il nuovo diritto delle società

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il nuovo diritto delle società
Anno 8 – Numero 3
10 febbraio 2010
NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI
IL NUOVO DIRITTO
DELLE SOCIETÀ
D IRETTA DA O RESTE C AGNASSO E M AURIZIO I RRERA
C OORDINATA DA G ILBERTO G ELOSA
In questo numero:
! Società di persone: quale futuro?
! Società a partecipazione pubblica
! United States Bankruptcy Code: Chapter 11
ItaliaOggi
CLASSprofessionale
DIREZIONE SCIENTIFICA
Oreste Cagnasso – Maurizio Irrera
COORDINAMENTO SCIENTIFICO
Gilberto Gelosa
La Rivista è pubblicata con la collaborazione
degli Ordini dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili
di:
Bergamo, Busto Arsizio, Casale Monferrato, Crema,
Cremona, Lecco, Mantova, Monza e Brianza, Verbania
SEZIONE DI DIRITTO FALLIMENTARE
a cura di Luciano Panzani
SEZIONE DI DIRITTO INDUSTRIALE
a cura di Massimo Travostino e Luca Pecoraro
SEZIONE DI DIRITTO TRIBUTARIO
a cura di Gilberto Gelosa
SEZIONE DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
a cura di Marco Casavecchia
SEZIONE DI TRUST E NEGOZI FIDUCIARI
a cura di Riccardo Rossotto e Anna Paola Tonelli
COMITATO DI INDIRIZZO
Carlo Luigi Brambilla, Alberto Carrara, Paola Castiglioni, Luigi Gualerzi, Stefano
Noro, Carlo Pessina, Ernesto Quinto, Michele Stefanoni, Mario Tagliaferri, Maria
Rachele Vigani, Ermanno Werthhammer
REDAZIONE
Maria Di Sarli (coordinatore)
Paola Balzarini, Alessandra Bonfante, Maurizio Bottoni, Mario Carena, Marco Sergio
Catalano, Fabio Colombo, Alessandra Del Sole, Massimiliano Desalvi, Elena
Fregonara, Sebastiano Garufi, Stefano Graidi, Alessandro Monteverde, Enrico Rossi,
Cristina Saracino, Marina Spiotta, Maria Vanturini
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
Charles G. Case II, Gastone Cottino, Carlo Ibba, Paolo Montalenti
INDICE
Pag.
STUDI E OPINIONI
La società di persone: quale futuro?
di Gastone Cottino
7
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
Le società a partecipazione pubblica: spunti di riflessione
di Paolo Montalenti
10
Le società a partecipazione pubblica, oggi
di Carlo Ibba
18
La s.r.l. a partecipazione pubblica
di Oreste Cagnasso
31
La responsabilità degli amministratori di societa’ a partecipazione
pubblica secondo una recente e innovativa sentenza della Cassazione
di Oreste Cagnasso
36
IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
A Short Summary of Chapter 11 of the United States Bankruptcy Code
by Charles G. Case II
42
SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE
68
SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO
71
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2010
4
SOMMARIO
STUDI E OPINIONI
La società di persone: quale futuro?
di Gastone Cottino
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
Le società a partecipazione pubblica: spunti di riflessione
La relazione offre un approfondito panorama dell’evoluzione della disciplina della
società a partecipazione pubblica e dei principali nodi interpretativi e applicativi di
essa.
di Paolo Montalenti
Le società a partecipazione pubblica, oggi
Individuate le varie tipologie di società a partecipazione pubblica, si passano in
rassegna critica alcune recenti novità legislative e si mettono in luce i pericoli insiti
nella teoria delle “società travestite da ente pubblico”.
di Carlo Ibba
La s.r.l. a partecipazione pubblica
Il saggio esamina le opportunità e i rischi derivanti dall’adozione del tipo s.r.l. da
parte di società a partecipazione pubblica.
di Oreste Cagnasso
La responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica
secondo una recente e innovativa sentenza della Cassazione
L’Autore commenta la recente sentenza della Cassazione n. 26806, 19 dicembre 2009,
che ha ridefinito l’area di applicazione della responsabilità amministrativa - contabile
dei componenti degli organi sociali delle società a partecipazione pubblica.
di Oreste Cagnasso
IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
Un breve riassunto del Chapter 11 del Codice Fallimentare degli Stati Uniti
L’articolo illustra il Chapter 11 del Codice degli Stati Uniti, nell'ambito della riforma
globale del diritto fallimentare statunitense del 1978. Il Chapter 11 è stato progettato
nella prospettiva di garantire una procedura flessibile, adattabile al cambiamento
delle realtà economiche.
di Charles G. Case II
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2010
5
INDEX-ABSTRACT
Page
STUDIES AND OPINIONS
Partnership: which future?
by Gastone Cottino
7
PUBLIC ADMINISTRATION AND ENTERPRISES
State-owned companies and local authorities: opportunities for reflection
The report provides a detailed overview of the evolution of the State-owned
companies and local authorities discipline, major interpretative problems and
the application of the aforesaid discipline.
by Paolo Montalenti
10
State-owned companies and local authorities, today
Once identified the various types of State-owned companies and local
authorities, some recent legislative news are critically expounded and
highlighted the dangers inherent in the theory of "society disguised as a public
body."
by Carlo Ibba
18
The s.r.l. with public sharing
The paper examines opportunities and risks arising from the adoption of
Limited liability company model by State-owned companies and local
authorities.
by Oreste Cagnasso
31
Liability of the companies’ with public participation directors according to
a recent and innovative judgment of the Supreme Court
The Author commented on the recent Supreme Court which redefined the area of
application of administrative - accounting responsibility for members of
governing bodies of State-owned companies and local authorities.
by Oreste Cagnasso
THE NEW BANKRUPTCY LAW
A Short Summary of Chapter 11 of the United States Bankruptcy Code
The paper illustrates Chapter 11 of Title 11 of the United States Code, part of
the comprehensive reform of American bankruptcy law in 1978. Chapter 11 was
designed to be a flexible procedure that could be adapted to such changing
economic realities and, as the Author explains, it has proven to be so.
by Charles G. Case II
36
42
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STUDI E OPINIONI
LA SOCIETA’ DI PERSONE: QUALE
FUTURO?*
di GASTONE COTTINO
Il titolo di questa nota chiude con un interrogativo che potrebbe suonare retorico:
e anche ambiziosamente “eccessivo”, se da esso si attendesse una risposta esauriente e
globale ai problemi di un universo societario che, pur nell’abito un po’ stinto, e un po’
stretto, cucitogli addosso dal codice civile del 1942, gode (ben lo si vede dai dati
statistici) di ottima salute e di inalterata vitalità; non abbisognevole quindi, almeno a
prima vista, né di cure Voronoff, né di un intervento organico di riforma. E il cui
futuro, di società calate, da un lato, in una storia plurisecolare che ha visto nei loro
prototipi medioevali – compagnia e accomandita – le matrici e le madri delle società
moderna, dall’altro, in un’economia tuttora caratterizzata da un fitto reticolo piccolo –
medio imprenditoriale a composizione ristretta e famigliare, e ad alto tasso di
partecipazione personale, non appare facilmente imprigionabile entro formule
prefabbricate. Non, in altri termini, riprendendo una pungente battuta di Lorenzo Mossa,
essere (ri)disegnata a tavolino.
E’ questo un profilo critico che chi scrive ha già sollevato in altra occasione a
fronte di certe troppo astrattamente rigide pretese di “fare” della srl l’esatta interfaccia,
in chiave capitalistica, della collettiva e, in questa chiave, “l’altro” modello di piccola e
media società commerciali: salvo poi dover confrontarsi con la realtà e, sciolte le briglie
all’autonomia contrattuale, attestarsi su una figura altalenante (anche un po’
pericolosamente) tra la società per azioni più o meno lievemente modificata e la società
(sostanzialmente) personale a responsabilità limitata e dalle più o meno creative
variabili.
Ciò non toglie la validità all’interrogativo iniziale. Ma in certo senso lo
ridimensiona: sollevando, in modo forse più stringente, la questione, reale e
stringentemente ineludibile, di che fare dinanzi al bouleversement provocato, entro e
oltre il quadro della società di capitali, dai processi riformatori del 2003 e dagli
aggiustamenti successivi.
*
Il presente scritto costituisce il saggio di chiusura di un insieme di articoli, di prossima
pubblicazione nella parte Quarta di Giurisprudenza Italiana, sul tema: “Le società di persone
alla luce della riforma delle società di capitali”.
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STUDI E OPINIONI
SOCIETÀ DI PERSONE: QUALE FUTURO?
Il materiale attentamente raccolto ed esplorato dai saggi che compaiono nel
fascicolo offre, sotto questo aspetto, utili spunti per la riflessione: che sintetizzeremmo,
a un primo approccio, in due ordini di considerazioni.
La prima, che la riforma societaria ha avuto sulla disciplina delle società di
persone almeno due ricadute: di carattere normativo l’una, con l’estensione a esse della
regola maggioritaria nelle delibere di operazioni straordinarie, e con la porta aperta attraverso peraltro un incauto generalizzato riconoscimento di tale partecipazione, come
ben confermano i dubbi e problemi che essa sta suscitando - alla partecipazione di
società di capitali a società di persone (e conseguente obbligo di redazione dei bilanci
secondo lo schema azionario); di carattere interpretativo l’altra, per i possibili rimbalzi
su queste ultime, per via analogica o per recepimento statutario, anche usando il
grimaldello dell’art. 2361, di parte cospicua del bagaglio di innovazioni – e di
deregulation – che, sul piano della governance e delle modalità di espressione della
volontà dei soci, la riforma ha portato con sé.
La seconda, che dall’irruzione nei più “immoti” e tradizionalmente segnati
recinti delle società di persone di un diritto quale quello della società di capitali
profondamente segnato invece dai mutamenti, dalle crisi e dai travagli, anche di ordine
ideologico, dell’economia possono certamente derivare elementi di razionalizzazione
della disciplina. Utili a dirimere questioni controverse o controvertibili e a colmare
vuoti di diritto (sulle modalità di formazione delle decisioni e di interpello dei soci e sul
contenuto dei doveri gestori degli amministratori e sulla loro responsabilità), nonché a
fornire suggestioni sia all’elaborazione statutaria (ma non è novità di oggi: si pensi a
eventuali modulazioni collegiali delle decisioni), sia, a futura memoria, al legislatore. E
in quest’ultimo caso, tuttavia, in un delicato equilibrio tra le spinte all’innovazione e
l’esigenza di non sfigurare un istituto che si è sempre caratterizzato per connotati di
semplicità, semplificazione, refrattarietà ad unificazioni corporative.
Si diceva in apertura che le società di persone godono di un alto indice di
gradimento, pari almeno, stando ai numeri, a quello delle società di capitali. Ma questo
gradimento ha un senso, e la sua stessa ragion d’essere, se resti legato a quel
contraccettivo della responsabilità illimitata che è costituito appunto dall’elementarità e
maneggevolezza della struttura e, specularmente, dalla stretta inerenza, almeno
potenziale, dei soci alla gestione: insomma dal garantismo – così lo chiameremmo – che
le governa. Il che, come chi scrive ha più volte rilevato, può anche presentare aspetti
critici per i giuochi, al limite i ricatti, che operazioni riservate o veti incrociati
potrebbero innescare in caso di dissidi. Ma rappresenta pur esso un prezzo da pagare per
l’adozione del modello e per la sua fortunata e diffusa applicazione; laddove ogni
attentato ai tratti fisionomici essenziali dello strumento – a quel suo felice mix di minimi
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STUDI E OPINIONI
SOCIETÀ DI PERSONE: QUALE FUTURO?
elementi base e di ragionevole manipolabilità statutaria – potrebbe renderlo meno
appetibile.
Con questi dati, e con una storia, una prassi e scelte operative non indirizzabili
a priori crediamo che de lege ferenda si debbano fare i conti: e che anche muovendo
dagli apprezzabili progetti Di Sabato e Rovelli una certa “secchezza” e “sobrietà” si
impongano.
Su un intervento più drastico si potrebbe comunque sin da ora convenire, e cioè
sulla soppressione della società semplice.
La proposta si trova nel progetto della Commissione Rovelli, ma era già stata
motivamente avanzata dallo scrivente in un saggio apparso nel 1994, per i tipi di
Giuffré, negli studi in onore di Rodolfo Sacco.
Perché, ci si chiedeva, non sopprimere una società spuria e nata dal caso
cancellando il paradosso (e il pasticcio del codice civile del 1942) che si fosse introdotto
“un nuovo tipo sociale le cui ragioni essenziali di esistere stavano non tanto nel regolare
la vita di società corrispondenti al tipo enunciato quanto di offrire la disciplina quadro
ad altri schemi societari?”
Con il non lodevole risultato di elaborare un’articolata disciplina sottoutilizzata
in quanto tale o utilizzata per fini impropri quali la copertura – a mo’ di piccolo ma
efficace scudo fiscale ante litteram – di comunioni (ed affari) immobiliari o di beni di
lusso; e di riservare ai tipi “reali”, la collettiva e l’accomandita, scampoli di
regolamentazione costringendo l’interprete, notava argutamente anni or sono Gerardo
Santini, a districarsi entro un intreccio di richiami tra norme base e norme particolari,
per costruirvi una sosta di artistico, ma scomodo, collage.
E perché allora, ultimo non retorico interrogativo, non fare della collettiva, in
armonia con la sua genesi, la sua funzione, il suo ruolo dominante, quasi monopolistico,
nell’ambito delle società di persone, il perno della disciplina: di cui siano se mai
alternative le accomandite semplici e (eventuali) variabili, per singoli più elementari e
meno rigidi aspetti di essa, le collettive e le accomandite che non abbiano oggetto
commerciale?
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
(A CURA DI MARCO CASAVECCHIA)
LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE
PUBBLICA:
SPUNTI DI RIFLESSIONE *
La relazione offre un approfondito panorama dell’evoluzione della disciplina
della società a partecipazione pubblica e dei principali nodi interpretativi e applicativi
di essa.
di PAOLO MONTALENTI
1. Il tema, di per sé già amplissimo, della società a partecipazione pubblica, si
inserisce nel più ampio quadro – tipico di ogni ordinamento capitalistico – del rapporto
tra pubblico e privato, o, se si vuole, tra Stato e impresa e tra Stato e mercato.
La ricognizione storico-giuridica è, particolarmente in questa materia, utile per
rintracciare paradigmi e linee direttrici che sovente sono offuscati dalla contingenza
dell’attualità. Testimonianza diretta di questo assunto si trae dalle drammatiche vicende
in cui si è articolata la crisi finanziaria: a tacer d’altro quanto mai diversificato nelle
finalità e nelle tecniche è stato l’intervento dello Stato nel “salvataggio” del sistema
bancario; incerto il richiamo alla crisi del 1929 che vede autorità ed esperti divisi tra chi,
come Zingales, paventa il ritorno di politiche interventistiche e chi, come il premio
Nobel Paul Kruger, mette in guardia dal rischio recessivo dell’interruzione degli
incentivi pubblici alla produzione.
2. L’ordinamento italiano vede la sua storia scandirsi in epoche che – con
l’approssimazione di ogni partizione – possono individuarsi in quattro grandi periodi.
Negli anni trenta l’intervento pubblico fu strumento di salvataggio del sistema
delle imprese private e del sistema bancario che deteneva significative partecipazioni di
controllo nelle principali società quotate, da cui derivò l’effetto “domino” di
propagazione della crisi borsistica.
*
Intervento tenuto al Convegno su “Le società a partecipazione pubblica: novità e prospettive”
il 23 settembre 2009 presso la Fondazione Fulvio Croce di Torino.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
LA DISCIPLINA DELLE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
La formula IRI, punto di incontro tra pubblico e privato, nella quale lo Stato
imprenditore ricorreva allo strumento privatistico della società azionaria, costituì un
punto di riferimento per molti ordinamenti europei.
Negli anni sessanta il sistema delle partecipazioni statali si affina come
strumento di supporto e integrazione, in particolare nei settori di base, dell’economia
privata e come veicolo di programmazione.
L’istituzione del Ministero delle Partecipazioni Statali struttura l’istanza di
promanazione dell’interesse pubblico; l’imposizione dei criteri di economicità sottopone
l’intervento pubblico alle regole del mercato; la costruzione dell’interesse sociale (nella
società azionaria a partecipazione statale) come risultante della compenetrazione nello
schermo lucrativo del pubblico interesse auspica la riconduzione a logica di efficienza
del sistema.
La storia smentirà il progetto, costituzionale, politico economico, teoricoricostruttivo: la degenerazione politico-lobbistica, la deriva corporativa, avallata anche
dalle organizzazioni sindacali, la deviazione da ogni criterio di efficienza gestionale o
anche soltanto di equilibrio economico-finanziario, ne segneranno irrimediabilmente
l’insuccesso.
L’epoca delle privatizzazioni – negli anni novanta – ne fu conseguenza
necessitata, ma le cause economiche si uniscono ad un più serio, e progressivo,
inserimento dell’ordinamento italiano nell’ordinamento comunitario, che muove dal
riconoscimento, nel 1984, da parte della nostra Corte Costituzionale, del primato del
diritto comunitario, alla introduzione della legislazione Antitrust, alla giurisprudenza,
anche interna, in materia di aiuti di Stato.
L’oggi è il momento dell’incertezza: le risposte nazionali alla crisi finanziaria
hanno messo in discussione i postulati fondamentali – dal divieto di aiuti di stato al
principio di neutralità dei regolatori rispetto al contenuto degli strumenti finanziari –
senza che una risposta organica, internazionalmente coordinata e ragionevolmente
omogenea sia stata ancora individuata. Di là dai provvedimenti di emergenza i problemi
di fondo (conflitto di interessi, regole di bilancio, ruolo delle agenzie di rating, controllo
sulle emissioni, riassorbimento dei cd. titoli tossici e così via) si annidano ancora,
pericolosamente, nelle pieghe del sistema.
3. In questo quadro si colloca la disciplina o meglio si innestano i frammenti di
disciplina, ancora in cerca di una razionalizzazione sistematica, della partecipazione
pubblica nelle società di capitali.
Mi limito ad alcune considerazioni di carattere generale. Anzitutto si deve
osservare che non esiste una categoria unitaria di società a partecipazione pubblica,
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
LA DISCIPLINA DELLE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
dovendosi invece riconoscere l’esistenza di tipologie differenziate di società pubbliche
regolate da differenziate discipline.
Inoltre, e paradossalmente, è vero che la privatizzazione del sistema delle
partecipazioni statali ha “liberato”, consegnandola al mercato, all’incirca la metà del
sistema economico italiano, ma è vero anche, per converso, che il ricorso alla società
azionaria pubblica (di diritto comune e di diritto speciale) – categoria qui impiegata
come generico strumento espressivo del fenomeno – non è diminuito ma è, anzi,
aumentato.
E la frammentazione regolatoria che caratterizza la materia non ha neppure
trovato teorica razionalizzazione aperto essendo, ancora oggi, il dibattito sulla “natura
della società pubblica”. La partizione vede, essenzialmente, divisi gli interpreti tra
amministrativisti e privatisti, orientati, i primi, a riconoscere nella società azionaria uno
strumento neutro piegato alle pubbliche finalità, propensi, i secondi, a riaffermare il
primato del diritto societario a cui l’interesse pubblico deve inchinarsi.
Non è certo compito di queste note tentare anche soltanto un percorso
ricognitivo del problema.
Mi limito – in funzione di esempio – ad una rassegna di alcune novità legislative
dell’ultimo periodo, registrate in questo settore, che sottolineano, a mio avviso, quanto
sia necessaria un’opera di razionalizzazione sistematica, forse da parte degli interpreti
prima ancora che del legislatore.
4. Viene anzitutto in considerazione il “diritto di accesso dei consiglieri
comunali e provinciali” riconosciuto dall’art. 43, comma 2° del T.U.E.L., così come
dettato dal d.lgs 18 agosto 2000, n. 267. La norma riconosce ai consiglieri il «diritto di
ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro
aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili
all’espletamento del proprio mandato», precisandosi che «essi sono tenuti al segreto»
ma soltanto «nei casi specificamente determinati dalla legge».
Di là dalla difficoltà in concreto di veder rispettata quest’ultima disposizione,
immediato emerge il conflitto tra “pubblico e privato”. Il Consiglio di Stato (Cons.
Stato, 20 ottobre 2005, n. 5879, Gerosa c. Comune di Alzate Brianza e cfr. Cons. Stato,
sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5264) ha dato della norma interpretazione estensiva,
definendo il diritto come «un non condizionato diritto di accesso....» senza «alcuna
limitazione derivante dalla loro natura riservata», ma il diritto deve comunque
soggiacere alle disciplina, restrittiva, imposta del diritto societario che esclude non solo
il diritto di accesso dell’azionista ma anche il diritto di accesso diretto dagli
amministratori (arg. ex art. 2381, 6° co.).
