Famiglia plurale
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Famiglia plurale
Lotta per il riconoscimento: la vita quotidiana di madri lesbiche tra mancanza di leggi e presenza di un confronto sociale A. ZAMPERINI, C. MONTI Sommario Al fine di indagare la cultura relazionale che si genera all’interno di nuove formazioni familiari, basate sull’unione affettiva di due individui dello stesso sesso, e per comprenderne le specifiche dinamiche interne rispetto al mondo esterno, è stata realizzata una ricerca esplorativa con la partecipazione di un gruppo formato da 17 donne lesbiche, di cui 2 single e 8 coppie (per una coppia è stato possibile intervistare solo la madre biologica). I dati testuali raccolti con interviste semistrutturate sono stati analizzati con lo strumento Atlas.ti. Pur essendo una ricerca esplorativa, la vastità dei dati raccolti impone qui una breve presentazione generale e un approfondimento specifico legato al tema del riconoscimento giuridico e sociale come problema che caratterizza la vita quotidiana di tali madri. Il termine famiglia evoca, a livello di senso comune, una diffusa rappresentazione sociale: l’unione di un uomo e di una donna che condividono la medesima abitazione insieme ai propri figli. Tuttavia, osservando da vicino gli esseri umani, si può facilmente constatare quanto la famiglia sia tutt’altro che una formazione naturale e stabile. Anzi, essa è una mutevole organizzazione di relazioni e affetti, i quali assumono varie forme a seconda delle coordinate socio-culturali entro cui si collocano. La famiglia costituisce infatti una realtà culturale per eccellenza, comune a ogni popolazione e contemporaneamente differente in ognuna di esse. Al di là di ogni sforzo teso a fornirne una definizione univoca e condivisa, la famiglia sembra dunque muoversi attraverso strutture e trasformazioni che travalicano i confini di relazioni umane sempre uguali a se stesse. Assumendo così vesti e volti nuovi persino all’interno di una stessa cultura e di un medesimo periodo storico. Se, come sappiamo da tempo, la famiglia è diversa perché le circostanze sono diverse (Durkheim, 1888), ciò non significa che le molteplici formazioni siano esclusivamente frutto di singole scelte individuali. Al contrario, nel costume sociale esistono e vengono tramandati diversi modelli pratici del fare famiglia, che dunque diviene nella concreta vita quotidiana necessariamente plurale. Non più un uni-verso, bensì un pluri-verso. Seguendo tale prospettiva pluralista, la differenza che si riscontra all’interno di alcune formazioni familiari non appare un deficit. Piuttosto, assume la dignità propria di un modo possibile del vivere gli affetti privati. Seppur ciò comporta una certa Dipartimento di Psicologia Generale, Università degli Studi di Padova. 1 distanza dal copione culturale prototipico di famiglia (uomo, donna e figli). Dunque, il termine famiglia non è sottoposto a un allargamento dei propri confini semantici per far posto – in modo ovviamente riluttante – a formazioni devianti dalla norma. Tutt’altro: tale termine è sottoposto a una riscrittura volta a comprendere le molteplici dinamiche relazionali e pratiche quotidiane finora non previste, o messe al confino, dalla voce ufficiale della tradizione. Con la sua portata innovatrice appare dunque sulla scena pubblica, tra le altre, anche la famiglia omosessuale. Famiglia omosessuale e maternità lesbica: una ricerca esplorativa Nel nostro Paese, di fronte alla famiglia omosessuale, il dibattito socio-politico sembra indugiare prevalentemente su temi di natura legislativa. A una simile unione, va attribuita una qualche validità giuridica e agli omosessuali può essere riconosciuto il diritto d’adozione? Le risposte, almeno sinora, si attestano sul versante della negazione. E non è infrequente rintracciare in tale dibattito l’idea che, tutto sommato, tale fenomeno possa essere bandito semplicemente facendo ricorso alla penna del legislatore. Come se la legge potesse tenere al guinzaglio le forme umane dell’affetto e dei legami interpersonali. Quasi dimentichi che anche in Italia – solo per restare nel nostro alveo – esistono donne che amano altre donne. E