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Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Via Giandomenico Romagnosi, 3 20121 Milano Tel. +39 02874175 www.fondazionefeltrinelli.it [email protected] L’ESTETICA DELLA NUOVA FRONTIERA AMERICANA Da Allen Ginsberg a Woodstock CATALOGO Testi a cura di Bruno Cartosio 2013 Milano, 18 novembre 2013 – 13 dicembre 2013 Mostra a cura di Bruno Cartosio Coordinamento generale Federico Leoni Consulenza scientifica David Bidussa Realizzazione del catalogo Alessandra Mazzarone Allestimento Emanuele Fatta Comunicazione Francesco Annarumma Francesco Lopez Consulenza grafica Prodea Group S.p.A. Nell’ambito della manifestazione Autunno Americano promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano Via Giandomenico Romagnosi, 3 20121 Milano [email protected] www.fondazionefeltrinelli.it Presidente Carlo Feltrinelli Segretario generale Massimiliano Tarantino Consiglio di amministrazione Giuseppe De Luca Paolo Lazzati Tomas Maldonado Roberto Maroni Giuliano Pisapia Inge Schoenthal Feltrinelli Alberto Toffoletto Salvatore Veca La Fondazione Giangiacomo Feltrinelli ringrazia la Fondazione Cariplo per il sostegno alla sua attività scientifica Comitato scientifico Maurice Aymard Giuseppe Berta Enrica Chiappero-Martinetti Donatella Della Porta Maria Guercio Michele Salvati Alain Touraine Danilo Zolo L’ESTETICA DELLA NUOVA FRONTIERA AMERICANA Da Allen Ginsberg a Woodstock I fermenti sociali cresciuti negli ultimi anni Cinquanta ed esplosi nel composito Movement del decennio successivo si sono articolati e diffusi nella società statunitense attraverso una sempre più estesa “presa di parola” da parte dei giovani. Afroamericani, studenti, oppositori alla guerra, lavoratori, donne e gay si sono mobilitati contro le discriminazioni e l’ingiustizia sociale, per la parità dei diritti, per una più alta partecipazione politica e una diversa moralità pubblica. I veicoli della comunicazione politica e culturale furono sovvertiti. In particolare, mutarono radicalmente l’aspetto, la forma e la funzione della carta stampata prodotta dai diversi gruppi e movimenti. La grafica dei giornali non aveva mai visto una trasformazione così radicale: non ne cambiavano pagine o sezioni, cambiava l’intera loro concezione. Per quanto poveri fossero, per quanto spesso irregolari le loro uscite, i giornali delle controculture erano pieni di “arte”: illustrazioni, caricature, fumetti, fotografie, collages. In essi cambiavano sia il rapporto tra testi e immagini, sia i criteri di impaginazione (quasi mai affidata a professionisti). I più “ricchi” – finché duravano – si permettevano l’impiego non soltanto dei colori, ma anche di caratteri e sfondi disegnati e sinuose incorniciature dei testi (quasi mai incolonnati nei modi tradizionali). E tutti, in misura diversa a seconda del momento e della collocazione nel mosaico del Movimento, erano caratterizzati da una provocatoria irriverenza, sessuale, politica, culturale, religiosa, iconografica. Le radici di questa pubblicistica, spesso chiamata underground o free press, affondavano nei terreni culturalmente più creativi – e marginali – della società. I Beat erano stati tra i primi a offrirsi come modelli ai desideri di trasgressione e alterità culturale dei più giovani. Ma quello dei Beat era stato un fatto intellettuale e di pochi, interstiziale. Mentre negli anni Sessanta, non solo nelle metropoli delle due coste, le culture di opposizione diventarono fenomeni di massa. Nella pubblicistica, la sintesi arrivò attorno alla metà del decennio, quando giornali come lo “East Village Other” a New York e soprattutto lo “Oracle” a San Francisco fissarono una grafica “psichedelicamente rutilante di colori”, quella grafica che sarebbe diventata subito dopo – magari senza la creatività estrema e le simbologie misticheggianti dell’”Oracle” – la cifra di tutta la stampa