giornale amedit - marzo 2010 - Centro Ortopedico Siciliano

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giornale amedit - marzo 2010 - Centro Ortopedico Siciliano
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Trimestrale di Storia, Arte, Cultura, Costume, Società. Anno I – N° 2 - Marzo 2010. Iscrizione al Trib unale di Caltagirone n° 1/2009 del 17.12.2009.
A cura dell’Associazione “Amedit-Amici del Mediterraneo”, Palagonia (CT). Distribuzione Gratuita. Redazione: [email protected]
IL MEDITERRANEO:
DA LUOGO DI SCAMBIO CULTURALE A
CIMITERO A CIELO APERTO
Pag. 2
PALAGONIA: TRENT’ANNI FA LO
SCIOPERO DELL’ACQUA
Pag. 7
ARANCIA A POLPA ROSSA:
ORO ROSSO DI SICILIA
DUCEZIO, CONDOTTIERO DEI SICULI
Pag. 5
Pag. 7
IL SANTUARIO DEI GEMELLI PALICI
A “ROCCHICELLA” (MINEO-PALAGONIA)
Pag. 9
INTERVISTA AL TEATRO DEL TENORE
ANDREA ANTONIO SIRAGUSA
Pag. 15
LA LOTTA ASPERRIMA PER LA
CONQUISTA DELL’EX FEUDO DEL
PRINCIPE DI PALAGONIA
Pag. 10
MITO E SURREALISMO POETICO
NELL’OPERA DI RITA DELLE NOCI
Pag. 18
VISIONI URLATE
I LUOGHI DELLA FOLLIA NEL CINEMA
Caltagirone: Fu il teatro Garibaldi (3) ∞ Grammichele: Premiazione 3° Concorso Fotografico promosso
dagli Amici del Garbo (6) ∞ Quella preziosa eredità dei nostri padri nei Riti della Settimana Santa (12) ∞
Vincenzo Di Silvestro “from Manatthan to Palagonia” (13) ∞ Anzikitanza – “questione di stile” (14) ∞ I “To
En” festeggiano il loro ventennale “nel silenzio” (14) ∞ Catania: Ateliers dell’Immaginario Autobiografico
(16) ∞ Ass. Sportiva Virtus Palagonia (21) ∞ Caltagirone: “Visioni e fiori d'artista” e “Scala infiorata in
progress” (22) ∞ “Famiglie a Teatro” la rassegna di teatro per l'infanzia (22) ∞ Il dramma di Haiti visto con
gli occhi dei bambini (23) ∞ Colonna vertebrale e scoliosi – Informazioni conoscenze e soluzioni (24).
Antonello Morsillo, “Sofia Stolz”
Pag. 19
Mauro
Carosio
IL MEDITERRANEO:
DA LUOGO DI SCAMBIO CULTURALE
A CIMITERO A CIELO APERTO
un terrorista. Di conseguenza, le imbarcazioni che si avvicinano
alle coste italiane qualcuno le vede, ma gli occhi drogati dal
timore per la sicurezza percepiscono solo volti di nemici
agguerriti che hanno fame non di cibo, ma delle nostre vite.
Dimenticando, ovviamente, che per un clandestino respinto (e
magari annegato) nel Mediterraneo, altri dieci entrano e sono
perfettamente funzionali, anzi indispensabili al sistema
economico che abbiamo creato.
La storia del Mediterraneo, tuttavia, è anche segnata da vicende
di altro tipo e di altra statura. Una storia fatta da millenni di
migrazioni, sotto forma di invasioni, conquiste e saccheggi, ma
anche di scambi, confronti e trasformazioni reciproche di popoli
provenienti da foreste, steppe e deserti. La circolazione degli
uomini, ma anche degli animali, delle piante, delle tecniche e
delle religioni, è stata talmente intensa che alla fine risulta
difficile distinguere ciò che è stato elaborato all’interno del
crogiolo mediterraneo e ciò che è arrivato dall’esterno.
Nei mesi scorsi ha fatto scalpore la notizia di una nave da
crociera che aveva attraccato in prossimità delle coste di Haiti,
con i vacanzieri a bordo, nonostante l’sola fosse stata appena
colpita da uno spaventoso terremoto. Scelta discutibile, in effetti;
ma non andrebbe dimenticato che ogni giorno le navi da crociera
del Mediterraneo solcano acque che si stanno tragicamente
trasformando in un luogo dove esseri umani provenienti dai
paesi più poveri del pianeta incontrano sempre più spesso la
morte. Il “Mare Magnum” di romana memoria è diventato un
cimitero a cielo aperto nel quale i migranti trovano una
vergognosa e macabra sepoltura. Alcune cifre recenti possono
servire da esempio:
16 giugno 2008: 40 morti e 100 dispersi al largo di Lampedusa.
20 agosto 2009: un’imbarcazione con 5 sopravvissuti eritrei in
condizioni fisiche allo stremo, giunge in territorio italiano; 73 loro
connazionali sono periti durante la traversata, non essendo stati
soccorsi da alcuni natanti che transitavano nei pressi.
26 ottobre 2009: 298 migranti approdano a Pozzallo (Ragusa).
Le richieste di aiuto inviate a Malta e alla Libia erano state
rifiutate; qualcuno di loro non ce l’ha fatta.
La Costituzione Italiana (art. 10, comma 3) recita a proposito del
diritto d’asilo: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese
l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla
Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della
Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Le leggi
varate dal nostro paese rispettano il dettato costituzionale e la
normativa europea? Gli episodi recenti, che hanno visto
respingere verso la Libia barche cariche di migranti prima
dell’attracco al suolo italiano, e dunque senza possibilità di
identificazione, certamente violano i principi concernenti il diritto
d’asilo, dal momento che a bordo potevano esserci rifugiati
provenienti da paesi nei quali la vita degli individui è minacciata
da guerre e regimi dittatoriali, e i basilari diritti alla libertà e alla
sicurezza sono minacciati e conculcati. Per quanto inumani, tali
provvedimenti trovano però un ampio consenso nell’opinione
pubblica, presso la quale lo straniero continua a costituire una
minaccia secondo la notoria equazione straniero-estraneodiverso-nemico. Si tratta di un’idea che, al di là di timori atavici,
viene continuamente ribadita e sostenuta dalla volontà dei
governi europei; delinquenza comune e minaccia terroristica
sono gli strumenti della propaganda, con i quali si crea un clima
di paura che fa passare in secondo piano altri, ben più gravi
problemi: la crescita della sperequazione economica, il
decadimento morale, civile e politico delle nostre società, la
perdita di competitività sul piano internazionale, le guerre
scatenate per salvaguardare gli interessi economici occidentali, e
così via. Il migrante diventa potenzialmente un criminale e/o
Un mare circondato da terre, il Mediterraneo: Mare Magnum per i
Romani, Al-Bahr Almutawassit (la superficie d’acqua che si trova
di mezzo) secondo gli Arabi, per molto tempo il Mediterraneo è
stato un polo di grande attrazione, raffigurato al centro di tutte le
carte geografiche, oltre che il luogo di incontro delle tre religioni
monoteiste diffuse tra Oriente e Occidente.
Il contatto tra il mondo arabo-persiano musulmano e l’Europa
avviene infatti tramite il bacino del Mediterraneo. Nel 827 gli
Arabi di Tunisia sbarcano a Mazara. In Sicilia, la lunga
permanenza araba significò impulso economico e sviluppo
sociale, l’importazione di progredite tecniche agricole e il
trapianto di una cultura e di un’arte raffinata che hanno lasciato
splendide tracce trasferite in Europa attraverso i Normanni e gli
Svevi di Federico II.
E’ grazie al Mediterraneo che fino alla scoperta dell’America,
possono verificarsi scambi mercantili (commercio di oro dal
Sudan o di seta dalla Cina), militari, religiosi (i pellegrinaggi) e,
non di meno, artistici e intellettuali. Le città più attive su questi
fronti hanno nomi che possiedono una forte potenza evocativa
cosmopolita: Cartagine, Alessandria, Bisanzio, Palermo,
Genova, Venezia e altre ancora.
Tuttavia oggi, a quanto pare, i potenti della terra preferiscono
non ricordare questi antichi splendori, e ci chiamano invece a
uno “scontro fra civiltà” che invocano e creano nel momento
stesso in cui dicono di temerlo. Dimenticando le origini meticce
della stessa Europa, figlia di un re fenicio e dunque semita
(come Ebrei e Arabi), rapita da Zeus, divinità indoeuropea,
nell’era contemporanea si finisce per inseguire una “limpieza de
sangre” del tutto estranea alla parte migliore della storia europea
e, soprattutto, italiana. │
2
Giuseppe Maggiore
“AMEDIT: VOLONTA’ IN AZIONE”
Da un “Luogo-Non Luogo” giungono segnali d’una realtà
confusa e allo sbaraglio. Non c’è un centro, né una periferia…
Solo un agglomerato di case disadorne, con le facciate lasciate
al nudo di fabbrica, addossate a schiera le une alle altre; Un
mucchio di case senza monumenti né antiche vestigia, con
opere pubbliche che odorano di soldi buttati al vento, o chissà
dove, e immerso tra lussureggianti aranceti che presto
odoreranno di zagara. Già, la zagara! Futura promessa di una
nuova crisi agrumicola che vedrà l’ennesimo malcontento,
l’ennesima conferenza… La gente la puoi incontrare solo nel
chiuso d’una chiesa, dove si perpetua un rito millenario. In luoghi
virtuali si consumano chiacchiere e inutili vanesii di chi vorrebbe
– forse – un cambiamento: C’è chi vede nella politica la causa
d’ogni male; chi nella contestazione vede il suo perenne
impegno; e c’è chi ritiene possedere sufficiente e illuminante
sapienza indicando improbabili soluzioni. Giovani esuli invidiano
realtà più “evolute” e propongono di piantare tavoli dappertutto
per consumare un drink… Tutto questo è Cultura.
Da una “Città-Dormitorio” si diramano, caparbi, i segnali d’un
travagliato fermento culturale dai più volutamente ignorato. Tra le
pagine dei quotidiani non v’è posto per liete novelle, ma solo per
droga, sangue, rapine, arresti… Non fa cronaca la volontà di chi
lotta contro i mulini a vento. Una mostra, un concerto, un
convegno son cose di dubbio gusto, inutili passatempi, facili
espedienti per altri fini, o – come qualcuno ritiene - un prostituirsi
all’Amministrazione di turno. Tutto questo è Cultura.
Questa è la realtà in cui opera l’Amedit. E tuttavia eccola ancora
qui, imperterrita, quest’ostinata associazione “culturale”…
Lontana dai clamori e da sterili chiacchiericci; incurante di forme
d’approvazione che lasciano il tempo che trovano… Senza una
sede dove riunirsi e senza un referente che le faccia da
“Padrino”. Non importa.
Non è nostra l’utopia che fu di chi ci ha preceduto – Ercole
Ponte, Gaetano Ponte, Michele Megna (i cui nomi sono ignoti a
quanti ci leggono in realtà lontane, non meno di quanto lo siano
ai cittadini di questo “Non Luogo”) – non abbiamo quella pretesa
di “voler cambiare qualcosa” che accompagnò la loro azione e le
loro lotte. Solo, ci anima, un sano fine egoistico, quel libero
slancio che ci fa essere “Volontà in Azione”.
E dunque eccoci a questa nostra nuova impresa, il Giornale
Amedit già al secondo numero, dopo avere svolto altri eventi,
quali i concerti tenuti dal Trio Novecento che hanno allietato tra
dicembre e il primo bimestre del nuovo anno vari centri dell’area
etnea; l’Azzurro Natale che ci ha visti lo scorso dicembre in un
fitto cartellone di attività, insieme ad altre associazioni cittadine; il
Meeting per la Prevenzione delle Patologie Vertebrali tenuto dal
Dott. Biagio Iemolo, lo scorso febbraio; ed ancora la
Presentazione del Fondo Fotografico del Vulcanologo Gaetano
Ponte, tenuta dagli esponenti dell’INGV, i dottori Alessandro
Bonaccorso e Stefano Branca, il 13 marzo. Ancora altri
appuntamenti seguiranno, tra cui: la presentazione del volume
didattico “Alla riscoperta della terra dei Siculi: il santuario dei
Palici nell’area archeologica di Rocchicella”, di Laura
Maniscalco; e un incontro con relativa mostra per ricordare il più
nobile dei figli dei Palici: Michele Megna. E intanto diamo il
benvenuto ai nostri nuovi arrivati, Gabriella Compagnini e Luca
Bardaro che, insieme agli altri membri, hanno accolto questa
sfida con se stessi. Tutto il resto son parole, e… altra cultura. │
Gianni Amato
CALTAGIRONE
FU IL TEATRO COMUNALE GARIBALDI
Domenica 7 Marzo 2010 presso la Galleria Luigi Sturzo a
Caltagirone si è svolta una manifestazione promossa
dall'Associazione per il ripristino del Teatro Comunale di
Caltagirone presieduta dall'Avvocato Biagio Pace. L'iniziativa ha
avuto tra le sue finalità la riscoperta e valorizzazione del Teatro
Comunale Garibaldi (adesso Galleria L. Sturzo) che proprio nel
Marzo del 1954 è stato demolito dopo 131 anni di attività.
Nel corso del tempo questo Teatro all'italiana, tra i più importanti
dell'epoca, ha ospitato una ricca programmazione di Lirica,
Prosa e Musica Classica ma soprattutto ha rappresentato
un'occasione irripetibile per la nascita e la crescita di maestranze
prestigiose anche a ragione della tradizione ceramistica. Era,
infatti, una singolare esposizione dell'arte dei migliori scultori e
figurinai calatini – Bongiovanni, Vaccaro, Bonanno, Failla - che
firmarono medaglioni e pannelli. Valenti pittori del calibro di
Francesco Vaccaro realizzarono i dipinti della volta e del telone
del proscenio. Il Teatro ha inoltre contribuito alla formazione di
musicisti, cantanti e compositori calatini tra i quali Gaetano
Crescimanno e Luigi Sturzo. L'intento dell'iniziativa è stato quello
di sensibilizzare le Istituzioni locali al recupero di uno spazio
importante per la vita culturale e sociale del Comprensorio del
Calatino anche attivando presso l'opinione pubblica un dibattito
sui temi della Cultura come strumento di crescita civile.
Nel corso della manifestazione si è esibito il Coro femminile
dell'Accademia Calatina per la Musica diretto dal M° Sabino
Napolitano. Inoltre sono stati esposti alcuni arredi interni del
Teatro gentilmente concessi dal Comune di Caltagirone direzione dei Musei Civici.
