” in cui ai fini dell’imponibilità fiscale il soggetto è l’individuo, indipendentemente dal reddito del coniuge. Altri spostano la leva fiscale dall’offerta alla domanda di lavoro immaginando agevolazioni alle imprese che assumano donne. Questa strada è già stata percorsa in passato ma, per mancanza di dati sul monitoraggio, non si rintracciano documenti sugli effetti che hanno prodotto come nel caso della riduzione dell’Irap prevista per le imprese meridionali. L’Advisory Committee on Equal Opportunities della Commissione Europea ha presentato delle 98 raccomandazioni agli stati membri per contrastare gli effetti della crisi nel breve, medio e lungo periodo. Nel primo scenario, quello del breve periodo, si suggerisce una rivisitazione, alla luce dei nuovi andamenti economico-produttivi, dell’impianto di misure di sostegno al reddito e di riequilibrio nell’accesso al mercato del lavoro tra uomini e donne. Per superare la disparità di trattamento andrebbe preferito un sussidio di pari ammontare per tutti i lavoratori indipendentemente dalla continuità lavorativa pregressa e dallo stipendio percepito. Per il secondo scenario, quello del medio periodo, l’organismo europeo individua il ricorso al congedo parentale come misura per ridurre lo svantaggio delle donne nell’accesso al lavoro che si concretizza come conseguenza al carico di lavoro di cura familiare di cui esse sono destinatarie. Per il lungo periodo il modello indicato è quello della creazione di infrastrutture sociali. Investendo in queste ultime si creerebbero i presupposti per una ripresa dello sviluppo: crescita occupazionale ed erogazione dei servizi necessari affinché le donne possano conciliare il lavoro con la vita familiare. Relativamente alle misure suggerite dalla UE per il lungo periodo bisogna soffermarsi su un aspetto importante: il ruolo delle infrastrutture sociali. Esse rappresentano il perno intorno al quale gira la vita di molte donne per due diversi aspetti. Il primo riguarda l’organizzazione del ménage quotidiano, senza servizi di supporto una madre che non possa contare su una rete di sostegno parentale incontra enormi difficoltà 99 nel conciliare il lavoro con i figli, la casa e la famiglia. Il secondo investe l’analisi del settore economico nel quale le infrastrutture sociali si collocano, un settore nel quale la presenza lavorativa femminile è storicamente alta: scuola, sanità, cultura e servizi di cura. 100 I percorsi di istruzione in un ottica di genere Immagine tratta dal sito: www frasiaforismi.com E’ un fatto risaputo che le ragazze siano, a scuola e all’università, più brave dei loro colleghi. In media raggiungono più numerose il traguardo della laurea facendo registrare tassi di abbandono scolastico inferiori a quelli maschili conseguendo, oltretutto, risultati più brillanti. Dedicano più impegno allo studio e sono maggiormente determinate nel conseguire dei buoni voti. Nello Studio sulla disuguaglianza tra i sessi nell’istruzione pubblicato dalla Commissione europea nel 2010, basato sui lavori della rete Eurydice che raccoglie e analizza i dati relativi ai sistemi educativi di 29 paesi, si denota una persistenza degli stereotipi di genere. Androulla Vassiliou, Commissario europeo responsabile per l’istruzione, ha affermato: “La correlazione tra genere e risultato educativo è mutata notevolmente nell’ultimo cinquantennio ed ora le differenze acquistano forme più complesse. Il personale scolastico è costituito per lo più da donne, ma i sistemi educativi sono gestiti da uomini. Il numero maggiore di laureati sono donne mentre il fenomeno della dispersione scolastica interessa maggiormente i ragazzi. Dobbiamo basare le politiche per la parità tra i sessi su questa situazione di fatto”. Dall’analisi comparativa condotta emerge che quasi tutti i paesi europei hanno affrontato il tema delle differenze di genere nei percorsi scolastici attraverso la predisposizione di strumenti positivi. Tra gli obiettivi da perseguire attraverso iniziative mirate vi sono l’aumento della presenza delle donne negli organi decisionali, il superamento dei pattern relativi ai risultati educativi in funzione del sesso e la lotta 103 contro le molestie basate sul genere nelle scuole. Ciò su cui non vi è azione da parte dei paesi presi in considerazione è una azione informativa rivolta ai genitori sulle tematiche della parità tra i generi che comporta una assenza di predisposizione di misure e interventi per un loro coinvolgimento nella promozione di tale parità nel mondo scolastico. Scendendo nel dettaglio dello studio condotto si nota come in circa un terzo dei sistemi educativi considerati le materie nelle quali è possibile fare una distinzione tra attitudini di genere mostrino una una performance migliore per le donne nell’ambito della lettura rispetto all’ambito matema-tico in cui vi sarebbero non altrettanto brillanti prestazioni. Un intervento per migliorare questo stato di fatto è stato intrapreso da Austria e Regno Unito. In tutti gli altri paesi si continua a perpetrare uno stereotipo che vede una netta suddivisione tra mestieri e professioni maschili e femminili. Tale dicotomia si evidenzia nella scelta degli istituti professionali. Solo la metà dei paesi europei ha messo in campo delle azioni di orientamento di genere, e per lo più, le indirizza alle ragazze per incoraggiarle a scegliere percorsi di istruzione di carattere scientifico e tecnologico. La UE interviene sul tema sostenendo azioni multinazionali nel campo dell’istruzione per favorire lo scambio di buone prassi e per agire sui punti di criticità individuati. Di più, non si limita a finanziare attività progettuali solo relativamente ai soggetti in età scolare ma, attraverso il longlife learning (apprendimento lungo 104 tutto l’arco della vita), promuove programmi di contrasto all’esclusione sociale e la disparità di genere. Questa attenzione al diritto alla conoscenza in tutti i momenti della vita sostanzia il concetto di cittadinanza inteso come accesso all’opportunità di accrescere il proprio capitale umano. Se il modello sociale che si persegue è quello della società della conoscenza non ci si può limitare a dispiacersi per coloro che non hanno avuto la possibilità di godere di una istruzione degna di questo nome in età scolare ma è necessario investire affinché si possa comunque usufruire della possibilità di acquisire le conoscenze per esercitare una cittadinanza attiva. Come diceva il conduttore di una nota trasmissione televisiva degli anni Sessanta non è mai troppo tardi26. ____________ 26 Alberto Manzi ha condotto dal 1959 al 1968 il programma Rai “Non è mai troppo tardi”. La trasmissione era dedicata all’insegnamento della lingua italiana per ridurre l’alto tasso di analfabetismo. 105 Come ci si veste al lavoro? Immagine tratta dal sito: www.trivalley365.com Per fortuna gli anni Ottanta sono finiti. Non se ne poteva più di passare il tempo a cucire spalline. Le donne sembravano tutte giocatrici di rugby, con le spalline attaccate anche al pigiama! Quelli erano gli anni dello yuppismo, dei film americani con le donne in carriera. La celluloide mostrava donne vestite come uomini. Giacca e pantaloni, qualcuna arrivava anche ad usare la cravatta. Come a dire se vuoi avere successo in questo ambito ti devi omologare. Vuoi essere presa in considerazione e allora adeguati al contesto. Per essere prese sul serio le donne dovevano maschilizzarsi. La donna manager non faceva concessioni alla femminilità. Oggi non è più così. Ma con il passare degli anni la presenza delle donne nel mondo del lavoro si è consolidata e ci si è potute affrancare dal guardaroba maschile. Si è capito che non è l’abito che fa il monaco. Anzi, se il monaco può scegliere come farsi l’abito per sentirsi più a suo agio, ne guadagnano tutti, anche quelli che lavorano con chi era stato privato di una parte importante della sua personalità. Non è una gran scoperta, infatti, che il modo in cui ci vestiamo racconta molto di noi. Ci sono giorni in cui le donne non hanno né il tempo né la voglia di vestirsi e allora si limitano a coprirsi. Chiaro sintomo di stanchezza e apatia. È importante ricordare, però, che anche sull’orlo di un esaurimento fisico va rispettata un minimo di decenza. Le informi e incolori tute da ginnastica, terribile indizio dell’abbrutimento casalingo, vanno nascoste nel ripostiglio. Mia madre diceva che vestirsi bene e truccarsi un po’ era un dovere perché la mattina non si può uscir di casa e andare in giro a spaventare i 109 bambini. Per scegliere cosa indossare bisogna passare in rassegna il guardaroba e non sempre si riesce a propendere per il vestito al quale si era pensato perché spesso gli armadi delle madri sono saccheggiati nottetempo dalle figlie e quelli delle sorelle maggiori dalle sorelle minori (mia sorella sostiene che una mattina non trovò le scarpe). Le figlie di una amica, tre per la precisione, quando si allontanano da casa separatamente chiudono l’armadio a chiave per scongiurare l’assalto delle sorelle in loro assenza e non perdere tempo al ritorno ad accusare la madre per culpa in vigilando. Ma se si riesce a sopravvivere ai lanzichenecchi che ognuno di noi si alleva in casa ci sono delle mattine in cui è piacevole vestirsi abbinando gli accessori e indugiando in qualche frivolezza. Ho chiesto a diverse donne che ho incontrato e intervistato a cosa non avrebbero rinunciato nella loro tenuta da lavoro, le risposte sono state le più disparate: dalle scarpe con i tacchi alti, a quelle con i tacchi bassi, alla borsa capiente, ad almeno un gioiello, ai cardigan comodi e rassicuranti, alle t-shirt colorate, alle calze coprenti, alle gonne, al giubbotto di pelle anche d’estate ai foulard e le sciarpe sempre e comunque con la pioggia e con il sole. Poiché le donne sono le principali fashion victims ci si aspetterebbe di trovare loro ai vertici dell’industria della moda. Invece, caso strano, non è così. No, la moda è come la ristorazione, è qualcosa di cui le donne si occupano quotidianamente ma, per qualche strana ragione, sono ritenute capaci di gestirle solo a livello domestico e dilettantistico. Due pasti al giorno, nella quasi totalità delle famiglie del nostro pianeta, 110 vengono preparati dalle donne ma i grandi chef sono uomini. Le donne, tutt’al più, gestiscono trattorie con cucina casereccia. Le donne dedicano molto tempo alla moda e al vestiario imparando la raffinata arte di coniugare budget e buon gusto ma ai vertici delle maison ci sono stilisti uomini. Sono questi ultimi che decidono come si devono vestire le donne immaginando modelli che, a volte, risultano molto distanti dalla realtà. Chissà se l’idea dei pantaloni a vita bassa fino alle caviglie e le scarpe a punta fino alla necrosi del piede siano idee germogliate in cervelli maschili o femminili.Qualcosa, però, lentamente sta cambiando, pian pianino delle brave e talentuose ragazze si stanno battendo sul campo. Senza riserva di colpi, a suon di batoste. Nel frattempo le donne che lavorano sono diventate più sicure e distese, non hanno bisogno di mimetizzarsi vestendosi da maschi, e possono scegliere di abbigliarsi come più si confà al loro modo di essere. Liberate dalla necessità di camuffare le loro doti sotto abiti maschili si concedono il lusso di vestire in modo da esprimere loro stesse. E questo è tanto più vero quanto più si invecchia. A qurant’anni si è raggiunta una discreta dose di sicurezza sulle proprie capacità tale da permettere l’affermazione di un proprio stile. Tra i venti e i trenta ci si guarda intorno alla ricerca di un modello che appaia vincente. Tra i trenta e i quaranta si imita e si ripropongono i modelli che ci si è scelte. Arrivate ai quaranta, per lo più, si è trovata la propria strada. So chi sono e quanto valgo. Non si hanno più timori a presentarsi con una propria 111 cifra stilistica. Molto dipende dal carattere. Ma anche in assenza di cuor di leoni si constata un superamento dell’incertezza. A volte mi stupisco di come, inconsciamente, molte donne tendano ad abbigliarsi come le proprie madri o le proprie zie, come quelle donne, cioè, che hanno rappresentato i primi modelli femminili presenti nella vita. In alcuni casi le zie sono da scartare perché abbigliate malissimo e decisamente impermeabili al buon gusto, mentre il tratto di continuità con la genitrice appare evidente. Si può essere dei cloni consapevoli o inconsapevoli. Con taglia diversa magari ma, innegabilmente, dei cloni materni. E della madre si può tendere a perpetrare alcune scelte in tema di abbigliamento che risultano inspiegabilmente irrinunciabili: la passione per le scarpe bicolori e i sandali, l’attrazione per le borse, la profusione di perle, una collezione di leggeri vestiti estivi, un intero cassetto si scialli, stole, foulard e sciarpe, il rossetto decisamente rosso…tutti sassolini che le madri lasciano lungo il cammino per non farci smarrire la strada e sentirci sole quando non ci saranno più. 112 Donne e demografia Immagine tratta dal sito: www.forum.leparole.info Una donna che ha dei figli non può aspirare a superare un certo livello di carriera perché deve dedicare parte del suo tempo alla famiglia. Motivo per il quale un annuncio di imminente maternità al datore di lavoro comporta una automatica, quanto irrazionale e inspiegabile, perdita di affidabilità di quest’ultima. In Italia il tasso di natalità è crollato, la nostra società è fatta di vecchi. Se le donne vogliono lavorare e veder riconosciuti i loro meriti devono posporre la decisione di avere dei figli. Se il mercato del lavoro continua a penalizzarle, contro ogni logica economica produttiva, nessuno si meravigli che nascono meno bambini. Innanzitutto l’orologio biologico non è un’invenzione femminile ma un dato di fatto e come la sveglia ingoiata dal coccodrillo di Capitan Uncino ha il vizio di ticchettare. Ma il ticchettio non può essere il modo per scandire una condanna. Negli anni Settanta per analizzare la situazione si discuteva di funzione produttiva e di funzione riproduttiva. Coniugandole insieme si sostiene che una donna che va in maternità è un costo passivo per l’azienda. Secondo uno studio condotto dalla SDA Bocconi27 del 2009 il costo standard di una unità di personale in maternità incide per lo 0,23%. Nella maggior parte dei casi al rientro al lavoro dalla maternità le donne vengono sollevate dai loro precedenti incarichi con la motivazione che non hanno più il tempo e le energie sufficienti per dedicarvisi. La carriera subisce un arresto. Chi può farlo continua a lavorare da casa anche nel periodo obbligatorio del ____________ 27 Osservatorio Diversity Management “Maternità quanto ci costi?” Milano 2009. 115 congedo di maternità e torna in ufficio il prima possibile per scongiurare il pericolo di una retrocessione. Poiché le donne sanno cosa accadrà nel momento in cui avranno un figlio tendono a raggiungere un punto della carriera che si possa considerare “meno vulnerabile” per potersi concedere il tempo necessario all’arrivo di un neonato. Molte abbandonano e non riescono più a rientrare nel mercato del lavoro. Uno spreco di risorse, know how, talenti e competenze. Nel resto d’Europa - non solo nei Paesi scandinavi - le donne che lavorano hanno figli perché possono contare su strutture pubbliche per la prima infanzia, su una mentalità per la quale i padri fanno i padri e non sono degli estranei che compaiono saltuariamente e le imprese non penalizzano il lavoro femminile. Francesca Bettio e Paola Villa contrappongono al modello nordico europeo, in cui le donne lavorano e hanno figli perché supportate da strutture pubbliche, un modello mediterraneo in cui non solo le donne se lavorano devono limitare il numero dei figli per l’assenza di strutture di supporto ma, peggio, vivono in una realtà in cui al basso tasso di natalità non fa seguito un aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro. I ginecologi sostengono da tempo che le donne devono affrontare la maternità da giovani perché la fertilità è inversamente proporzionale all’età quindi, non sempre, se si decide di avere un figlio a 38 anni ci si riesce. Il nostro considerare che la vita comincia a 40 anni è la conseguenza dell’allungamento della vita 116 media e dello stile di vita che conduciamo ma ciò non comporta, ipso facto, una coincidenza tra età anagrafica ed età biologica. Una donna di 40 anni oggi si considera giovane e nel fiore degli anni ma da un punto di vista riproduttivo le cose non stanno proprio così. Nella pubblicazione della Fondazione Anci Ricerche Cittalia “Le donne e la rappresentanza - una lettura di genere nelle amministrazioni comunali” si legge: “Quasi un milione e mezzo di donne italiane tra i 18 e i 55 anni denuncia di aver rinunciato almeno una volta alla maternità per paura di perdere il lavoro. Se poi a questa cifra si aggiungono i circa tre milioni di donne che hanno rinviato la decisione per il timore di non riuscire a conciliare maternità e lavoro o di vedersi bloccate nella carriera, tale valore cresce fino ad un totale di quattro milioni e mezzo di figli negati dal lavoro”.28 La libertà delle donne sta quindi nello scegliere come rispondere a questo dilemma. Mi sentirò più realizzata grazie al mio lavoro o a un figlio? Devo sacrificare tutti gli sforzi fatti per costruirmi un percorso di lavoro o la costruzione di una famiglia? In fin dei conti alle donne viene chiesto senza sosta di buttare qualcosa o qualcuno giù dalla torre. Marina Piazza fa rilevare come le donne abbiano superato la fase di rivendicazione di un diritto e si trovino in quella della gestione di tale diritto. Nelle sue parole le donne si sono “emancipate” ma non “liberate”. «La nostra libertà per ora è tutta in negativo: si ____________ 28 Fondazione Anci Ricerche Cittalia “Le donne e la rappresentanza - Una lettura di genere nelle amministrazioni comunali” Luglio 2010. 117 può scegliere di “non” fare i figli, di “non” stare in casa; ma la parte creativa della libertà, quella dobbiamo ancora inventarcela. In questa libertà che avviene per sottrazione di doveri sta un’altra differenza tra la generazione delle quasi trentenni e quella delle nostre madri. Siamo forse emancipate, ma non ancora liberate. All’interno della nostra generazione l’elemento di maggiore differenziazione tra le donne forse non è la scolarizzazione o il titolo di studio, ma il grado di coscienza di sé in quanto protagoniste attive e non passive delle scelte che riguardano la nostra vita e il nostro modo di essere, e il grado di coscienza critica rispetto ai modelli cui continuamente veniamo invitate ad adeguarci». Irene Bernardini scrive : “E mi fa una rabbia che non puoi nemmeno immaginare che una donna oggi – qui da noi, almeno – si trovi troppo spesso a dover scegliere tra lavoro e famiglia, tra realizzazione professionale e maternità. E sempre, se vuole o deve lavorare pur avendo una famiglia, la sua vita è un’acrobazia. Estenuante e perciò stesso pericolosa. Perché i salti mortali logorano le giunture dell’anima, così che poi troppo spesso qualcuno o qualcosa alla fine s’incrina o si rompe: la relazione di coppia, la relazione con i figli, i rapporti sul lavoro. Difficile riuscire a nutrire e coltivare come sarebbe necessario tutte le parti di sé che occorre mettere in campo. Difficile specie quando il mondo, là fuori, ti propone modelli o, meglio, stereotipi contraddittori: la casalinga prima o poi è disperata; la donna in carriera è una diavola che veste Prada, una iena sterile o, se sventuratamente madre, inadeguata di default”.29 ____________ 29 Bernardini I. “Elogio di una donna normale – storie di donne e dei loro spericolati sogni di tutti i giorni” Mondatori 2010. 118 Il termine di confronto con le donne della propria famiglia, e della madre in particolare, è pregnante. I modelli di riferimento a noi più vicini, comunque interpretati sia in positivo che in negativo, sono e rimangono la misura di fondo per lo sviluppo della nostra personalità. Non diventerò mai come mia madre, vorrei diventare come mia madre, mia nonna era una donna forte e indipendente, mia sorella maggiore è il mio mito, mia zia incarna il tipo di donna che vorrei essere… Ogni donna ha la possibilità di decidere cosa fare della propria vita poiché oggi le madri tendono a garantire questo alle loro figlie: la possibilità di scegliere. Le madri vogliono liberare le proprie figlie dalla trappola del destino biologico per cui una donna che non può avere figli è da compatire mentre una che decide di non averne è una persona arida ed egoista che pensa solo alle propria carriera e le proprie comodità non volendosi accollare la fatica di crescere un figlio. Sono in molti a sostenere che il livello di democrazia e civiltà di una società si misura anche attraverso la partecipazione paritaria che le donne in essa hanno. Ognuno tragga le sue conclusioni sulla società in cui ci troviamo a vivere. La mia esperienza mi ha visto crescere con un’etica del lavoro calvinista e un sistema di valori culturali composito, variegato, che sperimentano tutti coloro che hanno genitori di nazionalità diversa. Nel mio caso 119 una madre americana che ha sempre cercato di lavorare mi ha trasferito l’importanza dell’indipendenza e la assoluta necessità di scegliere il modo in cui realizzarmi: lavoro, famiglia, impegno sociale, impegno politico e ogni altro tipo di impegno che possa dare gratificazione e crescita personale. Quando all’indomani della laurea sprofondai nell’avvilimento per la difficoltà di trovare lavoro e la accusai di avermi cresciuta instillandomi delle convinzioni impossibili da applicare nella realtà circostante, la sua laconica risposta fu: “Ti ho dato l’intelligenza e una istruzione adesso sta a te decidere l’uso che vuoi farne e scegliere chi e che cosa vuoi diventare”. Il lavoro non si limita ad assicurare l’indipendenza che deriva dal reddito ma conferisce dignità per sé stessi e và rispettato anche quando non è remunerato, come accade per quello svolto tra le proprie mura domestiche. 120 La condizione femminile Immagine tratta dal sito: www. it.wikipedia.org La locuzione “condizione femminile” ha ancora un senso? Esiste forse una condizione dell’essere uomo e un’altra dell’essere donna? O non sarebbe più giusto parlare di una condizione delle persone? Raccomando a tutti la lettura di un godibilissimo scritto di Cristina di Belgioioso apparso nel 1866 a Firenze nella “Nuova antologia di scienze, lettere ed arti” grazie alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli facilmente reperibile in Internet. Donna intelligente e acuta l’autrice già dalle prime battute osserva: “Ma s’egli è vero che la società moderna è figlia dell’antica, si deve verificare altresì che la giovane società non sia del tutto spoglia dei pregiudizi della vecchia. […] Dopo di aver persuaso alle donne consistere il colmo della gloria di esse nel piacere al gran numero di loro, nel piacer più fortemente e più lungamente, gli uomini si accinsero a persuaderle che le loro simpatie non si potevano ottenere se non col mostrarsi al tutto diverse da essi. Il vile è sprezzato, scornato, perché dall’uomo si richiede il coraggio; ma questa virtù non è permessa alla donna che ricerca l’ammirazione dell’uomo. I sapienti, gli scienziati, i poeti, gli uomini di stato ecc. godono dell’universale rispetto, mentre l’ignorante e l’ozioso sono derisi e tenuti in nessun conto. Ma dalla donna si richiede espressamente la più perfetta ignoranza. […] Gli uomini persuasero le donne che la loro ammirazione, il loro affetto era a prezzo della loro inferiorità intellettuale, e le donne hanno così creduto, e ve n’hanno di colte che nascondono la loro coltura pel timore di essere annoverate fra le donne superiori, le pedanti, ed altre simili abominazioni. Il maggior danno che risultò da tale inganno, si è, a parer mio il carattere fittizio, di cui le 123 donne si sono rivestite per piacere agli uomini.[…] Perché erano state avvertite che agli uomini piaceva la donna debole, bisognosa del loro sostegno, e che nulla era loro più antipatico del coraggio e della forza femminile. […] la leggerezza, la incostanza, la volubilità e la pieghevolezza delle donne è diventata proverbiale, e che nessuno si sognerebbe di contrastare e di discutere un così vecchio assioma. Tutti lo accettano, e nessuno lo esamina. Eppure tengo per certo, essere la donna la creatura più tenace, la più costante, la più irremovibile nei suoi propositi. […] Che avverrebbe della famiglia così costituita, se la donna fosse iniziata agli studi virili, se dividesse coll’uomo le cure pubbliche, sociali e letterarie?” E se poi fosse iniziata a tali saperi a chi spetterebbe il compito di giudicarne il valore? Agli uomini, naturalmente. La qual cosa creerebbe maggior scompiglio senza badare al fatto che all’epoca le donne a vent’anni erano già mogli e madri quindi la strada per l’istruzione era bella che sbarrata. La Belgioioso dopo aver affrontato il tema dell’importanza dell’istruzione si ritrova innanzi un dilemma di non facile soluzione: se solo ad alcune donne fosse riservata l’opportunità di coltivare l’intelletto attraverso la via del sapere ciò significherebbe che le escluse, quelle di “mente inferiore”, sarebbero relegate ai lavori domestici e l’accudimento della famiglia. Come potrebbero queste ultime aver stima di sé stesse o essere degne di stima da parte di altri? Ma da donna del suo tempo non può ignorare il ruolo di collante svolto dalle donne nell’assicurare la stabilità della conduzione domesticofamiliare e si chiede: “Che cosa avverrebbe della crescente generazione, se un gran numero di madri di famiglia sciolte 124 per legge da ogni obbedienza al marito e da tutti i doveri, i quali sin qui loro incombevano, si accendessero subitamente di passione per quelli studi virili che potessero aprir loro la via ai pubblici officii, alle pubbliche carriere? Chi si sostituirebbe alla madre nelle cure e nella educazione dei figli, mentre la madre educherebbe se stessa a vita diversa? Chi si sostituirebbe alla moglie nella fiducia del marito, nel governo della casa?” E avvertendo tutti i limiti della sua epoca e del suo genere l’autrice afferma: “Le donne che ambiscono un nuovo ordine di cose, debbono armarsi di pazienza e di abnegazione, contentarsi di preparare il suolo, di seminarlo, ma non pretendere di raccogliere la mèsse”. E come auspicio finale il saggio si conclude così: “Vedo cessati i contrasti, le usurpazioni, le recriminazioni; cessato il bisogno della dissimulazione, e la tendenza alla falsità, coll’aver posto sopra più salde basi la domestica felicità, e coll’aver permesso alla donna d’innalzarsi alla pari dell’uomo. Vedo la società arricchita dall’ingegno, dei consigli e dell’opera femminile, in quelle faccende almeno che richiedono prontezza di concepimento e di criterio, umanità e disposizione al sacrificio. Vedo che alla mia patria spetteranno le lodi e la gratitudine universale per avere felicemente e saggiamente troncata la questione del valor femminile, e della condizione che alla donna si compete”.30 Dopo quasi centocinquant’anni c’è da domandarsi quanto e come sia cambiato? Per certi versi è scoraggiante constatare che nello stesso arco di tempo ____________ 30 Cristina di Belgioioso “Della presente condizione delle donne e del loro avvenire” Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. 125 nel quale la vita umana è stata sconvolta da una accelerazione tecnologica inarrestabile non vi sia stato un pari cambiamento nella concezione dei ruoli sociali. L’umanità va a zonzo nelle galassie, interviene sulle sequenze genetiche di ogni essere vivente del pianeta sul quale abita, ha creato sistemi di comunicazione che rendono possibile raggiungere tutto e tutti eppure, per quanto riguarda il ruolo delle donne sembra essere rimasto non all’Ottocento ma all’età della pietra! 126 Lavori da donna e lavori da uomo Immagine tratta dal sito:www. womenomics.it Le donne fanno le insegnanti, le infermiere, le segretarie, le cameriere, le commesse e le impiegate gli uomini gli avvocati, gli ingegneri, gli architetti, i medici e gli astronauti. Le donne fanno le presidentesse delle associazioni non profit (quelle piccole, of course!) gli uomini fanno i presidenti delle multinazionali, del governo, della repubblica, delle province, delle camere di commercio. Chissà forse un domani …ma i lavori che sono inespugnabili per le donne sono l’idraulico, l’elettricista, il meccanico, il gommista e il tecnico delle caldaie. Mai viste in vita mia donne svolgere simili attività. Almeno non nel luogo in cui vivo. Chissà altrove… La logica impone che l’esistenza di attività lavorative maschili distinte da altre di tipo femminile scaturisca da attitudini diverse. Se questo è vero allora qualcuno illustri il paradosso degli chef uomini. Come mai le donne che cucinano ogni giorno della loro vita mediamente un pasto al giorno non sono la maggioranza fra i cuochi? Perché i più importanti chef del mondo sono uomini e solo negli ultimi anni faticosamente le donne si stanno facendo strada? Tutte le donne del mondo cucinano male? Solo pochi maschi eletti sanno cucinare bene? Qualcun altro, poi, provi a spiegare il perché le donne sono brave infermiere ma, solo ultimamente, anche bravi medici (ma quasi mai in posizione dirigenziale). Secondo diversi autori la spiegazione risiede nelle codifiche socio-culturali che hanno artificiosamente stilato delle liste di pertinenza differenziate per genere e negli stereotipi. 129 Gli uomini sono bravi a organizzare e comandare mentre le donne hanno spiccate abilità relazionali, sono empatiche, hanno capacità d’ascolto. Guarda caso tutte caratteristiche, queste ultime, indispensabili nel rapporto medico-paziente. La verità è che le donne pongono maggior attenzione al modo in cui si lavora che nel lavoro fine a se stesso. Non è solo l’obiettivo a essere importante ma anche il modo in cui lo si raggiunge. Le donne investono molto nei rapporti umani senza mai tralasciare l’aspetto relazionale. Benché questo investimento sia rischioso quasi come i titoli tossici, poiché espone a grosse delusioni, risulta essere irrinunciabile per quasi tutte le donne. Sull’importanza che le donne riconoscono alle modalità di lavoro esistono posizioni e opinioni differenti. Secondo una scuola di pensiero non bisognerebbe parlare della propria vita familiare nel luogo di lavoro perché ciò testimonierebbe vulnerabilità e scarso attaccamento al lavoro. Per non apparire in cattiva luce sarebbe, perciò, necessario adottare un atteggiamento, un comportamento che tenesse distinte e separate le sfere caratteriali: nel tempo libero si è se stessi ma nel tempo lavorativo bisogna, se necessario, soffocare il proprio carattere per non compromettere la posizione. Quanti, al contrario, sostengono l’importanza di non censurare il proprio modo di essere nel luogo di lavoro, anche a costo di incorrere in penalizzanti categorizzazioni sessiste, avvertono che l’ipotetica penalizzazione sarebbe comunque da preferire alla scissione degli ambiti di vita dell’individuo. Tale 130 dicotomia appare per essi cosa insana poiché la segmentazione in compartimenti stagni, tra loro non comunicanti, rappresenta una forzatura esercitata sulla personalità. Nel peggiore dei casi suona inquietante, nel migliore triste. Dottor Jekill e Mister Hyde. Ma al di là dello spirito di autoconservazione dell’individuo ritengo ci sia un motivo squisitamente economico per il quale l’equlibrio mentale debba essere salvaguardato: la produttività. La possibilità di vivere in equilibrio e armonia tutti gli aspetti della vita comporta una capacità di comprensione dei fenomeni, e quindi dei problemi che si incontrano nel lavoro, a tutto tondo. E’ un modo di vivere che stimola la creatività non chiedendo all’individuo di rinunciare a nessuna parte di sé. Non si richiede nessuna automutilazione. Perché imporre di scegliere tra il lavoro e la famiglia significa chiedere questo: rinuncia a una parte di te stessa! Se si eccettua il mitico popolo delle amazzoni che si automutilava un seno per tirare meglio con l’arco (ma che in compenso disponeva della presenza maschile come meglio aggradava) non sovvengono validi motivi per cui una donna dovrebbe essere costretta a rinunciare a una parte importante di se stessa. Tanto meno per rendere la vita facile a qualcun altro. Lili Gruber in “Streghe – la riscossa delle donne d’Italia” scrive: “L’analisi dei testi scolastici delle elementari, ripresa da una ricerca del 2006, è particolarmente preoccupante. Non solo i protagonisti di gran parte dei brani di lettura (e di tutte le biografie) sono uomini, ma al 70% lavorano mentre per i personaggi femminili la percentuale scende al 56%. E quali professioni? Per lui: re, cavaliere, mago, maestro, dottore, navigatore, 131 architetto, giornalista, crociato, geologo e via dicendo. Per lei: maestra, scrittrice, nutrice, principessa, fata, casalinga, castellana e simili. Lui in giro per il mondo, lei in casa”.31 Personalmente non avrei dubbi, se incontrassi il principe azzurro gli chiederei gentilmente di scendere da cavallo e mentre lui aspetta che cada ai suoi piedi, abbraccerei il cavallo e lo porterei con me lasciando il principe appiedato. Siamo state cresciute come “brave ragazze” a cui è stato instillato un atavico senso del dovere e un terrificante senso di colpa che affonda le radici nel paradiso perduto per colpa di Eva. Siamo lacerate perché non riusciamo a raggiungere la perfezione. Ci sfianchiamo nello studio e nel lavoro per eccellere, siamo preda di mille dubbi quando decidiamo se diventare madri o meno, ci fiondiamo da un luogo all’altro per non deludere nessuno: marito, figli, genitori, sorelle, fratelli (gli unici a mostrare un po’ di tolleranza sembrano essere gli amanti!) Arriviamo allo strenuo delle forze per non venir meno alle aspettative che gli altri hanno nei nostri confronti quando sarebbe tanto più rilassante e divertente comportarsi da cattive ragazze. Su una maglietta anni fa lessi qualcosa che descriveva bene il concetto: LE BRAVE RAGAZZE VANNO IN PARADISO MA LE CATTIVE SI DIVERTONO MOLTO DI PIU’! La maggior parte delle donne sa di essere senza speranza, non verrà mai meno ai principi che ha ____________ 31 Gruber L. “Streghe_ La riscossa delle donne d’Italia” Rizzoli, 2008. 