QUINTA TAPPA Una “folla di persone” chiamate a
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QUINTA TAPPA Una “folla di persone” chiamate a
QUINTA TAPPA Una “folla di persone” chiamate a discernere il “più dell’amore” Il testo: 1 Ts 5, 16-24 Siate sempre lieti, pregare senza interruzione, rendete grazie in ogni cosa: questa è la volontà di Dio a vostro riguardo in Gesù Cristo. Non spengete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, ritenete ciò che è buono, astenetevi da ogni sorta di male. Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo! Per la riflessione La prima lettera ai Tessalonicesi è il primo scritto paolino, ma anche il primo scritto del Nuovo Testamento. Siamo molto vicini alla morte e risurrezione di Gesù. Sono passati una ventina di anni se, come si pensa, Gesù è morto il 7 aprile del 30, e questa lettera è del 50-51. Paolo, quindi, con ancora nell’aria l’odore quasi fisico di Gesù, da poco risuscitato, comunica ai Tessalonicesi, fra le cose importanti, la necessità di discernere la volontà di Dio, come un servizio e un dono profondamente intriso d’amore. Per vivere ed incarnare questa “sensibilità spirituale” (cf. Fil 1, 9-10) l’apostolo delinea tre “elementi fondamentali”, che costituiscono quasi l’ambiente vitale per essere permanentemente nel discernimento della volontà personale del Padre in ogni “qui ed ora” del proprio pellegrinaggio umano e spirituale. Essere nella gioia (v.16). La gioia, che non è la gioia che viene dal di fuori: da fattori contingenti, ma la gioia, che Paolo delinea come il secondo frutto dello Spirito nella lettera ai Galati (cf. Gal 5,22); è la gioia del “rallegrati” rivolto da Gabriele a Maria nell’annunciazione (cf. Lc 1,28); è la gioia profonda nell’essere nel cuore di Dio, perché niente e nessuno ci separerà mai dal suo amore (cf. Rom 8,35): la gioia che nessuno ci può togliere (cf. Gv 15,23). Essere preghiera incessante (v.17). La preghiera come stato permanente di capacità contemplativa nell’azione, che significa cercare e trovare Dio in tutte le cose, “perché tutto è Cristo” (cf. Col 2,17): la realtà è Cristo. Cercare e trovare Dio in tutte le cose, soprattutto cercare e trovare Dio in tutte le mie cose, perché con Gesù io possa dire che devo occuparmi delle cose del Padre mio (cf. Lc 2,49). Non è una contemplazione asettica, non è nemmeno una speculazione intellettualoide, ma è cercare e trovare - da spirito incarnato quale sono - la presenza personale ed appellativa di Dio in ogni “qui ed ora”, che la Trinità mi regala e mi propone attraverso gli eventi, le circostanze e le persone, che mi mette dentro ed accanto, e che permettono al mio cuore di avere quelle risonanze profonde, quei moti dell’anima, che sono chiamato a riconoscere se vengono dallo spirito buono o dallo spirito cattivo. Una preghiera ed una contemplazione nell’azione, quindi, per discernere e scegliere sempre, nel Cristo che vive in me e cresce in me fino alla sua piena maturità (cf. Gal 2,20 e Ef 4,13), il meglio, il “più dell’amore”: “e per questo prego: che il vostro amore cresca sempre più in conoscenza e ogni delicato sentimento affinché apprezziate le cose migliori” (Fil 1,9-10). “Rendere grazie in ogni cosa” (v.18a). Essere, cioè, sempre eucarestia e permettere alla Trinità, rendendo sempre grazie per ogni cosa, di donarci sempre di più il Tutto del suo Amore. Noi, infatti, rendendo grazie riceviamo Colui che è la volontà del Padre, e il nostro essere nel Padre è sempre in riferimento a Cristo. Paolo questo lo dice sempre: “questa è la volontà di Dio a vostro riguardo in Cristo” (v.18b). Quindi, tutto ciò che noi chiediamo, cerchiamo, otteniamo, verifichiamo del frammento della volontà di Dio in noi, è in rapporto a Cristo: il Padre ce lo dona in rapporto a Cristo, e in nessun altro modo, se non in rapporto al Cristo che vive in me, perché il Cristo che vive in me è anche il Cristo che io ricevo, contemplo e di cui mi nutro. Dopo aver delineato l’ambiente vitale dei costituenti necessari per essere nel discernimento della volontà personale di Dio, Paolo delinea ora i tre “imperativi operativi” per incarnare tale orientamento deliberativo per il Cristo che vive in noi e cresce nel “più dell’amore”. “Non spengete lo Spirito” (v.19). Il termine e la tematica relativa allo Spirito ricopre, sicuramente, un ruolo preminente all’interno dell’intera Scrittura. Nell’epistolario paolino troviamo “spirito” nelle varie forme e nei vari sensi usato 120 volte nelle lettere autentiche (nelle 13 lettere 146 volte), delle quali cinque nella nostra lettera delle quali quattro volte in riferimento allo Spirito Santo. Si va dal ruolo dello Spirito nella predicazione in 1,5 e 6, alla sua presenza come principio di vita santa in 4, 8 al trinomio “spirito– anima – corpo” di 5,23, di complessa interpretazione. Qui nel nostro testo, alla luce del pensiero paolino, possiamo affermare che l’azione dello Spirito, da non spengere, è legata alla sua potenzialità di manifestare al cristiano in genere, o attraverso dei carismi in particolare, una particolare ispirazione in vista ed in funzione del bene comune. Lo Spirito, quindi, è Colui che mi dà, mi dona il meglio di Sé del Figlio Gesù che vive in me, e diviene slancio operativo, orientamento fondamentale di vita. Questo è lo Spirito che dà la vita (cf. 2 Cor 3,6). “Non disprezzate le profezie” (v.20). Bisogna entrare in quella logica di trovare nell’ascolto contemplativo e orante del mistero dell’incarnazione nel cuore dei fratelli e delle sorelle una parola di Dio per il mio cuore e per la mia vita. La Parola di Dio non è solo quella scritta nella Bibbia, ma c’è anche una parola di Dio concreta, attualizzata nelle circostanze, nelle persone, negli eventi. Non disprezzare le profezie, non annullare le profezie significa essere persone che mettono in pratica la certezza che nel battesimo, oltre a me, anche gli altri hanno ricevuto lo spiritico profetico, cioè lo spirito per parlare in nome di Dio. il profeta è, infatti, colui che parla in nome di Dio, non sostituendosi a Dio, ma portando l’originalità della propria vocazione personale. Allora bisogna ascoltarsi per discernere davvero, perché l’altra, l’altro sono il luogo santo dell’incarnazione della parola esistenziale del mio Signore. Uno dei profeti per eccellenza, Mosè, davanti al roveto ardente che lo chiama, si toglie i sandali perché quel luogo è santo. Allora è necessario ascoltare l’altro come ascolto la Parola di Dio per riconoscere attraverso l’originalità di ciascuno quel frammento di volontà personale di Dio nel “qui ed ora” della mia storia, della mia comunità, della mia chiesa, della mia città. “Esaminate ogni cosa” (v.21a). Il verbo usato qui da Paolo è il verbo “tecnico” del discernimento, “dokimàzein”. Paolo delle 22 volte, che il Nuovo Testamento usa questo verbo, lo usa per ben 17: quindi è un verbo suo tipico. Qui nel primo scritto neo testamentario, a venti anni dalla morte e risurrezione di Gesù, Paolo usa questo verbo. Discernete, saggiate, purificate, esaminate ogni cosa! Niente può entrare nella mia vita e in quella degli altri se non attraverso un rigoroso ed attento giudizio esistenziale e prudenziale. Bisogna discernere tutto nel discernimento di Cristo, perché l’uomo spirituale discerne ogni cosa perché ha il pensiero di Cristo (cf.1 Cor 2,15-16), quindi tutto va fatto passare nel “crogiuolo”. Paolo usando il verbo “dokimàzein” lo mutua dalla versione della Bibbia ebraica tradotta in greco, la Settanta, che traduce con questo cinque verbi che nei salmi, nei libri sapienziali e profetici rendono il concetto di purificazione dei metalli attraverso il crogiuolo portato ad alte temperature: “scrutami, hai conosciuto il mio cuore, i miei reni” (cf. sal 26 (25); 139 (138); ecc.). Tutto va “fatto bollire”, discreto dallo Spirito ardente, quello da non spengere e da tenere alto per giungere al “più dell’amore”: il meglio di me e del Figlio in me, di cui il Padre si compiace. “tenete ciò che è buono, astenetevi da ogni sorta di male” (vv.21b-22). Ecco la fine di questa nostra pericope. Paolo nel testo greco dice letteralmente: “tenete ciò che è bello”. Il bene, il mio bene, il bene degli altri, è il bello. Giovanni nel suo vangelo definendo Gesù come il Pastore lo chiama “bello” (cf. Gv 10). Allora il bello è il bello del Gesù che vive in me, del Gesù che vive negli altri. Ritenere non solo ciò che è bello, ma il bello! Il Cristo che vive in noi, quello è da tenere, e da rigettare è il non bello, il male, che si riveste da “angelo di luce” (cf. 2 Cor 11,14). Per l’approfondimento “Il Nuovo Testamento presenta appunto la struttura del discernimento come un distinguere tra ciò che è bene e ciò che non lo è, tra ciò che Dio vuole e ciò che non vuole. Ricordo alcuni tra i testi classici: * Rom 12,2 :’Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono a lui gradito e perfetto’. Ciò che a Dio è gradito è il nostro essere come il Figlio, al Battesimo e alla Trasfigurazione; essere come il Servo di Jahvè, nel quale Dio si compiace. L’oggetto del discernimento è il piacere a Dio, è quello che lui vuole, ama, quello che è perfetto in quanto ci rende simili al Padre. Possiamo capirlo dall’espressione di Paolo “rinnovando la mente”; il termine usato nel testo greco è dokimàzein, che indica lo sforzo, il tentativo di imparare sondando o saggiando, mediante esperimenti, la tenuità di qualche cosa. Comporta, quindi, un certo soppesare, paragonare, provare. Dokimàzein ha lo stesso significato nel linguaggio