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
LA DISCIPLINA DELLE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
I consiglieri comunali e provinciali potranno, dunque richiedere (e ottenere)
informazioni dai legali rappresentanti dell’azienda o dell’ente.
Quanto ai soggetti destinatari della norma ritengo che alle aziende e agli enti
dipendenti possano essere equiparate le società in house, ma debbono invece escludersi
dalla nozione le società a partecipazione pubblica, anche se con maggioranza di diritto.
A maggior ragione qualora si tratti di società quotata.
Ma la soluzione non è del tutto pacifica, registrandosi decisioni che paiono
orientate per una lettura estensiva (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 9.12.2004, n. 7900).
5. Il diritto comunitario modifica il diritto societario interno anche sotto il profilo
del rapporto pubblico/privato.
In questo ambito è stato modificato – dell’art. 13, L. 25 febbraio 2008, n. 34 –
l’art. 2449 cod. civ. che disciplina i diritti di nomina degli organi sociali nelle società
con partecipazione dello Stato o di enti pubblici.
In primo luogo la disciplina speciale viene circoscritta alle società che non fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio: correttamente le società che si rivolgono al
pubblico risparmio sono assoggettate totalmente al diritto comune. Inoltre – sempre
nella prospettiva della restrizione delle disposizioni in deroga, – la facoltà statutaria di
nominare amministratori, sindaci, consiglieri di sorveglianza da parte del soggetto
pubblico deve essere proporzionale alla partecipazione al capitale sociale.
Alle società che fanno ricorso al capitale di rischio è consentita l’emissione di
strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o amministrativi – ai sensi del sesto
comma dell’art. 2346 – nonché la possibilità di incorporare i diritti statutari
amministrativi a favore del soggetto pubblico in una particolare categoria di azioni
I diritti di nomina «anche in mancanza di partecipazione azionaria», previsti
dall’art. 2450 sono stati soppressi con l’abrogazione dell’intera disposizione ad opera
dell’art. 3.1 d.l. 15 febbraio 2007, n. 10 convertito in L. 6 aprile 2007, n. 46.
Dobbiamo ancora ricordare una disposizione introdotta in materia di
responsabilità degli amministratori di società quotate da amministrazioni pubbliche, che
può definirsi una soluzione compromissoria tra l’assoggettamento del soggetto pubblico
alle regole privatistiche e il retaggio di prerogative pubblicistiche.
L’art. 16-bis della L. 28 febbraio 2008, n. 31 ha stabilito che «per le società con
azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato
o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le
loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle
norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alle
giurisdizione del giudice ordinario» ad eccezione dei giudizi in corso.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
LA DISCIPLINA DELLE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
Dal che parrebbe desumersi che per le società controllate di diritto (e loro
controllate) si applichi la disciplina della responsabilità contabile e la giurisdizione della
Corte dei conti: soluzione discutibile perché presume una connotazione pubblicistica
nelle società a partecipazione maggioritaria pubblica di cui si stenta a trovare
fondamento dal momento che la partecipazione qualificata non consente comunque
alcuna deviazione dall’ordinamento societario e dei mercati. (Ma vedi ora, esattamente,
Cass., SS.UU., n. 26806, 19 dicembre 2009).
Ed ancora: forse che dal riferimento espresso al diritto civile per le società a
partecipazione pubblica inferiore al cinquanta per cento deve evincersi che per le società
con partecipazione superiore a tale soglia debba, o possa, applicarsi il diritto
amministrativo? Credo che tale abnorme conclusione, in assenza di norme espresse,
debba sicuramente respingersi, perché in contrasto con il divieto di interpretazione
analogica di norme eccezionali.
6. La scure comunitaria si è abbattuta anche sulla golden share, più precisamente
sui poteri speciali attribuiti alle società che, controllate direttamente o indirettamente
dallo stato e operanti nei settori dei servizi pubblici essenziali, siamo state privatizzate.
Come è noto, in sede di privatizzazioni, l’art. 2, comma 1°, d. l. 31 maggio n.
332, convertito in L. 30 luglio 1994, n. 474, poi modificato dalla L. 24 dicembre 2003,
n. 350, ha stabilito che le società privatizzate operanti nel settore della difesa, dei
trasporti, delle telecomunicazioni, dell’energia e degli altri pubblici servizi, devono
introdurre apposita clausola statutaria che attribuisca al ministro dell’economia e delle
finanze uno o più dei c.d. poteri speciali.
I poteri speciali sono espressamente individuati: opposizione all’assunzione di
partecipazioni rilevanti pari almeno al cinque per cento o a minor soglia fissata dal
ministro; opposizione a patti parasociali tra azionisti con partecipazione superiore alla
soglia, opposizione a delibere straordinarie (scioglimento, fusione, scissione ecc.);
nomina di un amministratore senza diritto di voto.
L’art. 4, comma 320 della legge finanziaria n. 350/2003 ha poi affidato ad un
decreto del presidente del consiglio dei ministri l’individuazione dei criteri di esercizio
dei poteri speciali.
Il decreto del 2004 ha stabilito che i poteri speciali possono essere esercitati
«esclusivamente ove ricorrano rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale, in
particolare con riferimento all’ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, alla sanità
pubblica e alla difesa, in forma e misura idonee e promozionali alla tutela di detti
interessi, anche mediante l’eventuale previsione di opportuni limiti temporali, fermo
restando il rispetto dei principi dell’ordinamento interno e comunitario, e tra questi in
primo luogo del principio di non discriminazione».
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
LA DISCIPLINA DELLE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
I poteri speciali di cui alle lettere a), b), c), dell’art. 2, comma 1° sono esercitati
in relazione al verificarsi delle seguenti circostanze:
«a) grave ed effettivo pericolo di una carenza di approvvigionamento nazionale
minimo di prodotti petroliferi ed energetici, nonché di erogazione dei servizi connessi e
conseguenti e, in generale, di materie prime e di beni essenziali alla collettività, nonché
di un livello minimo di servizi di telecomunicazione e di trasporto;
b) grave ed effettivo pericolo in merito alla continuità di svolgimento degli
obblighi verso la collettività nell’ambito dell’esercizio di un servizio pubblico, nonché
al perseguimento della missione affidata alla società nel campo delle finalità di interesse
pubblico;
c) grave ed effettivo pericolo per la sicurezza degli impianti e delle reti nei
pubblici servizi essenziali;
d) grave ed effettivo pericolo per la difesa nazionale, la sicurezza militare,
l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica;
e) emergenze sanitarie».
La Corte di Giustizia – CG CEE 26 marzo 2009, Causa C-326/07 – ha ritenuto
che i criteri stabiliti dalla normativa italiana siano in contrasto con l’art. 56 del Trattato
che garantisce la libera circolazione dei capitali. I criteri sono stati infatti considerati
generici, imprecisi, svincolati da circostanze specifiche ed obiettive, privi di
collegamento causale con gli eventi di rischio e attributivi di un potere discrezionale
sproporzionato e pertanto la Repubblica Italiana è stata condannata per violazione degli
obblighi ad essa incombenti in forza degli art. 43 Ce e 56 Ce.
7. L’adeguamento del diritto interno al diritto comunitario ha condotto
all’analitica disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. L’art. 23 bis,
d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. in L. 6 agosto 2008, n. 133 ha dettato i principi
generali a cui la gestione deve informarsi (concorrenza, libertà di stabilimento, libera
prestazione) al fine di assicurare un adeguato livello di tutela degli utenti secondo i
principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Sono imposte le
procedure di evidenza pubblica, si statuisce il rispetto della disciplina comunitaria anche
quando non sia possibile l’affidamento ordinario con ricorso al mercato.
Si detta poi una analitica disciplina – per regolare il regime transitorio e – con
rinvio ad emananda normativa secondaria – per adeguare la gestione dei servizi pubblici
locali alle regole comunitarie.
La disciplina è stata recentemente riformata dall’art. 15 d.l. 9 settembre 2009,
conv. in L. n. 166 del 20/11/2009. L’affidamento un via ordinaria è ora previsto anche a
favore di «società a partecipazione mista pubblica e privata a condizione che la
selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel
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LA DISCIPLINA DELLE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
rispetto dei principi cui alla lettera a) le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la
qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del
servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40%».
Si è poi precisato che l’affidamento fuori mercato può avvenire soltanto a forza
di «società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’Ente Locale, che abbia i
requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta in house e,
comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo
analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti
pubblici che la controllano»
Viene modificato altresì del regime transitorio.
8. Se da un lato l’adeguamento al diritto comunitario segue, come si è visto,
un’evoluzione significativa verso la parità delle regole, per altri versi il diritto singolare
per esigenze “pubbliche”, che è assai discutibile possano definirsi di interesse generale,
è riaffiorato prepotentemente.
Paradigmatica la normativa Alitalia.
In tema di responsabilità degli amministratori, l’art. 3, comma 1°, D.L. 28 agosto
2008, n. 134, non modificato dalla legge di conversione (L. 27 ottobre 2008, n. 166)
pone a carico esclusivo delle società del gruppo Alitalia qualsiasi fatto di
amministratori, sindaci e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili posto
in essere per garantire la “continuità aziendale”, in considerazione dell’“eminente
interesse pubblico” e negli stessi limiti è esclusa la responsabilità amministrativa e
contabile dei citati soggetti.
La limitazione è temporanea: ma vi è da domandarsi quale vaglio di
costituzionalità potrà mai superare una norma siffatta!
Ma il legislatore ha inciso in misura ancor più significativa sul diritto societario
dei gruppi.
L’art. 19 comma 6° del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, conv. in L. n. 102 del 03 agosto
2009 (senza modifiche) ha stabilito che «l’art. 2497, primo comma del codice civile, si
interpreta in senso che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo
Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività
imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria».
Nell’immediato vigore della nuova disciplina ebbi a sostenere che l’attività di
direzione e coordinamento ben poteva imputarsi ad enti pubblici e quindi anche allo
Stato, non potendosi qualificare la direzione unitaria necessariamente come attività
d’impresa (comunque predicabile anche al soggetto pubblico) e mancando esplicite
esclusioni soggettive. Al più il soggetto pubblico può andare esente da responsabilità
ove dimostri di aver agito non per fini imprenditoriali propri o altrui, superando la
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LA DISCIPLINA DELLE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
soglia della corretta gestione per fini invece istituzionali (nei limiti del diritto
comunitario e costituzionale).
L’interprete deve prendere atto della norma di interpretazione autentica voluta
dal legislatore. Ma non può esimersi dal sollevare il dubbio se essa si applichi soltanto
allo Stato centrale e non invece allo «Stato organizzazione» e cioè agli enti pubblici
locali (Comuni, Province, Regioni). La soluzione restrittiva pare più convincente
dovendosi allora concludere che gli enti pubblici territoriali possono essere soggetti di
imputazione dell’attività di direzione e coordinamento e delle eventuali conseguenti
responsabilità.
Ma che il dubbio emerga da una norma di interpretazione autentica è, quanto
meno, curioso. Del resto la precisione non è il maggior merito del nostro legislatore: il
monito di Francesco Bacone – de prima dignitate legum ut certae sint 1 – è, purtroppo,
spesso disatteso.
1
F. BACONE, Le leggi delle leggi ossia saggio sui fonti del diritto universale, con traduzione e
commenti di Francesco Arrò da Favria, ed. Vedova Ghiringhello e comp., Torino, 1824, p. 56.
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(A CURA DI MARCO CASAVECCHIA)
LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE
PUBBLICA, OGGI∗
Individuate le varie tipologie di società a partecipazione pubblica, si passano in
rassegna critica alcune recenti novità legislative e si mettono in luce i pericoli insiti
nella teoria delle “società travestite da ente pubblico”.
di CARLO IBBA
1. In materia di società a partecipazione pubblica, le novità – per stare al titolo
della nostra Tavola rotonda – sono sempre molte, sicuramente troppe, di solito non ponderate e non coordinate fra loro.
Ricordo che già negli anni ’90 ci fu un articolo provocatoriamente intitolato (vado a memoria ma credo di non sbagliare) “Le società a partecipazione pubblica: saggio
di diritto provvisorio”; ma ora, a distanza di vent’anni, è ancor più evidente la sensazione di provvisorietà e di precarietà che si coglie nella tumultuosa legislazione del settore.
E certamente se la nostra tavola rotonda si fosse svolta in quegli anni il nostro compito
sarebbe stato molto più semplice.
Allora, a seguito del famoso art. 22, lett. e, della legge 142/1990, ci si interrogava fondamentalmente sulla possibilità di affidare senza gara l’espletamento di un determinato servizio pubblico locale a una società partecipata dall’ente locale affidante, nonché sulla necessità o meno di una gara per la scelta dei soci privati. Sullo sfondo restava
poi la vecchia discussione sul rapporto fra interesse sociale e interesse pubblico, ovvero
fra lo scopo lucrativo tipico degli enti societari e le finalità pubbliche proprie dei soci, o
di alcuni soci, delle società a partecipazione pubblica (discussione nella quale
s’inserivano alcuni sotto-problemi, fra cui quello della natura, negoziale o provvedimentale, degli atti di nomina e revoca degli amministratori da parte dell’ente pubblico).
Successivamente, però, il quadro ha iniziato a cambiare e a farsi più articolato, e
il cambiamento ha avuto un’accelerazione esponenziale, direi, nell’ultimo quindicennio.
Con le privatizzazioni il fenomeno delle società pubbliche si è enormemente esteso
(sembra un paradosso ma non lo è): a livello statale, sia perché le privatizzazioni spesso
sono state solo formali, sia perché si sono moltiplicati i provvedimenti legislativi istitutivi di singole società con soci e scopi pubblici; e a livello locale, perché le nostre am∗
Intervento al Convegno su “Le società a partecipazione pubblica: novità e prospettive” tenutosi il 23 settembre 2009 presso la Fondazione Fulvio Croce di Torino.
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LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
ministrazioni pubbliche si sono accorte che con le società si possono fare tante cose (una delle quali è distribuire gettoni di presenza nei consigli di amministrazione). Il fenomeno, quindi, si è esteso e la materia si è fatta sempre più intricata, come sempre più intricata si è fatta la sua disciplina.
Qui francamente non saprei dire quale sia la causa e quale la conseguenza: se,
cioè, sia la complessità della materia che genera una disciplina complicata o la legislazione scadente che aggroviglia la materia… Certo, ultimamente, quest’ultimo aspetto è
particolarmente evidente. Basti dire che questa estate il legislatore è giunto a sostituire
con decreto legge un enunciato normativo senza accorgersi di averlo già sostituito con
legge una decina di giorni prima, col risultato di “prorogare” al 30 settembre 2009 un
termine che era stato appena prorogato al 31 dicembre 2010! 1
Insomma, abbiamo a che fare con una legislazione a dir poco disordinata e contraddittoria, alla quale è davvero difficile attribuire significati congrui; ma ancora più
difficile, in relazione almeno ad alcune fattispecie, è capire come conciliare diritto societario e diritto pubblico, e quale dei due debba prevalere in caso di conflitto.
Su questo punto tornerò più avanti. Per ora dico solo che le difficoltà, secondo
me, sono accresciute da una circostanza in parte oggettiva e in parte soggettiva: ossia
dal fatto che si tratta di una materia “di confine” fra diverse discipline, mentre chi la
studia appartiene all’una o all’altra di esse, per cui sia i privatisti, sia gli amministrativisti la percepiscono da un angolo visuale per forza di cose parziale, o quanto meno si accostano al tema con un bagaglio di conoscenze già orientato in una certa direzione, il
che fatalmente attiva meccanismi di precomprensione che condizionano l’esito del lavoro interpretativo.
Faccio un esempio. Fra i pubblicisti è assai diffusa l’idea che le società di cui
parliamo siano in realtà degli “enti pubblici travestiti da società”, soluzione che nella
sua semplicità pare risolutiva di ogni problema, perché permette di applicare il diritto
pubblico ogni volta che serve; quasi tutti i privatisti, invece, negano risolutamente la
fondatezza di quell’idea per lo “stravolgimento” del diritto societario che deriverebbe.
Probabilmente è così perché, estremizzando un po’ le cose, di quella soluzione i pubblicisti percepiscono solo i benefici e i privatisti solo i costi, mentre bisognerebbe mettersi
in condizione di considerare e comparare gli uni e gli altri. In questa materia, dunque, il
dialogo fra studiosi del diritto amministrativo e studiosi del diritto commerciale è quanto mai necessario.
1
Si tratta del termine per le dismissioni delle partecipazioni non consentite ai sensi dell’art. 3,
co. 27 ss., l. 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria per il 2008; e v. l’art. 71, co. 1, lett. c, l.
18 giugno 2009 n. 69; e l’art. 19, co. 2, lett. b, d.l. 1° luglio 2009 n. 78, poi abrogato in sede di
conversione).
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2. E, in effetti, almeno ultimamente questo dialogo, per troppo tempo trascurato,
è cominciato; tanto che almeno su un punto mi pare stia iniziando a registrarsi una
sostanziale concordanza di vedute. Si concorda oggi – ed è giusto concordare – sul fatto
che non esiste una categoria unitaria alla quale ricondurre tutte le società a partecipazione pubblica; esistono invece svariate tipologie di società pubbliche 2, destinatarie di
discipline fra loro diversificate.
Ne deriva che non è più sufficiente rifarsi alla bipartizione fra società a partecipazione pubblica di diritto comune e società a partecipazione pubblica di diritto speciale. E questo sia che s’includano nella seconda categoria solo le fattispecie societarie con
scopo difforme dalla finalità lucrativa codicistica, che la legge sacrifica a beneficio di
finalità di carattere pubblicistico 3; sia che si riscontri la specialità anche in altri profili,
attinenti non alla causa ma alla struttura organizzativa della società 4.
Così pure, non sarò io a negare l’utilità conoscitiva della categoria delle società a
partecipazione pubblica di fonte legale, contrapposta a quelle di fonte contrattuale o
comunque negoziale. Qui anzi devo dire che, per un’intuizione di Giorgio Oppo, io ho
iniziato a occuparmi di società legali (e anche questo nome – che è il titolo della mia
prima monografia – lo si deve a Oppo) molto prima che il fenomeno assumesse le dimensioni di questi ultimi anni; e nel farlo proposi di enucleare una ulteriore categoria,
nella quale ricadono ormai non pochi esemplari di società a partecipazione pubblica:
quella delle società di diritto singolare, regolate, cioè, da leggi-provvedimento, dettate
per una o più singole società, di solito nominativamente individuate; e regolate, naturalmente, in modo più o meno difforme dal diritto comune 5.
Ma, insomma, a farla breve, quelle fin qui descritte sono categorie che mantengono una loro utilità – sempre sul piano conoscitivo e spesso su quello applicativo – ma
non bastano più a cogliere il fenomeno delle società pubbliche in tutta la sua complessità.
2
Espressione, questa, ormai diffusa e che per brevità può adoperarsi, pur nella consapevolezza
della sua ambiguità.
3
Cfr. G. VISENTINI, Partecipazioni pubbliche in società di diritto comune e di diritto speciale,
Milano, 1979, passim; nonché, successivamente, G. MARASÀ, Le “società” senza scopo di lucro, Milano, 1984, specie p. 353 ss.; e M.T. CIRENEI, Le società a partecipazione pubblica, nel
Trattato delle s.p.a. diretto da Colombo e Portale, VIII, Torino,1992, p. 1 ss.
4
Cfr. C. IBBA, Le società “legali”, Torino, 1992, p. 9 ss. e spec. p. 12 s.; ID., Le società a partecipazione pubblica locale fra diritto comune e diritto speciale, in Riv. dir. priv., 1999, p. 22
ss.
5
Cfr. C. IBBA, Le società “legali”, cit., p. 17 ss. e passim; ID., Gli statuti singolari, nel Trattato
delle s.p.a. diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, VIII, cit., p. 523 ss.; ed ora l’analitica trattazione di P. PIZZA, Le società per azioni di diritto singolare tra partecipazioni pubbliche e nuovi
modelli organizzativi, Milano, 2007.
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LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
Questa, infatti, questa deriva oggi da una sempre più nutrita serie di variabili, in
relazione alle quali la disciplina si diversifica e delle quali l’interprete deve perciò, di
volta in volta, tenere conto: la natura degli enti pubblici partecipanti (statali o non, locali o non, territoriali o non, economici o non) l’entità della partecipazione pubblica
(totalitaria, maggioritaria, minoritaria; di controllo o non) e la sua composizione (concentrata in un solo ente pubblico o ripartita fra più soggetti), l’oggetto sociale, le modalità attraverso le quali la società è divenuta affidataria di una determinata attività (modalità che, oltre ad essere esse stesse parte della disciplina, sono poi a loro volta fattispecie di discipline ulteriori) 6.
