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...la mentira es lécita en la literatura, pero no en el periodismo.
Mario VARGAS LLOSA, presentación de la novela Cinco Esquinas en la Casa de América de
Madrid, Eluniversal.com, 2 marzo 2016.
A chaque déplacement dans la sierra central entre 1987 et 1990, et j’en ai fait plusieurs, j’ai senti une immense tristesse
en voyant ce qu’était devenu là-haut la vie d’au moins un tiers des Péruviens.
Mario VARGAS LLOSA, Le poisson dans l’eau, Éd. Gallimard/Folio, Paris, 1995.
CINCO ESQUINAS, il nuovo libro di Mario VARGAS LLOSA, una storia sulle estorsioni, sui ricatti
in un ambiente di violenza politica dove domina il giornalismo nella forma de la chimografia y del
amarillismo , vera arma politica complice della dittatura Fujimori/Montesinos.
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È appena passato più di un mese da quando è apparso in libreria simultaneamente in Spagna, in tutta
l’America Latina e anche negli Stati Uniti il nuovo romanzo dello scrittore e saggista Mario VARGAS
LLOSA, CINCO ESQUINAS edito da Alfaguara e già é in cima alle vendite in Colombia e in Messico,
al quarto posto in Argentina e in Spagna (si attende in questo primo semestre 2016 che il testo di
Vargas Llosa sia tradotto in italiano, in francese e in tedesco).
Il suo lancio coincide con i tanti avvenimenti 1 organizzati per festeggiare nel Perù e in Spagna il
compleanno dell’autorevole scrittore e intellettuale peruano premio Nobel per la letteratura 2010.
La casa editrice Alfaguara che pubblica da anni tutte le opere dello scrittore sul territorio spagnolo e
più largamente su quello latinoamericano celebrerà quest’anniversario con la ripubblicazione di otto
romanzi emblematici del percorso narrativo e creativo di Vargas Llosa, in edizione limitata, fermo
restando che tutti i testi dell’autore, compreso Cinco Esquinas, saranno ugualmente disponibili in
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edizione digitale.
Il nome del romanzo fa esplicito riferimento al quartiere di Lima che riflette le instabilità della storia
del Perù: quartiere alto borghese, centro della cultura creola nel ventesimo secolo e attualmente zona
marginale in cui domina la delinquenza urbana. All’origine Cinco Esquinas era punto d’incontro di
artisti e scrittori oggi è una zona improntata a un libero e offensivo disprezzo delle norme, e dista poco
dalla Camera dei Deputati e da Plaza Italia. Fu nel 1568 che il Viceré Toledo e il governatore Lope
García de Castro fondarono Barrios Altos. Quest’area comprendeva circa trentacinque isolati abitativi
dove alloggiavano cinquecento famiglie che si distinguevano da quelle di altri quartieri limitrofi per
l’ardore religioso. In quell’epoca i Gesuiti erano i responsabili di questa zona limitata da mure di cinta
grazie alle quali controllavano le uscite e le entrate dei residenti. In epoca coloniale affluivano a
Barrios Altos i più dotati musicisti di musica creola, la classe politica e gli intellettuali più noti. Fra i
tanti frequentatori del quartiere ricordiamo César VALLEJO, Ricardo PALMA,
Manuel ASCENCIO SEGURA e non ultimo il musicista creolo Felipe
PINGLO, gran conoscitore della musica creola e talentuoso chitarrista Pinglo, el
bardo inmortal, cominciò nel 1917 a comporre il suo primo valzer dal titolo
Amelia e da allora scrisse e musicò più di trecento canzoni diventando il più
importante cantautore di musica creola peruana, una vera leggenda. Pinglo
s’ispirava alla cronaca sentimentale, alle tristezze e alle allegrie della gente di periferia. Di lui si
ricordano principalmente due canzoni, De Vuelta al Barrio, un valzer che è un canto di amore
sviscerato per Barrios Altos e un sentimento di nostalgia del passato e El Plebeyo dove racconta la
storia di un amore finito per le differenze sociali dei due innamorati protagonisti. Pinglo, morto giovane
all’età di trentacinque anni, cantava l’amore e la vita per placare il suo perenne e intimo dolore.
Oggi il centro storico di Lima nel quale si trova Barrios Altos, un tempo a intensa vocazione turistica,
non è più inserito nei circuiti turistici della città di Lima per l’alto tasso di pericolosità. Pochi visitatori
attraversano Barrios Altos chiamato così perché topograficamente è situato più in alto rispetto a Plaza
Mator. Alcuni invece dicono che fu chiamato così perché in epoche lontane vissero lì famiglie
appartenenti
all’alta
società
peruana. Si può
visitare però con
una
certa
sicurezza
la
Quinta Heeren, un
insieme di case e
palazzi in stile
europeo costruito
nel XIX° secolo
dall’ingegnere
tedesco
Oscar
Augusto Heeren
per ricordare le
sue origini e i
luoghi che aveva
visitato in Europa.
Una
piazzetta,
strade
strette,
giardini adornati
da vasi di fiori e
sculture
contornano questo
luogo
della
vecchia
Lima
unico
quanto
interessante,
un
tempo sede delle
importanti
ambasciate
del
Giappone,
del
Belgio, della Germania, della Francia e degli Stati Uniti di America. Oggi alcuni palazzi sono in uno
stato di totale abbandono mentre altre residenze necessitano immediate opere di restauro anche perché
alcuni canali televisivi anche esteri sono interessati a realizzarvi sceneggiati e film storici.
Questi quattro ettari appartengono al Patrimonio Culturale dell’Umanità e si dice che siano abitati da
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fantasmi. Si racconta, infatti, che durante alcune notti suole apparire su un cavallo bianco un cavaliere
decapitato mentre trascina pesanti catene. Secondo alcuni, il cavaliere é uno spagnolo che visse in
questa zona durante l’epoca coloniale e che fu ingiustamente condannato a morte per decapitazione.
Secondo altre fonti, c’è lo spirito di un giapponese Kitsutani che continua a vagare nella casa dove
abitava non facendo dormire gli attuali residenti che ne attestano l’esistenza con fotografie che lo
ritraggono seduto su di una vecchia sedia che scricchiola sotto un peso inesistente.
Non mancano serie intenzioni di riportare la vecchia Quinta al suo passato glorioso e c’è anche un
progetto per convertirla in un Centro Commerciale ma questa idea è concretamente contestata.
CINCO ESQUINAS è il territorio urbano
che l’autore attraversava in gioventù
quando lavorava come cronista al giornale
La Crónica e che ama ora ripercorrere
quando periodicamente ritorna nel suo
paese. Partendo dalla sua abitazione di
Barranco, con gli occhiali da sole, un
berretto che gli ripara metà del volto e con
addosso un impermeabile tipico di un
agente segreto, Mario VARGAS LLOSA in
compagnia di sua moglie Patricia e di sua
figlia Morgana che ha la passione per la
fotografia, senza quasi rendersene conto
rifà la stessa strada che da apprendista
giornalista faceva nel 1952 ogni giorno
durante i tre mesi estivi per recarsi al giornale, un vecchio edificio a due piani in via Pando. Al primo
piano si trovavano gli uffici amministrativi e quello adibito per la correzione dei testi da stampare, al
secondo gli uffici per l’edizione del mattino e quelli del direttore, sempre attorniato da due ragazze
carine che gli facevano da segretarie. Erano gli inizi degli anni cinquanta e come ricorda Marito o
Varguitas erano los tiempos del periodismo preistorico quando il direttore si recava tutti i giorni a
lavorare sul dorso di una mula e gli uffici di redazione erano modesti: tavoli da lavoro e sedie instabili
a causa dei tarli, vecchie e rumorose
macchine da scrivere, fogli di carta
sgualciti. Ciononostante il suo primo
impatto con Gastón Aguirre Morales fu
positivo nel senso che gli fece una breve
ma essenziale lezione di giornalismo
moderno. Gli disse che prima di sviluppare
la notizia in modo succinto e oggettivo
doveva pensare al titolo dell’articolo che,
riassunto in una frase breve, doveva
suscitare nel lettore ancor prima della
lettura curiosità e interesse. Dopo aver
scritto il suo primo testo (si trattava
d’informare la gente che il nuovo
ambasciatore del Brasile aveva presentato
le sue credenziali) il giovane Mario si
sentiva pronto a svolgere ogni tipo
d’incarico (inaugurazioni, interviste a
cantanti, a intellettuali, a toreri, a vincitori di lotterie), insomma qualsiasi cosa anche a costo di
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repentini spostamenti da un quartiere all’altro con il camioncino del giornale accompagnato da un
fotografo di professione. Gli era stato detto che bisognava essere sul luogo dell’avvenimento nel più
breve tempo possibile per essere i primi a raccontarlo trovando una giusta sistemazione sul giornale.
Furono gli unici mesi di bohemia della vita del giovane Vargas Llosa ma anche di grande impegno.
