giornale amedit - marzo 2010 - Centro Ortopedico Siciliano
Transcript
giornale amedit - marzo 2010 - Centro Ortopedico Siciliano
31 - 48 - 57 - 58 UHF 26 - 29 - 53 - 58 UHF FILIALE DI PALAGONIA D1 48 UHF - D2 53 UHF DAL 2005 IN DIGITALE TERRESTRE h 24 Piazza Garibaldi, 2 95046 – Tel. 095.7951200 www.bccpachino.it Trimestrale di Storia, Arte, Cultura, Costume, Società. Anno I – N° 2 - Marzo 2010. Iscrizione al Trib unale di Caltagirone n° 1/2009 del 17.12.2009. A cura dell’Associazione “Amedit-Amici del Mediterraneo”, Palagonia (CT). Distribuzione Gratuita. Redazione: [email protected] IL MEDITERRANEO: DA LUOGO DI SCAMBIO CULTURALE A CIMITERO A CIELO APERTO Pag. 2 PALAGONIA: TRENT’ANNI FA LO SCIOPERO DELL’ACQUA Pag. 7 ARANCIA A POLPA ROSSA: ORO ROSSO DI SICILIA DUCEZIO, CONDOTTIERO DEI SICULI Pag. 5 Pag. 7 IL SANTUARIO DEI GEMELLI PALICI A “ROCCHICELLA” (MINEO-PALAGONIA) Pag. 9 INTERVISTA AL TEATRO DEL TENORE ANDREA ANTONIO SIRAGUSA Pag. 15 LA LOTTA ASPERRIMA PER LA CONQUISTA DELL’EX FEUDO DEL PRINCIPE DI PALAGONIA Pag. 10 MITO E SURREALISMO POETICO NELL’OPERA DI RITA DELLE NOCI Pag. 18 VISIONI URLATE I LUOGHI DELLA FOLLIA NEL CINEMA Caltagirone: Fu il teatro Garibaldi (3) ∞ Grammichele: Premiazione 3° Concorso Fotografico promosso dagli Amici del Garbo (6) ∞ Quella preziosa eredità dei nostri padri nei Riti della Settimana Santa (12) ∞ Vincenzo Di Silvestro “from Manatthan to Palagonia” (13) ∞ Anzikitanza – “questione di stile” (14) ∞ I “To En” festeggiano il loro ventennale “nel silenzio” (14) ∞ Catania: Ateliers dell’Immaginario Autobiografico (16) ∞ Ass. Sportiva Virtus Palagonia (21) ∞ Caltagirone: “Visioni e fiori d'artista” e “Scala infiorata in progress” (22) ∞ “Famiglie a Teatro” la rassegna di teatro per l'infanzia (22) ∞ Il dramma di Haiti visto con gli occhi dei bambini (23) ∞ Colonna vertebrale e scoliosi – Informazioni conoscenze e soluzioni (24). Antonello Morsillo, “Sofia Stolz” Pag. 19 Mauro Carosio IL MEDITERRANEO: DA LUOGO DI SCAMBIO CULTURALE A CIMITERO A CIELO APERTO un terrorista. Di conseguenza, le imbarcazioni che si avvicinano alle coste italiane qualcuno le vede, ma gli occhi drogati dal timore per la sicurezza percepiscono solo volti di nemici agguerriti che hanno fame non di cibo, ma delle nostre vite. Dimenticando, ovviamente, che per un clandestino respinto (e magari annegato) nel Mediterraneo, altri dieci entrano e sono perfettamente funzionali, anzi indispensabili al sistema economico che abbiamo creato. La storia del Mediterraneo, tuttavia, è anche segnata da vicende di altro tipo e di altra statura. Una storia fatta da millenni di migrazioni, sotto forma di invasioni, conquiste e saccheggi, ma anche di scambi, confronti e trasformazioni reciproche di popoli provenienti da foreste, steppe e deserti. La circolazione degli uomini, ma anche degli animali, delle piante, delle tecniche e delle religioni, è stata talmente intensa che alla fine risulta difficile distinguere ciò che è stato elaborato all’interno del crogiolo mediterraneo e ciò che è arrivato dall’esterno. Nei mesi scorsi ha fatto scalpore la notizia di una nave da crociera che aveva attraccato in prossimità delle coste di Haiti, con i vacanzieri a bordo, nonostante l’sola fosse stata appena colpita da uno spaventoso terremoto. Scelta discutibile, in effetti; ma non andrebbe dimenticato che ogni giorno le navi da crociera del Mediterraneo solcano acque che si stanno tragicamente trasformando in un luogo dove esseri umani provenienti dai paesi più poveri del pianeta incontrano sempre più spesso la morte. Il “Mare Magnum” di romana memoria è diventato un cimitero a cielo aperto nel quale i migranti trovano una vergognosa e macabra sepoltura. Alcune cifre recenti possono servire da esempio: 16 giugno 2008: 40 morti e 100 dispersi al largo di Lampedusa. 20 agosto 2009: un’imbarcazione con 5 sopravvissuti eritrei in condizioni fisiche allo stremo, giunge in territorio italiano; 73 loro connazionali sono periti durante la traversata, non essendo stati soccorsi da alcuni natanti che transitavano nei pressi. 26 ottobre 2009: 298 migranti approdano a Pozzallo (Ragusa). Le richieste di aiuto inviate a Malta e alla Libia erano state rifiutate; qualcuno di loro non ce l’ha fatta. La Costituzione Italiana (art. 10, comma 3) recita a proposito del diritto d’asilo: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Le leggi varate dal nostro paese rispettano il dettato costituzionale e la normativa europea? Gli episodi recenti, che hanno visto respingere verso la Libia barche cariche di migranti prima dell’attracco al suolo italiano, e dunque senza possibilità di identificazione, certamente violano i principi concernenti il diritto d’asilo, dal momento che a bordo potevano esserci rifugiati provenienti da paesi nei quali la vita degli individui è minacciata da guerre e regimi dittatoriali, e i basilari diritti alla libertà e alla sicurezza sono minacciati e conculcati. Per quanto inumani, tali provvedimenti trovano però un ampio consenso nell’opinione pubblica, presso la quale lo straniero continua a costituire una minaccia secondo la notoria equazione straniero-estraneodiverso-nemico. Si tratta di un’idea che, al di là di timori atavici, viene continuamente ribadita e sostenuta dalla volontà dei governi europei; delinquenza comune e minaccia terroristica sono gli strumenti della propaganda, con i quali si crea un clima di paura che fa passare in secondo piano altri, ben più gravi problemi: la crescita della sperequazione economica, il decadimento morale, civile e politico delle nostre società, la perdita di competitività sul piano internazionale, le guerre scatenate per salvaguardare gli interessi economici occidentali, e così via. Il migrante diventa potenzialmente un criminale e/o Un mare circondato da terre, il Mediterraneo: Mare Magnum per i Romani, Al-Bahr Almutawassit (la superficie d’acqua che si trova di mezzo) secondo gli Arabi, per molto tempo il Mediterraneo è stato un polo di grande attrazione, raffigurato al centro di tutte le carte geografiche, oltre che il luogo di incontro delle tre religioni monoteiste diffuse tra Oriente e Occidente. Il contatto tra il mondo arabo-persiano musulmano e l’Europa avviene infatti tramite il bacino del Mediterraneo. Nel 827 gli Arabi di Tunisia sbarcano a Mazara. In Sicilia, la lunga permanenza araba significò impulso economico e sviluppo sociale, l’importazione di progredite tecniche agricole e il trapianto di una cultura e di un’arte raffinata che hanno lasciato splendide tracce trasferite in Europa attraverso i Normanni e gli Svevi di Federico II. E’ grazie al Mediterraneo che fino alla scoperta dell’America, possono verificarsi scambi mercantili (commercio di oro dal Sudan o di seta dalla Cina), militari, religiosi (i pellegrinaggi) e, non di meno, artistici e intellettuali. Le città più attive su questi fronti hanno nomi che possiedono una forte potenza evocativa cosmopolita: Cartagine, Alessandria, Bisanzio, Palermo, Genova, Venezia e altre ancora. Tuttavia oggi, a quanto pare, i potenti della terra preferiscono non ricordare questi antichi splendori, e ci chiamano invece a uno “scontro fra civiltà” che invocano e creano nel momento stesso in cui dicono di temerlo. Dimenticando le origini meticce della stessa Europa, figlia di un re fenicio e dunque semita (come Ebrei e Arabi), rapita da Zeus, divinità indoeuropea, nell’era contemporanea si finisce per inseguire una “limpieza de sangre” del tutto estranea alla parte migliore della storia europea e, soprattutto, italiana. │ 2 Giuseppe Maggiore “AMEDIT: VOLONTA’ IN AZIONE” Da un “Luogo-Non Luogo” giungono segnali d’una realtà confusa e allo sbaraglio. Non c’è un centro, né una periferia… Solo un agglomerato di case disadorne, con le facciate lasciate al nudo di fabbrica, addossate a schiera le une alle altre; Un mucchio di case senza monumenti né antiche vestigia, con opere pubbliche che odorano di soldi buttati al vento, o chissà dove, e immerso tra lussureggianti aranceti che presto odoreranno di zagara. Già, la zagara! Futura promessa di una nuova crisi agrumicola che vedrà l’ennesimo malcontento, l’ennesima conferenza… La gente la puoi incontrare solo nel chiuso d’una chiesa, dove si perpetua un rito millenario. In luoghi virtuali si consumano chiacchiere e inutili vanesii di chi vorrebbe – forse – un cambiamento: C’è chi vede nella politica la causa d’ogni male; chi nella contestazione vede il suo perenne impegno; e c’è chi ritiene possedere sufficiente e illuminante sapienza indicando improbabili soluzioni. Giovani esuli invidiano realtà più “evolute” e propongono di piantare tavoli dappertutto per consumare un drink… Tutto questo è Cultura. Da una “Città-Dormitorio” si diramano, caparbi, i segnali d’un travagliato fermento culturale dai più volutamente ignorato. Tra le pagine dei quotidiani non v’è posto per liete novelle, ma solo per droga, sangue, rapine, arresti… Non fa cronaca la volontà di chi lotta contro i mulini a vento. Una mostra, un concerto, un convegno son cose di dubbio gusto, inutili passatempi, facili espedienti per altri fini, o – come qualcuno ritiene - un prostituirsi all’Amministrazione di turno. Tutto questo è Cultura. Questa è la realtà in cui opera l’Amedit. E tuttavia eccola ancora qui, imperterrita, quest’ostinata associazione “culturale”… Lontana dai clamori e da sterili chiacchiericci; incurante di forme d’approvazione che lasciano il tempo che trovano… Senza una sede dove riunirsi e senza un referente che le faccia da “Padrino”. Non importa. Non è nostra l’utopia che fu di chi ci ha preceduto – Ercole Ponte, Gaetano Ponte, Michele Megna (i cui nomi sono ignoti a quanti ci leggono in realtà lontane, non meno di quanto lo siano ai cittadini di questo “Non Luogo”) – non abbiamo quella pretesa di “voler cambiare qualcosa” che accompagnò la loro azione e le loro lotte. Solo, ci anima, un sano fine egoistico, quel libero slancio che ci fa essere “Volontà in Azione”. E dunque eccoci a questa nostra nuova impresa, il Giornale Amedit già al secondo numero, dopo avere svolto altri eventi, quali i concerti tenuti dal Trio Novecento che hanno allietato tra dicembre e il primo bimestre del nuovo anno vari centri dell’area etnea; l’Azzurro Natale che ci ha visti lo scorso dicembre in un fitto cartellone di attività, insieme ad altre associazioni cittadine; il Meeting per la Prevenzione delle Patologie Vertebrali tenuto dal Dott. Biagio Iemolo, lo scorso febbraio; ed ancora la Presentazione del Fondo Fotografico del Vulcanologo Gaetano Ponte, tenuta dagli esponenti dell’INGV, i dottori Alessandro Bonaccorso e Stefano Branca, il 13 marzo. Ancora altri appuntamenti seguiranno, tra cui: la presentazione del volume didattico “Alla riscoperta della terra dei Siculi: il santuario dei Palici nell’area archeologica di Rocchicella”, di Laura Maniscalco; e un incontro con relativa mostra per ricordare il più nobile dei figli dei Palici: Michele Megna. E intanto diamo il benvenuto ai nostri nuovi arrivati, Gabriella Compagnini e Luca Bardaro che, insieme agli altri membri, hanno accolto questa sfida con se stessi. Tutto il resto son parole, e… altra cultura. │ Gianni Amato CALTAGIRONE FU IL TEATRO COMUNALE GARIBALDI Domenica 7 Marzo 2010 presso la Galleria Luigi Sturzo a Caltagirone si è svolta una manifestazione promossa dall'Associazione per il ripristino del Teatro Comunale di Caltagirone presieduta dall'Avvocato Biagio Pace. L'iniziativa ha avuto tra le sue finalità la riscoperta e valorizzazione del Teatro Comunale Garibaldi (adesso Galleria L. Sturzo) che proprio nel Marzo del 1954 è stato demolito dopo 131 anni di attività. Nel corso del tempo questo Teatro all'italiana, tra i più importanti dell'epoca, ha ospitato una ricca programmazione di Lirica, Prosa e Musica Classica ma soprattutto ha rappresentato un'occasione irripetibile per la nascita e la crescita di maestranze prestigiose anche a ragione della tradizione ceramistica. Era, infatti, una singolare esposizione dell'arte dei migliori scultori e figurinai calatini – Bongiovanni, Vaccaro, Bonanno, Failla - che firmarono medaglioni e pannelli. Valenti pittori del calibro di Francesco Vaccaro realizzarono i dipinti della volta e del telone del proscenio. Il Teatro ha inoltre contribuito alla formazione di musicisti, cantanti e compositori calatini tra i quali Gaetano Crescimanno e Luigi Sturzo. L'intento dell'iniziativa è stato quello di sensibilizzare le Istituzioni locali al recupero di uno spazio importante per la vita culturale e sociale del Comprensorio del Calatino anche attivando presso l'opinione pubblica un dibattito sui temi della Cultura come strumento di crescita civile. Nel corso della manifestazione si è esibito il Coro femminile dell'Accademia Calatina per la Musica diretto dal M° Sabino Napolitano. Inoltre sono stati esposti alcuni arredi interni del Teatro gentilmente concessi dal Comune di Caltagirone direzione dei Musei Civici. All'iniziativa hanno inoltre aderito la Legambiente, l'Accademia Calatina per la Musica e le Associazioni Culturali ArteMusica e Nave Argo. Oltre mille adesioni si sono già registrate al gruppo che su Facebook chiede la ricostruzione del teatro Garibaldi a Caltagirone, "Il teatro per una città - spiega Biagio Pace Gravina, promotore dell'iniziativa su Internet - è il luogo d'incontro per eccellenza, da sempre. I cittadini di tutte le epoche si riuniscono nei teatri e nelle arene per apprezzare l'arte ma anche per discutere e affrontare, tutti insieme, i problemi della città, per non restare sempre più soli. Ecco perché rivogliamo il nostro Teatro rimarginando, così, una vecchia ferita al motto: 'non c'é futuro senza cultura... non c'é cultura senza teatro". │ 3 Modakì è frizzante e moderno Abbigliamento Uomo, donna, bambino Scopri la Fidelity Card Essere titolare di Modakì card ti riempie di vantaggi, privilegi e tante attenzioni particolari che renderanno il tuo shopping un’occasione di relax… Anteprime dei Saldi – Serate Modakì card – Modakì Plus v. vittorio emanuele 41 palagonia tel 095 795 64 12 www.modaki.com IN DOMUS. Scegli i tuoi regali in tutti i reparti: tavola, illuminazione, complementi d’arredo. Completa la Lista Nozze o acquista quello che desideri di più con il buono acquisto pari al 10% del valore complessivo dei regali effettuati. Un nostro vetrinista allestirà l’esposizione dei regali a casa gratuitamente. Nessun obbligo di acquisto sugli oggetti che non ti sono stati regalati. Puoi sempre modificare gli articoli inseriti nella lista. Liste Nozze on-line, ora anche su internet. Consegniamo noi. In città gratuitamente. liste nozze, regali, oggettistica, oggetti preziosi via fiorelli umberto 31 tel 095 795 23 38 www.indomus.info 4 Luca Bardaro Arancia a polpa rossa: oro rosso di Sicilia Le origini di questo straordinario frutto sono sicuramente orientali, viene introdotto nel Mediterraneo intorno al X sec. circa, inizialmente con l’arrivo dell’arancio amaro usato solo per scopi religiosi e ornamentali. L’arancia dolce, di origine quasi certamente cinese, intorno al XIV secolo approdò