3. Più tipologie di società pubbliche, dunque, e più discipline, all’interno e al di
fuori del codice civile (e queste ultime rivolte a diverse fattispecie di società pubbliche,
di volta in volta individuate sulla base delle variabili cui ho appena accennato).
3.1. Nel codice civile troviamo sia le poche norme specificamente dettate per le
società a partecipazione pubblica (a) sia, ovviamente, il diritto societario comune, come
tale applicabile anche alle società a partecipazione pubblica (b).
a) Come sappiamo, la disciplina speciale presente nel codice è sempre stata assai
contenuta, ed è rimasta tale anche dopo la riforma societaria del 2003. L'idea di fondo è
sempre stata che l'adozione della forma societaria per lo svolgimento di un'iniziativa economica pubblica implicasse la soggezione pressoché integrale al diritto societario
comune, anzi avesse proprio quel senso e quell'obiettivo.
Ma – fatto che mi sembra ancor più significativo – questa disciplina che per anni
siamo stati abituati a considerare, tutto sommato, abbastanza soft, di recente è stata ritenuta non conforme ai principi del diritto comunitario, tanto che fra il 2007 e il 2008 è
stata in parte smantellata (mi riferisco all’abrogazione dell’art. 2450 c.c. 7) e in parte
attenuata (e qui faccio riferimento alla sorte dell’art. 2449, prima ritenuto in contrasto
con l’art. 56 Trattato CE , in quanto, consentendo allo statuto di attribuire a un soggetto
pubblico un potere di nomina più che proporzionale rispetto alla partecipazione posseduta, tale da scoraggiare gli investimenti degli operatori di altri Stati membri nel capita-
6
Mi riferisco alle società che hanno beneficiato di affidamenti diretti, nel qual caso è loro precluso di operare con terzi e/o di operare extraterritorialmente: cfr.l’art. 13 del c.d. decreto Bersani (d.l. 4 luglio 2006 n. 223, conv. con modifiche dalla l. 4 agosto 2008 n. 248 e poi modificato dall’art. 1, co. 720 l. 27 dicembre 2006 n. 296 [legge finanziaria per il 2007]; nonché l’art.
23-bis l. 6 agosto 2008 n. 133, inserito in sede di conversione del d.l. 25 giugno 2008 n. 112; su
cui v. anche oltre, nota 15).
7
Ad opera dell’art. 3, 1° co. d.l. 15 febbraio 2007 n. 10, convertito in l. 11 aprile 2007 n. 84.
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LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
le di queste società 8; e successivamente riscritto, per renderlo conforme ai principi comunitari).
Secondo il nuovo testo dell’art. 2449, nelle s.p.a. che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (alle quali limito le mie osservazioni) lo statuto può conferire
allo Stato o ad enti pubblici soci la facoltà di nominare “un numero di amministratori e
sindaci, ovvero componenti del consiglio di sorveglianza, proporzionale alla partecipazione al capitale sociale” 9.
Ora, a me sembra innegabile che, in una società a partecipazione pubblica minoritaria, poter nominare un numero di amministratori proporzionale alla partecipazione
equivale ad avere un potere superiore a quello normalmente esercitabile in assemblea
(chi possiede il 20% del capitale di regola non è in grado di nominare il 20% degli amministratori, perché, in assenza di meccanismi proporzionali di voto, li nomina tutti chi
possiede l’80%). Ma, se è così, allora non è detto che il nuovo testo dell’art. 2449 sia in
linea con i precetti comunitari, così come li ha intesi la Corte di Giustizia, perché esso
rende proporzionale rispetto alla partecipazione non il diritto di voto, com’è nel diritto
comune, bensì il diritto di nomina, consentendo al socio pubblico minoritario la nomina
di amministratori che altrimenti sarebbe stata appannaggio dell’assemblea e, quindi, dei
soci di maggioranza.
Faccio un esempio, sempre adottando la logica seguita dalla Corte di Giustizia,
giusta o sbagliata che essa sia. Ipotizziamo che la società in questione oltre al socio
pubblico di cui sopra annoveri due soci privati, rispettivamente titolari del 60% e del
20% del capitale sociale, e che il consiglio di amministrazione sia composto da cinque
membri. In tal caso, in assenza di clausole statutarie in ordine alla nomina i cinque
amministratori sarebbero tutti espressione del socio di maggioranza; in presenza del voto di lista o di altri meccanismi statutari di voto proporzionale potrebbero avere un proprio rappresentante nel consiglio anche i due soci di minoranza; mentre in presenza di
una clausola attuativa dell’art. 2449 quattro amministratori sarebbero eletti dal privato
socio di maggioranza e uno dal socio pubblico, restando invece “a bocca asciutta”, pur
essendo titolare di una partecipazione eguale a quella del socio pubblico, l’altro socio
privato. In questa situazione, è o non è quest’ultimo dissuaso dall’investire in quella società?
Comunque, lasciando retoricamente aperto l’interrogativo, e tornando al punto
da cui ero partito, concluderei dicendo che, se già originariamente l’ordinamento era ispirato all’idea di contenere il più possibile le peculiarità di disciplina delle società par8
Corte Giust. 6 dicembre 2007, in causa C-464/04, in Giur. Comm., II, 2008, p. 576, con nota di
I. DEMURO, L’incompatibilità con il diritto comunitario della nomina diretta ex art. 2449 c.c.
9
Precetto che dovrebbe valere anche in ordine alla nomina di componenti del consiglio di gestione, in caso di adozione del sistema dualistico, nomina anch’essa possibile malgrado la mancata previsione nell’art. 2449: cfr. C. IBBA, Sistema dualistico e società a partecipazione pubblica, in Riv. dir. civ., 2008, I, p. 576 ss.
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LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
tecipate dallo Stato o da enti pubblici, l’evoluzione del sistema or ora tratteggiata va nel
senso della loro pressoché integrale soggezione al diritto (societario) comune.
b) Le società pubbliche, pertanto, sono regolate dalla disciplina propria delle società di capitali (e, più precisamente, da quella della s.p.a. o da quella della s.r.l. a seconda del tipo societario in concreto adottato). Ciò vale anche per l’istituto della responsabilità da direzione e coordinamento codificato all’art. 2497 c.c., a mio avviso certamente applicabile agli enti pubblici 10, com’è del resto confermato dalla recentissima,
sedicente interpretazione autentica 11– volta in realtà a esentare lo Stato da tale responsabilità – in base alla quale, nella norma citata, “per enti si intendono i soggetti giuridici
collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della
propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria”.
3.2. Questo, naturalmente, in assenza di norme speciali integrative o derogatorie
della disciplina comune. Al riguardo, farei due considerazioni di fondo.
La prima è che, grosso modo negli stessi anni in cui la disciplina codicistica sulle società a partecipazione pubblica subiva il ridimensionamento di cui ho dato conto, la
legislazione speciale del settore si è estesa a dismisura, nel tentativo spesso maldestro di
fronteggiare i vari problemi posti dall’espandersi del numero e del campo d’azione delle
società pubbliche.
La seconda è che, fortunatamente, il legislatore non gode di una libertà sconfinata nel confezionare le discipline speciali, dovendo rispettare vincoli di ordine costituzionale e vincoli di ordine comunitario (e mi riferisco sia al diritto comunitario delle società, con le direttive di armonizzazione, sia al diritto comunitario della concorrenza e
del mercato unico).
Detto ciò, se diamo uno sguardo (di più non è possibile fare) a questa disordinata
legislazione di settore, ci troviamo:
a) norme che pongono limiti alla partecipazione a società e obbligano a dismettere le partecipazioni non in regola 12;
b) norme che prevedono limitazioni della libertà d’iniziativa e della capacità negoziale della società ponendo vincoli talvolta procedurali 13, talaltra sostanziali, che
10
Mi permetto di rinviare a C. IBBA, Società pubbliche e riforma del diritto societario, in Riv.
soc., 2005, p. 6 ss.
11
Contenuta nell’art. 19, 6°co., d.l. 1 luglio 2009 n. 78, conv. in l. 3 agosto 2009 n. 102.
12
Cfr. il già cit. art. 3, co. 27 ss., l. 24 dicembre 2007 n. 244, come modificato dall’art. 71, co. 1,
lett. c, l. 69/2009.
13
Art. 18, co. 2 e 3, l. 133/2008.
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LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
precludono o limitano l’esercizio di determinate attività o il compimento di determinati
atti 14;
c) norme che stabiliscono condizioni e procedure per l’affidamento diretto alla
società di “incarichi” pubblici 15; e qui ricorre la nota figura del c.d. controllo analogo,
riguardo alla quale si oscilla fra concezioni che lo assimilano a un rapporto di subordinazione gerarchica ed altre meno rigorose (e forse più consapevoli delle regole del diritto societario);
e infine:
d) norme che compongono una sorta di “statuto”, sia pure variegato e in qualche
misura casuale, degli amministratori (o degli amministratori di nomina pubblica),
all’interno delle quali mi limito a ricordare, oltre alla disciplina della nomina e quella
della revoca da parte di enti pubblici, le norme che limitano la legittimazione ad assumere la carica di amministratore, quelle che prevedono una particolare pubblicità
dell’assunzione della carica, quelle che limitano il numero e il compenso degli amministratori e quelle che, al fine del contenimento della spesa pubblica, sollecitano previsioni statutarie dirette fra l’altro a sopprimere la carica di vicepresidente o a escludere la
sua remunerazione, a limitare la conferibilità e la remunerabilità di deleghe, a escludere
la corresponsione di gettoni di presenza e a limitare la costituzione e la remunerazione
di organi consultivi.
Mi soffermo un po’, invece, sulle pur risalenti norme (contenute nel d.l. 16 maggio 1994 n. 293, conv. con modifiche in l. 15 luglio 1994 n. 444) che, volendo contrastare le numerose e prolungate situazioni di proroga degli organi amministrativi degli
enti pubblici e delle persone giuridiche a prevalente partecipazione pubblica, prevedono drastiche conseguenze in caso di mancato rinnovo alla scadenza. Stabiliscono infatti
che gli organi non rinnovati entro il termine di scadenza possono operare in regime di
prorogatio per non più di quarantacinque giorni e limitatamente agli “atti di ordinaria
amministrazione” e agli “atti urgenti e indifferibili”, sanzionando poi con la nullità sia
14
Penso al divieto di operare extraterritorialmente, esplicitato dall’art. 23-bis della l. 133/2008;
al divieto di svolgere attività con terzi, ossia con soggetti diversi dai propri soci pubblici, sancito
dal già citato art. 13 del decreto Bersani; o a prescrizioni a mio avviso cervellotiche, come quella che vieta di ricorrere a procedure arbitrali per le controversie relative a lavori, forniture e servizi, che si concreta nel divieto di inserire clausole compromissorie e di sottoscrivere compromessi (clausole e compromessi sanzionati con la nullità (art. 3, co. 19 e 20, l. 244/2007) nonché,
per i contratti già perfezionati, nell’obbligo di declinare la competenza arbitrale, nella nullità
delle clausole compromissorie e addirittura nella decadenza dei collegi arbitrali già costituiti
(art. 3, co. 2, l. 244/2007).
15
Come fanno ad esempio, in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, l’art.
113 d. leg. 18 agosto 2000 n. 267 (Tuel); e l’art. 23-bis d.l. 112/2008, conv. con modifiche dalla
l. 133/2008; cui è sopravvenuto, nel momento in cui scrivo, l’art. 15 d.l. 25 settembre 2009 n.
135.
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LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
gli atti compiuti nel termine di prorogatio ma privi dei requisiti indicati, sia tutti gli atti
compiuti oltre il quarantacinquesimo giorno; cosa che provocherebbe una paralisi
dell’attività a mio avviso certamente più grave del permanere in carica degli organi scaduti! Ora, non ho tempo di approfondire troppo 16, ma credo che l’applicazione di questa disciplina a società di capitali a partecipazione pubblica sia da escludere perché in
netto contrasto con i principi della prima direttiva Ce in materia societaria, volta a proteggere gli interessi dei terzi assicurando la massima stabilità degli atti compiuti dagli
organi sociali e l’inopponibilità dei vizi della loro nomina, con tutto quel che ne consegue sul piano applicativo.
Dulcis in fundo la responsabilità degli amministratori, riguardo alla quale abbiamo ora una disciplina esplicita più o meno chiara, ancorché discutibile, e una disciplina implicita tutta da ricostruire. Questo perché l’art. 16-bis l. 28 febbraio 2008 n. 31,
introdotto in sede di conversione del d.l. 31dicembre 2007 n. 248, ha stabilito che nelle
società per azioni quotate con partecipazione pubblica, anche indiretta, inferiore al 50
%, “la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del
codice civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione
del giudice ordinario”; dal che a contrario qualcuno desume che, in tutte le altre società
a partecipazione pubblica, le azioni di responsabilità sono devolute alla giurisdizione
esclusiva della Corte dei conti.
Ho già diverse volte illustrato17 la pericolosità di una soluzione del genere, secondo la quale fra l’altro la reintegrazione del danno arrecato al patrimonio sociale avverrebbe a favore del socio pubblico, che è solo indirettamente danneggiato (per via della diminuzione di valore della partecipazione conseguente al depauperamento del patrimonio sociale), così come lo sono gli altri soci e come lo sono soprattutto e prima di tutto, in caso d’incapienza del patrimonio sociale, i creditori della società. Ecco allora che
tagliar fuori le azioni di responsabilità civilistiche a beneficio di quella erariale (che fra
l’altro ha presupposti e finalità ben diversi da quelli civilistici) equivale in sostanza ad
attribuire al socio pubblico risorse che dovrebbero essere destinate al pagamento dei
creditori sociali, traslando così il rischio d’impresa dal primo ai secondi.
Emblematico mi pare il caso deciso dalla sezione lombarda della Corte dei conti
18 (anche se in un giudizio anteriore all’entrata in vigore del citato art. 16-bis), in cui il
danno era stato subito da due società per azioni il cui socio unico era una società quotata
il cui socio al 30% era il Ministero delle finanze; e la Corte dei conti, dopo aver escluso
che destinatarie del risarcimento potessero essere le due società danneggiate o la società
16
Ho detto qualcosa di più in Sistema dualistico e società a partecipazione pubblica, cit., p. 589
ss.
17
In C. IBBA, Azioni ordinarie di responsabilità e azione di responsabilità amministrativa nelle
società in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, in Riv. dir. civ., 2006, II, p. 145
ss.; e nel già cit. Sistema dualistico e società a partecipazione pubblica, p. 584.
18
Corte conti, sez. Lombardia, 4 marzo 2008 n. 135.
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LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
che le controllava totalitariamente (cito testualmente) “perché in tal modo si favorirebbero [in ultima analisi] anche gli azionisti privati della società da cui esse sono <<controllate>>”, ha individuato il titolare del diritto al risarcimento nel Ministero delle finanze, socio al 30% del socio unico delle società danneggiate; dopo di che ha pensato di
risolvere ogni problema quantificando la misura del risarcimento nel 30% del danno
complessivo, senza accorgersi che così facendo, ossia “tagliando fuori” – per quel 30%
– le società danneggiate, di fatto si sottraevano quelle somme ai creditori sociali!
Da ciò il tentativo di ipotizzare una concorrenza fra responsabilità amministrativa e responsabilità societaria; soluzione 19 che a mio avviso, peraltro, può forse risolvere i problemi di tutela dei soci di minoranza ma certo non dei creditori sociali.
Così stando le cose, non mi pare che il citato art. 16-bis l. 31/2008 chiuda il discorso, determinando la sottrazione al diritto civile e al giudice ordinario delle azioni di
responsabilità relative a tutte le società a partecipazione pubblica non menzionate nella
norma 20, che il silenzio del legislatore avrebbe devoluto al giudice contabile.
Ciò per due ragioni, una delle quali è che prima di argomentare a contrario una
soluzione tanto dirompente sarebbe doveroso delimitarne rigorosamente l’estensione 21.
Da questo punto di vista la rubrica della norma (“Responsabilità degli amministratori di
società quotate partecipate da amministrazioni pubbliche”) può consentire di circoscrivere la sua portata alle sole società quotate (che, se con partecipazione pubblica maggiore o uguale al 50%, sarebbero attratte alla giurisdizione della Corte dei conti).
Nemmeno questa soluzione, tuttavia, appare del tutto soddisfacente, perché non
possono trascurarsi – ed è questa la seconda ragione cui accennavo – i fortissimi dubbi
circa la legittimità e la “tenuta” della norma sul piano del diritto comunitario.
Se viola l’art. 56 Trattato CE la previsione statutaria della nomina pubblica di
alcuni amministratori 22, in quanto idonea a disincentivare eventuali investitori, mi pare
infatti difficile considerare legittima una disciplina della responsabilità così squilibrata a
danno dei soci privati (oltre che dei creditori sociali), tale dunque da scoraggiare ancor
19
Accolta fra l’altro dal lodo arbitrale del 15 luglio 2008 (Arb. unico Cagnasso), che può leggersi in Società, 2008, p. 1170, commentato da V. SALAFIA; nonché da A. ROSSI, La responsabilità degli amministratori delle società “pubbliche”, in Giur. comm., 2009, I, p. 521 ss.
20
Vale a dire tutte le s.p.a. quotate con partecipazione pubblica uguale o superiore al 50%, nonché tutte le s.p.a. non quotate e le s.r.l. in cui anche una sola azione o una quota di valore minimo siano in mano pubblica!
21
Tanto che non manca la proposta di esaurire il significato precettivo della norma in quello risultante dalla sua interpretazione letterale e “in positivo”, escludendo dunque la correttezza di
qualunque argomentazione a contrario (così ancora il lodo arbitrale citato nella nota 19).
22
Cfr. la pronuncia della Corte di giustizia cit. sopra, alla nota 8; nonché Corte Giust. 23 ottobre
2007, in causa C-112/05, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2008, I, p. 383; ed ivi, 2008, I, 1177 ss., il
commento di P. PIZZA, Società per azioni di diritto singolare, diritto comune delle società per
azioni e libera circolazione dei capitali: il caso Volkswagen.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
più i potenziali investitori; e ciò al di fuori di ogni parametro di necessità, adeguatezza,
proporzionalità.
4. Al termine di questa carrellata si prova (la provo io e ancor più, immagino,
l’ascoltatore) una sensazione di grande disorientamento.
Ciò in quanto, scorrendo le variegate discipline applicabili alle società a partecipazione pubblica, abbiamo incontrato da un lato norme volte a portare al massimo grado
la tutela dei creditori e di coloro che contrattano con la società, dall’altro norme, ovvero
orientamenti giurisprudenziali, che sembrano passare sopra ogni più elementare esigenza di tutela delle stesse categorie di soggetti (mi riferisco alla possibile sottrazione
dell’azione di responsabilità al giudice civile e al codice civile, che come abbiamo visto
porrebbe seri problemi di tutela dei soci privati e dei creditori sociali).
Ma non solo. In relazione a queste società gli stessi principi comunitari parrebbero agire in modo schizofrenico, talvolta addirittura in direzioni opposte: da un lato si
censurano norme 23 solo perché permettono agli statuti di attribuire ai soci pubblici poteri più che proporzionali rispetto alla loro partecipazione, dall’altro 24 si esige che il
socio pubblico possa esercitare poteri ben maggiori di quelli ad esso riconoscibili sulla
base del diritto societario (penso al c.d. controllo analogo richiesto per gli affidamenti in
house, che la giurisprudenza talvolta configura come se la società fosse un ufficio interno del Comune o della Provincia e i suoi amministratori dei dipendenti comunali o provinciali).
Per spiegare questa contrapposizione si osserva – ed è un’osservazione in sé
condivisibile – che in realtà le due diverse discipline si rivolgono (o meglio: dovrebbero
rivolgersi) a società profondamente diverse fra loro: società “di mercato” da una parte,
“semi-amministrazioni” dall’altra.
Non a caso un recente documento dell’Assonime sui “Principi di riordino del
quadro giuridico delle società pubbliche” pone con forza il problema di differenziare il
regime delle società a partecipazione pubblica operanti sul mercato da quello dei soggetti che, pur avendo forma societaria, sono di fatto parte della pubblica amministrazione, osservando che, se a questi ultimi è ragionevole applicare i vincoli e i controlli predisposti per le pubbliche amministrazioni, l’applicazione alle prime di regole ulteriori e
derogatorie rispetto a (quelle de)l diritto societario comune può ammettersi solo ove
giustificata da necessità e proporzionalità e per la tutela di un interesse pubblico chiaramente identificato.
23
24
L’art. 2449 c.c., nel suo testo originario.