Lavorava fino a tarda notte e dopo aver redatto gli articoli da presentare ad Aguirre Morales per
un’ultima visione, frequentava i caffè e i luoghi di divertimento con i suoi nuovi amici Milton von
Hesse, Carlitos Ney Barrionuevo, Emilio Delboy e Fernando Palao quest’ultimo esperto di cronaca
giudiziaria. C’era nel giornale un apprendista cronista, un esperto disegnatore, molto simpatico che
viveva a Barrios Altos vicino a Cinco Esquinas, amante della notte, della musica creola e del bere con
cui il giovane Mario (non aveva ancora compiuto sedici anni) si era legato d’amicizia. Nell’umile casa
dell’amico e collega si riunivano spesso gruppi di altri giovani, si ascoltavano e ci si ostinava a cantare
canzoni e motivi creoli di Felipe PINGLO e si diceva che proprio in quella casa era nato l’artista.
Faceva parte del gruppo delle sue amicizie anche Luis Becerra, il medico direttore della pagina roja,
quella dei grandi crimini e delitti, una delle rubriche vincenti, molto seguita dai lettori e dalle lettrici,
un personaggio singolare che insieme a Norwin Sanchez Geny ritroviamo ne La Conversación en La
Catedral (1969). Era perennemente inquieto, con completi logori e lucidi, con l’odore acre di tabacco e
di sudore, col nodo microscopico della sua sudicia cravatta, sembrava una creatura infernale pronto a
prendere e a fare scherzi assai pesanti e anche pericolosi a tutti quelli della redazione. Milton era la sua
vittima preferita e si racconta che una volta lo inseguì tra i tavoli di lavoro con in mano una pistola e
che inaspettatamente gli partì un colpo che andò a conficcarsi nel soffitto della stanza. Becerrita era un
uomo strano e pittoresco com’era in generale il giornalismo di quell’epoca, molto differente da quello
di oggi, molto meno tecnico, molto meno professionale, più improvvisato. Malgrado le sue stravaganze
Mario e suoi colleghi erano affascinati da quest’uomo cui riconoscevano grande capacità creativa e
organizzativa. Ai più appariva come un vero trascinatore e dopo la chiusura del giornale facilitava
l’entrata dei suoi amici in tutti i bordelli di Lima, da Nanette, sul viale Grau, a quelli sul viale Huatica
o a quelli più eleganti del viale Colonial che Becerrita conosceva bene e dove era temuto e adulato
perché una notizia scandalosa pubblicata sulle pagine de La Crónica poteva comportare il pagamento
di una multa o peggio la chiusura del locale. Sembrava un personaggio dei bassifondi e che avesse
vissuto in quartieri malfamati di Lima tanto che quando proposero al giovane Vargas di sostituire uno
dei redattori della rubrica giudiziaria l’apprendista giornalista non se lo fece dire due volte e accettò
subito con gioia. Lavorò un intero mese con lui rispettando le sue consegne, orgoglioso di far parte
dello staff di Becerrita. Grazie a lui Varguitas conosce
l’amore e la passione per questo mestiere, impara a
controllare la veridicità delle notizie, a verificare
sempre la coerenza e la coesione del testo. Becerrita
aveva una fedele rete d’informatori che gli passavano
in anticipo notizie utili per il suo lavoro e grazie a ciò
poteva giocare di anticipo sul nuovo giornale
concorrente, ÚLTIMA HORA, organo della sera de
LA PRENSA. Leggere una notizia pubblicata prima su
Última Hora lo faceva andare in bestia tanto che
lanciava una serie di strane risate che sembravano
provenire da un tunnel o da una cava sotterranea
piuttosto che da una gola umana. Nonostante la feroce
rivalità che opponeva i due giornali, Mario VARGAS LLOSA si lega d’amicizia con Norwin Sanchez
Geny, anche lui principiante nella rubrica giudiziaria de l’Última Hora, anche lui assiduo frequentatore
dei bar e nei giorni di paga dei prostiboli limani. Generoso, gran bevitore di birra, giovane e simpatico
ritornò dopo alcuni anni nel Nicaragua, abbandonò il giornalismo, fece studi di economia e diventò
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funzionario. Poco dopo morì assassinato in un piccolo bar di Managua nel corso di una lite.
I luoghi che Marito e i colleghi frequentavano volentieri erano i caffè cinesi de La Colmena, vetusti e
fetidi, pieni di gente, che restavano aperti tutta la notte con tavolini protetti da paraventi o da tramezzi
di legno. Vi si trovavano ubriachi alcolizzati, omosessuali, piccoli borghesi, sfruttatori e impiegati. Si
chiacchierava, si fumava, si raccontavano avventure che Mario ascoltava sentendosi pienamente parte
del mondo del giornalista nonostante i suoi sedici anni ancora non compiuti. E il suo pensiero era
rivolto al grande César VALLEJO che dalla provincia di Trujillo era passato a Lima dove viveva una
vita di bohème come i suoi poemi e racconti testimoniavano. Il giovane Vargas era arrivato alla
conclusione che questa era la strada della letteratura e del genio. Il suo nuovo direttore era Carlos Ney
BARRIONUEVO, più grande di lui di cinque o sei anni che aveva letto molto di letteratura moderna e
pubblicato anche dei poemi nell’inserto culturale de La Crónica. I suoi poemi erano difficili da capire,
usava parole strane che intrigavano il principiante Varguitas poiché gli rivelavano un mondo inedito
quello della poesia moderna. L’educazione letteraria del futuro scrittore peruano fu influenzata più da
questo personaggio che da tutti i professori del Collegio e dell’Università. Grazie a Carlos, Marito fu
spinto a leggere La Condition Humaine e l’Espoir di André MALRAUX, a conoscere i romanzieri
nordamericani della cosiddetta génération perdue e soprattutto a leggere la raccolta di racconti di JeanPaul SARTRE Le Mur che avrà una influenza decisiva sulla sua vocazione di scrittore. Da Carlitos
Ney apprese pure il surrealismo e su suo consiglio comprò l’Ulysse di Joyce senza però capirci molto.
Insomma Mario VARGAS LLOSA fu guidato dal suo amico nella scoperta della complessità e della
ricchezza della letteratura che fino allora era limitata a racconti di avventure e ai poeti classici. Il futuro
autore de La guerra del fin del mundo restò colpito dal fatto che Carlitos aveva un amore smisurato per
la letteratura, più profondo e più importante di quello per il suo giornalismo. Tutti nel giornale
pensavano che un giorno avrebbe pubblicato un libro di poemi e rivelato al mondo il suo immenso
talento, ma, sfortunatamente, ciò non avvenne e la sua vita si esaurì nella frustrazione delle sale di
redazione dei giornali di Lima e in quelle nuits de bohème indésirées. In sostanza il suo destino era lo
stesso di tanti giovani peruani che per mancanza di autostima e per una sorta di cupo pessimismo si
autoescludevano (malattia largamente diffusa nel Perù) lasciando il posto a quei pochi mediocri che si
affermavano nella vita professionale, intellettuale e artistica costruendo il loro successo sull’inganno, le
falsità e i raggiri.
Quando avevano un po’ più di denaro Mario e i suoi amici redattori preferivano recarsi in un locale
chic, il Negro-Negro nei pressi della Plaza San Martín. Mario VARGAS LLOSA aveva l’impressione
di trovarsi nella Parigi dei suoi sogni e ad ascoltare le canzoni di Juliette Gréco in mezzo a una platea di
scrittori esistenzialisti. Al Negro-Negro lo scrittore peruano respirava un’aria intellettuale e ascoltava
musica francese circondato da protagonisti stravaganti, attori e attrici o musicisti che si presentavano in
cravatta nera. È lì una sera che Mario prende della pichicata, una sorta di polvere bianca che avrebbe
dovuto annullare i fumi dell’alcol facendolo stare più lucido ma che invece produsse in lui una
sovreccitazione nervosa e un malessere peggiori delle allucinazioni da sbronza togliendogli
definitivamente la voglia di ripetere l’esperienza della droga.
Quelli furono tre o quattro mesi di baldorie in cui il giovane Vargas Llosa incomincia a fare le sue
prime fiévreuses esperienze, per esempio comincia a bere, ascolta musica nei locali, resta fuori casa
fino a tarda ora, racconta storie, canta valzer e balla danze popolari tipiche del Perù quali huainitos,
marineras, pasillos y cumananas.
Durante la sua esperienza a La Crónica, Marito per la prima volta vede un cadavere. Una giovanissima
meticcia prostituta fu assassinata ne El Hotel San Pablo, un luogo malfamato del quartiere limeno El
Porvenir. Per più giorni il cronista Mario scrisse testi e numerose pagine sul misterioso fatto di sangue
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scavando nel passato della donna e seguendo tracce di amici e parenti alla ricerca di elementi nuovi che
potessero gettare sull’orribile fatto una luce di umanità più profonda.
Durante la sua permanenza nel giornale Mario VARGAS LLOSA non soltanto firma testi di cronaca
poliziesca seguiti con interesse dai lettori di Lima che in quell’epoca erano sottomessi alla dittatura di
Manuel Odría, ma si cimentò pure in vari articoli di opinione che usciranno nella rubrica editoriale
Nuestros Redactores. Il primo di questi fu pubblicato il 16 febbraio 1952 col titolo Esfuerzo a favor del
teatro en el Perù in cui Varguitas elogia il lavoro di Guillermo UGARTE CHAMORRO sull’Escuela
Nacional de Arte Escénico. A quest’articolo vanno aggiunti altri due sul tema della salute, un altro sulle
barzellette e un quinto sugli spettacoli di lotta libera in cui si prendevano in giro i lottatori.