in Europa grazie ai marinai portoghesi (ancora oggi in alcune zone viene chiamata “Portual”). A partire dal XVIII secolo, con l’arrivo degli arabi nel meridione d’Italia, furono scoperte le qualità nutrizionali di questo prodotto e così il consumo di arance si diffuse anche a livello popolare. Nella seconda metà del XIX sec. a Palagonia quasi tutti i terreni adibiti alle coltivazioni arboree come l’ ulivo o il sommacco vengono trasformati in aranceti ,soprattutto quelli vicini al fiume Catalfaro di cui se ne sfruttava l’acqua per l’irrigazione estiva. I primi agrumeti sono a sesto d’impianto di forma triangolare volgarmente detti “a piedi di gallina” per sfruttare più quantitativo di terra e solo dopo le prime emigrazioni nel nord-America si sono molto diffusi gli impianti a forma Quadrangolare. Le varietà sono due: 1)Bionde: Navelina, Ovale, Valencia; 2)Rosse o pigmentate: Sanguinello, Moro, Tarocco; Mentre le bionde sono molto diffuse in tutto il mondo, le “Polpa Rossa” sono un peculiarità del territorio che comprende la zona della Sicilia Orientale posta a sud-ovest dell’Etna tra le province di Catania, Enna e Siracusa, dove il comune di Palagonia occupa un ruolo di prestigio. Le tre varietà di arance rosse hanno ottenuto dall’Unione Europea la certificazione I.G.P. (indicazione geografica protetta). Il sanguinello (quasi in estinzione) presenta una forma oblunga o sferica con calibro medio, raggiunge la sua maturazione a febbraio e la raccolta avviene a marzo-aprile,la buccia e di colore arancio intenso con sfumature rosse,la polpa è quasi senza semi presenta colore arancione con variegature sanguigne,molto succosa e di sapore eccellente. Il Moro è la prima a maturare delle rosse e si può gustare da dicembre fino a marzo,ha un calibro medio e forma fra la sferica e l’ovoidale; la buccia mostra colore arancione con sfumature rosso vinose,la polpa senza semi è interamente di colore rosso scuro,la resa del succo è molto elevata con sapore gradevolissimo leggermente acidulo. Il Tarocco comincia a maturare a metà dicembre nelle zone collinari e finisce a maggio nelle zone tardive,ha un grosso calibro e forma sferica con tendenza all’ovoidale,si distingue per il collare o “muso” più o meno pronunciato;la buccia è di colore giallo-arancione arrossato su oltre la metà della superficie,la polpa priva di semi ha colore giallo arancione con svariate pigmentazioni rossastre più o meno intense secondo il periodo di raccolta ,abbastanza succosa e molto gustosa ,attualmente è la varietà più diffusa ed esistono varie tipologie (tarocco Gallo, tarocco Nucellare, tarocco Sciré, ecc). Il connubio tra territorio prevalentemente vulcanico e fattore climatico con forti escursioni termiche permette la pigmentazione favorendo cosi la presenza di particolari sostanze chiamate antocianine, tali sostanze esercitano una potente azione antiossidante nei confronti dei radichali liberi responsabili di ledere in maniera piuttosto grave le cellule, facilitando sia’ invecchiamento nonché l insorgere di cellule tumorali. Le rosse di Sicilia contengono un forte quantitativo di vitamina C(80-90 mg per 100 g di prodotto pari al 40 % in più rispetto agli altri agrumi) rendendole un ottimo vaccino naturale contro (SEGUE A PAG. 6) 5 queste qualità rendono questo magnifico frutto unico ed inimitabile in tutto il mondo rendendolo patrimonio da salvaguardare. La situazione attuale l’influenza . Sono ricche di vitamine A, B1, B2 e numerosi Sali minerali come il calcio, fosforo, potassio, ferro,selenio e sodio combattendo così numerose malattie cardiovascolari come l’ ipertensione, coronaropatie, disfunzioni cardiache ,arteriosclerosi e infarto. Essendo un frutto ipocalorico (contiene circa 34 calorie per 100 grammi di succo) può essere consumato anche da persone affette da diabete. Recenti studi hanno dimostrato che “le arance rosse” hanno capacità farmacologiche in caso di fragilità capillare. Inoltre, per la retina, pare che migliorino la sensibilità dell’ occhio nella visibilità notturna. Ma l’aspetto più importante é che la presenza di Flavolone (elemento di maggior protezione nei confronti del tumore allo stomaco) assieme alle già citate Antocianine le fanno diventare un prezioso alimento capace di prevenire il cancro come già sostenuto da numerosi oncologi in particolare dal prof. Veronesi in un articolo pubblicato recentemente su”repubblica”.Non a caso “le arance a polpa rossa” sono protagoniste ogni anno in tutte le piazze d’Italia assieme all’A.I.R.C.(associazione italiana per la ricerca sul cancro) promuovendo la campagna “Arance della salute”. Tutte Premiazione terzo Concorso fotografico promosso dagli Amici del Garb●-laboratorio di idee GRAMMICHELE Da quando nell’ottobre del 2007 si è costituito il laboratorio di idee “Amici del Garbo”, il loro obiettivo è sempre stato quello di creare e dare vita a iniziative culturali radicate nel territorio. Il gruppo, costituito da Cinzia Piccolo, Giuseppe Branciforte, Gisella Salafia, Silvio Cubisino, Rosetta Distefano, Carlo Savoca e Michele Grosso, attraverso le proprie iniziative si propone di far conoscere meglio il territorio in cui opera, i suoi personaggi, le sue contraddizioni, i suoi processi virtuosi. Così è stato anche per la terza edizione del concorso fotografico, conclusasi con la premiazione avvenuta l’11 gennaio scorso in una sala dell’Agriturismo “Valle dei Margi” gremita di visitatori provenienti da varie parti della Sicilia, i quali hanno avuto modo di ammirare le opere fotografiche in mostra. Il tema di quest’anno, scelto per esplorare e documentare le relazioni tra Fotografia, Territorio e l’Identità di chi fotografa, ha voluto ricercare - attraverso la fotografia e a partire dal vissuto di ogni partecipante - l’essenza e il carattere dei territori, per meglio interpretare il rapporto tra gli abitanti e gli spazi della loro vita. Nell’ era della globalizzazione, nonostante le innumerevoli qualità sopra elencate l‘Oro rosso ha smesso di brillare, infatti è da un pò di anni che il mercato è andato in una crisi profonda, quest’anno sfiorando addirittura la drammaticità. Le responsabilità sono sicuramente da attribuire a tutte le categorie pertinenti, ma a farne le spese sono soprattutto i produttori. Molti di loro sostengono che la filiera sia troppo lunga (6 o più passaggi), mancanza totale di controllo dei prezzi (assurdo che un prodotto venduto dal produttore a 15 cent. Arrivi al consumatore non meno di 3 euro al kg), inadeguata campagna pubblicitaria ( vedi l‘influenza A/H1N1, prodotti disinfettanti come l’Amuchina sono andati a ruba), complici anche le avversità atmosferiche degli ultimi anni e la crisi globale che hanno alimentato un vero e proprio stato comatoso della situazione. Bisogna aggiungere anche i costi di produzione cresciuti vertiginosamente con l’avvento dell’ euro ed in più la spietata concorrenza degli altri paesi che producendo solo arance bionde riescono ad esportare molto di più(Spagna 40%,Italia 7%).A tutto questo, le istituzioni non riescono a dare adeguate risposte. Quali potrebbero essere le possibili soluzioni è difficile stabilirlo, c’ è chi sostiene che degli aiuti per gli esosi costi di produzione, la regolamentazione di un minimo prezzo di mercato per tutti, nonché l’attuazione di un’efficace strategia di marketing per esaltare le proprietà dietetico-farmacologiche dell’arancia potrebbe essere un buon punto di partenza. E parlando di promozione non si può certo ignorare come certe amministrazioni locali abbiano tal volta scambiato una seria campagna di promozione con viaggi-gite premio per qualche consigliere o impiegato comunale all’estero o organizzando sagre tipo spot elettorali per il politico di turno. Senza una reale presa di coscienza non si esce sicuramente dalla depressione socio-economica e culturale in cui ci si trova. Urge profonda riflessione. │ L’evento ha visto la partecipazione di ben 65 autori, quest’anno soprattutto siciliani, per un totale di circa 170 foto. Tutti gli elaborati pervenuti sono stati valutati da una giuria tecnica, composta da: Ninni Romeo, Cristina Ferraiuolo e Massimo Nicolaci e da una giuria artistica, composta da: Ariella Leone e Italo Piazza, la cui scelta è ricaduta su una rosa di 20 foto finaliste. Al terzo posto, per la delicatezza, l’armonia e la consapevolezza stilistica della composizione, si è classificata la foto “L’estate”, scattata da Paolo Mazzarisi, di Grotte (Ag). Seconda classificata “La domenica di Gibellina nuova”, perché riesce a trasmettere la precarietà dell’uomo, il suo disorientamento in contesti architettonici fuori scala umana, scattata da Giuseppe La Colla, di Castelvetrano (Tp). Per l’interessante equilibrio tra antico e moderno che la rende atemporale, attraverso un continuo gioco di tenui richiami, si è aggiudicata il primo premio la foto “Cantami una canzone”, di Angelo Miele, Carmagnola (To). Tra gli interventi più significativi, quello di Michele Germanà, Presidente Agenzia per il Mediterraneo, che ha esposto l’importanza dei Gruppi di Azione Locale (GAL), quale opportunità per lo sviluppo del territorio; di Giuseppe Maggiore, Presidente Associazione socio-culturale “AMEDIT - Amici del Mediterraneo”, che attraverso la propria esperienza nel territorio ha sottolineato l’importanza dell’impegno giovanile a favore della cultura; dell’On. Concetta Raia che, in un excursus storico, ha messo in evidenza le potenzialità del nostro territorio. E per finire i saluti del Sindaco di Grammichele e del Consigliere provinciale Giacomo Porrovecchio. Inoltre, negli ambienti dell’Agriturismo è stata allestita un’esposizione di pittura paesaggistica, per coinvolgere e valorizzare artisti locali che della rappresentazione della propria Terra hanno fatto il loro punto di forza, e una mostra che ha riproposto le foto delle due precedenti edizioni del concorso fotografico. │ Comunicato AdG 6 GIOVANI IN MOVIMENTO Gaetano Interlandi DUCEZIO, CONDOTTIERO DEI SICULI Palagonia: trent’anni fa lo Sciopero dell’Acqua Come ben sappiamo, la carenza di acqua è una di quelle problematiche che affligge, da tempo immemore, il nostro territorio. Tutti, inoltre, conosciamo l'utilità di questo bene primario, fondamentale tanto per i più svariati usi nella vita di tutti i giorni, quanto per l'irrigazione dei campi (e sappiamo anche quanto l'economia del nostro territorio sia dipendente dall'agricoltura). Cosa accade, quindi, quando questa viene a mancare, e quando alla carenza naturale di questo importantissimo bene si somma l'incapacità delle istituzioni? Palagonia, aprile 1980, sciopero dell'acqua: la popolazione palagonese, in preda all'ira, decide di agire; è il 12 aprile, e dopo un lungo periodo nel quale la città è stata messa a dura prova, la logica conseguenza di quaranta giorni di sete è l'insurrezione: niente e nessuno è risparmiato, dalle sedi di partito (non importa di quale colore politico), alla segreteria comunale, alla sede dell'esattoria; la folla reclama a gran voce l'acqua, non vuole sentire ragioni. La rivolta dà i suoi frutti, e la situazione migliora, il commissario straordinario Lo Franco, che si sostituisce a una giunta decisamente inadeguata che non riesce a risolvere il problema, si pone come mediatore tra il comune e la regione, con la decisione di affidare l'approvvigionamento idrico a tre pozzi privati, Blandini, Frangello e S. Antonio (seppur temporaneamente). Per la seconda volta nella storia del paese, dopo quella che è stata la conquista delle terre nel 1903, il malessere comune è stato propulsore di un'azione collettiva, di un episodio di coesione, di unità, che si è imposto al fine di modificare lo status quo a Palagonia. Andando, quindi, al di là della vicenda storica stessa, cosa ci insegna l'avvenimento importantissimo dello sciopero dell'acqua? Quale importante insegnamento ci lascia il passato, dopo questa vicenda? In che modo la storia si pone come “magistra vitae”? Il senso dell'importanza di ciò che è pubblico, di ciò che è, come l'acqua, diritto insindacabile della popolazione, volontà di far fronte comune contro il problema di una politica tendente a rendere privato ciò che dovrebbe assolutamente essere pubblico; ma siamo sicuri che tutto ciò l'abbiamo veramente imparato? Siamo sicuri che a Palagonia si stia veramente pensando all'interesse collettivo, e non ad altro? Siamo sicuri che la privatizzazione, oggi come in passato, non possa portare alla speculazione, danneggiando la comunità, e privandola di ciò che le spetta? Le risposte non le forniamo di certo noi, il nostro compito è quello di documentare: se non altro, ci auguriamo che Palagonia possa ritrovare quel senso critico che ha portato al miglioramento nell' '80, e che, oggi, sembra essere stato perso. │ “L'INTELLIGENZA NON AVRA' MAI PESO MAI NEL GIUDIZIO DI QUESTA PUBBLICA OPINIONE... DI QUESTO POPOLO ORMAI DISSOCIATO DA SECOLI…” Pier Paolo Pasolini “Attraverso la caligine degli oscuri Secoli ancora echeggia di gloria il nome di Ducezio.” Così esordisce nel 1819 Ignazio Lucchesi, Marchese di Porto Palo, nella sua biografia degli uomini illustri della Sicilia. Ancora oggi, le gesta di questo personaggio leggendario sono avvolte dalla più totale incertezza per le scarse e frammentarie informazioni riportate dagli antichi storici. Diodoro Siculo, lo storico di Agira, che riporta la maggior parte delle notizie sul Re dei Siculi, racconta le sue eroiche gesta , ma non ci ha lasciato informazioni certe sulla sua città natale e sulla data della sua nascita. “Ricco, e di genio superiore di molto ai suoi contemporanei, all'eminente grado di Duce dei Siculi si estolse.” Astuto politicamente e militarmente geniale, si alleò inizialmente con i Siracusani inviando una spedizione contro gli Etnei, che sconfitti in numerose battaglie furono scacciati da Catania. Riconquistata la città, le popolazioni Sicule poterono rientrare nella propria patria. Con i Siracusani espugnò Mozia, sconfisse gli Agrigentini, gli Eblei e tutti coloro che erano nemici degli alleati Siracusani. Ciò gli assicurò fama e potere tra i Siculi. Rotta l'alleanza con i Siracusani fondò la città di Menai, affrontò e sconfisse la Città di Morgantina. In seguito, promosse tra le città Sicule una confederazione con lo scopo di costruire uno Stato capace di contrastare l'egemonia delle colonie greche. A tal scopo fondò Palica nei pressi del Lago e del Santuario dei Palici, divinità che i Siculi avevano in grande timore. Lo splendore e la potenza di Palica non durarono a lungo, poiché i Siracusani, dopo le ripetute sconfitte subite, con un poderoso esercito costrinsero alla ritirata Ducezio presso Noma. Dopo la sconfitta, Ducezio, con una mossa a sorpresa, si presentò a Siracusa dichiarandosi sconfitto e chiedendo clemenza. Questa azione convinse il Senato Siracusano a risparmiargli la vita e deportarlo a Corinto. Qui, Ducezio, con i mente l'idea della Nazione Sicula, organizzò il suo rientro in Sicilia. Dopo aver consultato un oracolo partì per rientrare in patria. Sbarcò sulle coste tirreniche e, la sua fama non dimenticata, presto richiamò