MARIO VERDONE, UN LIBRETTISTA D`ECCEZIONE PER L

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MARIO VERDONE, UN LIBRETTISTA D`ECCEZIONE PER L
KRISZTINA BOLDIZSÁR
MARIO VERDONE,
UN LIBRETTISTA D’ECCEZIONE PER L’UNGHERIA
Mario Verdone (nato ad Alessandria in Piemonte nel 1917, educato a
Siena, vive da anni a Roma), per moltissimi anni in diverse università
professore di Storia e critica del film, disciplina da lui avviata al
Magistero dell’Università di Roma (oggi Università di Roma TRE),
già direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma,
nonché recentemente direttore responsabile della rivista teatrale
intitolata “Ridotto”, fra le mille cose di cui si è occupato nella sua
lunga attività di studioso del cinema e dello spettacolo, di saggista, di
sceneggiatore, di scrittore, di poeta e di autore drammatico, ha anche
realizzato ben 16 libretti d’opera, per lo più opere brevi in un solo
atto.
Come sia nato un interesse così vasto per la cultura poliedrica, lo
studioso me l’ha spiegato personalmente, attribuendone la causa a
due motivi precisi e decisivi, in un’intervista concessami a Roma nel
marzo 2004. Ancora neonato, Mario Verdone perse suo padre durante
la prima guerra mondiale. Sebbene ferito, il padre, venne richiamato
al fronte dopo la disfatta di Caporetto, e congedandosi dalla
giovanissima moglie alla stazione, le raccomandò il futuro del figlio:
“Se non tornassi... fallo studiare!”. Come lo stesso Verdone ricorda,
egli poté crescere in un ambiente molto privilegiato vivendo a Siena,
città d’arte, dove - con le parole dello studioso – “nel raggio di
cinquecento metri dalla mia abitazione” ci sono opere d’arte di fama
mondiale. La struttura della città gli faceva credere di vivere in una
specie di splendido scenario teatrale.
L’attività di librettista è forse la meno conosciuta rispetto alle altre
variegate attività culturali professate da Mario Verdone in Italia ed
all’estero. Il “mestiere” di librettista cominciò per caso, quasi per
gioco. I laureandi in composizione dell’Accademia Chigiana di Siena
cercavano dei libretti brevi da musicare per il loro saggio finale.
Verdone era già conosciuto come autore di testi giocosi con rime
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vaganti. Avendo un’esperienza vissuta di scherzi goliardici, creava
facilmente la musicalità delle parole utilizzandola anche nella lirica in
prosa con elementi e tecniche presi dal futurismo, di cui era ed è un
conoscitore eccellente. Nei libretti di Mario Verdone si trovano temi
originali da lui inventati e temi ispirati a racconti di scrittori famosi,
questi ultimi ridotti in dialoghi e in scene adatti a diventare il libretto
di una “operina”, termine con il quale lo stesso Verdone,
schermendosi con non celata autoironia, chiama questi suoi lavori.
Fra i libretti scritti per gli studenti dell’Accademia Chigiana musicati
per il saggio finale ve ne sono alcuni, la maggioranza, rappresentati e
trasmessi dalla radio italiana. Alcuni di questi giovani musicisti
diverranno famosi. Ricordo qui per inciso i nomi di Libero Granchi e
Carlo Savina (quest’ultimo farà fortuna musicando films ad
Hollywood, per esempio “Il padrino”). Tra i libretti di queste
“operine”: Il medico per forza in un atto, tratto dalla commedia di
Molière, musicato da Eva Riccioli Orecchia e rappresentato nel 1947
con la scenografia del giovane Franco Zeffirelli al Teatro
dell’Accademia dei Rozzi; Novella di Natale, tratto dall’arcinota fiaba
La piccola fiammiferaia di Andersen e musicato da Libero Granchi
(1948); Il vecchio geloso, musicato da Carlo Savina, tratto da un
intermezzo di Cervantes, rappresentati nel 1948 al Teatro
dell’Accademia dei Rozzi, La guardia vigilante, tratto da un intermezzo
di Cervantes, musicato da Libero Granchi e rappresentato al Teatro
delle Arti di Bergamo, vincitore del premio Cilea (1952).