In materia di controllo analogo.
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LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
Personalmente, condivido questa osservazione 25 ma non la ritengo sufficiente.
Credo infatti che se anche si riuscisse a distinguere con chiarezza le “vere” società dalle
“finte” società, riconducendo integralmente al diritto comune le prime e riservando controlli, vincoli e regimi pubblicistici alle seconde, ossia agli enti pubblici che della società hanno solo la forma, non per questo tutti i problemi potrebbero dirsi risolti.
Resterebbe ancora da risolvere, infatti, un problema, per così di dire, “di etichetta”; problema causato proprio dall’adozione della forma societaria per enti assoggettati
– o che si vorrebbe assoggettati – a regimi non compatibili con quella forma.
Mi spiego. La società – vera o finta che sia – è un organismo comunque destinato a entrare in contatto con terzi (anche le società legali e le società strumentali stipulano contratti, acquistano beni, contraggono debiti), ed è un organismo che attraverso un
sistema di pubblicità legale appositamente istituito dichiara ai terzi la sua natura societaria e, conseguentemente, suscita nei terzi il legittimo affidamento circa l’applicazione di
un regime giuridico conforme al nomen juris dichiarato; un affidamento che non può essere disatteso.
La tesi degli “enti pubblici travestiti da società”, in sostanza, tratta questi enti
come se il travestimento non ci fosse; ma il travestimento c’è! Le così dette semiamministrazioni sono iscritte al registro delle imprese esattamente come tutte le altre
società, e sono iscritte come società, non come “semi-amministrazioni”!
Ciò non può essere ignorato e porta a due conclusioni. La prima è che l’adozione
della forma societaria – non importa se imposta da una norma di legge o se frutto della
libera scelta di un soggetto pubblico, che decide di costituire una società o di entrare
nella sua compagine sociale – determina necessariamente l’applicazione del diritto societario, o per effetto della volontà espressa dal legislatore speciale o singolare o per effetto delle norme del codice civile, che ricollegano alla costituzione di un determinato
tipo societario l’applicazione della relativa disciplina.
Conseguentemente, prima di applicare a queste figure ibride una determinata disciplina pubblicistica (ad esempio la giurisdizione esclusiva della magistratura contabile), occorre verificarne la compatibilità con il diritto societario. Non farlo apre la strada
a decisioni che a me paiono francamente “fuori sistema”, come quella della sezione
lombarda della Corte dei conti ricordata prima: in quale sistema può accettarsi che, qualora il patrimonio delle società danneggiate risulti incapiente, i creditori sociali si sentano dire che parte del risarcimento è stata ormai incamerata dal socio del socio della società loro debitrice?
25
Ed altre analoghe fatte di recente, in particolare, da M. CAMMELLI E M. DUGATO, Lo studio
delle società a partecipazione pubblica: la pluralità dei tipi e le regole del diritto privato. Una
premessa metodologica e sostanziale, in Studi in tema di società a partecipazione pubblica, a
cura degli stessi aa., Torino, 2008, p. 1 ss.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
La seconda è, per così dire, di politica del diritto. Il problema appena evidenziato
nasce perché si pretende di rivestire di forma societaria enti ai quali tale veste davvero
non si attaglia; non si attaglia e, se ci si riflette appena, non è nemmeno necessaria, perché se si vuole applicare a enti del genere parte del diritto societario (ad esempio in tema di bilanci o di poteri-doveri degli organi di controllo) lo si può fare senza bisogno di
attribuire loro la falsa etichetta di società per azioni.
Da questo punto di vista, il legislatore dei giorni nostri dovrebbe prendere esempio da quello dei primi decenni del secolo scorso, che in casi del genere (studiati da Andrea Arena nel suo libro sulle società commerciali pubbliche) 26 istituiva “enti”, “aziende”, “istituti”, li dotava per lo più esplicitamente della personalità di diritto pubblico
e rinviava poi alle singole norme delle società anonime che intendeva applicare loro.
Una cosa semplicissima e da sola risolutiva di molti problemi.
Più in generale – e con questo chiudo – credo che ci sarebbe bisogno di un intervento legislativo sistematico e riordinatore dell'intera materia delle società pubbliche;
ma francamente dubito che il nostro legislatore, di questi tempi, abbia le capacità per fare una cosa del genere. Al momento quindi le prospettive, per tornare al titolo della nostra Tavola rotonda, non mi paiono troppo rosee.
POSTILLA
Volendo chiudere con una nota di ottimismo, può comunque segnalarsi la recentissima sentenza delle Sezioni unite della Cassazione del 19 dicembre 2009, n. 26806,
che ha sovvertito gli orientamenti giurisprudenziali degli ultimi anni sul problema di
giurisdizione sorto in ordine alla responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica.
Accogliendo gran parte delle argomentazioni svolte da chi scrive (specie in Azioni ordinarie di responsabilità e azione di responsabilità amministrativa nelle società
in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, cit.), infatti, la Suprema Corte
ha risolto il problema di giurisdizione in modi opposti a seconda che l’azione abbia ad
oggetto un danno arrecato direttamente al socio pubblico o, invece, al patrimonio sociale.
Nel primo caso ha ritenuto che la configurabilità dell’azione del procuratore contabile non incontri particolari ostacoli e vada dunque ribadita la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti.
Nel secondo, invece, è giunta alla soluzione opposta rilevando l’insussistenza di
un rapporto di servizio fra gli amministratori della società e l’ente pubblico socio;
l’insussistenza di un danno erariale inteso in senso proprio, essendo il pregiudizio arrecato al patrimonio della società, unico soggetto cui compete il risarcimento; la non con26
A. ARENA, Le società commerciali pubbliche (natura e costituzione). Contributo allo studio
delle persone giuridiche, Milano, 1942.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
ciliabilità dell’ipotizzata azione contabile con le azioni di responsabilità esercitabili dalla società, dai soci e dai creditori sociali a norma del codice civile, dalla cui esperibilità
non si può prescindere.
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SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
(A CURA DI MARCO CASAVECCHIA)
LA S.R.L. A PARTECIPAZIONE
PUBBLICA*
Il saggio esamina le opportunità e i rischi derivanti dall’adozione del tipo s.r.l. da parte
di società a partecipazione pubblica.
di ORESTE CAGNASSO
1. La riforma societaria ha introdotto una serie di previsioni ed istituti
certamente di grande rilievo sia sotto il profilo dell’opportunità, sia sotto il profilo
dell’applicazione di regole inderogabili, nell’ottica delle società in mano pubblica.
Si pensi, ad esempio, alla possibilità di partecipazioni in società di capitali non
proporzionali ai conferimenti; al sistema dualistico; alla disciplina dei gruppi e, in
particolare, della responsabilità della società che esercita il potere di direzione e
coordinamento; alla stessa disciplina della società a responsabilità limitata.
Quest’ultimo modello costituisce sicuramente il tipo societario forse più adatto
per le società a partecipazione pubblica, data la sua ampia flessibilità. In specie pare di
grande rilievo in questa prospettiva la possibilità di creare partecipazioni personalizzate,
con la previsione di particolari diritti a favore del singolo o dei singoli soci. I diritti in
questione possono avere sia contenuto amministrativo, sia patrimoniale e possono
essere attribuiti al singolo socio in quanto tale o essere “inseriti” nella partecipazione
del singolo socio: nel primo caso, la cessione della partecipazione comporta l’estinzione
del diritto; nel secondo caso, il diritto circola insieme alla partecipazione. Nell’ambito
dei particolari diritti si inserisce, come è pacifico, anche quello di nominare uno o più o
anche tutti gli amministratori.
2. Come è noto, la disciplina codicistica della società per azioni contiene una
sezione, la XIII, dedicata alle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici.
Oggi tale sezione è costituita dal solo art. 2449 c.c., completamente riscritto in
virtù di un intervento legislativo del febbraio 2008.
Nella versione originaria la sezione XIII era costituita dagli artt. 2458, 2459 e
2460 c.c.: la prima norma si riferiva alle società con partecipazione dello Stato o di enti
pubblici e prevedeva in relazione ad esse la possibilità per l’atto costitutivo di conferire
*
Intervento tenuto al Convegno su “Le società a partecipazione pubblica: novità e prospettive”
il 23 settembre 2009 presso la Fondazione Fulvio Croce di Torino.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
LA SRL A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
agli enti pubblici la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci, revocabili
solo dagli enti nominanti e dotati degli stessi diritti ed obblighi dei membri nominati
dall’assemblea. La seconda disposizione estendeva tale facoltà, prevista per legge o per
clausola statutaria, anche alle società non partecipate dallo Stato o da enti pubblici. Ai
sensi dell’ultima norma richiamata, il Presidente del collegio sindacale doveva essere
scelto tra i componenti di nomina pubblica.
La disciplina ora richiamata prevedeva quindi la possibilità, a favore degli enti
pubblici, della nomina extrassembleare di amministratori o sindaci, senza indicare alcun
limite quantitativo. Quindi gli enti potevano designare uno o più amministratori, o anche
la maggioranza o infine tutti i componenti dell’organo. Così naturalmente anche per i
sindaci.
D’altra parte la norma nulla diceva in ordine al diritto di voto in assemblea, che
si riteneva comunque esercitabile, salvo diversa clausola statutaria.
La recente riforma societaria ha introdotto alcune innovazioni, di carattere
formale.
In primo luogo, la facoltà di nomina è stata estesa ai componenti del consiglio di
sorveglianza. In secondo luogo, sono state accorpate la norma relativa agli
amministratori e sindaci nominati dallo Stato o dall’ente pubblico privi di
partecipazione e quella relativa al Presidente del collegio sindacale. La sezione risultava
quindi formata da due articoli, con cambiamento della numerazione rispetto a quella
originaria: l’art. 2449 c.c.(ex art. 2458 c.c.); l’art. 2450 c.c. (ex artt. 2459 e 2460 c.c.).
Nel 2006 è stata aperta una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e il 6
dicembre 2007 si è pronunciata la Corte di Giustizia Europea: la disciplina prevista
nelle norme richiamate è stata considerata, permettendo un “controllo sproporzionato” a
favore di un socio pubblico minoritario e quindi potendo creare un privilegio
ingiustificato per lo stesso, in contrasto con il principio fondamentale della libera
circolazione dei capitali.
Alla luce di tale orientamento comunitario il legislatore italiano ha dapprima
abrogato l’art. 2450 c.c. e, successivamente, ha provveduto a riformulare integralmente
il contenuto dell’art. 2449 c.c..
Infatti l’art. 3 comma primo del d. l. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito nella
legge 6 aprile 2007, n. 46, ha abrogato l’intero testo dell’art. 2450 c.c. e quindi anche il
secondo comma del medesimo, relativo alla presidenza del collegio sindacale.
A sua volta, la legge comunitaria del 2008, all’art. 13 comma primo, ha
introdotto una nuova versione dell’art. 2449 c.c. (l. 25 febbraio 2008, n. 34).
In conformità ad essa, la disciplina delle società per azioni con partecipazione
dello Stato o di enti pubblici è costruita con regole in parte differenti a seconda che si
tratti di società che ne fanno ricorso al mercato del capitale di rischio o che ne fanno
ricorso (società con azionario diffuso, società quotate).
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
LA SRL A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
Per le prime è prevista la possibilità che lo statuto attribuisca agli enti pubblici
“la facoltà di nominare un numero di amministratori e sindaci, ovvero componenti del
consiglio di sorveglianza, proporzionale alla partecipazione al capitale sociale”.
Il nodo centrale, che la lettura dell’art. 2449 c.c. nella sua attuale versione pone
all’interprete, concerne l’ambito di applicazione del limite della proporzionalità.
Secondo una lettura “rigorosa”, tale limite varrebbe in ogni caso e non solo con
riferimento alla nomina extrassembleare: pertanto gli enti pubblici non potrebbero
nominare complessivamente, fuori dall’assemblea o in assemblea, in virtù in particolare
del voto di lista, un numero di amministratori non proporzionale alla partecipazione.
Secondo una differente lettura, ancorata al dato testuale, solo il potere di nomina
extrassembleare è soggetto al limite della proporzionalità.
A mio avviso, nulla esclude che la disciplina contenuta nell’art. 2449 c.c. sia
estesa alla società a responsabilità limitata e che quindi l’atto costitutivo di essa preveda
la facoltà per l’ente pubblico di nominare un numero di amministratori proporzionale
alla partecipazione.
Ma, avvalendosi della possibilità di prevedere particolari diritti a favore di
singoli soci, è possibile attribuire tale facoltà all’ente pubblico e in tal caso non viene in
considerazione alcun limite al numero di amministratori nominabili. Una simile
conclusione non pare in contrasto con gli orientamenti comunitari: infatti in questo caso
è concesso all’ente pubblico un particolare diritto, che può essere conferito a qualsiasi
socio di società a responsabilità limitata. In altre parole, non si tratta di un privilegio a
favore dell’ente pubblico, ma semplicemente dell’applicazione di una norma di diritto
comune.
3. Nel caso di enti pubblici in posizione minoritaria oppure in posizione
maggioritaria, ma che intendano attribuire a soggetti privati la gestione della società, la
disciplina offerta dal modello della s.r.l., sotto certi profili, appare particolarmente
idonea. Infatti in tal caso l'ente pubblico, nella sua qualità di socio non amministratore,
ha gli ampi poteri di controllo, che si estrinsecano nelle facoltà di informazione e di
consultazione previste dall'art. 2476 c.c. e che consentono ad esso di avere una piena
conoscenza in ordine alla gestione.
Inoltre, attraverso il meccanismo dei particolari diritti propri di singoli soci, può
essere attribuita ad esso non solo la facoltà di nominare gli amministratori, ma anche
quella di autorizzare o anche di decidere determinati atti di gestione.
La stessa varietà dei modelli di amministrazione fruibili dai soci e l'ampia
autonomia loro concessa permettono, poi, di adottare gli strumenti più opportuni in
relazione all'esercizio dell'attività di gestione.
La possibilità di creare organi di controllo facoltativi consente ancora di
introdurre, accanto al potere diretto da parte dei soci, ulteriori organi e strumenti di
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
LA SRL A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
vigilanza sull'attività amministrativa, con ampia possibilità di modularne le modalità di
funzionamento e le competenze.
Come è stato sottolineato in dottrina (IBBA), una possibile remora all'adozione
del modello della società a responsabilità limitata nel caso in esame è costituita dalla
previsione del diritto dei singoli amministratori di sottoporre all'assemblea dei soci
determinati argomenti; in tal modo gli enti pubblici potrebbero essere "costretti" ad
adottare decisioni di carattere gestorio, pur avendo optato per una configurazione della
società tale da attribuire questo compito al soggetto privato. Con la conseguenza,
tutt'altro di scarso rilievo, dell'assunzione di responsabilità per l'atto di gestione.
Per altro verso la possibilità, per i soci che raggiungano una determinata
percentuale, di attribuire all’assemblea competenze su determinati argomenti proprie
dell’organo amministrativo potrebbe sottrarre ai soci privati potere gestorio a vantaggio
dei soci pubblici.
Naturalmente tali conseguenze non si verificherebbero nel caso in cui si
ritenesse che la facoltà, concessa a singoli amministratori o ai soci che raggiungano una
certa percentuale del capitale sociale, di attribuire determinati argomenti alla decisione
dei soci possa essere soppressa attraverso una clausola dell'atto costitutivo.
4. L’attribuzione di poteri gestori – autorizzativi o decisionali – al socio o ai soci
pubblici sicuramente può costituire uno strumento di grande rilievo operativo, in
particolare nell’ottica del c.d. controllo analogo.
Tuttavia la concessione di tali diritti presenta un aspetto negativo, in quanto
sottopone l’ente pubblico con poteri gestori alla responsabilità propria degli
amministratori, sia pure limitatamente agli atti gestori posti in essere intenzionalmente.
Tale responsabilità non va certamente trascurata o sottovalutata: tuttavia mi
sembra opportuno tenere conto di due profili, che possono in qualche misura limitarne
l’incidenza.
In primo luogo, appare pacifico che il socio di maggioranza (società o ente) di
una società a responsabilità limitata, a cui siano attribuiti poteri gestori, è sottoposto sia
alla responsabilità prevista appunto in caso di esercizio di competenze gestorie, sia a
quella propria del socio che eserciti potere di direzione e coordinamento. In qualche
misura quest’ultima potrebbe “assorbire” la prima (pur trattandosi di responsabilità con
connotati e discipline in parte differenti). Pertanto l’ente pubblico di maggioranza, a cui
siano attribuiti poteri gestori, è comunque già responsabile nella prospettiva
dell’esercizio del potere di eterodirezione.
Occorre aggiungere che, a mio avviso, le regole fondamentali di governance
della società per azioni non possono non estendersi alla società a responsabilità
limitata, in quanto appaiono strettamente collegate al regime della responsabilità per le
obbligazioni sociali, limitata al patrimonio della società, con esclusione di quello dei
soci.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
LA SRL A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
Cardine della governance della società per azioni è l’obbligo di costruire e
applicare assetti organizzativi adeguati e quindi procedure adeguate nel compimento
degli atti di gestione. Tale regola mi sembra pertanto estensibile alla società a
responsabilità limitata e non mi pare dubbio che essa concerna, e non possa che
concernere, l’organo amministrativo.
Pertanto, quando l’atto costitutivo attribuisce a singoli soci o alle decisioni dei
soci competenze gestorie, spetta agli amministratori non solo eseguire l’atto, ma anche,
e direi soprattutto, porre in essere gli atti “istruttori” e “di preparazione” in applicazione
delle procedure adeguate, informandone i soci prima che essi pongano in essere la
decisione a loro affidata.
Come è noto, gli amministratori deleganti rispondono degli atti gestori dei
delegati nei limiti delle informazioni da essi ricevute. Questa regola mi sembra debba
valere anche nel caso in cui gli amministratori abbiano posto in esser le attività
istruttorie ed abbiano informato i soci del loro esito al fine di consentire ad essi una
decisione ponderata. Anche in questo caso mi pare che i soci possano essere ritenuti
responsabili, ma esclusivamente nei limiti delle informazioni ricevute dagli
amministratori.
L’uno e l’altro profilo sembrano costituire “barriere” (ulteriori rispetto a quella
introdotta dal legislatore con la previsione dell’intenzionalità dell’atto) con una precisa
rilevanza al fine di attenuare in concreto i rischi di responsabilità che possono derivare
agli enti pubblici dall’attribuzione ad essi, quali soci di società a responsabilità limitata,
di particolari diritti aventi contenuto gestorio.
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SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA
(A CURA DI MARCO CASAVECCHIA)
LA RESPONSABILITÀ DEGLI
AMMINISTRATORI DI SOCIETA’ A
PARTECIPAZIONE PUBBLICA
SECONDO UNA RECENTE E
INNOVATIVA SENTENZA DELLA
CASSAZIONE
L’Autore commenta la recente sentenza della Cassazione n. 26806, 19 dicembre 2009,
che ha ridefinito l’area di applicazione della responsabilità amministrativa - contabile
dei componenti degli organi sociali delle società a partecipazione pubblica.
di ORESTE CAGNASSO
1. La Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza del 19 dicembre 2009, n.
26806 ha affrontato, con una soluzione fortemente innovativa, il nodo dell’area di
applicazione della responsabilità amministrativa - contabile: come si legge nella
motivazione della sentenza, “il problema che si pone è quello relativo alla questione se
agli amministratori e dipendenti di una s.p.a. cosiddetta “in mano pubblica” si
applichino le norme di diritto societario o se dalla presenza di capitali pubblici
consegua invece l’assoggettamento di questi soggetti alle norme proprie della
responsabilità amministrativa, con la conseguente giurisdizione della Corte dei Conti.
In quest’ottica anche le Sezioni Unite della Cassazione, per evitare il rischio di
un sostanziale svuotamento - o almeno di un grave indebolimento - della giurisdizione
della Corte contabile in punto di responsabilità, ha teso a privilegiare un approccio più
“sostanzialistico”, sostituendo ad un criterio eminentemente soggettivo, che
identificava l’elemento fondante della giurisdizione della Corte dei Conti nella
condizione giuridica pubblica dell’agente, un criterio oggettivo che fa leva sulla natura
pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate.
Se quanto appena osservato vale certamente per gli enti pubblici economici, i
quali restano nell’alveo della pubblica amministrazione pur quando eventualmente
operino imprenditorialmente con strumenti privatistici, è da stabilire entro quali limiti
alla medesima conclusione si debba pervenire anche nel diverso caso della
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA: RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI
responsabilità di amministratori di società di diritto privato partecipate da un ente
pubblico. Le quali non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro
capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dalla Stato o da altro ente
pubblico”.