sono donne madri che costituiscono inedite forme di convivenza. È allora opportuno delineare, nei suoi tratti essenziali, la genealogia di un simile fenomeno, per poi – a dispetto del negazionismo legislativo – addentrarci al suo interno. La “prima generazione” di lesbiche praticava il mimetismo: esse nascondevano la propria identità indossando i rassicuranti – per la maggioranza eterosessuale – abiti sociali di madri e mogli. Così potevano far fronte alla minaccia e al timore di perdere i figli, limitandosi a vivere clandestinamente le loro relazioni. Negli anni ’70, la “seconda generazione” ha prevalentemente assunto uno stile di vita che escludeva la maternità. Infatti, la cultura lesbica legata ai movimenti femministi ha comportato che il coming-out – dichiararsi pubblicamente lesbiche – significasse di fatto l’esclusione dalla possibilità di essere genitori. Rafforzando nel contempo la dicotomia tra due identità: madre e lesbica. Nella generazione successiva assistiamo al fenomeno delle cosiddette “madri intenzionali”: lesbiche che diventano madri esclusivamente attraverso autoinseminazione, tecniche di procreazione assistita o adozione. Qualcuno ha parlato addirittura di “Lesbian Baby Boom” (Patterson, 1994). Un tale fenomeno, esploso negli anni ’90, ha interessato soprattutto Paesi quali gli Stati Uniti, l’Olanda, la Germania e la Gran Bretagna. Al tempo, per eventuali madri intenzionali, nelle cliniche italiane non era più praticabile il ricorso alla fecondazione assistita (Saffron, 1995). A seguito di questo percorso socio-antropologico, segnato dalle innovazioni delle tecniche della nascita, il panorama dell’omogenitorialità lesbica risulta ultimo sfaccettato: vi sono madri lesbiche separate o divorziate, madri lesbiche per scelta e ragazze madri che si legano affettivamente a una partner donna nel primissimo periodo di vita del bambino e persino durante la gravidanza (Danna e Bottino, 2005). 2 Obiettivi La presente ricerca continua nel solco tracciato da precedenti indagini (Monti, Zamperini, 2006; Zamperini, Collini, 1997; Zamperini, Gius, Collini, 1999), e il suo obiettivo specifico è quello di analizzare le trame discorsive prodotte da madri lesbiche per parlare di se stesse, delle proprie relazioni affettive, della propria genitorialità e dei rapporti istaurati con la società. Attraverso questi dati testuali, l’obiettivo ultimo è delineare quale cultura delle relazioni intime si generi all’interno di queste nuove formazioni familiari, e comprenderne le peculiari dinamiche interpersonali e sociali. Partecipanti e metodologia La ricerca è stata condotta con la partecipazione di un gruppo formato da 17 donne lesbiche, di cui 8 coppie1 e 2 single. Le partecipanti sono state contattate attraverso varie modalità: per mezzo di annunci su forum e siti di Internet; mediante contatti diretti con associazioni omosessuali e con il passaparola tra associate. Si tratta di donne che sperimentano a vario titolo il fenomeno della maternità lesbica, formando un gruppo eterogeneo, così com’è sfaccettata la realtà nazionale. Quattro coppie hanno portato avanti un progetto di maternità condiviso ricorrendo alla procreazione medicalmente assistita, di cui solo una coppia in Italia, quando la regolamentazione dell’accesso alle tecniche riproduttive non escludeva esplicitamente gay e lesbiche; due coppie vivono insieme a figli nati da precedenti relazioni eterosessuali; una coppia convive in assenza del figlio, concepito da una delle due donne in una relazione con un uomo; infine, una coppia vive insieme a una bambina avuta in una precedente unione matrimoniale ed è in attesa, al momento dell’intervista, di due gemelli concepiti in un progetto di co-genitorialità con una coppia di amici gay. Per ciò che riguarda le due donne single, una di loro ha concepito il proprio figlio all’interno di una precedente unione con un uomo, l’altra ricorrendo alla pratica artigianale dell’autoinseminazione. L’età delle partecipanti copre un range dai 35 ai 53 anni. Quando sono state intervistate, tutte le donne risiedevano nel Nord Italia, e precisamente nelle regioni Piemonte, Veneto e Lombardia. Tre di loro hanno conseguito la