Nel 1953 Mario Verdone vince con il libretto L’impresario delle
Americhe il Premio Rossini di Pesaro, concorso riservato ai libretti per
opera comica. Molti anni dopo L’impresario delle Americhe conquistò
anche l’ambiente musicale. Il libretto piacque infatti al maestro
Lamberto Gardelli, il leggendario direttore musicale del Teatro
dell’Opera di Budapest dal 1961 al 1998, che lo musicò. Nel 1978, su
iniziativa del già famoso direttore d’orchestra, la nuova “operina”
venne messa in scena dalla Televisione Ungherese con i cantanti del
Teatro dell’Opera di Budapest Júlia Pászthy, Árpád Kishegyi e Lajos
Miller per la regia di András Mikó. Iniziò così per la vita musicale e
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culturale ungherese una bella collaborazione fra i due artisti italiani.
La trama di questa operina buffa in un atto è frutto della pura
fantasia di Mario Verdone. La storia si svolge all’inizio del XX secolo,
ambientata nel mondo del teatro, tanto da poter parlare di “teatro nel
teatro”. Questa “operina” fu considerata da Gardelli un omaggio
all’opera buffa napoletana da lui molto amata e al grande
compositore di Pesaro, Gioacchino Rossini. Il protagonista è uno
studente che fa finta di essere un impresario americano, perché vuole
conquistare la protagonista, la cantante di teatro, Corallina: le
promette un grande successo in America, però la cantante non ne è
convinta...
Corallina:
E come possono
conoscermi se neppure
nella mia patria
il mio nome è già chiaro?
A che pro la celebrità
in quelle terre lontane,
quando in patria il mio nome
non ha acquistato il favore
della gente?
Voglio vedere
il nome mio, sì
in gran dignità
ma nel gazzettino del bel mondo
della mia città.
Voglio che si dica:
Corallina
nostra concittadina,
bella...
Impresario: Nelle Americhe
molti di più
saran gli applausi
alle vostre virtù!
L’America del nord...
L’America del sud...
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Corallina:
Ma non ci saranno
mio padre e mia madre
e i fratelli
e quei giovani
che alla scuola di canto
mi ammiravano
e tutti coloro
che nelle feste da ballo
con me danzavano
il minuetto!
Forse per Lamberto Gardelli il lamento di Corallina faceva eco
all’indifferenza con cui egli era stato accolto in Italia, riconobbe la
propria sorte nella domanda che la protagonista dell’opera si pone:
“cosa importa essere famoso in America e negli altri paesi, se nel mio
Paese ancora non lo sono?”. Apprezzato ed amato al Covent Garden
di Londra, al Metropolitan di New York, all’Opera di Sidney,
all’Opera di Stoccolma e, soprattutto, all’Opera di Budapest,
Lamberto Gardelli, diresse le orchestre della Filarmonica di Londra,
di Radio Copenhagen e di Radio Monaco. Protagonista della musica
italiana nel mondo, Gardelli, nativo di Venezia, è stato però
purtroppo dimenticato in Italia e dai teatri d’Opera italiani. Lamberto
Gardelli considerava l’opera L’impresario delle Americhe, musicata su
libretto di Mario Verdone, il suo piccolo capolavoro, sebbene il noto
direttore d’orchestra avesse già avuto successo come compositore con
il suo Requiem postromantico per baritono e mezzo soprano, più
orchestra e coro, e con le sue opere liriche (Alba Novella, Il sogno).
Il secondo dei tre libretti di Mario Verdone proposti al maestro
Lamberto Gardelli, che gliene aveva fatto richiesta, è Il dèmone,
musicato dal grande direttore d’orchestra dopo il successo avuto a
Budapest dal loro primo lavoro comune. Si tratta di un’opera
drammatica. Il compositore fu subito molto entusiasta del nuovo
libretto di Verdone, al quale inviò immediatamente un telegramma di
ringraziamento e di congratulazioni (Da Budapest a Roma, 29 aprile
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1978: “Ricevuto Demone Splendido Ringrazio Saluto Lamberto”). Qualche
tempo dopo il maestro Gardelli incaricava il Teatro dell’Opera di
Budapest di rappresentare l’opera da lui musicata, scegliendone
perfino i cantanti (Sylvia Sass, Eugeny Nesterenko) nel ruolo dei
protagonisti, ma la morte gli impedì la realizzazione del grande
desiderio.
Con
questa
“operina”
Mario
Verdone
abbandona
momentaneamente l’opera buffa spingendosi sul sentiero del
dramma. Il dèmone è infatti ispirato ad un poema del grande lirico
russo Lermontov. Il libretto narra di una sposa che aspetta invano il
suo sposo. Il fidanzato non arriva mai perché è morto. La ragazza
decide allora di ritirarsi in un convento dove, però, un dèmone
attenterà alle sue virtù tormentandola e facendola infine innamorare.