Il lavoro svolto con scrupolo e passione da Mario VARGAS LLOSA fu molto proficuo perché lo fece
avvicinare a una realtà che non conosceva (morti, assassini, notti di eccessi e bordelli) e favorì la
ripresa di un dialogo più volte interrotto con suo padre spesso critico sulle scelte future del figlio.
Informato della vita che Mario conduceva a Lima, il padre Ernesto Vargas che non aveva mai visto di
buon occhio il desiderio del figlio di diventare un giornalista decise di intervenire e presentò le
dimissioni dal giornale a nome di Mario perché riteneva che la partecipazione del figlio a La Crónica
lo avesse reso vizioso, infatti trascorreva malas noches en lugares de dudosa reputation e gli dava perciò
alcuni giorni per l’iscrizione a un altro istituto statale al fine di terminare il quinto anno di studi
secondari.
La Barrios Altos dei
tempi di baldoria di
Vargas Llosa è ben
presente
nella
sua
memoria
e
stride
pesantamente con la
realtà che gli si presenta
oggi. In Cinco Esquinas
si aveva l’impressione
che si fosse proceduto a
ritroso. Tutto sembra
abbandonato.
Più
violenza, più traffico di
droghe, più mendicanti,
disoccupati
e
delinquenti,
più
prostituzione, più bande
di scansafatiche che
propagandavano annunci di falsi spiritisti affissi alle pareti e agli angoli delle strade. Espiritista piurano
atiende preferentemente de noche (Spiritista piurano riceve preferibilmente di notte) è uno di questi strani
annunci che colpì la fantasia di Mario VARGAS LLOSA e che ritroviamo inserito in Cinco Esquinas.
Per di più una decadenza irrimediabile. Durante le sue passeggiate nel centro storico di Lima lo
scrittore rimane colpito nel vedere i grandi palazzi de la Quinta Heeren, sedi di ambasciate fino
all’inizio del ventesimo secolo oggi ridotti in rovine e occupati da delinquenti e da bande di teppistelli.
In verità c’era poco da vedere e da visitare fatta eccezione per le belle chiese coloniali di Lima. Ci sono
gli stessi vicoli di un tempo però oggi si convive con i mondezzai, la promiscuità e la paura di subire
aggressioni. Tutti i magazzini commerciali hanno le inferriate per proteggersi dalle frequenti rapine e
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furti Il quartiere, da terra e centro del creolismo, della musica peruana e dei grandi chitarristi, é
diventato un luogo molto pericoloso, covo di narcotrafficanti e di bande criminali.
È l’immagine sconvolgente di una città che è molto cambiata in questo mezzo secolo. Tutto ciò è nel
titolo del romanzo e ha abbastanza a che vedere con la storia che è raccontata. Cinco Esquinas è
dunque la rappresentazione di un luogo che visse momenti di splendore e di decadenza fino a
trasformarsi in una zona con violenza diffusa, molta incertezza e paura all’epoca della dittatura di
Alberto Fujimori-Montesinos, un periodo triste contrassegnato da una specie di sottocultura, di
sottoumanità durante il quale la gente aveva perso fiducia e la speranza di poter vivere una vita
dignitosa nel pieno rispetto delle regole della convivenza civile.
Secondo Mario VARGAS LLOSA che questo luogo decaduto all’interno della città di Lima che pure
è in pieno processo di trasformazione è lo sfondo giusto per raccontare la storia di due personaggi
giornalisti perché essi rappresentano la forma più degradata del giornalismo scandalistico, quel
giornalismo del pettegolezzo fine a se stesso, frutto di una subcultura contemporanea presente nel
mondo sviluppato e non. Non c’é cultura né lingua che non conosca questo tipo sporco, vile e dannoso
di giornalismo che invece d’informare e di formare le nuove generazioni al rispetto dei diritti di tutti
cerca invece d’intrattenere e di divertire determinando la bontà e il valore della notizia in base a ciò che
può avere di sensazionale, d’insolito, di sorprendente e soprattutto di scandaloso. Lo scrittore precisa
che nel Perù questo fenomeno ha avuto origine negli anni cinquanta con la rivista Ultima Hora diretta
da Raul Villaran che intese privilegiare l’intrattenimento, il pettegolezzo utilizzando il linguaggio
gergale assolutamente inconcepibile per un giornalismo serio, rigoroso. Mario VARGAS LLOSA ne fa
esperienza personale quando a causa della sua nuova vita sentimentale (è da un anno circa che Vargas
Llosa ha una relazione amorosa con Isabel Preysler, ex moglie del cantante Julio Iglesias) si sente
vittima e protagonista abituale, suo malgrado, della rivista rosa-amarillo HOLA! con foto che lo
riprendono insieme alla sua nuova donna, stella della commedia spagnola. Lo scrittore è nauseato da
questa volgare intrusione nella sua vita privata anche perché per cinquant’anni aveva fatto di tutto per
difendere la sua privacy dai maldestri tentativi di danneggiare la sua figura di letterato. Ciò che l’autore
non sopporta è leggere su gran parte di giornali sensazionalistici notizie a volte inventate di sana pianta
e comunque se non sono manipolate certamente di scarso interesse con le quali viene violata la sfera
dei sentimenti e degli affetti altrui poiché c’è la convinzione che la vita intima dei personaggi famosi
debba essere di dominio pubblico venendo incontro così alla curiosità di tanti lettori e lettrici che
apprezzano ricevere notiziole su vip. Mario VARGAS LLOSA non tollera di essere vigilato,
perseguitato, perdere la sua libertà di movimento o modificare le sue
consuete abitudini quali uscire per prendere un caffè, andare dal barbiere
per farsi tagliare i capelli o frequentare librerie e teatri, per paura di farsi
fotografare e ritrovarsi il giorno dopo su riviste illustrate accompagnate
da commenti poco gradevoli.
Già nel suo saggio del 2012 La Civiltà dello spettacolo lo scrittore
peruano aveva anticipato una serie di conseguenze negative quali la
banalizzazione della cultura, la generalizzazione della frivolezza legate
alla volontà di trasformare la naturale propensione al divertimento, allo
svago, all’humour in un valore supremo,. Ora, in CINCO ESQUINAS
lo scrittore riprende questo tema situandolo nell’ultimo periodo della
dittatura di Alberto FUJIMORI, quando Vladimiro MONTESINOS
Torres, braccio destro e factotum del Presidente Fujimori, utilizzò il
giornalismo amarillo, la stampa chicha, come strumento per umiliare,
denigrare e discreditare gli avversari e i nemici del regime.
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Il suo nuovo romanzo ha a che vedere con la profonda deformazione del giornalismo, un fenomeno non
esclusivamente peruano ma universale, e con la parte finale del periodo 1990-2000 in cui si mescolano
nel paese la violenza politica, la decomposizione della dittatura e una mobilitazione sociale
consapevole e attiva.
CINCO ESQUINAS non è un romanzo storico o evocativo, né un romanzo politico anche se i fatti
storici che fanno da scenario hanno un peso rilevante sull’argomento di fondo.
La Storia si svolge nella nostra epoca e il giornalismo di cui si parla non ha niente a che vedere con
quello praticato da Vargas LLOSA. È un giornalismo leggero, marginale, in mala fede che tende
sistematicamente alla violazione della privacy e che viene meno al rigore, alla verità e all’obbiettività
nel descrivere l’attualità. Ma bisogna riconoscere che riviste chichas come HOLA! che si pubblicano in
più lingue raccolgono un enorme numero di lettori che le sfogliano regolarmente e avidamente tanto
che, come ritiene Vargas Llosa, questa stampa rosa e i suoi congeneri sono considerati come i prodotti
giornalistici più genuini della civiltà dello spettacolo (p.41).
Certo per il Nobel peruano è un grossolano errore accettare la commistione suggerita dal critico russo
Michail BACHTIN, tra la cultura popolare la cultura ufficiale e aristocratica cioè tra highbrow culture e
lowbrow culture, ossia la cosiddetta cultura alta e quella bassa. Abolendo i confini tra cultura e incultura i
seguaci sostenitori di Bachtin e della sua teoria hanno voluto dare dignità a manifestazioni sciatte,
grossolane e umoristiche alla satira e spesso all’esagerazione critica e politically incorrect riferite ad
esperienze umane certamente di basso profilo intellettuale ma comunque ampiamente condivise. Tra le
finalità del giornalismo c’è anche, ben inteso, quella d’intrattenere e di divertire, ma se è vero che i
giornali, riviste e programmi d’informazione per sopravvivere oggi devono intercettare i desideri e gli
umori della gente comune e saziare una curiosità perversa, è ugualmente vero che occorre orientare i
propri consumatori nella confusione delle conoscenze senza perdere di vista le vere priorità nel campo
dei valori etici e difendere il giornalismo serio, rigoroso e responsabile, quello che non racconta bugie
come The Times di un tempo. Perciò se da un lato costatiamo che diversi giornali sono in crisi e
leggiamo con un po’ di apprensione che le tirature delle riviste con la vocazione alla maldicenza e alla
frivolezza aumentano, invece, in modo esponenziale (valga per tutti il caso di HOLA! che vende nella
sola Spagna un milione di esemplari ogni settimana) è scontato rilevare che siamo di fronte ad un
problema culturale molto serio che lo scrittore peruano responsabilmente pone in CINCO
ESQUINAS, facendone il tema di fondo.