gran parte del popolo Siculo con un gran desiderio di riscattare le sconfitte subite. Ducezio, con l'aiuto del fidato amico Arconide, fondò la città di Calacte. Siracusani ed Agrigentini, temendo l'antico nemico, si allearono per poterlo contrastare con un esercito più potente. Presto vi fu lo scontro tra i due eserciti con grande squilibrio di forze, ma con grande abilità Ducezio tenne in forse le sorti della battaglia sino a quando fu sconfitto. La sua gloriosa epoca ebbe definitivamente fine. Questo grande Principe, in parte sfortunato e in parte avventuroso, per le estreme fatiche e per le sofferte avversità si ammalò e infine verso l'anno 440 A.C. morì. │ 7 ISTITUTO ISTRUZIONE SUPERIORE PALAGONIA -------------------Presentazione della Scuola----------------------------L’Istituto di istruzione Superiore di Palagonia, nasce nel 1994 come succursale dell’ITC “ G. Arcoleo” di Caltagirone; diviene sezione associata dell’ISIS di Militello nel 2000; nello stesso anno nasce il Liceo Scientifico e la sperimentazione Socio-psico-pedagogico. E’scuola autonoma dall’01 Settembre 2008. Attualmente è dislocata su tre plessi: Plesso Piazza Dante - Liceo Scientifico e Liceo Classico Plesso via Pitagora- Liceo delle Scienze Umane (ex Liceo psico pedagogico) Plesso via Cesare Battisti- Istituto tecnico economico (ex Istituto Tecnico Commerciale) CORSI ED INDICAZIONI ORIENTATIVE L’I.I.S. Palagonia, in base alla riforma dei cicli scolastici, offre i seguenti indirizzi: Liceo Scientifico Liceo delle Scienze Umane Istituto tecnico economico ad indirizzo amministrazione,finanza e marketing (ex Ist. Tec. Comm.) Liceo classico Studi successivi: Tutti gli indirizzi permettono l’ iscrizione a qualsiasi Facoltà universitaria Attività lavorative: l’IT Economico offre sbocchi nel settore pubblico e privato relativamente alla gestione amministrativa e contabile Progetti e attività che caratterizzano il nostro Istituto: Sulle tracce dei Palici Orientamento e formazione Orientamento in ingresso e in uscita Progetti di educazione alla salute “Io parlo Inglese e tu?” TRINITY “Dalla mappa all’ipertesto” “Scuola lavoro”Stage per gli alunni del triennio “Sulle orme di…” viaggi d’istruzione “Visita al Parlamento” Attività sportive (gare, tornei) Attività ricreative e culturali (partecipazione a sagre cittadine, a conferenze su temi letterari, storici, giuridici, sociali). Progetti FSE La nostra Scuola grazie ai progetti PON offre agli studenti opportunità di apprendimento, recupero e potenziamento con percorsi e metodologie motivanti. Progetti FESR L’Istituto ha incrementato sensibilmente la dotazione tecnologica mediante il potenziamento dei due laboratori già esistenti e l’impianto di due nuovi laboratori (linguistico e scientifico) nel plesso di Piazza Dante. Scheda informativa: Plesso via Pitagora-tel. 0957183814 fax 0957955421 Plesso Piazza Dante-tel. 0957955438 Plesso via Battisti-tel/fax 0957951054 Sito web: www.iispalagonia.it Il Dirigente scolastico, Dott. Francesco Di Majo, riceve dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00 La segreteria riceve dal lunedì al venerdì dalle 10.30 alle 13.00 8 Sebastiano Interlandi IL SANTUARIO DEI GEMELLI PALICI A “ROCCHICELLA” (MINEO-PALAGONIA) Ad est della valle dei Margi, non lontano dal fiume Caltagirone, esisteva sin dai tempi più remoti il cosidetto lago dei Palici, chiamato dai più antichi lacus sive stagnum palicorum e successivamente conosciuto con il nome di lago di Naftia per l’odore di nafta che sprigionava. Il noto naturalista siciliano Francesco Ferrara, che lo ha visitato alla fine del XVIII secolo, così scriveva “…La sua estensione non si può stabilire, perché dipende dall’accumulo delle piogge e quindi è vario durante tutto il corso dell’anno, nei periodi di siccità scompare del tutto…” Quasi nel mezzo del lago sorgono due grossi getti, che fanno saltare l’acqua a più di due piedi di altezza; un terzo di minor forza, ed intermittente si fa loro compagno, ed il loro continuo agitare le acque, fa sentire il fragore dell’ebollizione sino ad una grande distanza. Gli uccelli non si avvicinano al Lago dei Palici¸ un volo incauto può causare loro la morte, infatti, volatili che migrano verso altri posti si rifocillano nelle acque di altri luoghi vicini; anche gli armenti pascolano lontani dalle sue sponde ma lepri, conigli ed altri animali simili spinti dal desiderio di dissetarsi, vi hanno incontrato la morte e i loro corpi giacciono sulle sponde del lago. Questo fenomeno naturale ha suscitato sin dalle più remote antichità sgomento in tutte le popolazioni che hanno abitato il sito ed il fenomeno attirava popolazioni da tutta la Sicilia. Gli antichi conoscitori del luogo non potendo dare giustificazione con la ragione a tutto questo fenomeno naturale: l’agitazione delle acque e soprattutto l’esalazioni gassose che portavano alla morte, le attribuivano a forze divine. Intorno a questo fenomeno naturale ebbe dunque origine al mito dei gemelli Palici. Secondo Macrobio, i Palici erano nati da Thalia, figlia di Vulcano, rapita e messa incinta da Giove presso il fiume Simeto. Thalia per evitare le ire furiose di Giunone supplicò pietosamente la Terra affinché la proteggesse. Questa ascoltate le suppliche della ninfa si aprì e la occultò nel suo seno, arrivato il momento del parto, nacquero due gemelli, che per essere seppelliti prima e rinati poi furono chiamati Palici. Per gli antichi, i due getti di acqua che si innalzavano dal lago non erano altro che i due gemelli che tentavano di rinascere dalle viscere della terra. Durante la trentaseiesima Olimpiade (632 a.C.), Antigono in un suo passo scriveva che quando ad Atene governava Epeneto, in Sicilia fu eretto un edificio, dove chiunque entrava anche se persona in condizioni fisiche ottimali, se si chinava con il capo basso verso terra moriva, se si teneva dritto poteva camminare senza che gli accadesse nulla. Questa descrizione fa pensare che tutto ciò era riferito al tempio dedicato ai fratelli Palici, il quale, secondo la supposizione dell’abate Francesco Ferrara, fu edificato presso il lago e chiudeva dentro le sue mura i crateri, come a Delfo, dove l’antro vaporoso era situato in fondo al santuario di Apollo. Questa congettura è avvalorata dal Fazello, che dopo la metà del sedicesimo secolo visitò il lago dei Palici e vide intorno ad esso grandi resti, la maggior parte dei quali erano coperti dalla terra. Questa supposizione non è stata mai avvalorata, in quanto non è stato mai possibile eseguire delle indagini archeologiche nei dintorni di ciò che resta dell’antico lago di Naftia; la zona attualmente è proprietà privata. Un tempio fu eretto presso il lago con tutte le magnificenze di cui erano solito fare i Greci-siculi. Diodoro Storico di Agira, che sicuramente ha visitato il luogo, nel suo XI libro così descrive la zona in cui era ubicato il tempio: “Il recinto sacro era situato in un campo amenissimo degno della maestà degli dei; e tale è quella veramente grande pianura, nella quale è il lago; estremamente fertile, deliziosa, e per le montagne, che la circondano bella e pittoresca. L’edificio era adornato di portici e di logge magnifiche, che lo rendevano ammirabile ed era stimato assai più degli altri e per l’antichità e per la religiosa venerazione, e per i grandi fenomeni che vi avvenivano, soprattutto per i miracoli dei crateri”. Molti autori antichi hanno descritto diverse rappresentazioni riguardanti il culto e le cerimonie all’interno del tempio dei Palici. Esso era un vero e proprio tribunale, in cui si svolgevano processi a carico di persone accusate di qualsiasi reato. I giudici erano dei sacerdoti, che avevano cura di fissare i dovuti e stabiliti sacrifici. Nel tempio si arrivò persino al sacrificio di esseri umani, ma quando questa barbara usanza terminò, i Palici vennero detti, deità placabili. Virgilio nell’Eneide descrive l’ara dei Palici come non tinta più come prima di sangue umano, mostrandosi più pingue e più placabile. Il tempio era detto pingue perché in tempo di grande carestia dovuta ad un lungo periodo di siccità in Sicilia, i siciliani avevano consultato l’oracolo dei Palici, ritenuto senza dubbio il più importante di tutta la Sicilia, sia per la venerazione, sia per la fede che si riponeva nei suoi giudizi; in quella occasione aveva proposto per risolvere l’infausto evento di effettuare un sacrificio all’eroe Pediocrate. Essendo ritornata con tale provvedimento la pioggia e la conseguente fertilità, i siciliani portarono sopra l’altare dei Palici ogni sorta di prodotto della terra. Gli dei Palici davano inoltre il responso della verità o della menzogna a chiunque era considerato reo di qualche colpa. Il presunto colpevole, prima di entrare nel tempio doveva purificarsi, vestito con una semplice tunica senza cintura, con una corona di foglie verdi in testa ed in mano un ramo tagliato dal vicino bosco sacro, che agitava di continuo, era condotto dinanzi ai crateri nel punto designato dai sacerdoti, e dopo aver invocato gli dei per tre volte a testimonianza dei suoi detti, veniva fatto chinare verso il basso, toccando il cratere con le mani e dipendeva dalla distanza di avvicinamento del capo alla superficie del lago che chiunque poteva cadere sotto l’effetto delle esalazioni mefitiche, indipendentemente se fosse reo confesso o innocente, il tutto dipendeva in pratica dalla volontà del sacerdote di turno. Secondo altri autori i giuramenti dell’accusato erano scritti su una tavoletta che veniva a sua volta gettata dal sacerdote in mezzo al lago, se questa galleggiava, dimostrava che l'imputato aveva dichiarato la verità, e l’accusato poteva tornare a casa sano e salvo, ma se la tavoletta era inghiottita dalle acque, il giuramento era da considerarsi mendace, ed egli era immediatamente gettato nel cratere; mentre altri prima che lasciassero il tempio sacro erano privati dalla vista. Un’altra funzione importane attribuita al tempio dei Palici era quella di dare asilo ai servi maltrattati dai padroni. Un servo oppresso dal padrone che li andava ad esiliarsi non poteva più essere ripreso per nessun motivo, tranne che, il padrone giurava davanti alle divinità di trattarlo benevolmente e senza commettere angherie su di lui. Non è mai successo che un padrone, dopo aver giurato nel tempio dei Palici, abbia trasgredito il patto, tanto era il rispetto e l’adorazione per quelle divinità. In quel luogo, oggi esiste una S.p.A. denominata Mofeta 1 dei Palici , che ha sepolto i fratelli Palici in una campana di cemento ed ha trasformato il loro culto, in un culto che li rende ancora più vicini a noi, anzi dentro di noi “Il culto delle bollicine” 1 L'azienda sfrutta la sorgente naturale di anidride carbonica, producendo ghiaccio secco per il trasporto e la conservazione di gelati e la gasatura di acque minerali e bibite. 9 Virginia Interlandi LA LOTTA ASPERRIMA PER LA CONQUISTA DELL’EX FEUDO DEL PRINCIPE DI PALAGONIA Se l'Italia sta perdendo la memoria, Palagonia non ne ha mai avuta una. Sembra proprio che il nostro Paese, così amato e odiato, sia afflitto da una maledizione che lo porta a cancellare ogni traccia del proprio passato. Infatti, tra i Palagonesi, è opinione diffusa che sia assolutamente necessario disfarsi di tutto ciò che sa di vecchio, di antico o, per convenienza di personaggi privi di scrupoli e di qualunque principio morale, fatiscente. Negli anni, sono spariti, in maniera dolosa o per smania di assurda modernità, antichi palazzi (Palazzo del Principe di Palagonia,...), vecchie chiese (Chiesa Madonna SS di Trapani, Chiesa del Calvario,....), il centro storico, l'archivio comunale, intere biblioteche private di note famiglie, senza che nessuno abbia mosso un dito. Per fortuna, qualche volta, certi misfatti ai danni del nostro passato non si realizzano secondo quanto progettato. Fu per caso che una montagna di documenti, impolverati dal tempo, danneggiati dall'incuria e maleodoranti per lo sterco dei colombi che per anni vi avevano danzato sopra, venne salvata dalla distruzione cui erano destinati a seguito dello sgombero di un vecchio edificio. Tra questo vecchiume, mi incuriosì particolarmente un opuscoletto. Un documento autentico, illuminante per ricostruire una travagliata pagina dell'incerta storia Palagonese che, tra il 1800 e l'inizio del 1900, si trascinò tra angherie, legittime rivendicazioni e episodi di lotta cruenta. Alla morte di Francesco Paolo Gravina (15/04/1854), ultimo Principe di Palagonia, il feudo di Palagonia, insieme ad altri beni detenuti dalla famiglia come possesso non feudale, fu donato all'Ospedale Civico di Palermo Fatebenefratelli, la cui successiva gestione, da parte della Fide-commissaria dell'eredità Gravina ben presto provocò le lagnanze dei contadini locali. Il primo Maggio del 1870, entro la sala delle adunanze consiliari in Palagonia, si riunì il consiglio Comunale e, secondo l'ordine del giorno prestabilito si doveva discutere e deliberare su come affrontare il grave stato di miseria in cui versava la popolazione palagonese a causa delle condizioni feudali imposte dalla Fidecommissaria dell'eredità Gravina. Solo la quinta parte di questo feudo era posseduto in enfiteusi dai nostri concittadini e questa era, fra l'altro, la meno fertile. I restanti quattro quinti che, formavano i terreni più fertili e migliorabili, erano affidati a pochi grossi gabelloti forestieri che, a loro volta, li davano in sub affitto a condizioni di usura ai coloni locali in questo modo condannati a rimanere in continuo stato di miseria. Facendosi la Presidenza interprete fedele della aspirazione universale dei nostri concittadini, propose, che il Consiglio scegliesse una commissione, composta da quattro elementi, la quale facesse tutte quelle pratiche, sia presso il Regio Governo sia presso il Consiglio Provinciale di Palermo, che reputasse utili al fine di ottenere che le terre pertinenti alla fide-commissaria del fu Principe di Palagonia, si concedessero ai palagonesi a titolo di enfiteusi redimibile in un arco di tempo non inferiore a dieci anni. Il Consiglio, clamorosamente applaudendo alla proposta della presidenza, la adottò all'unanimità dei voti e chiese di procedere alla nomina dei componenti la commissione per votazione segreta. Espletate le dovute operazioni di voto e successivo scrutinio, risultarono eletti: Cav. Gaetano Ponte, Avv. Dr. Salvatore Toro, Sac. Giovanni Dr. Blandini, Giuseppe Dr. Politini, che vennero, da subito, considerati come rappresentanza giuridica del Consiglio. All'Avv. Vincenzo Dr. Blandini venne affidato l'incarico di redigere un'apposita memoria da presentare al regio Governo, alla camera legislativa del Regno D'Italia e al Consiglio Provinciale di Palermo. La memoria venne presto redatta e mandata in stampa il 6 luglio 1870; era una vera e propria arringa in difesa del sacrosanto diritto di rivendicare la proprietà del natio territorio. L’avvocato Vincenzo Blandini, con grande abilità oratoria, pose l’accento sui benefici che tutti avrebbero tratto dalla concessione delle terre ai contadini Palagonesi dato che tali terreni trasformati