licenza media, sette il diploma e otto la laurea. L’età dei figli varia da pochi mesi di vita fino ai 21 anni; al momento dell’intervista una donna era incinta di due gemelli. Si tratta di donne che vivono la propria identità lesbica a contatto con specifiche associazioni e ciò fa presupporre che negozino nel quotidiano la propria visibilità sociale, ben lontane da vissuti di clandestinità. Se ciò fa di esse un gruppo certamente non rappresentativo dell’intera popolazione, nello stesso tempo questa caratteristica peculiare costituisce una preziosa prospettiva attraverso cui guardare non solo alle dinamiche fondanti una nascente cultura familiare, ma anche a come le stesse si coniughino o si scontrino con l’ambiente esterno. 1 Per una coppia è stato possibile intervistare solo la madre biologica. 3 Gli incontri sono avvenuti nelle abitazioni private delle partecipanti, e sono stati guidati da un’intervista semi-strutturata.2 Le tematiche proposte gradualmente si spostavano da un piano d’indagine circoscritto ai vissuti relativi alla propria omosessualità, fino ad abbracciare le dimensioni della vita di coppia e della genitorialità lesbica; inoltre l’intervista ha favorito narrazioni di sé e della propria storia familiare correlate alla percezione della qualità dei rapporti sociali, sia nell’ambito di relazioni strette (parenti e amici), sia all’interno di relazioni più impersonali (vicini di casa, altri genitori, insegnanti, e così via). La ricerca trova le proprie origini teoriche nell’assunto di base secondo cui il parlare quotidiano, come quello scientifico, costruisce attivamente la realtà sociale. Come sostenuto dai padri della Grounded Theory (Glaser, Strass, 1967), le categorie conoscitive emergenti dalle narrazioni incontrano quelle del ricercatore, fino a favorire la nascita di teorie socio-psicologiche strettamente connesse ai testi prodotti dai parlanti. Coerentemente a queste premesse, le interviste sono state in seguito analizzate attraverso il software Atlas.ti, quale strumento per l’analisi qualitativa dei testi. Risultati Per facilitare l’analisi e la presentazione dei risultati ottenuti, i testi sono stati suddivisi in base alle modalità di concepimento dei figli, ricavandone così le seguenti famiglie di testo: Maternità lesbica come scelta: n. 6 testi prodotti da donne che hanno programmato la propria maternità da lesbiche, ricorrendo alla procreazione medicalmente assistita o all’autoinseminazione; Maternità da relazione eterosessuale: n. 5 testi prodotti da donne (e dalle loro compagne) che hanno generato i propri figli durante precedenti relazioni eterosessuali.3 Dall’analisi effettuata emerge un’ampia quantità di nuclei tematici, successivamente articolati in 4 diverse macrocategorie concettuali. Per motivi di spazio, in questa sede verranno presentate brevemente le prime tre e discusso solo la quarta: Riconoscimento sociale e giuridico. Innovazione. Dai racconti delle donne intervistate la maternità lesbica si presenta come un’esperienza priva di ancoraggi tradizionali. Senza copioni predefiniti cui fare riferimento. Come già sottolineato, si tratta infatti di un fenomeno sociale che solo da pochi decenni si è affacciato sul palcoscenico pubblico. E necessita, pertanto, di nuove norme sociali e termini di definizione. L’assenza di schemi esistenti da cui attingere e di modelli culturali da adottare comporta la necessità di produrre un cambiamento tutto interno alla società di appartenenza. Così da trovare uno spazio Nel caso delle coppie, si tratta di interviste portate avanti con entrambe le partner. La testimonianza della coppia che ha una figlia da una relazione eterosessuale precedente ed è in attesa di due figli generati all’interno di un progetto di co-genitorialità omosessuale costituisce una categoria trasversale alle due famiglie di testo. 