All'iniziativa hanno inoltre aderito la Legambiente, l'Accademia
Calatina per la Musica e le Associazioni Culturali ArteMusica e
Nave Argo. Oltre mille adesioni si sono già registrate al gruppo
che su Facebook chiede la ricostruzione del teatro Garibaldi a
Caltagirone, "Il teatro per una città - spiega Biagio Pace Gravina,
promotore dell'iniziativa su Internet - è il luogo d'incontro per
eccellenza, da sempre. I cittadini di tutte le epoche si riuniscono
nei teatri e nelle arene per apprezzare l'arte ma anche per
discutere e affrontare, tutti insieme, i problemi della città, per
non restare sempre più soli. Ecco perché rivogliamo il nostro
Teatro rimarginando, così, una vecchia ferita al motto: 'non c'é
futuro senza cultura... non c'é cultura senza teatro". │
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Luca
Bardaro
Arancia a polpa rossa:
oro rosso di Sicilia
Le origini di questo straordinario frutto sono sicuramente
orientali, viene introdotto nel Mediterraneo intorno al X sec. circa,
inizialmente con l’arrivo dell’arancio amaro usato solo per scopi
religiosi
e ornamentali. L’arancia dolce, di origine quasi
certamente cinese, intorno al XIV secolo approdò in Europa
grazie ai marinai portoghesi (ancora oggi in alcune zone viene
chiamata “Portual”). A partire dal XVIII secolo, con l’arrivo degli
arabi nel meridione d’Italia, furono scoperte le qualità nutrizionali
di questo prodotto e così il consumo di arance si diffuse anche a
livello popolare. Nella seconda metà del XIX sec. a Palagonia
quasi tutti i terreni adibiti alle coltivazioni arboree come l’ ulivo o
il sommacco vengono trasformati in aranceti ,soprattutto quelli
vicini al fiume Catalfaro di cui se ne sfruttava l’acqua per
l’irrigazione estiva. I primi agrumeti sono a sesto d’impianto di
forma triangolare volgarmente detti “a piedi di gallina” per
sfruttare più quantitativo di terra e solo dopo le prime emigrazioni
nel nord-America si sono molto diffusi gli impianti a forma
Quadrangolare. Le varietà sono due:
1)Bionde: Navelina, Ovale, Valencia;
2)Rosse o pigmentate: Sanguinello, Moro, Tarocco;
Mentre le bionde sono molto diffuse in tutto il mondo, le “Polpa
Rossa” sono un peculiarità del territorio che comprende la zona
della Sicilia Orientale posta a sud-ovest dell’Etna tra le province
di Catania, Enna e Siracusa, dove il comune di Palagonia
occupa un ruolo di prestigio. Le tre varietà di arance rosse hanno
ottenuto dall’Unione Europea la certificazione I.G.P. (indicazione
geografica protetta). Il sanguinello (quasi in estinzione) presenta
una forma oblunga o sferica con calibro medio, raggiunge la sua
maturazione a febbraio e la raccolta avviene a
marzo-aprile,la buccia e di colore arancio intenso con sfumature
rosse,la polpa è quasi senza semi presenta colore arancione con
variegature sanguigne,molto succosa e di sapore eccellente. Il
Moro è la prima a maturare delle rosse e si può gustare da
dicembre fino a marzo,ha un calibro medio e forma fra la sferica
e l’ovoidale; la buccia mostra colore arancione con sfumature
rosso vinose,la polpa senza semi è interamente di colore rosso
scuro,la resa del succo è molto elevata con sapore
gradevolissimo leggermente acidulo. Il Tarocco comincia a
maturare a metà dicembre nelle zone collinari e finisce a maggio
nelle zone tardive,ha un grosso calibro e forma sferica con
tendenza all’ovoidale,si distingue per il collare o “muso” più o
meno pronunciato;la buccia è di colore giallo-arancione
arrossato su oltre la metà della superficie,la polpa priva di semi
ha colore giallo arancione con svariate pigmentazioni rossastre
più o meno intense secondo il periodo di raccolta ,abbastanza
succosa e molto gustosa ,attualmente è la varietà più diffusa ed
esistono varie tipologie (tarocco Gallo, tarocco Nucellare, tarocco
Sciré, ecc). Il connubio tra territorio prevalentemente vulcanico e
fattore climatico con forti escursioni termiche permette la
pigmentazione favorendo cosi la presenza di particolari sostanze
chiamate antocianine, tali sostanze esercitano una potente
azione antiossidante nei confronti dei radichali liberi responsabili
di ledere in maniera piuttosto grave le cellule, facilitando sia’
invecchiamento nonché l insorgere di cellule tumorali.
Le rosse di Sicilia contengono un forte quantitativo di vitamina
C(80-90 mg per 100 g di prodotto pari al 40 % in più rispetto agli
altri agrumi) rendendole un ottimo vaccino naturale contro
(SEGUE A PAG. 6)
5
queste qualità rendono questo magnifico frutto unico ed
inimitabile in tutto il mondo rendendolo patrimonio da
salvaguardare.
La situazione attuale
l’influenza . Sono ricche di vitamine A, B1, B2 e numerosi Sali
minerali come il calcio, fosforo, potassio, ferro,selenio e sodio
combattendo così numerose malattie cardiovascolari come l’
ipertensione, coronaropatie, disfunzioni cardiache ,arteriosclerosi
e infarto. Essendo un frutto ipocalorico (contiene circa 34 calorie
per 100 grammi di succo) può essere consumato anche da
persone affette da diabete. Recenti studi hanno dimostrato che
“le arance rosse” hanno capacità farmacologiche in caso di
fragilità capillare. Inoltre, per la retina, pare che migliorino la
sensibilità dell’ occhio nella visibilità notturna. Ma l’aspetto più
importante é che la presenza di Flavolone (elemento di maggior
protezione nei confronti del tumore allo stomaco) assieme alle
già citate Antocianine le fanno diventare un prezioso alimento
capace di prevenire il cancro come già sostenuto da numerosi
oncologi in particolare dal prof. Veronesi in un articolo pubblicato
recentemente su”repubblica”.Non a caso “le arance a polpa
rossa” sono protagoniste ogni anno in tutte le piazze d’Italia
assieme all’A.I.R.C.(associazione italiana per la ricerca sul
cancro) promuovendo la campagna “Arance della salute”. Tutte
Premiazione terzo Concorso fotografico
promosso dagli Amici del Garb●-laboratorio
di idee
GRAMMICHELE
Da quando nell’ottobre del 2007 si è costituito il laboratorio di
idee “Amici del Garbo”, il loro obiettivo è sempre stato quello di
creare e dare vita a iniziative culturali radicate nel territorio. Il
gruppo, costituito da Cinzia Piccolo, Giuseppe Branciforte,
Gisella Salafia, Silvio Cubisino, Rosetta Distefano, Carlo Savoca
e Michele Grosso, attraverso le proprie iniziative si propone di far
conoscere meglio il territorio in cui opera, i suoi personaggi, le
sue contraddizioni, i suoi processi virtuosi. Così è stato anche
per la terza edizione del concorso fotografico, conclusasi con la
premiazione avvenuta l’11 gennaio scorso in una sala
dell’Agriturismo “Valle dei Margi” gremita di visitatori provenienti
da varie parti della Sicilia, i quali hanno avuto modo di ammirare
le opere fotografiche in mostra. Il tema di quest’anno, scelto per
esplorare e documentare le relazioni tra Fotografia, Territorio e
l’Identità di chi fotografa, ha voluto ricercare - attraverso la
fotografia e a partire dal vissuto di ogni partecipante - l’essenza e
il carattere dei territori, per meglio interpretare il rapporto tra gli
abitanti e gli spazi della loro vita.
Nell’ era della globalizzazione, nonostante le innumerevoli qualità
sopra elencate l‘Oro rosso ha smesso di brillare, infatti è da un
pò di anni che il mercato è andato in una crisi profonda,
quest’anno sfiorando addirittura la drammaticità. Le
responsabilità sono sicuramente da attribuire a tutte le categorie
pertinenti, ma a farne le spese sono soprattutto i produttori. Molti
di loro sostengono che la filiera sia troppo lunga (6 o più
passaggi), mancanza totale di controllo dei prezzi (assurdo che
un prodotto venduto dal produttore a 15 cent. Arrivi al
consumatore non meno di 3 euro al kg), inadeguata campagna
pubblicitaria ( vedi l‘influenza A/H1N1, prodotti disinfettanti come
l’Amuchina sono andati a ruba), complici anche le avversità
atmosferiche degli ultimi anni e la crisi globale che hanno
alimentato un vero e proprio stato comatoso della situazione.
Bisogna aggiungere anche i costi di produzione cresciuti
vertiginosamente con l’avvento dell’ euro ed in più la spietata
concorrenza degli altri paesi che producendo solo arance bionde
riescono ad esportare molto di più(Spagna 40%,Italia 7%).A
tutto questo, le istituzioni non riescono a dare adeguate risposte.
Quali potrebbero essere le possibili soluzioni è difficile stabilirlo,
c’ è chi sostiene che degli aiuti per gli esosi costi di produzione,
la regolamentazione di un minimo prezzo di mercato per tutti,
nonché l’attuazione di un’efficace strategia di marketing per
esaltare le proprietà dietetico-farmacologiche dell’arancia
potrebbe essere un buon punto di partenza. E parlando di
promozione non si può certo ignorare come certe
amministrazioni locali abbiano tal volta scambiato una seria
campagna di promozione con viaggi-gite premio per qualche
consigliere o impiegato comunale all’estero o organizzando
sagre tipo spot elettorali per il politico di turno. Senza una reale
presa di coscienza non si esce sicuramente dalla depressione
socio-economica e culturale in cui ci si trova. Urge profonda
riflessione. │
L’evento ha visto la partecipazione di ben 65 autori, quest’anno
soprattutto siciliani, per un totale di circa 170 foto.
Tutti gli elaborati pervenuti sono stati valutati da una giuria
tecnica, composta da: Ninni Romeo, Cristina Ferraiuolo e
Massimo Nicolaci e da una giuria artistica, composta da: Ariella
Leone e Italo Piazza, la cui scelta è ricaduta su una rosa di 20
foto finaliste. Al terzo posto, per la delicatezza, l’armonia e la
consapevolezza stilistica della composizione, si è classificata la
foto “L’estate”, scattata da Paolo Mazzarisi, di Grotte (Ag).
Seconda classificata “La domenica di Gibellina nuova”, perché
riesce a trasmettere la precarietà dell’uomo, il suo
disorientamento in contesti architettonici fuori scala umana,
scattata da Giuseppe La Colla, di Castelvetrano (Tp). Per
l’interessante equilibrio tra antico e moderno che la rende
atemporale, attraverso un continuo gioco di tenui richiami, si è
aggiudicata il primo premio la foto “Cantami una canzone”, di
Angelo Miele, Carmagnola (To). Tra gli interventi più significativi,
quello di Michele Germanà, Presidente Agenzia per il
Mediterraneo, che ha esposto l’importanza dei Gruppi di Azione
Locale (GAL), quale opportunità per lo sviluppo del territorio; di
Giuseppe Maggiore, Presidente Associazione socio-culturale
“AMEDIT - Amici del Mediterraneo”, che attraverso la propria
esperienza nel territorio ha sottolineato l’importanza dell’impegno
giovanile a favore della cultura; dell’On. Concetta Raia che, in un
excursus storico, ha messo in evidenza le potenzialità del nostro
territorio. E per finire i saluti del Sindaco di Grammichele e del
Consigliere provinciale Giacomo Porrovecchio.
Inoltre, negli ambienti dell’Agriturismo è stata allestita
un’esposizione di pittura paesaggistica, per coinvolgere e
valorizzare artisti locali che della rappresentazione della propria
Terra hanno fatto il loro punto di forza, e una mostra che ha
riproposto le foto delle due precedenti edizioni del concorso
fotografico. │
Comunicato AdG
6
GIOVANI IN
MOVIMENTO
Gaetano Interlandi
DUCEZIO, CONDOTTIERO DEI SICULI
Palagonia:
trent’anni fa
lo Sciopero
dell’Acqua
Come ben sappiamo, la carenza di acqua è una di quelle
problematiche che affligge, da tempo immemore, il nostro
territorio. Tutti, inoltre, conosciamo l'utilità di questo bene
primario, fondamentale tanto per i più svariati usi nella vita
di tutti i giorni, quanto per l'irrigazione dei campi (e
sappiamo anche quanto l'economia del nostro territorio sia
dipendente dall'agricoltura).
Cosa accade, quindi, quando questa viene a mancare, e
quando alla carenza naturale di questo importantissimo
bene
si
somma
l'incapacità
delle
istituzioni?
Palagonia, aprile 1980, sciopero dell'acqua: la popolazione
palagonese, in preda all'ira, decide di agire; è il 12 aprile, e
dopo un lungo periodo nel quale la città è stata messa a
dura prova, la logica conseguenza di quaranta giorni di sete
è l'insurrezione: niente e nessuno è risparmiato, dalle sedi
di partito (non importa di quale colore politico), alla
segreteria comunale, alla sede dell'esattoria; la folla
reclama a gran voce l'acqua, non vuole sentire ragioni. La
rivolta dà i suoi frutti, e la situazione migliora, il commissario
straordinario Lo Franco, che si sostituisce a una giunta
decisamente inadeguata che non riesce a risolvere il
problema, si pone come mediatore tra il comune e la
regione, con la decisione di affidare l'approvvigionamento
idrico a tre pozzi privati, Blandini, Frangello e S. Antonio
(seppur temporaneamente).
Per la seconda volta nella storia del paese, dopo quella che
è stata la conquista delle terre nel 1903, il malessere
comune è stato propulsore di un'azione collettiva, di un
episodio di coesione, di unità, che si è imposto al fine di
modificare lo status quo a Palagonia.
Andando, quindi, al di là della vicenda storica stessa, cosa
ci insegna l'avvenimento importantissimo dello sciopero
dell'acqua? Quale importante insegnamento ci lascia il
passato, dopo questa vicenda? In che modo la storia si
pone come “magistra vitae”?
Il senso dell'importanza di ciò che è pubblico, di ciò che è,
come l'acqua, diritto insindacabile della popolazione,
volontà di far fronte comune contro il problema di una
politica tendente a rendere privato ciò che dovrebbe
assolutamente essere pubblico; ma siamo sicuri che tutto
ciò l'abbiamo veramente imparato? Siamo sicuri che a
Palagonia si stia veramente pensando all'interesse
collettivo, e non ad altro? Siamo sicuri che la
privatizzazione, oggi come in passato, non possa portare
alla speculazione, danneggiando la comunità, e privandola
di ciò che le spetta? Le risposte non le forniamo di certo noi,
il nostro compito è quello di documentare: se non altro, ci
auguriamo che Palagonia possa ritrovare quel senso critico
che ha portato al miglioramento nell' '80, e che, oggi,
sembra essere stato perso. │
“L'INTELLIGENZA NON AVRA' MAI
PESO MAI NEL GIUDIZIO DI QUESTA
PUBBLICA OPINIONE... DI QUESTO
POPOLO ORMAI DISSOCIATO DA
SECOLI…”
Pier Paolo Pasolini
“Attraverso la caligine degli oscuri Secoli ancora echeggia di gloria
il nome di Ducezio.” Così esordisce nel 1819 Ignazio Lucchesi,
Marchese di Porto Palo, nella sua biografia degli uomini illustri
della Sicilia. Ancora oggi, le gesta di questo personaggio
leggendario sono avvolte dalla più totale incertezza per le scarse e
frammentarie informazioni riportate dagli antichi storici. Diodoro
Siculo, lo storico di Agira, che riporta la maggior parte delle notizie
sul Re dei Siculi, racconta le sue eroiche gesta , ma non ci ha
lasciato informazioni certe sulla sua città natale e sulla data della
sua nascita. “Ricco, e di genio superiore di molto ai suoi
contemporanei, all'eminente grado di Duce dei Siculi si estolse.”
Astuto politicamente e militarmente geniale, si alleò inizialmente
con i Siracusani inviando una spedizione contro gli Etnei, che
sconfitti in numerose battaglie furono scacciati da Catania.
Riconquistata la città, le popolazioni Sicule poterono rientrare nella
propria patria. Con i Siracusani espugnò Mozia, sconfisse gli
Agrigentini, gli Eblei e tutti coloro che erano nemici degli alleati
Siracusani. Ciò gli assicurò fama e potere tra i Siculi. Rotta
l'alleanza con i Siracusani fondò la città di Menai, affrontò e
sconfisse la Città di Morgantina. In seguito, promosse tra le città
Sicule una confederazione con lo scopo di costruire uno Stato
capace di contrastare l'egemonia delle colonie greche. A tal scopo
fondò Palica nei pressi del Lago e del Santuario dei Palici, divinità
che i Siculi avevano in grande timore.