a giardini di aranci e di limoni avrebbero fruttato il decuplo portando ricchezze economiche per il paese e per la Fidecommissaria. A sostegno di questa tesi fu redatto un dettagliato bilancio che evidenziava come gli introiti attivi avrebbero superato di molto le passività. Per tranquillizzare gli amministratori della Fide-commissaria della buona fede delle richieste avanzate si faceva notare che alla voce di bilancio “quote inesigibili” erano ascritte quelle che non poggiavano su titolo abbastanza legale da esigerne il pagamento. “La Fidecommissaria detiene un Ruolo Censuario, il quale per non pochi stacchi dei terreni censiti è il solo documento che sussiste sul pretesto dritto del canone. Un tal ruolo che fu compilato da casa Gravina coerentemente al Rescritto 26 Giugno 1822, ed ai RR. Decreti 2 Maggio 1823, 27 Ottobre 1825, 10 Gennaio 1827, 7 Aprile 1828 e 30 Marzo 1829, avvegnacchè sia rivestito della forza coercitrice per effetto della cosa giudicata, pure esso è una carta informe contenente varie lacune, non indicando chi fosse il primo concessionario, né il primo concedente, né l’epoca della concessione. Indi è originata la riluttanza dei cosiddetti censualisti a corrispondere il canone, indi le due recenti cause civili tra la Fide-commissaria e l’avv. Dr. Salvatore Toro e gli eredi Calcaterra, e il Dr. Giuseppe Politini Traina”. A questo appello accorato non seguì nessuna risposta positiva e la questione si trascinò silenziosa fino al 1887, quando il Dr. Vincenzo Blandini, per riportare attenzione sulle richieste fatte, propose ai piccoli coltivatori di non seminare le terre per quell’anno. Questo allarmò i grossi gabelloti i quali temendo che il Blandini togliesse loro le terre, tennero una congiura in cui decisero di ucciderlo. A tarda sera, mentre il Blandini si trovava in piazza Umberto I, ignoti gli sparavano un colpo di fucile, che ferì un suo vicino di casa che lo accompagnava. Il Blandini, minacciato di morte, fu costretto a fuggire da Palagonia e a rifugiarsi a Noto presso il fratello Gaetano, vescovo di quella diocesi. Dopo la sua scomparsa dalla scena 10 politica di Palagonia, i grossi gabelloti ripresero a far coltivare le terre ai contadini e alle condizioni onerose di prima. La questione sembrava risolta a favore dei gabelloti, i quali continuarono a sfruttare i contadini senza nessun timore di una loro reazione. Nel 1902, al perdurare dello stato di miseria, nacque la Società Agricola Cincinnato, che riprese la lotta per la conquista delle terre dell’ex-feudo Palagonia. A guidare la Società vennero eletti a Presidente, Vicepresidente e segretario i signori Fresta Vincenzo, Morello Francesco e Nolfo Salvatore. Questi, come abili condottieri, cominciarono in maniera pressante le azioni di rivendicazione nei confronti dei grossi gabelloti che per paura di proteste violente, offrirono loro 500 Ha di terra. Tale concessione venne respinta, considerandola insufficiente e richiedendo per i contadini tutte le terre da loro coltivate. Senza accordo alcuno, la lotta divenne più aspra. Il 10 Agosto 1902 i gabelloti cercarono di ingannare quei poveri contadini “ignoranti” inventando di aver rescisso il patto di gabella contratto con la Fide-commissaria e quindi di non poter più disporre di nessuna concessione. I soci della Cincinnato mandarono a Palermo il loro Presidente per accertare la veridicità di quanto era stato detto loro. Il 14 mattina, ritornato a Palagonia il Fresta Vincenzo e comunicato ai soci l’esito negativo della sua missione a Palermo, scoppiò la rabbia dei contadini. Un’ondata di furore invase a poco a poco tutta la popolazione. Uomini e donne si sollevarono come fossero un solo uomo, e scesero in piazza Umberto I protestando minacciosamente. Un grosso gabelloto che si trovava nel magazzino locale della Fidecommissaria, rischiò di essere linciato. Per salvarsi dal pericolo inventò di essere estraneo a qualunque gabella sulle terre avendone fatto rinuncia. La folla lo costrinse comunque, a venire nel Municipio dove erano il Sindaco, il delegato di P.S. e il maresciallo dei carabinieri. Qui, il gabelloto, sentendosi al sicuro, confermò di essersi inventata la storia della rinuncia alla gabella. La folla a questo detto cominciò a tumultuare e quando le forze dell’ordine ordinarono di sciogliersi, inferociti li assalirono con una fitta sassaiola. Allora entrò in azione un reparto della 4a fanteria, che caricava la folla disperdendola. Ma quella, ricompostasi, scendeva in piazza Umberto I e via Vittorio Emanuele che, in pochi minuti divennero un campo di battaglia. La forza pubblica voleva disperdere i dimostranti che reagivano alle loro cariche con estrema violenza. La lotta divenne furibonda, assumendo il carattere di una rivolta. Le donne con i grembiuli pieni di pietre, che avevano raccolte nelle vie adiacenti alla piazza, davano aiuto agli uomini, che lottavano contro guardie e carabinieri con randelli e colpi di pietre. A un certo punto i carabinieri fecero fuoco, prima in aria, e poi contro la folla. Vi fu un “fuggi fuggi” generale. La piazza rimase sgombra: restarono a terra solo dei feriti gravi tra cui il contadino Calcagno Pasquale e la popolana Cantella Giuseppa. La notte successiva vennero operate perquisizioni e arresti. La maggior parte dei dimostranti si era data alla macchia per cui furono arrestate solo cinque persone tra cui due donne e il Sac. Blandini Giuseppe. I latitanti, più di mille, incendiarono tutto ciò che apparteneva ai grossi gabelloti: paglia, fieno, arnesi da lavoro, case coloniche, animali da lavoro e così via. Fino al 20 Agosto la rivolta continuò incessantemente. A quel punto, appresa la notizia dei disordini precipitatosi da Catania, venne l’Avv. Ercole Ponte, ultimo figlio del Cav. Gaetano Ponte, e iniziò una validissima difesa dei soci della Cincinnato. Egli stesso, su una cavalla bianca, andò per le campagne alla ricerca dei latitanti verso cui era stato emesso un mandato di cattura esortandoli a presentarsi al tribunale di Caltagirone per ottenere clemenza. Il processo si svolse nel Gennaio 1903 e la maggior parte degli arrestati fu rimessa in libertà, altri riportarono condanne comprese fra i 6 e i 15 mesi. Tutti gli arrestati furono difesi con grande slancio e gratuitamente dagli avv. Ercole Ponte e Giovanni Milana. Dopo questa sentenza i grossi gabelloti cantarono vittoria e aspettavano da un momento all’altro lo scioglimento della Cincinnato. Così non fu, anzi, Fresta, Morello e Nolfo resero più forte la Società. Intanto, dopo i fatti luttuosi del 14 Agosto 1902 l’amministrazione comunale era stata sciolta dal prefetto e a reggere il comune era il commissario Cav. Firpo. Il 21 Marzo 1903 si svolsero le elezioni comunali dalle quali risultarono eletti: l’Avv. Ercole Ponte, sindaco e consigliere provinciale, Fresta Vincenzo, Nolfo Salvatore, Morello Francesco, Calcagno Pasquale, consiglieri, premiati da quelle eroiche gesta della rivolta di Agosto. Pertanto, la questione delle terre dell’ex-feudo di Palagonia riprese con ancora più vigore. Con in testa l’Avv. Ercole Ponte nell’Aprile del 1904 oltre tremila persone a piedi o su carri andarono a Catania reclamando giustizia al prefetto Cav. Bedendo. Questa massiccia iniziativa provocò l’intervento dell’On. Giuseppe De Felice, deputato del popolo, il quale sfamata quella povera gente con oltre seimila chilogrammi di pane, promise il massimo appoggio in difesa della loro causa. Poco dopo, il prefetto per ragioni di ordine pubblico, imponeva ai grossi gabelloti la rinuncia alla gabella. Successivamente nominava commissario straordinario della provincia di Catania l’Avv. E. Ponte con l’incarico di ricercare negli archivi di Stato i documenti che provassero l’illegittimo possesso delle terre dell’ex-feudo da parte della Fide-commissaria. I documenti prodotti dall’Avv. Ponte al prefetto ebbero un effetto decisivo sulla Fidecommissaria che il 16 Novembre del 1904 decideva di dare le terre in gabella ai contadini di Palagonia. Il popolo, venuto a conoscenza di ciò andò in delirio festeggiando in maniera trionfale come eroi Ponte, Fresta, Morello, Nolfo e Calcagno. Per procedere alla divisione delle terre, la Fide-commissaria inviò tre periti che suddivisero il territorio in 1.574 quote, in seguito assegnate per sorteggio. Le cose sembravano andare per il meglio, ma la Fide-commissaria continuava a imporre interessi troppo elevati per la fornitura delle sementi. Il popolo, a causa di ciò era sempre in continua agitazione, poiché desiderava che le terre gli venissero date in proprietà. Passarono altri quattro anni, e l’Avv. Ponte non si dava pace alla continua ricerca dei documenti dai quali risultasse il carattere feudale delle terre dello Stato di Palagonia. Tanto lavorò finché li trovò nell’archivio di Stato di Palermo e per poter portare quei documenti a Palagonia pedinato dalla Mafia, assoldata dalla Fide-commissaria che lo voleva uccidere, dovette travestirsi da frate. Arrivato a Palagonia vi fu una gran festa. Nell’Aprile 1909 grazie all’interessamento del prefetto Bedendo, dell’On. De Felice, dell’On. Benedetto Cirmeni e dell’Avv. Ponte, la Fidecommissaria concesse in proprietà le terre ai Palagonesi a piccole quote e alle seguenti condizioni: a) la gabella aveva la durata di 27 anni, rinnovabile ogni 9 anni; b) i quotisti potevano comprare le terre entro 27 anni mediante pagamento di rate annuali in base alla stima operata dal funzionario Rampolla. Quando il popolo venne a conoscenza di ciò, a Palagonia vi fu una gran festa: tutti piangevano di gioia. Determinante era stata l’opera dell’On. Benedetto Cirmeni il quale deputato in quattro legislature, se fosse stato eletto nella quinta, avrebbe avuto la nomina a Senatore. Decisivi erano i voti degli elettori di Palagonia e il Cirmeni che aveva “voce in capitolo” presso il governo Giolitti si impegnò a far donare le terre al popolo in caso di sua elezione. Così avvenne. Cirmeni fu rieletto deputato e così l’ingegnere del Catasto, Cav. Rampolla divise le terre in 1.780 quote che furono donate per sorteggio al popolo palagonese. L’annosa questione non era però del tutto risolta, avveniva in seguito che parecchi quotisti vendevano la loro quota di terra a contadini non quotisti che non furono riconosciuti dalla Fidecommissaria. Ne nacque una lite che durò dal 1911 al 1913, conclusa da una sentenza a favore dei contadini. A causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, poiché molti furono i palagonesi che andarono al fronte, non si poté rispettare il contratto di miglioria convenuto con la Fide-commissaria, la quale inviò dei tecnici onde riprendersi i terreni dei quotisti insolventi. L’avv. Ponte si fece promotore di un’azione di componimento amichevole e propose ai quotisti di pagare alla Fide-commissaria un aumento del 10 % sul prezzo base stimato dal Rampolla. Molti quotisti si opposero a questa proposta e la lite continuò. Nel Giugno del 1920 il prefetto di Palermo cercò una conciliazione della lite, ma la Fide-commissaria irremovibile non accettava nessun accordo. Il 26 Giugno del 1921, invece la 11 Corte di Appello di Catania sentenziava: a) la Fide-commissaria è obbligata a vendere le terre ai quotisti; b) essa ha la facoltà di fare una nuova perizia per la valutazione delle terre. Appresa la notizia i quotisti cominciarono a protestare poiché l’annullamento della perizia Rampolla li avrebbe “rovinati” in quanto nel 1909 l’ex Stato di Palagonia non valeva neanche la milionesima parte di quanto valeva nel 1921. Allora parte di esso era pascolo, parte incolto e parte mal coltivato mentre nel 1921, grazie ai sacrifici e al sudore dei poveri quotisti, era divenuto il più grande giardino della provincia di Catania. La lite continuò nelle aule dei tribunali tra richieste elevatissime della Fidecommissaria e opposte disponibilità dei quotisti. Fu necessario l’intervento di S.E.Gabriello Carnazza, ministro dei lavori pubblici, che riuscì a trovare un accordo tra le parti e concordando un aumento del valore delle terre del 105% da pagarsi entro 5 anni. Era il 26 Maggio del 1923, così, l’annosa Raffaele Panebianco, “Popule Meus” Salvatore Calcaterra – “Quella preziosa eredità dei nostri padri nei Riti della Settimana Santa…” Tra le fotografie più belle che io abbia mai visto, ve n’è una, risalente al 1980, che immortala un bambino palagonese di un anno appena, avvolto, come si usava una volta per il Giovedì ed il Venerdì Santo, nel suo votivo abitino bianco, in braccio al suo papà, e sullo sfondo il “Cristo alla Colonna” all’interno della Chiesa di Maria Ausiliatrice (già Chiesa di S. Antonio). Ebbene, quel bambino palagonese ero io. Per voto fatto da mia madre, fino alle mie prime dodici primavere portai ogni Giovedì Santo un cero a Gesù, seguendo, con un po’ di recalcitranza e ancor di più imbarazzo, il solito tragitto: da casa mia fino alla Chiesa di Maria Ausiliatrice. A dodici anni fui “libero”, ma decisi mea sponte di rimanere “schiavo” di un qualcosa che sentivo ormai parte di me: indossai il camice dei confrati, come i miei avi, prima di me, avevano fatto per secoli, e giurai a me stesso di non abbandonarlo mai. Ancora oggi rimango fedele a quel giuramento, e resto saldo nel mio proposito di portare “u cammusu” per tutta la vita, malgrado tutto ciò possa risultare, agli occhi di molti, anacronistico. Ad onor del vero, più volte ho chiesto a me stesso il perché continui ogni anno a ripetere questo rituale; e la conclusione a cui approdo è sempre la stessa. In un periodo della storia ove, su tutto, impera il principio secondo il quale (per dirla con Foscolo), “è destino ineluttabile che il tempo distrugga ogni cosa con il suo fluire perenne”, io avverto l’ontologico bisogno di fare la mia parte, per quel che possa valere, in quella battaglia, che reputo necessaria, avverso l’appiattimento culturale, l’insensata attività di rimozione delle nostre radici storiche, l’annichilimento della nostra identità, l’annientamento, insomma, del senso di appartenenza a questa terra. Continuo ogni anno ad indossare il camice bianco del confrate perché ciò fa rivivere in me quello straordinario patrimonio, non solo religioso, ma storico-culturale costituito da quell’inestimabile eredità lasciatami dai miei padri. Compiere ogni Venerdì Santo quel rituale mi fa sentire più vivo, in quanto costituisce lo strumento attraverso il quale consacro e rinnovo il mio appartenere ad una cittadinanza, ad un paese, a Palagonia. questione della ripartizione delle terre dell’ex-Stato ai poveri di Palagonia, aveva fine. Ma quante lacrime, privazioni e fatiche, quanti dolori e stenti costò tale conquista. Se ricchezza e benessere da quella sono arrivate lo si deve a Ercole Ponte e a quegli eroi che, a rischio della propria vita, testardamente lottarono per quella giusta causa. Oggi, pochi ricordano tali fatti e la maggior parte dei palagonesi non ha mai sentito parlare di questa aspra lotta che ha consentito di cambiare le sorti di questa nostra terra: per secoli una povera borgata e dopo la conquista dell'ex feudo Gravina, improvvisamente