dei movimenti e della controcultura. IL MOVIMENTO AFROAMERICANO La grafica delle organizzazioni nere, ma anche della stampa non afroamericana in cui erano rappresentate le figure centrali del movimento nero, faceva largo uso di immagini – vignette e caricature, disegni o fotografie – caratterizzate da un marcato realismo e da moderate stilizzazioni (come nella testata del giornale della Nation of Islam). Il loro tratto prevalente era la estrema leggibilità, evidente nel caso delle due donne – la popolana, e la madre pronta a combattere per la propria figlia – tratte da “The Black Panther”, la cui impronta grafica dominante è quella di Emory Douglas. Nei ritratti si vedono qui Malcolm X, Martin Luther King, Angela Davis, H. Rap Brown e Huey Newton, gli “eroi della razza” del momento. Newton, fondatore del Partito della pantera nera insieme con Bobby Seale, è rappresentato anche nella foto (pubblicata su “Ramparts” e poi diventata emblematica) del fucile e della lancia, a significare l’unità nella lotta per la propria liberazione dei neri statunitensi e dei popoli africani, richiamati anche dagli oggetti tradizionali a lato della sedia cerimoniale. Sulla copertina del “Seed”, giornale underground di Chicago, l’immagine di Fred Hampton – assassinato dalla polizia nel dicembre 1969 – emerge da uno sfondo in cui sono rappresentati i leader rivoluzionari di quegli anni (tra cui Ho Chi Minh) e di una mobilitazione di popolo. 10 11 CONTROCULTURA E PSICHEDELIA Nella grafica della pubblicistica underground, e certamente anche nei contenuti politico-culturali delle rappresentazioni grafiche in esse contenute, sta la provocazione forse più radicale nei confronti della cultura dominante. Negli anni Cinquanta c’erano stati i Beats, il movimento contro la segregazione razziale, il crescente rifiuto della morale sessuofobica e del conformismo culturale. Negli anni Sessanta tutti quei fili diventano movimenti di massa, che largamente si intersecano e cercano un “linguaggio” il più possibile comune. Non si arriverà mai a quello, anche se dopo la fine del decennio sarà addirittura l’editoria “normale” ad adottare i modi espressivi e i colori anticonvenzionali della stampa underground. Non tutto il Movimento accetta di rappresentarsi con i simboli e le immagini del misticismo orientaleggiante (qui, occasionalmente: “The Fifth Estate”, “Rat”) o una esplicita “cultura delle droghe” (la campagna per la marijuana nel “Sunset Free Press”; l’esaltazione dell’LSD nell’”Oracle”); tutti adottano invece un eclettismo espressivo in cui sono presenti – oltre agli abituali disegni, caricature, foto e fotomontaggi – i fumetti, che faranno la fortuna di Robert Crumb o Gilbert Sheldon (“Iconoclast”, “East Village Other”); i corpi nudi, come quelli di John Lennon e Yoko Ono o di Allen Ginsberg e Peter Orlovsky in una copertina famosa (“Evergreen”); le decorazioni sinuose, i simboli, i caratteri e le figure disegnati come un tutt’uno nelle pagine, e, quando i mezzi lo consentono, le fantasmagorie multicolori della psichedelia. 12 13 IL MOVIMENTO DEGLI STUDENTI Le scuole e università statunitensi conoscono le prime agitazioni a fine anni Cinquanta, quando notizie e immagini delle lotte afroamericane contro la segregazione nel Sud smuovono le coscienze degli studenti bianchi nel resto del paese. Anche il pericolo atomico chiama all’azione. Le istituzioni e l’autoritarismo che presiede al loro funzionamento vengono messi in discussione: prima sono volantini di convocazione di incontri locali (e il ciclostile non permette molta creatività); poi manifesti e giornali con funzioni di formazione, informazione e mobilitazione (in cui compaiono disegni satirici, foto e fotomontaggi in contesti grafici largamente tradizionali). È tale, per esempio, l’impaginazione delle foto con cui una rivista come “Ramparts”, vicina ai movimenti ma di impianto professionale, documenta