Mario Verdone ambientò la nuova “operina” nelle montagne del
Caucaso di ritorno da un suo viaggio in quella lontana regione che
ancora oggi lo studioso ricorda come eccezionale. L’ambientazione è
pensata da Verdone in seguito ai suoi ripetuti viaggi in Armenia,
dove aveva visto una scala a gradini impressa nella roccia. “Lo
sfondo delle rupi caucasiche cangia. Ora il dèmone è arrivato oltre il
monte... Sulla rupe è scavata una casa, cui si sale per gradini tagliati
nella pietra” (descrizione della seconda scena). La storia si conclude
tragicamente. Nel convento il dèmone riesce a sedurre la ragazza, ma
quando l’amore si sta per concretizzare in un amplesso, il bacio si
trasforma in un bacio mortale e la ragazza spira, mentre il dèmone –
usando le parole del librettista - “rimane senza speranza e senza
amore un dèmone”.
Il dèmone:
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Nessuno può difenderla.
Nessuno giudicare.
È Lei
che viene a me.
Sul suo cuore, io,
colmo d’arroganza,
ho imposto
il mio suggello.
Tamara ormai
non è più sacro oggetto.
Appartiene
al mio amore
al mio regno!
La ragazza tentata soffre così:
Tamara:
Io ho voluto
uccidere
tutti i sentimenti terreni.
Io qui
pace ho cercato!
.......
Tamara:
Non so
chi tu sia. Ti temo.
Ma la mia pace
distruggendo
per sempre
mio malgrado
con segreta gioia
ti ascolto.
.......
Lascio al mondo
gli antichi desideri
e la misera
umanità
alla sua sorte.
Tutto ti darò
che è in terra.
Amami!
Dèmone:
Tamara:
Ti amo!
Il dèmone la bacia, si sente un urlo mortale di
Tamara:
Ah! Io muoio!
Addio! Addio
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Il terzo dei tre libretti di Mario Verdone proposti al maestro
Lamberto Gardelli, che gliene aveva fatto richiesta è la farsetta in un
atto La guardia scellerata scritta nel 1978 con la speranza di realizzare
una specie di trittico in omaggio al grande direttore d’orchestra e
compositore italiano, grande protagonista della storia del Teatro
dell’Opera di Budapest. Probabilmente la musica di questa “operina”
comica rimase incompiuta, come ricorda lo stesso Mario Verdone. La
storia si svolge a Pietroburgo e in una dacia di campagna all’epoca
degli zar. La contessa e sua figlia non vogliono permettere alla loro
contadina di sposare Mischa, lo stalliere. Questi è costretto ad
arruolarsi nell’esercito onde mettere insieme i soldi per poter sposare
la fanciulla amata. A Pietroburgo il protagonista, divenuto soldato,
riceve l’incarico di sorvegliare l’icona miracolosa della Madonna di
Kazan in cui è incastonata una pietra preziosa. Mentre fa la guardia
all’icona, Mischa pensa alla propria sorte e al suo amore.
Consapevole che non riuscirà mai a raccogliere i soldi necessari per
poter realizzare il suo sogno, ruba la pietra preziosa e la fa sua
andando in giro affermando che è stato un miracolo: la Madonna gli
ha donato la pietra. Si sparge la voce: tutti parlano del miracolo e ci
credono, chiesa compresa, che ha bisogno del miracolo. Così Mischa
non sarà punito: la vox populi è più potente della verità.
Sergente:
Capitano
Il soldato Mischa
ha rubato la pietra!
...
Mischa:
È la Madonna stessa,
in persona,
che ha voluto
regalarmela!
Soldati:
È un miracolo!
Un vero miracolo!
La Madonna
ha dato la pietra a Mischa!
Miracolo!
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......
Secondo soldato: ....
che fatto meraviglioso!
....Tutti gridano al miracolo, il
secondo pope dice:
Ma la Chiesa è turbata.
Il popolo si esalta.
I fedeli ci credono.
Deluderli
non possiam!
Negarlo
significa
impoverire la fede!
Mischa riceve così il permesso di andare a sposarsi e anche un
congedo di sei mesi da
Il comandante:
La pietra
sarà confiscata
e restituita
alla icona
della Madonna di Kazan,
dietro ricompensa
di cento rubli,
che ti verranno versati.
Mischa canta gli onori allo zar. Tornando nella dacia e alla sua sposa,
il giovane paga per il suo sposalizio, mentre la contessa deve fornire
la dote per la sua contadina.