Lo splendore e la potenza di Palica non durarono a lungo, poiché
i Siracusani, dopo le ripetute sconfitte subite, con un poderoso
esercito costrinsero alla ritirata Ducezio presso Noma. Dopo la
sconfitta, Ducezio, con una mossa a sorpresa, si presentò a
Siracusa dichiarandosi sconfitto e chiedendo clemenza. Questa
azione convinse il Senato Siracusano a risparmiargli la vita e
deportarlo a Corinto. Qui, Ducezio, con i mente l'idea della
Nazione Sicula, organizzò il suo rientro in Sicilia. Dopo aver
consultato un oracolo partì per rientrare in patria. Sbarcò sulle
coste tirreniche e, la sua fama non dimenticata, presto richiamò
gran parte del popolo Siculo con un gran desiderio di riscattare le
sconfitte subite. Ducezio, con l'aiuto del fidato amico Arconide,
fondò la città di Calacte. Siracusani ed Agrigentini,
temendo
l'antico nemico, si allearono per poterlo contrastare con un
esercito più potente. Presto vi fu lo scontro tra i due eserciti con
grande squilibrio di forze, ma con grande abilità Ducezio tenne in
forse le sorti della battaglia sino a quando fu sconfitto. La sua
gloriosa epoca ebbe definitivamente fine. Questo grande Principe,
in parte sfortunato e in parte avventuroso, per le estreme fatiche e
per le sofferte avversità si ammalò e infine verso l'anno 440 A.C.
morì. │
7
ISTITUTO ISTRUZIONE SUPERIORE PALAGONIA
-------------------Presentazione della Scuola----------------------------L’Istituto di istruzione Superiore di Palagonia, nasce nel 1994 come
succursale dell’ITC “ G. Arcoleo” di Caltagirone; diviene sezione
associata dell’ISIS di Militello nel 2000; nello stesso anno nasce
il Liceo Scientifico e la sperimentazione Socio-psico-pedagogico.
E’scuola autonoma dall’01 Settembre 2008.
Attualmente è dislocata su tre plessi:
Plesso Piazza Dante - Liceo Scientifico e Liceo Classico
Plesso via Pitagora- Liceo delle Scienze Umane (ex Liceo psico
pedagogico)
Plesso via Cesare Battisti- Istituto tecnico economico (ex Istituto
Tecnico Commerciale)
CORSI ED INDICAZIONI ORIENTATIVE
L’I.I.S. Palagonia, in base alla riforma dei cicli scolastici, offre i seguenti indirizzi:
Liceo Scientifico
Liceo delle Scienze Umane
Istituto tecnico economico ad indirizzo amministrazione,finanza e marketing (ex Ist. Tec. Comm.)
Liceo classico
Studi successivi: Tutti gli indirizzi permettono l’ iscrizione a qualsiasi Facoltà universitaria
Attività lavorative: l’IT Economico offre sbocchi nel settore pubblico e privato relativamente alla gestione
amministrativa e contabile
Progetti e attività che caratterizzano il nostro Istituto:
Sulle tracce dei Palici
Orientamento e formazione
Orientamento in ingresso e in uscita
Progetti di educazione alla salute
“Io parlo Inglese e tu?” TRINITY
“Dalla mappa all’ipertesto”
“Scuola lavoro”Stage per gli alunni del triennio
“Sulle orme di…” viaggi d’istruzione
“Visita al Parlamento”
Attività sportive (gare, tornei)
Attività ricreative e culturali (partecipazione a sagre
cittadine, a conferenze su temi letterari, storici, giuridici,
sociali).
Progetti FSE
La nostra Scuola grazie ai progetti PON offre agli
studenti opportunità di apprendimento, recupero e
potenziamento con percorsi e metodologie motivanti.
Progetti FESR
L’Istituto ha incrementato sensibilmente la dotazione
tecnologica mediante
il potenziamento dei due
laboratori già esistenti e l’impianto di due nuovi
laboratori (linguistico e scientifico) nel plesso di
Piazza Dante.
Scheda informativa:
Plesso via Pitagora-tel. 0957183814
fax 0957955421
Plesso Piazza Dante-tel. 0957955438
Plesso via Battisti-tel/fax 0957951054
Sito web: www.iispalagonia.it
Il Dirigente scolastico, Dott. Francesco Di Majo,
riceve dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00
La segreteria riceve dal lunedì al venerdì dalle
10.30 alle 13.00
8
Sebastiano
Interlandi
IL SANTUARIO DEI GEMELLI PALICI
A “ROCCHICELLA” (MINEO-PALAGONIA)
Ad est della valle dei Margi,
non lontano dal fiume
Caltagirone, esisteva sin dai
tempi più remoti il cosidetto
lago dei Palici, chiamato dai
più
antichi
lacus
sive
stagnum
palicorum
e
successivamente conosciuto
con il nome di lago di Naftia
per l’odore di nafta che
sprigionava.
Il noto naturalista siciliano
Francesco Ferrara, che lo ha
visitato alla fine del XVIII
secolo, così scriveva “…La
sua estensione non si può
stabilire, perché dipende
dall’accumulo delle piogge e
quindi è vario durante tutto il
corso dell’anno, nei periodi di
siccità scompare del tutto…”
Quasi nel mezzo del lago sorgono due grossi getti, che fanno
saltare l’acqua a più di due piedi di altezza; un terzo di minor
forza, ed intermittente si fa loro compagno, ed il loro continuo
agitare le acque, fa sentire il fragore dell’ebollizione sino ad una
grande distanza. Gli uccelli non si avvicinano al Lago dei Palici¸
un volo incauto può causare loro la morte, infatti, volatili che
migrano verso altri posti si rifocillano nelle acque di altri luoghi
vicini; anche gli armenti pascolano lontani dalle sue sponde ma
lepri, conigli ed altri animali simili spinti dal desiderio di
dissetarsi, vi hanno incontrato la morte e i loro corpi giacciono
sulle sponde del lago. Questo fenomeno naturale ha suscitato
sin dalle più remote antichità sgomento in tutte le popolazioni
che hanno abitato il sito ed il fenomeno attirava popolazioni da
tutta la Sicilia.
Gli antichi conoscitori del luogo non potendo dare giustificazione
con la ragione a tutto questo fenomeno naturale: l’agitazione
delle acque e soprattutto l’esalazioni gassose che portavano alla
morte, le attribuivano a forze divine. Intorno a questo fenomeno
naturale ebbe dunque origine al mito dei gemelli Palici. Secondo
Macrobio, i Palici erano nati da Thalia, figlia di Vulcano, rapita e
messa incinta da Giove presso il fiume Simeto. Thalia per
evitare le ire furiose di Giunone supplicò pietosamente la Terra
affinché la proteggesse. Questa ascoltate le suppliche della
ninfa si aprì e la occultò nel suo seno, arrivato il momento del
parto, nacquero due gemelli, che per essere seppelliti prima e
rinati poi furono chiamati Palici. Per gli antichi, i due getti di
acqua che si innalzavano dal lago non erano altro che i due
gemelli che tentavano di rinascere dalle viscere della terra.
Durante la trentaseiesima Olimpiade (632 a.C.), Antigono in un
suo passo scriveva che quando ad Atene governava Epeneto, in
Sicilia fu eretto un edificio, dove chiunque entrava anche se
persona in condizioni fisiche ottimali, se si chinava con il capo
basso verso terra moriva, se si teneva dritto poteva camminare
senza che gli accadesse nulla.
Questa descrizione fa pensare che tutto ciò era riferito al tempio
dedicato ai fratelli Palici, il quale, secondo la supposizione
dell’abate Francesco Ferrara, fu edificato presso il lago e
chiudeva dentro le sue mura i crateri, come a Delfo, dove l’antro
vaporoso era situato in fondo al santuario di Apollo.
Questa congettura è avvalorata dal Fazello, che dopo la metà
del sedicesimo secolo visitò il lago dei Palici e vide intorno ad
esso grandi resti, la maggior parte dei quali erano coperti dalla
terra. Questa supposizione non è stata mai avvalorata, in quanto
non è stato mai possibile eseguire delle indagini archeologiche
nei dintorni di ciò che resta dell’antico lago di Naftia; la zona
attualmente è proprietà privata. Un tempio fu eretto presso il lago
con tutte le magnificenze di cui erano solito fare i Greci-siculi.
Diodoro Storico di Agira, che sicuramente ha visitato il luogo, nel
suo XI libro così descrive la zona in cui era ubicato il tempio: “Il
recinto sacro era situato in un campo amenissimo degno della
maestà degli dei; e tale è quella veramente grande pianura, nella
quale è il lago; estremamente fertile, deliziosa, e per le
montagne, che la circondano bella e pittoresca. L’edificio era
adornato di portici e di logge magnifiche, che lo rendevano
ammirabile ed era stimato assai più degli altri e per l’antichità e
per la religiosa venerazione, e per i grandi fenomeni che vi
avvenivano, soprattutto per i miracoli dei crateri”.
Molti autori antichi hanno descritto diverse rappresentazioni
riguardanti il culto e le cerimonie all’interno del tempio dei Palici.
Esso era un vero e proprio tribunale, in cui si svolgevano
processi a carico di persone accusate di qualsiasi reato. I giudici
erano dei sacerdoti, che avevano cura di fissare i dovuti e
stabiliti sacrifici. Nel tempio si arrivò persino al sacrificio di esseri
umani, ma quando questa barbara usanza terminò, i Palici
vennero detti, deità placabili.
Virgilio nell’Eneide descrive l’ara dei Palici come non tinta più
come prima di sangue umano, mostrandosi più pingue e più
placabile. Il tempio era detto pingue perché in tempo di grande
carestia dovuta ad un lungo periodo di siccità in Sicilia, i siciliani
avevano consultato l’oracolo dei Palici, ritenuto senza dubbio il
più importante di tutta la Sicilia, sia per la venerazione, sia per la
fede che si riponeva nei suoi giudizi; in quella occasione aveva
proposto per risolvere l’infausto evento di effettuare un sacrificio
all’eroe Pediocrate. Essendo ritornata con tale provvedimento la
pioggia e la conseguente fertilità, i siciliani portarono sopra
l’altare dei Palici ogni sorta di prodotto della terra. Gli dei Palici
davano inoltre il responso della verità o della menzogna a
chiunque era considerato reo di qualche colpa.
Il presunto colpevole, prima di entrare nel tempio doveva
purificarsi, vestito con una semplice tunica senza cintura, con
una corona di foglie verdi in testa ed in mano un ramo tagliato
dal vicino bosco sacro, che agitava di continuo, era condotto
dinanzi ai crateri nel punto designato dai sacerdoti, e dopo aver
invocato gli dei per tre volte a testimonianza dei suoi detti, veniva
fatto chinare verso il basso, toccando il cratere con le mani e
dipendeva dalla distanza di avvicinamento del capo alla
superficie del lago che chiunque poteva cadere sotto l’effetto
delle esalazioni mefitiche, indipendentemente se fosse reo
confesso o innocente, il tutto dipendeva in pratica dalla volontà
del sacerdote di turno.
Secondo altri autori i giuramenti dell’accusato erano scritti su una
tavoletta che veniva a sua volta gettata dal sacerdote in mezzo
al lago, se questa galleggiava, dimostrava che l'imputato aveva
dichiarato la verità, e l’accusato poteva tornare a casa sano e
salvo, ma se la tavoletta era inghiottita dalle acque, il giuramento
era da considerarsi mendace, ed egli era immediatamente
gettato nel cratere; mentre altri prima che lasciassero il tempio
sacro erano privati dalla vista.
Un’altra funzione importane attribuita al tempio dei Palici era
quella di dare asilo ai servi maltrattati dai padroni. Un servo
oppresso dal padrone che li andava ad esiliarsi non poteva più
essere ripreso per nessun motivo, tranne che, il padrone giurava
davanti alle divinità di trattarlo benevolmente e senza
commettere angherie su di lui. Non è mai successo che un
padrone, dopo aver giurato nel tempio dei Palici, abbia
trasgredito il patto, tanto era il rispetto e l’adorazione per quelle
divinità. In quel luogo, oggi esiste una S.p.A. denominata Mofeta
1
dei Palici , che ha sepolto i fratelli Palici in una campana di
cemento ed ha trasformato il loro culto, in un culto che li rende
ancora più vicini a noi, anzi dentro di noi “Il culto delle bollicine”
1
L'azienda sfrutta la sorgente naturale di anidride carbonica, producendo ghiaccio
secco per il trasporto e la conservazione di gelati e la gasatura di acque minerali e bibite.
9
Virginia
Interlandi
LA LOTTA ASPERRIMA PER LA CONQUISTA
DELL’EX FEUDO DEL PRINCIPE DI PALAGONIA
Se l'Italia sta perdendo la memoria, Palagonia non ne ha mai
avuta una. Sembra proprio che il nostro Paese, così amato e
odiato, sia afflitto da una maledizione che lo porta a cancellare
ogni traccia del proprio passato. Infatti, tra i Palagonesi, è
opinione diffusa che sia assolutamente necessario disfarsi di
tutto ciò che sa di vecchio, di antico o, per convenienza di
personaggi privi di scrupoli e di qualunque principio morale,
fatiscente. Negli anni, sono spariti, in maniera dolosa o per
smania di assurda modernità, antichi palazzi (Palazzo del
Principe di Palagonia,...), vecchie chiese (Chiesa Madonna SS di
Trapani, Chiesa del Calvario,....), il centro storico, l'archivio
comunale, intere biblioteche private di note famiglie, senza che
nessuno abbia mosso un dito.
Per fortuna, qualche volta, certi misfatti ai danni del nostro
passato non si realizzano secondo quanto progettato. Fu per
caso che una montagna di documenti, impolverati dal tempo,
danneggiati dall'incuria e maleodoranti per lo sterco dei colombi
che per anni vi avevano danzato sopra, venne salvata dalla
distruzione cui erano destinati a seguito dello sgombero di un
vecchio edificio. Tra questo vecchiume, mi incuriosì
particolarmente un opuscoletto. Un documento autentico,
illuminante per ricostruire una travagliata pagina dell'incerta
storia Palagonese che, tra il 1800 e l'inizio del 1900, si trascinò
tra angherie, legittime rivendicazioni e episodi di lotta cruenta.
Alla morte di Francesco Paolo Gravina (15/04/1854), ultimo
Principe di Palagonia, il feudo di Palagonia, insieme ad altri beni
detenuti dalla famiglia come possesso non feudale, fu donato
all'Ospedale Civico di Palermo Fatebenefratelli, la cui successiva
gestione, da parte della Fide-commissaria dell'eredità Gravina
ben presto provocò le lagnanze dei contadini locali.
Il primo Maggio del 1870, entro la sala delle adunanze consiliari
in Palagonia, si riunì il consiglio Comunale e, secondo l'ordine
del giorno prestabilito si doveva discutere e deliberare su come
affrontare il grave stato di miseria in cui versava la popolazione
palagonese a causa delle condizioni feudali imposte dalla Fidecommissaria dell'eredità Gravina. Solo la quinta parte di questo
feudo era posseduto in enfiteusi dai nostri concittadini e questa
era, fra l'altro, la meno fertile. I restanti quattro quinti che,
formavano i terreni più fertili e migliorabili, erano affidati a pochi
grossi gabelloti forestieri che, a loro volta, li davano in sub affitto
a condizioni di usura ai coloni locali in questo modo condannati a
rimanere in continuo stato di miseria.
Facendosi la Presidenza interprete fedele della aspirazione
universale dei nostri concittadini, propose, che il Consiglio
scegliesse una commissione, composta da quattro elementi, la
quale facesse tutte quelle pratiche, sia presso il Regio Governo
sia presso il Consiglio Provinciale di Palermo, che reputasse utili
al fine di ottenere che le terre pertinenti alla fide-commissaria
del fu Principe di Palagonia, si concedessero ai palagonesi a
titolo di enfiteusi redimibile in un arco di tempo non inferiore a
dieci anni. Il Consiglio, clamorosamente applaudendo alla
proposta della presidenza, la adottò all'unanimità dei voti e
chiese di procedere alla nomina dei componenti la commissione
per votazione segreta. Espletate le dovute operazioni di voto e
successivo scrutinio, risultarono eletti: Cav. Gaetano Ponte, Avv.