132 succhiato con il latte, perciò per evitare lunghi e dispendiosi anni di analisi è preferibile farsene una ragione e venire a patti con la realtà. Nessuna donna raggiunge la quadratura del cerchio. Se lo dice o mente o è già fusa. In uno sketch proposto anni fa Francesca Reggiani elencava gli impegni della giornata, una infinità, e alla domanda di Serena Dandini sul come facesse a far tutto rispondeva “Io? Io sniffo!” Ecco, appunto. Il senso di colpa, però, è duro a morire. Su quello scivoliamo in tante. Quando si è al lavoro si pensa al tempo sottratto alla famiglia mentre a casa si rimugina sulle cose ancora da fare per il lavoro imbottigliate nel traffico, poi, ci si danna per lo spreco del poco prezioso tempo a disposizione. La lettura di un quotidiano, una rivista o un libro sono alternativamente la trasgressione estrema o il massimo dell’abominio. Una telefonata a una amica passi (mai in corrispondenza dell’ora di preparazione della cena) ma una passeggiata o una chiacchierata sono attività riservate a quelle tra le donne che sono già a buon punto nel superamento del senso di colpa, se no, si rischia di rimanere sopraffatte. Come si riesce a vivere così? Ogni donna elabora personali strategie di sopravvivenza. Ad alcune piace il genere Giovanna d’Arco e sulla via del martirio si sentono a casa, per altre, quelle che hanno la stessa curiosità intellettuale di una cozza, certe rinunce non pesano molto, non aver tempo da dedicare alla lettura non provoca stress, se si rompesse la televisione, quello sì, le manderebbe in tilt! Ciò che accomuna la moltitudine è lo stringere 133 i denti e andare avanti sperando che i figli crescano in fretta e che il lavoro non svanisca. Elizabeth McKenna al riguardo la pensa così: «Probabilmente la cosa che maggiormente ci trattiene in situazioni lavorative infelici è la sindrome della “brava ragazza”. Dal momento che siamo convinte che ci sia un’inevitabile meccanismo di causa-effetto tra la denuncia e la successiva messa al bando (con l’immediata perdita dell’identità) stiamo in silenzio, ci adeguiamo, ingoiamo l’immaginabile rospo. […] Siccome il compito di una brava ragazza è quello di inserirsi con discrezione, questa non può – per definizione – mettere in discussione alcunché. Rimarrà ermeticamente sigillata in un ambiente che non la onorerà mai. […] Dietro il nostro perfezionismo spesso si nascondono due silenziose richieste: “Saremo perfette se non ci lascerete mai (se non ci licenzierete)” e “Se siamo perfette, si amerete per sempre (e ci gratificherete con denaro e promozioni)”. […] Quando tutti si decideranno a barattare la perfezione con la pienezza della vita, quando le donne rinunceranno a eccellere sempre e comunque, allora troveremo delle madri lavoratrici felici».32 Immagine tratta dal sito: www.it.123rf.com ____________ 32 McKenna E. P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002 pag. 203. 134 Le donne fanno squadra? Immagine tratta dal sito: www.cs-evolution.com Le donne fanno gioco di squadra? La risposta a questa domanda è sì e no. Sì, perché l’approccio femminile al lavoro tende a valorizzare i singoli talenti e le competenze individuali amplificandone il potenziale in un lavoro corale in cui si possano creare delle connessioni. Più che ricercare la cumulazione si lavora per raggiungere l’esponenzialità. In questo modo si stimolano i processi creativi attraverso la costruzione di un clima disteso e collaborativo. Quando il team manager è una donna le cose che non vanno bene vengono discusse con l’interessato e con la squadra in modo soft, raramente si cerca lo scontro, per lo più si persegue il superamento della difficoltà. Le donne sono tendenzialmente orientate al risultato, soprattutto nell’attuale mercato del lavoro in cui ricoprono ruoli che, grazie a contratti precari, scadono come lo yogurt. Le donne puntano all’ottimizzazione del lavoro. Un coordinatore di progetto deve produrre risultati, non timbrare cartellini, deve inoltre gestire risorse umane con il loro corredo di conflittualità e peculiarità. Perciò, se prendiamo in considerazione questi aspetti, si può dire che le donne facciano squadra. Credo che la scelta di questo atteggiamento sia influenzata anche dalle caratteristiche del mercato del lavoro nel quale si agisce, o meglio, dalla tipologia contrattuale con la quale si lavora. La situazione, infatti, differisce nel caso di rapporto consolidato e stabile da quello di precario e instabile. Nel primo dei contesti indicati si sviluppano delle dinamiche orientate alla convivenza quotidiana di 137 lunga durata in cui, sembrerebbe paradossale, ma c’è maggiore conflittualità che in un contesto fluttuante. Il paradosso consiste nel fatto che dovrebbe essere la minaccia di rimanere senza lavoro a innescare processi di accesa competizione, del tipo mors tua vita mea, mentre la sicurezza di un lavoro stabile dovrebbe scoraggiare dal confronto a muso duro. Così non è. Nelle realtà di lavoro stabile accade spesso che le donne si accusino a vicenda di mancanza di solidarietà. In certi casi l’accusa arriva al sabotaggio. Ci sono donne che si lamentano di colleghe che adotterebbero uno stile di lavoro maschile mortificante per le madri che chiedono misure di flessibilità per dedicare più tempo alla famiglia. Altre narrano di aver vissuto situazioni di mobbing da parte di colleghe che si ribellavano alla loro richiesta di modalità di tempo flessibile poiché questa, a loro dire, si sarebbe tradotta, per le altre, in un maggior carico di lavoro. Rosa Giannetta Alberini a proposito di un articolo scritto su di lei da una donna osserva: “Il mio pensiero torna a te, Cinzia, al lungo articolo in cui parli di me. Tu prendi le mie difese, almeno così sembra. Eppure, nelle tue parole, c’è qualcosa che mi turba, mi irrita. Mi indichi un modello. L’hai buttato lì, con noncuranza, preciso. Non devi essere schietta, spontanea, ingenua, mi dici. Non devi essere immediata, far trasparire così le emozioni. Devi essere controllata, astuta. Devi affrontare gli altri armata, pronta a ribattere così colpo su colpo, con battute fulminee, come fanno gli uomini. […] Adesso sento come una morsa sul cuore. Ho capito. Nel profondo mi rimproveri di essere quello che sono, una donna, con emozioni da donna. Di aver voluto conservare intatta quella parte di me più intima, più 138 vibrante, più sognante che è il centro della mia femminilità. E’ questa voce fresca, che vorresti far tacere, per sostituirla con un professionale eloquio maschile”.33 Per alcune, poi, la tenacia di un’altra donna, capo o pari grado che sia, viene vissuta come testardaggine. La combattività viene interpretata alla stregua di ostinazione a voler primeggiare e la determinazione letta come sintomo eclatante di spietatezza. Attenzione a non cadere nell’errore di confondere questi atteggiamenti – tenacia, combattività e determinazione - con l’aggressività. Sono due cose diverse, le prime figlie della perseveranza e del duro lavoro mentre la seconda discende dall’insicurezza e dall’arroganza. Nei contesti di lavoro stabili, strano a dirsi, ci si sofferma molto meno sulle scelte e sui percorsi di ognuno, la comunicazione è superficiale si parla del più e del meno. Eppure le persone si frequentano quotidianamente per decenni. Nei rapporti di lavoro precari in cui ci si incontra, e a volte re-incontra, ci si racconta e aggiorna, ci si confronta. La comunicazione è più profonda e meno banale. La dimensione della precarietà ha avvicinato molto le donne che si scambiano esperienze e si sostengono vicendevolmente. In questo, forse, c’è un recupero della discussione come strumento di presa di consapevolezza nata negli anni Settanta. Non sono più i collettivi e i gruppi di autocoscienza ma momenti di sostegno in un percorso di vita e di lavoro che procede per balzi, sussulti, accelerate e ritorni al VIA come nel gioco del Monopoli. La frammentarietà del mercato ____________ 33 Alberoni R. G. “Io voglio” Rusconi 1990 pag. 9. 139 del lavoro precario ha riprodotto in maniera esponenziale la parcellizzazione delle vite femminili in cui coesiste tanto, in certi momenti, decisamente troppo. Ci sono giorni in cui ci si sente svuotate dopo aver vissuto in apnea periodi di incredibile frenesia. Dopo una fibrillazione esasperata i neuroni chiedono pietà. Se poi si prende in esame la capacità di fare squadra nel sostenere le proprie simili in caso di candidatura a una qualche carica di prestigio la risposta è deludente. «Anche dove le donne costituiscono la maggioranza dei lavoratori – scrive Marta Vinci – gli uomini tendono ad essere favoriti nell’assumere posizioni di comando, perché uomini e donne accettano entrambi che sia un uomo a farsi portavoce dei loro interessi, mentre ritengono che una donna rappresenterebbe solo gli interessi delle donne. Perciò nei settori dove la maggioranza della forza lavoro è femminile, come nel caso delle infermiere e degli assistenti sociali, gli uomini tendono ad essere presenti agli alti livelli di amministrazione, mentre le donne che svolgono lavori prettamente “maschili” di rado raggiungono posizioni e cariche elevate. Quando gli uomini scelgono una donna per ricoprire posizioni di potere e di prestigio, spesso la considerano in prova».34 In caso di battaglia per la rappresentanza e per l’ascesa a luoghi decisionali e/o di potere no, le donne non fanno squadra. Si potrebbe obiettare che l’analisi da condurre dovrebbe investire il rapporto esistente tra le donne e il potere. Rapporto troppo giovane e ancora troppo poco diffuso per aver reso possibile la crescita di una cultura della leadership femminile. ____________ 34 Scisci A. Vinci M. “Differenze di genere, famiglia, lavoro” Carocci 2002. 140 Come per il lavoro, anche in questo caso, non ci si può appiattire su un modello di potere declinato unicamente al maschile ma bisogna proporne uno diverso che tenga conto delle specificità di cui l’intelletto femminile è portatore. Del resto, escluso qualche raro caso, l’accostamento tra i due termini – donna e potere – appare di là da venire. Motivo per il quale lascio ad altri questo compito di indagine. Qualcosa di simile al fare squadra è, però, innato nelle donne. In loro si rinviene una tendenza a scrivere la propria storia intrecciandola con quella delle donne delle famiglie di cui sono parte. La letteratura è ricca di esempi. Sono tante le scrittrici che narrano saghe familiari in romanzi e biografie. Donne forti, donne deboli, donne talentuose, donne con doti particolari che sconfinano nel sopranaturale, donne tenaci, donne del passato e del futuro. Ma anche chi fra noi non scrive nel pensare alla propria vita passa mentalmente in rassegna le parole e le azioni di nonne, madri, sorelle, zie, cognate. Una donna nel pensare a se stessa non lo fa mai prescindendo dalle altre presenze femminili che ne hanno caratterizzato la vita. Vi è un muto riconoscimento per il lavoro fatto su di noi da altre donne. Un insolito modo di fare squadra riconoscendo il ruolo svolto con un non detto. So di essere come sono per aver incrociato la mia vita con quella di altre persone senza bisogno di dichiararlo. Si avverte la necessità di ricostruire la trama e l’ordito del proprio essere attraverso il ricordo delle esperienze vissute e tramandate da donne che ci hanno precedute e 141 attraverso la condivisione con donne della nostra generazione. Questo muto bisogno delle altre nella vita di ognuna, fiume carsico che lento scorre, si cristallizza come dono prezioso che porgiamo a quelle tra noi che sono più giovani. 142 L’approccio relazionale 144 Che le donne abbiano un loro modo di lavorare, diverso da quello degli uomini, pochi lo negano. Adesso sappiamo che c’è addirittura bisogno di scrivere un lessico per differenziarli. Non un modo di lavorare migliore o peggiore, solo diverso. Ma in cosa consiste questa diversità? Dove riposano le differenze, le caratteristiche di un modus lavorandi femminile? Per molti questo si estrinsecherebbe nell’approccio relazionale. Alle donne viene riconosciuta, da più parti senza differenza di genere, una abilità comunicativa empatica e partecipata. Le donne non si limitano, quindi, a seguire un processo di lavoro ma lo arricchiscono con il loro stile di affrontare la vita. Ricordo un caro collega scomparso che di fronte a una questione spinosa me la trasferiva dicendo: “Pensaci tu, a te non mancano i modi…”. E non stiamo parlando di bon ton, o almeno non solo. Una donna, per sua connaturata abitudine, tende ad analizzare un problema da più punti di osservazione, ad evidenziarne i molteplici aspetti nella convinzione che per ricercare una soluzione sia utile disporre di quante più informazioni possibile. E fin qui siamo ancora nel campo della razionalità. Altri alla ragione accostano l’intuito femminile. Forse siamo più interessate degli uomini a capire il nostro interlocutore, ad andare oltre l’apparenza e in questo andare al di là della superficie ci poniamo molte domande. Perché ha agito in quel modo? C’è qualcosa che lo/la fa sentire minacciato? Deve marcare il territorio sottolineando i ruoli? C’è una questione gerarchica? Ho sbagliato a porre la questione nei termini in cui l’ho presentata? Era solo di cattivo umore? E’ sotto stress? Ha problemi in 145 famiglia? E queste domande ce le portiamo dentro, a spasso con noi, anche a casa, oltre l’orario di lavoro. Questo lavorio mentale è per noi un processo automatico e non meditato. Non credo che il motivo sia l’essere cervellotiche, è banale. Credo, piuttosto, che l’aspetto relazionale sia per noi pregnante. Siamo creature sociali. Ricerchiamo un clima disteso in cui far emergere le potenzialità al meglio instaurando un ambiente accogliente che ispiri fiducia e senso di appartenenza. Ci sforziamo di allontanare la conflittualità, di sminare gli atteggiamenti e le situazioni che creano disagio, disarmonia. Questo era vero nel modello di società tramontato in cui la struttura familiare allargata fondata sulle donne rappresentava il perno su cui girava la vita e lo è, a maggior ragione oggi, quando la famiglia mononucleare è attanagliata da mille problemi, mille ombre, che non si possono più dissipare nell’ambito di un contesto parentale che vive a stretto contatto. Oggi, orfane di una rete di sostegno parentale, tendiamo a creare rapporti allargati che ci conferiscano delle piccole sicurezze, minime certezze, che possano alleviarci il carico dei quotidiani affanni. In luogo di grandi famiglie con nonni, zie zitelle, zii preti e carrettate di fratelli e cugini ci sono piccole famiglie, padre-madre-figlio, in cui gli amici, i vicini di casa e anche i colleghi diventano un’estensione importante. Questo nostro modo di essere e di lavorare ci aiuta? Secondo Marta Vinci no. “Le caratteristiche che le aspettative socio-culturali pongono nella donna – la comprensione, l’attenzione verso l’altra persona, il prendersi cura, la capacità di cogliere le sfumature e lo stato d’animo nel comportamento altrui – 146 hanno anche l’effetto di tenere le donne lontane dai livelli più alti negli affari, nella politica e nelle libere professioni”.35 Anna Scisci al riguardo scrive: “[…]mentre l’etica maschile pone in primo piano la capacità di prestazione individuale, la strumentalità, la struttura gerarchica del comando, il potere, il valore della prestazione, in una parola il successo (achievement) strumentale, l’etica femminile sottolinea l’espressività, la processualità, la razionalità, la cura, la qualità sia del prodotto, sia del servizio, in una parola il lavoro come compimento coordinato, non frammentato, tale da implicare, autonomia e responsabilità. Le donne, più e meglio degli uomini, pongono attenzione alla connessione tra qualità e risultati del lavoro e ciò consente loro di cogliere l’utilità sociale (in senso relazionale) di ogni attività che svolgono, sia in ambito domestico, sia al di fuori. […] In concreto, le donne introducono nella dimensione lavorativa la propria, originaria contrarietà ad una visione economicistica dell’esistenza, in quanto non legata allo scambio simbolico, ma allo scambio tra equivalenti. In senso più generale, le donne tendono a trasferire all’interno del lavoro professionale logiche, capacità ed atteggiamenti tipici della propria esperienza, tanto che già nel 1978 Ulrike Prokop giungeva ad indicare l’esistenza di un “modo di produzione femminile”.36 Secondo la Scisci esistono codici simbolici contrastanti, uno maschile l’altro femminile, che, uniti alla differenziazione dei tempi di lavoro e di vita familiare, pongono le donne di fronte ad una lacerante ____________ 35 Scisci A. Vinci M. “Differenze di genere, famiglia, lavoro” Carocci 2002 pag. 48. 36 op. cit., pag. 109. 147 dicotomia. Una dicotomia che per Elizabeth McKenna deborda in schizofrenia quando: “Le donne vogliono rimanere fedeli a quello che le rende donne e contemporaneamente si rendono conto che molte di queste qualità femminili contribuiranno ad alienarle dalla cultura maschile del lavoro […] Abbiamo bisogno del lavoro per sentirci completamente realizzate come donne ma per svolgere il nostro lavoro dobbiamo mettere a tacere buona parte di noi stesse […] Passare da un sistema di valori culturalmente approvato a uno più personale sembra quasi impossibile, soprattutto quando non ci sono modelli di riferimento reali da seguire. Eppure se non lo facciamo noi, nessuno la farà per noi.[…] Finché non ridefiniamo il successo e il sistema di valori in modo che essi possano includere equilibrio e ricchezza di significato per la nostra vita, rimarremo bloccate in carriere che ci richiedono di scegliere tra il nostro mondo e un altro artificialmente diviso”.37 Secondo Alba Bonetti: “Se la cura degli aspetti relazionali è qualcosa alla quale le donne tendono a dare un’enfasi particolare, investendo energie anche laddove non è richiesto dal ruolo, forse è perché su questa dimensione, su questa area noi costruiamo la nostra identità e il nostro ruolo sociale. […] Invece che un diario alla Bridget Jones per tenere il conto delle calorie e del consumo di alcool e sigarette, sarebbe interessante scrivere il diario di una donna alle prese con l’operazione quotidiana di aggiustare, trovare un compromesso o mettere più distanza tra sé e le attese che l’educazione e la cultura le costruiscono intorno, in famiglia come al lavoro. Sarebbe una storia difficile da raccontare, il ____________ 37 McKenna E.P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002 pag. 66. 148 confine tra occuparsi del benessere degli altri e usarli ai propri scopi è sottile…”.38 Per esemplificare il concetto la Bonetti fa un paragone tra le protagoniste del romanzo Via col vento: Rossella e Melania. Mentre quest’ultima si prodigava per la felicità degli altri Rossella faceva di tutto e di più per ottenere ciò che voleva. Le donne, dunque, lavorano relazionandosi. Tale comportamento si compone di fasi di ascolto e di racconto biografico che si alternano e si intrecciano. Si avverte, nel processo di lavoro, una necessità non solo di comprendere l’altrui pensiero, ma anche di spiegare il proprio. La dinamica che si persegue è di tipo dialogico. C’è una attenzione allo “spiegarsi” percepito come fase fondante di un rapporto di lavoro. Per carità nulla in comune con la banale, pedante, ipocrita richiesta, troppo spesso figlia del chiacchiericcio e del pettegolezzo, di chiarimento. Al solo sentir pronunciare la frase “c’è bisogno di un chiarimento” mi sorge il sospetto che ciò che si vuole sia qualcosa di molto lontano da un disvelamento ma che, piuttosto, si ricerchi uno spazio e un tempo per avere delle conferme al proprio ruolo, alle proprie prerogative, e alla bisogna, per avanzare anche delle rivendicazioni. La mia esperienza di richieste di chiarimento mi ha lasciato questo convincimento. Vi è, poi, un altro modo di intendere la natura relazionale dell’approccio femminile al lavoro che si connota per essere denigratorio e sminuente: l’emotività. Molto spesso, delle donne si dice che sono emotive lasciando intendere che sono nevrotiche, ____________ 38 Nannicini A. “Le parole per farlo-Donne al lavoro nel postfordismo” Derive Approdi 2002 pag. 130. 149 fragili, insicure. L’emotività viene caricata di significati negativi. Essa non viene rappresentata come la capacità di esercitare un metodo di analisi ulteriore che possa essere affiancato ad un altro, quello razionale, per integrarlo. No, l’emotività viene colta nella sua accezione peggiorativa per sottolineare l’incapacità ad esprimere un giudizio freddo, lucido, razionale. Quasi che la razionalità fosse l’unica dimensione degna di rispetto. In quest’ottica l’abilità di comprendere le persone e le situazioni nella loro complessità viene bollata come carente e indicata come prassi da scoraggiare. Al contrario essa andrebbe lodata per la sua completezza. Considerare anche l’aspetto emotivo, oltre quello razionale, permette di capire meglio i fenomeni valutandone le implicazioni. Le donne avvertono l’esigenza di una complementarietà, l’aspetto razionale e quello emotivo non confliggono, non si contrappongono ma si completano. Sottolineando, invece, l’esclusiva abilità femminile al dato emotivo si è a lungo sostenuto che le donne non sono portate per le scienze. Per fortuna negli ultimi anni si sono compiuti dei passi avanti e sta emergendo una realtà diversa: le donne sono molto portate per le materie scientifiche perché sono rigorose, metodiche, pazienti, determinate e curiose. Certo sono ancora una minoranza ma una strada importante è stata aperta. Elizabeth McKenna a proposito di un seminario svolto con donne lavoratrici racconta: «Durante le nostre discussioni, una dopo l’altra, le partecipanti spiegarono dettagliatamente in che modo le loro decisioni di lasciare un particolare impiego fossero state minimizzate. […] Generalmente la conclusione era che loro erano emotive 150 (cioè femminili) o che l’istinto materno aveva alla fine trionfato sulla capacità di essere ottime donne d’affari. Lasciare una posizione aziendale per allontanarsi da pratiche professionali poco etiche o discutibili o da un ambiente dove la differenza tra i sessi è ancora marcata viene visto come una “mancanza di sportività” o come “difficoltà a farcela».39 A diffondere la convinzione che le donne siano creature inclini a lasciarsi trascinare dall’emotività contribuisce certo accanimento dei mass media che vorrebbe le donne impegnate da mane a sera a litigare in programmi televisivi o a chattare compulsivamente. Questa deriva svilente affonda le radici in un equivoco ben affrontato da Irene Bernardini che puntualizza come sia importante non confondere le emozioni con i sentimenti e quanto sia fastidioso sentir ciarlare di “emozionalismo” da quattro soldi. Sembra che parte dell’umanità impegni molto del suo tempo e delle sue energie alla ricerca del brivido, non necessariamente quello estremo no limits (che poi di limits ne ha molti), ma quello più a buon mercato che faccia sentir vivi. Come se per vivificare l’esistenza bastasse incontrare sconosciuti in Internet e inventarsi una vita virtuale. L’emotività come tratto arricchente di cui le donne sono portatrici è, per me, tutt’altra cosa. E’ quel di più che fa diventare un obiettivo da 50 millimetri un grandangolo. E’ la capacità di percepire, cogliere e rispettare i sentimenti degli altri senza calpestarli o ridicolizzarli, è il dono grazie al quale l’orizzonte di chi guarda si apre allargando il campo visivo. ____________ 39 McKenna E.P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002 pag. 128. 151 Ci sono aziende che fingono di voler valorizzare le competenze trasversali delle donne, le abilità relazionali, esaltandole in occasioni pubbliche come buone prassi da seguire salvo poi sminuirle all’interno dell’impresa liquidando l’iniziativa svolta come azione di marketing. Ciò sembra trovare conferma nelle parole di Riccardo Zuffo: “Se da una parte infatti le aziende si orientano oggi verso la ricerca di competenze trasversali (o meta-competenze) considerate tipicamente femminili – competenze che, liquidate troppo spesso come stereotipi, sono riconosciute oggi essere strategiche per il funzionamento delle aziende- dall’altra si nota la fatica con cui si battono i paradigmi culturali dominanti che tendono a relegare le donne a livelli gerarchici non competitivi”.40 Per dirla con una battuta di Peter Sellers nel film “invito a cena con delitto”: “le domande sono come carta igienica vetrata, alla lunga irritano!” Le domande delle donne sembrano sortire questo effetto: irritare. ____________ 40 Bombelli M.C. Cuomo S. “Il tempo al femminile” Etas 2003. 152 Ma perché le donne piangono? Immagine tratta dal sito www.tempiespazi.it Sfatiamo un mito non sono solo le donne a piangere. I dotti lacrimali non sono un apparato femminile. L’emotività non è appannaggio esclusivo del gentil sesso. E soprattutto non c’è niente di più stupido che dire a un bambino: “non piangere è roba da femminucce”. Davanti a quei bei filmoni strappalacrime o in occasione di lauree, matrimoni, nascite, funerali, saluti all’aeroporto, recite a scuola e successi sportivi dei figli, di un ricordo e comunque quando vi pare, è sempre consentito abbandonarsi al flusso delle proprie lacrime. In nome di quale regola sociale dovremmo reprimere il nostro modo di partecipare e vivere gli avvenimenti che ci riempiono la vita. Nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di dire agli altri come reagire di fronte alle emozioni. Certo a qualcuno può capitare di vergognarsi in presenza di mamme e vecchie zie che si sciolgono in lacrime, ma trovo che sia di gran lunga più triste trovarsi in presenza di persone che cementano i propri sentimenti in grumi che si sedimentano nell’anima fino a diventare macigni. Le donne possono piangere per la gioia, il dolore, la rabbia, l’impotenza e per l’intera gamma di sentimenti che riescono a provare. Non lo ritengo un segno di debolezza, al contrario, un tratto di profonda umanità. La capacità di commuoversi rende gli esseri umani migliori, li allontana dall’aridità. Appartiene alla cronaca recente la commozione di un ministro, Elsa Fornero, che nel presentare provvedimenti “draconiani” non ha trattenuto le lacrime. A dire il 155 vero neanche noi quando abbiamo capito la portata del cambiamento. Una amica racconta che quando scorge sul viso della sorella i segnali premonitori pensa: “Ecco la diga sta per cedere…si salvi chi può” Le convenzioni sociali sono indulgenti verso le donne che si abbandonano alle lacrime in nome di una supposta emotività femminile mentre sono feroci con gli uomini. A loro non è consentito piangere, è disdicevole. Che ipocrita fesseria. E che pericolosa abitudine quella di perpetrare uno stereotipo in base al quale i forti non piangono. Sono ben altre le fragilità degli uomini. Le lacrime non versate sono quelle che si induriscono e non potendo uscire e liberare il pathos che le ha generate creano un percorso carsico che scava, scava… Trovo che le persone che mostrano i propri sentimenti senza infingimenti siano da apprezzare ed emulare. Il veterinario che cura i miei cani li guarda negli occhi con tenerezza, si fa leccare la faccia e li abbraccia. Quest’uomo riscuote tutta la mia stima e il mio affetto. Non ho mai incontrato un medico capace di tale empatia con i suoi pazienti. Non che sia auspicabile farsi leccare la faccia da un medico ma un po’ più di umana partecipazione non guasterebbe. A volte, però, succede, di incontrare qualcuno che faccia ben sperare per il futuro. Ho conosciuto una ginecologa che nel suo studio ha una lavagna a fogli mobili e quando gliene ho chiesto il motivo mi ha risposto: “Quella serve per fare disegni buffi e spiegare alle mie pazienti che patologia hanno senza farle spaventare”. Dovrebbero darle il Nobel! 156 Durante il periodo dell’università ho conosciuto un ragazzo che aveva la capacità di farmi ridere fino alle lacrime, in maniera irrefrenabile, da quando abbiamo terminato gli studi e ci siamo persi di vista non ho mai più riso così di gusto. Recentemente mi è capitato di essere accanto a donne e uomini che spargono lacrime per le più svariate situazioni, che meraviglia! Che senso di liberazione guardare queste persone e pensare che tutti dovrebbero avere la stessa sicurezza in sé stessi e non nascondere i propri sentimenti. La scrittrice Elizabeth Gilbert in “Mangia, prega, ama” fa dire a uno dei personaggi: “Le vostre lacrime sono le mie preghiere”. Spero che non arrivi mai il giorno nel quale non ci commuoveremo più. 157 Lo stereotipo delle favole Immagine tratta dal sito www.fattenarisata.com Gli stereotipi sulle donne che ci consegnano le favole sono aberranti. Una autentica tragedia. Sguattere come Cenerentola, governanti per nani come Biancaneve, comatose e crioconservate come la Bella Addormentata, cretine come Cappuccetto Rosso. Una galleria di disadattate ai margini della società. Tutte in attesa di un principe azzurro che le salvi. Solo Cappucceto rosso sarà salvata da un uomo privo di nobili natali ma in compenso abbigliato in maniera seria: un cacciatore. Aghi e mele avvelenate a gogò che fanno addormentare fanciulle per decenni (le streghe che gliele hanno, gentilmente, fornite in verità speravano in un sonno più lungo). Ricordo che da piccola ebbi in regalo il disco della favola della Bella Addormentata, (adesso si direbbe un audiolibro) mi scatenava attacchi di panico e crisi isteriche al solo sentire la voce della strega cattiva. Mia madre lo sequestrò dopo poche ore. Per non parlare della truculenza con cui Barbablù, un serial killer, assassinava le sue mogli. Roba da telefono azzurro! In quasi tutte le favole c’è una contrapposizione tra un modello di donna cattiva determinata a raggiungere il suo scopo ma costretta a soccombere innanzi ad un personaggio che incarna un modello positivo. Che si tratti di far sposare il principe ad una delle sorellastre assicurandosi vita natural durante una colf a costo zero o che la posta in gioco sia il primato tra le belle del reame le Crudelie sono destinate allo scontro. Ma non con altre donne, no, sempre con principi in calzamaglia attillata, pantaloncini a sbuffo e copricapi piumati a forma di pizza in sella a bianchi 161 destrieri. Le altre donne che rappresentano il modello positivo sono di contorno, sia le comuni mortali che quelle dotate di poteri fatati. Perché il duello non avviene tra le matrigne, le streghe e le fate? Perché a queste ultime è riservato il ruolo di comparsa. A loro e non già agli insipidi e scialbi principi. Altro che finale alla vissero felici e contenti, in realtà morirono tutti due anni dopo, dalla noia. Ma contro ogni logica il mito del principe azzurro è duro a morire. Questa è l’indicibile verità. Schiere di fanciulle sbaciucchiano rospacci e non si arrendono neanche innanzi all’evidenza di mancate trasmutazioni. L’assenza di magiche appari-zioni di muscolosi e prestanti giovanotti in luogo di simpatici rospi non le fa desistere. Eppure di calzamaglie azzurre o bluette non si vede neanche l’ombra, tutto ciò che si scorge sono solo zampine verdastre… oltretutto quando il principe azzurro è arrivato, poi, le donne non è che abbiano dato un bell’esempio. Basti pensare alll’ingratitudine di Biancaneve che al passaggio del primo pivello molla i teneri nanetti che l’hanno accolta in casa o ai i topini di Cenerentola che tanto si erano prodigati per farla andare al ballo. Qualcuno gli darà una crosta di formaggio? Queste donne, sleali e ingrate, sono un modello di virtù casalinga, tutte a spazzare l’uscio, lavare pavimenti e sudare in cucina. La scema del villaggio, poi, la mandano in giro da sola a trovare il lupo…Ma una favola in cui una donna abbia coraggio, iniziativa, una vita decente munita di lavatrice e lavastoviglie no eh? Meno male che abbiamo avuto Gianni Rodari. Alcune 162 di noi nella carriera scolastica hanno incontrato maestre illuminate che alle elementari hanno insegnato a leggere favole moderne. Certo, anch’io ho imparato che la pigrizia andò al mercato e un cavolo comprò, il resto della filastrocca era che la pigrizia, invece di correre a casa a cucinarlo, aveva perso tempo a fare shopping compulsivo dimostrando così tutta la sua inaffidabilità. La storiella andava imparata a memoria per imprimere nelle giovani menti un monito: mai allontanarsi dai propri doveri casalinghi. I tempi sono cambiati basti pensare a Sophie Kinsella che scrivendo di donne che fanno shopping si è costruita una professione. Che dire di Hansel e Gretel… Due deficienti che si fanno abbindolare da una casa fatta di pan di zenzero e dolciumi nella foresta. Dove mai si è vista una casa così? Due bambini finiti nelle grinfie della strega solo perchè Hansel non ha ascoltato le parole intelligenti della sorella. Sorella a cui è pure toccato tirarlo fuori dai guai. Senza parlare, poi, del trionfo dello sfruttamento minorile con la piccola fiammiferaia. Questo sciagurato campionario di donnette prive di capacità, sopravvissute solo grazie all’intervento salvifico da parte di un uomo, rende eloquente la divisione dei ruoli previsti per genere nelle favole. 