Una scuola che comunica vol 1

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Una scuola che comunica vol 1
INDICE
7 introduzione
La comunicazione nella relazione formativa
(M. Morcellini)
Parte Prima – La comunicazione nelle scuole:
il contesto interno
19 Capitolo primo
La comunicazione interna a scuola:
i segni del cambiamento (I. Cortoni)
1. La scuola: verso forme di comunicazione interna
2. La scuola che cambia
3. Comunicazione organizzativa interna
4. Quali funzioni e competenze?
33 Capitolo secondo
La dimensione psicoculturale dell’organizzazione
(B.M. Mazzara)
1. La prospettiva psicologica nello studio delle organizzazioni
2. L’organizzazione come contesto culturale
43 Capitolo terzo
Le istituzioni scolastiche al tempo dell’autonomia:
la sociologia dell’organizzazione come chiave
interpretativa
(P. Di Nicola e F. Bagni)
1. Come cambiano le organizzazioni in una società che cambia
2. La progettazione fra organizzazione e istituzione:
la burocrazia professionale
3. Gli studi sulla leadership
4. La leadership scolastica e gli spazi di micropolitica
5. La costruzione di senso, i legami deboli e le reti
Parte seconda – La comunicazione istituzionale
a scuola in regime
di autonomia
57 Capitolo quarto
La gestione dei flussi comunicativi: obiettivi della
comunicazione interna (F. Perrone)
1. Missione ed efficienza organizzativa
2. Flussi comunicativi
3. Strumenti e flussi di comunicazione interna nel comparto «istruzione»
4. Flussi di feedback
5. Riunioni operative
6. Rimedi possibili al rumore e agli episodi di decodifica
aberrante: un esempio
7. Efficacia comunicativa
73 Capitolo quinto
La comunicazione con i collaboratori
(P. Cinti)
1. La compresenza di modelli organizzativi
2. La funzione della comunicazione con i collaboratori
83 Capitolo sesto
L’Intranet della scuola (S. Penge)
1. Modernità e tecnologia
2. Dove nascono le Intranet
3. A che cosa assomigliano le Intranet
4. Intranet a scuola
5. La scuola come comunità di pratica
6. In pratica: come funzionerà l’Intranet della scuola
7. Gli oggetti della Intranet
8. Gli strumenti
9. Alcuni esempi reali
10. Sei raccomandazioni
11. I problemi
97 Capitolo settimo
I siti web scolastici (L. Di Mele)
1. Monitoraggio e ricerca
2. L’immagine e l’identità della scuola
3. La funzione informativa
4. La funzione formativa
5. Una nuova prospettiva: i blog
6. Quali supporti per la gestione del sito
Parte terza – I media in classe: strumenti
e pratiche efficaci della
comunicazione in contesto formativo
105 Capitolo ottavo
Linguaggi della comunicazione come modalità
espressive e strategie educative (I. Cortoni)
1. Tecnologie comunicative: il punto di vista degli insegnanti
2. Tecnologie mediali: «pro» e «contro»
3. Una fotografia del reale
4. I processi di apprendimento
5. Difficoltà più frequenti nell’uso delle nuove tecnologie
6. E la famiglia?
7. Criteri di valutazione
125 Capitolo nono
Il videogioco nell’attività formativa
(S. Bassi e M. Andreoletti)
1. «Vino vecchio in botti nuove»
2. «Fare» fa rima con «imparare»…
3. … e «imparare» fa rima con «giocare»
4. Facendo finta si impara… davvero!
151 Capitolo decimo
Il video a scuola (L. Di Mele e P. De Luca)
1. Perché utilizzare il video a scuola?
2. Quali attrezzature
3. Il linguaggio del video
4. Le fasi della produzione
5. La convergenza fra TV e Internet
6. La web TV a scuola
7. Una stazione TV sul web
8. Aspetti operativi
9. Esperienze di video sul web in Italia
165 Capitolo undicesimo
La radio: un «mezzo» che si muove (F. Cruciani)
01.«Fare radio è entusiasmante»: un’introduzione
02.Nasce la «scatola musicale»: dall’SOS
all’intrattenimento
03.Pirati e privati: come la radio ha cambiato se stessa
04.Ascoltare la radio: AM, FM, satellite, DAB e Internet
05.Fare la radio: gli studi radiofonici, le apparecchiature
06.Gli stili della radio: il formato, il palinsesto
07.I ruoli della radio
08.La musica nella radio
09.La radio come supporto alla comunicazione scolastica:
come organizzare un laboratorio radiofonico
in ambito scolastico
10.Per cominciare da subito… in digitale!