Dr. Salvatore Toro, Sac. Giovanni Dr. Blandini, Giuseppe Dr.
Politini, che vennero, da subito, considerati come
rappresentanza giuridica del Consiglio. All'Avv. Vincenzo Dr.
Blandini venne affidato l'incarico di redigere un'apposita memoria
da presentare al regio Governo, alla camera legislativa del
Regno D'Italia e al Consiglio Provinciale di Palermo.
La memoria venne presto redatta e mandata in stampa il 6 luglio
1870; era una vera e propria arringa in difesa del sacrosanto
diritto di rivendicare la proprietà del natio territorio. L’avvocato
Vincenzo Blandini, con grande abilità oratoria, pose l’accento sui
benefici che tutti avrebbero tratto dalla concessione
delle terre ai contadini Palagonesi dato che tali terreni trasformati
a giardini di aranci e di limoni avrebbero fruttato il decuplo
portando ricchezze economiche per il paese e per la Fidecommissaria. A sostegno di questa tesi fu redatto un dettagliato
bilancio che evidenziava come gli introiti attivi avrebbero
superato di molto le passività. Per tranquillizzare gli
amministratori della Fide-commissaria della buona fede delle
richieste avanzate si faceva notare che alla voce di bilancio
“quote inesigibili” erano ascritte quelle che non poggiavano su
titolo abbastanza legale da esigerne il pagamento. “La Fidecommissaria detiene un Ruolo Censuario, il quale per non pochi
stacchi dei terreni censiti è il solo documento che sussiste sul
pretesto dritto del canone. Un tal ruolo che fu compilato da casa
Gravina coerentemente al Rescritto 26 Giugno 1822, ed ai RR.
Decreti 2 Maggio 1823, 27 Ottobre 1825, 10 Gennaio 1827, 7
Aprile 1828 e 30 Marzo 1829, avvegnacchè sia rivestito della
forza coercitrice per effetto della cosa giudicata, pure esso è una
carta informe contenente varie lacune, non indicando chi fosse il
primo concessionario, né il primo concedente, né l’epoca della
concessione. Indi è originata la riluttanza dei cosiddetti
censualisti a corrispondere il canone, indi le due recenti cause
civili tra la Fide-commissaria e l’avv. Dr. Salvatore Toro e gli
eredi Calcaterra, e il Dr. Giuseppe Politini Traina”. A questo
appello accorato non seguì nessuna risposta positiva e la
questione si trascinò silenziosa fino al 1887, quando il Dr.
Vincenzo Blandini, per riportare attenzione sulle richieste fatte,
propose ai piccoli coltivatori di non seminare le terre per
quell’anno. Questo allarmò i grossi gabelloti i quali temendo che
il Blandini togliesse loro le terre, tennero una congiura in cui
decisero di ucciderlo. A tarda sera, mentre il Blandini si trovava
in piazza Umberto I, ignoti gli sparavano un colpo di fucile, che
ferì un suo vicino di casa che lo accompagnava. Il Blandini,
minacciato di morte, fu costretto a fuggire da Palagonia e a
rifugiarsi a Noto presso il fratello Gaetano, vescovo di quella
diocesi. Dopo la sua scomparsa dalla scena
10
politica di Palagonia, i grossi gabelloti ripresero a far coltivare le
terre ai contadini e alle condizioni onerose di prima. La questione
sembrava risolta a favore dei gabelloti, i quali continuarono a
sfruttare i contadini senza nessun timore di una loro reazione.
Nel 1902, al perdurare dello stato di miseria, nacque la Società
Agricola Cincinnato, che riprese la lotta per la conquista delle
terre dell’ex-feudo Palagonia. A guidare la Società vennero eletti
a Presidente, Vicepresidente e segretario i signori Fresta
Vincenzo, Morello Francesco e Nolfo Salvatore. Questi, come
abili condottieri, cominciarono in maniera pressante le azioni di
rivendicazione nei confronti dei grossi gabelloti che per paura di
proteste violente, offrirono loro 500 Ha di terra. Tale concessione
venne respinta, considerandola insufficiente e richiedendo per i
contadini tutte le terre da loro coltivate. Senza accordo alcuno,
la lotta divenne più aspra. Il 10 Agosto 1902 i gabelloti cercarono
di ingannare quei poveri contadini “ignoranti” inventando di aver
rescisso il patto di gabella contratto con la Fide-commissaria e
quindi di non poter più disporre di nessuna concessione. I soci
della Cincinnato mandarono a Palermo il loro Presidente per
accertare la veridicità di quanto era stato detto loro. Il 14 mattina,
ritornato a Palagonia il Fresta Vincenzo e comunicato ai soci
l’esito negativo della sua missione a Palermo, scoppiò la rabbia
dei contadini.
Un’ondata di furore invase a poco a poco tutta la popolazione.
Uomini e donne si sollevarono come fossero un solo uomo, e
scesero in piazza Umberto I protestando minacciosamente. Un
grosso gabelloto che si trovava nel magazzino locale della Fidecommissaria, rischiò di essere linciato. Per salvarsi dal pericolo
inventò di essere estraneo a qualunque gabella sulle terre
avendone fatto rinuncia.
La folla lo costrinse comunque, a venire nel Municipio dove
erano il Sindaco, il delegato di P.S. e il maresciallo dei
carabinieri. Qui, il gabelloto, sentendosi al sicuro, confermò di
essersi inventata la storia della rinuncia alla gabella. La folla a
questo detto cominciò a tumultuare e quando le forze dell’ordine
ordinarono di sciogliersi, inferociti li assalirono con una fitta
sassaiola. Allora entrò in azione un reparto della 4a fanteria, che
caricava la folla disperdendola. Ma quella, ricompostasi,
scendeva in piazza Umberto I e via Vittorio Emanuele che, in
pochi minuti divennero un campo di battaglia. La forza pubblica
voleva disperdere i dimostranti che reagivano alle loro cariche
con estrema violenza. La lotta divenne furibonda, assumendo il
carattere di una rivolta. Le donne con i grembiuli pieni di pietre,
che avevano raccolte nelle vie adiacenti alla piazza, davano
aiuto agli uomini, che lottavano contro guardie e carabinieri con
randelli e colpi di pietre. A un certo punto i carabinieri fecero
fuoco, prima in aria, e poi contro la folla. Vi fu un “fuggi fuggi”
generale. La piazza rimase sgombra: restarono a terra solo dei
feriti gravi tra cui il contadino Calcagno Pasquale e la popolana
Cantella Giuseppa. La notte successiva vennero operate
perquisizioni e arresti. La maggior parte dei dimostranti si era
data alla macchia per cui furono arrestate solo cinque persone
tra cui due donne e il Sac. Blandini Giuseppe. I latitanti, più di
mille, incendiarono tutto ciò che apparteneva ai grossi gabelloti:
paglia, fieno, arnesi da lavoro, case coloniche, animali da lavoro
e così via. Fino al 20 Agosto la rivolta continuò incessantemente.
A quel punto, appresa la notizia dei disordini precipitatosi da
Catania, venne l’Avv. Ercole Ponte, ultimo figlio del Cav.
Gaetano Ponte, e iniziò una validissima difesa dei soci della
Cincinnato. Egli stesso, su una cavalla bianca, andò per le
campagne alla ricerca dei latitanti verso cui era stato emesso un
mandato di cattura esortandoli a presentarsi al tribunale di
Caltagirone per ottenere clemenza. Il processo si svolse nel
Gennaio 1903 e la maggior parte degli arrestati fu rimessa in
libertà, altri riportarono condanne comprese fra i 6 e i 15 mesi.
Tutti gli arrestati furono difesi con grande slancio e gratuitamente
dagli avv. Ercole Ponte e Giovanni Milana. Dopo questa
sentenza i grossi gabelloti cantarono vittoria e aspettavano da un
momento all’altro lo scioglimento della Cincinnato. Così non fu,
anzi, Fresta, Morello e Nolfo resero più forte la Società.
Intanto, dopo i fatti luttuosi del 14 Agosto 1902 l’amministrazione
comunale era stata sciolta dal prefetto e a reggere il comune era
il commissario Cav. Firpo. Il 21 Marzo 1903 si svolsero le
elezioni comunali dalle quali risultarono eletti: l’Avv. Ercole
Ponte, sindaco e consigliere provinciale, Fresta Vincenzo, Nolfo
Salvatore, Morello Francesco, Calcagno Pasquale, consiglieri,
premiati da quelle eroiche gesta della rivolta di Agosto. Pertanto,
la questione delle terre dell’ex-feudo di Palagonia riprese con
ancora più vigore. Con in testa l’Avv. Ercole Ponte nell’Aprile del
1904 oltre tremila persone a piedi o su carri andarono a Catania
reclamando giustizia al prefetto Cav. Bedendo. Questa
massiccia iniziativa provocò l’intervento dell’On. Giuseppe De
Felice, deputato del popolo, il quale sfamata quella povera gente
con oltre seimila chilogrammi di pane, promise il massimo
appoggio in difesa della loro causa. Poco dopo, il prefetto per
ragioni di ordine pubblico, imponeva ai grossi gabelloti la rinuncia
alla gabella. Successivamente nominava commissario
straordinario della provincia di Catania l’Avv. E. Ponte con
l’incarico di ricercare negli archivi di Stato i documenti che
provassero l’illegittimo possesso delle terre dell’ex-feudo da
parte della Fide-commissaria. I documenti prodotti dall’Avv.
Ponte al prefetto ebbero un effetto decisivo sulla Fidecommissaria che il 16 Novembre del 1904 decideva di dare le
terre in gabella ai contadini di Palagonia. Il popolo, venuto a
conoscenza di ciò andò in delirio festeggiando in maniera
trionfale come eroi Ponte, Fresta, Morello, Nolfo e Calcagno. Per
procedere alla divisione delle terre, la Fide-commissaria inviò tre
periti che suddivisero il territorio in 1.574 quote, in seguito
assegnate per sorteggio. Le cose sembravano andare per il
meglio, ma la Fide-commissaria continuava a imporre interessi
troppo elevati per la fornitura delle sementi. Il popolo, a causa di
ciò era sempre in continua agitazione, poiché desiderava che le
terre gli venissero date in proprietà.
Passarono altri quattro anni, e l’Avv. Ponte non si dava pace alla
continua ricerca dei documenti dai quali risultasse il carattere
feudale delle terre dello Stato di Palagonia. Tanto lavorò finché li
trovò nell’archivio di Stato di Palermo e per poter portare quei
documenti a Palagonia pedinato dalla Mafia, assoldata dalla
Fide-commissaria che lo voleva uccidere, dovette travestirsi da
frate. Arrivato a Palagonia vi fu una gran festa. Nell’Aprile 1909
grazie all’interessamento del prefetto Bedendo, dell’On. De
Felice, dell’On. Benedetto Cirmeni e dell’Avv. Ponte, la Fidecommissaria concesse in proprietà le terre ai Palagonesi a
piccole quote e alle seguenti condizioni:
a) la gabella aveva la durata di 27 anni, rinnovabile ogni 9
anni;
b) i quotisti potevano comprare le terre entro 27 anni
mediante pagamento di rate annuali in base alla stima
operata dal funzionario Rampolla.
Quando il popolo venne a conoscenza di ciò, a Palagonia vi fu
una gran festa: tutti piangevano di gioia. Determinante era stata
l’opera dell’On. Benedetto Cirmeni il quale deputato in quattro
legislature, se fosse stato eletto nella quinta, avrebbe avuto la
nomina a Senatore. Decisivi erano i voti degli elettori di
Palagonia e il Cirmeni che aveva “voce in capitolo” presso il
governo Giolitti si impegnò a far donare le terre al popolo in caso
di sua elezione. Così avvenne. Cirmeni fu rieletto deputato e così
l’ingegnere del Catasto, Cav. Rampolla divise le terre in 1.780
quote che furono donate per sorteggio al popolo palagonese.
L’annosa questione non era però del tutto risolta, avveniva in
seguito che parecchi quotisti vendevano la loro quota di terra a
contadini non quotisti che non furono riconosciuti dalla Fidecommissaria. Ne nacque una lite che durò dal 1911 al 1913,
conclusa da una sentenza a favore dei contadini. A causa dello
scoppio della Prima Guerra Mondiale, poiché molti furono i
palagonesi che andarono al fronte, non si poté rispettare il
contratto di miglioria convenuto con la Fide-commissaria, la
quale inviò dei tecnici onde riprendersi i terreni dei quotisti
insolventi. L’avv. Ponte si fece promotore di un’azione di
componimento amichevole e propose ai quotisti di pagare alla
Fide-commissaria un aumento del 10 % sul prezzo base stimato
dal Rampolla. Molti quotisti si opposero a questa proposta e la
lite continuò.
Nel Giugno del 1920 il prefetto di Palermo cercò una
conciliazione della lite, ma la Fide-commissaria irremovibile non
accettava nessun accordo. Il 26 Giugno del 1921, invece la
11
Corte di Appello di Catania sentenziava:
a) la Fide-commissaria è obbligata a vendere le terre ai quotisti;
b) essa ha la facoltà di fare una nuova perizia per la valutazione
delle terre.
Appresa la notizia i quotisti cominciarono a protestare poiché
l’annullamento della perizia Rampolla li avrebbe “rovinati” in
quanto nel 1909 l’ex Stato di Palagonia non valeva neanche la
milionesima parte di quanto valeva nel 1921. Allora parte di esso
era pascolo, parte incolto e parte mal coltivato mentre nel 1921,
grazie ai sacrifici e al sudore dei poveri quotisti, era divenuto il
più grande giardino della provincia di Catania. La lite continuò
nelle aule dei tribunali tra richieste elevatissime della Fidecommissaria e opposte disponibilità dei quotisti.
Fu necessario l’intervento di S.E.Gabriello Carnazza, ministro dei
lavori pubblici, che riuscì a trovare un accordo tra le parti e
concordando un aumento del valore delle terre del 105% da
pagarsi entro 5 anni. Era il 26 Maggio del 1923, così, l’annosa
Raffaele Panebianco, “Popule Meus”
Salvatore Calcaterra – “Quella preziosa eredità
dei nostri padri nei Riti della Settimana
Santa…”
Tra le fotografie più belle che io abbia mai visto, ve n’è una,
risalente al 1980, che immortala un bambino palagonese di un
anno appena, avvolto, come si usava una volta per il Giovedì ed il
Venerdì Santo, nel suo votivo abitino bianco, in braccio al suo
papà, e sullo sfondo il “Cristo alla Colonna” all’interno della Chiesa
di Maria Ausiliatrice (già Chiesa di S. Antonio). Ebbene, quel
bambino palagonese ero io.
Per voto fatto da mia madre, fino alle mie prime dodici primavere
portai ogni Giovedì Santo un cero a Gesù, seguendo, con un po’
di recalcitranza e ancor di più imbarazzo, il solito tragitto: da casa
mia fino alla Chiesa di Maria Ausiliatrice. A dodici anni fui “libero”,
ma decisi mea sponte di rimanere “schiavo” di un qualcosa che
sentivo ormai parte di me: indossai il camice dei confrati, come i
miei avi, prima di me, avevano fatto per secoli, e giurai a me
stesso di non abbandonarlo mai.
Ancora oggi rimango fedele a quel giuramento, e resto saldo nel
mio proposito di portare “u cammusu” per tutta la vita, malgrado
tutto ciò possa risultare, agli occhi di molti, anacronistico. Ad onor
del vero, più volte ho chiesto a me stesso il perché continui ogni
anno a ripetere questo rituale; e la conclusione a cui approdo è
sempre la stessa. In un periodo della storia ove, su tutto, impera il
principio secondo il quale (per dirla con Foscolo), “è destino
ineluttabile che il tempo distrugga ogni cosa con il suo fluire
perenne”, io avverto l’ontologico bisogno di fare la mia parte, per
quel che possa valere, in quella battaglia, che reputo necessaria,
avverso l’appiattimento culturale, l’insensata attività di rimozione
delle nostre radici storiche, l’annichilimento della nostra identità,
l’annientamento, insomma, del senso di appartenenza a questa
terra.