2. La responsabilità amministrativa - contabile per danno erariale, come è stato
sottolineato in dottrina e nella stessa sentenza in commento presenta connotati peculiari
e per certi versi assai differenti da quelli propri del regime delineato dal diritto
societario.
La finalità della prima appare ricostruibile non tanto in chiave ripristinatoria,
quanto in quella sanzionatoria, consentendo, tra l’altro, lo stesso legislatore che possa
attuarsi una sorta di ripartizione del danno tra ente pubblico ed amministratori. Può
essere qualificata come contrattuale o extracontrattuale, a seconda che sia fatta valere
dall’ente pubblico di appartenenza dell’amministratore (o del dipendente) o da altro
ente.
La responsabilità in esame viene in considerazione in ogni caso in cui l’ente
pubblico subisca un danno da una condotta illegittima degli amministratori (o dei
dipendenti). Occorre però sottolineare che i comportamenti rilevanti (a differenza di
quanto previsto per la responsabilità societaria) sono solo quelli caratterizzati dalla
presenza del dolo o della colpa grave (art. 1 comma 1° l. n. 20 del 1994).
L’obbligazione risarcitoria ha carattere parziario e non solidale (art. 1 cit., per
cui, se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei Conti, valutate le singole
responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso: tuttavia i concorrenti che
abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo sono responsabili
solidalmente) e non è di massima trasmissibile agli eredi (art. 1 cit., secondo il quale il
debito derivante dalla responsabilità si trasmette agli eredi solo nel caso di loro indebito
arricchimento).
E’ in facoltà del Giudice Contabile ridurre il danno risarcibile, così da
conformare la condanna alle peculiarità del caso concreto (art. 1 commi 231-33 l. 23
dicembre 2005, n. 266 - legge finanziaria 2006: la relativa questione di legittimità
costituzionale è stata dichiarata infondata dalla Corte Costituzionale con la pronuncia
del 12 giugno 2007, n. 183).
L’azione, esercitata dal Pubblico Ministero presso le Sezioni Giurisdizionali
della Corte dei Conti, ha carattere obbligatorio e non può mai essere oggetto di rinuncia.
Procedendo ad un confronto tra i due regimi di responsabilità appare evidente
come gli stessi presentino caratteri differenti sia sotto il profilo dei presupposti sia sotto
quello della disciplina e siano diretti a raggiungere finalità non coincidenti. La
responsabilità amministrativa appare per molti versi meno rigorosa rispetto a quella
societaria: infatti, con riferimento alla prima, rileva solo (oltre il dolo) la colpa grave ed
il danno posto a carico del responsabile può essere inferiore rispetto a quello accertato;
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA: RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI
peraltro presenta un maggior grado di effettività nell’esercizio, dal momento che la
relativa legittimazione compete al Pubblico Ministero contabile, costituisce un obbligo e
l’azione non può essere oggetto di rinuncia.
3. Come ancora si legge nella motivazione della sentenza in esame, “dall’identità
dei diritti e degli obblighi facenti capo ai componenti degli organi sociali di una società
a partecipazione pubblica, pur quando direttamente designati dal socio pubblico,
logicamente perciò discende la responsabilità di detti organi nei confronti della società,
dei soci, dei creditori e dei terzi in genere, nei medesimi termini - contemplati dagli artt.
2392 e segg. del codice - in cui tali diverse possibili proiezioni della responsabilità
sono configurabili per gli amministratori e per gli organi di controllo di qualsivoglia
altra società privata.
Entra allora in gioco un ulteriore importante elemento normativo, cui finora
non si è fatto riferimento ma che occorre adesso prendere in considerazione. Si allude
alla disposizione dell’art. 16 bis della legge 28 febbraio 2008, n. 31 (che ha convertito
il d.l. 31 dicembre 2007, n. 248), così concepita: “Per le società con azioni quotate in
mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre
amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro
controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle
norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla
giurisdizione del giudice ordinario”.
Tale norma, benché la sua applicazione ai giudizi in corso alla data di entrata
in vigore della legge di conversione sia espressamente esclusa, assume un evidente
significato retrospettivo, nella misura in cui lascia chiaramente intendere che, in ordine
alla responsabilità di amministratori e dipendenti di società a partecipazione pubblica,
vi sia una naturale area di competenza giurisdizionale diversa da quella ordinaria. Non
si capirebbe, altrimenti, la ragione per la quale il legislatore ha inteso stabilire che, per
l’avvenire (e limitatamente alle società quotate, o loro controllate, con partecipazione
pubblica inferiore al 50%), la giurisdizione spetta invece in via esclusiva proprio al
giudice ordinario.
4. La norma ora richiamata dimostra evidentemente come sussista tuttavia
un’area in cui la responsabilità erariale trova applicazione: infatti - come si esprime la
sentenza nella motivazione - resta ancora “da verificare entro quali limiti, al di fuori del
ristretto campo d’applicazione della disposizione da ultimo richiamata, sia davvero
configurabile la giurisdizione del giudice contabile che il legislatore ha in tal modo
presupposto in rapporto ad atti di mala gestio degli organi di società a partecipazione
pubblica.
In difetto di norme esplicite in tal senso (e fatta salva la specificità di singole
società a partecipazione pubblica il cui statuto sia soggetto a regole legali sui generis,
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA: RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI
come nel caso della Rai), è ai principi generali ed alle linee portanti del sistema che
occorre aver riguardo. Ed è proprio in quest’ottica che assume rilievo decisivo la già
accennata distinzione tra la responsabilità in cui gli organi sociali possono incorrere
nei confronti della società (prevista e disciplinata, per le società azionarie, dagli artt.
2393 e segg. e, per le società a responsabilità limitata, dal primo, terzo, quarto e quinto
comma dell’art. 2476 c.c.) e la responsabilità che essi possono assumere direttamente
nei confronti di singoli soci o terzi (prevista e disciplinata, per le società azionarie,
dall’art. 2395 e, per le società a responsabilità limitata, dal sesto comma del citato art.
2476).
Ad opposta conclusione si deve invece pervenire nel caso in cui l’azione sia
proposta per reagire ad un danno cagionato al patrimonio della società.
Non solo, come detto, non è configurabile alcun rapporto di servizio tra l’ente
pubblico partecipante e l’amministratore (o componente di un organo di controllo)
della società partecipata, il cui patrimonio sia stato leso dall’atto di mala gestio, ma
neppure sussiste in tale ipotesi un danno qualificabile come danno erariale, inteso come
pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che
della suindicata società sia socio. La ben nota distinzione tra la personalità giuridica
della società di capitali e quella dei singoli soci e la piena autonomia patrimoniale
dell’una rispetto agli altri non consentono di riferire al patrimonio del socio pubblico il
danno che l’illegittimo comportamento degli organi sociali abbia eventualmente
arrecato al patrimonio dell’ente: patrimonio che è e resta privato”.
5. La sentenza contiene ancora una precisazione di grande rilievo: infatti, come
risulta dalla motivazione, “giova ancora aggiungere che l’esclusione dell’ipotizzata
giurisdizione del giudice contabile per l’azione di risarcimento di danni cagionati al
patrimonio della società partecipata da un ente pubblico neppure provoca, a ben
vedere, il rischio di una lacuna nella tutela dell’interesse pubblico coinvolto nella
descritta situazione.
Nell’attuale disciplina della società azionaria - ed in misura ancor maggiore in
quella della società a responsabilità limitata - l’esercizio dell’azione sociale di
responsabilità, in caso di mala gestio imputabile agli organi della società, non è più
monopolio dell’assemblea e non è più, quindi, unicamente rimessa alla discrezionalità
della maggioranza dei soci. Una minoranza qualificata dei partecipanti alla società
azionaria (art. 2393 bis c.c.) ed addirittura ciascun singolo socio della società a
responsabilità limitata (art. 2476, terzo comma, c.c.) sono infatti legittimati ad
esercitare tale azione (anche nel proprio interesse, ma a beneficio della società)
eventualmente sopperendo all’inerzia della maggioranza. Ne consegue che, trattandosi
di società a partecipazione pubblica, il socio pubblico è di regola in grado di tutelare
egli stesso i propri interessi sociali mediante l’esercizio delle suindicate azioni civili. Se
ciò non faccia a se, in conseguenza di tale omissione l’ente pubblico abbia a subire un
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA: RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI
pregiudizio derivante dalla perdita di valore della partecipazione, è sicuramente
prospettabile l’azione del procuratore contabile nei confronti (non già
dell’amministratore della società partecipata, per il danno arrecato al patrimonio
sociale, bensì nei confronti) di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o
comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di
esercitare i propri diritti di socio ed abbia perciò pregiudicato il valore della
partecipazione. Ed è ovvio che, con riguardo ad un azione siffatta, vi sia piena
competenza giurisdizionale della Corte del Conti”.
6. Con la sentenza in commento le Sezioni Unite della Cassazione hanno
radicalmente modificato il quadro del “diritto vivente”. Gli amministratori di società in
mano pubblica (e così i componenti degli altri organi) sono esclusivamente responsabili
in virtù delle norme del diritto societario (in questo senso si erano espressi vari Autori1.
Tale conclusione trova fondamento, ad avviso della Corte, come si è illustrato,
nell’assoggettamento delle società a partecipazione pubblica alla disciplina comune
(salve le espresse deroghe) e nella circostanza che il pregiudizio sia arrecato al
patrimonio della società e quindi non sussista un danno, almeno diretto, all’Erario.
Si tratta di una soluzione che certamente in qualche misura viene ad accentuare
l’assimilazione delle società in mano pubblica a quelle di diritto comune, evitando una
vera e propria, sotto certi punti di vista, “distorsione” delle regole del diritto societario.
Infatti, come si è già osservato, la responsabilità per danno erariale determina il sorgere
del diritto al risarcimento dei danni a favore del socio ente pubblico e non della società,
1
V., in partic., la lucida, che sostanzialmente anticipa l’orientamento della Cassazione,
analisi di IBBA, Azioni ordinarie di responsabilità e azioni di responsabilità
amministrativa nelle società in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, in
Riv. dir. civ., 2006, 147 ss.; ROMAGNOLI, La responsabilità degli amministratori di
società pubbliche fra diritto amministrativo e diritto commerciale, in Società, 2008, 442
ss.. Mi sia consentito di rinviare anche alle argomentazioni contenute nel lodo 15 luglio
2008, da me pronunciato come Arbitro Unico, pubblicato in Società, 2008, 1270 con
commento di SALAFIA e in Riv. arbitrato, 2009, 563 con nota di CORSO, La
responsabilità “societaria” ed “amministrativa” degli amministratori di società a
prevalente partecipazione pubblica. V. ancora PAJNO, Il rapporto con le altre
giurisdizioni: concorso o esclusività della giurisdizione di responsabilità
amministrativa, in AA.VV., Responsabilità amministrativa e giurisdizione contabile,
Milano, 2006, 176 ss.; A. ROSSI, La responsabilità degli amministratori delle società
pubbliche, in Giur. comm., 2009, I, 524 ss.; ivi 531. Nel senso della possibile
coesistenza tra le azioni, RORDORF, Le società “pubbliche” nel codice civile, in
Società, 2005, 423 ss., ivi 428 ss.).
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA: RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI
pur essendo la stessa il soggetto direttamente pregiudicato dalla mala gestio degli
amministratori.
La Corte prende atto che l’esclusiva soggezione dei componenti degli organi di
società aventi certi caratteri alla responsabilità societaria, sancita dalla legge n. 31 del
2008, presuppone che vi sia un’area di operatività della responsabilità per danno
erariale. La individua però ritenendo che quest’ultimo tipo di responsabilità trovi
applicazione nel caso di danno diretto all’ente pubblico socio. In questa ipotesi non vi
sarebbero ostacoli ad ammettere l’azione dinanzi al Giudice contabile, dal momento che
concorrerebbe allo stesso “risultato” di quella spettante al singolo socio danneggiato ex
art. 2395 c.c.. Data tale identità sembrerebbe che valgano solo le regole in tema di
responsabilità amministrativa - contabile, e non quelle di diritto comune (anche se poi si
tratta di modelli di responsabilità, come si è visto, con presupposti e modalità
differenti). Tale soluzione è poi avvalorata dalla peculiare disciplina del danno
all’immagine degli enti pubblici prevista dall’art. 17 della legge n. 102 del 2009.
Inoltre, e questo mi pare un profilo che debba essere particolarmente
sottolineato, viene sancita la responsabilità erariale dei rappresentanti o comunque dei
titolari di poteri decisori degli enti pubblici soci, qualora abbiano omesso di promuovere
l’azione di responsabilità in presenza di condotte illegittime e pregiudizievoli da parte
dei componenti degli organi sociali2.
Si tratta di una soluzione che permette di superare il timore (che era stato una
delle motivazioni dell’estensione della responsabilità erariale) che l’ente pubblico
rimanga inerte dinanzi alla mala gestio degli amministratori delle società partecipate,
senza attivare le sanzioni previste dal diritto societario. Per contro, come si è già
ricordato, la responsabilità erariale fatta valere dal Pubblico Ministero presso la Corte
dei Conti ha carattere obbligatorio. La previsione della responsabilità amministrativa contabile dei rappresentanti degli enti pubblici, che rimangano inerti in presenza di
condotte pregiudizievoli nelle partecipate, affermata con chiare lettere e con particolare
evidenza nella sentenza in commento, dovrebbe scongiurare tale pericolo.
Tenendo conto, da un lato, che la responsabilità così come delineata dal diritto
societario, è più rigorosa di quella per danno erariale ed alla luce dell’estensione di
quest’ultima ai rappresentanti dell’ente pubblico “rimasti inerti”, la soluzione adottata
da parte delle Sezioni Unite della Cassazione non pare costituire per nulla una sorta di
attenuazione della responsabilità degli amministratori di società a partecipazione
pubblica.
2
In questo senso, in dottrina, v. GUERRIERI, I giudizi di responsabilità degli amministratori di
società a partecipazione pubblica. Giudice civile o giudice contabile? Una possibile
mediazione, in Riv. Corte dei Conti, 2007, IV, 299 ss.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
(A CURA DI LUCIANO PANZANI)
A SHORT SUMMARY OF CHAPTER 11
OF THE
UNITED STATES BANKRUPTCY CODE
The paper illustrates Chapter 11 of Title 11 of the United States Code, part of the
comprehensive reform of American bankruptcy law in 1978. Chapter 11 was designed
to be a flexible procedure that could be adapted to such changing economic realities
and, as the Author explains, it has proven to be so.
By CHARLES G. CASE II
UNITED STATES BANKRUPTCY JUDGE
1.
Purpose and scope of Chapter 11
a.
The Bankruptcy Code of 1978
In 1978, the United States Congress passed a comprehensive reform of
American bankruptcy law, completely rewriting the statute that had been in place since
the 1930's. One of the significant changes was the creation of a flexible and unified set
of reorganization provisions applicable to businesses of all sizes and types. These
provisions are codified in Chapter 11 of Title 11 of the United States Code and thus the
process is commonly known as “Chapter 11.”
Since 1978, numerous amendments have been made to Chapter 11, largely in
response to perceived concerns of various creditor groups. The net result is that the
procedure is today less flexible and arguably less effective than in its original version.
For example, provisions were added in the 1990's requiring that a debtor must decide in
the early days of the case whether to retain a commercial lease and, in the interim, must
make payments in a statutorily prescribed manner. Under previous law, the debtor
could ask the Court for an order extending the time to assume or reject a commercial
lease until, for example, the time of confirmation of the plan and for payment of
ongoing lease expenses on a more flexible basis. This degree of flexibility no longer
exists. Other examples include giving the right to priority payment to certain types of
claims and providing additional protections for utilities that are required to provide
energy services to a debtor operating under Chapter 11. While the commercial interests
involved were able to convince Congress that the changes were necessary to protect
their rights, the cumulative effect has been to increase a debtor’s need for cash at the
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2010
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
beginning of the case, to reduce the time a debtor has to make necessary operational
changes and to require the debtor to make business decisions often before the necessary
analysis can be completed. This has led, among other things, to more cases where the
result is a relatively quick sale of the business to a strategic or financial investor rather
than an internal reorganization of the business.
b.
Preservation of going concern value
The fundamental premise of Chapter 11 is to provide a vehicle for a distressed
business to preserve its positive “going concern value” for the benefit of its creditors
and other stakeholders. If the value of a business as an operating concern–its “going
concern value”–is greater than what could be achieved on liquidation of its assets, then
reorganization under Chapter 11 may be appropriate. Otherwise, the appropriate
remedy is liquidation under Chapter 7 of the Bankruptcy Code.
c.
Financial and Operational reorganization
A reorganization of a distressed enterprise usually must address two distinct
types of issues. The first is whether the enterprise needs structural changes in its
operations. Typical problems include unprofitable lines of business, excessive expenses,
over-expansion, an overly large workforce and similar issues. Often, these types of
problems cannot be effectively addressed outside of a structured insolvency proceeding.
A good example is the problem of over-expansion. This occurs often in the retail
industry where a company has too many stores, the operating revenues of which do not
adequately support the operating costs incurred. Outside of a bankruptcy proceeding, a
debtor may decide to close unprofitable stores but still must pay the ongoing rental costs
of long-term leases. In a Chapter 11 proceeding, however, the debtor may “reject” the
lease and terminate ongoing payments. The lessor receives an unsecured claim against
the estate that will be settled in the same manner as all other unsecured claims in the
plan of reorganization. The US bankruptcy code has various provisions designed to
allow such operational adjustments while at the same time providing protection to the
creditors involved.
The second type of issue is whether the company needs a financial
reorganization. In short, the question is whether the company is able to service its debt
load after operations have stabilized? If not, its balance sheet must be adjusted to reflect
the economic reality of how the enterprise value should be divided among its
stakeholders. This process invokes the “absolute priority rule,” a fundamental concept
of American bankruptcy law that provides that, absent agreement, the holders of senior
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
claims must be satisfied in full before any value may be allocated to holders of junior
claims or interests.
How these two concepts are effectuated in Chapter 11 will be more fully
discussed below.
2.
The main players
a.
“DIP”
Upon commencement of a Chapter 11 case, an “estate” is created consisting of
all property interests of the debtor. The estate is managed by the “Debtor in
Possession,” essentially the pre-existing management of the debtor, for the benefit of the
enterprise’s creditors. The DIP has the powers and duties of trustee as a fiduciary for
the estate, including the obligation to act in the best interests of the estate, the obligation
to be free of conflicts of interest and the ability to pursue avoidance actions.
This arrangement often creates tensions in a proceeding where the people in
management are also the owners of the business or the original entrepreneur. Counsel
for the DIP, who must be appointed by the Court and whose compensation is subject to
control of the court, has the independent fiduciary obligation to assure that the DIP acts
in accordance with its statutory duties. Counsel must disclose all possible conflicts of
interests and may not hold an interest adverse to the estate.
It has become common in large cases for the debtor to engage new management
prior to the commencement of the case, either on its own or at the insistence of large
creditors. The Board of Directors of a corporation may require such a change in
furtherance of the performance of its fiduciary duties; failure to do so may lead to
personal liability on the part of the directors. Also, it is increasingly common for a large
debtor to hire a “Chief Restructuring Officer”, an individual from outside the company
who is an expert in crisis management and the turnaround of distressed enterprises.
Although this person will act as responsible party for the DIP, he or she has many
characteristics of an independent trustee.
i.
Appointment of trustee
Where the DIP fails adequately to fulfill its duties, either through
mismanagement, wrongdoing, excessive delay or similar reasons, creditors may request
the appointment of an independent trustee. While it is the Court that decides whether
such an appointment is justified, the choice of the trustee lies in the hands of the United
States Trustee for the region where the case is pending, after consultation with the
parties to the case.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
ii.
Appointment of examiner
The Court is also empowered to order the appointment of an examiner to
investigate specific transactions and provide a report to the Court and the parties to the
case.
b.
Unsecured Creditors Committee
The law provides for the appointment of an Official Unsecured Creditors
Committee to represent the interests of all unsecured creditors in the proceeding. The
Committee is an official party in the case and may engage counsel and other advisors
(such as financial advisors, investment bankers and accountants) at the expense of the
estate. Such advisors must be free from conflicts of interests and their appointment and
compensation is subject to approval of the court.
The committee is chosen by the United States Trustee after solicitation of
interest from the creditor body and generally consists of between 5 and 7 members. The
law does not contain any specific rules or regulations for the internal operations of the
committee and it is free to adopt its own constituent documents and procedures.
Members of the committee have a fiduciary duty to all unsecured creditors and
must not pursue their own interests at the expense of the interests of creditors generally.
c.
Secured creditors
Secured creditors may not serve on the Committee. The theory is that the
interests of such creditors differ from the interests of unsecured creditors. Secured
creditors are entitled to recoup their costs and expenses up to the value of their
collateral.
d.