Il giornalismo è, di fatto, uno degli assi portanti di questo diciottesimo romanzo vargasllosiano
collocato nelle ultime settimane del regime di Alberto FUJIMORI (1990-2000) in un momento in cui
il sistema apparentemente solido cominciava a sgretolarsi in ogni sua parte. Una dittatura che utilizzò la
stampa amarilla per impaurire, perseguitare e anche uccidere i suoi avversari politici. Un modo molto
vile e già sperimentato nel Perù e altrove di zittire e annientare persone oneste e oppositrici del regime.
La storia è ambientata nel Perù degli anni novanta tra coprifuoco, sequestri estorsivi e attentati messi in
atto da affiliati a organizzazioni terroristiche quali Sendero Luminoso e il Movimento Rivolutionario
Túpac Amaru che di notte facevano saltare con le bombe ponti, torri, antenne e linee elettriche che
tenevano al buio e per più giorni interi quartieri della città di Lima. Gli abitanti erano svegliati a
mezzanotte e all’alba da una serie di esplosioni che diffondevano nella cittadinanza un profondo
disorientamento e un grande turbamento psicologico e politico collettivo e individuale.
Le prime pagine del 1° capitolo intitolato El sueño de Marisa descrivono l’incontro sessuale di due
amiche, Marisa e Chabela, due belle e giovani signore dell’alta società limena che sono obbligate a
dormire nello stesso letto per il sopraggiungere del coprifuoco a Lima. La loro è chiaramente una
passione clandestina omosessuale che avrà uno sviluppo parallelo alla trama centrale e che si
trasformerà in un’eloquente critica dell’autore all’ipocrisia e doppia morale della classe dirigente del
Perù. Intanto mentre le due amanti consumano la loro calda passione, il marito di una delle due, il ricco
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e rispettato impresario minerario Enrique Cárdenas riceve due lettere con le quali Rolando Garro, il
vizioso e corrotto direttore del settimanale amarillista Destapes, ricatta il potente proprietario
minacciandolo di divulgare una serie di fotografie compromettenti che lo ritraevano mentre partecipava
ad un’orgia di qualche tempo prima. Per difendersi da questa infamante accusa Cárdenas si rivolge al
suo grande amico, l’incensurabile amministratore avvocato Luciano Casabellas, ma non potranno
evitare che le foto siano pubblicate e scoppia lo scandalo. Il racconto si arricchisce poi di un fatto grave
quanto inatteso. Il giorno dopo la pubblicazione delle foto scandalose il direttore del settimanale è
ritrovato brutalmente assassinato nel quartiere periferico di Cinco Esquinas a Lima e i sospetti non
possono che ricadere sul Cárdenas. Intervengono allora nel racconto due personaggi pittoreschi dei
bassi fondi: Juan Peineta un ex comico televisivo caduto in disgrazia che farà da capro espiatorio e
Julieta Leguizamón, alias Retaquita, una cronista di bassa estrazione sociale, prima fedele allieva del
direttore Garro che sarà la vera protagonista della storia e assumerà con probità l’incarico di fare luce
sull’accaduto a qualunque prezzo e diventerà così l’emblema di difendere il giornalismo buono quello
inteso come uno strumento di liberazione, di formazione, di difesa morale e civica di una società,
quello stesso giornalismo che è stato centrale nella vita dello scrittore e che ha accompagnato e sempre
sostenuto la sua vocazione letteraria fino ad oggi. Da quando era adolescente Mario VARGAS LLOSA
ha conosciuto il miglior volto del giornalismo, ora vive quello peggiore, sporco e irresponsabile
sprofondato nell’immoralità e nel sudiciume per colpa della dittatura. Nella figura di Retaquita
ritroviamo interamente lo scrittore peruano e nelle sue parole leggiamo la stessa ripugnanza e condanna
nei confronti di un giornalismo come spettacolo e svago.
La relazione erotica tra Marisa e Chabela è intesa sicuramente come un rifugio, un modo di fuggire la
realtà, un modo di non viverla. Per lo scrittore, invece, è la scrittura uno straordinario rifugio per
ritrovare la serenità fuggendo i momenti di grande inquietudine e d’incertezza, racchiudersi nel mondo
della fiction é allontanarsi dalle problematiche personali per vivere la fantasia, per provare, a dispetto
dell’étà avanzata, a esaltarsi, a entusiasmarsi e anche a illudersi.
La storia erotica che vede protagoniste due donne sposate di condizione agiate potrebbe far pensare a
una novità. Ma a ben vedere non lo è perché già in altri romanzi precedenti (Los cuadernos de don
Rigoberto, Elogio de la madrastra e Las aventuras de la niña mala) l’autore aveva descritto la forza
incontenibile di un erotismo capace di riunire le forze rivoluzionarie della società. Già quando era al
secondo o terzo anno di università e lavorava come assistente bibliotecario nel Club Nacional a Lima,
lo scrittore peruano si era avvicinato all’erotismo letterario incominciando a leggere libri facenti parte
di una collezione di letteratura erotica francese, con la prefazione del poeta Apollinaire che amava
annotare molti testi. In quell’epoca Mario VARGAS LLOSA cominciò a credere che l’erotismo fosse
la forza rivoluzionaria principale di una cultura e che attraverso l’erotismo fosse possibile trasformare
in profondità una società così come con una rivoluzione politica. Era una grande ingenuità la sua, però
lo scrittore ha sempre creduto che l’erotismo in un certo senso esprimesse
la libertà senza limiti, le repressioni che una società vive. L’erotismo è
stato sempre presente nella sua vita personale e letteraria e ha esercitato
su di lui molto fascino perché rappresentava la lotta contro tutte le
sopraffazioni, i pregiudizi di natura religiosa o ideologica.
Con Cinco Esquinas Mario VARGAS LLOSA rappresenta un Perù
dominato dalla mano infausta della dittatura di Alberto Fujimori e del suo
abietto collaboratore e uomo forte del governo, l’ex capitano
dell’Esercito Vladimiro MONTESINOS Torres, presente nel romanzo
con il nome di Doctor, racconta la storia morale di un Paese vilipeso
dall’ingiustizia dilagante e denuncia la miseria e la paura prodotte da
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coloro che detengono illegalmente il potere, facendo riflettere la gente comune sui rischi di un possibile
ritorno ad un clima di malvagità, di sopraffazione e di menzogne.
Anche se nel romanzo l’ex assessore del Servicio de Inteligencia Nacional, Vladimiro Montesinos,
alias Rasputin, non ha un ruolo di protagonista, Mario VARGAS LLOSA dalla sua corrotta e scellerata
politica fa derivare tutto l’orrore di una dittatura costruita sulla violenza sulla corruzione, sulla
cancellazione delle libertà e soprattutto il disprezzo più totale dei diritti umani elementari.
Mario VARGAS LLOSA che conosce molto bene la zona del Barrios Altos è
convinto che ci sia uno stretto parallelismo tra la disastrata situazione attuale del
quartiere e le ultime settimane della dittatura di Fujimori quando era abbastanza
frequente rinvenire nelle tetre e insicure stradine delle periferie di Lima giovani
e donne barbaramente uccisi. Gli assassini potevano essere i terroristi di
Sendero Luminoso, i militari dell’Esercito, commandi del governo o
delinquenti comuni. Cinco Esquinas si sviluppa in questo difficile contesto, in questo clima
d’insicurezza, di sospetti, complotti e di restrizione dei diritti civili e umani, la stessa precaria
situazione 2 che VARGAS LLOSA visse quando si presentò come candidato alle elezioni presidenziali
in Perù nel 1990 sfidando l’allora quasi sconosciuto avversario di origine nipponica Alberto
FUJIMORI, un dilettante senza programma, idee e staff, un avventuriero della politica sostenuto da
un’alleanza apro-socialo-comunista confusa e raffazzonata al servizio esclusivamente di privati.