179 Capitolo dodicesimo
Educare al cinema: dal multimediale al postmediale
(E. Girlanda e E. Tumolo)
1. Introduzione
2. Cinema e scuola
3. Dall’analisi alla postanalisi
4. Cinema è scuola
5. Ciak, si impara!
6. Laboratorio cinema
193 Capitolo tredicesimo
Il quotidiano in classe (P. Mallozzi)
1. Una specie di introduzione
2. Una stampa al giorno
3. L’anomalia italiana
4. Il giornalismo in pratica
5. Ma che cos’è questa notizia?
06. Le aree di crisi
07. Verità e obiettività
08.Andare alla fonte
09.Una bella testata
10.Cominciamo con gli articoli
11.Qualche consiglio… e non solo
12.Questioni di genere
13.Il titolo in testa
14.Questioni di forma… anzi di formato
223 Capitolo quattordicesimo
A scuola di telegiornale (F. Tricoli e L. Chianca)
01.Che cos’è la notizia?
02.Che cosa fa notizia?
03.Come si racconta la notizia?
04.Chi ci dà le notizie?
05.La notizia: come si presenta
06.Realizzazione di un servizio: le riprese
07.Realizzazione di un servizio: la scrittura del pezzo
08.Realizzazione di un servizio: il montaggio
09.L’organizzazione del lavoro
10.Dalla riunione alla messa in onda
11.Il telegiornale come oggetto di analisi
12.Realizzare il telegiornale
245 Capitolo quindicesimo
La pubblicità sui banchi di scuola: un percorso
laboratoriale per l’analisi tecnica e critica della
comunicazione pubblicitaria (P. Panarese)
1. Questione di educazione
2. La pubblicità da smontare
3. L’officina della pubblicità
259 Capitolo sedicesimo
Il fumetto e il cinema d’animazione
(G. Prattichizzo e M.G. Di Tullio)
1. La comunicazione esterna
2. La comunicazione interna
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autori
La comunicazione interna a scuola
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fordismo non è soltanto una questione strutturale, ma anche culturale e mentale,
ed è strettamente connesso allo sviluppo dei livelli di istruzione delle persone. L’idea
di un lavoro ripetitivo e standardizzato comincia a essere rifiutata dalle giovani
generazioni (Rullani, 2004).
1. La scuola: verso forme di comunicazione interna
Chester I. Barnard nel 1938 pubblica The functions of the executive, in cui
parla di un nuovo modello di organizzazione, non più improntato sulla meccanicità
e razionalità dei processi bensì sul sistema della cooperazione, in cui acquistano
importanza la motivazione, il coinvolgimento e l’attivismo dei suoi attori. Secondo
il dirigente della Bell Telephone Company, la comunicazione e la collaborazione
fra i singoli membri per il raggiungimento di un obiettivo comune si pongono
alla base dell’efficace funzionamento dello stesso sistema. Gli individui devono
non solo sentirsi parte integrante di questo, ma percepirsi come parte attiva e
propositiva dei processi gestionali e organizzativi. In tal senso, è compito del
dirigente innescare dinamiche organizzative e comunicative interne attraverso
incentivi, non necessariamente materiali, e strategie persuasive capaci di aumentare le motivazioni dei suoi attori. I soggetti devono percepire la superiorità dei
benefici delle loro azioni rispetto ai costi, soddisfare le loro aspettative, materiali
e morali (Bonazzi, 2002).