Continuo ogni anno ad indossare il camice bianco del confrate
perché ciò fa rivivere in me quello straordinario patrimonio, non
solo religioso, ma storico-culturale costituito da quell’inestimabile
eredità lasciatami dai miei padri. Compiere ogni Venerdì Santo
quel rituale mi fa sentire più vivo, in quanto costituisce lo
strumento attraverso il quale consacro e rinnovo il mio
appartenere ad una cittadinanza, ad un paese, a Palagonia.
questione della ripartizione delle terre dell’ex-Stato ai poveri di
Palagonia, aveva fine.
Ma quante lacrime, privazioni e fatiche, quanti dolori e stenti
costò tale conquista. Se ricchezza e benessere da quella sono
arrivate lo si deve a Ercole Ponte e a quegli eroi che, a rischio
della propria vita, testardamente lottarono per quella giusta
causa.
Oggi, pochi ricordano tali fatti e la maggior parte dei palagonesi
non ha mai sentito parlare di questa aspra lotta che ha
consentito di cambiare le sorti di questa nostra terra: per secoli
una povera borgata e dopo la conquista dell'ex feudo Gravina,
improvvisamente un ricco e rigoglioso “giardino”. Nel 1967, un
monumento doveva essere inaugurato a Ercole Ponte e ai suoi
valorosi collaboratori; forse avrebbe contribuito a mantenere viva
la memoria del nostro passato. Peccato che non sia mai stato
edificato. │
L’uomo - scrisse Aristotele - è un animale politico, ovvero
ontologicamente necessita di relazionarsi con l’ambiente che lo
circonda; egli avverte, in un certo qual modo, l’insopprimibile
bisogno di sentirsi parte di un gruppo sociale.
La Settimana Santa, fino a qualche decennio fa, rappresentava
una delle occasioni in cui la comunità palagonese, in tutte le sue
componenti, si riuniva per rinnovare il proprio “contratto sociale”.
Ricordo, con immensa nostalgia, quegli attimi della mia infanzia
quando insieme ai miei genitori assistevo la sera del Venerdì
Santo all’incontro in Piazza Umberto I dei mammalucchi delle
due Confraternite, quella della Matrice e quella dell’Immacolata,
e la conseguente processione del “Gesù Morto” e dell’Addolorata
tra due ali di confratelli incappucciati. Il popolo palagonese si
raccoglieva in un surreale silenzio, che comunicava e
raccoglieva in sé il passato ed il presente di una città. Ciò che si
respirava nell’aria era un’identità; ed io, poco più di un bambino,
ne facevo parte e me ne appropriai.
Sono passati ormai 15 anni da quella sera del Venerdì Santo del
1995, quando accadde quell’increscioso episodio sfociato in un
aggressione da parte dei fedeli al clero locale, reo, agli occhi dei
“figli dei Palici” (direbbe Michele Megna), di aver modificato ciò
che i secoli avevano provveduto a cadenzare. Prodromi di ciò
che sarebbe successo ve n’erano stati negli anni
immediatamente antecedenti, allorché iniziò a trapelare la
volontà delle Autorità Ecclesiastiche di sopprimere la
processione del Giovedì Santo del “Cristo alla Colonna”, e
conseguentemente consentirla solo il Venerdì o il Mercoledì,
contestualmente epurandola da tutti quei riti riconducibili a forme
di religiosità “pagana”. I fedeli si sentirono traditi, e mal
digerirono una decisione che sembrava sic et simpliciter calata
dall’alto.
Non è assolutamente mia intenzione formulare alcun giudizio
sulle determinazioni che furono poste in essere dall’una e
dall’altra parte della “barricata”. Ciò che mi limito ad osservare è
che la sintesi di quell’accesissimo confronto, sfociato in
deprecabili azioni di violenza, fu che non risultarono esserci
vincitori. La verità è che fu solo Palagonia ad uscire sconfitta da
quell’inqualificabile vicenda, che sembra aver messo una pietra
tombale su un pezzo importantissimo della nostra storia, ormai
abbandonato ad un oblìo che appare ineluttabile.
Forse le giovani generazioni palagonesi non sanno nemmeno
che nel proprio paese esistevano fino a qualche lustro fa due
Confraternite (un tempo erano tre), le quali erano, benevolmente
mi si conceda, “pontefices maximi”
del tempo festivo;
depositarie di gesti, di azioni, di riti che si tramandavano da
padre in figlio, qualificando la parte più intima, e perciò più vera e
umana, di un modo di pensare, di un modo di vivere, di un modo
di essere.
Mi fa montare di rabbia la convinzione che la generazione
appena successiva alla mia, forse, nemmeno comprenda parole
come “u lamientu”, “a truoccula”, “u popule meus”, “i
mammalucchi”; e ciò non per colpa sua, ma per la pigrizia e
l’indolenza di chi come me dovrebbe, e potrebbe, adoperarsi al
fine di riappropriarci di un pezzo della nostra storia, ed invece si
limita a coltivare il suo orticello, lasciando che l’oblìo
s’impossessi della nostra identità. │
12
VINCENZO DI SILVESTRO
“from MANATTHAN
to PALAGONIA”
Una carriera artistica in costante ascesa, quella del violinista
Vincenzo Di Silvestro che lo vede più volte in veste di solista –
una delle sue ultime esibizioni lo ha visto nella splendida cornice
della ridente Taormina - o in seno ad alcune prestigiose
formazioni orchestrali. Si moltiplicano sempre più le
partecipazioni a progetti internazionali, come nel caso del
concerto voluto dalla Regione Siciliana “Dream Boat”, per la
regia di Marco Savatteri, tenutosi a Manatthan in occasione del
“Columbus Day” del 2009 e, successivamente, approdato in
Germania, a Berlino e Wolfsburg. Lo stesso spettacolo
riprenderà con una tournee in Brasile tra fine agosto e inizi di
settembre, per concludersi in autunno con alcune tappe nel nordItalia. Artista poliedrico, lo vediamo da anni fra i componenti della
band siciliana “To-En”, che gli consente di esprimersi in un
territorio musicale nettamente agli antipodi rispetto al suo
naturale percorso artistico di musicista classico. Infine, giusto
perché non si vive di sola arte, si dedica anche all’insegnamento
presso un istituto comprensivo di Caltagirone.
Gli chiediamo innanzitutto quali sono le prime impressioni
avute nel corso del recente suo soggiorno negli Stati Uniti:
“Girando per i locali di Manatthan mi ha colpito il fatto di
imbattermi più volte in esecuzioni dal vivo di artisti di grande
spessore come Roy Hargroove e di potermi unire con molta
disinvoltura a loro, insieme ad altri musicisti tra cui Roy Paci. Ti
rendi conto come i gestori dei locali, diversamente da quanto
accade qui da noi, non usano la musica come espediente per un
ritorno in termini di consumazioni (vedi Catania, dove ti
impongono di fare solo cover e di portarti dietro un seguito di
amici per riempire il locale). Lì si percepisce realmente
un’attenzione e un interesse per la musica… I locali si offrono ad
ospitare la musica e la gente che sta’ ai tavoli, pur conversando,
mantiene un certo rispetto verso chi sta’ lì a suonare.”
Parlaci del tuo rapporto con la tua città, Palagonia, dove ti
sei esibito più volte sotto l’egida dell’Amedit, riscuotendo
sempre ampi consensi.
“Ho sempre goduto dell’affetto e del piacevole scambio reciproco
di idee e di apporti artistici con alcuni cittadini; però, se guardo
con occhi lucidi e con distacco a questo mio paese, lo vedo
popolato da una maggioranza di persone che per decenni hanno
privato il loro sviluppo in qualsiasi forma di crescita culturale e
artistica, e tutto ciò oggi si è tramutato in uno stato di
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perdizione e caos in cui, oltre a venir meno qualsiasi forma di
attenzione verso ciò che è arte, è venuta meno l’attenzione
anche in ciò che è basilare come la legalità. Per generazioni
non si è ritenuta la cultura qualcosa da coltivare, si è solo
pensato al creare profitto… e se oggi ci siamo ridotti ad
assistere sempre più ad episodi di violenza e bullismo non
dobbiamo certo stupircene. Spesso la colpa la si attribuisce alla
politica, ma è anche vero che recentemente chi ha costruito il
proprio consenso mostrandosi “per interesse” attento allo
sviluppo culturale della città, ha tradito ogni mia aspettativa.”
Pensi che nessuno si renda conto di questo attuale clima
di degrado?
“Penso che ci siano tanti giovani che ogni giorno cercano di far
sentire la propria voce, le proprie esigenze, ma non trovano
spazio… Il problema qui non è soltanto per il musicista che
voglia fare un concerto e magari c’è l’assessore di turno che
non glielo permette, ma anche della coppia che voglia uscire e
farsi una tranquilla passeggiata e non può perché non si sente
protetta, tranquilla… perché chi magari avrebbe il compito di
tutelare l’ordine pubblico non lo fa o non lo fa abbastanza. Molti
giovani palagonesi che altrove si sentono realizzati o accolti,
qui non riescono a trovare il proprio spazio perché chi riveste
determinati ruoli, siano essi politici o forze dell’ordine, non
hanno forse mai riflettuto che in giro, tra quei giovani, possano
esserci anche i loro figli.”
A chi va dunque il tuo pensiero in questa fase del percorso
che intanto prosegui tanto brillantemente?
Ai miei genitori ed ai miei nonni che ringrazio per avere sempre
creduto in me e avermi permesso ancora oggi di crescere; e
all’Amedit, la quale, più che una semplice associazione è stata
per me una vera e propria fucina dove crescere. │
Giuseppe Maggiore
SOSTIENI L’AMEDIT CON UN TUO CONTRIBUTO
Questo periodico si affianca alle molteplici attività che il Sodalizio “Amedit-Amici del
Mediterraneo” svolge sul fronte artistico-culturale fin dal 1999. Esso si propone, di volta in
volta, di ripercorrere vicende storiche, segnalare luoghi, personaggi illustri e tradizioni del
nostro territorio, ma anche di ospitare e dare risalto ad alcuni artisti del panorama nazionale.
Le uscite sono trimestrali (marzo – giugno – settembre – dicembre). Oltre al formato cartaceo
è scaricabile in pdf sul nostro sito ufficiale: www.amedit.it dove potrai visitare anche tutte le
nostre iniziative.
Questo progetto editoriale è totalmente supportato da sponsor privati, ma per
crescere e garantire la sua continuità, e continuare, accanto ad esso, la nostra
azione nel sociale con le varie iniziative culturali, abbiamo bisogno anche del Tuo
aiuto.
Se credi nell’Amedit e apprezzi quanto essa fa, puoi da oggi contribuire al
suo sostegno versando la Quota Sostenitore Annuale di Euro 40,00 sul C.C.
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“Sostegno Amedit”, nominativo e indirizzo dove vuoi ti venga recapitata
copia del presente giornale. GRAZIE FIN D’ORA PER IL TUO SOSTEGNO!
13
Anzikitanza – “questione di stile”
Il gruppo è quello di sempre, il contesto sociale in cui
“sopravvivono” anche. Il primo progetto “ufficiale” è , nel 2005,
l’uscita di un singolo, “Vibra” che spiana la strada alla
preparazione del primo lavoro in studio,”Orientale Sicula”,
pubblicato appena due anni dopo. Da qui in poi è un continuo
salire e scendere dai palchi più prestigiosi d’Italia, condivisi con
Meg, Roy Paci, Radici nel cemento, per arrivare persino a Julian
Marley, Seeed e Capleton (tanto per citarne alcuni).
Ma è con l’avvento del 2010 che si ha un’importante svolta: in
una terra dominata dal sole, dagli agrumi e dai campi stracolmi
di spighe gialle, ma che troppo spesso è in mano a chi i conti li
sa fare solo usando i mezzi illegali, nasce il secondo lavoro in
studio degli Anzikitanza (nuovamente con l’etichetta
indipendente ANZK Production e con la collaborazione
dell’etichetta Suoni Diversi). Stavolta però è soltanto una
“Questione di stile”, puro stile siculo al 100% e mai titolo è
stato tanto azzeccato; 12 tracce che catapultano, di volta in
volta, nelle storie che esse raccontano, realtà parallele in cui si
avvicendano le vite difficili di ragazzi di strada che fronteggiano
I “TO EN” festeggiano il loro
ventennale “nel silenzio”
La band siciliana costituita da Rocco Minore (voce), Livio Rinaldi
(chitarra), Michele Gulizia (basso), Vincenzo Di Silvestro (violino e
tastiera) e Giovanni Amato (batteria) si accinge a festeggiare il
suo ventennale. Un’unione, quella di questi giovani musicisti,
scaturita dalla comune voglia di raccontarsi, di esprimersi e
perdersi tra musica e parole. Hanno sempre fatto musica propria,
ovunque fossero richiesti; non hanno mai accettato, come spesso
accade nei locali e in diverse manifestazioni, di dover fare
soltanto delle cover… se le fanno son comunque da loro
reinventate e caratterizzate. Numerosi e alquanto lusinghieri i
successi raccolti in questi anni, ma in occasione di una ricorrenza
tanto importante come il ventennale, è tempo anche di stilare dei
bilanci, riflettere sul proprio percorso artistico…
Come nascono i vostri brani?
“E’ un lavoro collettivo… si parte da un reaf, da un’idea, un
pensiero…magari mentre lavori o guidi, quando più sei immerso
nei rumori del giorno… e la fatica stà nel riuscire a fissare quel
pensiero musicale fino alla sera, quando puoi finalmente
avvicinarti allo strumento e liberare questa “bolla sonora”.
Concepiti dunque nel rumore del giorno e partoriti nel
silenzio della sera. Cosa raccontano i brani dei To En?
“Raccontano delle emozioni che vengono vissute giorno dopo
giorno, anche nelle cose più semplici (non a caso il titolo d’un
brano). Immaginiamo storie che potrebbero accadere, catturiamo
questi nostri sentimenti, non diversi da quelli che tutti vivono, ma
che noi intrappoliamo in queste canzoni come fossero tante
“fotografie sonore” della nostra vita.”
E’ cambiato qualcosa da quando vi ritrovavate in una casa o
un garage per il semplice gusto di stare insieme facendo
“uomini d’onore” (Strati di paisi), ma anche amori travolgenti nati
sotto il cocente sole siciliano (Mela)…e poi, pensandoci bene,
queste realtà tanto parallele non sono. Chiave di lettura e
filo conduttore di tutti i brani del disco è l’ironia, il voler provocare
ad ogni costo una risata, un’ilarità generale che viene trasmessa
da ogni singola parola, persino raccontando una fastidiosa
“Questione meridionale” che mette in ginocchio una terra che fa
fatica a camminare a testa alta e che vive ancora all’ombra di
casse per il Mezzogiorno “fantasma”. I testi, tra l’italiano
“sicilianizzato” e un inglese timido, sono ben strutturati e di una
semplicità positivamente disarmante, quasi un voler raccontare
fiabe noir a dei bambini inermi. Naturalmente ne sono degna
spalla la musica e gli arrangiamenti, suoni pieni e caldi, che non
lasciano neanche un attimo per prendere fiato, ma non sono più
dei “soliti” accordi del rock-steady o del raggae, queste sonorità
insieme alla vivacità dallo ska, si fondono con ritmi orientali ed
etnici e con suoni che riecheggiano i bei tempi in cui danzavano i
nostri “vecchi” (Non ci resta che piangere). La “Questione di
stile” stà proprio nel fatto di aver dato vita ad un suono “insolito”,
non classificabile, quasi unico: fiati, percussioni e chitarre in
levare accompagnano l’ascoltatore “inna laghetti town”, la città
dei Laghetti, un luogo immaginario fatto di amori liberi e bellezze
mozzafiato. Punta di diamante sono le preziose collaborazioni, da
Lorrè (Laghetti) a LuMarra (Pizzo), da Jaka (Someone lives a
fight) a Giulia Digianpasquale, lady dei Wogiagia Crew (Nando’s
Riddim), senza trascurare le versatili mani di DJ Seby (Girano li
dischi, Strati di paisi). A qualunque categoria si voglia accostare
questo disco pare essere comunque “fuori posto”, dando vita ad
un miscuglio musicale, quasi un “ibrido”. Gli Anzikitanza
propongono un disco “cantastorie”, da ascoltare tutto d’un fiato,
per carpire odori e colori di una terra magica, i cui scheletri
nell’armadio ne celano le meraviglie, in cui il sacro delle mille
chiese e il profano delle altrettante mafie convivono in una
sintonia sfacciatamente surreale. D’altronde, come recita un
vecchio detto siciliano, “mafia e parrini si desiru la manu”…buon
ascolto! │
MSKA PESCE*
musica?