163 Identità personale e identità professionale Immagine tratta dal sito: www.casasimpson.it La differenza tra l’identità personale e quella professionale è un tema sul quale mi soffermo spesso. E’ una distinzione fondante nel processo di costruzione identitaria dell’individuo. Lo diviene tanto più nella società contemporanea in cui la flessibilità e il precariato impongono dei cambiamenti professionali tali da generare fratture e momenti di confusione. Alcuni si definiscono attraverso il lavoro che svolgono presentandosi come un medico, un avvocato, una parrucchiera, un’estetista declinando il verbo essere. Perché ciò che fanno sostanzia la loro personalità. “Io sono un medico” e non “Io faccio il medico”. Per alcune persone il biglietto da visita è una rappresentazione del proprio status irrinunciabile. Un ancora a cui aggrapparsi saldamente. A tutti è immediatamente chiaro cosa fa quella persona e il riconoscimento che la società gli tributa. Anche i bambini imparano presto a domandarsi tra di loro cosa fanno i genitori. I figli di medici, avvocati, impiegati e macellai non avranno nessun problema a rispondere. Chi farà fatica saranno i figli dei lavoratori precari che a loro volta incontrano delle difficoltà a spiegare che tipo di lavoro fanno (spesso hanno difficoltà a spiegarlo anche a loro stessi). Questo senso di smarrimento deriva dal fatto che le persone non vengono valutate per ciò che sono ma per quello che hanno. Ciò che viene in rilievo non è il patrimonio di valori, principi e comportamenti posti in essere all’interno del sistema sociale di relazioni condivise ma la capacità produttiva da quantificare in termini 167 reddituali. Quel che la società contemporanea ha codificato come imperativo è la funzione produttiva come unico fattore di successo. Io valgo se ho potere di acquisto. La mia personalità si esprime attraverso ciò che compro e non grazie a come mi conduco. Alla stessa stregua degli oggetti le relazioni umane, e quelle con gli animali, vengono considerate intercambiabili e sostituibili (usa e getta). Nulla è inarrivabile e proibito poiché ogni cosa ha un prezzo. In questo tipo di società in cui prevale l’aspetto mercantile l’interesse per le competenze, le conoscenze e le abilità risulta residuale. “Quando adottiamo lo scenario convenzionale di una persona di successo – scrive Elizabeth McKenna – siamo costretti a vivere secondo i suoi stessi valori. Questi ci chiedono di giudicare noi stessi in base al nostro comportamento, alla nostra immagine e ai risultati ottenuti sul lavoro. Veniamo valutati per quello che facciamo, non per quello che siamo”.41 Risale all’epoca dei miei 16 anni una dedica scrittami da mia sorella su un libro: “Scegliamo l’essere con la speranza, un giorno, anche di avere”. Chi sceglie l’essere è considerato nella migliore delle ipotesi un naïf , nella peggiore un perdente. La maggior parte delle donne tende a privilegiare un lavoro che consenta di avere del tempo da dedicare alla famiglia, fenomeno questo che ha creato la femminilizzazione di alcune attività come l’insegnamento e l’impiego pubblico in genere o le attività di cura delle persone. Questa scelta consente di realizzarsi come donne capaci di essere indipendenti e contribuire al reddito ____________ 41 McKenna E. P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002 pag. 64. 168 familiare ed essere madri. Per quelle che non hanno la fortuna di un lavoro stabile il precariato dà l’illusione di poter riuscire a gestire i tempi in maniera flessibile. Ma in entrambi casi, sia quello del lavoro stabile che quello del lavoro precario, le donne tendono a cercare una occupazione che sia gratificante non solo economicamente ma anche professionalmente e umanamente. Le donne non hanno, quasi mai, in mente solo l’avere ma anche l’essere. Non viene in rilievo esclusivamente quello che si fa ma anche il come lo si fa. Pur se a volte ci si sente frastornate è ferma la consapevolezza di essere non solo medici, parrucchiere o estetiste ma tanto altro. Ed è questo altro che conferisce la capacità di non appiattirsi su di un’unica dimensione, quella professionale. L’identità è composita, nel caso poi delle lavoratrici precarie, caleidoscopica. La vita è piena di attività, a volte troppe, che si riescono a tenere insieme grazie al carattere e la personalità. Chi si occupa di bilancio delle competenze nota che le donne descrivono le loro competenze in maniera quasi univoca tralasciando molto. Descrivono esclusivamente quello che hanno imparato a fare nelle ore di lavoro retribuite come se tutto il resto non esistesse. Solo scavando vengono alla luce le altre competenze, quelle non menzionate perché ritenute non rilevanti. Cucinare per trenta persone, tagliare e cucire, ricamare, restaurare, pittare, praticare iniezioni, prestare cure mediche che vadano oltre la somministrazione di pillole, accudire infermi costretti a letto. Tutto questo non viene avvertito come 169 spendibile nel mercato del lavoro perché appartiene ad una quotidianità che non conferisce loro nessun apprezzamento. E’ scontato. Bisognerebbe smetterla di pensarla così. Sarebbe ora di dare il giusto valore a quello che si fa e a quello che facendo si diventa. Non condivido l’opinione di chi pensa che solo perché si è in presenza di una persona che ha successo secondo i canoni sociali contemporanei ci si trovi al cospetto di una bella persona. Così come non aderisco alla corrente di pensiero dei “buonisti ad oltranza” composta da coloro che sono fermamente convinti che ci sia del buono in ogni essere umano. Mi piacerebbe molto che fosse così ma troppe volte ho constatato il contrario. Molti di noi quando cercano un medico si informano su quale sia il più bravo e quando hanno bisogno di un avvocato chiedono ai conoscenti se ne conoscano uno agguerrito. Va benissimo perché quello di cui si ha bisogno in quel frangente è una prestazione professionale e non un nominativo da segnalare al concorso per la miglior persona dell’anno. La preparazione professionale non fa degli individui, ipso facto, delle splendide persone. Saranno i migliori nel loro campo ma forse anche cinici, spietati, senza compassione e privi di scrupoli. Nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di giudicare gli altri ma di scegliere chi sia una persona da considerare “bella”, questo sì. Non tutti considerano le persone esclusivamente per il tipo di lavoro che fanno o per la macchina che guidano. Quando ho chiesto alle donne che ho intervistato cosa augurassero alle loro figlie e alle giovani donne, tutte, mi hanno risposto che il loro 170 augurio è che possano fare il lavoro che desiderano e diventare ciò che vogliono. Mi piace leggere ciò che vogliono come chi vogliono. 171 Insulti e turpiloquio di genere ***§§####*** *#########*** ############### Immagine tratta dal sito www. it.freepik.com Se una donna vuole offendere un uomo lo apostrofa chiamandolo stronzo, se l’insulto è indirizzato a un’altra donna ricorre allo stesso vocabolo. Un uomo no. Quando vuole offendere un esponente del suo stesso sesso lo chiama stronzo, se l’offesa è proferita in un contesto calcistico e il destinatario del disappunto è l’arbitro allora la scelta cadrà su cornuto, ma se l’oggetto del suo turpiloquio è una donna, allora, la parola prediletta sarà quella che designa coloro che esercitano il mestiere più antico del mondo. Perché? Perché si va oltre l’insulto per cercare l’oltraggio? Se una donna è arrabbiata con un uomo dice che è un figlio di puttana. Se questa espressione la usa un uomo a proposito di un altro uomo è un complimento perché sta a significare che è veramente in gamba. E’ un vivo apprezzamento: “è proprio un figlio di buona donna!” Riconoscere che un uomo si fa pagare dalle donne per la sua compagnia, anche in presenza di ragguardevoli differenza d’età, non costituisce motivo di infamia. A parti invertite, quando è la donna che si fa pagare da un uomo è tutt’altra storia. Anche perché nel primo caso, quello del gigolò, la cronaca non riporta storie di abusi, violenze e sfruttamento mentre nel secondo caso, quel che si legge è solo la punta di un iceberg di scempio perpetrato ai danni delle donne. Gli insulti non sono democratici ma discriminanti. Che nostalgia per le fantasiose perifrasi di lontana memoria come quella partenopea: “hai più corna tu di una sporta di maruzze”! 42 ____________ 42 Le maruzze sono le lumachine di mare. 175 Ma perché il turpiloquio maschile è così ripetitivo, monotematico e svilente? Perché gli uomini quando offendono una donna non scelgono per lanciare i loro strali l’assenza o la carenza di caratteristiche come l’intelligenza, l’affettività, la disponibilità? Perché l’unica sfera su cui si accendono i riflettori è quella sessuale? Perché bisogna andare oltre l’insulto per cercare di degradare, umiliare, demolire? Mancano di fantasia, gli difetta la capacità di analisi, si emulano tra di loro? Non lo so. Quel che so è che mi fa rabbia che anche nell’offesa, umano sentimento connaturato al confronto e al contrasto, alle donne non venga riconosciuta una pari dignità di soggetto in controversia. Della mia rabbia recentemente mi hanno detto che si scatena perchè le cose me le prendo a cuore, che ho un carattere spinoso, insomma che c’ho l’aculeo facile! E poiché l’osservazione è stata fatta da un uomo nutro speranze che il genere maschile non difetti, tout court, di originalità, umorismo a capacità di inventiva in quanto a complimenti e insulti. 176 L’imperativo della trasparenza Immagine tratta dal sito www.hdg.de 178 Come tutte le persone della mia generazione ho ammirato enormemente quell’uomo incredibile che è Gorbaciov. La sua presenza sulla scena internazionale ha cambiato il mondo. Ma ci ha lasciato una eredità terribile, intollerabile e non più sostenibile: la glasnost. Tradotto in italico idioma la trasparenza. La perestrojka non ha fatto danni ma con la glasnost sono dolori! Non se ne può più. Chiunque apra bocca sembra essere ossessionato da una incombente opacità che, alone mortifero, ammorba ogni aspetto dell’agire umano. Dal politico di turno che rilascia dichiarazioni roboanti sulla condotta etica e morale che i partiti dovrebbero inculcare nei loro accoliti al venditore ambulante che ti propone lo sbucciapatate son tutti lì a declamare l’imprescindibile valore del fare le cose in trasparenza. Mi è capitato addirittura di ricevere la richiesta di fissare un appuntamento di lavoro “in tutta trasparenza!” E come si fa? Io non riesco nemmeno a immaginare cosa sia un appuntamento in opacità. Direbbe Mimma, collega emiliana e donna di consumate battaglie lavorative, ragassi ma siam passi? Appunto, sono impazziti tutti. Ma che cos’è questa fissazione della trasparenza. E l’onestà che fine ha fatto? E’ passata di moda? Archiviata in nome di un neologismo che piace di più? Perché non lasciamo le trasparenze alle acque fluviali e marine e a certi capi di vestiario femminile e ritorniamo a usare le parole adatte per esprimere concetti densi e pregnanti. A forza di nominarla in tutte le salse, anche quelle prive di attinenza, questa parola ha perso significato. Già perché l’abuso delle parole ha questo effetto, svuota di 179 significato. Ci sono dei periodi in cui alcune parole impazzano come tormentoni, basta aspettare che passino, ma in questo caso ciò che trovo pernicioso e ipocrita è il ricorso alla trasparenza come salvacondotto per testimoniare la propria immacolata immagine di persone che osservano le regole garantendo correttezza di comportamento. Questo eccessivo ricorso alla trasparenza mi fa piuttosto pensare ad una personalità torbida che per “chiarificarsi” agli occhi del mondo sbandiera il suo agire trasparente. E di abusi di parole e di cattivo uso di espressioni si potrebbe scrivere a lungo. Circa la locuzione “condizione delle donne” ho già espresso il mio pensiero, è cosa da seppellire con la Belgioioso. Nello stesso scavo riporrei anche un vocabolo molto frequentato quando si parla del lavoro delle donne: rosa, intendendo il colore. All’improvviso tutto si tinge di un appiccicoso e melenso rosa confetto, le donne imprenditrici sono menzionate come “le imprese in rosa”, le quote per difendere con le unghie e con i denti uno spazio che la Costituzione dovrebbe garantire senza bisogno di interventi sono le “quote rosa”. Mi viene l’orticaria. Eppure io amo il rosa in tutte le sue nuances dal più pallido e tenue corallo al carico e deciso viola, ma il rosa confetto con cui si etichetta tutto quel che riguarda la vita lavorativa e istituzionale delle donne, no quello proprio non lo sopporto. Affibbiare questa connotazione cromatica a ciò che le donne fanno e sono è demenziale. Chi si sognerebbe di dire che il management di una impresa è azzurro? 180 Forse avrebbe un senso se stessimo parlando di una azienda in cui lavorano i puffi! E che dire di una impresa verde che si occupa di energie pulite gestita in rosa? Provate a mischiare il verde e il rosa su una tavolozza ne viene fuori un bel grigio topo! 181 Un rapporto di amore-odio Immagine tratta dal sito www.messin.it Un rapporto difficile, tormentato, che non risparmia nessuna donna. Tutto il genere femminile almeno una volta l’anno deve fare appello all’autocontrollo e respirare profondamente per non uccidere. Non sto parlando del rapporto con le madri né di quello con mariti, fidanzati, compagni e concubini. Sto parlando del rapporto con i parrucchieri. Quando entra dal parrucchiere ogni donna sa perfettamente cosa vuole. Quando esce non sa più chi è. Taglio, colore e messa in piega diventano materia di trattative diplomatiche degne di grandi statisti. I parrucchieri hanno la sadica e nascosta passione per i tagli tipo marine americani: si e no ti lascerebbero in testa due centimetri di capelli. La parola d’ordine delle donne che si accomodano in poltrona, con la stessa gioia di quando lo fanno dal dentista, è: “mi raccomando solo una spuntatina per eliminare le doppie punte!” E zac, zac, zac…i capelli si accumulano tristemente numerosi sul pavimento, troppo numerosi. Ma dove arrivavano queste doppie punte? Un capello che non fosse biforcuto non c’era? Alla sbigottimento della donna decespugliata arriva la risposta : “Andavano rinforzati e poi non vede questo taglio la sveltisce”. Perché ero lenta? E se volessi indugiare nella mia assenza di sveltezza? Dopo il trauma delle forbici, e in qualche caso anche del rasoio (sa lei ha l’attaccatura bassa…), arriva lo scoglio della messa in piega: “Glieli asciugo naturali così non li pettina ma li apre con le mani”. Li apro con le mani? E che ho in testa un rovo? “Glieli phono e le metto un bel pò di lacca così la piega tiene”. Risultato finale Orietta Berti a Sanremo nel 1965. Deliziosa, ma nel 1965. “Li facciamo con un look giovane 185 spettinato” Se devo andare in giro spettinata che sono venuta a fare dal parrucchiere? “Glieli asciugo lisci così rimane in ordine”. Pericolosissimo. A volte liscio vuol dire piatto come se ti avessero dato un ferro da stiro in testa. “Li asciughiamo gonfi così danno volume”. Rischioso. Ci si può ritrovare come un soffione a primavera. O come un muflone, dipende dall’enfasi di chi gonfia. Ma dove può consumarsi il misfatto è sulla scelta del colore. La denominazione data alle diverse tonalità tra cui scegliere è fuorviante. Alcune aziende produttrici devono essersi affidate a dei tecnici daltonici. Come si può chiamare biondo scuro una tinta che bionda non è. Perché è castana, fidatevi. E perché il castano si chiama cioccolato? E se li volessi color cappuccino? Quando ero piccola era di moda per le signore anziane una gamma cromatica che andava dall’azzurrino, modello fata turchina, al violetto di un fiore. Era una tinta pastello delicata, discreta, dignitosa. Una riunione fra nonne in giugno poteva facilmente mimetizzarsi in un giardino di ortensie in fiore. Oggi mi capita di vedere signore di ottanta anni di un biondo inverosimile e di un rosso improbabile. Ci sono donne fortunate che si intendono perfettamente con il parrucchiere scelto e vi si recano una volta alla settimana concedendosi un momento di relax. Si seggono, sorseggiano caffè, leggiucchiano riviste ricche di succulenti pettegolezzi, aggiungono gustosi pettegolezzi su comuni conoscenze chiacchierano e tornano a casa rinfrancate. Tutte le altre vanno dal parrucchiere quando oramai girano con un ciuffo di licheni informi e tricolori in testa. Entrano, si 186 guardano in giro spaurite, si lanciano in spiegazioni su che cosa vogliono per i propri capelli e…recitano in silenzio una preghiera! Temono di imbattersi in parrucchieri subdoli che le blandiscano annuendo con fare empatico e dicendo “ma sì, sì ho capito” ben sapendo che stanno fingendo. Perché la verità è che non hanno capito nulla e fremono impazienti dalla voglia di dare libero sfogo all’estro. Se sono modaioli, poi, l’epilogo sarà inquietante. Ci si può ritrovare con doppia lunghezza, frangetta a barboncino e colore fluorescente… 187 L’importanza del pensiero laterale e la dimensione temporale Immagine tratta dal sito www.milano.repubblica.it “Per gli uomini la vita è come una strada, per le donne come una mappa. Noi pensiamo sempre agli itinerari alternativi, agli svincoli, al viaggio di ritorno. Loro tirano dritto sulla corsia di sorpasso e basta. Il loro unico diversivo è, di tanto in tanto, la brillante idea di una scorciatoia che nella maggior parte dei casi si rivela più lunga e insidiosa del percorso originario”. Questo brano è tratto dal libro di Allison Pearson Ma come fa a far tutto? In cui si descrivono le acrobazie di una mamma in carriera. L’osservazione sui percorsi mentali declinati secondo il genere è interessante. Le donne sembrano essere inclini a un pensiero di tipo laterale, quello teorizzato dallo psicologo Edward De Bono, in cui alla sequenza logica viene preferito un percorso composito in cui compaiono e soccorrono intuizioni, idee, correlazioni, contrapposizioni, sovrapposizioni. Un puzzle che dà luogo a delle mappe creative. Il pensiero laterale è sempre originale, unico e soggettivo. Non esiste un modello prestabilito a cui rifarsi, ognuno sviluppa una propria dimensione della lateralità. Si allenta la rigidità dell’approccio lineare per procedere come i granchi, camminando di lato. Si allarga il campo visivo estendendo la visione periferica per prendere in considerazione elementi altri che a una prima lettura di tipo razionale diretto non hanno nessun significato. A volte gli elementi che si passano in rassegna appartengono al surreale o costituiscono parte di un paradosso. Questo modo di procedere mentalmente rende possibile comprendere come possano le donne affrontare e risolvere problemi tra loro così diversi che si susseguono con ritmi frenetici giorno dopo giorno. Tutto viene preso in considerazione, nulla è scartato 191 aprioristicamente, ogni punto di vista e angolazione va esplorato per comporre e mantenere in equilibrio un universo esistenziale complesso. Una baby sitter che viene meno all’ultimo momento, una febbre improvvisa del figlio più piccolo, un guasto all’auto in una giornata di pioggia, il frigorifero vuoto, la relazione non consegnata in tempo al proprio capo e l’ennesimo ritardo accumulato in ufficio possono coesistere e abitare nella mente di una donna come un refrain infinito fino a quando non si trova una soluzione, o qualcosa che ad essa assomigli, per ogni cosa. Il problem solving elevato ad espressione artistica. Raramente una donna va in crisi davanti all’affastellarsi di problemi che affronta come delle criticità, delle asperità da levigare e non come dei drammi. Se esistessero dei campionati mondiali di pensiero laterale le donne surclasserebbero gli uomini. Ma poiché questo modo di ragionare non è stato ancora riconosciuto come disciplina olimpica il campo di gioco è, nella maggior parte dei casi, l’ambiente domestico e in qualche altro un contesto lavorativo. Esercitare la mente per trovare soluzioni fantasiose a situazioni che appaiono irrisolvibili significa andare oltre l’esercizio del brainstorming43 nel quale si stimola la tempesta collettiva di idee in gruppi di lavoro. La tempesta a cui penso è solitaria e tutta declinata al femminile, quella che si scatena a giorni alterni per mettere insieme vita familiare, vita lavorativa e nei ritagli di tempo spazi individuali. Ritagli di quale ____________ 43 Il termine letteralmente tradotto tempesta di cervelli sta a significare una tempesta di idee. Il metodo del brainstorming iniziò a diffondersi nel 1957, grazie al libro Applied Imagination del dirigente pubblicitario Alex Faickney Osborn. 192 tempo? Roger Sue44 si sofferma sul concetto di tempo dominante come declinazione sociologica che connota i periodi storici. Nel Medio Evo la vita era scandita da un tempo religioso, prima ancora da un tempo sacro mentre nella modernità ciò che conferisce significato è il tempo del lavoro. Ma nella società contemporanea si vive una frammentazione del lavoro a cui corrisponde una asimmetria temporale che scompagina le certezze legate ad un orario di lavoro standardizzato. Il quotidiano non è più immediatamente riconducibile alle otto ore lavorative e ad un tempo libero calcolato in modo residuale. Le nuove forme contrattuali generano tempi liberati dal lavoro di intensità e durata differenziate. Il nuovo tempo dominante, quello che sta prendendo il sopravvento nella società occidentale industrializzata, è il tempo libero. La dimensione temporale è, perciò, prioritaria nella costruzione del processo identitario in qualsiasi epoca storica. Quanto tempo della mia vita è dedicato al lavoro, quanto alla famiglia, quanto agli interessi personali? Le risposte a queste domande conferiscono status e concorrono alla realizzazione dell’individuo. Se dedico un numero di ore elevato al lavoro sono una persona in carriera che sta investendo nella crescita professionale, se la maggior parte del tempo è impegnata con la famiglia sto allevando dei figli e tenendo insieme un nucleo affettivo che considero prioritario, se spendo tempo per me stesso/a scelgo di non rinunciare a degli interessi. Come si realizza il mix fra queste attività è l’alchimia che ognuno insegue per ____________ 44 Sue R. “Il tempo in frantumi. Sociologia dei tempi sociali”Dedalo 2001. 193 raggiungere la serenità. Maria Cristina Bombelli in proposito scrive: “In sintesi si potrebbe dire che mentre il valore economico è il rapporto di scambio nell’economia del consumo, il tempo è il valore di scambio nell’economia dei sentimenti. E’ possibile che una riflessione più ampia relativamente alla conciliazione dei tempi si possa sviluppare solo con una più approfondita ricerca dei nessi di collegamento e regolamentazione di questi due universi”.45 Immagine tratta dal sito: www. webopac.csbno.ne ____________ 45 Bombelli M.C. Cuomo S. “Il tempo al femminile” Etas 2003. 194 PARTE II Quadro normativo di riferimento e azioni positive per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro Immagini tratte dal sito: www.ingenere.it Il mainstreaming – la genesi di un cambiamento culturale Comprendere il significato del vocabolo mainstreaming è fondamentale per analizzare l’evoluzione della normativa comunitaria e, a cascata, nazionale che rispecchia un cambiamento culturale. La traduzione letterale è stare nella corrente principale. Il significato completo è inserirsi in un contesto in modo armonico, organizzato e stabile, non in maniera sporadica. La prima volta esso viene abbozzato nei documenti della Conferenza promossa dalle Nazioni Unite a Nairobi alla metà degli anni Ottanta. Ma il suo esordio ha una data precisa: il 21 febbraio 1996, data riportata in calce alla Comunicazione della Commissione Europea. La comunicazione matura nell’ambito della Quarta Conferenza Mondiale dell’ONU sulle donne tenutasi a Pechino l’anno precedente “Lo sguardo delle donne sul mondo”, nel cui documento finale è scritto: “Gli Stati devono promuovere una attiva e visibile politica di mainstreaming di genere in tutte le politiche e programmi, in modo che prima di assumere decisioni, sia condotta una analisi dei loro effetti rispettivamente sugli uomini e sulle donne”. L’atto con cui l’organismo comunitario si rivolge agli stati membri contiene la raccomandazione all’adozione di misure e azioni positive affinché: 197 “le differenze tra le condizioni, le situazioni e le esigenze degli uomini e delle donne” siano tenute sempre presenti nella predisposizione delle politiche di sviluppo. Ciò vuol dire andare al superamento di una concezione ghettizzata di azioni specifiche mirate al recupero del gap uomo/donna per adottare una visione equilibrata e dignitosa del concetto delle pari opportunità inteso come necessità imprescindibile da tener presente nei momenti decisionali e di pianificazione. Il cambiamento culturale è evidente. Bisogna ripensare il modo di garantire pari accesso alle donne alle diverse sfere della vita sociale, politica ed economica. Non più azioni residuali da dedicare alla risoluzione di “questioni femminili” ma un modo di concepire l’agire a partire da una considerazione, che purtroppo scontata non è, che ogni attività concertata, decisa, programmata e realizzata presupponga il rispetto del diritto della più ampia partecipazione di individui –persone a prescindere dal genere di appartenenza. Ciò che ci si aspetta dagli stati membri è che si superino secoli di incrostazioni socio-culturali che hanno relegato le donne in ruoli subalterni e di contorno alla presenza maschile riconoscendo loro pari diritti e opportunità. L’anno successivo, il 1997, il Trattato di Amsterdam sancisce per il mainstreming di genere carattere di cogenza strategica. E l’anno seguente ancora il Gruppo di esperti sul mainstreming del Consiglio d’Europa stabilisce: “il mainstreaming di genere è l’organizzazione, il miglioramento, lo sviluppo e la valutazione dei processi politici, in modo che la prospettiva dell’uguaglianza di 198 genere venga integrata in tutte le politiche, a tutti i livelli, in tutte le fasi, dagli attori normalmente coinvolti nella programmazione e nelle decisioni politiche”. L’atto delle Commissione del 1996 si è tradotto nella predisposizione di Programmi quinquennali per le pari opportunità. La “Tabella di marcia per la parità fra le donne e gli uomini” ha riguardato il periodo 2006-2010. Il gender mainstreaming è, quindi, diventato un modo di concepire le politiche a partire dalla considerazione che la realtà si declina su due dimensioni: quella maschile e quella femminile. In questo senso va letta l’affermazione di Manuela Naldini: “…necessità di nuove politiche che superino il vecchio paradigma secondo cui politiche di conciliazione = politiche di pari opportunità = politiche per le donne. E’ necessaria una trasformazione del pensiero organizzativo ancora fondato sulla logica binaria: al “maschile” il tempo di lavoro e al “femminile” la conciliazione e gli strumenti per la conciliazione”. 46 ____________ 46 Naldini M. “Tempi di lavoro e tempi di vita. Strumenti di “genere” per la conciliazione:alcuni dati e riflessioni a margine di uno studio di caso” Atti del convegno Che “genere” di conciliazione? Famiglia, Lavoro e Genere: equilibri e squilibri. 199 Le azioni comunitarie: la road map per la parità di genere e il patto europeo per l’uguaglianza di genere Con la Comunicazione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni 47 la Commissione ha presentato, nel marzo del 2006, la Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini per il periodo 2006-2010. Nella tabella vengono individuati sei ambiti prioritari in cui concentrare le azioni: 1. pari indipendenza economica per ambo i generi 2. equilibrio tra attività professionale e vita privata 3. pari rappresentanza nel processo decisionale 4. eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere 5. eliminazione di stereotipi sessisti 6. promozione nella parità tra i generi nelle politiche esterne e di sviluppo. Nella programmazione, in cui si tiene conto dei risultati conseguiti con le esperienze precedenti, 48si fa ____________ 47 COM 2006 92 definitivo. 48 Le esperienze alle quali si fa riferimento sono quelle realizzate nell’ambito della strategia quadro in tema di parità di genere nel periodo 2001-2005. 201 un esplicito riferimento alla necessità di una azione combinata tra il mainstreaming di genere e la predisposizione di azioni specifiche e mirate. Nel documento si legge: “La parità tra donne e uomini è un diritto fondamentale, un valore comune dell’UE e una condizione necessaria per il conseguimento degli obiettivi comunitari di crescita, occupazione e coesione sociale. L’UE ha compiuto notevoli progressi nell’attuazione della parità tra i generi grazie alla normativa sulla parità di trattamento, all’integrazione della dimensione di genere nelle politiche, ai provvedimenti specifici volti a promuovere la condizione femminile, ai programmi d’azione, al dialogo sociale e al dialogo con la società civile. Il Parlamento europeo è stato un partner importante per la realizzazione di questi progressi. Numerose donne hanno raggiunto i più alti livelli d’istruzione, sono entrate nel mercato del lavoro e hanno svolto ruoli importanti nella vita pubblica. Tuttavia, le diseguaglianze rimangono e possono aggravarsi, poiché l’incremento della concorrenza economica su scala mondiale richiede una forza lavoro più mobile e flessibile. Tali esigenze possono pregiudicare maggiormente le donne, spesso costrette a scegliere tra figli e carriera a causa della scarsa flessibilità degli orari di lavoro e dei servizi di custodia dei bambini, del persistere degli stereotipi di genere nonché dell’ineguale carico di responsabilità familiari rispetto agli uomini. I progressi compiuti dalle donne in settori chiave della strategia di Lisbona come l’istruzione e la ricerca, non si riflettono pienamente nella posizione delle donne nel mercato del lavoro. Si tratta di uno spreco di capitale umano che l’UE non può permettersi. Nel contempo i tassi di natalità ridotti e l’assottigliarsi della manodopera costituiscono una minaccia per il ruolo economico e politico dell’UE”. 202 Il Patto Europeo, allegato alla Tabella di marcia, è lo strumento attraverso il quale il Consiglio europeo incoraggia e promuove l’iniziativa degli stati membri e di Unione nei seguenti settori: P misure per colmare i divari di genere e combattere gli stereotipi di genere nel mercato del lavoro P misure per promuovere un migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata per tutti P misure per rafforzare la governance tramite l’integrazione di genere e un migliore monitoraggio. Con il regolamento (CE) n. 1922/2006 del 20 dicembre 2006 il Parlamento europeo e il Consiglio istituiscono l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere. L’Istituto, come previsto all’articolo 3 sub e) “coordina una Rete europea sull’uguaglianza di genere, con la partecipazione di centri, organismi, organizzazioni ed esperti impegnati nel settore delle problematiche dell’uguaglianza di genere e dell’integrazione della dimensione di genere, con l’obiettivo di sostenere e incoraggiare la ricerca, ottimizzare l’uso delle risorse disponibili e promuovere lo scambio e la diffusione di informazioni”. 