un ricco e rigoglioso “giardino”. Nel 1967, un monumento doveva essere inaugurato a Ercole Ponte e ai suoi valorosi collaboratori; forse avrebbe contribuito a mantenere viva la memoria del nostro passato. Peccato che non sia mai stato edificato. │ L’uomo - scrisse Aristotele - è un animale politico, ovvero ontologicamente necessita di relazionarsi con l’ambiente che lo circonda; egli avverte, in un certo qual modo, l’insopprimibile bisogno di sentirsi parte di un gruppo sociale. La Settimana Santa, fino a qualche decennio fa, rappresentava una delle occasioni in cui la comunità palagonese, in tutte le sue componenti, si riuniva per rinnovare il proprio “contratto sociale”. Ricordo, con immensa nostalgia, quegli attimi della mia infanzia quando insieme ai miei genitori assistevo la sera del Venerdì Santo all’incontro in Piazza Umberto I dei mammalucchi delle due Confraternite, quella della Matrice e quella dell’Immacolata, e la conseguente processione del “Gesù Morto” e dell’Addolorata tra due ali di confratelli incappucciati. Il popolo palagonese si raccoglieva in un surreale silenzio, che comunicava e raccoglieva in sé il passato ed il presente di una città. Ciò che si respirava nell’aria era un’identità; ed io, poco più di un bambino, ne facevo parte e me ne appropriai. Sono passati ormai 15 anni da quella sera del Venerdì Santo del 1995, quando accadde quell’increscioso episodio sfociato in un aggressione da parte dei fedeli al clero locale, reo, agli occhi dei “figli dei Palici” (direbbe Michele Megna), di aver modificato ciò che i secoli avevano provveduto a cadenzare. Prodromi di ciò che sarebbe successo ve n’erano stati negli anni immediatamente antecedenti, allorché iniziò a trapelare la volontà delle Autorità Ecclesiastiche di sopprimere la processione del Giovedì Santo del “Cristo alla Colonna”, e conseguentemente consentirla solo il Venerdì o il Mercoledì, contestualmente epurandola da tutti quei riti riconducibili a forme di religiosità “pagana”. I fedeli si sentirono traditi, e mal digerirono una decisione che sembrava sic et simpliciter calata dall’alto. Non è assolutamente mia intenzione formulare alcun giudizio sulle determinazioni che furono poste in essere dall’una e dall’altra parte della “barricata”. Ciò che mi limito ad osservare è che la sintesi di quell’accesissimo confronto, sfociato in deprecabili azioni di violenza, fu che non risultarono esserci vincitori. La verità è che fu solo Palagonia ad uscire sconfitta da quell’inqualificabile vicenda, che sembra aver messo una pietra tombale su un pezzo importantissimo della nostra storia, ormai abbandonato ad un oblìo che appare ineluttabile. Forse le giovani generazioni palagonesi non sanno nemmeno che nel proprio paese esistevano fino a qualche lustro fa due Confraternite (un tempo erano tre), le quali erano, benevolmente mi si conceda, “pontefices maximi” del tempo festivo; depositarie di gesti, di azioni, di riti che si tramandavano da padre in figlio, qualificando la parte più intima, e perciò più vera e umana, di un modo di pensare, di un modo di vivere, di un modo di essere. Mi fa montare di rabbia la convinzione che la generazione appena successiva alla mia, forse, nemmeno comprenda parole come “u lamientu”, “a truoccula”, “u popule meus”, “i mammalucchi”; e ciò non per colpa sua, ma per la pigrizia e l’indolenza di chi come me dovrebbe, e potrebbe, adoperarsi al fine di riappropriarci di un pezzo della nostra storia, ed invece si limita a coltivare il suo orticello, lasciando che l’oblìo s’impossessi della nostra identità. │ 12 VINCENZO DI SILVESTRO “from MANATTHAN to PALAGONIA” Una carriera artistica in costante ascesa, quella del violinista Vincenzo Di Silvestro che lo vede più volte in veste di solista – una delle sue ultime esibizioni lo ha visto nella splendida cornice della ridente Taormina - o in seno ad alcune prestigiose formazioni orchestrali. Si moltiplicano sempre più le partecipazioni a progetti internazionali, come nel caso del concerto voluto dalla Regione Siciliana “Dream Boat”, per la regia di Marco Savatteri, tenutosi a Manatthan in occasione del “Columbus Day” del 2009 e, successivamente, approdato in Germania, a Berlino e Wolfsburg. Lo stesso spettacolo riprenderà con una tournee in Brasile tra fine agosto e inizi di settembre, per concludersi in autunno con alcune tappe nel nordItalia. Artista poliedrico, lo vediamo da anni fra i componenti della band siciliana “To-En”, che gli consente di esprimersi in un territorio musicale nettamente agli antipodi rispetto al suo naturale percorso artistico di musicista classico. Infine, giusto perché non si vive di sola arte, si dedica anche all’insegnamento presso un istituto comprensivo di Caltagirone. Gli chiediamo innanzitutto quali sono le prime impressioni avute nel corso del recente suo soggiorno negli Stati Uniti: “Girando per i locali di Manatthan mi ha colpito il fatto di imbattermi più volte in esecuzioni dal vivo di artisti di grande spessore come Roy Hargroove e di potermi unire con molta disinvoltura a loro, insieme ad altri musicisti tra cui Roy Paci. Ti rendi conto come i gestori dei locali, diversamente da quanto accade qui da noi, non usano la musica come espediente per un ritorno in termini di consumazioni (vedi Catania, dove ti impongono di fare solo cover e di portarti dietro un seguito di amici per riempire il locale). Lì si percepisce realmente un’attenzione e un interesse per la musica… I locali si offrono ad ospitare la musica e la gente che sta’ ai tavoli, pur conversando, mantiene un certo rispetto verso chi sta’ lì a suonare.” Parlaci del tuo rapporto con la tua città, Palagonia, dove ti sei esibito più volte sotto l’egida dell’Amedit, riscuotendo sempre ampi consensi. “Ho sempre goduto dell’affetto e del piacevole scambio reciproco di idee e di apporti artistici con alcuni cittadini; però, se guardo con occhi lucidi e con distacco a questo mio paese, lo vedo popolato da una maggioranza di persone che per decenni hanno privato il loro sviluppo in qualsiasi forma di crescita culturale e artistica, e tutto ciò oggi si è tramutato in uno stato di IN TRAPPOLA CON L’ALCOL? PUOI USCIRNE! CONTATTA ALCOLISTI ANONIMI Gruppo Insieme Piazza S. M. La Guardia, 25 CATANIA Tel. 334 7341235 Riunione il Sabato ore 18:00 www.alcolisti-anonimi.it perdizione e caos in cui, oltre a venir meno qualsiasi forma di attenzione verso ciò che è arte, è venuta meno l’attenzione anche in ciò che è basilare come la legalità. Per generazioni non si è ritenuta la cultura qualcosa da coltivare, si è solo pensato al creare profitto… e se oggi ci siamo ridotti ad assistere sempre più ad episodi di violenza e bullismo non dobbiamo certo stupircene. Spesso la colpa la si attribuisce alla politica, ma è anche vero che recentemente chi ha costruito il proprio consenso mostrandosi “per interesse” attento allo sviluppo culturale della città, ha tradito ogni mia aspettativa.” Pensi che nessuno si renda conto di questo attuale clima di degrado? “Penso che ci siano tanti giovani che ogni giorno cercano di far sentire la propria voce, le proprie esigenze, ma non trovano spazio… Il problema qui non è soltanto per il musicista che voglia fare un concerto e magari c’è l’assessore di turno che non glielo permette, ma anche della coppia che voglia uscire e farsi una tranquilla passeggiata e non può perché non si sente protetta, tranquilla… perché chi magari avrebbe il compito di tutelare l’ordine pubblico non lo fa o non lo fa abbastanza. Molti giovani palagonesi che altrove si sentono realizzati o accolti, qui non riescono a trovare il proprio spazio perché chi riveste determinati ruoli, siano essi politici o forze dell’ordine, non hanno forse mai riflettuto che in giro, tra quei giovani, possano esserci anche i loro figli.” A chi va dunque il tuo pensiero in questa fase del percorso che intanto prosegui tanto brillantemente? Ai miei genitori ed ai miei nonni che ringrazio per avere sempre creduto in me e avermi permesso ancora oggi di crescere; e all’Amedit, la quale, più che una semplice associazione è stata per me una vera e propria fucina dove crescere. │ Giuseppe Maggiore SOSTIENI L’AMEDIT CON UN TUO CONTRIBUTO Questo periodico si affianca alle molteplici attività che il Sodalizio “Amedit-Amici del Mediterraneo” svolge sul fronte artistico-culturale fin dal 1999. Esso si propone, di volta in volta, di ripercorrere vicende storiche, segnalare luoghi, personaggi illustri e tradizioni del nostro territorio, ma anche di ospitare e dare risalto ad alcuni artisti del panorama nazionale. Le uscite sono trimestrali (marzo – giugno – settembre – dicembre). Oltre al formato cartaceo è scaricabile in pdf sul nostro sito ufficiale: www.amedit.it dove potrai visitare anche tutte le nostre iniziative. Questo progetto editoriale è totalmente supportato da sponsor privati, ma per crescere e garantire la sua continuità, e continuare, accanto ad esso, la nostra azione nel sociale con le varie iniziative culturali, abbiamo bisogno anche del Tuo aiuto. Se credi nell’Amedit e apprezzi quanto essa fa, puoi da oggi contribuire al suo sostegno versando la Quota Sostenitore Annuale di Euro 40,00 sul C.C. (Codice IBAN): IT 95 U 08713 84100 000000404176 indicando causale “Sostegno Amedit”, nominativo e indirizzo dove vuoi ti venga recapitata copia del presente giornale. GRAZIE FIN D’ORA PER IL TUO SOSTEGNO! 13 Anzikitanza – “questione di stile” Il gruppo è quello di sempre, il contesto sociale in cui “sopravvivono” anche. Il primo progetto “ufficiale” è , nel 2005, l’uscita di un singolo, “Vibra” che spiana la strada alla preparazione del primo lavoro in studio,”Orientale Sicula”, pubblicato appena due anni dopo. Da qui in poi è un continuo salire e scendere dai palchi più prestigiosi d’Italia, condivisi con Meg, Roy Paci, Radici nel cemento, per arrivare persino a Julian Marley, Seeed e Capleton (tanto per citarne alcuni). Ma è con l’avvento del 2010 che si ha un’importante svolta: in una terra dominata dal sole, dagli agrumi e dai campi stracolmi di spighe gialle, ma che troppo spesso è in mano a chi i conti li sa fare solo usando i mezzi illegali, nasce il secondo lavoro in studio degli Anzikitanza (nuovamente con l’etichetta indipendente ANZK Production e con la collaborazione dell’etichetta Suoni Diversi). Stavolta però è soltanto una “Questione di stile”, puro stile siculo al 100% e mai titolo è stato tanto azzeccato; 12 tracce che catapultano, di volta in volta, nelle storie che esse raccontano, realtà parallele in cui si avvicendano le vite difficili di ragazzi di strada che fronteggiano I “TO EN” festeggiano il loro ventennale “nel silenzio” La band siciliana costituita da Rocco Minore (voce), Livio Rinaldi (chitarra), Michele Gulizia (basso), Vincenzo Di Silvestro (violino e tastiera) e Giovanni Amato (batteria) si accinge a festeggiare il suo ventennale. Un’unione, quella di questi giovani musicisti, scaturita dalla comune voglia di raccontarsi, di esprimersi e perdersi tra musica e parole. Hanno sempre fatto musica propria, ovunque fossero richiesti; non hanno mai accettato, come spesso accade nei locali e in diverse manifestazioni, di dover fare soltanto delle cover… se le fanno son comunque da loro reinventate e caratterizzate. Numerosi e alquanto lusinghieri i successi raccolti in questi anni, ma in occasione di una ricorrenza tanto importante come il ventennale, è tempo anche di stilare dei bilanci, riflettere sul proprio percorso artistico… Come nascono i vostri brani? “E’ un lavoro collettivo… si parte da un reaf, da un’idea, un pensiero…magari mentre lavori o guidi, quando più sei immerso nei rumori del giorno… e la fatica stà nel riuscire a fissare quel pensiero musicale fino alla sera, quando puoi finalmente avvicinarti allo strumento e liberare questa “bolla sonora”. Concepiti dunque nel rumore del giorno e partoriti nel silenzio della sera. Cosa raccontano i brani dei To En? “Raccontano delle emozioni che vengono vissute giorno dopo giorno, anche nelle cose più semplici (non a caso il titolo d’un brano). Immaginiamo storie che potrebbero accadere, catturiamo questi nostri sentimenti, non diversi da quelli che tutti vivono, ma che noi intrappoliamo in queste canzoni come fossero tante “fotografie sonore” della nostra vita.” E’ cambiato qualcosa da quando vi ritrovavate in una casa o un garage per il semplice gusto di stare insieme facendo “uomini d’onore” (Strati di paisi), ma anche amori travolgenti nati sotto il cocente sole siciliano (Mela)…e poi, pensandoci bene, queste realtà tanto parallele non sono. Chiave di lettura e filo conduttore di tutti i brani del disco è l’ironia, il voler provocare ad ogni costo una risata, un’ilarità generale che viene trasmessa da ogni singola parola, persino raccontando una fastidiosa “Questione meridionale” che mette in ginocchio una terra che fa fatica a camminare a testa alta e che vive ancora all’ombra di casse per il Mezzogiorno “fantasma”. I testi, tra l’italiano “sicilianizzato” e un inglese timido, sono ben strutturati e di una semplicità positivamente disarmante, quasi un voler raccontare fiabe noir a dei bambini inermi. Naturalmente ne sono degna spalla la musica e gli arrangiamenti, suoni pieni e caldi, che non lasciano neanche un attimo per prendere fiato, ma non sono più dei “soliti” accordi del rock-steady o del raggae, queste sonorità insieme alla vivacità dallo ska, si fondono con ritmi orientali ed etnici e con suoni che riecheggiano i bei tempi in cui danzavano i nostri “vecchi” (Non ci resta che piangere). La “Questione di stile” stà proprio nel fatto di aver dato vita ad un suono “insolito”, non classificabile, quasi unico: fiati, percussioni e chitarre in levare accompagnano l’ascoltatore “inna laghetti town”, la città dei Laghetti, un luogo immaginario fatto di amori liberi e bellezze mozzafiato. Punta di diamante sono le preziose collaborazioni, da Lorrè (Laghetti) a LuMarra (Pizzo), da Jaka (Someone lives a fight) a Giulia Digianpasquale, lady dei Wogiagia Crew (Nando’s Riddim), senza trascurare le versatili mani di DJ Seby (Girano li dischi, Strati di paisi). A qualunque categoria si voglia accostare questo disco pare essere comunque “fuori posto”, dando vita ad un miscuglio musicale, quasi un “ibrido”. Gli Anzikitanza propongono un disco “cantastorie”, da ascoltare tutto d’un fiato, per carpire odori e colori di una terra magica, i cui scheletri nell’armadio ne celano le meraviglie, in cui il sacro delle mille chiese e il profano delle altrettante mafie convivono in una sintonia sfacciatamente surreale. D’altronde, come recita un vecchio detto siciliano, “mafia e parrini si desiru la manu”…buon ascolto! │ MSKA PESCE* musica? “Fare i musicisti significa oggi essere svalorizzati, alla mercé di gestori di locali che ti pagano 200 euro a serata… Fare arte diventa qualcosa di mortificante il più delle volte. Mancano i posti dove suonare, a parte quei locali dove ciò che conta è che si riempiano e la gente consumi”. Eppure avete vissuto esperienze molto importanti, avete calcato palcoscenici di tutto rispetto… riscuotendo