Mancata registrazione di contratti di affitto agrario

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Mancata registrazione di contratti di affitto agrario
ASSOCIAZIONE NAZIONALE
COMUNI ITALIANI
Associazione Regionale del Piemonte
QUESITO
Questo Comune ha in essere contratti di affitto agrario con una serie di soggetti, che,
stipulati in forma verbale, non sono mai stati registrati e permangono da circa quindici
anni, senza mai essere stati disdettati.
Gli affittuari provvedevano al pagamento del pattuito determinato in via presuntiva,
senza alcuni riferimenti se non la consuetudine versando, alla fine di ogni biennio, per il
biennio precedente.
L’introito veniva recepito in bilancio con “introiti diversi”.
Il 2 dicembre 2009 uno di questi contraenti provvedeva, con bollettino postale, al
versamento delle annualità 2008-2009.
Il medesimo, riteneva quindi, secondo le convenzioni di avere rinnovato il rapporto per le
annualità successive e manifestava tale volontà oralmente al dipendente comunale che
riceveva il riscontro del bollettino pagato. Provvedeva quindi al taglio di alcuni alberi
collocati sulla riva dei terreni.
Lo stesso veniva denunciato per furto da parte dell’assessore all’agricoltura, in quanto il
Comune sosteneva il mancato rinnovo del contratto di affitto, tanto che provvedeva ad
una nuova assegnazione ad un altro soggetto di alcuni dei lotti di terreno interessati. Tale
nuova assegnazione è avvenuta da parte del Comune con un regolare bando.
Il comportamento del Comune che, riteneva non rinnovato il contratto e quindi
provvedeva ad una riassegnazione del terreno può ritenersi corretto e quindi giustificata
la sua reazione nel denunciarne il precedente affidatario.
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PARERE
La materia in questione è regolata dalla seguente disposizione normativa:
Legge 3 maggio 1982, n. 203, Norme sui contratti agrari
Art. 4. Rinnovazione tacita. In mancanza di disdetta di una delle parti, il contratto di affitto
si intende tacitamente rinnovato per il periodo minimo, rispettivamente, di quindici anni
per l'affitto ordinario e di sei anni per l'affitto particellare, e così di seguito. La disdetta
deve essere comunicata almeno un anno prima della scadenza del contratto, mediante
lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
La durata dei contratti in corso è disciplinata dall’art. 2 della stessa legge1.
Se è vero che la riportata normativa ha deformalizzato la stipulazione dei contratti d’affitto
a coltivatore diretto, è altresì regola generale per tutti i contratti della pubblica
amministrazione la necessità della stipulazione in forma scritta ad substantiam.
Il dedotto principio è costantemente affermato e ribadito dalla giurisprudenza anche con
specifico riferimento ai contratti d’affitto agrario.
Si riportano in estratto le principale pronunce giurisprudenziali in merito (sottolineature
nostre):
- Cassazione, Sezione III Civile Sentenza 26 giugno 2008 n. 17550 : “la normativa speciale
dettata in tema di contratti della p.a. prevale sulla diversa disciplina dei rapporti tra
privati, quale, ad esempio, quella dettata in tema di conferimento di incarichi
professionali, in tema di stipula di locazioni e contratti agrari ultranovennali, in tema di
rinnovo tacito del contratto di locazione (inconfigurabile, se il locatore sia un ente
1
Art. 2. Durata dei contratti in corso.
Per i contratti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e per quelli in regime di proroga, la durata è
fissata in sei anni per i rapporti di cui all'articolo 3 e in:
a) dieci anni se il rapporto ha avuto inizio prima dell'annata agraria 1939-1940, o nel corso della medesima;
b) undici anni se il rapporto ha avuto inizio nelle annate agrarie comprese fra quelle 1940- 1941 e 1944-1945;
c) tredici anni se il rapporto ha avuto inizio nelle annate agrarie comprese fra quelle 1945-1946 e 1949-1950;
d) quattordici anni se il rapporto ha avuto inizio nelle annate agrarie comprese fra quelle 1950-1951 e 1959-1960;
e) quindici anni se il rapporto ha avuto inizio successivamente all'annata agraria 1959-1960.
La durata prevista dal comma precedente decorre dalla entrata in vigore della presente legge.
pubblico, nonostante il comportamento asseritamene concludente si sia, come nella specie,
protratto per anni) (Cass. 8 gennaio 2005, n. 258).
In altri termini, in materia di contratti stipulati dalla pubblica amministrazione (nella
specie, affitto agrario) deve ritenersi necessaria la stipulazione in forma scritta a pena di
nullità e, pertanto, deve escludersi che si possa ipotizzare la possibilità di una
rinnovazione tacita per facta concludentia, posto che altrimenti si perverrebbe all'effetto di
eludere il requisito della forma scritta.
Consegue che, pur dopo l'entrata in vigore della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 4 che ha
deformalizzato i contratti di affitto a coltivatore diretto, anche se ultranovennali,
rendendoli a forma libera, non può ritenersi concluso un contratto di affitto agrario con la
p.a. in forza di un comportamento concludente, anche protrattosi per anni (Cass. 12
febbraio 2002, n. 1970; Cass. 15 dicembre 2000, n. 15862)”.