203 La consigliera di parità La figura istituzionale del consigliere di parità è sancita dalla legge 125 del 1991. Le attribuzioni e i compiti di quest’ultimo sono stati rivisitati dal Decreto Legislativo 196 del 2000. Nel tempo trascorso tra la redazione della prima norma e quella successiva sono intervenuti diversi cambiamenti. Primo fra tutti un adeguamento lessicale alla declinazione di genere. Nel testo del 1991 si fa espressamente riferimento ai consiglieri al maschile (cfr. art. 8), in quello successivo, del 2000, viene introdotta la doppia declinazione, al maschile e al femminile, fin dal titolo. Si auspica che il progresso avvenuto negli ultimi vent’anni nella declinazione di genere non si limiti alla sola sfera formale di tipo grammaticale ma investa, invece, fenomeni di carattere sostanziale. I compiti demandati dal legislatore al Consigliere/a di Parità prevedono funzioni di promozione e controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e non discriminazione per donne e uomini nel lavoro. Essi svolgono il loro operato a livello regionale e provinciale e, nell’esercizio delle funzioni loro attribuite, sono pubblici ufficiali, e come tali, hanno l’obbligo di segnalare i reati di cui vengono a conoscenza all’autorità giudiziaria. Essi sono nominati con Decreto del Ministero del Lavoro e il loro 205 mandato dura quattro anni con la possibilità di due rinnovi. In particolare la loro azione si articola in interventi volti a: a) rilevare situazioni di squilibrio di genere, al fine di svolgere le funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni previste dalla legge 10 aprile 1991, n. 125; b) promuovere progetti di azioni positive, anche attraverso l’individuazione delle risorse comunitarie, nazionali e locali finalizzate allo scopo; c) promuovere la coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunità; d) sostenere le politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, sotto il profilo della promozione e realizzazione di pari opportunità; e) promuovere l’attuazione delle politiche di pari opportunità da parte dei soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro; f) collaborare con le direzioni provinciali e regionali del lavoro al fine di individuare procedure efficaci di rilevazione delle violazioni alla normativa in materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni, anche mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi; g) diffondere la conoscenza e lo scambio di buone prassi e attività di informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie forme di discriminazioni; 206 h) verificare i risultati della realizzazione dei progetti di azioni positive previsti dalla legge 10 aprile 1991, n. 125; i) collaborare con gli assessorati al lavoro degli enti locali e con organismi di parità degli enti locali. Al fine di armonizzare e monitorare l’azione delle consigliere/i presenti sul territorio il decreto legislativo 196/2000 ha istituito un ufficio nazionale, con una consigliera nazionale, che svolge funzione di raccordo e coordinamento. L’articolo 7 del decreto elenca le azioni positive che si possono intraprendere. A queste si aggiungono quelle previste dall’articolo 9 della legge 53 del 2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) e precisamente: a) progetti articolati per consentire alle lavoratrici e ai lavoratori di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, quali part time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, banca delle ore, orario flessibile in entrata o in uscita, sui turni e su sedi diverse, orario concentrato, con specifico interesse per i progetti che prevedano di applicare, in aggiunta alle misure di flessibilità, sistemi innovativi per la valutazione della prestazione e dei risultati; b) programmi ed azioni volti a favorire il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo un periodo di congedo parentale o per motivi comunque legati ad esigenze di conciliazione; c) progetti che, anche attraverso l’attivazione di reti tra enti territoriali, aziende e parti sociali, promuovano interventi 207 e servizi innovativi in risposta alle esigenze di conciliazione dei lavoratori. Tali progetti possono essere presentati anche da consorzi o associazioni di imprese, ivi comprese quelle temporanee, costituite o costituende, che insistono sullo stesso territorio, e possono prevedere la partecipazione degli enti locali anche nell’ambito dei piani per l’armonizzazione dei tempi delle città. (Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del dicembre 2010 è lo strumento attraverso il quale sono stati finanziati i progetti previsti dall’art. 9 della legge 53/2000 presentati nella primavera del 2011). In questo quadro si inserisce nell’aprile del 2006 (Decreto Legislativo198/2006) il Codice delle Pari opportunità tra uomo e donna a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246. Alla dichiarazione di intenti sintetizzata all’articolo 1: “Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo” fa seguito l’organizzazione degli organismi attraverso i quali garantire l’ossequio di quanto scritto. Si descrivono, perciò, la composizione e i compiti di una Commissione per le Pari Opportunità fra uomo e donna (art. 3) che, istituita presso il Dipartimento per la pari opportunità, fornisce consulenza e supporto al Ministero competente al ramo e il Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed 208 uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per promuovere nell’ambito della competenza statale, la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l’uguaglianza fra uomo e donna nell’accesso al lavoro e sul lavoro e la progressione professionale e di carriera (art. 8). Il Capo IV della norma (artt. 12- 19) è dedicato alle consigliere e i consiglieri di parità. Il Codice prende, poi, in esame al Capo V del testo (art. 21 e 22) il ruolo e i compiti del Comitato per l’imprenditoria femminile così come istituito dalla legge 215/92. Il Libro II tratta della parità in tema di rapporti etico-sociali e del contrasto alla violenza nelle relazioni familiari facendo un espresso rimando alle norme vigenti che regolano le materie. Nel primo caso il rimando è al codice civile, nel secondo alla legge 154 del 2001. Il Libro III è dedicato alle pari opportunità nei rapporti economici. L’articolo 25 recita: “Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga. 2. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri 209 mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”. Il Capo II è dedicato ai divieti di discriminazione nell’accesso al lavoro, nella retribuzione, nella progressione di carriera, nell’accesso alle prestazioni previdenziali, nell’accesso agli impieghi pubblici, nell’arruolamento nelle forze armate e nei corpi speciali, nelle carriere militari e al licenziamento per causa di matrimonio. Il Capo III si occupa di legittimazione processuale, provvedimenti avverso le discriminazioni, ricorsi in via d’urgenza, onere della prova e adempimenti amministrativi e sanzioni. Il Capo IV disciplina l’aspetto della attività e le azioni positive di promozione delle pari opportunità. Il Capo V si occupa di tutela e sostegno della maternità e paternità rimandando al Decreto Legislativo 151 del 2001. Il Titolo II del III Libro è dedicato all’esercizio delle pari opportunità nelle attività imprenditoriali attraverso la riproposizione di contenuti della legge 215 del 1992. L’ultima parte del testo, il Libro IV, è dedicato alle pari opportunità nei rapporti civili e politici con espresso riferimento all’elezione dei membri del Parlamento europeo per i quali una lista non può candidare rappresentanti dello stesso sesso nella misura superiore ai 2/3. Nel giugno del 2010 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha presentato il Programma – obiettivo 210 per l’incremento e la qualificazione dell’occupazione femminile, per il superamento delle disparità salariali e nei percorsi di carriera, per la creazione, lo sviluppo e il consolidamento di imprese femminili, per la creazione di progetti integrati di rete. Il programma prevede diversi tipi di azione. Le prime riguardano quelle rubricate al numero 1. Si tratta di azioni positive volte a promuovere la presenza delle donne negli ambiti dirigenziali e gestionali attraverso percorsi formativi mirati. Il numero 2 risponde all’esigenza di introdurre attività e comportamenti con cui modificare l’organizzazione del lavoro e della valutazione delle prestazioni attraverso l’adozione della certificazione di genere, la sperimentazione di forme incentivanti la conciliazione e il perseguimento di azioni integrate che possano essere documentate e misurate in base ai seguenti parametri: t Superamento delle discriminazioni di genere t Superamento del differenziale retributivo tra uomini e donne t Progressione delle carriere femminili t Occupabilità femminile con flessicurezza Il numero 3 prende in carico le azioni per l’ingresso nel mondo del lavoro di neo laureate e neo diplomate a cui offrire la possibilità di stabilizzazione e il reinserimento di donne uscite precedentemente dal mercato. Al punto 4 l’obiettivo è il consolidamento delle attività di impresa a titolarità e/o prevalenza femminile nella compagine societaria attraverso studi di fattibilità per lo sviluppo di nuovi prodotti anche in 211 settori emergenti come la Green Ecomony e interventi di mentoring, counselling e formazione. L’ultimo punto, il 5, riguarda la qualità della vita delle lavoratrici migranti che dovrà essere presa in carico da un ampio partenariato tra cui è richiesta l’obbligatoria presenza di un ente pubblico e di una associazione femminile. Successivamente al Programma Obiettivo nel febbraio 2010 è entrato in vigore il Decreto Legislativo n. 5 che ha dato attuazione alla Direttiva 2006/54/UE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. Risale al marzo del 2010 la pubblicazione della Direttiva 2010/18/UE in materia di congedi parentali che abroga e sostituisce la precedente direttiva 96/34/CE del 1996 recependo l’accordo quadro sottoscritto a giugno del 2009 dalle parti sociali europee. Nella nuova formulazione, improntata ad un generale miglioramento della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, si dà la possibilità agli stati membri di legiferare in modo più favorevole rispetto a quanto previsto dall’accordo quadro, si stabilisce la durata del congedo parentale in 4 mesi (per la nascita o l’adozione di un figlio) da usufruire fino al raggiungimento degli otto anni di età del bambino, si configura l’applicazione del dettato di legge a tutti i lavoratori dipendenti di ambo i sessi indipendentemente dalla forma del contratto o del rapporto di lavoro, si riconosce ai genitori che rientrano al lavoro al termine del congedo parentale la possibilità di 212 chiedere, per un periodo di tempo determinato, l’adattamento delle loro condizioni di lavoro, si riconosce maggiore protezione contro il licenziamento nonché contro ogni trattamento sfavorevole legato all’esercizio del diritto al congedo parentale e si obbligano gli Stati membri a predisporre un impianto sanzionatorio per le violazioni delle disposizioni nazionali adottate ai sensi della direttiva stessa. Le sanzioni, per essere degne di questo nome, devono essere effettive, proporzionate e dissuasive. Il congedo parentale è definito come un diritto individuale e non come una possibilità di accordo tra i coniugi pertanto per incoraggiare i padri a usufruirne la Direttiva suggerisce agli Stati membri di prevedere che, almeno uno dei quattro mesi, non sia assolutamente trasferibile tra i genitori. Dati i tempi di recepimento accordati dalla UE per fare una valutazione di impatto sulle nuove norme bisognerà attendere la fine del 2012. L’applicazione del principio delle pari opportunità per coloro che svolgono un lavoro in forma autonoma, o che ad essa con il loro operato contribuiscano, in tutti i settori produttivi, anche quello agricolo, è previsto dalla Direttiva 2010/41/UE (che abroga la 86/613/CE) che espleterà appieno i suoi effetti entro l’agosto del 2014. Nel settembre del 2010 la Commissione UE si è incamminata su un percorso strategico di durata quinquennale organizzato in una Road map incardinata su cinque linee prioritarie da perseguire in raccordo con quanto previsto dal quadro della Strategia Europa 213 2020. In particolare si tratta di lavorare su: economia e mercato del lavoro, parità salariale, parità nei posti di responsabilità, contrasto alla violenza di genere e promozione della parità nei paesi extra UE. Non vanno dimenticate le norme introdotte dal Collegato al Lavoro, la legge 183/2010, con gli articoli dedicati al lavoro delle donne. In particolare è da menzionare l’articolo 16 del Testo che disciplina la possibilità per la Pubblica amministrazione di valutare la concessione del part time. Si introduce, così, una rilettura del rapporto contrattuale del pubblico impiego parificato a quello al settore privato per agevolare la flessibilità lavorativa.49 Degno di nota è anche l’articolo 21 che istituisce il Comitato unico di garanzia nella Pubblica amministrazione per la promozione e la tutela delle Pari opportunità. Al comma 3 si legge: “Il Comitato unico di garanzia, all’interno dell’amministrazione pubblica, ha compiti propositivi, consultivi e di verifica e opera in collaborazione con la consigliera o il consigliere nazionale di parità. Contribuisce all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, migliorando l’efficienza delle prestazioni collegata alla garanzia di un ambiente di lavoro caratterizzato dal rispetto dei principi di pari opportunità, di benessere organizzativo e dal contrasto di qualsiasi forma di discriminazione e di violenza morale o psichica per i lavoratori”. Il successivo art. 23 delega il Governo al riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi mentre l’art. 33 ____________ 49 La norma va’ letta alla luce della legge 150/2009. 214 ridisegna la conciliazione e l’arbitrato nelle controversie di lavoro e introduce una pluralità di mezzi di composizione di queste ultime. L’articolo 46, poi, riapre i termini per l’esercizio delle deleghe in materia di ammortizzatori sociali, servizi per l’impiego, incentivi all’occupazione e apprendistato e la revisione dell’occupazione femminile 50 fino al 2011. ____________ 50 Le deleghe oggetto di conferimento sono previste dalla legge 247/2007. 215 Le nuove professioni nate dalla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro Dai progetti svolti in materia di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro e buone prassi individuate emergono nuove figure professionali, in parte mutuate dal mondo della formazione professionale e l’orientamento al mercato del lavoro, in parte rintracciabili nell’esperienza aziendale e in parte nate ad hoc. Del primo gruppo fa parte l’esperto di bilancio delle competenze, un soggetto in grado di lavorare con le persone per sostenerle nel processo di individuazione delle conoscenze/competenze/abilità maturate nel corso del tempo. Questa figura assume importanza nell’attuale mercato del lavoro poiché è di aiuto nel ricostruire il percorso biografico e professionale di coloro che hanno svolto lavori e prestazioni diverse nell’arco del tempo. Ricostruire il bagaglio professionale che un individuo può spendere nel mercato del lavoro non è un’operazione asettica e indolore poiché porta a riflettere su ciò che a volte si tende a far scivolare ai margini della consapevolezza attraverso un meccanismo di rimozione volto a ridurre lo stress e il senso di disagio. Indagare su ciò che si è imparato, mettendo insieme percorsi di studio formali e informali, esperienze di lavoro regolari e irregolari, opportunità mancate e aspettative andate deluse 217 rappresenta un processo di analisi esistenziale che ha un costo in termini emotivi. Non ci si limita a elencare quello che si sa fare e che può trovare collocazione sul mercato ma ci si addentra nei motivi delle scelte compiute in materia di studi, di creazione di una famiglia, di desiderio di maternità, di accudimento di genitori e/o parenti malati o anziani. E’ un’operazione delicata cui vanno dedicati tempo e attenzione. Alla fine del percorso il soggetto guidato avrà una maggior consapevolezza del proprio bagaglio professionale. Al termine di questo intervento di consulenza si pone un’altra figura, anch’essa appartenente all’area della formazione professionale, l’orientatore. Quest’ultimo, presente anche nelle strutture pubbliche dei centri per l’impiego e in alcune amministrazioni locali che si sono dotate di sportelli di consulenza, ha il compito di indirizzare il soggetto in cerca di occupazione tenendo conto del bilancio di competenze. Ad egli/ella spetterà illustrare le modalità e gli strumenti per una ricerca attiva del lavoro attraverso la predisposizione di un curriculum vitae e il suo inserimento in banche dati on line, l’iscrizione alle agenzie di lavoro interinali, la consultazione degli annunci di lavoro etc. Una figura che si è sviluppata a cavallo tra il contesto della formazione professionale e quello aziendale è il tutor. Nel primo caso si tratta di una persona che rappresenta il trait d’union tra il coordinatore del corso e i discenti perché il suo lavoro si sostanzia nell’accompagnare lo svolgimento delle attività corsuali attraverso il disbrigo di alcune 218 pratiche amministrative come far firmare le presenze sul registro, calcolare le ore di presenza, assicurarsi che i docenti siano in aula secondo quanto previsto dal calendario didattico etc. ma svolge anche il compito di raccordo tra docenti, coordinatore e allievi rilevando le esigenze dei vari soggetti che insorgono durante le attività. Nel secondo caso, il contesto aziendale, il tutor è la persona che prende in carico una o più persone, per un periodo di apprendimento limitato nel tempo (stage, apprendistato, borsa di studio) o per l’inserimento di un lavoratore in azienda. Nel secondo gruppo, quello che fa capo al mondo aziendale, si è sviluppata la figura del coach. Esso svolge il suo lavoro di supporto prima, durante e dopo l’assenza dal lavoro per il congedo di maternità. Di norma ci si rivolge al rientro al lavoro quando il congedo è terminato. Nella delicata fase in cui una donna deve riprendere il ritmo lavorativo e conciliarlo con quello familiare. Il ruolo del coach è fondamentalmente rivolto al supporto motivazionale. La figura di supporto facilita un processo di consolidamento della consapevolezza della madre che si è allontanata dal luogo di lavoro facendola riflettere sulle proprie capacità e aiutandola nello sviluppo delle proprie potenzialità. Ancora nello stesso gruppo troviamo il counsellor che fornisce un aiuto psicologico, non terapeutico, alle madri che rientrano al lavoro dopo il congedo di maternità. La figura del counsellor è presente nell’esperienza realizzata nell’ambito della legge 53/2000 sui congedi parentali. 219 Vi è, poi, il mentor, una figura professionale assimilabile al tutor poiché ha il compito di trainer dei neoassunti. Ad egli/ella vengono affidate le persone che sostituiscono i lavoratori in congedo di maternità o parentale per il periodo della sostituzione e, una volta terminata questa, segue i lavoratori che rientrano in azienda. Dell’ultimo gruppo fa parte il diversity leader cui viene affidato il compito di mediare le diversità di genere, cultura ed etnia ed età nel processo di conciliazione tra i tempi di vita e quelli di lavoro. Il suo compito è agevolare un processo di armonizzazione in cui ognuno dia il suo contributo per la crescita del contesto lavorativo in cui opera. Nuova figura professionale è anche il mobility manager, nata a seguito del Decreto Ministeriale che riguarda la mobilità sostenibile nelle aree urbane.51 Questa figura professionale è prevista per due ambiti: quello pubblico e quello privato. Nel primo caso essa opera negli uffici comunali deputati all’organizzazione del traffico sul territorio cittadino dei grandi comuni. Nel secondo caso, quello delle imprese, essa viene in rilievo perché interviene a individuare soluzioni alternative allo spostamento con auto privata (car pooling, car sharing, taxi collettivo, navette etc.). Il Decreto menziona come realtà in cui debba essere presente un responsabile della mobilità del personale l’impresa con oltre 800 dipendenti e l’ente pubblico con oltre 300 dipendenti per “unità locale”. ____________ 51 Decreto del 27.03.98. 220 Altro profilo professionale di recente apparso sul mercato è il referente aziendale per il coordinamento dei problemi di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro. Questa figura è, di solito, ricoperta dal responsabile del personale o dallo psicologo del lavoro. Il suo compito è quello di trasferire ai lavoratori le informazioni sulla normativa di settore e sull’esistenza di organismi che si occupano della materia. Ascolta le istanze e le necessità dei dipendenti e le presenta ai vertici dell’impresa e alle rappresentanze sindacali per favorire l’adozione di misure volte alla conciliazione. Altrettanto innovativa è la figura del coordinatore work-family che ricerca soluzioni per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro attivandosi anche per la sottoscrizione di convenzioni da parte dell’azienda affinché i lavoratori possano usufruire di servizi utili attivi sul territorio. L’obiettivo è quello di soddisfare sia le esigenze dell’impresa che quelle dei lavoratori. In ultimo, vi è, il maggiordomo aziendale. Questa figura, che sta prendendo piede in diverse realtà produttive del Centro Nord del Paese, si prodiga per risolvere problemi quotidiani come il reperimento di baby sitter, di artigiani per interventi di manutenzione domestica, la prenotazione di biglietti per eventi, la prenotazione di alberghi, la spesa, il pagamento delle bollette. Il risultato può essere garantito anche attraverso l’emissione di voucher o di stipula di convenzioni con agenzie esterne che forniscono i servizi richiesti. 221 Le nuove professioni fin qui richiamate sono volte a connotare l’azienda come luogo e contesto family friendly in cui le necessità quotidiane vengono affrontate insieme nella consapevolezza che tale atteggiamento renda più facile destreggiarsi tra l’organizzazione della vita quotidiana e il lavoro. In tal modo l’impresa fidelizza i suoi lavoratori, ne aumenta la produttività e li supporta nella gestione del tempo “altro”. 222 La normativa di settore La legge 125/91 recante “Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro” è la pietra miliare con la quale si sono introdotte delle attività volte a favorire la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Con questo strumento si può intervenire per rimuovere gli ostacoli che, di fatto, rendono impossibile tale parità. La prima finalità perseguita dalla norma riguarda il cambiamento culturale. Fino a quando rimarranno vivi e radicati gli stereotipi in base ai quali gli uomini lavorano e le donne si occupano della casa e della famiglia le donne lavoratrici saranno l’eccezione e non la regola. Fino a quando le donne saranno le sole a doversi occupare di accudimento di figli e/o parenti anziani e non autosufficienti il loro diritto al lavoro sarà residuale. La loro funzione di produttrici di reddito, sembra infatti, essere bene accetta a patto che non pregiudichi il loro ruolo di conduzione della vita familiare quotidiana. Per tale motivo la progressione di carriera viene subordinata alla nascita e l’accudimento dei figli. Con la legge 125 si è cercato il superamento di tale mentalità veicolando un messaggio dirompente: non esistono lavori da uomo e lavori da donna. Basta con la segregazione orizzontale e verticale. Basta, cioè, con il restringere gli ambiti di lavoro delle donne ai soli ritenuti “femminili” e via allo sfondamento una volta per tutte del “soffitto 223 di cristallo”. Secondo alcuni il concetto di sfondamento andrebbe graduato distinguendo il soffitto di vetro per i casi in cui la frangibilità risulta difficile ma possibile e il soffitto di cristallo laddove la chiusura sia totale e quindi non superabile. Lo strumento legislativo in esame consente di presentare progetti per il finanziamento di azioni positive da parte di soggetti pubblici, soggetti privati, sindacati e associazioni. L’intento è chiaro: tutti si possono impegnare affinché cambi il mondo del lavoro. E il cambiamento deve essere sostenuto dal basso secondo un approccio bottom up. La letteratura riporta numerose esperienze, alcune più efficaci altre meno, tutte accomunate dalla volontà di partecipare al processo di cambiamento. Un processo che le meno giovani tra le donne sanno essere difficile e ostacolato dalle resistenze tanto più un cambiamento di tale portata, un sovvertimento di un modello socioculturale stratificato e consolidato. Un altro passo importante sulla via dell’emancipazione femminile risale al 2000 con l’approvazione della legge n. 53 che reca: “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città” La norma accorda la possibilità, non solo alle donne ma anche agli uomini, di astenersi dal lavoro in occasione della nascita di un figlio, di usufruire di interventi formativi, prevede un sostegno ai soggetti portatori di handicap e si preoccupa della flessibilità di orario anche nell’organizzazione della vita urbana. Il duplice intento risponde a esigenze di natura diverse. Il primo 224 di essi riguarda un’innovativa rivisitazione del ruolo paterno. Anche gli uomini possono beneficiare di un tempo da dedicare al proprio figlio appena nato o al figlio adottato che si inserisce nel nucleo familiare. Purtroppo i dati mostrano, ad oggi, uno scarso ricorso a questa possibilità da parte dei genitori maschi. L’esiguità dei congedi maschili viene spiegata da alcuni alla luce di un ragionamento economico, da altri come una resistenza culturale. Secondo parte dei commentatori, poi, quella di far rimanere la madre, e non il padre, con il figlio sarebbe frutto di una decisione condivisa all’interno della coppia, secondo altri il risultato di una decisione monocratica della donna. Il secondo intento perseguito dal legislatore verte sulla riorganizzazione dei tempi urbani da realizzarsi tenendo conto delle esigenze delle famiglie. Secondo uno studio condotto dalla Fondazione ANCI Ricerche CITTALIA nel 2010 il giudizio che le donne danno, dopo dieci anni di vigenza della norma, è negativo. Ciò che si lamenta è il perdurare di orari di fruizione di alcuni servizi ritenuti inadeguati all’organizzazione della tempistica lavoro/famiglia. Nello specifico si lamenta la difficoltà a recarsi presso sportelli comunali, studi medici di base, ambulatori e scuole. I suggerimenti dati per migliorare la situazione riguardano un orario di apertura più lungo e una maggior informatizzazione della Pubblica Amministrazione con la possibilità di fruire di maggiori servizi on line, una riduzione del traffico stradale che possa ridurre i lunghi tempi per gli spostamenti e una maggior flessibilità negli orari delle strutture medico-sanitarie. 225 Accanto al comportamento dei singoli (i genitori) e della Pubblica amministrazione (uffici locali) la norma si occupa anche del settore privato. Al contesto aziendale si chiede, in accordo con le parti sociali, di sperimentare percorsi che possano conciliare tempi di vita e di lavoro. Su quest’ultimo aspetto si sofferma l’articolo 9 della legge che riguarda la flessibilità degli orari lavorativi, l’organizzazione di interventi formativi al momento del rientro in azienda, la sostituzione per i titolari di impresa. Le azioni previste da quest’articolo sono state ampliate dalla legge finanziaria per l’anno 2007 (296/2006) che rende possibile alle madri e i padri usufruire di particolari forme di flessibilità nell’organizzazione e nei tempi del lavoro (part time reversibile, lavoro a domicilio, telelavoro, etc.) accordando una priorità ai genitori di bambini fino ai 12 anni di età, e in caso di adozione o affidamento, fino ai 15. Sono previsti, inoltre, interventi formativi per il reinserimento al lavoro per i genitori che si siano allontanati per un periodo superiore ai 60 giorni, sostituzioni per i lavoratori autonomi, e misure di accompagnamento per i lavoratori con figli minori disabili o anziani non autosufficienti. Due anni più tardi con la legge 69 del 2009 l’articolo 38 recepisce le istanze manifestatesi nel corso del tempo disponendo modifiche in ordine ai soggetti proponenti, alle condizioni di accesso alle agevolazioni, all’introduzione del criterio della valutazione degli interventi, all’introduzione di servizi innovativi e reti territoriali e alla possibilità per i 226 lavoratori autonomi non solo di avvalersi di una sostituzione ma anche di finanziare una collaborazione. Il processo legislativo fin qui richiamato è la risultante di diverse azioni e buone prassi. Tra queste è importante ricordare il Trattato di Amsterdam del 1997 che ha sancito l’impegno della Comunità europea nell’adozione del mainstreaming di genere e la strategia di Lisbona che ha individuato tra le priorità fondamentali l’innalzamento del livello occupazionale delle donne fissato al 60% e la copertura territoriale dei servizi per l’infanzia da 0 a 3 anni al 33% per il 2010. Traguardi purtroppo ancora lontani. L’Isfol, infatti, nel primo caso riporta un mancato raggiungimento dell’obiettivo con tassi di occupazione femminile fermi al 46,4% che fanno registrare un gap di genere intorno ai 20 punti percentuali e nel secondo, la numerosità degli asili nido, segnala un raggiungimento insufficiente fermo appena al 12%. In entrambi i casi i numeri si riferiscono a medie nazionali ma la situazione è profondamente diversa da regione a regione. Va inoltre menzionato, nell’elenco delle azioni che hanno portato linfa al processo legislativo, il regolamento COM 2004/92 con cui la Commissione Europea ha tracciato le linee per la programmazione strategica per il periodo 2007-13. In esso compaiono, tra i servizi di qualità da promuovere, anche quelli relativi alla conciliazione. Per facilitare l’adozione di nuove prassi nel 1999 il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha istituito il VISPO 227 (Valutazione Impatto Strategico Pari Opportunità) cui è affidato il compito di affiancare gli enti locali nella predisposizione di attività progettuali trasferendo modelli metodologici di successo, elaborando modelli valutativi circa l’attuazione del mainstreming di genere e promuovendo la formazione di reti e partenariati locali. La struttura ministeriale fornisce informazioni utili e indirizzi in merito alle aree strategiche individuate dai Fondi strutturali sulle quali lavorare: miglioramento delle condizioni di vita per rispondere alle necessità delle donne, rimozione degli ostacoli all’accesso del mercato del lavoro, accesso alla formazione continua, redistribuzione dei carichi di lavoro di cura e sostegno all’autoimprenditorialità. Il 29 aprile 2010 la Conferenza Unificata ha sancito l’Intesa sui criteri di ripartizione delle risorse le finalità, le modalità attuative nonché il monitoraggio del sistema di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ai sensi dell’articolo 8 comma 6 della legge 131/2003. Tale Intesa, sottoscritta da Governo, Regioni, Province Autonome ed Enti Locali, rientra nello strumento di programmazione sottoscritto dal Ministro per le Pari opportunità e dal Ministro del Lavoro nel dicembre 2009 “Italia 2020. Programma di azioni per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro”. Essa si propone di rafforzare la disponibilità dei servizi e/o degli interventi di cura alla persona per favorire la conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro e potenziare i supporti finalizzati a consentire alle donne la permanenza, o il rientro, nel mercato del 228 lavoro. Tali obiettivi sono da realizzare attraverso: la creazione o l’implementazione di nidi, nidi famiglia, servizi e interventi similari (mamme di giorno, educatrici familiari o domiciliari etc.) definiti nelle singole realtà territoriali, facilitazione per il rientro al lavoro di lavoratrici che abbiano usufruito di congedi e per motivi comunque legati a esigenze di conciliazione anche tramite percorsi formativi e di aggiornamento, acquisto di attrezzature hardware e pacchetti software, attivazione di collegamenti ADSL etc, erogazione di incentivi all’acquisto di servizi di cura in forma di voucher per i servizi offerti da strutture specializzate (nidi, centri diurni/estivi per minori, ludoteche, strutture sociali diurne per anziani e disabili etc.) o in forma di “buono lavoro” per prestatori di servizio (assistenza domiciliare, pulizia etc.), sostegno a modalità di lavoro e tipologie contrattuali (part time, telelavoro) e tutti gli altri interventi predisposti dalle Regioni e dalle Province autonome in linea con gli obiettivi dell’Intesa. All’intesa fa seguito l’accordo siglato dal Ministero del Lavoro e dalle Parti sociali il 7 marzo del 2011 in cui si ribadisce la centralità della flessibilità come strumento di conciliazione tra lavoro e vita familiare. Affinché essa diventi corredo naturale previsto dai contratti le parti si sono impegnate a vagliare le buone prassi esistenti e diffonderle come pratiche da adottare. 