notevoli riconoscimenti “Si, è vero, e ne siamo grati. Questo è comunque per noi un tempo di riflessione e, come in tutte le cose che cambiano, le strade finora percorse ci portano adesso anche in altre direzioni rispetto a quelle da cui era partito il progetto iniziale dei To En”. In che senso? “Siamo alla ricerca di una nuova corrente emozionale, un nuovo modo per esprimere i nostri concetti sonori, sperimentare e vivere la nostra musica.” Questo vuol dire che siete in una fase di crisi o di ricerca? “No, tutt’altro che di crisi, anzi! Si tratta solo di una pausa di riflessione per trovare nuovi impulsi e nuove cose da raccontare…”. │ Giuseppe Maggiore 14 Giuseppe Maggiore INTERVISTA AL TEATRO DEL TENORE ANDREA ANTONIO SIRAGUSA Un infinito percorso formativo, nella ricerca del vero Sé su di se medesimo, oltre il limite, dove il vuoto coincide nello spettacolo primordiale della genesi o il principio assoluto che è Amore. Un atto d’amore che, arriva all’origine o alla fine di tutte le cose nella lucida consapevolezza che Amore è l’unica verità che ci appartiene… Chi è Andrea Antonio Siragusa? Bisogna vedere da quale punto di vista, visto che il tutto, in fondo, è amore. Si nasce così con una motivazione amorosa che ho saputo serbare fin da piccolino e che è maturata in diversi periodi del mio crescere e nell’approfondire il mio mondo e il mondo migliore di se, scartando l’ipotesi che l’esterno potesse influirmi negativamente (e ci ha provato). Tutto il mondo dell’arte mi appartiene come la vita e, il mio centro è l’arte per arte o arte per la vita. Quale è stata la tua evoluzione artistica, se serve a spiegare quello che sei? Non posseggo a pieno l’evoluzione artistica in quanto scaturisce dal mio pensiero una verità-legge che si crea nell’istante ovvero nell’attimo che il corpo traduce un sogno…Se sono “evoluzione artistica”, lo deciderà la mia storia nel futuro quando forse non sarò in vita (Cos’è la storia?!...). Sono dell’idea di vivere attimo per attimo. Il passato è già passato (a me non serve più, forse a qualcuno può interessare…). Il futuro arriverà ma è già passato, così che focalizzo totalmente il mio vivere sul da farsi adesso… E così gli anni passano… Per gli altri ma non nel mio teatro! Chi conosce il proprio teatro sa quale regia può tradurre nel suo percorso di vita…C’è gente che sa di che si muore (del resto vivere è morire e, ciò che si è da piccoli, si dovrebbe essere da grandi) se si è nella verità, il morire coincide spesso di come si è vissuti. Si viene al mondo ma è un morire alla vita se in esso non si rinasce nuovamente nello scoprirsi e nel ritrovarsi immagine e somiglianza di Dio. Credi dunque in un Dio? No, non credo in Dio, sarebbe un’offesa al creato. Non bisogna credere in Dio. Egli è nel creato e noi siamo sua creatura, per ciò non si può credere in Dio, dal momento che tutto ci parla di Lui…Il nostro corpo traduce perfettamente il Suo Spirito che invade il creato. L’esercizio quotidiano dovrebbe essere quello di rispettare e amare il Suo Creatore con tutto se stesso come se a muoversi, nella vita, fosse Lui soltanto. Da ciò dipende il mio teatro che è il teatro di tutti e perciò fa fatica ad essere riconosciuto perché il quotidiano vivere, nello spettacolo di tutti i giorni, ci riconduce a ridicoli atteggiamenti televisivi scopiazzati e ricondotti in un habitat illusivo di una realtà che non è propria o non gli appartiene per niente…E’ moda! Dunque il teatro è spirituale? Ancor di più, direi umano, un bisogno interiore che traduce ciò che non si può vedere…In questo senso da me definito spirituale o spiritualistico che non ha niente a che vedere con le religioni o certa new age. E’ il bisogno di un Sogno e ancora di un secondo Sogno se esso può divenire realtà ma, realtà di un bel niente, visto che per me, il reale, è solo illusione. Ma intanto si vive in una realtà fisica, concreta… Ma non ci appartiene! Si può solo far finta…Guardiamoci intorno…Si è sempre nella finzione, si finisce sempre nel teatro, nella teatralità del quotidiano. Quindi un teatro come doppio sogno, una nuova vita nel caos delle cose che ti passano intorno. Un recepire dall’esterno, essere attraversato da un di più che ti viene dato e che tu solo nel tuo essere puoi capire. Così che si possa donare il tuo sentire, il tuo mondo interiore. Mettersi a nudo è accogliere ciò che il tuo corpo può esprimere…Ora con la danza, il canto, la poesia o con il semplice relazionare… Diventa una risposta del Divino in noi. Sono argomenti difficili nella società attuale… Lo scopo dell’arte e dell’artista è riuscire in qualche modo ad educare… C’è un modo di far teatro che è sterile, che non porta a niente. Nel pubblico non arriva la catarsi che fu lo scopo di tutto il teatro greco. Oggi la gente vuole avere i suoi quindici minuti di” famosaggine”. Fu profetico Andy Warol quando disse che un giorno tutti, anche per quindici minuti, avrebbero avuto il loro momento di gloria. Infatti assistiamo ogni giorno a catastrofiche brutture che non hanno niente in comune con l’arte. Il mondo contemporaneo ha eliminato ciò che si possa dire assoluto, i nostri padri siculi direbbero: ”tanti testi tanti mazzi”…Dunque niente educa nessuno e il teatro ha perso la sua funzione educativa. Io non ho la presunzione di educare col teatro. Il mio far teatro è una ricerca, come ho detto, nella conoscenza di sé, andando in quelle zone ancestrali del proprio essere dove non esiste il tempo che siamo abituati a vivere…Ecco che non c’è più passato, presente e futuro; qui c’è l’attimo e lì si analizza il percorso che ci rende sublimi, belli e che fa dire agli altri “ma com’è possibile!...” Chi è l’attore? L’attore non c’è!...Se di attore si deve parlare diremmo che esso è un guerriero, autentico sciamano che fa ri-nascere la parola come corpo che traduce altro da sé…Non deve esserci psicologia o atto retorico (atto-re) che tenga. I cosiddetti attori che studiano il teatro dei poeti, si calano nella parte come hanno imparato a scuola, nelle accademie. Sono dicitori, cioè riferiscono altro, si immedesimano. Essi commemorano, celebrano, danno “atto” di se, come bravi talenti (se ce l’hanno) ma assolutamente ignari dal momento poetico. Si esibiscono, sono virtuosistici ma mai sono ”detti”. Non sono ”parlati”…parlano! L’attore scolastico/accademico, ipocrites è concentrato sulla visione che ha di un testo e nel modo di come organizzare la scena tecnicamente, non come elaborare l’arte scenica. Oramai mi sono allontanato sempre più da questa visione di far teatro da quando la lettura e l’avvicinamento al grande Carmelo Bene mi ha letteralmente cambiato. Con lui ho imparato il corpo a farsi suono. Trovare quella teatralità che fa spettacolo che poi mi sarebbe servita nel canto avendo come esempio l’arte (e non la tecnica) del mitico G. Di Stefano. Questi sono esempi che il mio animo sa ben tradurre e che sono le lunghe ore passate sul mio corpo, nell’esercizio fisico di scoprire quella sensazione di come “sparire dal reale” che, nel nostro lavoro artistico e di palcoscenico, fa gridare al pubblico al miracolo (anche fuori dalla scena). In tutto questo, c’è qualcosa di mediterraneità e un senso di appartenenza alla terra di Sicilia? Cielo siculo! Cielo Jonico! Una voce melodiosa che dice ciò che l’antico ha pensato… Il suo sguardo, le sue azioni ora dolenti e 15 melanconiche, poi sorprendentemente creatrici e vitali… Dalle radici nasce un fiore, da esse si sviluppa il senso naturale delle cose! L’uomo è in verticale non in orizzontale; non bisogna avere paura di scendere nel profondo. La verità è alla radice, nella testa risiedono la paura, le miserie, le angosce e ciò che ci si porta da pseudo educatori… E’ nel profondo che si estrae il tesoro, quella verità nascosta e unica che devi sapere riportare su alla testa, ragionevolmente discernendo ciò che è bene dal male. Questo è lo scopo del teatro nel corpo, una verità che è azione e che agisce per sua naturale bellezza non nascosta dall’ipocrisia. Questo senso teatrale dell’essere i siciliani l’hanno sempre avuto, anche se, nell’epoca attuale, si fatica nel controllare le emozioni, presi come siamo in uno stile di vita totalmente globalizzato e super tecnologico. Carmelo Bene a proposito del meridione parla dei luoghi del sud del sud dei santi… Lui parla della terra d’Otranto nel salentino ma le caratteristiche dei silenzi infinitamente poetici e il volare dei santi come Giuseppe Desa da Copertino o i santi ”imbecilli”, Francesco d’Assisi che balla felice davanti al papa o altri che vivevano nell’immediato, appartengono alla terra di Sicilia… In me sento vivere quelle stesse origini del sud del sud dei santi,una terra dalle visioni del caos. Appartenere fisicamente ad un luogo di origine, vorrà dire calpestare un “teatro stabile” che fin da bambino accoglie il debutto e una iniziazione alla scena prima. Da questa scena d’origine ho preso le dovute distanze, atto a costruire una non identità. Una non rappresentazione della terra di Sicilia, una non appartenenza alla sicilianità nei suoi atteggiamenti, nei comportamenti, in quanto nel mio essere uomo del sud riescono irrappresentabili. Dove sta la storica rappresentazione della verticalità dei siciliani? Orazio Maria Valastro CATANIA Ateliers dell’Immaginario Autobiografico Gli Ateliers dell’Immaginario Autobiografico sono dei laboratori di narrazione e scrittura di sé, realizzati dall’Associazione di Volontariato Le Stelle in Tasca di Catania. Possiamo definirli e presentarli come un’esperienza vitale, un esercizio concreto per mettere in pratica un ascolto sensibile di sé e degli altri. Sono uno spazio della nostra città che ci permette di valorizzare, riconoscere e restituire un’autentica cittadinanza sociale alla memoria e alla storia di vita di persone comuni. La memoria, la storia di vita delle donne e degli uomini, è un patrimonio inestimabile e prezioso da condividere tra le generazioni di un territorio, un’eredità da salvaguardare per comprendere la dimensione sociale e spirituale della nostra comunità. Gli Ateliers sono pertanto concepiti e vissuti come esperienze di gruppo che sollecitano la nostra memoria. Un percorso da condividere Il formatore e consulente autobiografo, programmando una serie d’incontri di gruppo, anima uno spazio che diventa un luogo dove condividere l’incontro e l’ascolto di sé e dell’altro. Rendendoci partecipi di un percorso che si articola in un tempo e uno spazio che ci accomuna, prendiamo parte a un cammino che si snoda tra ciò che conosciamo e ciò che ci autorizziamo a svelare o da cui ci lasciamo penetrare. Questi incontri diventano degli spazi che facilitano la parola e la scrittura, elaborando un discorso di sé che si compenetra del discorso dell’altro. Uno spazio dove ascoltare e leggere l’altro sperimentando l’esperienza che ci accomuna, l’avventura e l’enigma della vita con cui tutti ci confrontiamo. L’arte della poetica di sé Prima di diventare gli autori della nostra vita, gli scrittori della nostra biografia, gli Ateliers sollecitano una comunicazione e una relazione che ci permetta di entrare in contatto con l’altro La Sicilia e il “Cielo” dei siciliani hanno rappresentato per millenni la radice e le fondamenta dove tutto si crea in verticale; dove il corpo ascolta il silenzioso abitare il sud dei santi, dove la vita e la morte viaggiano profondamente insieme. Ecco il mio tempo è la mediterraneità in divenire… Sperimentare e ricreare l’enorme tempo restituendo fisicamente un luogo di origine. Quel mediterraneo sede del caos e delle visioni poetiche, radici di un germoglio culturale sempre positivo in quello spazio non tempo dove vivere e abitare la battaglia. Cosa ti accomuna con la millenaria tradizione letteraria siciliana e i suoi modelli di cultura? L’eternità!!! Ovvero il non essere spettatore della tradizione culturale-evento-storico che appartiene ad una comunità, poi il non prendermi troppo sul serio. Artisticamente mi compiaccio di non fare teatro sociale né essere spettatore culturale. Dalle millenarie forme culturali la Sicilia vanta di personaggi che per natura antropologica abitano luoghi dove dal sottosuolo il respiro della terra, infuocata dal sole, alimentava la pura follia visionaria dando vita ai silenzi infiniti e inutili. Il genio vola in tutte le direzioni, il suo gesto visionario rimane sempre unico e teatrale. Sentirmi legato al respiro antico di Sicilia, alimenta il pensiero che attraversano le visioni, senza tuttavia abitarle… E’ così che si arriva alla tua scrittura? Essere invasi da un qualcosa che attraversa il corpo dove si dialoga con forze superiori senza mai narrare l’avvenuto combattimento nel tradursi. Nel depensare si è in possesso del prodigioso, non si è mai coscienti di essere nel prodigio; si è assenti e irrappresentabili, coscienti di farsi vuoto e, li dentro, sospendersi divenendo se stessi “visione” senza sapere di essere in volo… Per quel che mi riguarda posso stare anni senza scrivere ed essere Poesia! │ attraverso la parte più profonda di noi. Rappresentando noi stessi con un disegno, ad esempio, condividiamo un pensiero metaforico che si sottrae inizialmente al registro verbale, trasferendo per intero noi stessi in un’immagine. La percezione che condividiamo della nostra relazione con noi stessi, gli altri e il mondo, si manifesta in questa rappresentazione grafica. Come evitare di essere sollecitati dal potere evocatore di questa immagine ed alla narrazione che la accompagna? Inerpicarsi per le strade della vita, scalare la montagna della vita, è un viaggio metaforico: il cammino della nostra vita. Un cammino a volte confuso, quando la nebbia ci confonde la vista e non riusciamo a riconoscere la strada da seguire, un cammino a volte sereno e illuminato dal cielo limpido e scintillante. Le stagioni segnano il fluire del tempo e l’alternarsi di momenti difficili e sereni, offrendoci privazioni e sofferenze, gioie e rinnovamenti nel nostro cammino. Questo primo percorso degli Ateliers permette ai partecipanti di fare l’esperienza della scrittura poetica di sé, mettersi alla prova sviluppando sensazioni ed emozioni, organizzando metaforicamente le nostre percezioni della vita. L’arte dell’immaginario La comprensione simbolica dell’esperienza di donne e uomini che si confrontano con la propria storia di vita, con la nostra presenza nel mondo e la relazione con l’altro, con l’esistenza in generale, ci introduce all’arte dell’immaginario. L’esercizio della narrazione e della scrittura di sé, sviluppato ulteriormente a partire dal disegno, moltiplica le reti metaforiche dell’esistenza che riusciamo a esprimere in queste raffigurazioni simboliche, riscoprendo con un altro sguardo il movimento dell’esistenza e del mondo. L’arte dell’autobiografia Sinteticamente possiamo considerare anche l’ultimo percorso degli Ateliers. L’elaborazione di una scrittura autobiografica che prende vita da questi incontri e da questo percorso, un’esperienza che ci prepara ad autorizzarci a diventare l’autore della nostra storia di vita elaborando una scrittura autobiografica. La scrittura diventa arte poiché trasforma la nostra vita, nell’attività della redazione di un testo, in un’opera che ha un suo inestimabile valore, un’opera che ci pone di fronte a nuove presenze, nuove esistenze e coscienze. │ 16 DI FRONTE SCUOLA MEDIA “G. PONTE” TRA LE TANTE NOSTRE SPECIALITA’ POTRAI GUSTARE: PARMIGIANA € 5,00 mozz., melanz. con pomodoro, prosciutto, parmig. infornato, uovo, olio, basilico. WURSTEL € 4,50 mozzarella, melanzane, patatine, olio. POMME DE TERRE € 5,00 mozz., spek, patate al forno, cipol., rucola, parmigiano, aceto balsamico, olio. LA CRISALIDE € 5,00 mozzarella, cilieg., champignon, bresaola, parmigiano, olio. SASIZZA € 4,50 pom., mozz., spinaci, salsiccia, funghi, erba cipollina, olio. CRUDO € 5,00 pomod. fresco, mozzarella, prosc. crudo, rucola, parmigiano, aceto balsimico, olio. CAPITAN UNCINO SOLO DA NOI PIZZE FORMATO 33X33 SERVIZIO A DOMICILIO: TEL. 095 7951941 LOCALI IDEALI PER: BANCHETTI, COMPLEANNI, PRIME COMUNIONI, CRESIME, LAUREE… SU PRENOTAZIONE APERTO ANCHE A PRANZO € 6,00 Pomodoro, gamberetti, panna, spinaci, gamberone reale, prezzemolo, olio. FOCACCIA CAPRESE € 4,00 pomod. fresco, mozzarella, lattuga, basilico, olio. ED ANCORA… Margherita Rustica Faccia di vecchia Biancaneve Capricciosa 4 Formaggi 4 Stagioni Diavola Sicula Calabrese Tonno e cipolla Ortolana Norma Bufala campana Marinara Calzone Calzone verde Focaccia semplice € 3,30 € 3,00 € 3,00 € 3,30 € 4,50 € 4,00 € 4,50 € 4,30 € 4,00 € 4,00 € 4,30 € 4,30 € 3,80 € 6,00 € 6,00 € 4,00 € 4,40 € 4,30 Scopri l’alta selezione e l’eccellenza dei prodotti scelti da noi per offrirti solo il meglio… La Bontà parla chiaro…fino all’ultimo morso! 