2 3 4 idoneo a riscrivere nuove pratiche di vita e in grado di produrre inedite proposte culturali del fare famiglia. Tra le innovazioni sollecitate, i testi richiamano l’attenzione sul tema dei ruoli da assumere all’interno dell’organizzazione familiare: la divisione dei compiti domestici e delle pratiche genitoriali viene negoziata nel quotidiano in relazione a competenze e inclinazioni personali e non rigidamente fissata in base a un’appartenenza di genere, diversamente da ciò che per molto tempo è accaduto nella maggior parte delle coppie eterosessuali (Barbagli, Colombo, 2001). Altra innovazione significativa sembra essere l’affacciarsi all’interno della famiglia di una nuova figura sociale: la madre non biologica o co-madre. In Italia, come in moltissimi altri Paesi, una figura che si colloca al di fuori di qualsiasi definizione e riconoscimento socio-giuridico. Normalità. Pur tuttavia, sebbene le narrazioni prodotte presentino esperienze di vita caratterizzate da tratti originali che si discostano dalla tradizione, le donne incontrate non mancano però di mettere in luce la normalità delle proprie condotte familiari. Per normalità qui si intende l’assenza di differenze che possano essere ritenute problematiche per la coppia o per i figli rispetto alla realtà delle famiglie eterosessuali. L’omosessualità viene infatti vissuta come un singolo aspetto di un’ampia costellazione di fattori che possono influire sulla propria capacità di essere genitrici, sul proprio rapporto coi figli e sulle relazioni affettive intessute all’interno e all’esterno delle mura domestiche. Ciò permette alle parlanti di misurare la proprie esistenze non esclusivamente sulla base delle differenze che le distanziano dalla tradizione, ma anche in riferimento ai tratti comuni che a essa le avvicinano. Educazione e benessere dei figli. Nonostante ciò, gran parte delle narrazioni raccolte ruotano intorno al tema dell’educazione e del benessere dei figli e alla possibile influenza che il proprio orientamento sessuale può esercitare sulla loro vita. In particolare, a detta delle intervistate, emerge come crescere in una coppia lesbica possa costituire per il bambino l’opportunità di essere educato nel rispetto e nella tolleranza verso le più svariate forme di diversità, siano esse sessuali, culturali e così via. Inoltre, secondo alcune madri lesbiche, vivere insieme a due adulti che sono stati in grado di contrapporsi a rigide norme sociali prendendo decisioni rispettose delle proprie necessità identitarie, implica per i bambini la possibilità di crescere fin dall’inizio con la consapevolezza di poter scegliere autonomamente quale strada intraprendere, in ogni campo. Le madri però non dimenticano di mettere in evidenza anche l’altro lato della medaglia: essere figli di due donne lesbiche spesso comporta per i bambini l’esigenza di avere spiegazioni sulla propria nascita e sulla propria famiglia e, contemporaneamente, il doversi confrontare con coetanei, maestre, vicini di casa ed essere chiamati a fornire loro spiegazioni. Ciò che però sembra preoccupare maggiormente alcune madri non è tanto il confronto sul tema della diversità che i propri figli sperimentano nell’incontro con l’altro, quanto il disagio che un bambino può vivere per far parte di una famiglia oggetto di stigma sociale. 5 Riconoscimento sociale e giuridico: il confronto interpersonale e con le istituzioni La definizione maternità lesbica potrebbe ancora suonare come un ossimoro (Wald, 1997) se si continuasse a pensare all’atto sessuale quale unico percorso praticabile per la meta della procreazione e della genitorialità. A dispetto di quanto si voglia vedere o ammettere, la morfologia della convivenza umana mostra donne che scelgono di crescere insieme figli generati in precedenti relazioni eterosessuali oppure donne che ricorrono a tecniche di inseminazione, prescindendo da rapporti con uomini. Mettendo così pubblicamente in discussione il legame tradizionale tra sessualità e procreazione/genitorialità. E come vivono queste famiglie l’ineludibile e quotidiano confronto con il resto della società? La presente ricerca offre alcune possibili chiavi di lettura. RICONOSCIMENTO GIURIDICO E SOCIALE Impegno politico e sociale Mancato riconoscimento giuridico Influenza sociale informale Lo sguardo e il giudizio altrui Incontro e riconoscimento sociale Sostegno familiare Omosessualità come strumento di offesa/minacce Scritture private Sostegno rete amicale Sostegno associazione Amici contro Famiglia contro Sostegno psicologico Figura 1. Madri lesbiche tra riconoscimento sociale e giuridico. 