229 Tipologie di congedo previste dalla normativa Il congedo per maternità prevede un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro. Alle donne è riconosciuto il diritto di astenersi dal lavoro due mesi primi dalla presunta data del parto e tre mesi dopo la nascita del figlio. Ma si può scegliere, laddove il medico competente certifichi la buona salute di madre e nascituro, di continuare a lavorare fino a un mese prima del parto per rimanere a casa quattro mesi dopo la nascita del figlio. Le lavoratrici in attesa di un figlio hanno diritto ad usufruire di permessi retribuiti per sottoporsi ad esami clinici e visite mediche nel caso in cui queste debbano essere eseguite durante l’orario di lavoro. La legislazione in vigore prevede l’astensione obbligatoria pari a tre mesi anche per i genitori adottivi o affidatari di bambini di età non superiore ai sei anni. I tre mesi presi in considerazione sono quelli successivi all’ingresso del bambino nel nucleo familiare. Nel caso di adozioni e/o affidamenti internazionali il limite dei sei anni è innalzato. La misura dell’indennità è pari all’80% del trattamento economico. Alle lavoratrici dipendenti che partoriscono prematuramente è riconosciuto il diritto di sommare i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del 231 parto al periodo di astensione successiva alla nascita del figlio. Il congedo per paternità prevede l’astensione dal lavoro nei tre mesi successivi alla nascita del figlio in caso di morte o grave infermità della madre, abbandono del figlio da parte di quest’ultima o affidamento esclusivo del padre. L’indennità prevista è pari a quella per il congedo di maternità. In caso di adozione il padre può chiedere il congedo in alternativa a quello della madre lavoratrice dipendente. Il congedo parentale è il diritto riconosciuto ad entrambi i genitori che lavorano di astenersi dal lavoro durante i primi 8 anni di età del bambino per un periodo massimo di dieci mesi così suddiviso: alla madre che lavora allo scadere dell’obbligatorietà per massimo sei mesi frazionati o continuativi, al padre per massimo sei mesi frazionati o continuativi, se il padre usufruisce di almeno tre mesi consecutivi il limite di 6 mesi passa a 7 e il limite massimo previsto da 10 a 11 mesi. I due genitori possono usufruire contemporaneamente del congedo. Per quanto riguarda il trattamento economico esso prevede una indennità pari al 30% della retribuzione sino ai 3 anni del bambino e per un periodo massimo complessivo di 6 mesi copertura figurativa normale, per il restante periodo sia che venga effettuata dopo i 6 mesi entro i 3 anni del bambino, sia che venga usufruito dai 3 agli 8 anni, l’indennità del 30% è prevista solo se il reddito del richiedente è inferiore ad un certo importo. 232 I congedi parentali valgono anche in caso di adozione e affidamento nazionale e internazionale. Dal 1° gennaio del 2000 anche alle lavoratrici autonome è stato riconosciuto il diritto all’astensione facoltativa. Tale diritto non è riconosciuto ai padri lavoratori autonomi. Il congedo per malattia del figlio riconosce un periodo di astensione dal lavoro per entrambi i genitori che alternativamente possono richiederlo fino al compimento dell’ottavo anno d’età. Le assenze per malattie di figli con meno di tre anni non hanno limite. Nel periodo compreso fra i tre e gli otto anni del bambino ciascun genitore ha diritto a cinque giorni all’anno. La copertura figurativa è normale fino ai tre anni del bambino ed è assimilata a quella del congedo parentale nel periodo compreso fra i tre e gli otto anni. La materia del congedo parentale è stata rivisitata dall’Accordo quadro sul congedo parentale firmato dalle parti sociali europee nel giugno del 2009. Esso è parte integrante della Direttiva comunitaria 2010/18/UE del marzo 2010. In base a tali disposizioni gli stati membri sono tenuti ad ottemperare al disposto entro il marzo 2012 o, in caso di oggettive difficoltà, possono chiedere di beneficiare di una proroga di 12 mesi. E’ interessante notare che la clausola numero 2 dell’Accordo quadro recita: “il congedo è accordato per un periodo minimo di quattro mesi e, per promuovere la parità di opportunità e di trattamento tra gli uomini e le donne, andrebbe previsto, in linea di principio, in forma non trasferibile. Per incoraggiare una più equa ripartizione del congedo parentale tra i due genitori, almeno uno dei quattro mesi è attribuito in forma non trasferibile. Le modalità di 233 applicazione del periodo non trasferibile sono fissate a livello nazionale attraverso la legislazione e/o contratti collettivi, tenendo conto delle disposizioni sul congedo in vigore negli Stati membri”. Allo stesso modo è interessante segnalare quanto previsto alla successiva clausola 5 riguardo al rientro al lavoro successivamente al congedo: “Al termine del congedo parentale, il lavoratore ha diritto di ritornare allo stesso posto di lavoro o, qualora ciò non sia possibile, ad un lavoro equivalente o analogo che corrisponde al suo contratto o al suo rapporto di lavoro”. La menzione esplicita della clausola trova una ragion d’essere nella numerosità dei casi segnalati da donne che, dopo la nascita del primo figlio, hanno visto un arresto della propria progressione di carriera con cambio di mansioni. Il congedo per la formazione si riferisce a tutte le attività diverse da quelle organizzate e poste in essere dal datore di lavoro durante l’orario di lavoro. Del congedo possono usufruire i dipendenti, pubblici e privati, che hanno maturato almeno cinque anni di anzianità presso la stessa azienda per un periodo massimo di undici mesi continuativo o frazionato nell’arco dell’intera vita lavorativa. Il datore di lavoro può non accogliere la richiesta e differirla in ragione di motivi organizzativi interni . Il congedo per la formazione continua è previsto poiché la politica di programmazione della UE riconosce la formazione come uno dei pilastri fondamentali sia nelle politiche a favore dei cittadini che in quelle a favore dei lavoratori. Nel caso in cui sia l’azienda a organizzare le attività formative, pagandole o accedendo alle risorse dei fondi interprofessionali, la formazione si svolge durante l’orario di lavoro. 234 La programmazione in Campania Nel 2000 la Regione Campania istituisce, per la prima volta, la delega assessorile in materia di Pari opportunità che, successivamente, sarà affiancata dal servizio Pari Opportunità e dagli organismi paritetici: Comitato per le Pari Opportunità, Commissione Regionale per le Pari Opportunità e Consulta Regionale Femminile. Con l’attuazione del Piano Operativo Regionale 2000-2006 furono nominati un Comitato Tecnico e un team di animatrici. Attualmente sono in via di insediamento le rinnovate Commissione Regionale per le Pari Opportunità e Consulta Regionale Femminile. Il Quadro Strategico Nazionale del 2006 individua come uno dei fattori di ritardo nello sviluppo regionale il basso tasso di presenza delle donne nel mercato del lavoro ed evidenzia la necessità di adottare misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per porvi rimedio. In esso viene acclarato che allinearsi al principio di mainstreaming di genere risulta cardine trasversale della programmazione dei Piani Operativi 2007-2013. Nel 2007 la Campania interviene sulla materia con la legge regionale n. 11 che reca: “legge per la dignità sociale e la cittadinanza sociale, attuazione della legge 8 novembre 2000, n. 328”. Con questa norma si disciplina 235 il contesto degli interventi di sostegno sociale volti a garantire pari diritti di cittadinanza attraverso la creazione di un modello territoriale improntato alla coesione. Successivamente si è proceduto ad adottare il Piano Sociale Regionale attraverso cui si sono programmati gli interventi. In esso è fatta espressa menzione del rispetto del principio delle pari opportunità in ogni attività. Nel febbraio del 200852 viene approvato il Piano strategico Triennale per l’attuazione delle politiche delle pari opportunità e dei diritti per tutti che troverà attuazione nella successiva Delibera di Giunta Regionale n. 661 dell’11 aprile. Il piano si fonda su tre pilastri: sviluppo, inclusione sociale e sicurezza. Gli obiettivi strategici da perseguire sono: 1) sostegno dell’occupazione femminile, miglioramento della partecipazione attiva al mercato del lavoro e riequilibrio della presenza femminile nei contesti di sottorappresentazione, 2) conciliazione tra tempi di vita privata e di lavoro, 3) prevenzione e contrasto a ogni forma di discriminazione, violenza e sfruttamento ai danni delle donne e dei soggetti svantaggiati. La prima priorità strategica vede come aree di intervento: t riduzione della segregazione orizzontale e verticale, inserimento e il reinserimento lavorativo ____________ 52 D.G.R. 278 del 08.02.08. 236 t potenziamento e razionalizzazione dei servizi di supporto alla partecipazione attiva al mercato del lavoro t valorizzazione delle propensioni all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità t promozione della flexicurity nei contesti lavorativi, incentivazione delle forme di stabilizzazione dei posti di lavoro t riequilibratura della presenza nei settori lavorativi in cui le donne sono sottorappresentate t incentivazione dell’emersione del lavoro sommerso t tutela del diritto all’istruzione e pari opportunità di accesso alla formazione. Le azioni chiave individuate sono: t erogazione di aiuti alle imprese per favorire l’inserimento delle donne nel sistema produttivo t sperimentazione di strumenti integrati di finanza innovativa (microcredito, istituzione di un fondo di garanzia, maternale) a sostegno dell’autoimpiego, della creazione e del consolidamento delle imprese femminili t consolidamento di servizi per l’occupabilità e l’occupazione, attraverso l’adozione di protocolli e/o forme di raccordo e l’integrazione con le altre politiche del lavoro e di sviluppo delle attività produttive t costruzione di sistemi di certificazione e premialità per le imprese che adottino condotte socialmente 237 responsabili, orientate al rispetto della qualità del lavoro e gender sensitive t attivazione di percorsi formativi per la costruzione di un modello identitario di pianificazione e gestione delle politiche di sviluppo gender oriented t adozione di forme di incentivi per l’attivazione di progetti life-long training finalizzati alla valorizzazione, all’adeguamento e al potenziamento delle competenze professionali femminili t costruzione di percorsi di emersione rivolti principalmente alle figure professionali operanti nei settori dei servizi alla persona, di cura e di prossimità. Relativamente al secondo obiettivo strategico, quello della conciliazione tra tempi di vita privata e professionale/lavorativa, le azioni sono state programmate secondo un approccio definito nel documento di programmazione “multifattoriale” poiché tiene conto di tre dimensioni : lo stile di vita, le condizioni in cui si esplicano le attività lavorative e la gestione dello spazio territoriale e del tempo libero. Le finalità da perseguire indicate sono: t promuovere la cultura della qualità della vita e dell’armonizzazione dei tempi e favorire la libertà di scelta degli individui in relazione ai propri stili di vita t favorire il miglioramento e il potenziamento delle infrastrutture per il sociale e il tempo libero, incrementando la dotazione strutturale e i servizi, in un quadro di redistribuzione del lavoro di cura 238 t promuovere sistemi integrati di servizi che adottino modalità organizzative personal e family friendly, con particolare riferimento alle aree rurali e agli agglomerati industriali t favorire la flessibilità dei contesti lavorativi per renderli più compatibili con le esigenze degli individui e delle famiglie t favorire l’armonizzazione dei tempi delle città, con particolare riguardo al sistema dei trasporti e ai servizi pubblici locali. Le azioni chiave individuate: t elaborazione di approcci, percorsi e strumenti in grado di implementare politiche di conciliazione integrate t incentivi alla costruzione e alla gestione flessibile di strutture e servizi a supporto della conciliazione per le famiglie (asili nido, baby parking, ludoteche, centri ricreativi e socio-riabilitativi, campi scuola estivi, centri diurni, auditorium) t formazione specializzata continua e regolamentazione delle professioni di cura e assistenza (baby sitter, badanti, educatrici, collaboratori/trici domestici, operatori socio-assistenziali e sociosanitari) t introduzione di strumenti per il ricorso al lavoro flessibile da parte della forza lavoro maschile a integrazione e supporto della vigente normativa nazionale 239 t erogazione voucher di conciliazione per l’acquisto di servizi finalizzati a favorire l’armonizzazione dei tempi (cura, custodia, educazione, formazione, ricreazione, accompagnamento, trasporto) t adozione di protocolli per la programmazione integrata dei servizi sociali e sanitari in ottica di conciliazione t sottoscrizione di protocolli di intesa con gli Enti locali per la sperimentazione di azioni pilota sui tempi della città t creazione e potenziamento di servizi a sostegno delle famiglie che vivono nelle aree rurali con particolare riferimento ai servizi di sostituzione, anche attraverso l’attivazione di protocolli con l’Assessorato all’Agricoltura e Attività Produttive t definizione concertata di strategie/programmi/ interventi per l’adeguamento delle aree di insediamento produttivo con strutture e servizi alla persona t ideazione di campagne di sensibilizzazione e di azioni info/formative rivolte al vasto pubblico e agli stakeholder territoriali. L’ultima dimensione presa in carico dal Piano è quella della Prevenzione e contrasto ad ogni forma di discriminazione, violenza, sfruttamento, traffico e prostituzione ai danni delle donne e delle bambine. Per quest’ultima gli obiettivi da perseguire sono: t promuovere una cultura di contrasto ad ogni forma di violenza ai danni delle donne e delle bambine 240 t promuovere politiche di inclusione sociale per le donne vittime del traffico t creare sistemi integrati e reti di prevenzione e assistenza costituite dai diversi attori istituzionali e operatori sociali t contribuire alla creazione di nuovi modelli di accoglienza e assistenza alle donne vittime di violenza e/o traffico t potenziare e valorizzare le strutture di servizi materiali e immateriali a sostegno delle donne vittime di violenza o tratta t consolidare le buone prassi già attivate in tema di inserimento socio-lavorativo delle vittime della tratta, le prostitute o prostituite t promuovere la diffusione di interventi di riduzione del danno per le prostitute Le azioni chiave da esperire: t campagne di sensibilizzazione e informazione rivolte al vasto pubblico e/o mirate a utenze specifiche (scuole, pubbliche istituzioni, servizi territoriali) contro la violenza di genere t sottoscrizione di protocolli di intesa e partenariati tra attori istituzionali (forze dell’ordine, ASL, Aziende Ospedaliere, questure) e organizzazioni del privato sociale per la creazione di protocolli integrati di prevenzione, assistenza e presa in carico delle donne vittime di violenza e maltrattamento t organizzazione di percorsi formativi specialistici per gli operatori delle Forze dell’Ordine, delle 241 emergenze ospedaliere e di tutti i soggetti coinvolti nella denuncia e nella presa in carico di donne soggetti di violenze e/o maltrattamenti e abusi t regolamentazione della L.R. 11/05 e ridefinizione della dotazione finanziaria in funzione dei fabbisogni territoriali emersi t mappatura delle strutture di accoglienza, classificazione in funzione della tipologia di utenti (donne vittime di violenza, donne trafficate, donne prostituite) e potenziamento dei servizi t rilevazione delle presenze e delle caratteristiche della popolazione di prostitute e vittime del traffico in Regione Campania t formazione di base e/o professionalizzante per l’inserimento socio-lavorativo delle donne vittime di tratta e/o sfruttamento sessuale t sottoscrizione di convenzioni e/o protocolli con associazioni datoriali e/o imprese per la costruzione di percorsi individualizzati di inserimento lavorativo delle donne vittime di tratta e/o della prostituzione t incentivazione e rafforzamento dei servizi di bassa soglia orientati alla riduzione del danno per prostitute t azioni di prevenzione e riduzione del rischio di esclusione sociale per le bambine residenti in contesti svantaggiati e di degrado. La Regione nell’aprile 2011, in vista della firma dell’Intesa sui criteri di ripartizione delle risorse le finalità, 242 le modalità attuative nonché il monitoraggio del sistema di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, predispone le schede tecniche per la realizzazione delle seguenti finalità specifiche: t creazione o implementazione di nidi, nidi famiglia, servizi e interventi similari definiti nelle diverse realtà territoriali t erogazione di incentivi all’acquisto di servizi di cura in forma di voucher/buono per i servizi offerti da strutture specializzate o in forma di “buono lavoro” per prestatori di servizio t sostegno a modalità di prestazione di lavoro e tipologie contrattuali facilitanti come banca delle ore, telelavoro, part time, programmi locali dei tempi e degli orari etc. t altri eventuali interventi innovativi e sperimentali proposti dalle Regioni e dalle Province Autonome purché compatibili con le finalità dell’Intesa. Nello specifico ciò che si intende realizzare riguarda per la prima finalità due bandi emanati dagli Uffici competenti degli Ambiti territoriali per una sperimentazione da effettuarsi a livello comunale di impegno di educatrici domiciliari e mamma accogliente. La prima tra le figure professionali individuate, l’educatrice domiciliare, offre un servizio da svolgere o presso il proprio domicilio o presso locali messi a disposizione da scuole, comuni o istituzioni religiose purché esse mantengano la connotazione di “ambiente domestico”. L’educatrice può seguire fino a un massimo di 5 bambini e, in 243 questo caso, deve essere affiancata da un assistente a tempo parziale che non necessita di titoli di studio attinenti alla materia. La seconda figura scelta, la mamma accogliente, si riferisce ad una madre che accoglie in casa propria bambini dai tre mesi ai tre anni di età fino a un massimo di tre bambini compresi quelli della famiglia ospitante. Relativamente ai voucher e i “buoni lavoro” la scheda tecnica presentata rimanda le modalità operative alla successiva fase dell’attuazione. Per quanto riguarda il sostegno a modalità di prestazione di lavoro e tipologie contrattuali facilitanti la Regione ha optato per il telelavoro per i dipendenti regionali che afferiscono all’Area generale di Coordinamento Assistenza sociale, Attività Sociali, Sport, Tempo libero e Spettacolo. Nella scheda tecnica si legge: “Si intende promuoverne l’estensione anche ad altre Aree dell’amministrazione regionale, nonché finanziare eventuali progettazioni provenienti da altre amministrazioni pubbliche, attraverso una eventuale prosecuzione della collaborazione con il Formez PA”. Infine per quanto attiene ad altri interventi innovativi la Regione propone l’apertura di una ludoteca aziendale, da realizzarsi tramite bando pubblico, che ospiti non solo i figli dei lavoratori ma anche i bambini inseriti nelle liste di attesa degli asili nido comunali ubicati nell’ambito della municipalità ove sia localizzato il servizio. Nella scheda riservata agli eventuali interventi già programmati dall’amministrazione regionale si legge: 244 “avviso pubblico per nidi e micro-nidi comunali, progetti per servizi integrativi, innovativi e/o sperimentali, avviso pubblico per nidi e micro-nidi aziendali, sperimentazione del telelavoro domiciliare presso l’amministrazione regionale, realizzazione di una sperimentazione di una ludoteca regionale”. Il totale delle risorse previste per gli interventi ammonta a 3.371.361,00 euro. La Giunta regionale nel dicembre del 201153 ha adottato la Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro presentata dai Ministeri del Lavoro e delle Pari opportunità nel 2009. L’intento perseguito è quello di contrastare, in ambito lavorativo, le discriminazioni riconducibili al genere, l’età, la disabilità, l’etnia, la fede religiosa e l’orientamento sessuale. Affinché ciò produca dei risultati positivi tangibili le azioni predisposte riguardano la progressione di carriera basata su criteri meritocratici, il monitoraggio dell’effettiva pratica delle pari opportunità intesa come garanzia di accesso per tutti alle stesse possibilità, la valutazione delle buone prassi. Particolarmente interessante è il passaggio che riguarda l’intervento in materia contrattuale per favorire la conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro accompagnato dalla possibilità di convenzioni con i servizi pubblici e privati integrati unitamente alla formazione al rientro al lavoro al termine del congedo parentale. L’elaborazione di una Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro risale in Europa al 2004 ____________ 53 D.G.R. Campania n. 682 del 06.12.2011. 245 anno in cui la Francia, prima fra gli stati, presentò la Charte de la Diversitè. Ciò che accomuna le “Carte” adottate nei diversi paesi è riconducibile ad elementi come la volontarietà dell’impegno assunto singolarmente dalle imprese che sottoscrivono l’adesione, l’ iniziale aggregazione di un gruppo ristretto di grandi imprese promotrici, l’elaborazione di testi concisi accompagnati da un preambolo valoriale e la predisposizione di azioni concrete, la valorizzazione della diversità come fattore di arricchimento e non solo di equità e una forte partnership con le istituzioni pubbliche. Il limite di tale strumento è la volontarietà dell’adesione. Non essendovi nessun tratto di cogenza la sottoscrizione della Carta è demandata alla sensibilità delle aziende. A queste si chiede di perseguire almeno uno degli impegni elencati nel decalogo e l’impegno ad un monitoraggio annuale sull’effettivo conseguimento. Le azioni previste dal decalogo sono: t Definizione e attuazione politiche PO, partendo dal vertice t Attribuzione di precise responsabilità PO a persone/funzioni t Superamento degli stereotipi di genere t Integrazione del principio nei processi di gestione del personale t Sensibilizzazione e formazione di tutti i livelli aziendali t Valutazione di impatto delle azioni poste in essere 246 t Predisposizione di strumenti di garanzia per il personale t Predisposizione di attività concrete per il perseguimento della conciliazione tra i tempi di vita e quelli di lavoro t Comunicazione al personale dei predisposti e dei risultati conseguiti progetti t Disseminazione dei risultati conseguiti e delle buone pratiche sviluppate Nel febbraio del 2012 le aziende aderenti dichiarate dal Ministero sono circa 180 e il numero dei dipendenti coinvolti supera le 600.000 unità. 247 Le buone prassi nelle diverse realtà italiane A maggio del 2011 la Regione Marche ha annunciato la predisposizione di due linee di intervento, LIFE e OASIS, per la creazione di nidi per l’infanzia e la predisposizione di voucher per l’acquisto di servizi socio educativi per i minori. Tra le tipologie di intervento previste da LIFE vi è quello delle educatrici domiciliari e delle mamme di giorno. OASIS prevede tra le sue azioni, l’emissione di voucher di 1.500 euro da utilizzare per l’acquisto di servizi di baby sitting, centri estivi, ludoteche e prestazioni per figli disabili. Lo stanziamento ammonta a 1.014.008 euro, e tranne i costi trattenuti dall’amministrazione Regionale per l’assistenza tecnica, saranno distribuiti alle Province in ragione della numerosità della popolazione femminile residente. La Provincia di Pesaro e Urbino ha dato vita ad un progetto durato 12 mesi compresi tra giugno 2007 e maggio 2008 nell’Ambito Territoriale Sociale 1 comprendente i Comuni di Pesaro, Colbordolo, Gabicce Mare, Gradara, Lombaroccio, Monteciccardo, Montelabbate, Sant’Angelo in Zizzola e Tavullia attraverso una forma di concertazione sociale estesa. L’Associazione temporanea di scopo, forma giuridica scelta per l’intervento, annoverava tra i partecipanti oltre la Provincia in qualità di soggetto capofila, comuni e aziende. Per arrivare a tale partecipazione 249 condivisa ha operato un Comitato di indirizzo politico-economico composto da rappresentanti degli enti locali e delle parti sociali. Accanto ai sindacati CGIL, CISL e UIL erano presenti Ali-Clai, Casartigiani artigianato metaurense, Cna, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, Coldiretti, Upa, Confcooperative e Legacoop. Destinatarie degli interventi sono state 235 donne lavoratrici e disoccupate o inoccupate (ma frequentanti attività di formazione o assegnatarie di Borse Lavoro/assegni di ricerca con un reddito familiare annuo dichiarato non superiore a 16.000 euro). Le spese ammissibili hanno riguardato servizi di baby sitting, asili nido, badanti, accompagnatori, assistenze domiciliari, servizi di cura. Il contributo è stato erogato mensilmente fino a 250 euro per avente diritto. Il Comune di Pesaro ha puntato ad intervenire sulla mobilità promuovendo l’uso di taxi collettivi per il trasporto pomeridiano di bambini da e verso le sedi di attività sportive, il potenziamento delle linee di trasporto autobus tra il centro città e la periferia nelle fasce orarie corrispondenti all’orario di lavoro e la promozione e realizzazione del car pooling. Le aziende partenariate in ATS hanno realizzato progetti volti alla flessibilità oraria del lavoro in azienda. Tra le buone prassi riscontrate si annoveranno esperienze diverse, alcune di esse riguardano l’operato di nuove figure professionali. Il gruppo editoriale De Agostini, ad esempio, ha istituito la figura del 250 maggiordomo aziendale per supportare i dipendenti nell’adempimento di commissioni, disbrigo di pratiche burocratiche e reperimento di artigiani per riparazioni e lavori domestici. La Tetra Pak ha realizzato un asilo aziendale, una palestra, servizi di supporto alla famiglia e postazioni internet per il telelavoro. Il comune di Faenza, nell’ambito del progetto “Tra lavoro e famiglia”, ha commissionato la ricerca “Conoscere per conciliare” per studiare a fondo le caratteristiche socio-culturali-economiche del territorio al fine di predisporre dei tavoli di concertazione per lo sviluppo di azioni positive per la conciliazione dei tempi. Nel settore delle telecomunicazioni si sono distinte at&t Europe dove si concede il part-time a dipendenti con esigenze di conciliazione e si lavora al supporto delle lavoratrici al rientro dal periodo di maternità, la Telecom Italia vincitrice nel 2009 del miglior sistema integrato di conciliazione con People caring insieme di asili nido, intrattenimento, servizi di time saving e strumenti di flessibilità, Vodafone dove sono previsti part-time e orari flessibili fino al raggiungimento dei 30 mesi di vita del bambino, l’integrazione dello stipendio nel periodo di maternità facoltativa, 6 mesi di aspettativa, convenzioni con asili e corsi di formazione e Wind che si è aggiudicata il premio Famiglia Lavoro 2008 attraverso il Programma Wind per Te basato sul coinvolgimento del personale nel definire politiche aziendali di conciliazione integrata. Nel settore farmaceutico si distinguono Abbot per la 251 realizzazione di programmi di sostegno per le lavoratrici che rientrano in azienda dopo la maternità, Boheringer Ingelheim dove è stato predisposto un programma articolato che si sostanzia in un percorso formativo per agevolare il rientro al lavoro delle mamme, i percorsi individuali di bilancio delle competenze personali e professionali e un percorso di sensibilizzazione e informazione sul tema della gender diversity, Bracco che ha vinto nel 2009 il premio Famiglia Lavoro per il miglior programma dedicato a figlie e anziani che opera per i primi attraverso servizi di formazione, studio e tempo libero e per i secondi con attività di assistenza sociale e domiciliare e Ely Lilli che prevede un part-time di 6 mesi al rientro del periodo di congedo sia per madri che padri e 5 giorni di permesso retribuito per padri entro 1 mese dalla nascita del figlio. Nel settore siderurgico vi è la ASO Siderurgica dove oltre all’affiancamento alle neomamme che tornano al lavoro si prevede il part time, la convenzione con un asilo nido e il ricorso alla banca delle ore. Nel settore della cosmesi l’AVON ha messo in campo oltre il part time anche il lavoro in autonomia. Nel terziario la BEM Service ha dato vita al progetto madri laboriose d’eccellenza e prevede diverse forme di flessibilità accompagnate da nuove assunzioni e programmi di formazione continua per i dipendenti. Nel settore chimico si afferma la Dupont Italia per l’orario flessibile in entrata, la settimana di lavoro compressa e il luogo di lavoro flessibile. Per la produzione di elettrodomestici va citata la Elettrolux Zanussi Italia dove è possibile usufruire della banca delle ore e del part time suddiviso tra più operaie a 252 turni. Per la produzione di strumentazione di precisione va ricordata la Codevintec, miglior progetto di PMI per il premio Famiglia Lavoro 2009 con un programma per la gestione della genitorialità in azienda con flessibilità di orari e supporto economico ai genitori. Per il settore dell’alimentare si fa notare Kraft foods Italia con il miglior progetto di diffusione della cultura della conciliazione vincitrice del Premio famiglia Lavoro 2009 grazie a una serie integrata di misure per la promozione del work-life balance in azienda dagli orari flessibili al reinserimento dopo la maternità. Nella produzione degli imballaggi si distingue la Somova dove si pratica il part time e sono attivi team di lavoro per gestire la flessibilità di orari e facilitare lo scambio di informazioni. Nel settore bancario va menzionata la Banca Popolare di Milano miglior iniziativa di supporto alla genitorialità per il premio Famiglia Lavoro 2008, grazie all’asilo nido aziendale e al costante monitoraggio delle esigenze dei genitori in azienda. Nel settore tessile vanno ricordate quattro esperienze. La prima è quella condotta dalla Canclini Tessile, vincitrice del premio famiglia Lavoro 2008 per il miglior programma di coinvolgimento dei dipendenti con il progetto Follow up, la seconda riguarda l’azienda Cittadini che segue reti di solidarietà al femminile in India, la terza è rappresentata da Lubiam vincitrice del premio Famiglia Lavoro 2008 per il miglior programma di sviluppo di partnership con il territorio per il suo storico impegno nel territorio mantovano nella creazione di un network di coinvolgimento di istituzioni, sindacati ed enti territoriali al fine di 253 implementare politiche di conciliazione famiglia lavoro in azienda. L’ultima, la quarta, è quella di Preca Brummel mamme fanno impresa . Con questa formula l’azienda assiste delle mamme che vogliono avviare una attività di franchising scommettendo su di loro. 254 Bilancio di genere Accanto al bilancio sociale esiste anche quello di genere. Ciò che con esso si vuole indagare è quanto l’azienda, pubblica o privata, abbia investito, non solo in termini ecomico-finanziari, per incentivare la presenza delle donne al suo interno tenendo conto delle specificità di genere al fine di garantire pari opportunità tra i lavoratori. Il punto di partenza per la redazione del documento è l’analisi di contesto con cui si fotografa la realtà del territorio di riferimento. Le variabili prese in considerazione riguardano le caratteristiche della popolazione (età, stato civile, occupazione, titolo di studio, dinamiche demografiche), le peculiarità e le dinamiche del mercato del lavoro locale, il territorio e le caratteristiche ambientali (ecosistema urbano, sicurezza sociale). In tal modo si ricerca l’eventuale presenza di gender gap e si attribuisce un peso alla qualità della vita che il territorio offre alla sua popolazione residente. Un secondo segmento dell’analisi per la redazione del bilancio riguarda lo studio della domanda dei servizi da parte della popolazione (potenziale e reale) e dell’offerta degli stessi garantita dall’amministrazione. Alcuni bilanci di genere adottano come variabili la numerosità di donne presenti in organico, le mansioni 255 e i ruoli ad esse affidate, l’inquadramento contrattuale e la retribuzione, la progressione di carriera e il tempo con cui questa è avvenuta, la percentuale di donne e uomini in posizioni apicali. Nel passaggio dalla fase propedeutica della raccolta dei dati per l’inquadramento contestuale a quella successiva della valutazione viene in rilievo la scelta della metodologia della riclassificazione delle informazioni raccolte e dell’attribuzione di pesi per la valutazione. Negli ultimi anni in Italia si è diffuso un modello che considera come strategiche nella riclassificazione le attività e le risorse rivolte alle pari opportunità, le attività destinate a specifici target che hanno un impatto sulle differenze di genere. Fra queste si possono citare i servizi per l’infanzia, la presenza e l’incidenza della criminalità, la sicurezza, i trasporti, la presenza di strutture per lo sport e le iniziative culturali. Terminato il lavoro di riclassificazione si apre la delicata fase della valutazione in cui si osservano le politiche adottate per determinarne l’efficacia e l’efficienza rispetto alle esigenze di bilancio generali, agli obiettivi prefissati e ai bisogni espressi da uomini e donne lavoratrici. Le difficoltà che insorgono nell’attività di valutazione riguardano il mancato sviluppo di indici e parametri per una analisi gender oriented. Tale assenza di strumenti è da ascriversi alla brevità delle esperienze maturate che ancora non ha permesso di testare e consolidare dei sistemi di riferimento. L’adozione del primo bilancio di genere risale alla metà degli anni Ottanta e su iniziativa di un paese non europeo l’Australia. Ad essa fecero seguito il Sudafrica, il Canada, la Gran Bretagna, 256 la Francia, Israele, la Svizzera, la Norvegia, la Svezia e la Danimarca. Bisognerà attendere la Quarta Conferenza delle Donne (Pechino 1995) dove nella “Beijing Platform for Action” si afferma il bilancio di genere come azione utile per la promozione e l’attuazione del principio del gender mainstreaming per una sua maggior diffusione. Sei anni dopo lo storico evento cinese l’Unione Europea recepisce le indicazioni emerse in quella sede e avvia la promozione dell’adozione del bilancio di genere come strumento di affermazione per la parità di genere. Risale al 2003 la presentazione al Parlamento Europeo, da parte della Commissione per i diritti della donna e le pari opportunità, di una relazione e una proposta di risoluzione in tema di bilancio di genere (“Gender Budgeting - la costruzione dei bilanci pubblici secondo la prospettiva di genere”). Ad oggi la numerosità dei bilanci di genere elaborati non lascia ben sperare. Se il bilancio sociale è una pratica volontaristica adottata da pochi quello di genere è quasi una astrusità. Pochi ne conoscono l’esistenza e ancor meno ravvisano la necessità di praticarlo. Dalla sua applicazione si apprendono cose interessanti, scomode o deprimenti, dipende dai punti di vista. Ciò che è innegabile è la fotografia che esso permette di fare della realtà. Quando si prendono in considerazione parametri oggettivi come la numerosità di donne in posizione apicale o i tempi della progressione di carriera c’è poco da opinare o da stare allegri. 