17 Maria Isabel Giabakgi MITO E SURREALISMO POETICO NELL’OPERA DI RITA DELLE NOCI L’idea di perfezione e nitore formale non manca mai di dettare sorpresa, soprattutto nel panorama dell’arte contemporanea. Il rigore tecnico, l’abilità di cesello, la sorvegliata armonia che sottende le tele e le opere grafiche di Rita Delle Noci si dichiarano subito come un convinto manifesto di poetica. Le tematiche affrontate dall’Artista sono improntate alla più straordinaria varietà: dalle sue tele si affacciano figure mitologiche e delicati soggetti naturalistici, con molte varianti sul tema del giardino; non mancano l’attualità e l’introspezione, vero comun denominatore; improbabili prospettive di interni abitativi e soggetti religiosi, questi ultimi rivisitati spesso in chiave problematica e postmoderna. Molto caro alla sensibilità dell’Artista è il sulfureo vitalismo della terra di Sicilia, con il suo inestricabile viluppo di mito, storia, arte e natura. colori, plasmandoli lungo percorsi rettilinei o svolgendoli in sinusoidi e volute, in ragione della staticità o del dinamismo del soggetto ivi rappresentato. Dal lontano 1966, anno della sua prima mostra a Potenza, passando per il 1970, anno della mostra “Tierra Bravìa” a Madrid, Rita Delle Noci ha avuto modo di farsi apprezzare in numerose mostre tenutesi a Roma, presso la galleria “Cassiopea” e presso la Galleria della Corte Comunale di Formia (2009). Inoltre, nel novembre dello scorso anno, l’Artista ha esposto a Torino, presso Villa Gualino, la Trilogia di Ulisse. Sul piano squisitamente tecnico, Rita Delle Noci – nata a Melfi (PZ) e attualmente residente a Formia (LT) – ha saputo raccogliere in una superiore sintesi i più svariati indirizzi formali sperimentati nel corso della sua lunga carriera, giungendo ad un personalissimo linguaggio grafico-pittorico che è anche metodo investigativo della realtà. Se, infatti, il mondo fenomenico è ipotizzabile come consustanziale alla dimensione onirica, i brani di realtà – già di per sé risibili chimere di certezze – si vestono di luce e colore, steso secondo una gradatio volta a vivisezionare l’inafferrabile e l’indicibile. In questo scenario irrompe il pensiero umano, con la sua progettualità, con la sua incapacità di afferrare la realtà; allora il colore lascia spazio ad una fitta trama di linee, tracciate dalla Delle Noci con l’abilità di “cesello”. L’occhio dell’osservatore è abilmente guidato dal “parziale” di un singolo modulo grafico all’unicum dell’intera opera. La delicata precisione del tratto avvolge e pervade, come preziosa trina metallica, la diafania larvale di volti, mani, oggetti; di una materia, in definitiva, che ha già optato per la sua declinazione spirituale. La tecnica grafica, creata dalla Delle Noci tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, ma soggetta a continue evoluzioni, risale al periodo in cui l’Artista era impegnata nella grafica pubblicitaria, dapprima a Roma e, successivamente, a Madrid. Essa si basa su una trama di linee geometriche in cui si svolge una decorazione modulare che asseconda la volumetria del soggetto prescelto ed è realizzata a mano libera con inchiostro di china. La tecnica pittorica, anch’essa risalente allo stesso periodo, si affida alla tempera e al chiaroscuro, ottenuto attraverso una gradazione che scompone settorialmente i Nel gennaio 2010, infine, una sua preziosa opera, la Sant’Agata (collezione privata G. Maggiore), è rimasta esposta al pubblico durante i festeggiamenti in onore della Patrona a Catania, nell’ambito della mostra “Cimeli agatini. Arte popolare”, patrocinata dall’Archidiocesi e dal Comune. Rita Delle Noci è iscritta all’Albo dei Pittori e Scultori d’Italia e d’Europa. │ 18 Antonello Morsillo VISIONI URLATE I LUOGHI DELLA FOLLIA NEL CINEMA “Guardo la sedia vuota e mi rendo conto che fra qualche tempo Anna non sarà più qui. Oggi Anna può fare a meno della mia presenza perché mi porta stabilmente dentro di sé. Sono io che la devo perdere. Sento dentro come un lutto. Ma questo è il prezzo di una nascita”. Questo dolore espresso dalla deuteroprotagonista, Madame Blanche, nel film Diario di una schizofrenica, diretto nel 1968 da Nelo Risi ne mostra la grandezza. L’aver dischiuso la vita di Anna Zeno, vittima della mancanza d’amore, di una disastrosa famiglia, rappresenta una testimonianza singolare della follia sul grande schermo. Antesignano dei film a tema psicoanalitico, Il diario di una schizofrenica, tratto dal libro omonimo della psichiatra svizzera Marguerite Andrée Sechehaye, mostra un’aderenza lucida nel rappresentare la schizofrenia della protagonista. Il suo alto valore storico, e le innumerevoli interpretazioni per svelare la natura delle urla interiori di Anna esplodono, nel climax, quando l’immagine delle mele verdi attaccate all’albero, e quindi immature, è decifrata come il latte materno di cui Anna è stata privata. La schizofrenia, caratterizzata da soluzioni visive e simboliche, svela il drammatico risultato di una mancata aderenza di un individuo ai codici imposti dalla società. Quello a cui assistiamo è la corsa all’interno di spazi, dimore, stanze che ravvisano gli abissi del film La fossa dei serpenti diretto da Anatole Litvak, nel 1948. Qui una donna è preda di allucinazioni visive ed è condotta in un manicomio; un luogo paragonabile ai gironi danteschi per la sua architettura. I vari reparti suddivisi in base alla patologia delle pazienti. Le celle spoglie, oscure e cesellate da imponenti sbarre ne fanno il manicomio più inumano mai descritto in un film. Questa straordinaria discesa nella “fossa dei serpenti”, dove in passato venivano abbandonati i folli con l’idea che lo shock li avrebbe guariti, sapientemente descrive il clima d’abbandono e di distacco dei dottori verso i propri assistiti. Le paure della società vengono intrappolate in queste intercapedini e si nutrono di sé stesse anche in Bedlam di Mark Robson, del 1946. Tratto dalla serie di otto dipinti del pittore inglese William Hogarth, A Rake’s Progress, e in particolare dall’ultimo, inerente il manicomio, rende appieno il suo titolo: La carriera di un libertino. Una palese condanna della funzione di queste dimore in epoca illuminista. Una denuncia più recente è espressa da Milos Forman nel 1973 in Qualcuno volò sul nido del cuculo. Letteralmente il titolo corrisponde ad una filastrocca: “Uno stormo di tre oche, una volò ad est, una volò ad ovest, una volò sul nido del cuculo” e il cuckoo, nel titolo originale, oltre ad indicare il cuculo corrisponde anche al termine pazzo. Come il parassitismo del cuculo così Randle Patrick McMurphy, interpretato da un eccellente Jack Nicholson, “vola” in un Ospedale psichiatrico di Stato per “deporre” il suo stile di vita anticonformista. Ma l’esempio più devastante, sempre in ambito di “cinemamanicomiale”, sia per lo spettatore che per i soggetti mostrati è rilevabile in Titicut Follies, diretto da Frederick Wiseman, nel 1967. Fino al 1991 questo straordinario documento è stato censurato per la sua grande durezza. Il titolo rimanda al musical allestito dai pazienti del manicomio criminale di Bridgewater, nel Massachussets. E’ come se i pazienti fossero obbligati a performare le loro esistenze dinanzi al giudizio dei medici e dello spettatore. Queste anime dilaniate sono come “fantasmi per una strada senza ritorno” il titolo che il giornalista Johnny Bennet, protagonista de Il corridoio della paura di Samuel Fuller del 1963, avrebbe dato al suo articolo se non avesse sfidato le leggi umane. La sua ambizione di scoprire il responsabile di un omicidio e vincere il Premio Pulitzer, lo porta a farsi ricoverare in un ospedale psichiatrico e divenire lui stesso uno dei pazienti catatonici ospitati. Questo film pur mostrando la natura degli psichiatri, incapaci di individuare il falso paziente, non li demonizza e diviene progressivamente, nella sua cupezza e drammaticità un eccellente capolavoro. La società è un esangue fardello che porta a sopraffare o a sopprimersi. Roman Polanski ne L’inquilino del terzo piano del 1975 la descrive rappresentando il graduale delirio di Trelkovsky, interpretato dallo stesso regista, che diviene Simone Chule l’inquilina suicida che occupava il suo appartamento. Lui è “l’inquilino chimerico”, titolo del libro di Roland Topor dal quale è tratto il film. Il regista elimina la luce del giorno e lo fa vivere in una dimensione oppressiva all’interno del suo appartamento. Il passaggio alla psicosi è sottolineato dal rinvenimento di un dente, di Simone, all’interno di una parete. Mentre la ripetizione del suicidio simboleggia il masochismo represso per il rifiuto degli altri. In Shining di Stanley Kubrick, del 1980, lo scrittore Jack Torrence è sperduto nel labirintico albergo, adiacente il medesimo giardino, quale metafora di una mente che non ritrova più sé stessa e continua ossessivamente a scrivere “Solo lavoro e niente divertimento rendono Jack un ragazzo svogliato”, proverbio tradotto nella versione italiana in “il mattino ha l’oro in bocca”. La rappresentazione dello spazio è sottolineato dal regista con varie riprese dall’alto, con evidenti figure geometriche che convogliano nella morbosità e nel non-luogo. Dall’isolamento la follia emerge Come in un specchio diretto dallo svedese Ingmar Bergman, nel 1962. La psicosi allucinatoria della protagonista, isolata nelle isole dell’arcipelago delle Frisonne, domina la realtà come lo specchio del titolo che conduce ad immagini velate e misteriose. Sono visioni urlate, da un incedere sommesso quelle che il cinema, sapientemente, riesce ad evocare attraverso la ricreazione di questi margini. Le scenografie di Hermann Warm, Walter Reimann e Walter Rohrig in Il gabinetto del Dottor (SEGUE A PAG. 22) Caligari diretto da Robert Wiene nel 19 I PORTICI VILLAGE PROSSIMI APPUNTAMENTI MENU’ DI PASQUA € 25,00 (CARNE) “ “ € 30,00 (PESCE) MENU’ DI PASQUETTA € 25,00 MENU’ DEL 1° MAGGIO € 25,00 NUOVA APERTURA “SALA AURORA” 350 POSTI Per i tuoi ricevimenti I PORTICI VILLAGE – s.p. 132 Palagonia (CT) Tel. 095 795 2850 CORREDI ACCESSORI di Spadola S.r.l. 20 A.S.D. VIRTUS PALAGONIA Calcio a 5 ASD – ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA VIRTUS PALAGONIA "I Nostri Valori nello Stare Insieme…” Tra le tante attività aggreganti, lo sport riesce certamente ad accomunare più persone e fare di esse una squadra, che vive e condivide la stessa passione, e che in virtù di essa, fonde esperienze di vita diverse. E’ il caso di questa bella realtà, nata dalla volontà di Antonio Vinci, il quale, nelle sue vesti di Presidente, è riuscito a trasmettere ai suoi componenti, non solo la possibilità di fare dello sport un momento elettivo del proprio tempo libero, ma attraverso esso, anche di consolidare dei sani rapporti di amicizia e di solidarietà. Un obiettivo, il suo, condiviso anche dalla sorella Cettina e da Silvana Politino che insieme lo collaborano nella conduzione. Diversi per età, preparazione e occupazione; diversi per cultura e nazionalità… ma uniti e affiatati, vivono con entusiasmo ogni loro momento trascorso insieme – da quelli dedicati all’allenamento a quelli sul campo per giocare una partita . Hanno appena concluso il Campionato di calcio a 5, serie D, che li ha visti di volta in volta giocare in casa o in trasferta, ma la loro partita - contro l’apatia, la mancanza di stimoli e di possibilità d’incontro che caratterizza la realtà locale - non finisce mai. Un gioco di squadra intriso di sani valori: “Il nostro obiettivo non è una competizione fine a se stessa – sottolinea l’allenatore Fabio Compagnini, fra l’approvazione degli altri membri raccolti intorno a lui e al Presidente - Noi crediamo realmente che l’importante non sia vincere, ma partecipare, sentirsi parte di questa squadra. La nostra è come fosse una grande famiglia, e come in ogni famiglia, possiamo avere delle piccole divergenze, ma che poi ci sforziamo di superare… Il gioco di squadra è importante per aiutarci a crescere come persone, ma anche a farci maturare nel saper stare bene insieme… Non si può parlare di squadra o di qualsivoglia forma di aggregazione, se prima non si parte dal rispetto della persona. Questo viene prima di tutto, ed è ciò su cui insiste il nostro Presidente.” I componenti della Virtus Palagonia: S. Gulizia, D. Blanco, V. L. D'Aviri, G. Di Benedetto, R. Mirabella, G. Pappalardo, A. Vinci, G. Bassotto, F. Tenerezza, N. Ovarchi, F. Calcagno, A. Trentino, T. Cannizzaro, V. Oliva, W. S. Polizza Favaloro, S. Sipala, G. Terranova, F. Compagnini, A.-J. Kouam, M. Toma, F. Trentino, R. Lagona, S. Sipalino, A. Kovam, L. Renda, D. Minuto, A. J. Errari, K. Mounir, K. Tara si ritrovano tutte le settimane insieme presso il campetto “Country Club”. YxÅÅ|Ç|Ä|àõ Pura essenza di Non solo i tuoi capelli… Anche le tue unghie reclamano stile, moda ed eleganza PER CAPELLI LISCI LUCIDI SEDUCENTI Hai mai sognato di avere capelli più maneggevoli? Più soffici? Più lisci? Più lucidi? La terapia a base di cheratina, “Keratin Complex Smothing Therapy” è la soluzione! Questo servizio è disponibile solo nei saloni ed è applicato da parrucchieri specializzati nei metodi di terapia a base di cheratina, “Keratin Complex”. 