la “battaglia di Berkeley” del 1964-65. Verso la fine degli anni Sessanta, i fatti delle realtà internazionali, su cui la guerra ha ormai “aperto gli occhi” degli studenti, insieme alle innovazioni grafiche dell’”altra” pubblicistica underground, influenzeranno in profondità la stampa studentesca. “The Great Speckled Bird” dedica la sua copertina alle “brigate” studentesche che vanno a Cuba per partecipare al raccolto della canna da zucchero; il “Movement” riprende la grafica e gli slogan del ’68 francese; “The Student Mobilizer” monta un preoccupato Nixon sulla foto di una mobilitazione di massa. A immagini di repressione poliziesca, come quella al centro del pannello, si affianca l’evoluzione di una mano che va dalla “V” di vittoria, al medio alzato del dileggio, al pugno chiuso della solidarietà, al fucile della rivoluzione. 14 15 IL VIET NAM Tra il 1965 e l’inizio del 1973, quando avvenne il ritiro statunitense dal Viet Nam, l’opposizione alla guerra fu il tema in assoluto più condiviso e unificante per tutte le componenti del Movement. Non c’è foglio della stampa underground (qui: “Quicksilver Times” di Washington, “Chicago Seed”, “The Great Speckled Bird” di Atlanta, “Hundred Flowers” di Minneapolis), delle riviste radicalipacifiste (“Liberation”) o pacifiste-femministe (“Win”), che non abbia dedicato alla guerra sia copertine, sia disegni e fotografie a illustrazione degli articoli al suo interno. Ognuno con la sua impostazione grafica e, di volta in volta, con l’individuazione di un sotto-tema o episodio su cui puntare l’attenzione: le donne vietnamite combattenti, il massacro di Song My (o My Lai, dove i soldati statunitensi uccisero più di 300 civili inermi nel marzo 1968), il sostegno ai disertori, gli scarponi “vuoti” (poi adottati, insieme con il fucile piantato a terra e l’elmetto appoggiato sul suo calcio, come simbolo dei caduti americani nei monumenti alla loro memoria). 16 17 LAVORO E SOCIETÀ Nella pubblicistica operaia e sindacale novecentesca, a partire dai giornali dell’Industrial Workers of the World di inizio secolo, vignette e caricature hanno sempre avuto un posto di rilievo: una classe operaia etnicamente e linguisticamente composita riceveva una parte dei suoi messaggi politici attraverso la semplificazione e la sintesi delle immagini. Rappresentazioni del lavoro che sembrano trasportate di peso dalla grafica Art decò degli anni Trenta europei (“San José Maverick”) coesistono con disegni graficamente complessi (America the beautiful, “Door”), caricature (il ricco grasso e avaro che saluta da nazifascista la sua bandiera, il dollaro, “Movement”) e elaborazioni grafiche floreali (Radicals in professions, “Radical education project”) che provengono direttamente dalla pubblicistica underground. Non manca il ricorso alla simbologia più tradizionale: qui, il martello del lavoro che schiaccia il capitale sull’incudine della classe operaia, su uno squillante fondo rosso; altrove i pugni chiusi e le bandiere rosse. Le novità sono l’opposizione alla guerra (a cui il movimento sindacale arriva solo a fine decennio); l’attenzione per i temi ambientali (le malattie prodotte dal lavoro in fabbrica, “Wildcat”); gli effetti nefasti del consumismo, la solidarietà del lavoro, la preoccupazione per l’ambiente, che ritroviamo in una sintesi graficamente efficacissima in una delle più famose copertine di “Ramparts”. 