257 Patto sociale di genere Le esperienze delle Regioni Puglia e Liguria Il Patto sociale di genere è un istituto previsto dalle legislazioni di alcune regioni. Nella fattispecie disciplinano la materia la legge regionale della Puglia 7 del 2007 e la legge regionale della Liguria 26 del 2008.54 Il Patto si sostanzia in un accordo territoriale promosso dalla Regione e stipulato tra una pluralità di attori che operano sul territorio, fra questi oltre agli enti locali, vi sono i sindacati e le associazioni di categoria, le scuole, le ASL e i consultori. L’accordo rientra nel più ampio quadro del Piano sociale di zona. La genesi dei patti va rintracciata nel disposto della legge nazionale 53/200055 e, nel caso della Puglia, con il combinato disposto della legge regionale 19/200656. L’ambito territoriale in cui lo strumento concertativo esplica i suoi effetti non è prescritto dalla legge ma è disegnato dai soggetti che si incontrano al tavolo di concertazione che ne stabiliscono il perimetro in base alle esigenze. I confini possono essere quelli di una municipalità o allargarsi per arrivare a coincidere con l’area geografica di più province. Il risultato che si intende conseguire riguarda la creazione di spazi di ____________ 54 Cfr. art. 15 co. L. R. Puglia 7/2007 e art. 22 L. R.Liguria 26/2008. 55 Cfr. art. 9 legge 53/2000. 56 Cfr. art. 23,24 e 28 L. R. Puglia 19/2006. 259 concertazione in cui rendere operativo il dettato di legge nazionale e regionale in materia di flessibilità oraria e divisione dei carichi di lavoro e di cura all’interno del nucleo familiare. Il settore pubblico e quello privato dialogano, insieme agli altri attori del mondo economico e sociale, per elaborare forme di conciliazione innovative volte a migliorare la qualità della vita. Le due leggi regionali che istituiscono il Patto elencano le stesse finalità: a) promuovere e divulgare con azioni mirate la cultura della conciliazione e la corresponsabilizzazione dei padri nella cura e nella crescita dei figli e nei lavori di cura; b) promuovere e diffondere l’utilizzo dei congedi di maternità e parentali in una logica territoriale di equilibrio tra la fruizione dei congedi e la disponibilità di servizi di cura; c) incrementare la quantità e la qualità dei servizi alla persona disponibili sul territorio regionale in osservanza delle disposizioni; d) garantire il valore sociale della maternità e della paternità e sostenere la genitorialità come scelta consapevole soprattutto presso le fasce più deboli della popolazione attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione; e) promuovere processi di contrattazione decentrata per estendere alle lavoratrici e ai lavoratori precari le tutele riconosciute ai lavoratori a tempo indeterminato; 260 f) promuovere corsi di aggiornamento per donne e uomini che rientrano dopo il congedo obbligatorio e facoltativo di maternità e parentale; g) favorire l’utilizzo del part time per motivi parentali anche attraverso l’attivazione di meccanismi di incentivazione economica; h) favorire l’inserimento lavorativo delle donne in particolari condizioni di disagio, quali madri sole con figli minori di tre anni, donne immigrate e famiglie monoparentali con carichi di cura; i) realizzare progetti di formazione dei lavoratori che, sulla base di accordi contrattuali, prevedano quote di riduzione dell’orario di lavoro, nonché progetti di formazione presentati direttamente dai lavoratori di cui all’articolo 6 della l. 53/2000. Ciò che differenzia le due normative locali riguarda gli organismi di settore. Nel caso della Puglia l’art 17 della legge del 2007 istituisce l’Ufficio garante di genere con la funzione di “integrare la dimensione di genere e fornire una valutazione di merito sui programmi e gli atti di indirizzo regionali …omissis…svolge sulla base dei criteri definiti dalla Giunta regionale, le attività di monitoraggio e valutazione sull’attuazione della presente legge, riconducendone i risultati all’interno del bilancio di genere” a cui si aggiungono l’operato di un Centro risorse regionale per le donne in cui confluiscono la Commissione Pari opportunità, la Consulta femminile, la Consigliera di parità regionale, il Comitato Pari opportunità e il Gruppo di animazione delle pari opportunità. La Liguria al capo I del Titolo IV della 261 legge del 2008 57 prevede quali istituzioni regionali di parità una Commissione consiliare permanente, 58 le consigliere di parità provinciali e regionali, i comitati pari opportunità d’Ente59 e la commissione regionale di concertazione. E’, inoltre, istituita, una rete regionale di concertazione per le pari opportunità composta dall’assessore con delega alle pari opportunità della regione, delle province, dei comuni capoluogo di provincia, da un assessore comunale per provincia in rappresentanza dei comuni liguri del territorio provinciale designato dall’associazione dei comuni, dalla consigliera di parità regionale, da una rappresentante della rete regionale delle consigliere e dei consiglieri di parità e da un membro della commissione consiliare. La filosofia sottesa agli interventi del legislatore regionale, in entrambi i casi, è quella di dare concretezza al dettato della legge 53 del 2000 intervenendo a creare degli strumenti territoriali attraverso i quali rendere possibile la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. La visione è già oltre quella del Piano orario predisposto dagli uffici comunali poiché qui sono chiamati in causa soggetti altri rispetto a quelli istituzionalmente deputati a svolgere i compiti ____________ 57 Cfr. art. 29 L. R. Liguria 26/2008. 58 Commissione consiliare permanente VIII – Pari opportunità (Affermazione e tutela dell’uguaglianza dei diritti dei cittadini e dei diritti di parità e pari opportunità tra uomo e donna, realizzazione della parità giuridica, sociale, economica e di rappresentanza). 59 Nominati ai sensi del d. lgs.198/2006 e previsti dagli accordi derivanti dal Contratto collettivo nazionale dei comparti del pubblico impiego per la dirigenza 1998/2001 e del Contratto collettivo nazionale per il personale non dirigente. 262 organizzativi di una comunità locale. Questi soggetti altri sono quelli che rivestono un ruolo centrale nella vita quotidiana: il sistema scolastico, i sindacati e le associazioni rappresentative della parte datoriale e le aziende sanitarie locali. 263 Donne e rappresentanza Nella rappresentanza sindacale si è recentemente respirata una ventata di novità. Un certo numero di donne in posizione verticistica sono state sdoganate in sindacati e associazioni di categoria. Donne che in queste associazioni ci sono cresciute per dieci, quindici, vent’anni sono arrivate a ricoprire il ruolo di direttore o segretario generale. Una promozione guadagnata sul campo e a lungo meditata. Lacrime e sudore. Battaglie e vita di organizzazione. Orari impossibili e bocconi amari. Viene da chiedersi come mai queste donne tenaci, coriacee e preparate ci abbiano messo così tanto tempo rispetto ai loro colleghi uomini a raggiungere una posizione apicale. Chissà magari perché a un certo punto hanno dovuto rallentare il ritmo di lavoro per crescere i figli. Quelle fra di loro che hanno avuto figli non si sono certo risparmiate. Mi appare chiaro, invece, che la loro fedeltà, la loro capacità e competenza sia stata a lungo saggiata, fino alla nausea, fino a non poterne più, fino a quando risultava molto difficile continuare a mantenerle in “prova” procrastinando all’infinito una più che meritata promozione. Sul versante della rappresentanza politica ci sono cose da dire. Alcune Regioni hanno previsto nell’ultima tornata elettorale la possibilità di esprimere una doppia preferenza, uomo e donna, per vedere 265 eletta una pattuglia di consigliere. E’ quanto accaduto in Campania. Risultato positivo. Ma qualcuno si chiede dove siano queste consigliere, cosa facciano. Siamo in attesa di vedere un concreto agire. Forse ci aspettavamo una possibilità di incontro, di dialogo. Una vittoria elettorale, che al di là delle convinzioni politiche, lascia l’amaro in bocca per un’opportunità mancata. Ad oggi nella Giunta regionale campana non esiste ancora la delega per le Pari Opportunità. I dati delle ultime consultazioni amministrative fanno registrare un significativo incremento di donne nelle amministrazioni locali. Ciò lascia ben sperare. Rimaniamo in attesa di conoscerne l’evoluzione La Fondazione Anci Ricerche Cittalia ha pubblicato nel 2010 uno studio “Le donne e la rappresentanza. Una lettura di genere nelle amministrazioni comunali” dove riguardo alla presenza di donne italiane elette al Parlamento Europeo si legge: “[…] che le eurodeputate del nostro paese rappresentano soltanto il 21% della rappresentanza italiana, valore indubbiamente molto basso se rapportato alla percentuale totale europea delle donne eletta, che è andata crescendo nel tempo dal 16% nel 1979 al 35% nel 2009. Il valore del 21%, medesima percentuale della precedente legislatura, colloca l’Italia al terzultimo posto. […] Ma la sottorappresentazione delle donne nelle istituzioni è un fenomeno riconducibile, con diversa intensità, a quasi tutti i paesi dell’area occidentale […] Il permanere di una situazione di scarsa partecipazione femminile nelle istituzioni, nonostante decenni di provvedimenti e programmi, tesi ad eliminare le barriere è un fenomeno che può essere letto con argomentazioni diverse. […] Mancanza di servizi, ostacoli nel mercato del 266 lavoro, legislazione fiscale che rafforzano modelli tradizionali di divisione di compiti non aiutano le donne a fare ciò che sempre preferiscono, tanto più quando la scelta per la “cosa pubblica” rappresenta un “terzo blocco” di impegno che si aggiunge al lavoro e alla cura della famiglia. Gli studi comparati tra le diverse realtà internazionali sulla presenza delle donne nei processi decisionali, come quelli fatti a livello europeo, provano che nei paesi dove la divisione del lavoro tra donne e uomini ha perso il carattere sessuato, come nei paesi scandinavi, si elevi, considerevolmente, il numero delle donne in politica”. Del resto sarebbe difficile vivere una realtà diversa in Italia se è vero quanto dichiarato nel 2008 dal World Economic Forum a proposito della rilevazione annuale del Global Gender Gap Index (l’indice di misurazione del divario tra uomini e donne) che ci colloca al 67° posto con uno scivolamento al di sotto di tale soglia nel Meridione. La scarsa presenza di donne in politica si traduce in un’alterazione del rapporto di rappresentanza poiché esiste un divario tra il numero di elettrici e quello delle candidate elette a rappresentarle. Una metà della società è esclusa dalla rappresentanza. L’evoluzione del sistema può avvenire solo se all’interno di esso si coagulano delle spinte in tal senso. Se le donne continueranno ad essere tagliate fuori dalla politica, perciò, il processo del loro inserimento sarà lungo e difficile. Nel mondo del lavoro, a costo di enormi sacrifici, le donne stanno mutando le regole che le vogliono spinte ai margini e, se pur in posizione precaria e raramente apicale, non demordono dal 267 ricercare pari spazi, dignità e retribuzione. Come raggiungere una pari rappresentanza politica tra uomini e donne costituisce oggetto di interesse e dà spazio alla discussione. Nel 1993 la legge elettorale sancì che nessuno dei due generi potesse essere presente in misura superiore ai 2/3 nelle liste elettorali. La Corte Costituzionale dichiara tale norma illegittima. I possibili correttivi avanzati sono diversi, c’è chi sostiene le quote di rappresentanza stabilite all’interno dei partiti, chi propone regole che stabiliscano che la soglia di presenza per genere sia superiore al 40%, altri ancora suggeriscono la penalizzazione dei partiti che non rispettino le quote di parità. Le donne si dividono fra chi ritiene che le quote, (definite con un termine odioso “rosa”), siano ghettizzanti e per tale motivo da non prediligere e chi, invece, le sostiene affermando che, per quanto detestabili, siano un male necessario ad assicurare la presenza femminile nei contesti percepiti come maschili e pertanto da essi gestiti in via esclusiva. Su una cosa tutte concordano: la molteplicità di ostacoli di cui il cammino per l’impegno politico è costellato. Il primo fra questi è rappresentato dalla moltitudine di impegni di cui le donne si fanno carico all’interno della famiglia che prosciugano, insieme al lavoro, tempo ed energie. Non va, poi, sottovalutato l’aspetto economico. Per impegnarsi in politica e sostenere campagne elettorali servono risorse. Se si riesce, poi, a superare tutto ciò non bisogna ignorare un altro tipo di impedimento costituito dal comportamento ambiguo degli elettori nei confronti delle donne. Secondo numerosi studi, infatti, nonostante molti 268 (uomini e donne) lamentino la scarsa presenza femminile sulla scena politica giunti all’appuntamento elettorale preferiscono dare il loro voto ad un uomo. A questo comportamento si aggiunge quello contraddittorio di chi applica alla sfera politica le stesse convinzioni maturate in ambito lavorativo secondo le quali se una donna si comporta con uno stile avvertito come maschile si sta snaturando attraverso la negazione della propria femminilità mentre, se adotta un comportamento femminile, non è degna di credibilità, difetta di sufficiente esperienza. Corollario offensivo a questo stereotipo è quello definito motherhood bind per il quale se una donna non ha figli ha fallito la sua esistenza, se ne ha, non dispone di tempo da dedicare alla politica. Tertium non datur. Le donne non hanno alcuna possibilità, un motivo perché siano da considerare inadatte si trova sempre. Del resto i mass media non sono estranei a questo ragionamento alimentando il luogo comune che vuole le donne alle prese con questioni squisitamente femminili, sulle quali vengono pedantemente intervistate. Nei loro confronti c’è una forte attenzione per le scelte di vestiario e per gli accadimenti della vita sentimentale. Le donne impegnate in politica sono troppo spesso segnalate dalla stampa per il loro abbigliamento o per le frequentazioni che avvengono nella vita privata. Per questioni più serie ci si rivolge ai loro colleghi uomini. Esiste un grosso limite culturale sul quale lavorare. L’esclusione delle donne dal mondo della politica, così come quello da alcuni ambiti lavorativi, è un gap non colmabile in tempi brevi. E’ necessaria, perciò, 269 un’opera di informazione, formazione e dibattito affinché il problema non venga ignorato. I cambiamenti vanno coltivati e accompagnati. Ma alle donne la politica interessa? Secondo una ricerca commissionata nel 2005 dalla Commissione Pari Opportunità nazionale all’ISTAT esistono sei tipologie di gruppi al riguardo. La prima tipologia è costituita dalle donne che non si informano e non discutono di politica, esse costituiscono il 35,6% del campione considerato. A determinare il disinteresse è anche la scarsa capacità di comprensione del linguaggio, si tratta infatti, di donne che hanno conseguito la licenza elementare, non giovani e residenti al Meridione. Ci sono, poi, le donne che si informano ma non si attivano, esse rappresentano il 34,5% del campione. Il loro canale informativo è quello televisivo e non parlano di politica se non saltuariamente. La loro attività si limita all’espressione del voto. Esse sono diplomate o hanno conseguito la licenza media e risiedono prevalentemente nell’Italia Nord Occidentale. La loro età va dai 20 ai 54 anni. Il terzo gruppo è quello delle donne che seguono la politica, il 17,4% del campione. Chi rientra in questo gruppo acquista i quotidiani, segue i dibattiti televisivi, quelli pubblici e discute di politica con altre persone. Si tratta di donne tra i 25 e i 54 anni, diplomate e laureate che lavorano e risiedono soprattutto nel Centro-Nord. Vi è, poi, il gruppo delle donne impegnate attivamente nel sociale pari al 6,7% del campione. Chi rientra in questa tipologia si informa di politica ma non profonde in essa lo stesso 270 impegno che riserva al settore sociale. Vivono, per lo più, nel Nord del Paese e il loro titolo di istruzione è la licenza media inferiore o superiore. Nel penultimo gruppo sono presenti le donne libere professioniste e dipendenti iscritte e impegnate nel sindacato e/o nelle associazioni di categoria. Esse rappresentano il 4% del campione. Sono donne impegnate anche in attività culturali e si interessano di politica leggendo quotidiani, partecipando a dibattiti pubblici e discutendo con altre persone. La metà di loro è laureata e ha una età compresa tra i 35 e i 54 anni. Dell’ultimo gruppo fanno parte le donne militanti nei partiti e nei sindacati, esse rappresentano l’1,8% del campione. La pubblicazione dell’ANCI “Le donne e la rappresentanza. Una lettura di genere nelle amministrazioni comunali” riporta in premessa una fotografia nota del nostro paese, una fotografia con due diverse Italie. Una centro- settentrionale in cui 9 province vedono più del 20% dei comuni guidati da sindaci donne e l’altra, meridionale, in cui la presenza delle donne nel ruolo apicale delle case comunali è ancora residuale. La ricerca si conclude citando parte dei risultati conseguiti da uno studio condotto da Business Link, agenzia della Camera di Commercio di Londra, sulle imprenditrici come nocciolo duro dell’approccio femminile alla politica che potrebbe essere di grande giovamento al governo locale: “le imprenditrici sono in posizione di vantaggio rispetto ai colleghi uomini nei periodi di crisi economica, proprio in virtù di alcune caratteristiche: management condiviso che coinvolge e responsabilizza i 271 collaboratori, minori motivazioni economiche, ma maggior investimento sulla realizzazione di sé e dei propri valori nel fare impresa, flessibilità intesa come capacità di cambiare strategia e impostazione iniziale in base agli eventi, realismo che le spinge a chiedere aiuto prima che sia troppo tardi”. Il numero delle amministratici sta crescendo ma c’è ancora tanto da fare. 272 Banca del tempo e banca delle ore La banca del tempo sulla scorta delle esperienze maturate in Inghilterra, Francia, Germania e Canada fa la sua comparsa in Italia verso la fine degli anni Ottanta. E’ una associazione che si propone di favorire lo scambio gratuito di tempo. Chi entra a far parte della banca “deposita” ore che mette a disposizione di altri per svolgere delle attività. Il tempo che si offre può riguardare l’insegnamento di lingue, l’accudimento e l’intrattenimento di bambini, l’accompagnamento di bambini, anziani o disabili, la cura di piante e animali, le riparazioni domestiche, lo scambio di attrezzature, le lezioni di cucina. Lo scambio è paritario, non si fa differenza tra le diverse prestazioni offerte. Un’ora vale quanto un’altra. Non ci sono pagamenti in danaro salvo il versamento delle quota associativa e l’eventuale rimborso concordato per gli spostamenti. Si incentiva il supporto solidale creando una struttura associativa che regolamenti un rapporto che, nel modello sociale precedente, avveniva spontaneamente all’interno di nuclei familiari allargati e tra vicini di casa. Oggi si contabilizza il tempo che si offre. Per ogni ora di attività prestata si matura un credito equivalente. Le banche del tempo sono presenti in tutta la penisola e si sono organizzati anche dei coordinamenti nazionali. Esse sono citate anche nella legge 53/200 (Disposizioni per il sostegno della 273 maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) all’art. 27 che recita: “Per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l’utilizzo dei servizi della città e il rapporto con le pubbliche amministrazioni, per favorire l’estensione della solidarietà nelle comunità locali e per incentivare le iniziative di singoli e gruppi di cittadini, associazioni, organizzazioni ed enti che intendano cambiare parte del proprio tempo per impieghi di reciproca solidarietà e interesse, gli enti locali possono sostenere e promuovere la costituzione di associazioni denominate «banche dei tempi». Gli enti locali, per favorire e sostenere le banche dei tempi, possono disporre a loro favore l’utilizzo di locali e di servizi e organizzare attività di promozione, formazione e informazione. Possono altresì aderire alle banche dei tempi e stipulare con esse accordi che prevedano scambi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo aiuto a favore di singoli cittadini o della comunità locale. Tali prestazioni devono essere compatibili con gli scopi statutari delle banche dei tempi e non devono costituire modalità di esercizio delle attività istituzionali degli enti locali”. Cosa diversa è la banca delle ore. Essa è prevista dalla legge 53/2000 che norma gli interventi innovativi in materia di politica del lavoro e di politica sociale. Si tratta di uno strumento per la gestione della prestazione lavorativa. Consiste nell’accantonamento, su di un conto individuale, di un numero di ore prestate in più rispetto all’orario normale, la cui entità è definita dalla contrattazione. La banca delle ore è volta a conseguire la flessibilità di orario e il godimento di ferie e permessi aggiuntivi nel rispetto delle esigenze dell’azienda. 274 La fruizione del tempo “in più” maturato può avvenire secondo tre modalità. La prima stabilisce che il recupero deve essere preventivamente autorizzato dal datore di lavoro che può opporre un diniego, non immotivato, ma ancorato all’esistenza di esigenze tecniche, organizzative e legate alla produzione. La seconda modalità prevede che il recupero del tempo sia concordato tra lavoratore e datore di lavoro mentre la terza sancisce per il lavoratore l’obbligo di dare un congruo preavviso al datore di lavoro circa i termini con i quali vuole godere del suo diritto di recupero. Di queste tre diverse declinazioni del dettato di legge la dottrina offre interessanti spunti di discussione. Tra questo vi è il dibattito circa la possibile perdita del diritto ai recuperi in caso di mancata fruizione degli stessi entro il termine previsto dalla contrattazione collettiva. Nel caso in cui il lavoratore non usufruisca del recupero, e la fruizione sia subordinata in maniera vincolante all’autorizzazione del datore di lavoro o ad un accordo, la perdita del monte ore sarebbe ingiusta. Per riequilibrare le cose si potrebbe immaginare che il lavoratore abbia diritto alla monetizzazione delle ore non fruite poiché il mancato esercizio di un suo diritto non è a egli imputabile in quanto non vi è un atto formale di rinuncia al godimento dello stesso. All’utilizzo delle ore maturate si può anche rinunciare. In tale evenienza è ammissibile ipotizzare una espressa volontà di rinuncia alla fruizione del diritto al recupero o del decorso di un termine di decadenza (ex art. 2964 cod. civ.) preclusivo alla fruizione stessa. Ma si può invocare la sua surrogazione, in via alternativa, con la monetiz-zazione. In quest’ultimo caso bisogna, 275 però, prendere in considerazione l’eventuale presenza di cause di sospensione della prestazione lavorativa, come nei casi di malattia, infortunio e maternità. In tali casi appare credibile poter applicare una dilazione del termine finale per la fruizione del recupero che tenga conto del periodo della sospensione della prestazione lavorativa. Infine nel caso di cessazione del rapporto di lavoro più interpretazioni della norma stabiliscono che vada riconosciuto il diritto del lavoratore a percepire le somme corrispondenti ai recuperi non effettuati. 276 PARTE III fàÉÜ|x w| ÉÜw|ÇtÜ|t ÑxÜ|Ñxé|t Immagine tratta dal sito: www.convivendo.net 277 TÇÇt In parte mi riconosco nell’irrequietezza di “una donna” di Sibilla Aleramo ma non mi appartengono le sue nevrosi. Alle giovani donne auguro di stare bene nella propria pelle, di saper stare sole e di saper stare in compagnia. 55 anni ben portati, volto fresco e sereno Anna è sposata, ha due figli grandi e molti interessi. Sono di fronte a una storica mancata. Da piccola sognava di guadagnarsi da vivere scrivendo, crescendo ha scoperto una passione per il basso Medioevo con la nascita e lo sviluppo dello Studium Urbis. Ma non sono queste passioni a riempire le sue giornate lavorative. Il suo lavoro di funzionaria statale la vede, comunque, alle prese con molti documenti. Si dice contenta di questa scelta per la competenza acquisita in campo giuridico-amministrativo e per aver contribuito con il suo impegno a scrivere un pezzo di storia dei servizi socio previdenziali dei quali si è occupata fino ad un anno fa ma è profondamente scontenta e delusa perché il contesto storico-politico attuale non le consente ulteriori passi in avanti. Per mantenere in equilibrio l’impegno lavorativo con la vita privata si organizza e si attrezza, soprattutto mentalmente: “di solito – racconta - temo la noia che mi deriva dall’inattività”. Il suo ruolino di marcia giornaliero prevede: sveglia alle 6.15, colazione, ufficio, rientro a casa, cena, tv/lettura ma aggiunge: “Si tratta di un elenco di cose asettico, in realtà nella giornata tipo si fanno molte più cose”. L’attività per la quale le dispiace non avere tempo né energie disponibili è quella fisica che ritiene utile per esercitarsi ad affrontare le mischie di ogni giorno. Quello a cui non rinuncerebbe mai è quel lungo momento di solitudine per pensare, ricordare ed elaborare strategie di vita. La rinuncia che le brucia di più è non aver raccolto la proposta, fattale al termine degli studi universitari, 281 di rimanere nel mondo accademico. I risultati che la rendono più orgogliosa sono il riuscire a dare un tocco personale all’attività lavorativa e la capacità di trovare la giusta concentrazione sempre e comunque in qualsiasi momento, anche quando costa molta fatica. Il suo segreto per preservare un discreto equilibrio mentale è sperare fortemente che il meglio debba ancora venire e continuare a cercarlo. Lei, che il settore pubblico lo vive dal di dentro, ritiene che per supportare le donne bisognerebbe impegnarsi a far funzionare davvero la sussidiarietà attraverso la capillarizzazione dei servizi potenziando, in tal modo, l’offerta che spesso si rivela carente. Le chiedo cosa comprerebbe dal settore privato in assenza di offerta di servizi pubblici e la risposta è: «tutto ciò che il pubblico non riesce a fornire, in termini di assistenza, cultura e formazione, potrebbe essere oggetto di convenzioni con il privato. Purtroppo il privato, senza un “sostegno” pubblico, è spesso inaccessibile». Dal suo punto di vista se si volesse ricercare un valore aggiunto femminile esplicito nell’esercizio dell’amministrazione pubblica questo sarebbe rappresentato dalla capacità di reazione alle avversità che spinge e motiva le donne a ripartire con più determinazione. La stessa determinazione che lei dispiega per difendere con le unghie e con i denti, per non farseli scippare, gli spazi conquistati lottando. Alle generazioni future di donne augura di trovare sempre la passione in ciò che si fa, passando attraverso una conoscenza profonda e mai superficiale. La sua speranza è che possano ritrovare il giusto equilibrio 282 tra i generi, senza antagonismi sciocchi e castranti. Augura, soprattutto, di stare bene nella propria pelle, di saper stare sole e di saper stare in compagnia. Di non vivere perennemente nell’irrequietezza, ma di essere “innamorate” per tutta la vita. 283 Uxààç x g|àà| Betty: “se fossi qualcun altro sarei Amelia Earhart la prima donna aviatrice ad attraversare l’Atlantico e a volare in solitaria, una indimenticabile pioniera”. Titti: “se fossi un animale, benché mitico, sarei un unicorno”. Le immagini sono tratte dai siti: www.bliztquotidiano.it e www.fatemagia.it Betty e Titti fanno le erboriste. Entrambe poco più che quarantenni, sposate e separate hanno dei figli che adorano. Lo spazio commerciale che hanno scelto e arredato con cura è un oasi di pace e serenità. La cifra stilistica della casa è l’accoglienza. Entrare nel loro negozio significa prendersi una pausa dal tran tran quotidiano. Varcando la soglia il tempo rallenta e ci si concede una piacevole pausa distensiva. Aromi delicati e tinte tenui, unite ai loro sorrisi di benvenuto, fanno pensare di aver fatto la cosa giusta a fermarsi, anche solo per scambiare quattro chiacchiere. Betty da piccola sognava di fare l’astrologa o il vigile urbano ma poi ha scoperto che: “nelle mie vene scorrevano tracce di sangue diluite in linfa vegetale”. Il suo lavoro la appassiona e si sente gratificata quando percepisce la soddisfazione di un cliente che si sente ascoltato. “Chi entra in erboristeria- dice - ha bisogno di essere ascoltato e indirizzato a cercare il giusto rimedio per i suoi problemi, che non sono generici e validi per tutti, ma peculiari, perché riguardano la persona nella sua unicità”. Titti da bambina immaginava di diventare medico.