21 1920 evidenziano proprio questo concetto. Siamo dinanzi alla follia espressa da un’asfissia visiva che si traduce in un onirico viaggio in atmosfere irreali: strade a zig-zag, scene esageratamente e volutamente dipinte, prospettive alterate che ne fanno il capolavoro del cinema espressionista. E’ l’allucinazione di un ospite di un manicomio la cui stanza dominata al centro da una sedia rimanda ad un’opera del pittore tedesco Erich Heckel (Der Irre. Aus einem Irrenhaus, 1914) la quale raffigura una scena di folli in un ospizio. Nel quadro la sedia sottolinea l’idea stessa del vuoto e quella del film, più stilizzata, ne accentua il malessere. Gli stessi volti sproporzionati dei pazienti, in esso raffigurati, demarcano una linea che dilata lo spazio per rappresentare le proprie ombre. Le stesse che Og, nell’ultima sublime interpretazione di Buster Keaton, intravede quando si trova dinanzi a se stesso. Il regista, Alan Schneider, intitola la pellicola emblematicamente Film. La stessa macchina da presa diviene protagonista della folle corsa di Og, degli sguardi inorriditi dei passanti e di quelli di ogni essere vivente. Una claustrofobica stanza, diviene la sua ultima tappa alla presenza di una sedia e di uno specchio. Tramite la soggettiva utilizzata per tutto il corto Og si sdoppia nel suo io: uno guarda inorridito, l’altro lo osserva con rimprovero. Da un soggetto di Samuel Beckett, un cortometraggio in cui la macchina da presa, da lui denominata E, riprende il personaggio sempre di spalle. Questa scelta stilistica toglie ad Og la sua fisicità a vantaggio di E. Non a caso E, stilizzazione del termine eye (occhio), è la vera presenza di questo racconto. E’ nell’ultima scena, con l’inquadratura dell’iride che accende il suo buio, il cinema, ancora una volta, diviene lui stesso una macchina corporale che fissa silenziosa e ostinata la percettiva solitudine del nostro sguardo. │ Gianni Amato Gianni Amato CALTAGIRONE CALTAGIRONE “Visioni e fiori d'artista” e “Scala infiorata in progress” “Visioni e fiori d'artista” (Dal sempreverde alla rosa – La città in fiore) e “Scala infiorata in progress”, le iniziative promosse dall'Amministrazione comunale di Caltagirone “con l'obiettivo – spiega l'assessore al Turismo e vicesindaco, Alessandra Foti - di promuovere e valorizzare, sulla scorta della positiva esperienza dell'analoga iniziativa natalizia, la realtà degli artisti del nostro territorio e creare momenti di comunicazione con la città e i numerosi turisti che la visitano, in occasione delle festività pasquali e delle manifestazioni legate alla primavera”. Le iniziative sono rivolte a imprese profit e non-profit, associazioni culturali e sociali, scuole, organizzazioni di categoria, singoli e/o gruppi che intendono esprimere il proprio estro artistico nelle seguenti attività: individuazione di un particolare scorcio della città, sia del centro Storico, sia del centro nuovo, dove realizzare un’istallazione artistica a tema primaverile, con utilizzo principale di fiori e piante; creazione di un particolare disegno floreale da realizzare sulla Scala di Santa Maria Del Monte. Un’apposita commissione valuterà i progetti degli allestimenti da realizzare, rivolgendo particolare attenzione agli interventi previsti nella zona nuova della città, alla creatività, all’utilizzo di materiali innovativi ed economici, all'utilizzazione e valorizzazione dell’arredo urbano esistente, al maggiore coinvolgimento di spazi e cittadini. In riferimento alla Scala infiorata, saranno individuati tre progetti, che saranno realizzati alternativamente nelle prime tre settimane di maggio. I progetti selezionati nell’ambito dell’iniziativa “Visioni e fiori d'artista” saranno realizzati il 27 marzo in occasione della “Passione vivente”; la commissione valuterà successivamente le installazioni e assegnerà due premi del valore di 500 euro. Tutti i partecipanti non vincitori riceveranno un contributo di 150 euro. Fra i tre disegni realizzati per l’allestimento della Scala sarà scelto quello che rimarrà esposto dal 23 maggio al 6 giugno ed avrà assegnato un premio di 500 euro. Per la realizzazione della “Scala infiorata”, l’Amministrazione comunale, per sostenere la partecipazione, metterà a disposizione piante fiorite e piante verdi per un massimo rispettivamente di 1000 e 600, che i soggetti proponenti potranno incrementare a spese proprie o di eventuali sponsor. │ SITO ISTITUZIONALE: www.comune.caltagirone.ct.it “Famiglie a Teatro” la rassegna di teatro per l'infanzia E’ stata aperta il 28 febbraio, nel Museo Fornace Hoffman di Caltagirone, dalla compagnia PiDa di Catania, che ha presentato lo spettacolo “Il soldatino di stagno e la bambola di porcellana” (un classico della narrativa per i più piccoli scritto da Hans Christian Andersen, rivisitato e impreziosito da musiche e canzoni), la rassegna di teatro per l’infanzia “Famiglie a Teatro”, promossa dall’associazione culturale “Nave Argo”, con il sostegno del Comune di Caltagirone (Ass.to alle Politiche giovanili) e della Regione siciliana (Ass.to ai Beni culturali). In scena Francesco Maria Attardi, Francesca Ferro e Sabrina Tellico, per la regia di Giovanna Criscuolo. “Famiglie a Teatro” - ideazione e direzione di Fabio Navarra – ha inteso promuovere il teatro come esperienza da condividere in famiglia, creando le condizioni per un interscambio di emozioni non solo tra gli artisti e gli spettatori, ma anche tra gli spettatori stessi, grandi e piccoli. “Essa – si sottolinea da Nave Argo - rientra nell'ambito delle iniziative promosse, sin dal 1992, dalla nostra associazione allo scopo di dotare il Calatino di una programmazione stabile e continuativa di eventi teatrali e culturali”. Tre, compreso quello del 28 febbraio, gli spettacoli in programma, proposti da altrettante compagnie teatrali siciliane nella bella “location” del Museo Fornace Hoffman: il 14 marzo è stata in scena la Compagnia Casa di Creta di Catania, che presenterà “I Cunti de Ciancineddi”, con Antonella Caldarella e Steve Cable. Due fiabe siciliane raccontate in dialetto con le marionette da tavolo per uno spettacolo che diventa un’occasione per riscoprire la figura della cuntastorie al femminile nonché i personaggi della tradizione popolare sconosciuti ai bambini di oggi. La rassegna si chiude il 28 marzo con il Teatro dei Naviganti di Messina, nello spettacolo “La storia di Pinocchio” con Mariapia Rizzo, Cristiana Minasi, Stefania Pecora e la regia di Domenico Cucinotta. Un’originale rivisitazione delle gesta del famoso burattino di Collodi, bambino impertinente che cresce imparando dai propri sbagli. │ 22 Scuola Primaria “G. Ponte” Palagonia IL DRAMMA DI HAITI VISTO CON GLI OCCHI DEI BAMBINI Il nuovo anno è iniziato con un terribile avvenimento: il 12 Gennaio un violentissimo terremoto di 7,3 della scala richter ha devastato, in solo 28 secondi, l’isola di Haiti, nel Mar Dei Caraibi, provocando una catastrofe umana e materiale. Haiti è uno dei paesi più poveri del mondo dove solo l’1% della popolazione è ricco e l’80% vive con appena un dollaro al giorno, non ha accesso all’acqua, all’istruzione e alle cure mediche. Quando Cristoforo Colombo la scoprì, cinquecento anni fa’, Haiti era un paradiso: mare cristallino, spiagge con palme e sabbia finissima, paesaggi mozzafiato. I popoli che nei secoli la conquistarono, spagnoli e francesi, e le guerre che sono andate avanti fino al 2004, l’hanno resa un inferno e le sue bellissime spiagge sono inondate dai rifiuti che nessuno raccoglie. Questo terremoto è solo l’ultima delle tragedie che devastano Haiti dove, su mille bambini, sessanta muoiono prima di un anno e più di due milioni di disperati abitano in baracche di lamiera arrugginita. In classe attraverso il giornalino ”Popotus” e a casa, in televisione, abbiamo seguito l’incubo di Haiti e ciò che vedevamo era traumatizzante. Il pianto di chi ha perso i propri cari, la disperazione dei genitori che, a mani nude, scavano per liberare i figli rimasti sotto le macerie, le mani tese in cerca di cibo e di aiuto, ci hanno fatto provare tanta tristezza. La gente di Haiti è sola, smarrita, è abituata a mangiare una sola volta al giorno, e questo terremoto deve essere l’occasione per risollevarla, liberarla dalla povertà. Tutti, anche noi bambini, dobbiamo far qualcosa perché Haiti non sia dimenticata Antonella Vaccaro, Simona Bardaro, Chiara D’Amico, Giulia Di Stefano, Erica Brancato (alunni della 3° A) Scuola Primaria I.C. ”G. Ponte” IL TERREMOTO DI HAITI - di Simona Bardaro Poveri piccoli Che terrorizzati tra le macerie Cercano i loro genitori. Crollate le case Migliaia sono i morti. La tristezza infinita che si trova ad Haiti è dolore immenso per tutti noi. Flebile è la possibilità di vita. Accadono miracoli Nella tragedia sconfinata. La gente è nel terrore e cerca di salvarsi. Questo ci fa stare male c’è solo sofferenza e povertà HAITI ORMAI DISTRUTTA - di Giulia Di Stefano Haiti ormai distrutta, bambini sotto le macerie aspettando che qualcuno li salvi. Il miracolo della vita Si ripete Ma purtroppo la morte, come un onda assassina, trasporta tutti. E’ durato pochi ma interminabili secondi. Piovono dal cielo i viveri E come le bestie selvatiche, ognuno cerca di prendere qualcosa. Chi è sopravvissuto È davvero fortunato? Il BUIO DOPO IL TERREMOTO - di Antonella Vaccaro Grida di mamme che Hanno perso i figli, grida di figli che hanno perso le mamme. pianti strazianti di bambini senza genitori,nonni e amici Ormai la gente è allo stremo,è scoraggiata, non sa che fare. Ha perso tutto: figli,parenti,le loro misere case, tutto ciò che più conta nella vita. Una grande oscurità copre Haiti; ormai quello che era non è più tutto è scomparso insieme al terremoto. Dal cielo piovono pacchi di viveri Tutti si accalcano, si azzuffano per prendere di che sopravvivere; nessuno sa cosa fare e quindi si sta rintanato in se stesso insieme al suo infinito dolore ora noi possiamo aiutare davvero questa povera gente sofferente che prima per noi non esisteva presi dal nostro eterno egoismo che ci chiude nel buio della solitudine HAITI IN MACERIE - di Davide Interlandi Il terrore è sceso su Haiti Come uccelli in cerca di cibo vagano i sopravvissuti. Fortunati i feriti Che ancora vedono la luce. Chi non c’è l’ha fatta è nelle tenebre delle macerie. Piccoli coniglietti miracolosamente salvi. Si lotta per la sopravvivenza In una lotta contro il tempo. LA TRISTEZZA DEL TERREMOTO - di Alessia Giannuso L’ attesa di chi Attende di essere liberato Dall’ immenso mucchio di macerie. La mani che sbucano tra i calcinacci bambini rimasti orfani e i più fortunati tra le braccia dei loro genitori. Accadono miracoli Miracoli della vita Ma la tragedia è apocalittica. Le ore infinite Sotto grandi pezzi di muro Il dolore,la paura,la morte La speranza che dopo la tragedia non ci sia più l’ infinita povertà che strappa l’anima Naviga la Cultura su: www.amedit.it E SEGUI AMEDIT ANCHE SU: FACEBOOK - MYSPACE – YOUTUBE WINDOWS LIVE! 23 Catania Via Ventimiglia, 309 Tel. 095 746 32 93 Palagonia Via Garibaldi, 108 Tel. 095 795 64 24 www.cos.ct.it PATOLOGIE VERTEBRALI Campagna informativa per la cura e la prevenzione COLONNA VERTEBRALE E SCOLIOSI – INFORMAZIONI CONOSCENZE E SOLUZIONI LA COLONNA VERTEBRALE La colonna vertebrale, detta anche dal nome greco, rachide, è come dice la definizione stessa la “colonna” su cui reggiamo il nostro corpo. Essa è costituita da 24 “vertebre” oltre osso sacro e coccige. Vista di fronte (o di schiena) è rettilinea, vista lateralmente, forma diverse curve: cervicale, dorsale, lombare e sacro-coccigea. UN PO’ DI STORIA Già nell'Antico Testamento, 300 anni prima della nascita di Ippocrate si possono rintracciare descrizioni di persone con schiene curve. Ippocrate, il Padre della medicina, si applicò nello studio, nella misurazione e nella classificazione delle curve scoliotiche, e ideò alcune tecniche per la correzione della deformità, i cui principi sono ancora attuali. LA SCOLIOSI La parola "scoliosi" deriva dal greco skolios (storto, contorto) infatti si tratta di una deformazione complessa di tipo tridimensionale della spina dorsale in cui la componente rotatoria è il fattore principale che ne determina la gravità. In presenza di una scoliosi, la colonna, osservata da dietro, anziché essere diritta, presenta una o più curve ed è torta su sé stessa. CIFOSI E LORDOSI Sono ambedue deformazioni strutturali della spina dorsale date da una maggiore inclinazione delle naturali curve della colonna vertebrale. La lordosi è caratterizzata da un infossamento profondo della colonna vertebrale nella regione lombare, che proietta indietro il bacino e crea un dorso curvo. La cifosi è una curvatura della colonna vertebrale con concavità anteriore che porta ad un incurvamento della schiena. QUANDO SI MANIFESTANO In genere nel periodo compreso tra i 10 e i 13 anni. Il loro sviluppo è molto veloce in quanto è collegato direttamente allo sviluppo della colonna in corrispondenza della grande crescita del periodo puberale. Bisogna stare molto attenti ai propri ragazzi in quanto queste patologie non provocano alcun dolore CHI COLPISCONO La scoliosi colpisce l’80% delle ragazze e il 20% dei ragazzi, mentre la cifosi per l’80% colpisce i maschi e per il 20% le femmine. COME CAPIRLO Basta anche una semplice ma attenta osservazione da parte dei genitori e degli insegnanti a individuare un inizio di scoliosi: una lieve deviazione della spina dorsale guardando da dietro, un dislivello delle spalle o delle scapole, o un’asimmetria dei fianchi già indicano una presenza di scoliosi. Cosi come lo stare curvati in avanti indica una possibile cifosi , un bacino con una curva lombare accentuata è sintomo di una lordosi. Prendere in tempo, cioè prima dell’inizio dello sviluppo puberale, queste patologie è fondamentale. PREVENZIONE E DIAGNOSI Va effettuato uno screening preventivo prima del compimento dei 9/10 anni per le ragazze e gli 11/12 per i ragazzi presso un medico ortopedico o un medico fisiatra, specializzati in patologie vertebrali. La visita ortopedica per la diagnosi di una sospetta scoliosi è assolutamente indolore e non è invasiva. COME INTERVENIRE E bene, per ottenere migliori risultati, essere seguiti da un team di specialisti: Medico Fisiatra o Medico Ortopedico che diagnostica la patologia posturale e prescrive il tipo di busto necessario per la sua correzione; Tecnico Ortopedico che materialmente realizza il tipo di busto prescritto dal medico specialista e segue, insieme a quest’ultimo, l’evoluzione della scoliosi, apportando le piccole modifiche necessarie per seguire e sostenere il processo di guarigione della patologia; Rieducatore che segue il ragazzo nell’attività motoria di supporto alla correzione della scoliosi attraverso esercizi fisici e respiratori. BUSTI CORRETTIVI La realizzazione di busti correttivi per la scoliosi, cifosi e lordosi è fondamentale nella cura verso la soluzione di queste patologie. Esperienza, aggiornamento e attenzione alle innovazioni da parte dei Tecnici Ortopedici che realizzano i busti correttivi su misura sono i fattori di successo nel perseguire i risultati attesi. Carmelo Di Salvo - Tecnico Ortopedico Per informazioni più dettagliate o per un eventuale appuntamento chiamate lo 095.746.32.93 oppure scrivete una e-mail a: [email protected] 24