- Cass., sez. III, 12-02-2002, n. 1970, in Dir. e giur. agr. e ambiente, 2002, 569, con nota di
MILITERNI : “In materia di contratti stipulati dalla p.a. (nella specie, affitto agrario) deve
ritenersi necessaria la stipulazione in forma scritta a pena di nullità e, pertanto, deve
escludersi che si possa ipotizzare la possibilità di una rinnovazione tacita per facta
concludentia, posto che altrimenti si perverrebbe all’effetto di eludere il requisito della
forma scritta; consegue che, pur dopo l’entrata in vigore dell’art. 41 l. 3 maggio 1982 n. 203,
che ha deformalizzato i contratti di affitto a coltivatore diretto, anche se ultranovennali,
rendendoli a forma libera, non può ritenersi concluso un contratto di affitto agrario con la
p.a. in forza di un comportamento concludente, anche protrattosi per anni”.
- Cass., sez. III, 15-12-2000, n. 15862, in Nuovo dir. agr., 2001, 241 : “La volontà della p.a. non
può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme
richieste dalla legge, tra le quali l’atto scritto ad substantiam, sì che nei confronti della stessa
p.a. non è configurabile il rinnovo tacito del contratto; consegue che, pur dopo l’entrata in
vigore dell’art. 41 l. 3 maggio 1982 n. 203, che ha deformalizzato i contratti di affitto a
coltivatore diretto, anche se ultranovennali, rendendoli a forma libera, non può ritenersi
concluso un contratto di affitto agrario, in forza di un comportamento concludente, anche
protrattosi per anni.
Posto che tale orientamento è incontrovertibile e segue i principi generali sui contratti
della p.a., discende nel caso di specie che tutti i rinnovi taciti disposti dal Comune
deducente sono affetti da nullità, in quanto privi della forma necessaria.
L’Amministrazione comunale ha tuttavia percepito i canoni con cadenza biennale.
Ha comunque manifestato in modo espresso la volontà di non rinnovare tacitamente il
rapporto contrattuale pregresso (peraltro nullo) mediante nuovo bando di assegnazione.
Secondo gli ordinari principi dei contratti tra privati, la giurisprudenza afferma che la
rinnovazione tacita del contratto di affitto agrario (così come di quello di locazione
ordinaria) non è desumibile dal solo fatto della permanenza dell’affittuario nel fondo oltre
la scadenza del termine ma occorre anche che manchi una manifestazione di volontà
contraria da parte del concedente, cosicché, qualora questi abbia manifestato con la
disdetta la volontà di porre fine al rapporto, la rinnovazione non può desumersi dalla
perdurante permanenza nel fondo da parte dell’affittuario o dalla circostanza che il
concedente abbia continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente azione
di rilascio, occorrendo, invece, un comportamento positivo idoneo ad evidenziare una
nuova volontà, contraria a quella precedentemente esternata per la cessazione del
rapporto (cfr. Cass., sez. III, 13-04-2007, n. 8833, ove la suprema Corte ha confermato
l’impugnata sentenza con la quale era stata esclusa l’allegazione di alcun idoneo motivo
da cui potesse desumersi un’univoca volontà al rinnovo, non essendosi ritenuto tale,
peraltro, il lungo lasso di tempo trascorso dall’invio della disdetta rispetto all’esperito
tentativo di conciliazione, non prevedendosi alcun termine, anche di decadenza, ai fini di
detto tentativo). Nel caso di specie, si ripete, tale volontà contraria è stata manifestata
dall’Amministrazione.
A fronte di tale situazione, posto che un contratto nullo è inidoneo a produrre effetti
giuridici, si tratta di valutare in quale modo l’Amministrazione sia tenuta a regolare la
situazione giuridica sorta per effetto dei precedenti rinnovi taciti.
Sussistono gli estremi dell’indebito arricchimento del Comune per l’incasso dei canoni non
dovuti, oltre alla valutazione delle eventuali migliorie che siano state apportate al fondo
oggetto di contratto nullo, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 203 del 1982 (che ovviamente
potrebbero essere state realizzate anche a vantaggio dell’affittuario ed in tal caso, ove
comprovate e monetizzate, dovrebbero essere decurtate dagli importi del canone che
l’Amministrazione è tenuta a restituire.
La giurisprudenza afferma che il contratto stipulato dal privato con la p.a., ma nullo per
difetto di forma scritta, non può essere considerato contrario al buon costume ai sensi
dell’art. 2035 c.c.; ne consegue che il privato, il quale abbia effettivamente eseguito la
propria prestazione, può utilmente agire nei confronti della p.a. con l’azione di indebito
arricchimento (Cass., sez. III, 02-09-1998, n. 8722. Contratti, 1999, 29, n. MUCIO).
Va anche detto che non mancano decisioni della giurisprudenza con le quali si dichiara
insussistente l’improponibilità dell’actio in rem verso per violazione di norme imperative
anche da parte del depauperato a conoscenza del motivo di nullità del contratto (Cass. 13
aprile 1995, n. 4269, RGE 1996, I, 451), posto che data la genericità e l’assolutezza della
norma dettata dall’art. 2041 c.c., fondata sull’esigenza del bonum et aequum nei rapporti
sociali – deve ragionevolmente ammettersi il principio che la predetta generale azione
spetti anche quando qualsiasi altra azione “per farsi indennizzare il pregiudizio subito”
manchi per effetto della nullità di un contratto stipulato contra legem (non ob turpem
causam) (Cass. 7 giugno 1957, n. 2104, GC 1957, 1193).
Il provvedimento di riassegnazione del bene da parte del Comune non risolve, nei termini
sopra esposti, la questione relativa ai rapporti pregressi, con riferimento ai quali il
Comune dovrebbe agire in via di autotutela (ricognitiva: accertamento della nullità;
possibilità di conversione; interessi pubblici da tutelare) al fine di assumere la
determinazione più opportuna per salvaguardare l’interesse pubblico.
La Presidente di ANCI Piemonte
Amalia NEIROTTI
(Sindaco di Rivalta di Torino)