6 La figura 1 rappresenta una mappa concettuale illustrativa dei processi di costruzione del senso di sé e della propria famiglia che le donne intervistate portano avanti nel quotidiano tentativo di farsi conoscere e ri-conoscere dalla parte maggioritaria della società. Fonti e forme di sostegno e disagio Il confronto con la propria famiglia di origine sembra costituire un momento critico che solo in minima parte preannuncia l’incontro con la comunità più estesa, ma che già in sé presenta le prime difficoltà relazionali che le donne intervistate raccontano di aver incontrato all’inizio del proprio percorso di genitrici. L’ostilità e la non accettazione da parte dei propri genitori rispetto alle scelte di vita operate costituisce una notevole fonte di disagio che fin dall’inizio mette a dura prova la nascente formazione familiare. Ma, nell’esperienza della maggior parte delle partecipanti, tale atteggiamento di contrasto viene gradualmente abbandonato per far posto a un sostegno familiare alla genitorialità, diventando persino una delle maggiori risorse a disposizione della coppia. Lo stesso sembra valere per il sostegno offerto dalla rete amicale che, a differenza di ciò che accade per la famiglia di origine, necessita di tempi meno lunghi per comprendere e accettare la scelta di una maternità lesbica. In un numero minore di casi, anche l’associazione omosessuale di appartenenza viene indicata come spazio utile per un confronto e sostegno reciproco. In solo due casi si fa accenno a un sostegno psicologico ricercato presso professionisti. Ciononostante non mancano nei racconti le testimonianze di offese e minacce subite (o della paura di subirne) a causa della propria omosessualità, nella quasi totalità dei casi ad opera di ex-mariti. Le maggiori fonti di disagio sembrano però essere costituite dal giudizio altrui e dal mancato riconoscimento giuridico. L’essere oggetto di stigma sociale, di valutazioni morali sostenute da fonti influenti quali i mass media e la Chiesa, pone nella condizione di sperimentare costantemente la disconferma della propria convivenza e dei propri affetti. A ciò si sommano le preoccupazioni per l’assenza di leggi che tutelino i rapporti con i figli. Il mancato riconoscimento ufficiale delle proprie unioni non viene però vissuto esclusivamente come difetto di tutela, ma anche come un freno nel percorso verso una costruzione completa di un senso di famiglia. Il riconoscimento giuridico “è una cosa che ti crea lo spazio entro il quale muoverti e creare delle relazioni, non le sancisce solamente ma ti permette anche di crearle” (da un’intervista). Ciò influenza pure l’atteggiamento dei familiari della coppia che, in assenza di una legittimazione di tale unioni, stentano a investire emotivamente nel rapporto con i bambini, non riconosciuti quale parte della propria famiglia. Come già sostenuto in letteratura, un atteggiamento prevalente tra i genitori di madre non biologica (Hequembourg, Farrell, 1999). Si tratta di problematiche che interessano maggiormente le donne che insieme hanno deciso di mettere al mondo un figlio, all’interno di un’unione lesbica e ricorrendo a modalità di concepimento alternative. Confronto e influenza 7 Per fronteggiare una tale situazione di vuoto legislativo, alcune donne mettono in atto varie strategie al fine di conquistare il proprio posto nella società. Anche in questo caso, si tratta di pratiche portate avanti quasi esclusivamente da chi ha generato i propri figli all’interno di un progetto di maternità lesbica. Coppie che, rispetto a quelle i cui figli sono stati generati in precedenti rapporti eterosessuali, si trovano a dover gestire una formazione familiare dai tratti ancora più innovativi e perciò disturbanti per la visione tradizionale di famiglia. Le intervistate raccontano di affrontare tali problemi ricorrendo a scritture private che fungono da accordo tra le parti. Sicuramente un tentativo per sopperire con il diritto civile alle lacune del diritto di famiglia. Ma ancor più si tratta di un’azione simbolica volta a definire un’identità familiare frequentemente sottoposta