United States Trustee
The US Trustee is an officer of the Department of Justice and is appointed by the
Attorney General of the United States. The country is divided into twenty-one regions.
The US Trustee is the “watchdog” agency of the bankruptcy system and is charged with
choosing and supervising trustees, monitoring the compliance of debtors and DIPs with
their statutory obligations, bringing civil enforcement actions where appropriate and
referring matters for criminal prosecution to the United States Attorney.
e.
Shareholders
Shareholders are interested parties and may appear and be heard in court
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
proceedings. However, in most cases, there is inadequate value in the enterprise to
provide a return to these parties on account of their shares. It is not unusual for
shareholders, particularly of small or medium sized enterprises, to receive an ownership
interest in a reorganized debtor as the result of providing fresh capital through new
investment, although, as noted below, this procedure is not without controversy.
Shareholders may ask the court to appoint an Official Equity Committee but it is
rare for this to happen. Because an official committee may employ professionals at the
expense of the estate, the court will appoint such a committee only if it is convinced that
there is sufficient value in the enterprise to reach the level of equity. Shareholders
sometimes organize themselves as an unofficial committee and bear the costs of the
proceeding themselves.
3.
Commencement
a.
Jurisdiction
The United States of America is a republic consisting of fifty sovereign states.
Each state has its own government, consisting of executive, legislative and judicial
branches. The powers of the federal government are specifically enumerated in the
United States Constitution; under the Tenth Amendment to the Constitution, any powers
not granted to the federal government remain with the individual states. Article 1,
Section 8 of the Constitution specifically grants the federal government the power to
make “uniform laws of bankruptcy.” Therefore, bankruptcy cases are commenced and
adjudicated exclusively in federal courts, although the fundamental property rights of
debtors and creditors are controlled by state law.
The first instance level court in the federal system with general jurisdiction is the
district court. District Court judges are appointed pursuant to Article III of the
Constitution; this means that they are appointed by the President, confirmed by the
Senate and are entitled to serve for life without decrease in compensation. District
judges hear and decide criminal and civil cases arising under federal law or arising
under state law if the parties are residents of different states.
Bankruptcy courts are units of the district courts. Bankruptcy judges are
appointed by the federal appellate court with jurisdiction over the region of the country
in which the bankruptcy judge sits. They serve for a term of fourteen years and may be
reappointed for additional terms. Each bankruptcy court has a separate clerk of court
and staff and is headed by a chief bankruptcy judge. Bankruptcy judges are empowered
to hear only bankruptcy proceedings, as well as litigation arising as part of such a
proceeding. Bankruptcy judges have no criminal jurisdiction.
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
In response to a decision of the United States Supreme Court that bankruptcy
judges could not constitutionally decide certain cases, Congress provided in 1984 that
the primary jurisdiction for cases arising under the bankruptcy law, or arising in or
related to a bankruptcy proceeding, would be vested in the district court, subject to such
cases being referred for decision to the bankruptcy courts. All 94 federal district courts
have entered a general order referring all bankruptcy cases to the bankruptcy courts.
The jurisdictional statute provides for certain limited instances where the bankruptcy
court may not make a final decision but rather must make recommendations to the
district court which is then charged with making the final decision. As a practical
matter, challenges to the jurisdiction of a bankruptcy court to hear, decide and enter
final judgments are rare.
b.
Venue
The rules governing where a case may be filed are very liberal. A company may
commence a Chapter 11 case in any district which is either its domicile (its registered
seat), principal place of business, the location of its principal assets or in which there is
pending a proceeding of an affiliate of the company. This latter provision is very
important. Consider a group of 16 related companies (for example, a holding company
with five subsidiaries, each of which itself has three subsidiaries). One of the
companies (it does not matter which one) has its registered seat in the state of Arizona;
none of the other companies has any relationship with Arizona. If that company files its
case in the District of Arizona first, then all the other companies may also file their
cases in the same district. The cases will be assigned to different judges by random
selection. However, it is normal that the court to which the first case is assigned will
enter an order, upon request of the DIP, for the cases to be “jointly administered” before
the same judge. This technique is often used to choose the forum for a case, even if the
main company has little relationship to the court chosen. Therefore, virtually any large
company group can commence its case in one of the two most popular bankruptcy
courts, the Southern District of New York (Manhattan) or the District of Delaware
(Wilmington), simply by assuring that one of its affiliates either has its registered seat,
its principal place of business or its principal assets in the district chosen.
A recent example is the Chapter 11 case of General Motors. The company is
based in Detroit, Michigan where its management and most of its thousands of
employees are located. Neither its registered seat, nor its principal place of business nor
its primary assets are located in New York City. However, a company named
Chevrolet-Saturn of Harlem, Inc., a wholly owned subsidiary of General Motors,
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
operates as a retail outlet in the northern part of Manhattan (although this company, like
its parent, is a Delaware corporation, its principal assets and principal place of business
are in New York). The company and its lawyers had determined that they wanted the
case to be heard in the Southern District of New York (the federal district comprising
Manhattan and some of the surrounding area). Therefore, the petition for this subsidiary
was filed first, making venue appropriate in the same district for its parent corporation
and all of the parent’s other subsidiaries.
Because of the “forum shopping” that this statute allows, it has been subject to
considerable criticism in recent years. As a example, when Enron, the Houston, Texas
based energy company filed its case in New York, the Attorney General of the State of
Texas, John Cornyn, asked the court to transfer the case to the Texas bankruptcy court.
The motion to transfer was denied. Mr. Cornyn is now a United States Senator and has
introduced legislation over the past several years to amend the venue statutes to prohibit
forum shopping. The bill was blocked in the past by the senior Senator from Delaware,
Joe Biden, now Vice-President of the United States. It remains unclear whether the law
will be changed in the foreseeable future.
c.
Eligibility
Generally speaking, any form of business association (joint stock company,
private corporation, LLC, or partnership) may be a debtor under Chapter 11 except
railroads, stockbrokers, commodity brokers, insurance companies or banks, if its
registered seat is in the United States or if it has either a place of business or property
within the United States. The courts have construed the word “property” very broadly
to include, for example, a single bank account. Therefore, a foreign corporation whose
only contact with the United States is ownership of a small amount of property located
in the United States may be a Chapter 11 debtor.
A recent example is the filing of a Chapter 11 proceeding in Texas by the
Russian oil company, Yukos. The company’s only asset in the United States was a
bank account established soon before the filing by the company’s chief financial officer,
an American living in Houston. The purpose of the filing was to prevent the sale by the
Russian government of Yukos assets seized to pay taxes. Although the Texas
bankruptcy court dismissed the case for other reasons, it nevertheless found that the
bank account was sufficient property to allow the commencement of the case in the
United States.
As noted above, such a foreign company, if it is an “affiliate” of another
company that has already commenced a case, may commence its case in the same
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
district as (and be jointly administered with) the previously filed case. In this way,
foreign subsidiaries of US companies often are part of a large group Chapter 11 case in
the United States.
d.
“Opening” of the proceeding
One significant difference between Chapter 11 and European insolvency
proceedings is the manner in which a case is “opened.” Unlike continental practice, a
Chapter 11 case is opened automatically upon the filing of a voluntary petition by the
Debtor without the intervention of the judge. The filing of the petition constitutes an
“order for relief” under the Bankruptcy Code and triggers, for example, the application
of the automatic stay against all creditor collection activity.
Under today’s practice, a petition may be filed electronically on any day of the
week at any time of day or night from any location with internet access, with the filing
fee (for all Chapter 11 cases, the fee is $1,039) paid by credit card. Such a filing is
effective immediately, even before a judge is assigned to the case. As an example, the
petition in the Lehman Bros. case was filed electronically at 2:00 a.m. Monday,
September 15, 2009.
In addition, there is no requirement that the debtor demonstrate that it is
“insolvent” in order to file and open the case. Likewise, unlike the laws in several
European countries, there is no legal requirement that a company must file a case within
a specified number of days of becoming insolvent.
e.
Section 341 Meeting
Not earlier than twenty or later than forty days after the filing of the case,
Section 341 of the Bankruptcy Code requires that there be an initial meeting of creditors
presided over by the United States Trustee. The Judge is not involved in this meeting;
in fact, the law prohibits the Judge from attending. This is the one and only time that all
creditors are summoned to a meeting and, in practice, it is rare for anything of
consequence to occur at this meeting in a major Chapter 11 case. Other than this
meeting, here is no provision in US law for an Assembly of Creditors, as is common in
many European laws. Instead, major decisions involving creditors are made either
through the Creditors Committee, by a creditor individually, by motion to the Court or
by voting by mail on the plan of reorganization.
f.
Applicability of other chapters of the Bankruptcy Code
While the key provisions relating to reorganization are located in Chapter 11 of
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CHAPTER 11
the Code, there are other important provisions located in chapters that are generally
applicable to all bankruptcy cases. The following is a non-exhaustive list of the matters
covered:
i.
Chapter 1
(1)
Chapter 1 regulates eligibility, rules of construction, the general power of
the Court and public access to the file. It should be noted that, unlike continental
practice, all documents in the case file are publicly available whether or not the person
seeking access has a monetary interest in the case.
ii.
Chapter 3
(1)
Chapter 3 regulates commencement of the case, compensation of officers
and professionals, the automatic stay, the use, sale or lease of property of the estate,
obtaining post-petition credit, treatment of contracts, and the provision of utility
services to the estate.
iii.
Chapter 5
(1)
Chapter 5 regulates the filing and resolution of claims, priority of claims,
debtor’s duties and responsibilities, the effect of discharge, property of the estate,
avoiding powers (including preferences, fraudulent conveyances, unperfected
transactions and unauthorized post-petition transactions), the parties from whom
avoided transactions may be recovered, and “safe harbors” for certain securities
transactions.
4.
Automatic stay–Section 362
a.
Who and what is affected
The filing of a petition under Chapter 11 operates as a stay against most kinds of
creditor activity. The stay is effective without order of the court and even in the
absence of notice to the creditor. The stay is applicable to “all entities” although its
extraterritorial application is subject to general principles of international law and
fundamental due process.
The stay prohibits: 1) the commencement or continuation of litigation against the
debtor; 2) the enforcement of a judgment against the debtor or property of the estate; 3)
any act to obtain possession of or exercise control over property of the estate; 4) any act
to create, perforce or enforce a lien or mortgage; 5) any act to collect or assess a claim
against the debtor; and 6) the setoff of any debt against a mutual debt owed from the
creditor to the debtor.
There are many exceptions to the automatic stay. Among the more significant
are the following: 1) criminal proceedings; 2) contractual settlement or netting out
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CHAPTER 11
provisions in certain securities transactions; 3) tax audits; and 4) actions relating to
governmental regulation.
b.
Modification of the Stay
Generally speaking, the stay continues until modified or terminated by court
order. There is an expedited procedure for a creditor to ask the court for relief from
stay, either for “cause” or because there is no equity in the asset and it is not necessary
for an effective reorganization.
5.
Use and Sale of Property
Section 363 provides the terms under which the DIP may use or sell property.
Briefly put, the DIP may use estate property in the ordinary course of business without
court order (for example the sale of inventory to regular customers) but must seek court
authority if the proposed transaction is outside the ordinary course of business (for
example the sale of all or substantially all of the estate’s property.) Consent of the
creditors is not required to sell assets; however, there must be meaningful notice of the
proposed transaction and an opportunity for dissenting creditors to be heard in
opposition. Generally, the court will approve the transaction if it finds that the
transaction is within the reasonable business judgment of the DIP.
If a creditor claims an interest in the property (for example, a bank with a
mortgage or security interest), the property may be used only if the interest of the
secured creditor is “adequately protected.” Adequate protection is ordinarily negotiated
among the parties but, in the absence of an agreement, the court may impose an order of
adequate protection. This includes such things as regular payments, insurance,
replacement liens, liens on additional property and the like.
Special rules exist for the use of “cash collateral;” this is collateral that either is
in the form of money or is easily converted to money. Common examples are accounts
receivable and rents. The use of cash collateral is prohibited absent consent of the
creditor or an adequate protection order of the court.
The DIP may sell assets “free and clear” of interests held by third parties under
specified circumstances. This is an important power because it allows the buyer to
obtain the assets without the burden of the debtor’s past debts.
6.
Executory contracts and unexpired leases
Section 365 of the Code has special rules for executory contracts and unexpired
leases. As a general rule, a contract is “executory” if both parties to the contract have
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CHAPTER 11
obligations remaining to be performed. The DIP may choose either to “assume” or
“reject” an executory contract or unexpired lease. If the contract is assumed, the DIP
must cure all past defaults and must provide “adequate assurance of future
performance.” In other words, it must show that it is unlikely to default in the future.
The DIP may also assign the estate’s rights under the contract to a third party. This may
occur, for example, in a circumstance where the contract provides the estate with a long
term opportunity to purchase goods on a below market basis; in such case, the assignee
(buyer) will pay the estate a premium to receive the benefits of the contract.
If the contract or lease is burdensome or of little value, the DIP may “reject” it
and thereby relieve the estate of the obligation to continue to perform. As an example, a
DIP may reject a long term lease for a property where it no longer wants or needs to
conduct business. Upon rejection, the estate no longer owes rent and the lessor obtains
possession, free to sell or re-lease to a new tenant. The remaining rent obligations are
treated as an unsecured claim, subject to a statutory cap that is roughly equivalent to
between one and three years rent, depending on the length of the remaining term.
The decision is “reject” is subject to the “business judgment” rule and only
rarely may be successfully contested by the counter-party to the agreement. In order to
“assume” the contract, the DIP must cure all past defaults and provide “adequate
assurance of future performance,” in other words, evidence that it likely will be able to
perform the contract’s obligations in the future. Once a lease is assumed, any damages
resulting from a future default are entitled to administrative expense priority, the highest
priority level for claims that are not secured by an interest in property. The DIP may
also “assign”, or sell, its interest in an executory contract or lease to a third party,
notwithstanding a statutory or contractual prohibition against assignment. Such a
contact must first be “assumed” (defaults cured) and the assignee, or buyer, must
provide “adequate assurance of future performance.” The DIP may not assume a
contract for financing; in other words, it cannot force a lender to fulfill a pre-petition
commitment to lend if the lender declines to do so.
7.
Post-petition financing
Financing is a key element of a successful reorganization under Chapter 11. The
debtor may borrow on an unsecured basis in the ordinary course of business without
specific court authorization. The lender will be entitled to an administrative expense
priority claim for any unpaid amounts. This is the highest priority for obligations
incurred post-petition on an unsecured basis; administrative expense claims are,
however, junior to claims that are secured by specific interests in collateral through
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CHAPTER 11
mortgages or otherwise.
If the DIP is unable to obtain credit on this basis, or needs credit in addition to
that available on this basis, then it may obtain financing on a secured basis with the
approval of the court. This is the usual case; such so-called “DIP financing” ordinarily
involves a first position secured interest in collateral, “super priority” above other
administrative claims and numerous other protections. The trend in recent years has
been for the conditions of DIP financing to be so strict that the DIP lender essentially is
able to control the outcome of the reorganization case. In most cases, the DIP lender is
the holder of a pre-petition secured claim against the estate.
8.
Avoidance actions
The DIP has all the powers of a trustee to pursue avoidance actions. This is
different from many continental systems where avoidance actions are only authorized in
a liquidation case. However, the DIP is not obligated to pursue such actions. In some
circumstances, the pursuit of an avoidance action may be detrimental to the efforts of
the enterprise to reorganize and may either be delayed or not pursued at all. If the
Creditors Committee disagrees with the DIP’s decision not to pursue an avoidance
action, it may ask the Court for authority to pursue the action on behalf of the estate.
a.
Preferences
A preference is the transfer by the debtor of an interest in property within 90
days of the filing of the case to the holder of an existing debt that results in the
transferee receiving more than it would have had the transfer not been made and a
liquidation filed instead. There are two common situations. The first is the payment to
one creditor to the exclusion of other creditors similarly situated. Thus, if one supplier
is paid, and another is not, the DIP may recover the payment from the first in order to
equalize the position of the two creditors. The transferee receives an unsecured claim
for the amount returned. The transferee may raise as a defense the fact that the transfer
was made in the ordinary course of business or that it extended new credit after the
transfer was made. Because of the intensely factual nature of these cases, they are
usually settled with the transferee paying a lower amount in compromise.
The second common preference occurs when a previously unsecured creditor is
given an interest in collateral within 90 days of the filing. If this secured transaction
were to stand, the creditor would be preferred over other similar creditors which did not
receive collateral.
The “look back” period for a preference to an “insider” of the debtor (an entity
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CHAPTER 11
that is closely related to the debtor) is one year.
b.
Fraudulent Conveyances
There are two types of fraudulent conveyances. The first is subjective in nature.
If a debtor makes a transfer prior to the filing with the intent to hinder, delay or defraud
its creditors, the transferred property, or its money equivalent, may be recovered. This
requires proof of an actual intent. The Code provides a “look back” period of 2 years; in
addition, the DIP may stand in the shoes of a creditor who could have brought a claim
under applicable state law. Under many state laws, the “look back” period is at least
four years.
The second type is objective in nature. If a debtor transfers property while
insolvent and does not receive “reasonably equivalent value” in return, the DIP may
avoid the transfer for the benefit of the estate, regardless of whether the debtor
subjectively intended to hinder, delay or defraud its creditors. As above, the look back
period may range from two to four years.
9.
Claims
a.
Allowance of claims
At the beginning of a case, the DIP must file a complete schedule of all of its
assets and liabilities. There are officially approved “forms’ for this purpose. The DIP
must indicate the amount and nature of the claim (for example: priority, secured,
unsecured, etc.) and whether or not it is disputed. An undisputed claim is deemed
“allowed” (meaning, it is approved) without further action from the creditor. If a claim
is disputed, unliquidated or contingent, it will be “allowed” only by a court order.
If a claim is disputed, or if the creditor disagrees with the DIP’s calculation, the
creditor may file a “proof of claim” with the Court setting forth what it believes the
claim should be, attaching all relevant documents. When the creditor files a proof of
claim, its claim is “deemed allowed” unless the DIP files an objection. Filing an
objection is the means of commencing a contested proceeding for the determination of
the valid amount of the claim.
In most cases, the Court will set a “bar date” for claims; this is the deadline by
which claims must be filed. If not filed by this date, a claim will be “barred”, or
disallowed, or, at best, allowed only as a “late filed claim” which will be paid only after
all timely claims are paid. The “bar date” must be sent to all creditors with enough
notice to give them a fair opportunity to file their proofs of claim.
Unlike continental practice, the claims process usually does not occur at the
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CHAPTER 11
beginning of the case. Indeed, claims litigation may not occur until after the plan of
reorganization has been approved. The claim for purposes of voting on a plan will be
what is stated in the proof of claim (it is “deemed allowed” in that amount) unless the
DIP has objected prior to the voting.
b.
Estimation of claims
The Code authorizes the Court to estimate “any contingent or unliquidated
claim, the fixing or liquidation of which, as the case may be, would unduly delay the
administration of the case.” This is very powerful tool because it allows a
reorganization to proceed without the necessity of finally determining all claims.
The law grants the Court wide discretion in determination the method and
purpose of estimation. For example, a claim may be temporarily allowed for purposes
of voting on a reorganization plan, subject to being finally allowed at a later time. Or, a
claim may be estimated for purposes of plan confirmation only; an example would be
where the size of the claim impacts whether the plan is feasible or not. In such a
circumstance, the estimation order may provide for the claim to be later determined by
the bankruptcy court, by another court, or by a specialized tribunal established for that
purpose. Or, a claim may be estimated for all purposes; in this example, a disputed
claim that ordinarily may take two years to determine may be estimated in the
bankruptcy case and the creditor’s rights against the estate will be fixed, thereby
removing the necessity of further proceedings. Obviously, this procedure invokes
serious issues of due process and is an area where the Court needs to proceed with great
care. For example, the greater the constriction on the creditor’s rights by the estimation
procedure, the more robust the estimation procedure should be.
10.
Special protections
a.
Section 1113
In the 1980's, several airlines sought to reorganize under Chapter 11. Through
the court process, the airline sought to free itself from union contracts that the company
asserted impeded its ability to rehabilitate its financial condition. This was because the
contracts provided for excessive labor costs, restricted its ability to reduce the
workforce, and imposed onerous obligations for benefits such as pensions and health
insurance. The airline DIP used Section 365 to “reject” the union contracts, leaving the
unions with no protections for their members other than an unsecured claim against the
estate. In a famous case called Bildisco, the United States Supreme Court determined
that a union contract was an executory contract like any other and was entitled to no
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CHAPTER 11
special protection, thereby affirming the decision approving the rejection.
