IL PELLEGRINO E IL CONVERTITO. La religione in movimento

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IL PELLEGRINO E IL CONVERTITO. La religione in movimento
marzo 2010 – invito alla lettura
TITOLO:
Il pellegrino e il convertito. La religione in
movimento
AUTORE:
Danièle Hervieu-Léger
EDITRICE:
Il Mulino
Un testo non recente – pubblicato in Francia nel 1999 e in Italia nel 2003 – quello di Danièle
Hervieu-Léger, nota sociologa parigina che da sempre si occupa del problema religioso, ma che
rimane ancora attuale poiché, mediante una lettura stimolante, si occupa dell’evoluzione della
dimensione religiosa nella società occidentale, una religione che viene definita «in movimento»,
effetto del processo di secolarizzazione, il quale non decreta la fine della religione ma ridefinisce
l’insieme dei processi di riorganizzazione delle credenze che si producono in una società. Il problema
affrontato riguarda, da una parte, la comprensione delle dinamiche attraverso cui la modernità
«continua a erodere la credibilità di tutti i sistemi religiosi» e, dall’altra, «il processo da cui invece fa
nascere nuove credenze» (p. 33). La scelta delle figure del «pellegrino» e del «convertito» è motivata
dalla loro pertinenza descrittiva ed euristica per la comprensione di modelli contemporanei di
impegno religioso. Il progetto del libro non è quello di fornire una descrizione completa delle
tendenze all’opera nel panorama religioso, ma di proporre qualche nozione per organizzare la ricerca,
sotto il segno della mobilità (p. 21).
L’analisi è supportata da una serie di dati che la ricerca sociologica della religione,
relativamente all’Europa occidentale e all’America del Nord, ha acquisito da alcuni decenni: la
disseminazione individualistica del credere; la separazione tra credenze e appartenenze confessionali;
la diversificazione degli itinerari percorsi da «credenti erranti»; l’incapacità dei grandi apparati delle
grandi istituzioni religiose di regolamentare la vita dei fedeli rispetto alla rivendicazione
dell’autonomia dei soggetti credenti; la proliferazione associativa; la difficoltà nella gestione di forme
religiose inedite soprattutto quando queste nascono all’interno delle stesse istituzioni religiose.
Hervieu-Léger, muovendo da questo sfondo, si chiede come si possano pensare al tempo
stesso il movimento della disseminazione individualistica delle credenze e i processi multiformi di
ricomposizione e pluralizzazione delle identità religiose comunitarie. L’attenzione si orienta sulla
comprensione del processo storico della secolarizzazione delle società moderne e sul dispiegamento di
una religiosità individuale, mobile, che dà luogo a forme inedite di socialità religiosa.
Lo studio della ricercatrice francese rinviene la radici del processo secolarizzante in un
paradosso immanente alla modernità: la cultura moderna dominata dalla razionalità scientifica e
tecnica, che sviluppa una forte aspirazione utopica nella valorizzazione dell’innovazione e acuisce
l’ambizione del controllo perfetto della natura e delle incertezze della vita umana, fa cadere in uno
stato permanente di inappagamento, favorendo l’emergenza di una spazio immaginario che la
razionalità stessa scompone permanentemente. «La contrapposizione tra le contraddizioni del presente
e l’orizzonte di un compimento futuro, crea, al centro della modernità, uno spazio di attese nel quale si
sviluppano, secondo le circostanze, nuove forme di religiosità che permettono di superare questa
tensione: nuove rappresentazioni del sacro o appropriazioni rinnovate delle tradizioni delle religioni
storiche» (p. 31). La modernità, producendo utopia, produce un universo di incertezza: suscita la
propria crisi, effetto del vuoto sociale e culturale prodotto dal cambiamento, accompagnata da
squilibri economici, sociali, politici. In questi periodi di crisi, i sistemi religiosi tradizionali – riserve
di protesta simbolica contro il non-senso – ritrovano in forme nuove un grande potere di attrazione
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sugli individui e sulla società.
Allora una domanda sembra d’obbligo: a cosa credono i nostri contemporanei? A quali valori
vengono associate le loro credenze? Una vasta letteratura attesta l’esistenza di grandi tendenze su
scala continentale. L’autrice ne individua il tratto fondamentale comune: il credere religioso, oggi,
sfugge al controllo delle grandi chiese e delle istituzioni religiose, e si è affermata la tendenza
all’individualizzazione e alla soggettivizzazione delle credenze religiose. Sono i «credenti non
praticanti», che si costruiscono un proprio credo, al di fuori di ogni riferimento a un corpus di
credenze istituzionalmente legittimato. È il «cristiano a modo mio». Si è di fronte a un «bricolage di
credenze» che rende confuso il confine tra cattolici e non cattolici e, in modo ancora più evidente, tra
coloro che si dichiarano religiosi e non-religiosi.