18 19 WOODSTOCK E DINTORNI Woodstock e i Rolling Stones: sono le due doppie pagine centrali di “Ramparts” e di un inserto dell’epoca, “Philadelphia Welcomes Woodstock”, piene di colori, frutto di un’immaginazione libera di compiere evoluzioni grafiche giustificate unicamente dal piacere dell’occhio. È il punto d’arrivo, alla fine degli anni Sessanta – Woodstock ebbe luogo nell’agosto 1969 e il tour americano degli Stones ebbe luogo nei mesi successivi, concludendosi a dicembre ad Altamont, in California – dell’evoluzione grafica della pubblicistica di qualità professionale più vicina al Movimento e alla controcultura. Nel corso del decennio, le foto degli artisti – qui: John Lennon e Yoko Ono (con il caschetto operaio) – accompagnano disegni ed elaborazioni magari abili ma “povere”, quasi sempre al tratto, in genere funzionali ad annunciare concerti o uscite di dischi sui giornali underground. Fa eccezione il ritratto di una Janis Joplin sorridente, pubblicato su “Rat”, in cui le linee di frattura che percorrono la figura sembrano alludere al dolore che attraversa in modo drammatico la vita della cantante. 20 21 LA LIBERAZIONE SESSUALE Ultimi tra i movimenti a entrare sulla scena, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, il Women’s Liberation Movement e il Gay Liberation Movement “capitalizzano” la rivoluzione del gusto e della comunicazione degli anni precedenti. È spesso presente l’urgenza pedagogica interna: “A woman’s work is never done”, “As you become a woman”. La grafica delle loro pubblicazioni è la più composita dal punto di vista stilistico. La rappresentazione dei corpi e di una sessualità disinibita diventa esplicita, ma non exploitative – cosa che invece le donne rimproveravano ad altre componenti e pubblicazioni del Movement – come nel “volantone” multicolore, graficamente di grande effetto, o nella lineare copertina di “Women”, o nella copertina caratterizzata da un intento sì caricaturale ma non offensivo (di un maestro dei fumetti, Robert Crumb, su uno dei giornali più importanti della controcultura, il “Berkeley Barb”). Viene impiegata sia una stilizzazione molto libera (anche dei caratteri disegnati) nelle copertine (“Off Our Back”, “Women”, “Win”, “Up from Under”), sia la fotografia con funzione declaratoria (“Come Out”), sia una grafica improntata alla cultura misticopsichedelica dell’LSD, come quella del mandala di “Rat”. 22 23 Per tutta la durata della mostra, è stato proiettato in loop, nella sala lettura della Fondazione, il documentario Monterey Pop (1968), sul festival tenutosi a Monterey, California, nel giugno 1967. 24 MONTEREY POP Il Monterey Pop Festival, tenutosi a Monterey, California, nel giugno 1967, è stato il diretto antesignano dell’evento di Woodstock, testimonianza del momento aurorale di una temperie musicale e sociale che avrà nell’evento di Woodstock la sua epitome. Per tre giorni si alternarono sul palco i massimi protagonisti della musica rock e pop di quegli anni, con performance rimaste nella storia della musica e del costume contemporaneo: da Simon & Garfunkel agli Animals, da Ravi Shankar ai Jefferson Airplane, dagli Who a Jimi Hendrix, da Janis Joplin ai Mamas and Papas. La regia del documentario, intitolato Monterey Pop e realizzato l’anno successivo, è firmato da due documentaristi d’eccezione come D. A. Pennebaker e A. Maysles. 25 BIBLIOGRAFIA Marisa Bulgheroni, Chiamatemi Ismaele. Racconto della mia America, Il Saggiatore, Milano 2013. Alessandro Carrera, La voce di Bob Dylan. Una spiegazione dell’America, Feltrinelli, Milano 2010. Bruno Cartosio, I lunghi anni Sessanta. Movimenti sociali e cultura politica negli Stati Uniti, Feltrinelli, Milano 2012. Mario Corona, Introduzione, in Jack Kerouac, Romanzi, “I Meridiani”, Mondadori, Milano 2006. Mario Maffi, La cultura underground, Odoya, Bologna 2009. Alessandro Portelli, Canoni americani. Oralità, letteratura, cinema, musica, Donzelli, Roma 2004. 26 INDICE L’ESTETICA DELLA NUOVA FRONTIERA AMERICANA Da Allen Ginsberg a Woodstock …………………………. 7 IL MOVIMENTO AFROAMERICANO……………………. CONTROCULTURA E PSICHEDELIA ………………….. IL MOVIMENTO DEGLI STUDENTI …………………….. IL VIET NAM ……………………………………………….. LAVORO E SOCIETÀ …………………………………….. WOODSTOCK E DINTORNI …………………………….. LA LIBERAZIONE SESSUALE ………………………….. MONTEREY POP FESTIVAL ……………………………. 10 12 14 16 18 20 22 24 BIBLIOGRAFIA ……………………………………………. 26