“Fare i musicisti
significa oggi essere
svalorizzati,
alla
mercé di
gestori di locali che ti
pagano 200 euro a
serata… Fare arte
diventa qualcosa di
mortificante il più
delle volte. Mancano
i posti dove suonare,
a parte quei locali
dove ciò che conta è
che si riempiano e la
gente consumi”.
Eppure avete
vissuto esperienze
molto importanti, avete calcato palcoscenici di tutto
rispetto… riscuotendo notevoli riconoscimenti
“Si, è vero, e ne siamo grati. Questo è comunque per noi un
tempo di riflessione e, come in tutte le cose che cambiano, le
strade finora percorse ci portano adesso anche in altre direzioni
rispetto a quelle da cui era partito il progetto iniziale dei To En”.
In che senso?
“Siamo alla ricerca di una nuova corrente emozionale, un nuovo
modo per esprimere i nostri concetti sonori, sperimentare e
vivere la nostra musica.”
Questo vuol dire che siete in una fase di crisi o di ricerca?
“No, tutt’altro che di crisi, anzi! Si tratta solo di una pausa di
riflessione per trovare nuovi impulsi e nuove cose da
raccontare…”. │
Giuseppe Maggiore
14
Giuseppe
Maggiore
INTERVISTA AL TEATRO DEL TENORE
ANDREA ANTONIO SIRAGUSA
Un infinito percorso formativo, nella ricerca del vero Sé su
di se medesimo, oltre il limite, dove il vuoto coincide nello
spettacolo primordiale della genesi o il principio assoluto
che è Amore. Un atto d’amore che, arriva all’origine o alla
fine di tutte le cose nella lucida consapevolezza che Amore
è l’unica verità che ci appartiene…
Chi è Andrea Antonio Siragusa?
Bisogna vedere da quale punto di vista, visto che il tutto, in
fondo, è amore. Si nasce così con una motivazione amorosa che
ho saputo serbare fin da piccolino e che è maturata in diversi
periodi del mio crescere e nell’approfondire il mio mondo e il
mondo migliore di se, scartando l’ipotesi che l’esterno potesse
influirmi negativamente (e ci ha provato). Tutto il mondo dell’arte
mi appartiene come la vita e, il mio centro è l’arte per arte o arte
per la vita.
Quale è stata la tua evoluzione artistica, se serve a spiegare
quello che sei?
Non posseggo a pieno l’evoluzione artistica in quanto scaturisce
dal mio pensiero una verità-legge che si crea nell’istante ovvero
nell’attimo che il corpo traduce un sogno…Se sono “evoluzione
artistica”, lo deciderà la mia storia nel futuro quando forse non
sarò in vita (Cos’è la storia?!...). Sono dell’idea di vivere attimo
per attimo. Il passato è già passato (a me non serve più, forse a
qualcuno può interessare…). Il futuro arriverà ma è già passato,
così che focalizzo totalmente il mio vivere sul da farsi adesso…
E così gli anni passano…
Per gli altri ma non nel mio teatro! Chi conosce il proprio teatro
sa quale regia può tradurre nel suo percorso di vita…C’è gente
che sa di che si muore (del resto vivere è morire e, ciò che si è
da piccoli, si dovrebbe essere da grandi) se si è nella verità, il
morire coincide spesso di come si è vissuti. Si viene al mondo
ma è un morire alla vita se in esso non si rinasce nuovamente
nello scoprirsi e nel ritrovarsi immagine e somiglianza di Dio.
Credi dunque in un Dio?
No, non credo in Dio, sarebbe un’offesa al creato. Non bisogna
credere in Dio. Egli è nel creato e noi siamo sua creatura, per ciò
non si può credere in Dio, dal momento che tutto ci parla di
Lui…Il nostro corpo traduce perfettamente il Suo Spirito che
invade il creato. L’esercizio quotidiano dovrebbe essere quello di
rispettare e amare il Suo Creatore con tutto se stesso come se a
muoversi, nella vita, fosse Lui soltanto. Da ciò dipende il mio
teatro che è il teatro di tutti e perciò fa fatica ad essere
riconosciuto perché il quotidiano vivere, nello spettacolo di tutti i
giorni, ci riconduce a ridicoli atteggiamenti televisivi scopiazzati e
ricondotti in un habitat illusivo di una realtà che non è propria o
non gli appartiene per niente…E’ moda!
Dunque il teatro è spirituale?
Ancor di più, direi umano, un bisogno interiore che traduce ciò
che non si può vedere…In questo senso da me definito spirituale
o spiritualistico che non ha niente a che vedere con le religioni o
certa new age. E’ il bisogno di un Sogno e ancora di un secondo
Sogno se esso può divenire realtà ma, realtà di un bel niente,
visto che per me, il reale, è solo illusione.
Ma intanto si vive in una realtà fisica, concreta…
Ma non ci appartiene! Si può solo far finta…Guardiamoci
intorno…Si è sempre nella finzione, si finisce sempre nel teatro,
nella teatralità del quotidiano. Quindi un teatro come doppio
sogno, una nuova vita nel caos delle cose che ti passano
intorno. Un recepire dall’esterno, essere attraversato da un di più
che ti viene dato e che tu solo nel tuo essere puoi capire. Così
che si possa donare il tuo sentire, il tuo mondo interiore. Mettersi
a nudo è accogliere ciò che il tuo corpo può esprimere…Ora con
la danza, il canto, la poesia o con il semplice relazionare…
Diventa una risposta del Divino in noi.
Sono argomenti difficili nella società attuale…
Lo scopo dell’arte e dell’artista è riuscire in qualche modo ad
educare… C’è un modo di far teatro che è sterile, che non porta a
niente. Nel pubblico non arriva la catarsi che fu lo scopo di tutto il
teatro greco. Oggi la gente vuole avere i suoi quindici minuti di”
famosaggine”. Fu profetico Andy Warol quando disse che un
giorno tutti, anche per quindici minuti, avrebbero avuto il loro
momento di gloria. Infatti assistiamo ogni giorno a catastrofiche
brutture che non hanno niente in comune con l’arte. Il mondo
contemporaneo ha eliminato ciò che si possa dire assoluto, i
nostri padri siculi direbbero: ”tanti testi tanti mazzi”…Dunque
niente educa nessuno e il teatro ha perso la sua funzione
educativa. Io non ho la presunzione di educare col teatro. Il mio
far teatro è una ricerca, come ho detto, nella conoscenza di sé,
andando in quelle zone ancestrali del proprio essere dove non
esiste il tempo che siamo abituati a vivere…Ecco che non c’è più
passato, presente e futuro; qui c’è l’attimo e lì si analizza il
percorso che ci rende sublimi, belli e che fa dire agli altri “ma
com’è possibile!...”
Chi è l’attore?
L’attore non c’è!...Se di attore si deve parlare diremmo che esso è
un guerriero, autentico sciamano che fa ri-nascere la parola come
corpo che traduce altro da sé…Non deve esserci psicologia o atto
retorico (atto-re) che tenga. I cosiddetti attori che studiano il teatro
dei poeti, si calano nella parte come hanno imparato a scuola,
nelle accademie. Sono dicitori, cioè riferiscono altro, si
immedesimano. Essi commemorano, celebrano, danno “atto” di
se, come bravi talenti (se ce l’hanno) ma assolutamente ignari dal
momento poetico. Si esibiscono, sono virtuosistici ma mai sono
”detti”.
Non
sono
”parlati”…parlano!
L’attore
scolastico/accademico, ipocrites è concentrato sulla visione che
ha di un testo e nel modo di come organizzare la scena
tecnicamente, non come elaborare l’arte scenica. Oramai mi
sono allontanato sempre più da questa visione di far teatro da
quando la lettura e l’avvicinamento al grande Carmelo Bene mi
ha letteralmente cambiato. Con lui ho imparato il corpo a farsi
suono. Trovare quella teatralità che fa spettacolo che poi mi
sarebbe servita nel canto avendo come esempio l’arte (e non la
tecnica) del mitico G. Di Stefano. Questi sono esempi che il mio
animo sa ben tradurre e che sono le lunghe ore passate sul mio
corpo, nell’esercizio fisico di scoprire quella sensazione di come
“sparire dal reale” che, nel nostro lavoro artistico e di
palcoscenico, fa gridare al pubblico al miracolo (anche fuori dalla
scena).
In tutto questo, c’è qualcosa di mediterraneità e un senso di
appartenenza alla terra di Sicilia?
Cielo siculo! Cielo Jonico! Una voce melodiosa che dice ciò che
l’antico ha pensato… Il suo sguardo, le sue azioni ora dolenti e
15
melanconiche, poi sorprendentemente creatrici e vitali… Dalle
radici nasce un fiore, da esse si sviluppa il senso naturale delle
cose! L’uomo è in verticale non in orizzontale; non bisogna avere
paura di scendere nel profondo. La verità è alla radice, nella
testa risiedono la paura, le miserie, le angosce e ciò che ci si
porta da pseudo educatori… E’ nel profondo che si estrae il
tesoro, quella verità nascosta e unica che devi sapere riportare
su alla testa, ragionevolmente discernendo ciò che è bene dal
male. Questo è lo scopo del teatro nel corpo, una verità che è
azione e che agisce per sua naturale bellezza non nascosta
dall’ipocrisia. Questo senso teatrale dell’essere i siciliani l’hanno
sempre avuto, anche se, nell’epoca attuale, si fatica nel
controllare le emozioni, presi come siamo in uno stile di vita
totalmente globalizzato e super tecnologico.
Carmelo Bene a proposito del meridione parla dei luoghi del
sud del sud dei santi…
Lui parla della terra d’Otranto nel salentino ma le caratteristiche
dei silenzi infinitamente poetici e il volare dei santi come
Giuseppe Desa da Copertino o i santi ”imbecilli”, Francesco
d’Assisi che balla felice davanti al papa o altri che vivevano
nell’immediato, appartengono alla terra di Sicilia… In me sento
vivere quelle stesse origini del sud del sud dei santi,una terra
dalle visioni del caos. Appartenere fisicamente ad un luogo di
origine, vorrà dire calpestare un “teatro stabile” che fin da
bambino accoglie il debutto e una iniziazione alla scena prima.
Da questa scena d’origine ho preso le dovute distanze, atto a
costruire una non identità. Una non rappresentazione della terra
di Sicilia, una non appartenenza alla sicilianità nei suoi
atteggiamenti, nei comportamenti, in quanto nel mio essere
uomo del sud riescono irrappresentabili.
Dove sta la storica rappresentazione della verticalità dei
siciliani?
Orazio Maria Valastro
CATANIA
Ateliers
dell’Immaginario
Autobiografico
Gli Ateliers dell’Immaginario Autobiografico sono dei laboratori di
narrazione e scrittura di sé, realizzati dall’Associazione di
Volontariato Le Stelle in Tasca di Catania. Possiamo definirli e
presentarli come un’esperienza vitale, un esercizio concreto per
mettere in pratica un ascolto sensibile di sé e degli altri. Sono
uno spazio della nostra città che ci permette di valorizzare,
riconoscere e restituire un’autentica cittadinanza sociale alla
memoria e alla storia di vita di persone comuni. La memoria, la
storia di vita delle donne e degli uomini, è un patrimonio
inestimabile e prezioso da condividere tra le generazioni di un
territorio, un’eredità da salvaguardare per comprendere la
dimensione sociale e spirituale della nostra comunità. Gli Ateliers
sono pertanto concepiti e vissuti come esperienze di gruppo che
sollecitano la nostra memoria.
Un percorso da condividere
Il formatore e consulente autobiografo, programmando una serie
d’incontri di gruppo, anima uno spazio che diventa un luogo dove
condividere l’incontro e l’ascolto di sé e dell’altro. Rendendoci
partecipi di un percorso che si articola in un tempo e uno spazio
che ci accomuna, prendiamo parte a un cammino che si snoda
tra ciò che conosciamo e ciò che ci autorizziamo a svelare o da
cui ci lasciamo penetrare. Questi incontri diventano degli spazi
che facilitano la parola e la scrittura, elaborando un discorso di
sé che si compenetra del discorso dell’altro. Uno spazio dove
ascoltare e leggere l’altro sperimentando l’esperienza che ci
accomuna, l’avventura e l’enigma della vita con cui tutti ci
confrontiamo.
L’arte della poetica di sé
Prima di diventare gli autori della nostra vita, gli scrittori della
nostra biografia, gli Ateliers sollecitano una comunicazione e una
relazione che ci permetta di entrare in contatto con l’altro
La Sicilia e il “Cielo” dei siciliani hanno rappresentato per millenni
la radice e le fondamenta dove tutto si crea in verticale; dove il
corpo ascolta il silenzioso abitare il sud dei santi, dove la vita e la
morte viaggiano profondamente insieme. Ecco il mio tempo è la
mediterraneità in divenire… Sperimentare e ricreare l’enorme
tempo restituendo fisicamente un luogo di origine. Quel
mediterraneo sede del caos e delle visioni poetiche, radici di un
germoglio culturale sempre positivo in quello spazio non tempo
dove vivere e abitare la battaglia.
Cosa ti accomuna con la millenaria tradizione letteraria
siciliana e i suoi modelli di cultura?
L’eternità!!! Ovvero il non essere spettatore della tradizione
culturale-evento-storico che appartiene ad una comunità, poi il
non prendermi troppo sul serio. Artisticamente mi compiaccio di
non fare teatro sociale né essere spettatore culturale. Dalle
millenarie forme culturali la Sicilia vanta di personaggi che per
natura antropologica abitano luoghi dove dal sottosuolo il respiro
della terra, infuocata dal sole, alimentava la pura follia visionaria
dando vita ai silenzi infiniti e inutili. Il genio vola in tutte le
direzioni, il suo gesto visionario rimane sempre unico e teatrale.
Sentirmi legato al respiro antico di Sicilia, alimenta il pensiero
che attraversano le visioni, senza tuttavia abitarle…
E’ così che si arriva alla tua scrittura?
Essere invasi da un qualcosa che attraversa il corpo dove si
dialoga con forze superiori senza mai narrare l’avvenuto
combattimento nel tradursi. Nel depensare si è in possesso del
prodigioso, non si è mai coscienti di essere nel prodigio; si è
assenti e irrappresentabili, coscienti di farsi vuoto e, li dentro,
sospendersi divenendo se stessi “visione” senza sapere di
essere in volo…
Per quel che mi riguarda posso stare anni senza scrivere ed
essere Poesia! │
attraverso la parte più profonda di noi. Rappresentando noi
stessi con un disegno, ad esempio, condividiamo un pensiero
metaforico che si sottrae inizialmente al registro verbale,
trasferendo per intero noi stessi in un’immagine.