L’autore pone l’accento sul cattivo uso che la dittatura peruana fece della stampa amarilla,
sovvenzionata finanziariamente e quindi assoggettata al potere politico. Un fatto ripetuto e suffragato
da registrazioni e da filmati che venne alla luce dalle numerose inchieste su l’ex assessore e capo del
SIN, fu che Vladimiro MONTESINOS corrompeva i giornalisti pagandoli perché infangassero
moralmente gli oppositori del regime pubblicando false e alterate notizie che dipingevano gli avversari
come scandalosi, ladri e pervertiti. Da ciò si fa strada il convincimento che una caratteristica propria
alla dittatura Fujimori-Montesinos fu l’utilizzo sistematico e continuo del giornalismo chicha per far
tacere e spesso per eliminare gli oppositori più critici con il Sistema, inventando scandali e diffondendo
fatti privati di natura politica, familiare e sessuale. Fu una sorta di guerra sporca ma efficace perché
questo tipo di giornalismo era ben esposto in tutti i punti di vendita e esercitava un forte impatto sulla
società e sui costumi. Occorre dire altresì che il giornalismo prima di Montesinos non sempre è stato un
modello di virtù. C’è sempre stato corruzione nel giornalismo e in tutte le sue parti, ma il livello che si
raggiunse con la strumentalizzazione del giornalismo scandalistico non era stato mai toccato e ha
lasciato un segno profondamente negativo nel modo d’intendere la comunicazione al punto che è molto
difficile stabilire oggi una frontiera chiara tra ciò che è il giornalismo serio e responsabile e quello
amarillo. Per il Nobel peruano nei nostri tempi tecnologicamente avanzati, si registra il successo,
almeno di vendite, di romanzi del dolore e/o autoreferenziali che obbediscono ad una visione meno
ambiziosa, più intimista, più psicologica e più personale. Sembra altresì e bisogna prontamente
prenderne atto che la letteratura fictionnelle stia restringendo il suo campo di osservazione e d’indagine
concentrandosi sui fatti più privati, più familiari come se non fossimo disposti ad affrontare la lettura di
testi lunghi e più impegnativi. Pur non credendo alla coincidenza che ci sarebbe tra il fenomeno delle
reti sociali o social-networks utilizzate per parlare di sé e la mancanza di ciò che Vargas Llosa chiama
pudor literario, il pericolo per l’autore di Cinco Esquinas è che a forza di sintetizzare al massimo si
rischia di snaturare il messaggio, di trasformarlo in caricatura generando più confusione e distacco che
vero interesse. C’è quindi da accogliere con una certa fiducia e ottimismo la notizia che negli Stati
Uniti l’uso dei libri elettronici di letteratura si è attestato sotto il 30% e che in Francia non supera il 5%,
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preferendo il 95% dei lettori francesi leggere ancora libri cartacei. Per Mario VARGAS LLOSA ciò è
un buon segnale perché se ci fosse stato un avanzamento del libro elettronico ci sarebbe stato un
impoverimento assai rilevante della Letteratura e della Cultura. Le televisioni producono magnifiche
serie di fictions che inchiodono vasti strati di pubblico davanti agli schermi, a volte si fa
intrattenimento di buona qualità anche con ottimi attori e si propongono situazioni ben costruite con
soggetti formativi attuali e di grande interesse collettivo, ma per lo scrittore peruano tutto ciò non
merita di essere paragonato con la Letteratura, anzi è sempre più convinto che questa cultura cosiddetta
light non possa mai raggiungere la complessità né la capacità di opposizione che può custodire un
romanzo ben riuscito. Già nel romanzo di tre anni fa, El Héroe discreto (2013), Mario VARGAS
LLOSA era ritornato a parlare del suo Perù. Aveva ambientato il suo racconto in due città distanti ma a
lui molto care, quelle di Piura e di Lima, due città che avevano segnato profondamente la sua vita
personale e accompagnato la sua crescita culturale e letteraria. Aveva rappresentato una realtà nuova
notevolmente inquietante: il boom economico sopraggiunto all’inizio degli anni 2000 aveva causato
un’evoluzione economica e sociale significativa quanto rapida accompagnata però da un incremento
della delinquenza e criminalità giovanile e da una ripresa preoccupante di atti o azioni corruttive
inquinanti. È facile intuire che questi temi costituiscono i veri demoni che non lo abbandonano e da cui
lo scrittore sente il bisogno di liberarsi attraverso la scrittura e la fiction. E difatti con il suo recente
Cinco Esquinas Vargas Llosa riprende gli stessi argomenti e ritorna a rivivere le sue passate
esperienze personali e deludenti legate alla politica attraverso le vicissitudini di due giornalisti
protagonisti. L’autore, ex candidato alla Presidenza del Perù nel 1990 colloca la sua narrazione è
collocata negli anni finali del governo fallimentare di Alberto Fujimori (1990-2000), periodo nel quale
l’ex militare, assessore e consigliere abile quanto privo di ogni senso morale, Vladimiro Illich
MONTESINOS Torres, con la complicità delle mafie urbane, dei militari, di un giornalismo
assoggettato, favorì l’intensificazione del narco-traffico, del terrorismo, della corruzione eretta a
Sistema, delle diseguaglianze sociali e della povertà.
Vladimiro MONTESINOS Torres era un
uomo ossessionato dal potere, arrivista,
dominato da cinica avidità di denaro, grande
manipolatore e astuto orditore di truffe e di
raggiri. Ci sembra tuttavia utile ai fini di una più
dettagliata e completa conoscenza del contesto
storico riportare alla memoria tre gravi
avvenimenti che caratterizzarono la decade
1990-2000 e che rappresentarono lo scenario in
cui si svolge l’azione narrativa di Cinco
Esquinas: La matanza de Barrios Altos, El
crimen de La Cantuta, il sequestro del
giornalista Gustavo Gorriti.
La strage di Barrios Altos ebbe luogo il 3
novembre 1991, ben quindici persone tra cui un bambino di otto anni furono spietatamente uccisi. Un
fatto d’inaudita gravità non solo perché si cercò di giustificare la gestione di gruppi paramilitari
facendola passare per una risposta necessaria alle attività terroristiche in quel momento molto frequenti,
ma anche perché lo Stato fece opera di mistificazione occultando le responsabilità di simili delitti.
Nella relazione conclusiva d’inchiesta della Comision de la Verdad si legge che il 3 novembre 1991
durante una riunione di condominio che si teneva alle ore 22,30 h. per raccogliere fondi con l’obiettivo
di fare riparazioni urgenti nell’edificio, un gruppo di militari formato da sei a dieci componenti facenti
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parte del Distaccamento Colina, armati di tutto punto con pistole mitragliatrici provviste di silenziatore
e con i volti coperti da passamontagna fece irruzione nella residenza ubicata nel quartiere di Barrios
Altos e assassinò quindici persone mentre altre quattro restano gravemente ferite (di quest’ultime,
Tomas Livias Ortega restò permanentemente offeso e inabile). Secondo un testimone sopravvissuto, un
certo Alfonso Rodas Alvitres, i militari incappucciati, arrivati a bordo di due veicoli, uno di marca jeep
Cherokee e l’altro Mitsubishi, dotati di riflettori e con le sirene a tutto volume, erano entrati nel cortile
dell’edificio insultando i presenti obbligandoli a tenere la bocca chiusa e a gettarsi per terra per poi
cominciare a sparare all’impazzata raffiche di colpi alle teste delle vittime. Nel corso delle indagini e
delle perizie balistiche fu confermato poi che gli stessi
diedero il colpo di grazia ai moribondi. In principio, dopo una
breve e dovuta inchiesta, i Ministri dell’Interno e della Difesa
cercarono di negare la partecipazione all’accaduto dei membri
delle forze armate, sostenendo che i responsabili della strage
potevano appartenere a gruppi terroristici quali Sendero
Luminoso e al Movimiento Revolucionario TUPAC
AMARU (MRTA). Si costituì poi una Commissione
d’inchiesta sul massacro, ma con il sopraggiunto autogolpe di
Stato del 5 aprile 1992 e con la chiusura del Parlamento, vari
documenti sulla matanza de Barrios Altos scomparvero e una
volta ripristinato il Potere legislativo, la maggioranza del
governo, costituita con membri del partito CAMBIO 90 il cui
leader era l’allora Presidente Alberto Fujimori decise che la
Commissione non continuasse più le indagini. E anzi il 14
giugno 1995 il governo approvò la legge che concedeva
amnistia ampia e generale ai militari e membri delle forze di
polizia e dell’Esercito accusati di violazione dei diritti umani.
In più, con un’altra legge, conosciuta come la Ley Barrios
Altos, si ordinava che l’amnistia generale fosse di
applicazione obbligatoria e che i casi giudiziari fossero definitivamente archiviati. Questa norma non fu
dibattuta in Parlamento ma fu promulgata immediatamente dal Presidente Fujimori. Per effetto di
questa legge tutti i militari denunciati con riferimento al caso della Matanza en Barrios Altos, compreso
Julio Salazar Monroe, capo del Servicio de Inteligencia Nacional (SIN) ritornarono in libertà.