“A ben vedere – racconta- non ho abbandonato del tutto la mia inclinazione perché, anche se con metodi diversi, il mio obiettivo rimane curare la salute delle persone”. Alla domanda circa il modo in cui conciliano l’attività del negozio con l’accudimento della famiglia Betty risponde mimando un trapezista pronto per una doppia giravolta e il triplo salto mortale mentre Titti alza le spalle per significare che finisce per penalizzare sé stessa in molti modi. La loro giornata tipo prevede la sveglia alle 7 e trenta, ma per Betty fino alle 7 e quarantacinque, nessun altro è autorizzato a 287 svegliarsi e interferire con l’assunzione di caffeina necessaria a far carburare il suo organismo. Nel momento in cui i figli mettono i piedi giù dal letto parte il ruolino di marcia: vestizione, accompagnamenti a scuola, negozio, acquisto al volo del pane, negozio, ore 13.00 di corsa a prelevare i più piccoli a scuola, ci si catapulta a casa per preparare il pranzo, si mette un po’ in ordine e si torna in negozio o si accompagnano i figli a praticare attività sportive o al dopo scuola, si rientra alle 20,00 circa per preparare la cena e trascorrere un po’ di tempo tutti insieme per finire la giornata verso le 23,00. Entrambe vorrebbero tanto avere il tempo per dedicarsi ad una passione che le accomuna: cantare. Ma quello a cui non rinuncerebbero, neanche sotto la minaccia della tortura, è per Betty un’ora al giorno da dedicare a se stessa: “e con ciò intendo – dice- non sentire i bambini o qualcun altro che parla, chiede o invade il mio silenzio, ho bisogno di svuotare la mente per ricaricarmi altrimenti divento isterica”! per Titti l’irrinunciabile è la dignità: “non potrei vivere senza”. La rinuncia che è costata di più a Betty è stata abbandonare l’attività agonistica di atletica leggera che ha praticato fino all’ultimo anno delle scuole superiori ma precisa: “in fondo non ho dovuto rinunciare a nulla di veramente importante nella mia vita, sono contenta di quello che ho e prendo le cose e le persone per quello che sono”. Per Titti l’unica vera rinuncia riguarda il legame matrimoniale. Ha dovuto rinunciare per continuare a vivere. 288 Quello che inorgoglisce entrambe come chiocce sono i figli, Betty racconta: “guardo i miei tre figli e sono orgogliosa non solo perché sono venuti al mondo ma anche perché li vedo sereni, affettuosi tra di loro e io so quanta fatica ci ho messo per arrivare a creare quest’armonia” Titti dice: “quando nelle mie due figlie riconosco un comportamento che evidenzia che le ho tirate su bene scoppio dall’orgoglio e mi dico brava stai andando alla grande!” Il loro segreto per mantenere un buon equilibrio mentale è da ricercarsi, per Betty, nell’intoccabile ora al giorno tutta per sé e per Titti nella fede. “E’ la fede che mi sostiene” è il suo commento. L’intervento del settore pubblico dovrebbe prevedere, per Betty, un maggior ricorso al part time e un sostegno economico alle donne che lavorano e crescono da sole dei figli perché: “il bagaglio emozionale di un individuo, quello che diventerà da grande, lo può dare solo la madre, il padre è una figura che supporta e integra ma non sostituisce quella materna. Una donna che lavora tutto il giorno non ha la possibilità di dedicare il tempo necessario ai propri figli e questo non è giusto e non fa bene alla società che dovremmo voler costruire”. Titti è d’accordo e aggiunge: “il lavoro delle donne dovrebbe essere più tutelato”. Alle loro figlie augurano entrambe l’indipendenza economica “me lo ha sempre detto mia madre – dice Betty – e so che è vero, una donna non deve dipendere da nessuno” e di non rinunciare mai alla propria dignità “le mie figlie lo sanno – dice Titti – perché glielo dico spesso, la propria dignità è fondamentale e non va mai messa in discussione”. 289 VtÜÅxÇ Sono una formichina o una leonessa? A volte l’una a volte l’altra Immagine tratta dal sito www.furrymania.it - www.eccomimi.blogspot.com 291 Carmen è una ragazza di 35 anni che sprizza energia e combattività. Napoletana si è trasferita sull’isola d’Ischia da tempo dove lavora come giornalista in una piccola televisione locale. Gira instancabile armata di microfono e accompagnata da un collega cameraman a caccia di notizie. Da piccola sognava di fare la ballerina. Il suo lavoro le piace molto e lo fa con passione ma la gratificazione economica quella proprio non c’è. Mi racconta: “E’ bello imparare, incontrare e vivere tra la gente ma è triste ogni mese rischiare di non avere i soldi per fare la spesa... nel mio privato sono contenta di essere single e non separata con tre figli da gestire ma sono scontenta di essere single e non avere una famiglia... difatti sono fuori di testa, o così dicono gli altri, e pensare che non ho figli e marito ma solo un papà con cui vivo e con cui ho pochissimi rapporti... eppure gli assurdi orari giornalieri di lavoro, spezzettati durante la giornata che inizia di mattina e finisce, spesso, anche a notte inoltrata non mi permettono di organizzare la giornata, nè una vita sociale accettabile. Mi sento, quindi, di diritto nel gruppo delle fuori di testa”. La sua giornata non è niente male: mattinata a lavoro, interviste varie e corsa in macchina da un lato all’altro dell’isola per incontrare, ascoltare, domandare, prendere appunti, poi redazione. A pranzo raggiunge la madre, che gestisce un ristorantino in spiaggia, dove lavora ai tavoli e dà una mano in cucina. Subito dopo casa, doccia e nel tardo pomeriggio ritorno a lavoro tra redazione, dirette video, interviste e presentazioni. Rientro a casa previsto: non prima della mezzanotte. Pranzo, cena, 293 spesa, parrucchiera e palestra quando? Di fretta tra un lavoro e l’altro quando si riesce... Le piacerebbe enormemente poter avere tempo per trascorrere un pomeriggio in casa, per riposare, per leggere un bel libro, per stare con se stessa e i suoi cari, fare una vacanza ma, soprattutto, le piacerebbe avere il tempo per prepararsi un pranzo decente e non ricorrere sempre ai cibi precotti. Non rinuncerebbe mai al lavoro e alla famiglia. Un tutt’uno problematico e inscindibile. La rinuncia che invece ha dovuto fare, e le è costata, è crearsi una famiglia. Pochi soldi e poco tempo le hanno fatto lasciare sul campo anche l’amore per qualcuno di importante. Ciò che la rende orgogliosa è: “Pur con tutte le difficoltà e rinunce il lavoro mi permette, nel mio piccolo, di essere utile agli altri e di essere indipendente economicamente dalla mia famiglia (anche se non per tutto, come la casa ad esempio)”. La sua valvola di sfogo sono le passeggiate in solitudine ascoltando della buona musica. Dal settore pubblico vorrebbe meno assistenzialismo e più lavoro mentre al privato chiede di creare sull’isola più aree di parcheggio o un migliore servizio di trasporto. Alle giovani donne augura di: “sentir parlare di pari opportunità allo stesso modo nel quale io ho sentito parlare dell’impervio cammino affinché le donne ottenessero il diritto di voto: un fatto storico importante ma per me un dato di fatto.... ecco: pari opportunità battaglie lontane, un dato di fatto...”. 294 VÄÉà|Äwx “Questa terra sarà mia, domani è un altro giorno” Immagine tratta dal sito: www.mymovies.it Clotilde non si arrende mai. Può fermarsi a riprendere fiato, può prendersi una pausa per riflettere o può interrogarsi per decidere che strada imboccare ma mollare no, questo proprio no, non le appartiene. Da bambina riteneva che la miglior carriera da intraprendere fosse quella dell’ereditiera ma, essendo venuta meno quest’opportunità, oggi fa la dirigente scolastica di uno storico e famoso liceo partenopeo con una platea scolastica numerosa come la tifoseria di una grande squadra. Una volta si diceva preside, oggi dirigente scolastico. Ha iniziato a insegnare perché, seguendo il consiglio dei genitori, scelse un lavoro che le avrebbe permesso, poiché donna, di conciliare il suo impegno fuori casa con la vita familiare. Oggi, con il carico di lavoro che si ritrova, riesce a conciliare a malapena l’essenziale. E a volte le categorie dell’essenzialità vanno anche rivisitate. Quarantanove anni, sposata e con figli odia lo spreco di tempo e risorse e ama il rapporto con gli studenti. Per seguire casa, famiglia, lavoro, varie ed eventuali tiene duro e non si lascia abbattere. Certo, in qualche momento vorrebbe spegnere la luce e recuperare un po’ di sonno, ma stoicamente va avanti ripetendosi che la domenica potrà concedersi una pennica. E se la domenica durasse 56 ore sarebbe magnifico… Il tempo che proprio non riesce a trovare è quello da dedicare a se stessa, magari per andare in palestra e scongiurare, così, il pericolo di svegliarsi una mattina e sentire scricchiolare le ossa sinistramente. La rinuncia più pesante che ricorda è legata al sacrificio di preziosi momenti di vacanza. Il risultato che la rende più 297 orgogliosa è essere riuscita a valorizzare delle persone che ora credono in loro stesse e sono cresciute molto. La sua ricetta per mantenere un discreto equilibrio mentale prevede: ridersela in cuor proprio di tutto cogliendo il lato grottesco delle situazioni, stare ogni tanto sola con se stessa a ripensare alle cose fatte perdonandosi un po’. Senza rinunciare a deprimersi in santa pace in compagnia di amiche che hanno subito la stessa sorte. Una sana e collaudata ricetta: chiacchiere e cioccolato. E’ convinta che il settore pubblico potrebbe migliorare la vita dei cittadini offrendo una buona assistenza legale. Alla domanda circa l’esistenza di eventuali barriere che ha incontrato all’ingresso nelle istituzioni risponde: «Apparentemente la barriera da superare era rappresentata dalla difficoltà di un pubblico concorso, in realtà gli ostacoli che ho incontrato sul cammino sono stati il corredo di stereotipi di una mentalità, propria anche di alcune donne, sostanzialmente maschilista. Ti chiedono di essere un “maschio” per rispettarti, ma tu dentro hai una visione delle cose diametralmente opposta e se cerchi di imporla, credono che tu sia debole. Macchè debolezza, dentro siamo rocce. Per conservare e promuovere gli spazi conquistati, prevenendo i colpi bassi di quanti mi circondano, mi devo ammazzare di lavoro». Le chiedo se la differenziazione dei ruoli ha condizionato il successo nella vita pubblica e la risposta che ricevo è: “Parecchio, quasi nessun uomo, soprattutto più vecchio d’età di te, accetta il tuo ruolo quando è apicale. La tua famiglia, poi, è un covo di detrattori incalliti”. Ma esiste un valore aggiunto femminile esplicito nell’esercizio dell’amministrazione pubblica 298 e cosa le ammini-stratrici sono riuscite a fare di diverso rispetto ai colleghi uomini? “Le donne sono più energiche e fattive in ogni piccola cosa - continua - nel ricondurre le cose all’ordine, poi, sanno essere inflessibili”. A sua figlia e alle giovani donne augura di trovare compagni/mariti più comprensivi e collaborativi e, in generale, di poter vivere in un contesto sociale più favorevole, anche se dichiara “Temo che ci vorranno secoli”! 299 VxÄxáàx I miei cugini mi hanno sempre chiamato Signorina Rottermaier (la governante della casa di Heidi) per il mio essere svizzera. Immagine tratta dal sito: www.tiffany.blog.rai.it Minuta, capelli castani e voce garbata. Celeste colpisce per la sua disponibilità. Ti accoglie sorridente da dietro il bancone della farmacia di un paesino pedemontano in provincia di Avellino dove lavora come dipendente. Da piccola si immaginava a difendere i diritti dei più deboli in un’aula di tribunale o a lavorare in un qualsiasi posto ci fossero frotte di bambini. Il suo lavoro le piace perché le porta il contatto umano con le persone ma, il rovescio della medaglia, è che le impegna la maggior parte del tempo quotidiano. Da un anno e mezzo lavora e si prende cura della casa in cui vive con il padre e il fratello. La sua giornata procede in questo modo: sveglia alle 6:00, subito il caffé e poi di corsa a organizzare il pranzo, rifare i letti, pulire il bagno, stendere il bucato e alle 8:20 si esce di casa per andare a lavoro. Alle 13:00 rientro a casa, passando per il panificio, mangiare e risistemare la cucina, ritirare il bucato steso, preparare la cena e alle 16:20 ritornare a lavoro fino alle 21:00. Rincasare, mettersi comoda, trascorrere qualche minuto al telefono con i cari lontani e addormentarsi… domani si rivà in scena. Quel che le manca è il tempo per poter coltivare le sue passioni: il giardinaggio, la lettura e l’attività fisica anche se, per il momento, si ritiene fortunata perché non ha dovuto rinunciare a niente di veramente importante. Ciò su cui non accetta compromessi è il tempo da dedicare a se stessa la domenica pomeriggio. Quello è intangibile. Il suo orgoglio è costruire, giorno dopo giorno, il rapporto con le persone, il dipanarsi di una storia quotidiana. Ciò che la gratifica sono le persone che entrano in farmacia e la chiamano per nome palesando un 303 rapporto che và al di là di quello commerciale per inoltrarsi verso il delicato territorio della confidenza che, a volte, se ben curato può far germogliare l’amicizia. Il suo segreto per star bene è essere in armonia con se stessa godendosi anche i piccoli piaceri della vita: ”La nostra è una realtà davvero cruda, - dice - sembra che per lavorare si debba scendere sempre a compromessi, soprattutto al meridione dove il tasso di disoccupazione cresce ogni giorno di più”. Alle giovani donne augura di realizzarsi senza perdere la libertà. 304 WtÇ|ét A mia figlia auguro di non smettere mai di essere donna! Se mi dovessi identificare in un’attrice sarei Anna Magnani. Immagine tratta dal sito www.filmscoop.it Napoletana trapiantata a Roma poco dopo la laurea in Scienze Politiche, 43 anni, un marito e una bambina piccola, tanti riccioli e una vita a metà tra Roma e Milano. Ci siamo conosciute una mattina di più di vent’anni fa al primo giorno di corso di economia politica. In un cinema porno. Sì, in un cinema porno perché mentre i nostri amici iscritti a giurisprudenza, per la cronica carenza di aule degli atenei partenopei, erano ospitati nelle sale in cui si proiettavano film d’essai, noi iscritti all’Istituto Orientale, venivamo dirottati verso un cinema a luci rosse. Non l’ho mai potuto dire a mia madre che, da americana, non avrebbe capito. Avrebbe solo immaginato sua figlia sulla via della perdizione. Mio padre ci ha messo del tempo a memorizzare il suo bellissimo e insolito nome, i primi tempi mi diceva: “ha telefonato Danzica ti cercava…”. Da piccola avrebbe voluto fare la veterinaria invece fa la business developer per una multinazionale. Il lavoro e l’indipendenza li ha scelti e se li è conquistati: non sempre è stato facile. Del suo lavoro le piace l’attività non ripetitiva e statica, un continuo variare che la tiene informata su ciò che accade intorno, quello che le piace meno è che non sempre ha la sensazione che i suoi sforzi siano apprezzati e valorizzati. Riesce a gestire un non facile mènage familiare (la maggior parte della settimana la trascorre a Milano lasciando a casa marito e figlia) con molta organizzazione e aiuto da parte della famiglia. Ogni tanto arriva l’instancabile e ciarliera mamma che le scaravolta casa e le permette di tirare un sospiro di sollievo (in sottofondo si sente il suo tranquillizzante e incessante cicaleccio con la nipotina). Quando è a 307 Roma la sua giornata tipo si svolge così: mattina sveglia presto, figlia a scuola, sistemare casa per quel che si riesce a fare, macchina e traffico fino al lavoro dove si rimane fino a dopo le 18 con un pranzo al volo, ri-traffico per prendere figlia dai nonni, spesa se c’è il tempo, cena, qualche faccenda a casa, 5 minuti di televisione e chiacchiera con il marito e poi tracollo sul letto. Le chiedo se ha mai pensato di mollare: “tengo troppo alla mia indipendenza economica per farlo e poi c’è il mutuo da pagare!”. Quello a cui ha dovuto rinunciare è lo sport e, sospetto, anche parecchio sonno. Il suo segreto è ritagliarsi, anche solo un ora, per stare fuori casa da sola. Ritiene che sarebbe d’aiuto se il settore pubblico supportasse la famiglia nella gestione del tempo dei ragazzi: “Per chi lavora 8/10 ore al giorno – dice - avere l’aiuto delle istituzioni nel tenere i ragazzi impegnati in attività sicure e produttive sarebbe davvero utile. Come lo sarebbe una seria azione di prevenzione sanitaria”. Ma quel che proprio la fa andare in escandescenza è la viabilità: “non è possibile impiegare un’ora per fare 12Km per gli spostamenti lavoro/casa! E’ tempo sottratto alla famiglia e a se stessi”. A sua figlia augura un mondo in cui ci sia vera parità tra uomini e donne e di non smettere mai di essere donna! 308 XÅtÇâxÄt Il mio personaggio di riferimento è Elisabeth Bennet in “Orgoglio e Pregiudizio”. Immagine tratta dal sito www.blog.libero.it Emanuela al telefono ha una voce calda, pacata e gentile. Come me, quando chiama qualcuno al cellulare, teme sempre di disturbare. Ha 44 anni e da piccola pensava che le sarebbe piaciuto diventare una scrittrice. Di fatto traduce e corregge quello che scrivono gli altri. Gli altri sono i suoi studenti a cui insegna lingue straniere negli istituti superiori. Mi spiega: “E’ un lavoro che mi gratifica molto, naturalmente non dal punto di vista economico! Mi piace stare con gli adolescenti, osservare i loro progressi durante una fase di crescita particolarmente problematica e, quando è possibile, aiutarli a superare i momenti di crisi. Ovviamente vi sono anche situazioni problematiche ma immagino che ciò sia vero per tutte le professioni”. La gratificazione economica insoddisfacente non è da ascrivere ad una tendenza ad essere spendacciona ma al fatto che Emanuela è una insegnante precaria. Riesce a lavorare, seguire la casa, i figli, i genitori anziani, i suoceri e i parenti senza andare fuori di testa grazie ad una organizzazione attenta: “provo ad organizzare tutto alla perfezione e non mi risparmio mai, però se sento che è necessario, mi concedo un pomeriggio di ozio completo o di shopping con le amiche”. La sua giornata tipo procede nel seguente modo: sveglia alle 6.30 e poi tutto di corsa, pulizia della casa, “servizio taxi” per i figli, ore di lezione a scuola, pranzo, faccende, acquisti necessari, correzione dei compiti, aiuto ai figli nei compiti a casa, telefonate alla mamma per controllare che stia bene e imprevisti vari da gestire. Le piacerebbe poter frequentare lezioni di ballo, rileggere i grandi classici della letteratura europea e 311 gli ultimi romanzi degli autori contemporanei che preferisce ma, quello di cui non fa a meno in nessun caso, è una “pausa caffè” con le amiche, almeno una a settimana. La rinuncia che le pesa di più è non poter frequentare corsi di approfondimento all’estero e viaggiare per visitare le capitali europee con i suoi amici. Ciò che la rende orgogliosa dei suoi sforzi sono, nel lavoro, la stima dei colleghi e l’affetto degli studenti mentre nella vita privata si sente soddisfatta e ripagata dall’affetto dei parenti unito al buon rapporto costruito con i figli. Il suo segreto per rilassarsi è barricarsi in camera da letto a leggere un buon libro isolandosi da tutto quanto accade fuori dalla porta. Per staccare la spina è necessario rendere noto alla famiglia che è stata sancita la no fly zone intorno al perimetro della stanza. Al settore pubblico chiede maggiore sostegno per le mamme che lavorano in termini di flessibilità dell’orario lavorativo e infrastrutture adatte ad accogliere i figli in età prescolare mentre, a quello privato, si rivolge per le attività sportive dei figli. Alle giovani donne augura: “Di non dover rinunciare mai alle proprie ambizioni professionali ma, soprattutto, di non arrendersi alle difficoltà quotidiane, poiché sono realmente convinta delle innumerevoli potenzialità dell’universo femminile”. 312 Z|ÉätÇÇt Immagine tratta dal sito: www.aitan.tumblr.com Giovanna è una donna con i piedi per terra. 56 anni, un marito e due figlie. Una famiglia in cui tutti hanno le idee chiare su cosa vogliono essere e fare da grandi. E anche su come sia importante rispettare i desideri degli altri. Giovanna ha paura degli animali ma le sue figlie hanno un cane a cui è stato notificato un ordinanza restrittiva: si può avvicinare a tutti i membri della famiglia tranne che a lei. Ciò non di meno, Giovanna al cane si è affezionata. Le sue figlie amano i cavalli e la più piccola, diciassetenne, è una brava amazzone che sbaciucchia e abbraccia i cavalli, anche quelli giganteschi, come fossero cuccioli di barboncino. La verità è che molti di loro, a dispetto delle dimensioni, si comportano con lei come tali. Il rispetto della madre per l’amore che le figlie nutrono per gli animali ha fatto sì che queste crescessero equilibrate e rispettose dei propri sentimenti e dei timori altrui. Giovanna da bambina si immaginava professoressa di Lettere e invece fa il segretario comunale. Dopo una parentesi vissuta in Piemonte con il marito, docente di filosofia alle superiori, hanno deciso di tornare in provincia di Napoli dove sono nati. Ancora se ne pentono. Giovanna racconta: “La mia più grande rinuncia è stato tornare da Alba nel cuneese ad Acerra nel napoletano. E quello che mi fa rabbia è che la mia carriera si è arrestata quando sono nate le mie figlie. Eppure io ero sempre la stessa, lavoravo con la stessa dedizione e scrupolosità”. Le chiedo se si sente realizzata e mi risponde di sì è soddisfatta di quello che ha costruito nella sfera professionale e in quella privata, quella degli affetti. Cerca di conciliare le cose organizzandosi al meglio e controllando che tutti abbiano il necessario, 315 che a nessuno manchi nulla. Quello che vorrebbe poter fare, ma proprio non le riesce per scarsità di tempo ed energie fisiche, è curare i rapporti sociali al di fuori della sfera lavorativa e viaggiare di più. Il suo segreto per mantenere la serenità è razionalizzare le situazioni. Dal settore pubblico, che ben conosce, vorrebbe maggior senso di responsabilità in modo diffuso. Le piacerebbe che diventasse patrimonio comune una diversa cultura in cui lavorare per lo Stato non fosse un sentirsi al sicuro e abusare dei privilegi che un contratto a tempo indeterminato può garantire ma volesse dire, invece, lavorare al servizio della comunità non perdendo mai di vista la dignità per sé e per gli altri. “Un certo uso della legge 104 sull’assistenza ai parenti disabili – continua – mi aborrisce e mi fa infuriare. E’ vergognoso usare chi vive una situazione di menomazione come paravento per sottrarsi al proprio dovere. Ne va della dignità dei disabili”. Quando le chiedo cosa aiuterebbe concretamente da parte del settore privato, quale servizio, mi risponde lapidaria: “che il privato non vendesse servizi”. Alle sue figlie e alle altre giovani donne augura di poter camminare a testa alta senza superbia, ma con la dignità di chi fa affidamento sulle proprie forze. 316 \ÄxtÇt Se fossi un animale sarei senza alcun dubbio un cane! Non si fa fatica ad immaginare che se fosse un animale sarebbe un cane. Ileana, 31 anni, grandi occhi nocciola e sorriso aperto, i cani li ama. I cani le restituiscono, aggiungendone dell’altro, tutto il loro affetto. Gli umani che i cani li hanno voluti e accolti in famiglia (non mi piace la parola padroni, credo che si possa e si debba, essere responsabili della vita di un altro essere senziente, ma mai proprietari) le indirizzano immensa gratitudine e stima. I suoi tratti distintivi sono la dolcezza e la capacità di ascolto di chi non parla ma si esprime perfettamente. Una dolcezza capace di avvicinare anche un mastino ringhiante. Le sue mani hanno un tocco delicato e sensibile quando frugano nel pelo, tastano le zampe o scrutano le orecchie. Ha coronato il suo sogno di bambina: fare la veterinaria. La sua vita è tra i piccoli animali da affezione domestici: cani e gatti. Lavora in un ambulatorio veterinario a Palma Campania, vicino Napoli, guidato con piglio deciso e tanta, tanta esperienza da un uomo che come lei gli animali li capisce, li rispetta, li cura e li coccola. Quando le domando della sua giornata mi risponde: “Il mio orario di lavoro è dalle 8:30 alle 20.30 (in realtà non si finisce prima delle 21) con un paio di ore per la pausa pranzo. Nello stesso tempo scuola di specializzazione e un paio di giorni al mese a Bari per un corso di approfondimento. Fino a qualche mese fa lavoravo anche di domenica con turni di 24 ore ma ho dovuto lasciare per questioni di tempo… e di salute! Per fortuna vivo con i miei genitori e al momento sono loro che mi danno un grande aiuto”. Non rinuncerebbe mai alla famiglia mentre ha 319 dovuto far a meno di frequentare gli amici e andare in palestra. La privazione che le pesa di più è non avere tempo per se stessa. Ma tutto questo viene compensato dalla consapevolezza di fare il lavoro che le piace. Alle generazioni future di donne augura di non essere mai costrette a dover scegliere tra famiglia e lavoro. 320 ^tà|t Se fossi un animale sarei un gatto perché cade sempre in piedi! Immagine tratta dal sito www.100caniegatti.it Katia ha fatto della pacatezza e della concretezza i suoi tratti distintivi. Posata e diretta ispira fiducia e affidabilità. E’ una donna che trasmette una immagine di solidità e pragmaticità, la persona che vorresti avere accanto nel momento di una scelta impegnativa. Quarant’anni, una famiglia, due figli e un lavoro iniziato da giovane che l’ha portata lontano dalla sua casa pugliese facendola approdare in provincia di Napoli. Da grande le sarebbe piaciuto fare l’architetto. A ben vedere non si è allontanata di molto dalla passione originale, quella cioè, di supportare le persone che decidono di mettere su casa visto che lavora in banca e si occupa di credito e investimenti. Perciò anche di mutui. E’ soddisfatta di quello che fa perché ritiene di aver ottimizzato le risorse disponibili raggiungendo il miglior risultato possibile. Nella sua vita quotidiana si organizza delegando quello che si può, trovando il tempo per essere presente quando è importante per la famiglia, lasciandosi guidare dallo spirito di sopravvivenza e affrontando ogni situazione con ironia. La sua giornata inizia alle 7 con la colazione, momento intangibile, nel quale non ammette intrusioni da parte di niente e di nessuno. Dopo la prima colazione si può affrontare il mondo. Dalle 8 e mezza in ufficio fino alle 13 e 30 ora in cui va a casa per preparare il pranzo, ritorna in ufficio alle 14 e 45 e lì rimane fino alle cinque. Terminato il lavoro si dedica ai figli e alle loro attività sportive, alla spesa e a qualche faccenda domestica. La giornata si conclude alle ventitrè. 323 Quello che le piacerebbe poter fare se avesse tempo a disposizione è leggere. “Ultimamente- dice- mi capita di leggere molto per lavoro e poco per diletto”. Quello a cui non rinuncerebbe mai è riposare quando sa di averne bisogno: “Quando mi accorgo di essere stanca mando tutto e tutti al diavolo, ho bisogno di ricaricare le pile”. Le domando se nella vita ha rinunciato a qualcosa con difficoltà ma mi risponde di no spiegandomi che le rinunce fatte sono state il frutto di una valutazione svolta in vista del raggiungimento di un traguardo più importante. Si è trattato di rinunce strategiche. Il risultato che la rende più orgogliosa è la sua vita così come è. Il suo segreto per mantenere un discreto equilibrio mentale è avere la certezza che tutto passa, scegliere e sbagliare consapevolmente e ricominciare daccapo con rinnovata energia, senza invidia e senza recriminazioni. Ritiene che il settore pubblico dovrebbe fornire assistenza per i figli attraverso la disponibilità di asili nido e scuole che avviino allo sport e aiutino i ragazzi a scoprire e coltivare attitudini e talenti. Dovrebbe, inoltre, esserci da parte dello Stato, l’organizzazione di servizi di assistenza alle persone anziane da coinvolgere in attività ricreative e spazi da condividere con i ragazzi per mantenere vivo il rapporto intergenerazionale. In assenza di ciò si è rivolta al settore privato per avere supporto nella cura dei familiari: “sono stata soddisfatta delle persone alle quali ho affidato i miei figli, altre donne che mi hanno aiutato tanto nella fase della prima infanzia con le quali ho conservato un ottimo rapporto. Sono stata fortunata. Per quanto riguarda collaboratrici domestiche e badanti: nemiche pagate!”. 324 Alla figlia adolescente augura di trovare la sua strada senza inseguire il Dio danaro a tutti i costi, senza tradire se stessa. Vorrebbe che crescendo scegliesse le sue priorità e le perseguisse con serenità, senza scendere a compromessi. 325 _ÉÜxÇét Sono un ariete nella vita vado avanti determinata. Immagine tratta dal sito: www.affaritaliani.libero.it Lorenza di professione fa l’avvocato civilista. Separata con due figli grandi, cinquantasette anni portati con eleganza. Fin da piccola pensava che le sarebbe piaciuto fare l’avvocato. E di questa scelta ancora oggi è convinta, il lavoro la gratifica, la stimola e la appassiona. “Certo – dice – non dimentichiamoci del contesto in cui vivo e lavoro, esercitare la professione forense in Campania non è la stessa cosa che esercitarla in Lombardia o altrove. Sebbene la tradizione dell’avvocatura napoletana abbia dato lustro alla nostra categoria e il foro partenopeo abbia brillato grazie alla presenza di indimenticati avvocati oggi la situazione è critica”. Ma nonostante questo Lorenza crede in quello che fa. Due mattine alla settimana è presente nell’ufficio del gratuito patrocinio in una municipalità in cui ricade il centro storico partenopeo ed è membro del Comitato per le Pari Opportunità dell’Ordine degli avvocati di Napoli. Negli altri giorni la si trova nel suo piccolo studio dove, una volta accomodatisi, ci si sente a proprio agio. E’ un luogo accogliente, trasmette la sensazione di trovarsi di fonte ad una donna che ascolta attenta e partecipe i problemi che le vengono esposti. Non è un ufficio freddo e impersonale organizzato per infondere soggezione e subalternità ma uno spazio, in cui se si hanno delle domande da porre, Lorenza spende del tempo a spiegare e far comprendere le risposte. “Quando una persona con un problema legale viene da me è importante che capisca cosa farò per aiutarlo e quali saranno le azioni che intraprenderò per tutelare i suoi diritti, ci tengo a che capisca che non partiamo con l’idea di fare la 329 guerra a tutti i costi ma che l’obiettivo che ci diamo è di rimettere le cose a posto”. Niente strategie d’assalto ma moderazione e buon senso. Ciò che mi colpisce è la costante declinazione al plurale: faremo, intraprenderemo, cercheremo. Oltre l’avvocato anche l’assistito ha diritto di cittadinanza. Entrando nello studio di Lorenza non ci si spoglia della propria capacità di comprendere per cedere dogmaticamente il testimone ad un legale che non vuole dedicare del tempo a spiegare cosa accadrà e come. Quando le chiedo come fa a conciliare la vita familiare con quella lavorativa mi risponde: “è la passione per il lavoro che mi ha sempre fatto superare tutte le difficoltà e quando capitano i giorni in cui c’è un cedimento ne prendo atto senza farne una tragedia, fa parte del gioco, l’avevo messo in conto”. La sua giornata inizia alle 6 e trenta e si dipana tra il tribunale e lo studio fino alle otto e mezzo di sera, quando chiuso lo studio ci si dedica alla preparazione della cena e al tempo da trascorrere con gli affetti familiari. Quello per cui le manca il tempo sono le relazioni amicali, vorrebbe poter fare più cose in buona compagnia ma la giornata è troppo breve. Ciò a cui non rinuncerebbe mai è seguire la sua casa. E a proposito di rinunce racconta di non averne mai fatte di serie. Il risultato che la rende più orgogliosa è essere un buon avvocato donna. “La difficoltà che una donna incontra nella mia professione – spiega- deriva dal fatto che i clienti quando devono scegliere un legale tendono, tranne nei casi che riguardano la materia del diritto di famiglia, a fidarsi più di un uomo che di una donna. E’ una questione 330 culturale. Non si valuta la preparazione, la disponibilità o altro ma per tradizione si tende a preferire un uomo ad un donna, come se ancora ci fosse un distinguo di genere a proposito del cervello e delle capacità intellettuali. Questo fa, purtroppo, sì, che alcune donne per superare il gap diventino aggressive”. Il suo segreto per mantenere un discreto equilibrio mentale è non soffermarsi troppo sulle cose, l’eccessiva speculazione è rischiosa perché può far scivolare in comportamenti autolesionisti. Dal settore pubblico vorrebbe una maggior organizzazione sui tempi, quelli della scuola, degli uffici, dei trasporti etc. A sua figlia augura di poter lavorare senza mai perdere la passione e l’entusiasmo. 