Congress responded by amending the Bankruptcy Code to add Section 1113, a
provision specifically intended to address the circumstances under which a collective
bargaining agreement may be rejected in a Chapter 11 case. Section 1113 requires the
DIP, or the trustee if one has been appointed, to “make a proposal to the authorized
representative of the employees covered by such agreement, based on the most
complete and reliable information available at the time of such proposal, which provides
for those necessary modifications in the employees benefits and protections that are
necessary to permit the reorganization of the debtor and assures that all creditors, the
debtor and all of the affected parties are treated fairly and equitably.” Thus, the
proposal must be fair and equitable, based on complete and reliable information and
only include such modifications as are necessary for a successful reorganization. The
statute then requires that the DIP provide the union with all necessary information
supporting the proposed modification and engage in good faith negotiations. The Court
may approve a rejection of the contract only it determines, after a hearing at which all
interested parties may participate, that the union has refused to accept the proposed
modifications “without good cause.”
b.
1114
Unlike most European countries, the USA, at least as of the time of this writing,
does not have a federally mandated or funded comprehensive system of health care and
similar social benefits. The primary source of health care benefits has traditionally been
provided by employer sponsored health insurance. Under these plans, private
businesses make group insurance available to their employees, paying all or part of the
premiums associated with it. While companies are not obligated to provide these
benefits, large enterprises have traditionally done so and the promise of such health
benefits upon retirement is considered an important part of an employee’s compensation
package.
In the last several years, the burden of funding these “legacy” obligations has
become very large and many plans became underfunded. This led to the “rejection” of
benefit plans in the course of a Chapter 11 case. Congress addressed the issue by
passing section 1114 which requires the DIP to continue such payments to retirees
unless the court approves a modification of the plan based upon factors similar to those
contained in section 1113.
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
11.
The Plan
a.
Purpose
The plan of reorganization is at the heart of the Chapter 11 process. If approved,
or “confirmed” in the language of Chapter 11, the plan becomes a new contract between
the reorganized debtor and its creditors, enforceable in the same manner as any other
contract, subject to specific provisions in the plan itself. Key to the process is the
classification of claims. The law requires that a plan may “place a claim or an interest
in a particular class only if such claim or interest is substantially similar to the other
claims or interests of such class.” 11 U.S.C. § 1122(a). Some courts have interpreted
this provision to mean not only that a claim must be similar to other claims in the class
but, in certain situations, that all claims of a similar nature must be placed in the same
class. This extension of the statutory language is controversial. The distinction between
the two interpretations is subtle but important because voting on the plan is conducted
by class and there are certain requirements, explained below, for acceptance of the plan
by creditor classes in order for the plan to be confirmed. Classification is also critical
because acceptance of a plan by a class binds all creditors in that class, whether they
voted to reject the plan or did not vote at all.
Each secured creditor is ordinarily placed in its own class. This is because no
other creditor has the same rights as it has against its collateral. Thus, the bank secured
by the land and building would be in one class, while the bank secured by the
equipment and inventory would be in another. Likewise, the creditor with a junior lien
on the land and building would be in a different class from the bank with senior lien
because, even though they have liens against the same collateral, their rights are very
different because of their respective priorities.
b.
Exclusivity
The debtor has the exclusive right to propose a plan for the first 120 days
following the filing of the case and the exclusive right to solicit acceptances of its plan,
if one is filed, for the first 180 days following the filing of the case. Prior to 2005, each
of these deadlines could be extended indefinitely upon motion of the debtor
demonstrating good cause; amendments in 2005 limit the extension of the first deadline
to 18 months after the commencement of the case and the second deadline to 20 months.
A creditor may seek an order from court shortening the exclusivity period if it can show
good cause. Once exclusivity is terminated, any creditor or party in interest may
propose a plan.
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CHAPTER 11
c.
Timing
i.
Disclosure statement
The plan must be accompanied by a disclosure statement, the purpose of which
is to provide adequate information to a hypothetical investor to make an informed
judgment on whether or not to accept the treatment proposed in the plan. The statute
does not, with a few exceptions, prescribe what must be in a disclosure statement,
leaving that determination to the judge taking into consideration the nature of the case,
the availability of financial records, the benefit of additional information to the creditors
and the costs associated with providing more detailed disclosure.
The law requires that the proponent of the plan send to each creditor and party in
interest the approved disclosure plan, the plan and a ballot before either proponents or
opponents of the plan may solicit votes accepting or rejecting the plan. In recent cases,
the courts have approved dissemination of the disclosure statement through mailing a
CD-ROM or providing access to a secure website. Such orders routinely require that
papers documents be provided upon request.
The rules require at least 28 days notice to all creditors and parties in interest of
the hearing to approve the disclosure statement. Most judges discourage extensive
litigation on the adequacy of the disclosure statement, instead requiring the parties to
work together to craft a statement that is acceptable to all.
Since 2005, the law has specifically allowed the court to approve the disclosure
statement preliminarily in order to set the date for hearing on confirmation of the plan
more quickly, leaving the final approval of the disclosure statement for the same date
and time of the confirmation hearing.
ii.
Plan
The hearing on plan confirmation also requires at least 28 days notice to all
creditors and parties in interest and, except as mentioned above, may not be determined
until after the disclosure statement has been approved. Typically, a date is set by which
creditors must vote and must file any legal objections to the confirmation of the plan
(i.e., that the plan does not conform to mandatory provisions in the law). This date is
normally at least one week prior the initial confirmation hearing and most courts require
the proponent of the plan to file a “ballot report” several days prior to the hearing
indicating the results of voting by class.
If the plan is consensual, the Court may confirm it at the initial hearing. If there
are objections for which further briefing is required, or evidence must be taken, or if the
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CHAPTER 11
plan may be confirmed only over the objection of at least one dissenting class of
creditors (see the section on “cram down” below), then the initial hearing will normally
be used to establish a final hearing date and all interim deadlines.
d.
Contents
Section 1123 sets forth both the required and optional contents of the plan. The
most important required contents are:
1.
Designation of classes of creditors;
2.
Specification of those classes of claims whose rights are not
impaired by the plan;
3.
Specification of the treatment of those classes whose rights are
impaired by the plan;
4.
Provision for the same treatment for each member of a class,
unless a member of the class agrees to less favorable treatment.
5.
Provision of adequate means for the implementation of the plan;
and
6.
Provisions for selection of post-confirmation management and
corporate governance that are “consistent with the interests of creditors, equity security
holders and public policy.”
The optional contents of a plan relate primarily to the methods of
reorganization to be used to achieve the plan’s goals. These methods are very broadly
defined and are non-exclusive; in other words, the plan may use methods not specified
in the statute if consistent with the overall purposes of the bankruptcy code and not
otherwise prohibited by law. A list of the optional contents includes:
A) retention by the debtor of property of the estate;
(B) transfer of property of the estate to one or more entities;
(C) merger or consolidation of the debtor with one or more entities;
(D) sale of property of the estate, either subject to or free of any lien, or
the distribution of property of the estate among those having an interest
in it;
(E) satisfaction or modification of any lien;
(F) cancellation or modification of any indenture or similar instrument;
(G) curing or waiving of any default;
(H) extension of a maturity date or a change in an interest rate or other
term of outstanding debts;
(I) amendment of the debtor’s charter; or
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CHAPTER 11
(J) issuance of securities for cash, for property, for existing securities, or
in exchange for claims or interests.
(K) impairment or non-impairment of any class;
(L) provison for the assumption, rejection, or assignment of any
executory contract;
(M) provision for —
(A) the settlement or adjustment of any claim; or
(B) the retention and enforcement of any claim;
(N) provision for the sale of all or substantially all of the property of the
estate, and the distribution of the proceeds of such sale among holders of
claims or interests;and
(O) inclusion of any other appropriate provision not inconsistent with the
applicable provisions of this title.
It is important to understand the flexibility and creativity that are inherent in the
Chapter 11 process. The idea is to provide the plan proponent with a wide palette of
colors from which to create the image of its reorganized debtor.
e.
Voting
Voting occurs by mailed written ballot after approval of the disclosure
statement. Electronic voting may be authorized. In larger cases, the plan proponent may
contract with a company that specializes in shareholder and creditor voting services to
receive, count and verify the ballots. Unlike many European systems, there is no
creditors’ assembly at which voting takes place.
f.
Acceptance
A class of claims accepts a plan if the plan has been accepted by creditors that
hold at least two-thirds in amount and more than one-half in number of claims that have
actually voted. For example, assume a class of claims contains 100 creditors holding
claims in the amount of $10 million. Assume that only 50 creditors holding $6 million
in claims actually vote; the other creditors simply do not return a ballot. The class will
accept the plan if at least 26 creditors (more than half) holding at least $4 million in
claims (at least 2/3 in amount) vote to accept. This affirmative vote by 26% of the
creditors holding only 40% of the outstanding debt in the class will be binding upon all
100 creditors holding $10 million in claims. The idea is to reward those who participate
and not to give a veto to those who do not.
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CHAPTER 11
g.
Modification
Plans are routinely modified up to the time of confirmation in order to facilitate
the negotiated resolution of objections by creditors. The plan as modified will be the
binding contract. The modified plan need be sent out for further solicitation only if it
substantively changes the rights of creditors in other classes. The plan as modified must
comply with sections 1122 and 1123 (dealing with classification and the contents of the
plan) and meet all of the confirmation requirements of section 1129. Sufficient notice of
the modification must be given to allow a creditor to change its vote if it desires.
h.
Confirmation
The Court must hold a hearing on whether to confirm the plan. In order for the
plan to be confirmed, there are sixteen subsections of Section 1129 that must be
satisfied. As a practical matter, there are five subsections that are critical in every case.
These include:
i.
1129(a)(1)
This subsection requires that the plan must comply with all applicable
provisions of the bankruptcy code. This includes not only provisions in chapter 11 itself
(for example, are claims properly classified and does the plan contain all mandatory
elements?) but also other chapters (for example, if executory contracts are assumed and
assigned under the plan, does the plan comply with the provisions of section 365?).
ii.
1129 (a)(7)
This is the “best interests of creditors” test. If a creditor rejects a plan,
the proponent of the plan (usually the debtor) must show that the creditor is receiving as
much for its claim as it would have received in a liquidation of the debtor under Chapter
7 of the Code. For this reason, the plan proponent usually is required to provide a
“liquidation analysis” in its disclosure statement that demonstrates what would occur in
a hypothetical liquidation of the debtor’s assets, with appropriate assumptions on what
the likely proceeds would be and how those proceeds would be distributed to creditors
according to the scheme of priorities in Chapter 7. A creditor may challenge the
credibility of the proponent’s liquidation analysis which would require presentation of
expert evidence at a final confirmation hearing.
iii.
1129(a)(8)
This section requires that each class has either accepted the plan or is
unimpaired. If this section is not met, then the plan proponent must satisfy the “cram
down” provisions of section 1129(b).
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CHAPTER 11
iv.
1129(a)(10)
This section is important in the context of “cram down”; that is, the
confirmation of a plan over the objection of at least one class of dissenting creditors. It
provides that if there is an impaired class of claims (and there almost always is), then at
least one such class must have accepted the plan. Unlike section 1129(a)(8), the “cram
down” provisions of section 1129(b) cannot save a plan if section 1129(a)(10) has not
been satisfied. It is, in reality, the key that unlocks the door to “cram down”. If the
door remains locked, cram down is not possible.
This section provides that there must be at least some affirmative support for a
plan from a class of impaired creditors in order to allow a plan to be confirmed over the
objection of another class of impaired creditors. Thus, the plan proponent must always
keep in mind who will be its “consenting impaired class.” Because of this requirement,
plans sometimes create more than one class of unsecured creditors, with the proponents
arguing that there are sufficient “business justifications” to allow multiple classes. As
noted above, all creditors within a class must be treated equally and only creditors with
the same rights may be in the same class, but the statute does not specifically say that all
creditors with the same rights must be in the same class, although many courts require
that result.
This issue is brought into sharp focus in smaller cases where there is one large
secured creditor and a small number and amount of unsecured creditors. If the secured
creditor’s claim is greater than the value of the collateral (as is usually the case), then
section 506 provides that the claim will be divided into two claims: a secured claim
equal to the value of the collateral and an unsecured claim for the deficiency. If this
unsecured claim is classified with the smaller unsecured claims, then the likely result is
that the large creditor will control both the class with its secured claim and the
unsecured class, making cram down impossible.
Section 1129(a)(10) is less of an issue in a case with multiple secured creditors
because, as noted above, each such creditor would be separately classified.
v.
1129(a)(11)
This is the “feasibility” test. The section provides that the proponent of the plan
must show that “confirmation of the plan is not likely to be followed by the liquidation,
or the need for further financial reorganization” of the debtor. It is not necessary for the
plan proponent to guarantee success; rather, the test is whether it is more likely than not
that the plan will succeed and the creditors will be paid in accordance with its terms.
This is often a hotly contested issue. A debtor that proposes to continue to operate in
the future to generate income to pay creditors must demonstrate its ability to do so; this
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
normally takes the form of financial projections. The credibility of those projections is
often contested and the court must make the final decision. Are the assumptions
reasonable? Do the projections fairly reflect likely revenues and expenses in the future?
Are the projections consistent with past performance or are they overly optimistic? Do
the projections contain adequate reserves for maintenance and future capital
requirements? These are among the questions that may arise.
As it is impossible to predict the future, the feasibility issue is sometimes solved
by allowing the plan to be confirmed so long as it contains adequate and immediate
protection for the dissenting creditor in the event of failure.
vi.
Cram down: Section 1129(b)
If all the requirements of section 1129(a), except subsection (a)(8), have been
met, the proponent may attempt to confirm the plan over the objection of one or more
classes of creditors or interests (equity holders). This process is known by the term
“cram down”, although those words do not appear in the bankruptcy code.
The standard for cram down, contained in section 1129(b), is that the treatment
of the objecting class must be “fair and equitable” and the plan must not “unfairly
discriminate” against the objecting class. While these terms are general, both the code
itself and case law decided over the years inform us what they mean.
A.
“Fair and equitable”
The code sets out the minimum showing necessary to satisfy the “fair and
equitable” standard for secured claims, unsecured claims and equity interests. Even if
these standards are met, a court could nonetheless decide that the treatment is not fair
and equitable but would have to specify its reasons for so concluding.
– Secured claims
For a class of secured claims, the plan must provide that the holders of claims
retain their liens and receive deferred cash payments equal to at least the allowed
amount of claim and with a value, as of the effective date of the plan, at least equal to
the value of the collateral securing the claim. What does this mean? As noted above, if
the amount of a claim secured by collateral exceeds the value of the collateral, the claim
is treated as secured to the extent of the value of the collateral and unsecured for the
remainder. Therefore, the first part of the standard is the total amount of cash to be paid
over time must at least equal the secured claim. The second part of the standard is more
strenuous and subject to difficult issues of proof. It states that the present value of the
cash payments made over time must be at least equal to the value of the collateral. This
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
requires the court to determine an appropriate discount rate that takes into account the
time value of money as well as the degree of risk the creditor is asked to assume.
Here is an example. Assume a creditor is owed $1 million and the debt is
secured by property worth $600,000. Under section 506, the claim will be “bifurcated”
(cut into two pieces) into a secured claim of $600,000 and an unsecured claim of
$400,000. The plan proposes to pay the secured portion of the claim $100,000 a year
for 7 years. Does this treatment satisfy the “fair and equitable” rule? Certainly, it
satisfies the first part of standard because $700,000 is greater than $600,000. Whether it
satisfies the second part of the standard depends on what discount rate is determined by
the court to be appropriate. For example, if the discount rate is 7%, the present value of
the proposed cash payments is approximately $540,000; this is less than $600,000 and
therefore insufficient. If the discount rate is 4%, then the present value is greater than
$600,000 and would be sufficient. Although the details of how such a discount rate
would be determined is beyond the scope of this article, it is unlikely that a court would
find that 4% is sufficient to compensate the creditor both for the delay in receiving
payment and for the risk of non-payment. In such a case, the debtor would have to
propose a higher payment or the plan could not be “crammed down.”
Are there circumstances where the first part of the standard is more important
than the second? Yes, although it is not common. Section 1111(b) allows an undersecured creditor to choose to have its entire claim treated as secured notwithstanding the
normal bifurcation under section 506. In the example above, this would mean that the
total amount of cash payments must equal at least $1 million although the present value
need only equal $600,000. If a creditor chooses this treatment, however, it surrenders
its unsecured claim; this removes its ability to “control” the voting in the unsecured
class of claims, thereby enhancing the debtor’s chances of satisfying the “consenting
impaired class” requirement of section 1129(a)(10). The advantage, however, is that the
debtor must demonstrate its ability to make payments for the longer period (in this case,
10 years). The longer the payment period, the more likely the court will conclude that
the plan is not feasible, as required by section 1129(a)(11), because of the difficulty of
supporting the credibility of financial projections over such an extended period.
In addition, the plan may provide the creditor with the “indubitable equivalent”
of its claim. This term derives from a reported decision in the 1930's and is most easily
satisfied by the simple return of the collateral to the creditor.
– Unsecured claims
A different, and more flexible, rule applies to cramming down a dissenting class
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
of unsecured claims. Such a class is treated “fairly and equitably” if either it receives
property with a present value at least equal to the full amount of the claim or if no class
junior to it receives anything. Note for the first part of the standard that the creditor
need not receive cash but rather may be satisfied by property. Such property may
include new securities in the reorganized debtor (such as bonds or shares) so long as
they are valued at an amount at least equal to the full value of the claims in the class. If
the present value is less than the amount of the claims, the plan may still be confirmed if
no junior class receives any distribution. This is known as the “absolute priority rule.”
Typically, the class that is junior to the unsecured class is the class of equity–i.e., the
ownership interests of the debtor. Thus a plan may be confirmed if the dissenting class
of unsecured claims receives less than its full value so long as the ownership interests
neither receive nor retain anything. In a contested case, the value of the property given
will have to be supported by testimony from an expert.
There continues to be considerable debate, over thirty years after enactment of
the bankruptcy code, whether a junior class may receive distributions under the plan if it
contributes new value to the reorganized debtor. The Supreme Court of the United
States undertook to answer the question whether such a “new value exception to the
absolute priority rule” existed in a case decided in 1999. However, in its decision, the
Court declined to answer the question posed, deciding instead, in effect, that IF such a
rule existed, it had not been satisfied by the facts of the case presented. This uncertainty
continues to create difficulties for courts, lawyers and businesses involved in
reorganization cases.
– Equity interests
The standard for cramming down equity is rarely invoked because the class of
equity is normally the most junior of all classes. However, in circumstances where
there are different types of ownership interests–for example, both preferred and
common shares– the plan may be confirmed if the class receives property of a value at
least equal to the liquidation or redemption preference, if any, of the securities (as in the
case of preferred stock) or if no junior class receives anything.
In practice, these rules form the matrix within which compromises are
negotiated. For example, a senior class of creditors may agree that a junior class will
receive some amount of return even if the senior class is not paid in full in order to
avoid the costs and uncertainty of prolonged litigation on issues of value.
B.
Unfair discrimination
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
The unfair discrimination standard is applied considerably less frequently than
the fair and equitable rule. In a nutshell, the issue is not whether a plan contains
discriminatory treatment for creditors in different classes but whether the difference in
treatment is unfair. A plan may provide, for example, different treatment for creditors
who continue to supply to the debtor from those who do not, or for creditors whose
claims arise contractually versus those that arise from tortious conduct. Congress did
not legislate standards for “unfair discrimination”, as it did for “fair and equitable”, and
Courts have struggled in applying the test. What is most important about the test is that
it implies by its existence that Congress contemplated that some discrimination among
similarly situated creditors would be acceptable–so long as it is not unfair.
vii.
Post confirmation discharge
As a general rule, a discharge of debts is not available to legal entities under the
bankruptcy code, but rather only to physical persons. This is based on the common
sense notion that a legal entity has no need for discharge because its existence can
simply be terminated under applicable law. The primary exception to this rule is that
confirmation of a Chapter 11 plan does discharge the debtor, even if a legal entity, from
its pre-petition debts unless all of the following are true: the plan provides for
liquidation of all or substantially all of the property of the estate; the debtor does not
engage in business after consummation of the plan; and the debtor would not be eligible
for a discharge under the liquidation procedures of Chapter 7 of the code. In these
circumstances, the legal entity is more like a physical person because it continues in
existence and business after confirmation of the plan. In effect, its pre-petition debts are
discharged in exchange for the new contract with creditors contained in the plan.
12.