Come abbiamo potuto vedere, l’attività di librettista di Mario
Verdone cominciata quasi per passatempo (dare materiale per i
laureandi dell’Accademia Chigiana), si è trasformata strada facendo
in un vero e proprio filone di scrittura artistica. Come si suol dire,
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l’approvazione e il successo di pubblico costituiscono per l’artista il
vero pane e la vera ispirazione. Volendo dare un giudizio letterario o
semplicemente estetico dei libretti d’opera di Mario Verdone - fra i
quali in questa sede abbiamo esaminato soltanto i tre legati,
attraverso il nome del maestro Lamberto Gardelli che li musicò,
all’Ungheria - possiamo tranquillamente affermare che si tratta di
lavori dal contenuto e dallo stile molto semplici, come d’altronde lo
stesso autore riconosce in prima persona definendo “operine” il
prodotto artistico risultato dell’incontro fra il proprio testo scritto
(libretto) e la musica data loro da musicisti spesso illustri. Tuttavia,
questi libretti, in particolare L’impresario delle Americhe e La guardia
scellerata, che piacquero tanto a Lamberto Gardelli e che perciò furono
destinati alla “piazza” ungherese, non sono privi di leggiadrìa e di un
certo humour, quest’ultimo sicuramente proiezione evidente del
carattere affabile di Mario Verdone. E, comunque – come ricordava lo
stesso autore e studioso senese nell’intervista concessami – essi
furono accettati senza batter ciglio e senza alcuna richiesta di
modifica dal maestro Gardelli, che vi riconobbe le caratteristiche e le
qualità idonee per una messa in musica secondo i propri intendimenti
e la propria personale propensione per l’opera buffa italiana, nel cui
solco soprattutto questi due libretti ora ricordati rientrano a pieno
titolo, naturalmente come espressione artistica del secolo cui
appartengono, cioè il XX secolo. Con questi contatti “ungheresi”
Mario Verdone rinnovava inoltre una sua vecchia frequentazione con
l’Ungheria che nell’ambito dei suoi studi sul Futurismo si era
manifestata nello stretto rapporto con il fondatore dell’avanguardia
artistica ungherese Lajos Kassák, della cui opera pittorica e letteraria
si era occupato facendo conoscere in Italia attraverso diversi scritti
critici l’opera artistica di Lajos Kassák, senza riuscire però ad
organizzare a Roma una mostra delle opere pittoriche e grafiche
dell’artista magiaro, fatto di cui ancora adesso si rammarica
attribuendone la colpa agli impedimenti burocratici e politici da parte
delle autorità ungheresi dell’epoca del socialismo reale.
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Bibliografia
Corradi-Madia 2003 S. Corradi – I. Madia, Un percorso di auto-educazione.
Materiali per una bio-bibliografia di Mario Verdone,
Roma
Csák
1992
J. P.Csák, „Három évtized és egy Cilea-bemutató
Budapesten Lamberto Gardellival” (Tre decenni ed
una première di Cilea a Budapest con Lamberto
Gardelli), Operaélet, n. 5, novembre-dicembre (1992)
Csák
1996
J. Csák P., La mia Ungheria. A mi Lamberto Gardellink
(La mia Ungheria. Il nostro Lamberto Gardelli),
Budapest
Verdone 1992
M. Verdone, „Avanguardia ungherese. La rivista
“Ma””, Terzo occhio, n. 64, settembre (1992), pp. 2325
Verdone 1995
M. Verdone, „Ricordo di Lajos Kassák”, Terzo
occhio, n. 74, marzo (1995), pp. 23-25
Verdone 1998
M. Verdone, „Un geniale “nomade” della musica”,
Il Giornale di Ostia, 18 settembre (1998), pag. 15
Verdone 1999
M. Verdone, „L’impresario delle Americhe” (testo
del libretto preceduto dal curriculum e da un breve
articolo dell’autore), Ridotto anno XLIX n. 4/5,
aprile-maggio-giugno (1999), pp. 50-57
Verdone 1998
M. Verdone, „Lamberto Gardelli. Nemo profeta in
patria”, Il mondo della musica, nn. 137-64, novembre
1998
I libretti delle “operine” di Mario Verdone sono pubblicati in diversi
volumi, che citiamo di seguito:
Mario Verdone, L’impresario delle Americhe e altre scene e atti unici, Maia,
Siena, 1953
Mario Verdone, Esercizi teatrali. Commedie e libretti, Bulzoni, Roma, 1993
Mario Verdone, Teatro breve, Atti unici, Teatro italiano contemporaneo,
SIAD, Roma, 1996
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