331 `tÜt Immagine tratta dal sito: www.sportingdog.it Mara ha cinquantuno anni ed è una donna disponibile e socievole che ha realizzato il suo desiderio lavorativo, fa esattamente ciò che le è sempre piaciuto fare. Fin da bambina ha coltivato la passione per i libri e oggi, con il marito, ha una casa editrice. Cura la redazione dei testi, segue l’impaginazione, si occupa delle fotografie, dei rapporti col distributore e con le librerie fuori dalla regione. L’unico neo che trova nel suo lavoro è l’incertezza che discende dall’essere un imprenditore. Non ha figli e i suoi genitori sono autonomi, perciò, non soffre di cronica mancanza di tempo e quello che ha lo spende in modo soddisfacente. La sua organizzazione quotidiana prevede due spazi: quello della mattina dedicato alle incombenze domestiche e quello pomeridiano riservato al lavoro. Quello che proprio le manca è avere tempo, energie e risorse per poter viaggiare e visitare i musei e i siti archeologici in giro per il mondo. “La verità - dice - è che quando uno lavora in proprio non deve saper fare un solo lavoro, ma quaranta, dalle pubbliche relazioni all’amministrazione, dalla commercializzazione alla grafica, dalla correzione delle bozze alla stampa, alla comunicazione, al digitale, non ultimo il facchino perché l’editoria SEMBRA un lavoro intellettuale, ma in realtà devi continuamente spostare pesi per archiviare i libri, per fare le spedizioni o le consegne al distributore!!” La cosa a cui non rinuncerebbe mai è leggere mentre, quel che la pesa di più, è aver perso la spensieratezza: “Non stacco mai, anche quando apparentemente faccio altro mi accorgo che sto pensando a un’immagine da inserire in un testo o a una libreria che non ho sollecitato”. 335 Il risultato che la rende più orgogliosa è aver realizzato una sua idea: l’EnoLibro. A pensarci bene come si fa a non essere d’accordo con lei che ha messo insieme due cose che per molti, fra noi mortali, rendono la vita degna di essere vissuta: un bel libro e un buon bicchiere di vino. Il suo segreto per preservare un decente equilibrio mentale è giocare con la vita e non prendersi mai troppo sul serio. Il settore pubblico, a suo giudizio, potrebbe migliorare la vita investendo sulla cultura e sulle piccole imprese. Alle giovani donne augura una vera parità non solo nella sfera lavorativa ma anche in quella domestico-familiare dove il ruolo femminile continua ad essere preponderante. “Non si può – commenta- continuare a pensare alle donne come persone che stanno in casa e possono perdere una intera mattinata per il disbrigo di qualunque commissione”. 336 `tÜ|xÄÄt “ …E la società può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni”. Karl Marx Mi piacerebbe essere Socrate, ma mi sento molto vicino a Paperino! Immagine tratta dal sito: www.it-it.abctribe.com - www.paid2write.org Mariella è nata in Calabria ma si è trasferita a Napoli per studiare all’università e poi ci è rimasta, a Napoli non all’università. E’ una donna con un’interiorità magmatica. Quando la ascolti puoi quasi sentire il rumore frenetico degli ingranaggi nel suo cervello. Un lavorio tutto femminile del tipo Schopenhauer aveva ragione su quella cosa …devo ricordarmi di comprare il detersivo per la lavatrice…mia figlia ha bisogno del certificato medico per tornare a scuola… fra tre mesi mi scade il contratto come farò? - 47 anni di introspezione. Ha due figli, uno all’università e l’altra al ginnasio, che non solo invece di bisticciare come cane e gatto si abbracciano e si fanno le coccole ma che non si indirizzano nemmeno irrepetibili invettive l’un l’altro (almeno non in mia presenza, ma ho la sensazione che non lo facciano d’abitudine). La domanda che si affaccia alla mente è: cosa metteva nei loro biberon oltre al latte? Una laurea in filosofia e una consistente esperienza sul campo nella scuola e nella formazione professionale. Le sarebbe piaciuto dedicarsi alla ricerca ma si è scoperta con una passione per la didattica. Una vita di precariato. Minuta con un impeccabile caschetto castano quando è in aula con i ragazzi perde tutta la sua compassatezza e si infervora. Li stimola al dibattito, all’apprendimento consapevole, alla critica e l’autocritica. A volte sfinita dal tran tran quotidiano pensa ma chi me lo fa fare? Ma questo pensiero negativo dura una frazione di secondo. Si rituffa subito in una didattica che non lascia spazio alla “muffa” del rapporto antico di tipo frontale con il docente in 339 cattedra e i discenti silenti nei banchi. Forse anche perché dove sono più questi alunni silenti. A cercarli nemmeno li si trova se non nella nostra memoria quando la sola minaccia di una sospensione o di un colloquio con il preside ci faceva tremare portandoci a più miti consigli. Ha sempre voluto fare l’insegnante ma non si aspettava di farlo in modo discontinuo, frammentato, precario. Alla domanda se si sente realizzata risponde: “Sono contenta perché ho sempre svolto attività affini ai miei interessi ma, nello stesso tempo, scontenta perché niente di quello che ho fatto mi ha consentito quella stabilità professionale ed economica che mi permetterebbe oggi di essere pienamente realizzata come donna, madre, e professionista”. Il suo ruolino di marcia quotidiano prevede: sveglia alle 5,00 - 5,30. Caffè, caffè, caffè per carburare. Poi subito sui libri per rivedere gli argomenti da trattare in classe, pulizia casa e organizzazione pranzo, preparazione per uscire (non senza aver prima preparato la colazione e svegliato i figli). “Esco di casa – continua - ed incomincia l’odissea per raggiungere il posto di lavoro. Se posso torno a casa ad ora di pranzo, nel pomeriggio mi occupo della casa, dei ragazzi, ma soprattutto programmo il lavoro per il giorno dopo. Infine, sopraffatta dalla stanchezza, mi abbandono tra le braccia di Morfeo”. Quello a cui non rinuncerebbe neanche per tutto l’oro del mondo è la sua famiglia, quello di cui deve fare a meno è viaggiare. Il suo segreto è non perdere di vista le cose importanti e commenta: “io so di averle”. Dal settore pubblico vorrebbe un impegno serio per risolvere il problema del precariato e per migliorare la viabilità. Per lei che 340 si sposta con il trasporto pubblico dovendo fare tre ore di lezione in una scuola al centro della città ed altre due in un comune della provincia è un calvario costante lottare con il traffico, gli scioperi e le interruzioni per lavori stradali. Alla domanda su che cosa acquisterebbe dal settore privato risponde: “Tutto quello che può rendere più facile ed agevole la mia giornata, ma anche più piacevole e significativa. Comprare, però, è un verbo quasi in disuso nel mio vocabolario”. A sua figlia e alle giovani donne augura di scoprire e realizzare i loro talenti. 341 ctÉÄt Sono come una tartaruga gigante. Immagine tratta dal sito: www.t.123rf.com Paola è come Bianconiglio, il personaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie, sempre di corsa. Fare una riunione con lei fa venire l’ansia. E’ sempre con una gamba protesa fuori dalla sedia pronta a scattare in piedi e scappare via. Con scatto felino ed agile mossa è fulminea nel guadagnare l’uscita. Sguscia come una anguilla di Comacchio. Da piccola fantasticava di fare l’arredatrice di giardini, una passione che ancora coltiva (mai verbo fu più calzante). Non avendone potuto fare una attività remunerativa ha optato per il mondo bancario nel quale è una funzionaria. Le domando come riesce a lavorare, seguire la casa e i figli senza andare fuori di testa: “Vorrei saperlo anch’io. Fondamentale è non essere mai intransigenti con se stessi. Non è possibile, con tutti i ruoli che le donne sono chiamate a ricoprire, essere perfette. L’errore è sempre in agguato!!! Il preziosissimo aiuto di mia madre con i bambini, la possibilità di pagare qualcuno che metta a posto casa (non proprio come vuoi tu… ma meglio di niente), una indispensabile agenda su cui scrivere tutto quello che devi fare ed entro quando (ovviamente con margini di errore sui tempi), e un ottimo senso dell’umorismo sono indispensabili per mantenere l’equilibrio”. La sua giornata tipo procede grosso modo così: ore 6.30 si parte con la preparazione della colazione per tutti, sveglia bambini, vestizione e preparazione ed avvio degli stessi a scuola o al campo estivo o dalla nonna, ore 8.15 si parte con i bambini per le destinazioni giornaliere, ore 9.00 – 18.00 ufficio (lavoro pesante e organizzazione telefonica della famiglia sia relativamente alle problematiche dei nonni ormai vecchiarelli che dei bambini), ore 18.30 345 casa della nonna a prelevare i bambini che, ovviamente, non aspettano altro che te per essere ascoltati … ore 19.00 spesa per la cena, incombenza cui qualche volta il marito si presta, ore 20.00 circa – e a questo punto Paola dichiara “qui è la mia vera fortuna mio marito, date le mie incertezze culinarie, mi ha proibito di usare i fornelli e fa tutto lui” ore 21.00 circa –continua: “il risvolto della medaglia: la cucina e’ un disastro e la devo mettere a posto io perchè lui ha cucinato.” Ore 22.00 lavaggio bambini, pigiamini e tutti sul lettone per il racconto della storiella prima di dormire, preceduta da salti sul letto, cuscinate e reiterati appelli “state attenti che vi fate male!”ore 23,30 bisogna innaffiare le piante sul balcone (avendo scoperto la passione di Paola non si tratta di qualche geranio in coma e due piantine di basilico sbilenche) ore 24.00 – ultimo biberon di latte al più piccolo, ore 24.10 finalmente si dorme … se non fa troppo caldo. Alla domanda se le manchino il tempo e le energie per fare qualcosa a cui tiene risponde: “sistemare le foto dei bimbi, con le macchine fotografiche digitali non si riesce mai a farlo… che nostalgia il rullino di una volta!”. Quello a cui non rinuncerebbe mai sono i bambini che le saltano addosso e la sbaciucchiano quando torna a casa. Il suo segreto per rimanere sana di mente è ridere di se stessi e degli altri. Dal settore pubblico vorrebbe una maggiore assistenza all’infanzia e un’organizzazione che permetta alle donne di essere al lavoro con la tranquillità di un reale supporto alla famiglia. Ad esempio se il nonno deve andare dal cardiologo chi lo accompagna? Se la nonna deve sbrigare una faccenda all’ASL chi l’accompagna? Per principio non vorrebbe 346 dover ricorrere al settore privato ma è costretta a farlo comprando servizi di assistenza. Alle generazioni di donne future augura: “Certamente non un mondo in cui siano previste le quote rosa perché mi sembrano i posti sull’autobus riservati ai diversamente abili, la parità anche attraverso il riconoscimento della maternità, maggiori agevolazioni rispetto a quelle di oggi, come diritto proprio del ruolo femminile nella famiglia. Noi non siamo uomini (siamo superiori ovviamente) e molte di noi non vogliono esserlo! Le discriminazioni sono insopportabili. Auguro loro, inoltre, di poter vivere in un mondo più verde e sensibile all’ambiente. Un mondo da cui venga bandita la violenza”. 347 eÉátÇÇt E’ una vitaccia, ma ce la faremo! Se fossi un animale sarei un delfino perché adoro il mare e perché è un animale socievole ed è ottimista nonostante tutto! Immagine tratta dal sito: www.liguriatg24.it Sarà perché è ischitana ma Rosanna è decisamente una persona solare. 42 anni anche se lei afferma: “in realtà 18 e sei mesi!”. Sorridente, ottimista, instancabile. Si acciglia solo quando il cielo si rabbuia. Una giornata di brutto tempo è, per lei, è un insulto personale da parte del Padre Eterno. E’ metereopatica o forse è solo abituata a vivere su un isola dove il mal tempo non è di casa. Capelli ricci e sguardo diretto ha una tabella di marcia quotidiana ferrea: sveglia alle 5.30, un po’ di pulizie in casa, alle 7.00 in azienda, a pranzo un panino, pomeriggio tra l’azienda e le varie faccende amministrative, alla sera spesa e cena dopo di che viene sopraffatta dallo sfinimento. Da piccola pensava che sarebbe diventata una mamma e un insegnante. La vita le ha portato altro. Insieme al marito Michele, la versione nostrana di Tyron Power, ha provato a far decollare diversi progetti lavorativi, tra i quali c’è stata anche una parentesi statunitense. All’inizio del nuovo millennio hanno avviato un allevamento di conigli allo stato semi-brado. Il famoso coniglio ischitano. Rosanna è una imprenditrice agricola. Una vera combattente. Rapporti con le banche, con i fornitori, con i veterinari, con i collaboratori, con la pubblica amministrazione, con i clienti, con i ristoratori e gli albergatori. Non c’è persona con la quale non parli, tratti e…sorrida. “Certo- mi racconta- non è stato facile. Ancora oggi ci sono uomini che entrano in azienda e chiedono di parlare con il proprietario… e io serafica gli rispondo che lo stanno già facendo”. E’ contenta del suo lavoro perché può decidere come gestirne tempi e modalità ma questa 351 libertà ha un risvolto, le giornate di lavoro sono lunghe e faticose e poi aggiunge: “Fare l’imprenditrice al Sud non è come farla al Nord. Qui ci sono mille ostacoli, mille pastoie burocratiche che ti rallentano e ti rendono le cose molto più difficili. Ho comprato un macello semovente a capacità limitata che nel resto d’Italia è autorizzato dalle autorità sanitarie, da noi no. Lo sto ancora pagando e non lo ho mai potuto usare, un danno enorme”. Per non uscire fuori di testa si è creata uno spazio tutto per sé, la domenica dopo aver foraggiato gli animali stacca la spina e fa quello che la distende ovvero, finché il tempo lo permette, si fionda a mare. Le manca terribilmente non aver tempo per viaggiare, dedicarsi di più alla lettura, poter seguire un corso avanzato di inglese e imparare a fare i dolci perché allevare degli animali significa non conoscere domeniche né feste comandate. Quello a cui non rinuncerebbe mai sono la famiglia e il cioccolato. Il suo segreto per mantenere un discreto equilibrio mentale è sorridere e parlare con persone intelligenti. La prima delle due è facile la seconda un po’ meno perché le persone intelligenti bisogna prima trovarle. Al settore pubblico chiede maggior sostegno nelle difficoltà quotidiane, formazione qualificata calibrata sulle reali esigenze del settore agricolo e la concretizzazione delle filiere corte che porterebbero all’eliminazione di molti dei passaggi tra il produttore e il consumatore. Vorrebbe potersi permettere una collaborazione domestica e un collaboratore in azienda in grado di sostituirla per poter fare una piccola vacanza. Alle donne più giovani augura di occupare più posti di potere decisionale e di riuscire a sviluppare, tra loro, una vera complicità. 352 eÉátÜ|t Immagine tratta dal sito: www. cartamagia.com Chicca è una signora. Non c’è altra parola per definirla, o almeno quando l’ho conosciuta questa è quella che mi è venuta in mente. Capelli castani e occhi chiari brillanti striati da una vena di malinconia. Ha studiato per realizzare il sogno che accarezzava fin da bambina, andare a cercare le tracce del passato. Chicca fa l’archeologa e dice: “Ora ho una gran paura di non poterlo più fare perché la mancanza di lavoro mi rende troppo instabile economicamente. A volte penso di essere tra le fortunate che, almeno per un periodo della loro esistenza, hanno potuto fare quello che desideravano e che quindi non mi devo lamentare se ad un certo punto “il senso di responsabilità” mi spingerà ad abbandonare il sogno e mettere i piedi per terra. Altre volte però mi dico che questa è una sciocchezza e che non posso, non devo e sopratutto non è giusto abbandonare tutto e buttare al vento anni di sacrificio, di studio e di lavoro perché questo paese è governato da incapaci che non capiscono che la cultura non è “a fondo perduto”. Le domando come si organizza le giornate per far tutto senza andare fuori di testa e mi risponde: «Il problema per me non è andare fuori di testa quanto piuttosto mi piacerebbe non vivere nei sensi di colpa. La mattina mi sveglio con un’angoscia tremenda pensando alla giornata che mi aspetta e a come mi districherò tra mille cose e la sera vado a letto pensando che potevo fare meglio e di più se solo… E così va un giorno dietro l’altro sentendomi in colpa per non “essere passata un momentino da mamma”, per non essere riuscita a trovare il tempo di fare “quella telefonata alla mia carissima amica”, per non aver avuto il tempo di andare a trovare quella persona che è così sola e alla quale ho pensato tutto il giorno, per essermi dimenticata il latte ed essermelo ricordato solo nell’attimo in cui ho infilato 355 la chiave nella toppa della porta di casa… insomma per aver fatto tante cose, ma forse non quelle davvero importanti. La domanda alla fine della giornata è … e domani come faccio?» Quello che le piacerebbe tanto fare è mettere ordine nella sua vita. Quello per cui sta lottando affinché non diventi una rinuncia bruciante è continuare a fare l’archeologa. Ma di rinunce ne ha già fatte. “Le rinunce che ho fatto – continua - sono quelle relative al dover sottostare a dei compromessi in ambito lavorativo e non all’inizio della carriera ma continuamente. Credo nel lavoro come stimolo e gratificazione personale. A volte penso che il risultato che mi rende più orgogliosa sia l’essere riuscita a diventare un archeologo come sognavo. Quando torno in me mi rendo conto che questo non è un risultato vista la condizione di precarietà in cui mi trovo e allora penso di aver sbagliato tutto”. Il suo segreto per mantenere un accettabile equilibrio mentale è sedersi al bar con un’amica, raramente mi dice, o passare del tempo in libreria. Dal settore pubblico vorrebbe maggiore fiducia, stima e rispetto per il lavoro che ogni giorno portano avanti migliaia di donne. «Sarebbe “utile” - afferma - se si cominciasse a pensare davvero che il lavoro non sia per le donne solo un bel passatempo per scappare dalle incombenze familiari. Su questa idea si potrebbero anche promuovere leggi a favore di una riduzione del costo del lavoro (naturalmente questo non riguarda solo le donne ma anche i cosiddetti “giovani” che giovani non lo sono più da un pezzo!)». Al settore privato si rivolge per avere una persona che la aiuti in casa. A sua figlia e alle giovani donne augura di riuscire ad essere serena qualunque strada scelgano di seguire nella vita. 356 f|ÄätÇt Immagine tratta dal sito: www.pilatesfirenze.it Silvana è una donna gentile. Quando la incontro è quasi nascosta dai faldoni di carte che affollano la scrivania dell’ufficio di un ente locale partenopeo per il quale lavora. 57 anni, un marito, dei figli e la consapevolezza che per loro sarà molto più difficile di quanto non lo sia stato per i loro genitori trovare un lavoro. Da bambina le sarebbe piaciuto fare la maestra elementare insegnando ai più piccoli. Poi ha preso altre strade. Le domando se è contenta del lavoro che fa e mi risponde: “Sono scontenta perchè faccio un lavoro ripetitivo, però non mi lamento perché ho avuto la grande fortuna di lavorare”. Onesta e sincera. Concilia la sua vita in ufficio con quella familiare ricorrendo ad una buona organizzazione e a una collaborazione domestica tre volte la settimana. La sua giornata tipo contempla la sveglia alle 6, il timbro il cartellino alle 7,45 e il lavoro fino alle ore 15,30, se non ci sono straordinari, ritorno a casa verso le 16,30 per occuparsi di tutto ciò che c’è da fare (la spesa, cucinare, riordinare). Quello di cui non si priverebbe mai è andare in palestra due volte la settimana: “il pilates mi scarica tantissimo” – mi racconta. Ciò per cui le scarseggia il tempo è leggere un bel libro ma, almeno la sera, cerca di leggere i quotidiani. Il suo segreto per preservare un discreto equilibrio mentale consiste nel non farsi sottrarre almeno due spazi a settimana da dedicare solo a se stessa per fare qualcosa di gratificante: andare in palestra, frequentare un corso di ballo, qualsiasi cosa faccia star bene e funzioni come stanza di compensazione. Di quel che vorrebbe dal settore pubblico dice: “sicuramente in ogni ente pubblico, come anche nel settore privato, ci vorrebbero degli asili nido 359 per aiutare le mamme che lavorano e che spendono tra baby sitter e asili privati buona parte del loro stipendio (mio figlio per cinque lunghi anni ha avuto una baby sitter) e poter avere degli orari più flessibili in modo da conciliare famiglia e lavoro e non essere sempre penalizzate in quanto donne in carriera”. Alle giovani donne augura di poter lavorare. 360 itÄxÜ|t Se mi dovessi identificare in un animale sarei un cavallo per la sua ambivalenza di fondo che lo vede da un lato come un essere tenero e mite, profondamente libero, dall’altro come un concentrato di forza istintuale, capace di incutere anche paura ma solo per pura difesa. In realtà è un animale che non attacca, ma si difende, cerca il contatto ed entra volentieri in comunicazione con chi sappia farsi con lui disponibile a cercare un linguaggio comune… cosa importante in una società come la nostra! Valeria ha lunghi capelli castani sempre compostamente raccolti. E’ seria e professionale. Al lavoro indossa scarpe chiuse anche in pieno agosto con 50 gradi e mai la si è vista in ufficio con una gonna. Forse con il passare degli anni si rilasserà concedendosi qualche frivolezza. Ma come dice di sé: “Sono bella e cara ma non fatemi perdere la tramontana!”. Mi racconta di aver visto diverse prepotenze di stampo decisamente “maschilista” in contesti lavorativi. Mi piacerebbe esserci in una situazione di turbolenza atmosferica per vederla all’opera. Da piccola immaginava di guadagnarsi da vivere scrivendo come giornalista, sempre sulla notizia o, in maniera più rilassata e meditabonda, come scrittrice. Per scrivere, scrive, ma come consulente per le imprese. Le domando se è soddisfatta della scelta lavorativa. Risponde: “Sono contenta di aver conseguito la laurea in giurisprudenza per la completezza del percorso di studi ma scontenta per l’impossibilità di svolgere la professione forense nella mia città, (Napoli), a causa di un sistema disordinato e poco trasparente”. Da poco sposata alle prese con muratori, idraulici, spesa, bucato e cambi di stagione (non se lo aspettava così faticoso e impegnativo) si organizza prediligendo un approccio “elastico” senza penalizzare i propri spazi e soffocare le proprie ambizioni. Quando le chiedo come è scandita la sua giornata mi racconta: «Lavoro in ufficio, lavoro a casa, continuamente in giro per lavoro saltando quasi quotidianamente qualsiasi spacco o pausa pranzo/cena che si rispetti… week end “preferibilmente” senza lavoro!». Quello a cui non rinuncerebbe mai sono le buone letture e i momenti di relax con marito e amici. Quello 363 che proprio non riesce a fare per mancanza di tempo ed energie è praticare sport. Salvaguarda il suo equilibrio mentale con un notevole sforzo e spirito organizzativo unito ad una buona dose di tolleranza e rispetto. Dal settore pubblico desidererebbe ricevere lo snellimento dei passaggi burocratici per la richiesta di qualsiasi documento o prestazione. E puntualizza: “Ci sono numerosi servizi gestiti dal settore pubblico ma l’offensiva a cui sono esposti, negli ultimi anni, porta a un mondo dove tutto è sempre più una merce. Certo il settore pubblico, nella gestione di questi servizi, svolge un ruolo essenziale per la solidarietà sociale e per la pratica dei diritti fondamentali ma si sente sempre più il bisogno di un prodotto finale migliore e di una maggiore trasparenza”. Alle donne delle generazioni future augura il meglio che la vita possa offrire in ogni ambito, in particolare una situazione lavorativa stabile che rifletta le proprie ambizioni personali e le proprie competenze professionali. 364 Postfazione Essere giunti alla seconda annualità del progetto Donna e Impresa rappresenta, già da solo, un non trascurabile traguardo. Parlare di economia, lavoro e impresa con pari dignità scrollandosi di dosso l’odiosa etichetta di “imprenditrici in rosa” non è scontato. Le donne che con il proprio lavoro e impegno quotidiano contribuiscono alla crescita del nucleo familiare e dell’economia sono ancora oggi costrette a lottare con modelli culturali che le vogliono subalterne. Relegate in ruoli minori in ambito lavorativo, nella carriera, nei luoghi decisionali, nella politica, nelle istituzioni e, in certi casi anche nella sfera affettiva e familiare. In verità facciamo una fatica enorme e ci tocca sempre, in ogni momento e ogni occasione, dimostrare di essere brave. Grazie alla possibilità offerta dalla Camera di Commercio di Napoli, che ha finanziato il progetto, da due anni incontro donne, in tutt’Italia, che sollecitate rispondono agli interrogativi sollevati dalla Confesercenti in tema di contratti di lavoro, legislazione in materia di conciliazione di tempi di vita e di lavoro e prospettive future. Ho partecipato a numerosi incontri e dibattiti in cui ho avuto il piacere di presentare le due pubblicazioni realizzate, quella dell’anno scorso sul precariato, Una vita da precaria – riflessioni di una quarantenne sul mercato del lavoro e questa sulla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro 365 e ovunque sia andata ho sempre ricevuto una calorosa accoglienza da persone che si sono complimentate per aver affrontato con coraggio e serietà temi che, troppo spesso, vengono liquidati sbrigativamente e con fastidio come “cose di donne”. Beh l’economia non è cosa né di uomini né di donne, così come non lo sono il lavoro, l’impresa e la famiglia. Sono argomenti, questi, che ci riguardano tutti e da vicino, oggi più di prima. Come direttore della Confesercenti di Napoli e come imprenditrice vivo tutti i giorni le enormi difficoltà legate alla vita delle piccole e medie imprese del nostro territorio e so che non ci si può più permettere il lusso di perder tempo in sterili e inutili contrapposizioni di genere. E’ di vitale importanza valorizzare le attitudini, le competenze e le esperienze di ogni persona a prescindere dal genere cui essa appartenga. Il valore su cui puntare è la persona nella sua interezza, l’individuo con il corredo personale che mette in gioco nel lavoro di squadra. Sono fermamente convinta che lavorare in squadra sia la sfida più importante da cogliere. Solo coniugando le potenzialità di più soggetti che lavorano insieme in armonia si raggiungono obiettivi impegnativi. E davanti a noi ce ne sono tanti di traguardi da raggiungere. Le donne devono finalmente poter esprimere le proprie capacità al meglio senza rimanere intrappolate in stereotipi e pregiudizi. Basta con la declinazione di uno stile di lavoro “al maschile” in cui le donne adottano stili di comportamento e abiti dei loro colleghi uomini. Le donne sono portatrici di idee, metodologie, innovazione, dedizione, creatività e attitudine alle relazioni interpersonali. Sono 366 naturalmente portate a prendersi cura degli altri, anche delle idee e dei progetti degli altri se vissuti come condivisi. Sono, quindi, orgogliosa e contenta dei risultati del lavoro che stiamo svolgendo poiché essi testimoniano la bontà delle mie parole: una buona squadra può fare grandi cose. Il mio ringraziamento va al Presidente della Camera di Commercio, Maurizio Maddaloni, per la sensibilità e l’intelligenza mostrata nel partecipare alle iniziative organizzate nell’ambito delle attività e a chi condivide le idee che sono alla base di questo progetto e mi fa da sprone ogni qual volta vengo colta dalla stanchezza, Francesca Vitelli. A Francesca va riconosciuto, tra gli altri, il merito di essere riuscita a trattare argomenti seri e complessi in modo lieve e scorrevole e, non ultimo, di postulare con me una filosofia di vita: non mollare, mai! Tecla Magliacano Direttore Confesercenti Provinciale di Napoli 367 Ringraziamenti Ringrazio il direttore della Confesercenti di Napoli, Tecla Magliacano, per la sensibilità, l’intelligenza e la lungimiranza con cui accoglie e condivide le proposte. Per l’entusiasmo e l’instancabile impegno con cui ha portato avanti, e continua a portare avanti, i progetti che riguardano il lavoro delle donne. Ho il sospetto che la si possa di diritto annoverare tra le donne che hanno iniziato ad esercitarsi su come ottimizzare i tempi e organizzare gli impegni della famiglia, della casa, degli affetti e del lavoro fin dalla culla! A lei va riconosciuto il merito della realizzazione di questa pubblicazione e la capacità di commuoversi in ogni occasione che ritiene consona. E’ altrettanto doveroso ringraziare la Camera di Commercio di Napoli che ha finanziato questo lavoro riconoscendone la bontà. Desidero, inoltre, ringraziare tutte le donne che mi hanno dedicato tempo e attenzione rispondendo alle domande e raccontando frammenti della loro vita. So di non aver potuto render loro giustizia a pieno ma spero di averne colto i tratti salienti. E un grazie va alle mie impareggiabili e adorate figlie a quattro zampe (in ordine di apparizione): Dalmatica, Maruzzella, Luà e Betty che mi seppelliscono sotto tonnellate di affetto incondizionato e costante allegria. Non passa giorno 369 che non mi stupisca di quanto riempiano la mia esistenza regalandomi serenità e momenti di gioia. Un grazie è per Paolo Pignalosa e Rosario Spagnolo della tipografia Pignalosa che con pazienza e attenzione collaborano alle fatiche di chi scrive. Chiunque volesse commentare il contenuto di questa pubblicazione potrà farlo inviando una mail all’indirizzo: [email protected] 370 Riferimenti bibliografici Agenzia locale di sviluppo Città del fare Scpa “Le pari opportunità di genere: condizione per lo sviluppo e il benessere sociale” 2008 Alberoni R.G. “Io voglio” Rusconi 1990 Alliance for Work-Life progress, “Flexible Rightsizing as a Cost-Effective Alternative to Layoffs, www.worldatwork.org Alesina A, Gavazzi F. “Una svolta per la crescita-Dieci proposte (a costo zero) per dare una scossa all’Italia ” Corriere della Sera 24.10.2011 Allegretti S. “La conciliazione famiglia e lavoro: una nuova cultura aziendale” Il Sole 24 ore Allegretti S. “La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e la normativa di riferimento” Il Sole 24 ore Allegretti S. “La conciliazione che funziona: esperienze di successo e di miglioramento della qualità del lavoro” Il Sole 24 ore ANCI “I Comuni e le politiche familiari – spunti di analisi e di proposta” 2010 AREL, “Flessibilità e sicurezze: il nuovo welfare dopo il protocollo del 23 luglio” 2007 AA.VV. “Conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro. 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Il concetto di indispensabilità La coabitazione è un atto contro natura Le donne chiocciola Eta Beta e Mary Poppins Il superamento del concetto di “doppia presenza” Necrologio di Wonder woman Donne e lavoro L’imparità salariale Gli effetti della crisi economica sull’occupazione femminile I percorsi di istruzione in un ottica di genere Come ci si veste al lavoro? Donne e demografia La condizione femminile Lavori da donna e lavori da uomo Le donne fanno squadra? L’approccio relazionale Ma perché le donne piangono? Lo stereotipo delle favole Identità personale e identità professionale 379 Insulti e turpiloquio di genere L’imperativo della trasparenza Un rapporto di amore-odio L’importanza del pensiero laterale e la dimensione temporale pag. pag. pag. 173 177 183 pag. 189 Parte II – Quadro normativo di riferimento e azioni positive per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro Il mainstreaming – la genesi di un cambiamento culturale pag. 197 Le azioni comunitarie: la road map per la parità di genere e il patto europeo per l’uguaglianza di genere pag. 201 La consigliera di parità pag. 205 Le nuove professioni nate dalla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro pag. 217 La normativa di settore pag. 223 Tipologie di congedo previste dalla normativa pag. 231 La programmazione in Campania pag. 235 Le buone prassi nelle diverse realtà italiane pag. 249 Bilancio di genere pag. 255 Patto sociale di genere – Le esperienze delle Regioni Puglia e Liguria pag. 259 Donne e rappresentanza pag. 265 Banca del tempo e banca delle ore pag. 273 Parte III – Storie di ordinaria peripezia Anna Betty e Titti Carmen Celeste 380 pag. pag. pag. pag. 279 285 291 295 Clotilde Daniza Emanuela Giovanna Ileana Katia Lorenza Mara Mariella Paola Rosanna Rosaria Silvana Valeria pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. 301 305 309 313 317 321 327 333 337 343 349 353 357 361 Postfazione di Tecla Magliacano pag. 365 Ringraziamenti pag. 369 Riferimenti bibliografici pag. 371 Direttore Confesercenti Provinciale di Napoli 381 FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI MARZO 2012 NELLA TIPOGRAFIA PAOLO PIGNALOSA - PORTICI LA PUBBLICAZIONE È STATA REALIZZATA CON IL FINANZIAMENTO DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI NAPOLI NELL’AMBITO DEL PROGETTO “DONNA E IMPRESA: SVILUPPO E CONCILIAZIONE” LA PUBBLICAZIONE È FUORI COMMERCIO. I contenuti della pubblicazione non possono essere riprodotti nè manipolati con alcun mezzo senza l’autorizzazione scritta di Confesercenti Napoli. Francesca Vitelli Agli uomini hanno insegnato a scusarsi per la loro debolezza; alle donne, per la loro forza. Lois Wyse Mostratemi una donna che non si senta in colpa e io vi mostrerò un uomo. Rachel Hare-Mustin Donne sullorlo della Conciliazione Appunti tra tempi di vita e di lavoro