La figura senza contorni del «credente non praticante» e non legato a un’appartenenza,
espressione del «bricolage» religioso, ha favorito il declino del modello del «praticante regolare». Il
«praticante regolare» è il fedele osservante che lega il ritmo della sua vita agli obblighi cultuali fissati
dalla chiesa. Resta la figura tipica del mondo religioso inscritto nella civiltà parrocchiale: un mondo
stabile, organizzato attorno al campanile, dove il prete esercita in piena autonomia la sua autorità sui
fedeli. Questa figura resta per molti versi – a dispetto della dissociazione accertata su larga scala tra
credenza e appartenenza – la figura chiave della partecipazione religiosa. Per le istituzioni stesse il
praticante rimane il prisma attraverso cui esse identificano più spontaneamente il nocciolo duro dei
loro fedeli (p. 75). Hervieu-Léger fa notare come la figura del «praticante regolare» tende comunque a
mutare di senso: prende le distanze dal carattere prescrittivo dell’istituzione, e si riorganizza in termini
di «imperativo interiore», di bisogno, di «scelta personale». La fonte dell’obbligo è prima di tutto
personale e interiore: la comunità e l’istituzione sono importanti perché sostengono l’individuo nel
suo discernimento e lo incoraggiano alla fedeltà, ma né l’una né l’altra possono prescrivere nulla al
fedele.
A fronte del declino della figura del «praticante regolare» in quanto modello per eccellenza, si
tratta di vedere se emergono altre figure che potrebbero sostituirla. Per Hervieu-Léger è il
«pellegrino» il modello tipico della religiosità in movimento. Esso, metaforicamente, rimanda alla
provvisorietà e alla fluidità dei cammini religiosi e a una forma di socialità religiosa che si definisce
nel segno della mobilità e dell’adesione temporanea. I processi di individualizzazione provocati dalla
cultura moderna impongono agli individui di elaborare autonomamente i significati della loro
esistenza attraverso una molteplicità di esperienze, obbligando a reinterpretare questa disparata
molteplicità di situazioni in un itinerario dotato di senso. «La “condizione del pellegrino” si definisce
essenzialmente a partire da questo lavoro di costruzione biografica effettuato dall’individuo stesso»
(p. 78). Il pellegrino è colui che si definisce in un lavoro di messa in trama delle sue esperienze, un
lavoro narrativo, che ha come finalità di costruire un’identità, un’identità narrativa. Un’identità
religiosa prende forma quando questo compito narrativo s’intreccia con «l’oggettività di una
discendenza credente», una comunità in cui l’individuo si riconosce. Questo riferimento non implica
adesione totale né l’inserimento effettivo in una comunità: «la formazione di una identità religiosa si
inscrive molto più frequentemente nelle operazioni di bricolage che permettono all’individuo di
adattare le sue credenze ai dati della sua esperienza. […] Questa “religiosità del pellegrino”
individuale si caratterizza prima di tutto per la fluidità dei contenuti di credenza che elabora, ed anche
per l’incertezza delle appartenenze comunitarie alle quali può dar luogo» (p. 79). I modelli di socialità
a cui dà esito la figura del pellegrino vengono rinvenuti e studiati da Hervieu-Léger nel laboratorio di
Taizé e nelle Gmg: il terzo capitolo dell’opera è dedicato a un’interessante analisi dei processi interni
ai due fenomeni.
Se il pellegrino definisce l’identità religiosa moderna nel segno della mobilità delle credenze e
delle appartenenze, la figura del «convertito» offre la prospettiva per identificare i processi della
formazione delle identità religiose in questo contesto di mobilità.
La ricerca di un’identità religiosa che non si trova più come data, e di cui ci deve dotare da sé,
è stata certamente favorita dalla deregolamentazione istituzionale del credere. Se la religione è
diventata «affare» privato, la conversione assume il significato di una scelta individuale forte e
significativa.