La percezione che condividiamo della nostra relazione con noi
stessi, gli altri e il mondo, si manifesta in questa
rappresentazione grafica. Come evitare di essere sollecitati dal
potere evocatore di questa immagine ed alla narrazione che la
accompagna? Inerpicarsi per le strade della vita, scalare la
montagna della vita, è un viaggio metaforico: il cammino della
nostra vita. Un cammino a volte confuso, quando la nebbia ci
confonde la vista e non riusciamo a riconoscere la strada da
seguire, un cammino a volte sereno e illuminato dal cielo limpido
e scintillante. Le stagioni segnano il fluire del tempo e l’alternarsi
di momenti difficili e sereni, offrendoci privazioni e sofferenze,
gioie e rinnovamenti nel nostro cammino. Questo primo percorso
degli Ateliers permette ai partecipanti di fare l’esperienza della
scrittura poetica di sé, mettersi alla prova sviluppando sensazioni
ed emozioni, organizzando metaforicamente le nostre percezioni
della vita.
L’arte dell’immaginario
La comprensione simbolica dell’esperienza di donne e uomini
che si confrontano con la propria storia di vita, con la nostra
presenza nel mondo e la relazione con l’altro, con l’esistenza in
generale, ci introduce all’arte dell’immaginario. L’esercizio della
narrazione e della scrittura di sé, sviluppato ulteriormente a
partire dal disegno, moltiplica le reti metaforiche dell’esistenza
che riusciamo a esprimere in queste raffigurazioni simboliche,
riscoprendo con un altro sguardo il movimento dell’esistenza e
del mondo.
L’arte dell’autobiografia
Sinteticamente possiamo considerare anche l’ultimo percorso
degli Ateliers. L’elaborazione di una scrittura autobiografica che
prende vita da questi incontri e da questo percorso,
un’esperienza che ci prepara ad autorizzarci a diventare l’autore
della nostra storia di vita elaborando una scrittura autobiografica.
La scrittura diventa arte poiché trasforma la nostra vita,
nell’attività della redazione di un testo, in un’opera che ha un suo
inestimabile valore, un’opera che ci pone di fronte a nuove
presenze, nuove esistenze e coscienze. │
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Maria Isabel
Giabakgi
MITO E SURREALISMO POETICO
NELL’OPERA DI RITA DELLE NOCI
L’idea di perfezione e nitore formale non manca mai di dettare
sorpresa, soprattutto nel panorama dell’arte contemporanea. Il
rigore tecnico, l’abilità di cesello, la sorvegliata armonia che
sottende le tele e le opere grafiche di Rita Delle Noci si
dichiarano subito come un convinto manifesto di poetica.
Le tematiche affrontate dall’Artista sono improntate alla più
straordinaria varietà: dalle sue tele si affacciano figure
mitologiche e delicati soggetti naturalistici, con molte varianti sul
tema del giardino; non mancano l’attualità e l’introspezione, vero
comun denominatore; improbabili prospettive di interni abitativi e
soggetti religiosi, questi ultimi rivisitati spesso in chiave
problematica e postmoderna. Molto caro alla sensibilità
dell’Artista è il sulfureo vitalismo della terra di Sicilia, con il suo
inestricabile viluppo di mito, storia, arte e natura.
colori, plasmandoli lungo percorsi rettilinei o svolgendoli in
sinusoidi e volute, in ragione della staticità o del dinamismo del
soggetto ivi rappresentato. Dal lontano 1966, anno della sua
prima mostra a Potenza, passando per il 1970, anno della
mostra “Tierra Bravìa” a Madrid, Rita Delle Noci ha avuto modo
di farsi apprezzare in numerose mostre tenutesi a Roma,
presso la galleria “Cassiopea” e presso la Galleria della Corte
Comunale di Formia (2009).
Inoltre, nel novembre dello scorso anno, l’Artista ha esposto a
Torino, presso Villa Gualino, la Trilogia di Ulisse.
Sul piano squisitamente tecnico, Rita Delle Noci – nata a Melfi
(PZ) e attualmente residente a Formia (LT) – ha saputo
raccogliere in una superiore sintesi i più svariati indirizzi formali
sperimentati nel corso della sua lunga carriera, giungendo ad un
personalissimo linguaggio grafico-pittorico che è anche metodo
investigativo della realtà.
Se, infatti, il mondo fenomenico è ipotizzabile come
consustanziale alla dimensione onirica, i brani di realtà – già di
per sé risibili chimere di certezze – si vestono di luce e colore,
steso secondo una gradatio volta a vivisezionare l’inafferrabile e
l’indicibile. In questo scenario irrompe il pensiero umano, con la
sua progettualità, con la sua incapacità di afferrare la realtà;
allora il colore lascia spazio ad una fitta trama di linee, tracciate
dalla Delle Noci con l’abilità di “cesello”. L’occhio dell’osservatore
è abilmente guidato dal “parziale” di un singolo modulo grafico
all’unicum dell’intera opera. La delicata precisione del tratto
avvolge e pervade, come preziosa trina metallica, la diafania
larvale di volti, mani, oggetti; di una materia, in definitiva, che ha
già optato per la sua declinazione spirituale.
La tecnica grafica, creata dalla Delle Noci tra la fine degli anni
Sessanta e i primi anni Settanta, ma soggetta a continue
evoluzioni, risale al periodo in cui l’Artista era impegnata nella
grafica pubblicitaria, dapprima a Roma e, successivamente, a
Madrid. Essa si basa su una trama di linee geometriche in cui si
svolge una decorazione modulare che asseconda la volumetria
del soggetto prescelto ed è realizzata a mano libera con
inchiostro di china. La tecnica pittorica, anch’essa risalente allo
stesso periodo, si affida alla tempera e al chiaroscuro, ottenuto
attraverso una gradazione che scompone settorialmente i
Nel gennaio 2010, infine, una sua preziosa opera, la
Sant’Agata (collezione privata G. Maggiore), è rimasta esposta
al pubblico durante i festeggiamenti in onore della Patrona a
Catania, nell’ambito della mostra
“Cimeli agatini. Arte
popolare”, patrocinata dall’Archidiocesi e dal Comune.
Rita Delle Noci è iscritta all’Albo dei Pittori e Scultori d’Italia e
d’Europa. │
18
Antonello
Morsillo
VISIONI URLATE
I LUOGHI DELLA FOLLIA NEL CINEMA
“Guardo la sedia vuota e mi rendo conto che fra qualche
tempo Anna non sarà più qui. Oggi Anna può fare a meno
della mia presenza perché mi porta stabilmente dentro di sé.
Sono io che la devo perdere. Sento dentro come un lutto.
Ma questo è il prezzo di una nascita”.
Questo dolore espresso dalla deuteroprotagonista, Madame
Blanche, nel film Diario di una schizofrenica, diretto nel 1968
da Nelo Risi ne mostra la grandezza. L’aver dischiuso la vita di
Anna Zeno, vittima della mancanza d’amore, di una disastrosa
famiglia, rappresenta una testimonianza singolare della follia sul
grande schermo. Antesignano dei film a tema psicoanalitico, Il
diario di una schizofrenica, tratto dal libro omonimo della
psichiatra svizzera Marguerite Andrée Sechehaye, mostra
un’aderenza lucida nel rappresentare la schizofrenia della
protagonista. Il suo alto valore storico, e le innumerevoli
interpretazioni per svelare la natura delle urla interiori di Anna
esplodono, nel climax, quando l’immagine delle mele verdi
attaccate all’albero, e quindi immature, è decifrata come il latte
materno di cui Anna è stata privata.
La schizofrenia,
caratterizzata da soluzioni visive e simboliche, svela il
drammatico risultato di una mancata aderenza di un individuo ai
codici imposti dalla società. Quello a cui assistiamo è la corsa
all’interno di spazi, dimore, stanze che ravvisano gli abissi del
film La fossa dei serpenti diretto da Anatole Litvak, nel 1948.
Qui una donna è preda di allucinazioni visive ed è condotta in un
manicomio; un luogo paragonabile ai gironi danteschi per la sua
architettura. I vari reparti suddivisi in base alla patologia delle
pazienti. Le celle spoglie, oscure e cesellate da imponenti sbarre
ne fanno il manicomio più inumano mai descritto in un film.
Questa straordinaria discesa nella “fossa dei serpenti”, dove in
passato venivano abbandonati i folli con l’idea che lo shock li
avrebbe guariti, sapientemente descrive il clima d’abbandono e di
distacco dei dottori verso i propri assistiti.
Le paure della società vengono intrappolate in queste
intercapedini e si nutrono di sé stesse anche in Bedlam di Mark
Robson, del 1946.
Tratto dalla serie di otto dipinti del pittore inglese William
Hogarth, A Rake’s Progress, e in particolare dall’ultimo, inerente
il manicomio, rende appieno il suo titolo: La carriera di un
libertino. Una palese condanna della funzione di queste dimore in
epoca illuminista. Una denuncia più recente è espressa da Milos
Forman nel 1973 in Qualcuno volò sul nido del cuculo.
Letteralmente il titolo corrisponde ad una filastrocca: “Uno stormo
di tre oche, una volò ad est, una volò ad ovest, una volò sul nido
del cuculo” e il cuckoo, nel titolo originale, oltre ad indicare il
cuculo corrisponde anche al termine pazzo. Come il parassitismo
del cuculo così Randle Patrick McMurphy, interpretato da un
eccellente Jack Nicholson, “vola” in un Ospedale psichiatrico di
Stato per “deporre” il suo stile di vita anticonformista. Ma
l’esempio più devastante, sempre in ambito di “cinemamanicomiale”, sia per lo spettatore che per i soggetti mostrati è
rilevabile in Titicut Follies, diretto da Frederick Wiseman, nel
1967. Fino al 1991 questo straordinario documento è stato
censurato per la sua grande durezza. Il titolo rimanda al musical
allestito dai pazienti del manicomio criminale di Bridgewater, nel
Massachussets. E’ come se i pazienti fossero obbligati a
performare le loro esistenze dinanzi al giudizio dei medici e dello
spettatore. Queste anime dilaniate sono come “fantasmi per una
strada senza ritorno” il titolo che il giornalista Johnny Bennet,
protagonista de Il corridoio della paura di Samuel Fuller del
1963, avrebbe dato al suo articolo se non avesse sfidato le leggi
umane. La sua ambizione di scoprire il responsabile di un
omicidio e vincere il Premio Pulitzer, lo porta a farsi ricoverare in
un ospedale psichiatrico e divenire lui stesso uno dei pazienti
catatonici ospitati. Questo film pur mostrando la natura degli
psichiatri, incapaci di individuare il falso paziente, non li
demonizza e diviene progressivamente, nella sua cupezza e
drammaticità un eccellente capolavoro. La società è un esangue
fardello che porta a sopraffare o a sopprimersi. Roman Polanski
ne L’inquilino del terzo piano del 1975 la descrive
rappresentando il graduale delirio di Trelkovsky, interpretato dallo
stesso regista, che diviene Simone Chule l’inquilina suicida che
occupava il suo appartamento. Lui è “l’inquilino chimerico”, titolo
del libro di Roland Topor dal quale è tratto il film. Il regista elimina
la luce del giorno e lo fa vivere in una dimensione oppressiva
all’interno del suo appartamento. Il passaggio alla psicosi è
sottolineato dal rinvenimento di un dente, di Simone, all’interno di
una parete. Mentre la ripetizione del suicidio simboleggia il
masochismo represso per il rifiuto degli altri. In Shining di
Stanley Kubrick, del 1980, lo scrittore Jack Torrence è sperduto
nel labirintico albergo, adiacente il medesimo giardino, quale
metafora di una mente che non ritrova più sé stessa e continua
ossessivamente a scrivere “Solo lavoro e niente divertimento
rendono Jack un ragazzo svogliato”, proverbio tradotto nella
versione italiana in “il mattino ha l’oro in bocca”. La
rappresentazione dello spazio è sottolineato dal regista con varie
riprese dall’alto, con evidenti figure geometriche che convogliano
nella morbosità e nel non-luogo. Dall’isolamento la follia emerge
Come in un specchio diretto dallo svedese Ingmar Bergman,
nel 1962. La psicosi allucinatoria della protagonista, isolata nelle
isole dell’arcipelago delle Frisonne, domina la realtà come lo
specchio del titolo che conduce ad immagini velate e misteriose.
Sono visioni urlate, da un incedere sommesso quelle che il
cinema, sapientemente, riesce ad evocare attraverso la
ricreazione di questi margini. Le scenografie di Hermann Warm,
Walter Reimann e Walter Rohrig in Il gabinetto del Dottor
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Tra le tante attività aggreganti, lo sport riesce certamente ad accomunare
più persone e fare di esse una squadra, che vive e condivide la stessa
passione, e che in virtù di essa, fonde esperienze di vita diverse. E’ il caso
di questa bella realtà, nata dalla volontà di Antonio Vinci, il quale, nelle sue
vesti di Presidente, è riuscito a trasmettere ai suoi componenti, non solo la
possibilità di fare dello sport un momento elettivo del proprio tempo libero,
ma attraverso esso, anche di consolidare dei sani rapporti di amicizia e di
solidarietà. Un obiettivo, il suo, condiviso anche dalla sorella Cettina e da
Silvana Politino che insieme lo collaborano nella conduzione.
Diversi per età, preparazione e occupazione; diversi per cultura e
nazionalità… ma uniti e affiatati, vivono con entusiasmo ogni loro momento
trascorso insieme – da quelli dedicati all’allenamento a quelli sul campo per
giocare una partita . Hanno appena concluso il Campionato di calcio a 5,
serie D, che li ha visti di volta in volta giocare in casa o in trasferta, ma la
loro partita - contro l’apatia, la mancanza di stimoli e di possibilità d’incontro
che caratterizza la realtà locale - non finisce mai. Un gioco di squadra intriso
di sani valori: “Il nostro obiettivo non è una competizione fine a se stessa –
sottolinea l’allenatore Fabio Compagnini, fra l’approvazione degli altri
membri raccolti intorno a lui e al Presidente - Noi crediamo realmente che
l’importante non sia vincere, ma partecipare, sentirsi parte di questa
squadra. La nostra è come fosse una grande famiglia, e come in ogni
famiglia, possiamo avere delle piccole divergenze, ma che poi ci sforziamo
di superare… Il gioco di squadra è importante per aiutarci a crescere come
persone, ma anche a farci maturare nel saper stare bene insieme… Non si
può parlare di squadra o di qualsivoglia forma di aggregazione, se prima
non si parte dal rispetto della persona. Questo viene prima di tutto, ed è ciò
su cui insiste il nostro Presidente.” I componenti della Virtus Palagonia:
S. Gulizia, D. Blanco, V. L. D'Aviri, G. Di Benedetto, R. Mirabella, G.
Pappalardo, A. Vinci, G. Bassotto, F. Tenerezza, N. Ovarchi, F. Calcagno,
A. Trentino, T. Cannizzaro, V. Oliva, W. S. Polizza Favaloro, S. Sipala, G.
Terranova, F. Compagnini, A.-J. Kouam, M. Toma, F. Trentino, R. Lagona,
S. Sipalino, A. Kovam, L. Renda, D. Minuto, A. J. Errari, K. Mounir, K. Tara
si ritrovano tutte le settimane insieme presso il campetto “Country Club”.
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1920 evidenziano proprio questo concetto. Siamo dinanzi alla
follia espressa da un’asfissia visiva che si traduce in un onirico
viaggio in atmosfere irreali: strade a zig-zag, scene
esageratamente e volutamente dipinte, prospettive alterate che
ne fanno il capolavoro del cinema espressionista. E’
l’allucinazione di un ospite di un manicomio la cui stanza
dominata al centro da una sedia rimanda ad un’opera del pittore
tedesco Erich Heckel (Der Irre. Aus einem Irrenhaus, 1914) la
quale raffigura una scena di folli in un ospizio. Nel quadro la
sedia sottolinea l’idea stessa del vuoto e quella del film, più
stilizzata, ne accentua il malessere. Gli stessi volti sproporzionati
dei pazienti, in esso raffigurati, demarcano una linea che dilata lo
spazio per rappresentare le proprie ombre. Le stesse che Og,
nell’ultima sublime interpretazione di Buster Keaton, intravede
quando si trova dinanzi a se stesso.