a disconferme sociali. Alcune donne sostengono che l’ottenimento di una qualche forma di riconoscimento giuridico dei propri affetti non sia da considerarsi esclusivamente una meta perseguibile per fini privati. Al contrario, sarebbe invece una conquista della collettività, per il raggiungimento della quale la visibilità delle proprie famiglie diviene un atto politico e di impegno sociale. Nonostante ciò, gran parte delle narrazioni raccolte evidenzia come la principale azione di influenzamento sociale non sia costituita dalle grandi manifestazioni pubbliche. Piuttosto, il percorso verso il riconoscimento e il rispetto delle proprie esistenze viene perseguito nell’incontro interpersonale. Farsi conoscere, senza negare mai la propria unione, dalle maestre dei figli, dai vicini di casa, dal panettiere, celebrare privatamente con amici e parenti i propri affetti, sono tutti atti che nutrono un processo di influenza sociale che si irradia dal basso. Ed è proprio nella vita quotidiana che queste famiglie ottengono una forma di riconoscimento informale, attraverso il sostegno dei propri cari e il rispetto e l’accoglienza dei più. Ma se questa forma di negoziazione sembra in grado di ottenere un’apertura verso la formazione di famiglie omosessuali, le posizioni ufficiali costituiscono attualmente un freno a tale processo. L’influenza quotidiana sembra dunque non prescindere da un confronto constante con le istituzioni e gli organi di potere della società. Cenni conclusivi Pare decisamente banale sottolinearlo, eppure l’intimità ha subito grandi trasformazioni. Cambiamenti che hanno incontrato le innovazioni della tecnica. Un sodalizio che ha permesso l’affacciarsi di nuovi attori sociali, portatori di scenari affettivi inediti. Contro quell’autoritarismo della maggioranza che vorrebbe emarginare il diverso, per non parlare di una vera e propria sua cancellazione, la presente ricerca, come altre del resto svolte in questo ambito, voleva gettare uno sguardo dentro il fenomeno della maternità lesbica e delle sue inedite dinamiche familiari. Con quel giusto pudore che sempre dovrebbe accompagnare la ricerca. E con la consapevolezza che il nostro sguardo di ricercatori avrebbe incontrato altri 8 sguardi, certo non meno profondi e acuti. Da questo incontro di sguardi è nata la presente ricerca, qui solo in parte riportata. Solitamente, al termine di un articolo, i ricercatori discettano di nuove strade da approfondire, tracciano rapporti con la letteratura esistente, evidenziano l’importanza dell’argomento trattato. Almeno per questa volta vorremmo sottrarci a tale consuetudine e offrire le ultime righe a un episodio raccontato da una delle donne intervistate. In un articolo che parla di confronto sociale tra diverse forme di convivenza familiare, crediamo che un simile episodio costituisca il modo migliore per terminare la nostra presentazione. Siamo al mare. La coppia di donne è con il loro figlio di tre anni, concepito per mezzo dell’inseminazione artificiale. Un altro bambino si avvicina al figlio domandando: “Quella è la tua mamma? E dov’è il tuo papà?” Al che il figlio risponde: “Non ce l’ho un papà”. Il bambino curioso lo incalza: “E quella chi è?” Il figlio risponde: “Quella è l’altra mamma. Io ho due mamme: mamma G. e mamma S.” Il bambino curioso pare perplesso e si precipita dai suoi nonni. Gli interroga a dovere e ottenuto il chiarimento richiesto torna alla carica con il figlio della coppia di donne: “No! Non è possibile. I miei nonni mi hanno detto che non puoi avere due mamme”. Il figlio, educato a far fronte a simili situazioni, ribatte: “Per gli altri no, ma per me sì: io ho due mamme!” Riferimenti bibliografici Riferimenti bibliografici Barbagli M., Colombo A.(2001): Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia. Il Mulino, Bologna. Bergen K.M., Suter E.A., Daas K.L. (2006): “About as solid s fish Net”: Symbolic Construction of a Legitimate Parental Identity for Nonbiological Lesbian Mothers. The Journal of Family Communication, 6, 3, pp. 201-220. (Durkheim, 1888) Danna D., Bottino M.(2005): La gaia famiglia. Asterios, Trieste. Fruggeri L. 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