Altri membri del gruppo paramilitare Colina si resero responsabili di un altro memorabile fatto di
sangue. L’alba del 18 Luglio 1992 nove studenti e un professore dell’Università Nazionale Enrique
Guzman y Valle (La Cantuta) furono rapiti e poi brutalmente uccisi in un luogo solitario fuori della
città di Lima e sepolti in fosse anonime. Nel 1993, in seguito alla notizia pubblicata su di una rivista fu
individuato il luogo dell’eccidio e in quattro fosse clandestine trovate nella città di Cieneguilla furono
identificati i resti di alcune delle giovani vittime. Il caso fu affidato alla giurisdizione militare
competente e nel 1994 gli autori dei sequestri e delle scomparse forzate furono condannati a pene da 1
a 20 anni di reclusione. Dopo questa sentenza il generale peruano Rodolfo Robles denunciò che i
mandanti del crimine non erano stati giudicati e segnalò come principali responsabili l’assessore e capo
del SIN, Vladimiro MONTESINOS e altri generali dell’Esercito. Come risposta a questa denuncia il 14
giugno 1995 il governo in carica approvò la Ley Barros Altos con la quale era concessa l’amnistia a
tutti quelli che si trovavano coinvolti in violazioni dei diritti umani commesse dal 1980 fino al giorno
della pubblicazione della legge stessa con il conseguente beneficio per il personale militare, politico o
civile coinvolto e pregiudicato per la strage all’Università. I familiari di tre delle vittime presentarono
una denuncia davanti al CIDH (Corte Interamericana de Derechos Humanos) alla quale aderirono
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molte associazioni e giornali. Nel 2006 la Corte IDH condannò il Perù per il sequestro e l’uccisione a
La Cantuta e decretò che detti fatti delittuosi accadevano nel contesto di una strategia antisovversiva
messa in atto dallo Stato, specialmente nei momenti più intensi del conflitto contro organizzazioni
terroristiche criminali particolarmente agguerrite e attrezzate sul territorio peruano. La Corte riaffermò
pure che la giurisdizione militare non era l’autorità competente per accertare come si erano svolti i fatti
e per sanzionare i loro responsabili e che le leggi di amnistia adottate erano contrarie alla Convenzione
Americana sui Diritti Umani e pertanto non avevano validità. Per la Corte IDH restò fondato il
convincimento che il crimine fu commesso dal Grupo Colina, un’organizzazione paramilitare
aggregata al SIN che eseguì il massacro con la complicità e l’approvazione del Presidente della
Repubblica e capo delle forze armate peruviane Alberto FUJIMORI, che era poi fuggito nel 2002 dal
Perù trovando ospitalità nel vicino Cile. Nel settembre 2007 la Corte Suprema del Cile autorizzò
l’estradizione di Fujimori e nel 2008 la giustizia peruana condannò a trentacinque anni di prigione l’ex
capo del SIN Julio Salazar Monroe e a quindici anni altri quattro attivisti del Grupo Colina per i delitti
commessi all’Università. Nel 2009, dopo un anno e mezzo di dibattimento, la giustizia peruana
condannò pure Alberto Fujimori a venticinque anni di prigione stabilendo la sua responsabilità penale
per la scomparsa e l’uccisione di ben ventisette persone in relazione ai fatti de La Cantuta e di Barrios
Altos.
Nel 1992 si verificò il sequestro del giornalista de El País Gustavo
GORRITI, attento conoscitore e acuto commentatore delle questioni politicosociali che riguardano il Perù degli anni 1990-2000 che dà un’idea completa e
nello stesso tempo drammatica della precarietà della vita durante la dittatura di
Fujimori-Montesinos e del tasso d’illegalità diffusa su tutto il territorio
peruano e a Lima.
La coppia diabolica che funzionò all’unisono é spesso qualificata con il termine di fujimontesismo 3 ,
in effetti Vladimiro MONTESINOS Torres era l’artefice in prima persona di tutte le operazioni
elettorali, a volte illecite, attuate dal governo Fujimori.
Conosciuto come Rasputin e benché non avesse nel governo un ruolo istituzionale ufficiale era da tutti
considerato la mente, l’uomo più potente del Perù, l’agente di collegamento con i servizi segreti
dell’Esercito.
Il racconto del sequestro di Gustavo
GORRITI avvenuto il 6 aprile 1992
ha bisogno per comprenderne la sua
drammaticità di un passo indietro
quando, violando la Costituzione, il 5
aprile 1992, Alberto Fujimori da poco
eletto Presidente della Repubblica del
Perù, appoggiato dalle forze armate,
attuò un golpe. Dopo aver spostato la
sua residenza dal Palazzo del governo
al Quartiere Generale dell’Esercito,
sciolse il Parlamento, destituì molti
giudici e sospese la Costituzione.
Dissolse il Tribunale delle Garanzie
Costituzionali, il Consiglio Nazionale della Magistratura, i governi regionali mentre l’Ufficio di
Controllo e la Procura Generale della Nazione passarono sotto la responsabilità dei militari. Non
soddisfatto occupò per tre giorni i mezzi di comunicazione e s’industriò per controllarli creando
giornali e settimanali al suo servizio corrompendo alcuni proprietari, strategia che applicò poi ai
parlamentari di opposizione. Destituì inoltre i membri della Corte Suprema e fece espellere il giudice
Guillermo CABALA, un giurista molto rispettato autore del provvedimento di arresto di Vladimiro
Montesinos per abuso di autorità quando el Doctor censurò un settimanale nel 1991. Destituì ancora i
membri del Comitato Nazionale per le Elezioni e il Direttorio del Banco Central de Reserva. Per
rimpiazzare questi funzionari il SIN, controllato dallo stesso Montesinos impose alle persone deposte
di sottomettersi senza riserve o critiche agli ordini dell’Esecutivo e per impedire che queste misure
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fossero discusse e ritenute illegali si modificarono le norme per i ricorsi. Le sedi dei partiti e dei
sindacati furono occupate dai militari, i Presidenti delle camere legislative furono messi agli arresti
domiciliari e giornalisti e dirigenti politici furono imprigionati violando in molti casi quelli che sono i
più elementari diritti umani. In ultimo, attraverso l’uso di numerosi giornali sensazionalistici e di
svago, s’intervenne pesantemente sugli avversari del regime calunniandoli e diffondendo sul territorio
del Perù un clima di terrore perché a nessuno venisse in mente di avanzare una richiesta di referendum
per considerare illegale un’immediata rielezione di Alberto FUJIMORI a nuovo presidente della
Repubblica del Perù 4.
Tutto ciò era nella testa del giornalista Gustavo GORRITI quando alle quattro del mattino di lunedì 6
aprile 1992 mentre si preparava a scrivere una nota critica sul golpe di stato dell’ingegner Fujimori e
sulla fine della democrazia in Perù, bussarono con fracasso alcuni militari della sicurezza di Stato
prendendo a calci la porta di entrata, tenendo con una mano fucili automatici o mitragliette HK con
silenziatore e con l’altra cani che ringhiavano pronti all’attacco. Non volevano parlare con lui ma gli
ordinarono di seguirli senza opporre resistenza e senza fare domande. Lo stupore per quell’inspiegabile
irruzione e intrusione si trasformò presto in paura per sé e per la sua famiglia che stava ancora
dormendo quando capì che quei soldati facevano parte del Servicio de l’Inteligencia Nacional
dell’Esercito e che il loro mandante era il temuto ex avvocato di trafficanti di droghe Vladimiro
MONTESINOS.
Un camioncino Cherokee, senza targa e a luci spente, simile a quelli in dotazione al SIN recentemente
forniti dalla CIA attendeva il giornalista de El País nelle vicinanze della sua abitazione e, scortato da
altri camion con 40 o 50 soldati in uniforme di combattimento, si diresse verso una vasta area sede del
Quartiere Generale dell’Esercito a Monterrico. Gustavo GORRITI fu rinchiuso in una piccola
abitazione, un luogo sporco con un bagno piccolo e sudicio la cui porta era chiusa da diversi catenacci.
Gorriti capì di essere sequestrato e la sua paura si tramutò in orrore perché, dopo anni in cui aveva
descritto la guerra interna in Perù, mettendo in piazza le malefatte di familiari e cortigiane del
Presidente conosceva abbondantemente il terrore che soleva accompagnare la fase di detenzionescomparsa. Per resistere a qualsiasi tortura fisica e morale Gorriti decise di non cooperare iniziando
subito uno sciopero della fame, cercò di dormire a intervalli irregolari, di stare con gli occhi aperti e di
camminare a passo svelto nella cella. Si vietò pensieri speranzosi perché capì che in quei momenti
coltivare la speranza poteva essere dannoso. Cercava inutilmente un motivo che spiegasse il suo
sequestro. Soltanto quando fu sottoposto a due interrogatori si rese conto che erano interessati al suo
computer e che lo avevano sequestrato perché rivelasse la chiave di accesso. Dopo poco tempo fu
condotto dai locali di Sicurezza di Stato a quelli della Polizia. La sua detenzione aveva suscitato molte
discussioni e grande interesse nell’opinione pubblica. Le organizzazioni giornalistiche e dei diritti
umani da un lato e le ambasciate di New York e della Spagna dall’altro si erano intensamente attivate
facendo sul governo di Fujimori insistenti pressioni tali che il ministro della Difesa, Victor Malca, fu
costretto a rimettere in libertà il giornalista sottoposto ingiustamente a sequestro.
Si era trattato di una sporca e vile operazione di controllo condotta dal capo del SIN, una sorta di bieca
vendetta di Montesinos nei confronti di un rispettabile giornalista che da vari anni seguiva la carriera
dell’ex capitano scrivendo numerosi e puntuali articoli sulle sue discutibili attività. Per i suoi contributi
volti ad approfondire e a interpretare le molteplici azioni politiche di Rasputin, il computer gli fu tolto e
quando glielo restituirono tutti i files in archivio su Montesinos erano stati cancellati. Non soddisfatto,
nei giorni successivi al golpe, Montesinos continuò la sua vendetta destituendo diecine di generali della
polizia, inclusi quelli che avevano arrestato durante operazioni anti droga i narcotrafficanti poi difesi da
Montesinos stesso.
Numerose furono le operazioni di Vladimiro MONTESINOS nel Servicio de Inteligencia Nacional
come quando i partiti di maggioranza governativa respinsero non soltanto l’insediamento di una
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Commissione d’inchiesta su Montesinos, su proposta dell’opposizione, ma anche la richiesta di una
Commissione che avrebbe dovuto precisare una volta per tutte il ruolo dell’ex capitano all’interno del
SIN.