Conclusion
How Chapter 11 is used in practice is largely dependent on current economic
conditions, evolving legal standards, cost considerations and other factors. In the
present day, an internal reorganization of the type contemplated when the code was
enacted in 1978 is relatively rare. Rather, it is more common for the Chapter 11 case to
be used as vehicle for the sale of the business as a going concern, or for the sale of
desirable parts of the business to a NewCo followed by liquidation of the remainder
(similarly to what occurred in the Chrysler and General Motors cases), or for the
reorganization to be pre-negotiated between the debtor and its creditors so that the
duration of the case is greatly shortened. This latter procedure, known as a
“prepackaged plan” is often useful in circumstances where existing contractual
arrangements, such as a trust indenture, require unanimous or nearly unanimous consent
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IL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE
CHAPTER 11
of creditors to the restructuring of debt obligations and some creditors refuse to
negotiate or to agree to proposed modified terms. In such a circumstance, the rights of
such dissenting creditors can be modified in a chapter 11 plan using the voting protocols
described above, as long as the rights of dissenting creditors are protected by
satisfaction of all requirements of section 1129.
Chapter 11 was designed to be a flexible procedure that could be adapted to such
changing economic realities and, despite many changes over the 30 years since it went
into force, it has proven to be so.
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
SEGNALAZIONI DI DIRITTO
COMMERCIALE
NORMATIVA
Class Action. Pubblica Amministrazione - E’ stato pubblicato il decreto legislativo 20
dicembre 2009, n. 198, i materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei
concessionari dei servizi pubblici. La concreta applicazione del decreto, come precisato
dall’art. 7 dello stesso sarà determinata, anche progressivamente, con uno o più decreti
del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il testo integrale del decreto legislativo, 20 dicembre 2009, n. 198, è reperibile sulla
Gazzetta Ufficiale, 31 dicembre 2009, n. 303.
Danno non patrimoniale - E’ stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica, 30 ottobre 2009, n. 181, contenente il regolamento recante i criteri medico-legali per
l’accertamento e la determinazione dell’individualità e del danno biologico e morale a
carico delle vittime del terrorismo e nelle stragi di tale matrice, a norma dell’art. 6 della
legge 3 agosto 2004, n. 206.
Il testo integrale del decreto del Presidente della Repubblica, 30 ottobre 2009, n. 181, è
reperibile sulla Gazzetta Ufficiale, 16 dicembre 2009, n. 292.
Appalti – La Regione Umbria ha approvato in data 12 gennaio 2010, con deliberazione
del Consiglio regionale, la nuova legge sugli appalti ("Disciplina regionale dei lavori
pubblici e norme in materia di regolarità contributiva per i lavori pubblici"), che va a
sostituire la precedente legge regionale numero 19 del 1986.
Il testo della legge è reperibile sul sito www.gazzettaufficiale.it.
INDICAZIONI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE
ASSONIME
Le indicazioni obbligatorie negli atti, nella corrispondenza e nei siti web delle società - La Circolare Assonime n. 2 del 2010 illustra le novità per le società in tema di
obblighi informativi negli atti, nella corrispondenza e nei siti web, introdotte con la legge comunitaria del 2008 (in attuazione dei principi della direttiva 2003/58/CE). Le nuoIL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
ve disposizioni modificano le norme del codice civile per estendere gli obblighi informativi alle comunicazioni in via telematica e ai siti web delle società. Tali obblighi, secondo l’interpretazione dell’Assonime, riguardano anche le comunicazioni di posta elettronica verso terzi.
La circolare illustra infine gli obblighi pubblicitari sul sito web delle società.
La responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica - La
Circolare Assonime n. 3 del 2010 illustra i nuovi orientamenti della Corte di Cassazione
sulla responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica.
In particolare Assonime analizza due recenti pronunce della Corte di Cassazione, a sezioni unite (n. 26806/2009 e n. 519/2010) che escludono l’applicabilità della responsabilità per danno erariale, in aggiunta a quella civilistica, agli amministratori di società a
partecipazione pubblica nei casi di danno arrecato alla società.
GIURISPRUDENZA
Appalti - Il Tar Catania, con la sentenza n. 2001 del 26 novembre 2009, ha affermato
che una volta individuato come criterio di aggiudicazione quello del prezzo più basso,
trova applicazione l’art. 86 del D.lgs. n.163 del 12 aprile 2006, relativo proprio ai criteri
di individuazione delle offerte anormalmente basse, il quale, lungi dal consentire la previsione di un limite ai ribassi esperibili, dispone che nel caso in cui il numero delle offerte ammesse sia inferiore a cinque, l’Amministrazione è tenuta, pur senza
l’applicazione di alcun criterio strettamente matematico, a valutare la congruità di ogni
altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa.
OSSERVATORIO COMUNITARIO
Fallimento - La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha recentemente precisato la
portata delle regole che disciplinano il riconoscimento delle decisioni relative alle procedure di insolvenza da parte degli Stati membri. La Corte ha osservato che la decisione
di apertura di una procedura di insolvenza in uno Stato membro è riconosciuta in tutti
gli altri Stati membri non appena essa produce effetto nello Stato in cui la procedura è
aperta e produce in ogni altro Stato membro, senza altra formalità, gli effetti previsti
dalla legge dello Stato di apertura. Allo stesso modo, anche il riconoscimento delle decisioni diverse da quella relativa all’apertura della procedura di insolvenza avviene
anch’esso in maniera automatica. La Corte ha concluso statuendo che dopo l’apertura di
una procedura principale di insolvenza in uno Stato membro, le autorità competenti di
un altro Stato membro, in cui non sia stata aperta alcuna procedura secondaria di insolvenza, sono tenute in linea di principio a riconoscere ed eseguire tutte le decisioni relative alla procedura principale di insolvenza e non hanno quindi il diritto di ordinare, applicando la legislazione di quest’altro Stato membro, provvedimenti esecutivi sui beni
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
del debitore dichiarato insolvente situati sul territorio del suddetto altro Stato membro,
qualora non lo permetta la legislazione dello Stato di apertura.
Il testo integrale della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, sezione
I, 21 gennaio 2010, causa C-444/07, è reperibile al seguente link:
http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=IT&Submit=rechercher&numaff=C444/07.
Privacy - Il Garante per la protezione dati in Germania si è dichiarato contrario all'acquisto di informazioni "palesemente rubate" su presunti evasori del fisco che hanno conti crrenti in Svizzera ed ha dichiarato all'agenzia di stampa tedesca Dpa di avere "forti
dubbi sulla legalita' di una tale pratica'' Secondo il Garante uno Stato che acquista informazioni ottenute illegalmente commette un delitto analogo alla ricettazione e "sarebbe assolutamente inaccettabile che gli Stati di diritto si facessero concorrenza con dati
illegali".
Appalti - A partire dal 1° gennaio 2010 è entrato in vigore il Regolamento 30 novembre
2009, n. 1177, direttamente applicabile in Italia, che prevede che le nuove soglie per gli
appalti di servizi e forniture sia di 193.000 euro, mentre per i lavori scende a 4.845.000
euro, comportando una modifica degli articoli 28 e 215 del Codice dei Contratti (d.lgs.
163/2006).
Il testo del regolamento è reperibile sul sito www.serviziocontrattipubblici.it.
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
SEGNALAZIONI DI DIRITTO
TRIBUTARIO
NORMATIVA
Sisma in Abruzzo - Prorogata al 30 giugno 2010 la sospensione di adempimenti e
versamenti tributari - Non si fa luogo al rimborso di quanto già versato. Lo ha
stabilito l'O.P.C.M. n. 3837/2009, di recente pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, in
base a quanto disposto dal D.L. Milleproroghe.
(Ordinanza Presidenza Consiglio dei Ministri 30/12/2009, n. 3837).
Doppie imposizioni - Convenzione Italia - Arabia: disposizioni applicabili dal 1°
gennaio - Entra in vigore la Convenzione Italia-Arabia Saudita per evitare le doppie
imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le
evasioni fiscali.
(Comunicato Ministero affari esteri 13/01/2010).
Doppie imposizioni - In vigore la convenzione Italia-USA - E' entrata in vigore la
Convenzione Italia-USA per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul
reddito e per prevenire le frodi o le evasioni fiscali. Lo rende noto il Ministero degli
Affari esteri, con comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale di ieri.
(Comunicato Ministero affari esteri 18/01/2010, G.U. 18/01/2010, n. 13).
INDICAZIONI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE
Comunicazione annuale dati IVA - Pronte le nuove bozze - Per indicare le cessioni e
gli acquisti di beni strumentali, sono stati inseriti, nella sezione II, Dati relativi alle
operazioni effettuate, i nuovi campi 5, nei righi CD1 (operazioni attive) e CD2
(operazioni passive).
(Bozza Comunicazione annuale dati IVA - Istruzioni Bozza Comunicazione annuale
dati IVA – Modello).
Dichiarazioni - IVA base 2010, in bozza il nuovo modello - Si tratta di una versione
semplificata del modello di dichiarazione annuale: il contribuente IVA base ha così a
disposizione un modello contenente solo i quadri di suo interesse, da utilizzare in
allegato a UNICO.
71IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 3/2010
71
SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
(Bozza Modello e istruzioni IVA Base/2010 Bozza Specifiche tecniche per la
trasmissione telematica del modello IVA 2010 Bozza Specifiche tecniche per l'invio del
modello IVA 74bis Bozza Specifiche tecniche per la trasmissione telematica della
comunicazione annuale dati IVA).
Compensazioni IVA -L' Agenzia delle Entrate ha emanato la circolare esplicativa Via libera, senza limiti, alla compensazione di crediti IVA residui maturati nel 2008 e di
quelli trimestrali relativi al 2009; niente attese per l'uso dei crediti IVA 2009 fino al
tetto di 10.000 euro annui, compensabili anche prima della presentazione della
dichiarazione, anche se il credito complessivo supera tale importo.
(Circolare Agenzia delle Entrate 15/01/2010, n. 1/E).
Imponibilità IVA - Posti barca in affitto: non si applica il regime di esenzione - Alle
operazioni di locazione di posti barca, soggette al regime di imponibilità dell'IVA, si
applica l'imposta nella misura ordinaria del 20%: si tratta di operazioni ricomprese nelle
locazioni di aree destinate a parcheggio di veicoli, escluse dal regime di esenzione
dall'imposta.
(Risoluzione Agenzia delle Entrate 19/01/2010, n. 1/E).
Trasmissione telematica dei corrispettivi - I chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate
per le imprese della GDO
Possono aderire alla facoltà di trasmissione telematica dei corrispettivi, ed essere quindi
esonerati dall'emissione degli scontrini/ricevute fiscali, anche le aziende che effettuano
prestazioni di servizi: devono essere però rispettati i requisiti dimensionali e la pluralità
di punti vendita previsti dalla legge.
(Circolare Agenzia delle Entrate 25/01/2010, n. 2/E).
GIURISPRUDENZA
Fatturazione per operazioni inesistenti - L'onere della prova passa al contribuente
- Qualora l'Amministrazione Finanziaria ritiene che le fatture riguardino operazioni
inesistenti, grava su di essa l'onere di provare che tali operazioni non siano mai state
poste in essere. Tuttavia, nel caso in cui l'Amministrazione fornisca validi elementi per
affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, l'onere della prova
passerà al contribuente.
(Sentenza Cassazione civile 30/12/2009, n. 28057).
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
Reddito d'impresa -I beni storici concorrono alle sua determinazione - I canoni
prodotti dalla locazione di immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, che
siano oggetto dell'impresa, rappresentano dei ricavi e in quanto tali rientrano nella
determinazione della base imponibile delle imposte dirette.
(Sentenza Cassazione civile 16/12/2009, n. 26343).
Cessione di quote sociali - L'imposta di registro è unica - L'atto di cessione di quote
sociali, ancorché contenga una pluralità di cessioni di quote, è comunque soggetto ad
un'unica imposta di registro in misura fissa.
(Sentenza Commissione tributaria provinciale Varese 06/10/2009, n. 122).
Definizione agevolata - Spetta all'A.F. accertare gli effetti voluti dal contribuente Qualora la definizione agevolata di una lite pendente sia intervenuta sulla base di
dichiarazione integrativa affetta da errore materiale, gli uffici finanziari devono
accertare, in base agli elementi in esse contenuti, quali effetti i contribuenti abbiano
inteso conseguire.
(Sentenza Cassazione civile 21/12/2009, n. 26862).
Dichiarazione IVA - L'impiego di nuova mano d'opera legittima l'accertamento Se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale Iva, l'ufficio finanziario
può procedere all'accertamento dell'imposta dovuta sull'unico rilievo dell'aumentato
impiego di dipendenti e indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità.
(Sentenza Cassazione civile 30/12/2009, n. 28047).
Regime IVA speciale - Applicabilità ai soci costituiti in imprese agricole individuali
- Le cooperative agricole nelle quali una pluralità di imprenditori conferiscono la
conduzione delle proprie aziende e dei prodotti allo scopo di ottenere una migliore
redditività delle imprese sono suscettibili di fruire delle agevolazioni previste dal
decreto IVA per i produttori agricoli.
(Sentenza Commissione tributaria regionale Lazio 11/12/2009, n. 220).
Rimborso IVA - Non spetta il rimborso sugli acquisti destinati ad attività esenti Conformemente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, le Sezioni Unite della
Cassazione ribadiscono che non sono esenti da IVA gli acquisti di beni destinati ad
un'attività a sua volta esentata (ad esempio, quella sanitaria), in quanto l'esenzione si
applica unicamente alla rivendita di beni preliminarmente acquistati da un soggetto
passivo per le esigenze di un'attività esentata senza poter detrarre la relativa imposta.
(Sentenza Cassazione civile 13/01/2010, n. 355).
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
Contributi UE - Detraibilità IVA e deducibilità IRAP per i produttori agricoli - I
costi sostenuti dall'organizzazione di produttori agricoli per l'acquisto di beni e servizi
inerenti all'esercizio d'impresa sono deducibili ai fini IRAP e l'IVA scontata sulle
relative operazioni è detraibile, non avendo alcuna influenza sulla deducibilità e sulla
detraibilità la provenienza delle risorse utilizzate da contributi esenti da imposte.
(Sentenza Cassazione civile 30/12/2009, n. 28048).
Accertamento bancario - Intestazione fittizia, l'onere della prova grava sul Fisco - I
movimenti bancari rispetto ai quali è dato presumere il riferimento ad operazioni
tassabili sono quelli dei conti intestati o cointestati al contribuente; mentre per i conti
intestati a persone diverse, ancorchè legate al contribuente da vincoli familiari o
commerciali, la presunzione non sussiste, salvo che l'Ufficio non provi che
l'intestazione è fittizia.
(Ordinanza Cassazione civile 04/12/2009, n. 25623).
Atti impugnabili - L'invito bonario vale come avviso di accertamento - L'avviso
bonario è valido quale avviso di accertamento o di liquidazione, anche quando manca
dei requisiti formali richiesti dalla legge per la cartella di pagamento.
(Sentenza Cassazione civile 09/12/2009, n. 25699).
Accertamenti riferiti a periodi d'imposta diversi - Se fondati sulla stessa attività
d'indagine, l'illegittimità inficia entrambi gli atti - L'autonomia dei periodi d'imposta
non vale ad escludere che l'accertamento giudiziale dell'obbligazione relativa ad un
singolo periodo possa implicare anche l'accertamento di una questione capace di fare
stato, con forza di giudicato, nel giudizio relativo all'obbligazione sorta in un periodo
d'imposta diverso.
(Sentenza Cassazione civile 21/12/2009, n. 26840).
Accertamento induttivo - E' legittimo se fondato su bolle di accompagnamento
alterate - E' legittimo l'accertamento ai fini Iva se basato sull'alterazione dei dati
relativi alle quantità di bolle di accompagnamento di merci vendute.
(Sentenza Cassazione civile 16/12/2009, n. 26340).
Detrazione IVA - Non basta il possesso della qualifica di imprenditore - Non è
legittima la detrazione dell'IVA pagata in rivalsa dal contribuente per l'acquisto di beni
e servizi relativi ad immobili dati in locazione a terzi al di fuori dell'attività propria
dell'impresa e, per ciò, non direttamente strumentali alla specifica attività di quel
soggetto.
(Sentenza Cassazione civile 12/01/2010, n. 281).
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
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74
SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
Verifiche fiscali - Legittime anche se l'oggetto è ampliato senza autorizzazione - A
fronte di una verifica individuata nell'incarico di accesso, finalizzata al controllo del
raffronto fra i prezzi praticati a terzi e alle societa consociate, gli impiegati
dell'Amministrazione finanziaria possono legittimamente, senza alcuna autorizzazione
del loro capo, cambiare ed ampliare l'oggetto della verifica.
(Sentenza Cassazione civile 16/12/2009, n. 26321).
Violazione di circolari ministeriali - Non è ammesso il ricorso per Cassazione - La
violazione di circolari ministeriali non può costituire motivo di ricorso per cassazione
sotto il profilo della violazione di legge, non contenendo norme di diritto, ma essendo
piuttosto qualificabili come atti unilaterali, in riferimento ai quali può essere denunciata
per cassazione soltanto la violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale.
(Ordinanza Cassazione civile 05/01/2010, n. 35).
Accertamento - Per legittimarlo basta l'inattendibilità complessiva delle fatture Anche in mancanza dell'analitica ricostruzione, caso per caso, delle operazioni sottese
alle fatture che si assumono fittizie, la complessiva inattendibilità delle fatture è
circostanza di per sè idonea a legittimare l'accertamento e a determinare il ribaltamento
dell'onere della prova sul contribuente, chiamato a dimostrare l'effettiva esistenza delle
operazioni.
(Ordinanza Cassazione civile 29/12/2009, n. 27546).
Prove irrituali - Vasi comunicanti tra procedimento penale e tributario - Sussiste
una completa autonomia tra il procedimento penale ed il processo tributario per i quali
vanno seguite le norme dei corrispondenti codici di rito e, mentre il principio di
inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita è norma peculiare del procedimento
penale non costituisce, invece, principio generale dell'ordinamento giuridico.
(Sentenza Cassazione civile 20/01/2010, n. 857).
OSSERVATORIO COMUNITARIO
Trasporto di persone - La Commissione UE autorizza l'Italia al calcolo
approssimativo delle quote IVA - Per il calcolo della base delle risorse proprie
provenienti dall'IVA a decorrere dal 1° gennaio 2009, l'Italia è autorizzata a ricorrere a
valutazioni approssimative relative alle operazioni di trasporto di persone.
(Decisione Commissione UE 22/12/2009).
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
3/2010
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
Spese detraibili - Per i beni immobili ad utilizzo promiscuo è detraibile solo la
parte di uso ai fini professionali - La detrazione delle spese relative ad un bene
immobile facente parte del patrimonio dell'impresa di un soggetto passivo e da questi
destinato all'attività dell'impresa e al proprio uso privato o all'uso del suo personale o,
più in generale, a fini estranei a quelli dell'impresa è ammissibile solo limitatamente alla
parte di uso del bene ai fini delle attività dell'impresa del soggetto passivo.
(Direttiva Consiglio delle Comunità Europee 22/12/2009, n. 2009/162).
Atti fiscali notificati ai cittadini europei - Deve essere garantita la traduzione del
provvedimento - I giudici dello Stato membro in cui ha sede l'autorità adita non sono
competenti a verificare l'esecutorietà del titolo esecutivo che consente il recupero;
possono solo verificare la validità o la regolarità dei provvedimenti di esecuzione, come
la notifica del titolo esecutivo. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia CE nel procedimento
C-233/08, precisando inoltre che il diritto di difesa del destinatario dell'atto esecutivo
proveniente dall'autorità di altro Stato membro deve essere garantito anche attraverso la
traduzione del provvedimento nella lingua ufficiale dello Stato membro di residenza.
(Sentenza Corte Giust. CE 14/01/2010, n. C-233/08).
Termine di prescrizione - Legittimo il termine triennale per la proposizione delle
domande di rimborso IVA - Il termine di prescrizione triennale, stabilito dall'art. 18, n.
4, della direttiva n. 77/388/CE rispetta i principi comunitari di equivalenza e di
effettività. Lo ha chiarito la Corte di Giustizia CE nella sentenza 21 gennaio 2010, C472/08.
(Sentenza Corte Giust. CE 21/01/2010, n. C-472/08).
Transfer pricing - Imposizione di benefici straordinari o senza contropartita:
condizioni - Nella sentenza alla causa C-311/08, Società de Gestion Industrielle, del 21
gennaio scorso, la Corte di Giustizia CE valuta conforme agli articoli 43 e 48 del
Trattato istitutivo l'art. 26 del Codice belga delle imposte sui redditi qualora non
imponga un onere probatorio eccessivamente gravoso a carico del contribuente.
(Sentenza Corte Giust. CE 21/01/2010, n. C-311/08).
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N.
3/2010
76
NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI
IL
NUOVO DIRITTO
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