profano, per esempio nel racconto di Luca sulla scelta degli invitati, dove un tale rifiuta l’invito a cena dicendo: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli (dokimàsai)” per capire se sono adatti all’aratro, se vanno bene (cf. Lc 14,19). Nel brano della lettera ai Romani si intende la capacità di saggiare, di sperimentare ciò che è secondo la volontà di Dio, la mente di Cristo, e ciò che, invece, non lo è. * Fil 1,9-10: “Prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo”. Il discernimento ha quindi un valore escatologico, richiama il fine ultimo dell’uomo, il suo essere definitivamente davanti a Dio. […]. Vorrei osservare che la dottrina del discernimento degli spiriti la troviamo già nel giudaismo, in Qumram, nel manuale della disciplina; viene ripresa dalla Didachè e poi passa nella tradizione spirituale fino alla codificazione propria degli ‘Esercizi Spirituali’ di Ignazio di Loyola. Tuttavia l’espressione ‘discernimento degli spiriti’ – discretio spirituum – che leggiamo nel libretto di S. Ignazio, non presa dai tre testi sopra ricordati, bensì da 1 Cor 12,10 dove il ‘distinguere gli spiriti’ è nella versione greca, diakrìseis pneumàton (letteralmente ‘discernimento di spiriti’, al plurale). A partire dal manoscritto Sinaitico, che ha il singolare, la versione latina parlerà di discretio spirituum e il termine passerà così nella tradizione spirituale. L’oggetto preciso del discernimento è dunque la volontà di Dio, e comporta una grande visione di fede: Dio mi ama, pensa a me, mi chiama, ha una scelta particolare per me; la mia vita ha un senso nel piano di Dio e io ho un nome segreto, misterioso che egli vuole rivelarmi. In chi si mette in stato di discernimento ci deve essere la persuasione che quanto dovrà fare nella sua vita è iscritto in un disegno molto ampio, il disegno del mistero d’amore di Dio, a cui la nostra esistenza è risposta. Per questo il semplice mettersi in stato discernimento, è già uscire dalla mondanità, è già una purificazione del cuore, un atto d’amore al Signore, un riconoscere che nella mia vita io sono in dialogo con una parola più forte di me, che mi ha creato, mi ha redento, mi sostiene, mi guida e mi accompagna. Ma se l’oggetto del discernimento è la volontà di dio, il luogo più specifico del discernere viene precisato come i moti dello spirito, i movimenti interiori del cuore mediante i quali io conosco me stesso davanti a Dio e quindi conosco il suo disegno su di me. Nella tradizione classica, soprattutto ignaziana, i moti dello spirito sono fondamentalmente di due tipi: * i moti di tipo promozionale, che infondono entusiasmo, spinta gusto, gioia del bene, e sono chiamati con il termine generale di consolazione; * i moti di tipo bloccante, che portano confusione, timore, paura, disgusto, ripugnanza e sono chiamati con il termine desolazione. Sentire, recepire, valutare tali moti, vederne l’aspetto più profondo (ci può essere infatti una consolazione superficiale, apparente, che si rivela poi illusoria, oppure ci può essere una ripugnanza superficiale, che si rivela poi come chiamata) è il dono, l’arte del discernimento degli spiriti. Leggendo le regole della tradizione ascetica, in Ignazio di Loyola e più ampiamente in Giovanni della Croce, ci accorgiamo che esse riguardano soprattutto il secondo tipo di moti, quelli deprimenti, bloccanti, che vanno sotto il nome di ‘desolazione’. Questo significa che il vero problema è di vederci chiaro nei momenti pesanti, oscuri, difficili, nel groviglio della confusione dei pensieri. Il problema affrontato, insomma, da Giovanni della Croce nell’opera “Notte oscura”, dove insegna come comportarsi nelle purificazioni del senso e dello spirito, quale valore hanno, come siano parte di un cammino autentico e non costituiscano, invece, perdita e regressione”. Card. Carlo Maria MARTINI, Conoscersi, Decidersi, Giocarsi. Gli incontri dell’ora undicesima, Roma 1993, 63-67. Per la preghiera O Signore, tu puoi certamente dire a noi, oggi: ‘Le mie vie non sono le vostre vie; i miei pensieri non sono i vostri pensieri. Quanto dista la terra dal cielo, tanto dista il vostro cammino dal mio cammino’ (cf. Is 55,8-9). Per questo ci rivolgiamo a te E, con san Paolo, ti diciamo: Che cosa vuoi che io faccia? Dove vuoi che io vada? Quali parole vuoi che io dica? Quali scelte vuoi che io metta in atto? Trasforma e rinnova la nostra mente, o Signore; aiutaci ad esaminare tutto e a ritenere ciò che è buono; arricchisci anche noi con il dono del discernimento degli spiriti; fa’ che, per non sciupare il dono presente in noi e negli altri, sperimentiamo le attenzioni che, almeno in certa misura, ne favoriscono la fioritura e i frutti. Maria, Madre del buon consiglio, prega per noi! ( + Renato Corti )