La verità è che Montesinos era diventato una figura ingombrante anche per il governo. Erano note le
sue abilità organizzative, le sue inarrestabili ambizioni, le sue imbarazzanti frequentazioni come quelle
che riguardò un trafficante di droghe, un certo Demetrio Chavez, detto Vaticano che, arrestato nel 1996
in Colombia, dichiarò durante gli interrogatori davanti al tribunale peruano che lo giudicava che tra il
1991 e il 1992 versava cinquanta mila dollari al mese a Montesinos in cambio di protezione per il
traffico di stupefacenti con la complicità dell’Esercito. Il tribunale militare accusò prima Montesinos di
essere un collaboratore dei terroristi, ma più tardi, mostrando prove con le quali dimostrava di essere
stato torturato, Chavez ritrattò ciò che aveva dichiarato liberando l’ex capitano dalle sue responsabilità.
Nel 1978 la rivista Caretas pubblicò la notizia secondo la quale Montesinos difese il narcotrafficante
colombiano Evaristo Porras. Si accertò che fu Montesinos a organizzare la sua liberazione facendo
intervenire un suo commando e facendo scomparire la pratica accusatoria.
Nel settembre 1997 il controllo delle televisioni fu dato ad azionisti di minoranza alleati con il governo.
La motivazione fu che l’azione governativa mirava a far si che non passassero più informazioni
negative che potevano compromettere alcune attività strategiche del governo. In questo modo venivano
meno le poche informazioni critiche al governo e la possibilità per le minoranze di poter esprimere
democraticamente le proprie idee.
Il 16 marzo 1998, l’ex agente del SIN, Luisa Zanatta, accusò Montesinos di controllare le
comunicazioni telefoniche di politici dell’opposizione e giornalisti. La stessa affermò che agenti del
SIN avevano assassinato l’agente Mariella Barreto Riofano colpevole di aver fornito a una rivista
informazioni sulla violazione dei diritti umanai e sul luogo dove erano state sepolte le vittime del
massacro de La Cantuta. Poco prima di essere uccisa Barreto confessò a Zanatta di far parte del Grupo
Colina. Il suo corpo, torturato e decapitato, fu rinvenuto il 29 marzo 1997.
Je nourris ma littérature des essences péruviennes.
Mario VARGAS LLOSA, Le poisson
dans l’eau, op. cit., p.467.
CONCLUSIONI.
Benché CINCO ESQUINAS resti distante
dai romanzi totali più ambiziosi di
VARGAS LLOSA la sua strategia
narrativa continua a indagare decenni di
storia del Perù, d’ingiustizie e di violenze
che parecchi paesi latinoamericani hanno
conosciuto. Una realtà sociale che va
dall’alta borghesia ai ceti più sfortunati
intesa come il risultato della corruzione
massiccia, individuale o sistemica che
segnò in particolare la decade 1990-2000,
una delle più turbolenti della storia recente del Perù.
Pur riconoscendo allo scrittore piurano il merito di aver costruito sul piano strutturale e di senso del
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ritmo un testo che si legge agevolmente non crediamo tuttavia che Mario VARGAS LLOSA abbia
presentato personaggi del tutto convincenti: Juan Peineta, un vecchio recitatore di poemi caduto in
disgrazia, di età uguale a quella del Nobel peruano (79 anni), le due niñas malas, le belle Marisa e
Chabela, il cui rapporto erotico non sembra possa suscitare un grande interesse nel lettore se non per
una sorta di avvicinamento al tema della sessualità femminile che riteniamo a volte ostentato con
un’eccessiva spregiudicatezza del tutto inusitata per l’autore, l’ingegnere Enrico Cardenas, il severo
avvocato Luciano Casabellas, il perfido e sinistro Doctor, serveur del Presidente Fujimori e anima nera
della repressione, non appaiono come individui capaci di rappresentare idee forti e dal largo respiro o
impersonare figure parodiche del tutto efficaci.
Un solo personaggio fa eccezione e si chiama Julieta Leguizamon, alias Retaquita, che ci sembra
impersonare nel romanzo un ruolo centrale: è l’alter ego del Nobel, l’anima critica, verso cui
rivolgiamo un sicuro apprezzamento per quello che fa di giusto e per le sue parole. Stimata cronista del
giornale scandalistico Destapes, dopo anni in cui ha eseguito senza alcuna riserva gli sporchi incarichi
del suo direttore Rolando Garro, patisce una sorta di rinascita morale che la spinge a contribuire alla
caduta del regime Fujimori-Montesinos. In questo nobile obiettivo la giornalista è sostenuta da una
piccola rete televisiva Canal N che, costituita nel 1999, si adoperò nel pubblicare tutte quelle notizie
comprate dal governo di Fujimori a suon di lauti assegni bancari e volutamente taciute e trasmise i
Vladivideos, una serie di video che documentavano notevoli fatti di corruzione condotti ad opera del
SIN e dal suo principale responsabile l’ex assessore e ex capitano dell’Esercito Vladimiro Montesinos
Torres. Questi Vladivideos registrati con microfoni e telecamere nascosti nelle stanze del SIN
servivano allo stesso Montesinos per corrompere i giudici, assoggettare la stampa, umiliare i militari e i
parlamentari, piegare al volere del governo quei pochi impresari e commercianti che osavano
manifestare un atteggiamento critico di opposizione agli avidi tentacoli della dittatura.
Questi numerosi videoclip che erano stati concepiti come arma di ricatto si tramutarono in prove
inconfutabili del marciume in cui si trovava il Perù al termine della decade 1990-2000.
Su di un punto focale del romanzo ci sentiamo di condividere con l’autore che considera la scrittura di
Cinco Esquinas una vendetta della fiction contro Alberto Fujimori e la sua azione criminale, un modo
pienamente riuscito di esprimere la vera e unica versione della realtà. In questo c’è tutta la coerenza del
libro e il modo di procedere del narratore è come al solito impeccabile come brillanti appaiono le sue
idee, un po’ meno quando l’autore scivola sul didatticismo per distinguere il buon giornalismo da
quello cattivo.
Fedele alla frase on se défend du Pérou comme on peut pronunciata da uno dei personaggi de La
Conversación en La Catedral, Mario VARGAS LLOSA scrive Cinco Esquinas su temi che in un
modo e nell’altro l’hanno tormentato e anche quando alcuni suoi testi sembrano lontani dalla sua
esperienza personale c’è sempre dietro di essi un problema che lo scrittore considera serio, un demone
da cui vuole necessariamente liberarsi. Insomma possiamo dire che Mario VARGAS LLOSA ha
sempre scritto sia per vendicarsi di qualcosa che lo aveva fatto soffrire sia per compensare stati
d’insoddisfazione o d’inquietudine che lo assalivano. Per l’autore la Letteratura non è mai stata
innocente ma è una testimonianza che passa attraverso l’esperienza di una problematica, è un modo per
inserirsi in una società o in una realtà cui è molto difficile adattarsi. Dice giusto, pertanto, chi sostiene
che la storia di uno scrittore è la storia di un tema e delle sue variazioni, c’è una specie di parte interna
pregiata nell’esperienza che è la fonte stessa di ciò che si scrive e che alimenta l’immaginazione. La
Letteratura permette nel contempo una lettura del mondo reale e una fuga da esso, questo doppio
sistema funziona nella simultaneità. Lo scrittore vive in un tempo storico e se ne alimenta, esprime se
stesso nutrendosi di tutto ciò che lo circonda. Preso tra società e il sé egli si trova in una situazione
paratopique come la definiva Dominique Maingueneau.
Prof. Raffaele FRANGIONE
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A questo proposito è da segnalare un seminario-incontro dal titolo Mario VARGAS LLOSA:
cultura, Ideas y Libertad che si terrà a Madrid alla Fondazione Casa de América con la partecipazione
dello scrittore, saggista e premio Nobel per la letteratura 2008 Orhan PAMUK e di diverse personalità
politiche e letterarie. Giovedì 24 marzo 2016 sono stati pubblicati due volumi di Mario VARGAS
LLOSA contenenti, in ordine cronologico, otto dei diciotto romanzi pubblicati fino ad oggi dallo
scrittore peruviano. Oltre La tante Julia et le scribouillard (1977), uno dei suoi romanzi più gioiosi,
anzi fuori dagli schemi narrativi tradizionali, il lettore troverà alcuni dei romanzi più rappresentativi del
Nobel peruano: La ville et les chiens (1963), La maison verte (1965) e Conversation à La
Cathédrale (1969) senza dubbio il suo romanzo più ambizioso e unanimemente considerato uno dei
capolavori della letteratura in lingua spagnola del XX° secolo. Il secondo volume contiene La guerre
de la fin du monde (1981), La fête au bouc (2000), Le Paradis-un peu plus loin (2003) e Tours et
détours de la vilaine fille (2006). É Mario VARGAS LLOSA che ha scelto gli otto romanzi di questi
due volumi che appaiono nella celebre e prestigiosa biblioteca della Pléiade. Tutti i testi sono proposti
con le traduzioni riviste da Albert BENSOUSSAN e sono accompagnati da abbondanti annotazioni
critiche depositati dall’autore presso gli archivi dell’Università americana di Princeton (manoscritti,
note, corrispondenze, ritagli di giornali). L’autore di Cinco Esquinas è il primo scrittore straniero a far
parte ancora in vita della celebre collezione di Antoine Gallimard che accoglie il fior fiore della
letteratura mondiale. Una consacrazione la sua che pochi autori hanno conosciuto in vita. Fino ad oggi,
infatti, solo a sedici scrittori francesi è stato riconosciuto questo privilegio tra cui André GIDE e più
recentemente il poeta Philippe JACOTTET.