La figura del convertito viene articolata da Hervieu-Léger in tre modalità principali: la prima è
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quella dell’individuo che «cambia religione» (comporta il rifiuto di un’identità religiosa, spesso
giudicata «deludente»). Il «diritto alla scelta» ha la meglio su ogni dovere di fedeltà a una tradizione
ereditata. La seconda è quella dell’individuo che non essendo appartenuto a una qualche religione,
dopo un cammino personale, scopre quella in cui si riconosce e decide di aderire. È la conversione dei
«senza religione» (sono la quasi totalità dei giovani immigrati di seconda o terza generazione che
abbracciano l’islam). La terza è quella dell’individuo che scopre o riscopre un’identità religiosa
rimasta fino ad allora formale o vissuta in modo conformista: è il «riaffiliato» o il «convertito
dall’interno». La conversione segna l’ingresso in un regime «forte» d’intensità religiosa.
Cosa manifesta la figura del «convertito»? Essa esplicita e porta a compimento il postulato
fondamentale della modernità religiosa, secondo la quale un’identità religiosa autentica può essere
solamente un’identità religiosa scelta. L’atto di conversione fissa il valore riconosciuto all’impegno
personale dell’individuo che testimonia così la sua autonomia di soggetto credente. A giudizio di
Hervieu-Léger, nella misura in cui riorganizza la vita del soggetto e la sua incorporazione in una
comunità, la conversione religiosa costituisce una modalità piuttosto efficace della costruzione di sé in
un universo che impone la fluidità delle identità plurali e in cui nessun principio fondamentale
organizza più l’esperienza individuale e sociale.
In questo senso la figura del convertito è non solo una figura tipica, ma anche una figura
esemplare del credente moderno. La radicalità della sua scelta può significare l’appropriazione
autentica della credenza. Poiché il suo impegno non è il frutto di una riconduzione meccanica a
un’eredità famigliare o sociale, essa sembra essere necessariamente sincera, intensa, vera.
Un’ultima questione viene affrontata dall’autrice: quali forme di socialità religiosa possono
ancora esistere quando si afferma, in modo così consistente, questo individualismo religioso? Se
l’individuo produce in modo autonomo il dispositivo di senso che gli consente di dare una direzione
alla propria vita (convertito), l’appartenenza a una comunità credente diviene secondaria, forse
addirittura inutile: «l’atomizzazione delle ricerche spirituali individuali non si limita a sciogliere il
legame religioso costituitosi nell’attestazione di una verità condivisa da una comunità passata,
presente e futura, ma impedisce anche, nel nome di una concezione puramente soggettiva della verità
da raggiungere, la ricomposizione in qualunque forma di questo legame» (p. 142). Mancando il
riferimento a una verità condivisa viene meno la sostanza stessa del legame socio religioso.
Tuttavia, la diversificazione del credere suscita un movimento contrario di proliferazione
comunitaria: più gli individui si dedicano al bricolage religioso, più essi tendono a scambiare la loro
esperienza con altri che condividono le stesse aspirazioni spirituali. Questa tendenza esprime la
necessità di un sorta di legittimazione e garanzia esterna del proprio credere. All’autovalidazione
subentra una sorta di validazione reciproca del credere, costituita da forme fluttuanti di socialità,
fondate su affinità spirituali, sociali e culturali di coloro che sono coinvolti: si offrono a ciascuno le
condizioni ottimali per vivere le proprie credenze mettendosi al servizio degli obiettivi del gruppo.
Questa forma di validazione di differenzia dalla forma di validazione comunitaria del credere che si
afferma all’interno delle grandi tradizioni religiose: in questo caso i credenti investono certezze
condivise in forme comuni di organizzazione. La verità delle credenze si attesta in uno stile di vita
fondato su principi religiosi. Il modello militante del movimento e il modello monastico, sono i
modelli che esemplificano l’adesione a un ordine comune di credenze, dove la coesione comunitaria
testimonia la verità del credere comune.
Un panorama religioso della modernità ampiamente descritto mediante una lettura attenta e
avvincente: una religiosità in movimento, che continuamente riorganizza le proprie forme sotto la
pressione di un individualismo esasperante e la necessità di ridefinire percorsi di senso personali
condivisi.
Nuovi problemi si aprono alla riflessione, problemi che non si possono evitare. Lo statuto della
verità da credere, la deassolutizzazione delle verità nel confronto con tradizioni diverse, il senso di
una radicazione in una discendenza credente legittimante, il dialogo interreligioso, il ruolo della
cultura laica nella sua possibile funzione di mediazione per una rifondazione del legame sociale, sono
tutti problemi che presentano un grande interesse dal punto di vista sociologico, filosofico e, non
ultimo, pastorale. Il campo della ricerca è aperto.
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