Il regista, Alan Schneider, intitola la pellicola emblematicamente
Film. La stessa macchina da presa diviene protagonista della
folle corsa di Og, degli sguardi inorriditi dei passanti e di quelli di
ogni essere vivente. Una claustrofobica stanza, diviene la sua
ultima tappa alla presenza di una sedia e di uno specchio.
Tramite la soggettiva utilizzata per tutto il corto Og si sdoppia nel
suo io: uno guarda inorridito, l’altro lo osserva con rimprovero.
Da un soggetto di Samuel Beckett, un cortometraggio in cui la
macchina da presa, da lui denominata E, riprende il personaggio
sempre di spalle. Questa scelta stilistica toglie ad Og la sua
fisicità a vantaggio di E. Non a caso E, stilizzazione del termine
eye (occhio), è la vera presenza di questo racconto. E’ nell’ultima
scena, con l’inquadratura dell’iride che accende il suo buio, il
cinema, ancora una volta, diviene lui stesso una macchina
corporale che fissa silenziosa e ostinata la percettiva solitudine
del nostro sguardo. │
Gianni Amato
Gianni Amato
CALTAGIRONE
CALTAGIRONE
“Visioni e fiori d'artista”
e “Scala infiorata in
progress”
“Visioni e fiori d'artista” (Dal
sempreverde alla rosa – La città in
fiore) e “Scala infiorata in
progress”, le iniziative promosse
dall'Amministrazione comunale di
Caltagirone “con l'obiettivo –
spiega l'assessore al Turismo e
vicesindaco, Alessandra Foti - di promuovere e valorizzare,
sulla scorta della positiva esperienza dell'analoga iniziativa
natalizia, la realtà degli artisti del nostro territorio e creare
momenti di comunicazione con la città e i numerosi turisti che la
visitano, in occasione delle festività pasquali e delle
manifestazioni legate alla primavera”.
Le iniziative sono rivolte a imprese profit e non-profit,
associazioni culturali e sociali, scuole,
organizzazioni di
categoria, singoli e/o gruppi che intendono esprimere il proprio
estro artistico nelle seguenti attività: individuazione di un
particolare scorcio della città, sia del centro Storico, sia del
centro nuovo, dove realizzare un’istallazione artistica a tema
primaverile, con utilizzo principale di fiori e piante; creazione di
un particolare disegno floreale da realizzare sulla Scala di Santa
Maria Del Monte.
Un’apposita commissione valuterà i progetti degli allestimenti
da realizzare, rivolgendo particolare attenzione agli interventi
previsti nella zona nuova della città, alla creatività, all’utilizzo di
materiali innovativi
ed economici,
all'utilizzazione e
valorizzazione dell’arredo urbano esistente, al
maggiore
coinvolgimento di spazi e cittadini.
In riferimento alla Scala infiorata, saranno individuati tre progetti,
che saranno realizzati alternativamente nelle prime tre settimane
di maggio.
I progetti selezionati nell’ambito dell’iniziativa “Visioni e fiori
d'artista” saranno realizzati il 27 marzo in occasione della
“Passione vivente”; la commissione valuterà successivamente le
installazioni e assegnerà due premi del valore di 500 euro. Tutti i
partecipanti non vincitori riceveranno un contributo di 150 euro.
Fra i tre disegni realizzati per l’allestimento della Scala sarà
scelto quello che rimarrà esposto dal 23 maggio al 6 giugno ed
avrà assegnato un premio di 500 euro.
Per la realizzazione della “Scala infiorata”, l’Amministrazione
comunale, per sostenere la partecipazione, metterà a
disposizione piante fiorite e piante verdi per un massimo
rispettivamente di 1000 e 600, che i soggetti proponenti
potranno incrementare a spese proprie o di eventuali sponsor. │
SITO ISTITUZIONALE: www.comune.caltagirone.ct.it
“Famiglie a Teatro” la rassegna di teatro per
l'infanzia
E’ stata aperta il 28 febbraio, nel Museo Fornace Hoffman di
Caltagirone, dalla compagnia PiDa di Catania, che ha presentato
lo spettacolo “Il soldatino di stagno e la bambola di porcellana”
(un classico della narrativa per i più piccoli scritto da Hans
Christian Andersen, rivisitato e impreziosito da musiche e
canzoni), la rassegna di teatro per l’infanzia “Famiglie a Teatro”,
promossa dall’associazione culturale “Nave Argo”, con il
sostegno del Comune di Caltagirone (Ass.to alle Politiche
giovanili) e della Regione siciliana (Ass.to ai Beni culturali). In
scena Francesco Maria Attardi, Francesca Ferro e Sabrina
Tellico, per la regia di Giovanna Criscuolo.
“Famiglie a Teatro” - ideazione e direzione di Fabio Navarra – ha
inteso promuovere il teatro come esperienza da condividere in
famiglia, creando le condizioni per un interscambio di emozioni
non solo tra gli artisti e gli spettatori, ma anche tra gli spettatori
stessi, grandi e piccoli.
“Essa – si sottolinea da Nave Argo - rientra nell'ambito delle
iniziative promosse, sin dal 1992, dalla nostra associazione allo
scopo di dotare il Calatino di una programmazione stabile e
continuativa di eventi teatrali e culturali”.
Tre, compreso quello del 28 febbraio, gli spettacoli in
programma, proposti da altrettante compagnie teatrali siciliane
nella bella “location” del Museo Fornace Hoffman: il 14 marzo è
stata in scena la Compagnia Casa di Creta di Catania, che
presenterà “I Cunti de Ciancineddi”, con Antonella Caldarella e
Steve Cable. Due fiabe siciliane raccontate in dialetto con le
marionette da tavolo per uno spettacolo che diventa
un’occasione per riscoprire la figura della cuntastorie al
femminile nonché i personaggi della tradizione popolare
sconosciuti ai bambini di oggi. La rassegna si chiude il 28 marzo
con il Teatro dei Naviganti di Messina, nello spettacolo “La storia
di Pinocchio” con Mariapia Rizzo, Cristiana Minasi, Stefania
Pecora e la regia di Domenico Cucinotta. Un’originale
rivisitazione delle gesta del famoso burattino di Collodi, bambino
impertinente che cresce imparando dai propri sbagli. │
22
Scuola
Primaria
“G. Ponte”
Palagonia
IL DRAMMA DI HAITI
VISTO CON GLI OCCHI DEI BAMBINI
Il nuovo anno è iniziato con un terribile avvenimento: il 12
Gennaio un violentissimo terremoto di 7,3 della scala richter ha
devastato, in solo 28 secondi, l’isola di Haiti, nel Mar Dei Caraibi,
provocando una catastrofe umana e materiale. Haiti è uno dei
paesi più poveri del mondo dove solo l’1% della popolazione è
ricco e l’80% vive con appena un dollaro al giorno, non ha
accesso all’acqua, all’istruzione e alle cure mediche. Quando
Cristoforo Colombo la scoprì, cinquecento anni fa’, Haiti era un
paradiso: mare cristallino, spiagge con palme e sabbia finissima,
paesaggi mozzafiato. I popoli che nei secoli la conquistarono,
spagnoli e francesi, e le guerre che sono andate avanti fino al
2004, l’hanno resa un inferno e le sue bellissime spiagge sono
inondate dai rifiuti che nessuno raccoglie. Questo terremoto è
solo l’ultima delle tragedie che devastano Haiti dove, su mille
bambini, sessanta muoiono prima di un anno e più di due milioni
di disperati abitano in baracche di lamiera arrugginita.
In classe attraverso il giornalino ”Popotus” e a casa, in
televisione, abbiamo seguito l’incubo di Haiti e ciò che vedevamo
era traumatizzante. Il pianto di chi ha perso i propri cari, la
disperazione dei genitori che, a mani nude, scavano per liberare
i figli rimasti sotto le macerie, le mani tese in cerca di cibo e di
aiuto, ci hanno fatto provare tanta tristezza. La gente di Haiti è
sola, smarrita, è abituata a mangiare una sola volta al giorno, e
questo terremoto deve essere l’occasione per risollevarla,
liberarla dalla povertà. Tutti, anche noi bambini, dobbiamo far
qualcosa perché Haiti non sia dimenticata
Antonella Vaccaro, Simona Bardaro, Chiara D’Amico,
Giulia Di Stefano, Erica Brancato
(alunni della 3° A) Scuola Primaria I.C. ”G. Ponte”
IL TERREMOTO DI HAITI - di Simona Bardaro
Poveri piccoli
Che terrorizzati tra le macerie
Cercano i loro genitori.
Crollate le case
Migliaia sono i morti.
La tristezza infinita che si trova ad Haiti
è dolore immenso per tutti noi.
Flebile è la possibilità di vita.
Accadono miracoli
Nella tragedia sconfinata.
La gente è nel terrore
e cerca di salvarsi.
Questo ci fa stare male
c’è solo sofferenza e povertà
HAITI ORMAI DISTRUTTA - di Giulia Di Stefano
Haiti ormai distrutta,
bambini sotto le macerie
aspettando che qualcuno li salvi.
Il miracolo della vita
Si ripete
Ma purtroppo la morte,
come un onda assassina, trasporta tutti.
E’ durato pochi ma interminabili secondi.
Piovono dal cielo i viveri
E come le bestie selvatiche,
ognuno cerca di prendere qualcosa.
Chi è sopravvissuto
È davvero fortunato?
Il BUIO DOPO IL TERREMOTO - di Antonella Vaccaro
Grida di mamme che Hanno perso i figli,
grida di figli che hanno perso le mamme.
pianti strazianti di bambini senza genitori,nonni e amici
Ormai la gente è allo stremo,è scoraggiata, non sa che
fare.
Ha perso tutto: figli,parenti,le loro misere case,
tutto ciò che più conta nella vita.
Una grande oscurità copre Haiti;
ormai quello che era non è più
tutto è scomparso insieme al terremoto.
Dal cielo piovono pacchi di viveri
Tutti si accalcano, si azzuffano per prendere di che
sopravvivere;
nessuno sa cosa fare e quindi si sta rintanato in se stesso
insieme al suo infinito dolore
ora noi possiamo aiutare davvero questa povera gente
sofferente
che prima per noi non esisteva presi dal nostro eterno
egoismo
che ci chiude nel buio della solitudine
HAITI IN MACERIE - di Davide Interlandi
Il terrore è sceso su Haiti
Come uccelli in cerca di cibo
vagano i sopravvissuti.
Fortunati i feriti
Che ancora vedono la luce.
Chi non c’è l’ha fatta
è nelle tenebre delle macerie.
Piccoli coniglietti
miracolosamente salvi.
Si lotta per la sopravvivenza
In una lotta contro il tempo.
LA TRISTEZZA DEL TERREMOTO - di Alessia Giannuso
L’ attesa di chi
Attende di essere liberato
Dall’ immenso mucchio di macerie.
La mani che sbucano
tra i calcinacci
bambini rimasti orfani
e i più fortunati tra le braccia dei loro genitori.
Accadono miracoli
Miracoli della vita
Ma la tragedia è apocalittica.
Le ore infinite
Sotto grandi pezzi di muro
Il dolore,la paura,la morte
La speranza che dopo
la tragedia
non ci sia più l’ infinita povertà
che strappa l’anima
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PATOLOGIE
VERTEBRALI
Campagna
informativa
per la cura e la
prevenzione
COLONNA VERTEBRALE E SCOLIOSI – INFORMAZIONI CONOSCENZE E SOLUZIONI
LA COLONNA VERTEBRALE
La colonna vertebrale, detta anche dal nome greco, rachide, è
come dice la definizione stessa la “colonna” su cui reggiamo il
nostro corpo. Essa è costituita da 24 “vertebre” oltre osso sacro e
coccige. Vista di fronte (o di schiena) è rettilinea, vista
lateralmente, forma diverse curve: cervicale, dorsale, lombare e
sacro-coccigea.
UN PO’ DI STORIA
Già nell'Antico Testamento, 300 anni prima della nascita di
Ippocrate si possono rintracciare descrizioni di persone con
schiene curve. Ippocrate, il Padre della medicina, si applicò nello
studio, nella misurazione e nella classificazione delle curve
scoliotiche, e ideò alcune tecniche per la correzione della
deformità, i cui principi sono ancora attuali.
LA SCOLIOSI
La parola "scoliosi" deriva dal greco skolios (storto, contorto)
infatti si tratta di una deformazione complessa di tipo
tridimensionale della spina dorsale in cui la componente rotatoria
è il fattore principale che ne determina la gravità. In presenza di
una scoliosi, la colonna, osservata da dietro, anziché essere
diritta, presenta una o più curve ed è torta su sé stessa.
CIFOSI E LORDOSI
Sono ambedue deformazioni strutturali della spina dorsale date
da una maggiore inclinazione delle naturali curve della colonna
vertebrale. La lordosi è caratterizzata da un infossamento
profondo della colonna vertebrale nella regione lombare, che
proietta indietro il bacino e crea un dorso curvo. La cifosi è una
curvatura della colonna vertebrale con concavità anteriore che
porta ad un incurvamento della schiena.
QUANDO SI MANIFESTANO
In genere nel periodo compreso tra i 10 e i 13 anni. Il loro
sviluppo è molto veloce in quanto è collegato direttamente allo
sviluppo della colonna in corrispondenza della grande crescita
del periodo puberale. Bisogna stare molto attenti ai propri
ragazzi in quanto queste patologie non provocano alcun dolore
CHI COLPISCONO
La scoliosi colpisce l’80% delle ragazze e il 20% dei ragazzi,
mentre la cifosi per l’80% colpisce i maschi e per il 20% le
femmine.
COME CAPIRLO
Basta anche una semplice ma attenta osservazione da parte dei
genitori e degli insegnanti a individuare un inizio di scoliosi: una
lieve deviazione della spina dorsale guardando da dietro, un
dislivello delle spalle o delle scapole, o un’asimmetria dei fianchi
già indicano una presenza di scoliosi. Cosi come lo stare curvati
in avanti indica una possibile cifosi , un bacino con una curva
lombare accentuata è sintomo di una lordosi. Prendere in
tempo, cioè prima dell’inizio dello sviluppo puberale, queste
patologie è fondamentale.
PREVENZIONE E DIAGNOSI
Va effettuato uno screening preventivo prima del compimento
dei 9/10 anni per le ragazze e gli 11/12 per i ragazzi presso un
medico ortopedico o un medico fisiatra, specializzati in patologie
vertebrali.
La visita ortopedica per la diagnosi di una sospetta scoliosi è
assolutamente indolore e non è invasiva.
COME INTERVENIRE
E bene, per ottenere migliori risultati, essere seguiti da un team
di specialisti:
Medico Fisiatra o Medico Ortopedico che diagnostica la
patologia posturale e prescrive il tipo di busto necessario per la
sua correzione;
Tecnico Ortopedico che materialmente realizza il tipo di busto
prescritto dal medico specialista e segue, insieme a
quest’ultimo, l’evoluzione della scoliosi, apportando le piccole
modifiche necessarie per seguire e sostenere il processo di
guarigione della patologia;
Rieducatore che segue il ragazzo nell’attività motoria di
supporto alla correzione della scoliosi attraverso esercizi fisici e
respiratori.
BUSTI CORRETTIVI
La realizzazione di busti correttivi per la scoliosi, cifosi e lordosi
è fondamentale nella cura verso la soluzione di queste
patologie. Esperienza, aggiornamento e attenzione alle
innovazioni da parte dei Tecnici Ortopedici che realizzano i
busti correttivi su misura sono i fattori di successo nel
perseguire i risultati attesi.
Carmelo Di Salvo - Tecnico Ortopedico
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