Il 28 marzo 2016 si è svolta la cerimonia di donazione da parte dello scrittore di un lotto di 3.100
pubblicazioni alla biblioteca Mario VARGAS LLOSA di Arequipa. Nei due anni precedenti erano stati
consegnati 2.741 libri nel 2014 e 2.012 nel 2015. Tutti i libri fin qui donati provengono dalla sua
biblioteca di Lima mentre quelli delle sue biblioteche di Parigi e di Madrid saranno consegnati
progressivamente alla sua città natale, tierra de ses antepasados, come ricorda Mario ROMMEL ARCE,
direttore della biblioteca. Tra i volumi donati da VARGAS LLOSA ci sono importanti testi quelli con
annotazioni personali e dediche allo scrittore colombiano Gabriel GARCIA MARQUEZ e
all’argentino Julio CORTAZAR e quelli che lo storico e politico Raul PORRAS BARRENECHEA
dedicò a Vargas Llosa. Libri interessanti ma non disponibili al pubblico per espresso volere del Nobel.
Tutti gli altri testi possono essere consultati attraverso la pagina web della biblioteca di Arequipa
situata in un antico palazzo del XVIII° secolo tipico dell’architettura coloniale di Arequipa. Nelle
scaffalature della biblioteca ci sono libri dei principali autori latinoamericani come i messicani Octavio
PAZ, Juan RULFO, Carlos FUENTES, il guatemalteco Miguel ANGEL ASTURIAS, il
venezuelano Romulo GALLEGOS, l’argentino José LUIS BORGES, il cubano Alejo
CARPENTIER, il cileno José DANOSO e l’uruguagio Juan Carlos ONETTI. Troviamo pure gli
spagnoli José Camilo CELA, Juan GOYTISOLO e Javier MARIAS e autori classici come
Alejandro DUMAS, Oscar WILDE e Julio VERNE. Per festeggiare gli ottant’anni di VARGAS
LLOSA, il Governo regionale di Arequipa si è impegnato a inaugurare quest’anno il Teatrín Mario
VARGAS LLOSA, un nuovo palcoscenico culturale in omaggio al premio Nobel per la Letteratura
2010.
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2. Vargas Llosa, ex candidato alla Presidenza della Repubblica del Perù nel 1990 confessa nelle sue
memorie di ben conoscere il suo paese che considera impotente ad affrontare e a risolvere gli annosi e
gravi problemi di cui sono vittime vasti settori della popolazione perché fin dall’infanzia aveva girato
in lungo e in largo il suo paese. Nel corso dei suoi incessanti e faticosi spostamenti nei tre anni di
campagna elettorale 1987-1990 aveva visitato province, distretti marginali di Lima, villaggi,
bidonvilles della Sierra, angoli remoti e comunità contadine di cui ignorava l’esistenza. Un territorio
composito sul piano geografico, sociale ed etnico segnato da terribili contrasti, da uno spaventoso
livello di povertà, d’indigenza e di prevaricazioni diffuse, un paese in cui coesistevano diffidenza e
ignoranza, rancori e pregiudizi inscritti in un turbinio di violenze al plurale: quella del terrore politico e
del traffico delle droghe; quella della delinquenza comune che con l’impoverimento da un lato e la
scomparsa di ogni forma di legalità dall’altro, aveva reso ogni giorno più barbara e incerta la vita
quotidiana. Insomma, entre 1987 e 1990 j’ai connu tout cela de près, je l’ai touché du doigt matin et soir et d’une
certaine façon je l’ai vécu (Mario VARGAS LLOSA, Le poisson dans l’eau, op. cit., p.291).
3. L’inizio della collaborazione che col tempo diventò sistemica e solida fu quando nel 1990 l’avvocato
Vladimiro MONTESINOS difese con successo l’ingegner Alberto Fujimori conosciuto come
integerrimo lavoratore e uomo moralmente onesto, dalla duplice accusa di essere un evasore fiscale
nella vendita di appartamenti di sua proprietà con operazioni di transazioni irregolari e di aver abusato
sessualmente di una o più studentesse durante il suo incarico in qualità di professore all’Università
Agraria di La Molina. La situazione era molto grave e poteva costare al Fujimori, che nel frattempo si
era candidato con il partito Cambio 90 alle imminenti elezioni presidenziali una sicura esclusione. La
soluzione non poteva che essere lui, il capitano dell’Esercito Montesinos che in quel tempo era
assessore alla Fiscalità della Nazione e capo incontrastato del Servicio de Inteligencia Nacional (SIN).
La moglie dell’ingegnere Susana Higuchi si mise prontamente in contatto con lui ed insieme ad altri
fedeli amici si recarono nella residenza dell’allora sconosciuto candidato di origine nipponica. Quella
stessa notte MONTESINOS uscì dagli Uffici della Procura portandosi sotto il braccio centinaia di
documenti riservati e scottanti perché certificavano le palesi irregolarità nella compravendita delle
proprietà della società Fujimori-Higuchi. L’intervento di Montesinos fu provvidenziale. Il problema fu
risolto e la soluzione di archiviazione fu firmata da un mite magistrato del fisco che dichiarò innocente
Fujimori del reato di frode sulla base anche della ritrattazione delle dichiarazioni rese dai testimoni. Il
28 luglio 1990 il candidato Alberto FUJIMORI s’insediò come Presidente del Perù grazie dunque
all’abile lavoro di Montesinos e si sigillò tra i due amici e complici un’alleanza, la stessa che condusse
le petit chinois come era ironicamente apostrofato a tre mandati presidenziali successivi e che durò fino
alla fine della dittatura causata da una crisi economica interna spaventosa e da una serie di colpi di
scena esterni che ne accelerarono la decadenza.
Il 14 settembre 2000, infatti, fu trasmesso un video nel quale Montesinos consegnava del denaro (
quindici mila dollari) nella sede del SIN al deputato dell’opposizione Alberto KOURI,
presumibilmente perché passasse nelle file del partito al governo mentre altri numerosi video (2500
circa) mostrarono azioni del governo atte a estorcere e a ricattare militari, politici, impresari e
giornalisti. La rivelazione della corruzione suscitò un grande scandalo politico e l’opposizione
unanimemente chiese non soltanto l’allontanamento di Montesinos dal governo ma anche le dimissioni
di Fujimori, un governo transitorio e nuove elezioni da svolgersi in un anno allegando prove
inconfutabili che provavano che con le corruzioni organizzate e sostenute dal capo del SIN, il
Presidente Fujimori, accusato di complicità, aveva ingannato il popolo peruano. Questa imprevista
situazione convinse Montesinos a riparare a Panama per poi ritornare dopo un mese, il 23 ottobre 2000,
in Perù, ma facendo perdere ogni sua traccia. Vaghe notizie lo collocavano in Venezuela, dove il
Presidente Chávez gli aveva dato appoggio per ringraziarlo di aver accolto in Perù un gruppo di golpisti
venezuelani di cui lui stesso aveva fatto parte nel 1992. Il 25 ottobre l’organismo di tutela dei diritti
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umani in Perù denunciò Montesinos per genocidio, tortura, terrorismo e omicidio. Il 2 novembre le
autorità svizzere informarono dell’esistenza di vari conti bancari intestati al capo del SIN per una
somma complessiva di quarantotto milioni di dollari e perciò fu accusato anche di esportazione illegale
di valuta. Il 6 novembre la giustizia peruana ordinò l’arresto di Montesinos e il sequestro preventivo
anche dei suoi beni. Alcuni giorni dopo Fujimori rivelò l’esistenza di altri conti bancari del suo ex
assessore nelle banche delle isole Cayman, di Montevideo e di New York. Poi Fujimori scelse la via
dell’esilio nel Giappone per mettersi al sicuro dalle persecuzioni della giustizia. Montesinos fu portato
in carcere il 24 giugno 2001 a Caracas. Fu poi condannato a vent’anni di prigione per traffico illegale
di armi destinate alle FARC colombiane e per aver partecipato nel 2007 alla Crisi dell’ambasciata
giapponese a Lima.
4. Sul Perù e sugli anni più recenti e drammatici della sua storia si leggano tre interessantissimi libri
della giornalista di origine inglese Sally BOWEN e cioè: 1. El espediente Fujimori (2000); 2. El espia
imperfecto (2003); 3. Periodista al fin y al cabo (2015). Insegnante fino a quarantadue anni Sally
Bowen scoprì negli anni successivi il mestiere di giornalista e vi si appassionò. Lavorò in Perù dove
visse dal 1988 al 2007 al The Perù Reports in qualità d’inviata del Financial Times e della BBC. Nei
tre libri succitati la giornalista ripropone fatti personali e documenti professionali (interviste, resoconti,
aneddoti e commenti) che avevano avuto su di lei un impatto emotivo considerevole nel corso di quegli
anni difficili e crudeli per Lima segnati da un’inflazione galoppante, da una preoccupante ripresa del
terrorismo e della criminalità con continui fatti di violenze e uccisioni, dalla guerra con l’Ecuador e
soprattutto da un governo Fujimori-Montesinos che alimentava rivalità e divisioni sul piano politico e
sociale.
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