Lo sviluppo progressivo delle Information and Communication Technologies
(ICT) e i nuovi vettori della società dell’informazione o della conoscenza, caratterizzati prevalentemente dal controllo e dalla gestione dei sistemi informativi
nei diversi apparati sociali — dall’economia alla politica, dalla cultura al tempo
libero —, così come la presa d’atto della potenza espressiva dei linguaggi mediali e
della loro influenza sulle nuove generazioni, hanno creato nuovi bisogni culturali
e formativi.
Emerge progressivamente dal basso la consapevolezza di una maggiore conoscenza e di un intervento più consapevole nel settore dei media all’interno dei
contesti formativi, investendo sulla formazione permanente degli insegnanti, o in
generale degli educatori.
La risorsa umana diventa il plusvalore dello sviluppo su cui puntare per investimenti pubblici e privati e per innalzare il dato culturale e professionale medio.
L’investimento sulla formazione permanente, sui temi della comunicazione, poi,
acquisisce un ruolo fondamentale per diversi motivi; in primis perché consente
una riqualificazione professionale in virtù delle competenze, delle abilità e delle
conoscenze progressivamente emergenti nella società del cambiamento (Rullani,
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UNA scuola che comunica
2004, p. 40). Queste caratteristiche da un lato riflettono i nuovi ruoli del docente
nella gestione dell’aula educativa, dall’altro rappresentano un bagaglio culturale
da trasmettere alle nuove generazioni, per fornire loro gli strumenti necessari per
vivere all’interno del nuovo contesto sociale.
Fino a oggi, lo svolgimento delle rare attività comunicative a scuola è derivato
prevalentemente dall’entusiasmo di qualche docente sensibile ai linguaggi mediali
e particolarmente propositivo su iniziative redazionali quali ad esempio il giornale
scolastico, mentre poco diffusa è risultata l’utilizzazione di altri media quali le
(web) radio e la stessa TV. Soltanto a livello universitario da qualche anno si sono
cominciati a utilizzare e simulare sistemi massmediali per favorire la circolazione
e lo scambio di informazioni e conoscenze, anche specifiche dei singoli atenei.
Molte delle iniziative comunicative svolte a scuola in passato, dunque, si
sono spesso rivelate limitative se si pensa alla ricchezza degli strumenti mediali
disponibili per la comunicazione e alle molteplici opportunità di utilizzo, anche
in un contesto formativo. Queste, inoltre, sono state perlopiù occasionali, prive di
organicità, continuità e sistematicità (Giannatelli e Rivoltella, 2003) e ciò è dipeso
prevalentemente dalla mancanza di adeguate attrezzature o risorse economiche
per finanziare progetti sulla comunicazione, oppure dalla difficoltà di integrare
tali iniziative nella quotidiana attività didattica, nonché dalla carenza di specifiche
competenze o conoscenze comunicative che consentissero di utilizzare ad hoc
questi supporti tecnologici.
Spesso tuttavia questa limitazione di utilizzo è stata imputata a una non
chiara comprensione di come le tecnologie mediali possano essere impiegate trasversalmente all’interno del sistema scolastico, alla non consapevolezza del tipo di
funzionalità che i media possono svolgere a scuola e degli obiettivi comunicativi
perseguibili. In tal senso, alcune considerazioni sulla valorizzazione del piano comunicativo per la scuola, così come sul marketing strategico per la presentazione
dei servizi e delle informazioni degli stessi istituti scolastici, possono essere utili
per una efficace gestione organizzativa del sistema-scuola.
Oggi siamo di fronte alla richiesta di un cambiamento di mentalità, alla
costruzione di una nuova forma mentis secondo cui la pratica comunicativa non
rappresenta solo un intervento formativo isolato e un bene per pochi, ma uno stile di
lavoro abituale, quale patrimonio di una cultura organizzativa (Rivoltella e Marazzi,
2001, p. 19). Lo sviluppo di una cultura gestionale a scuola, poi, consentirebbe di
risolvere situazioni problematiche e imprevedibili, promuovendo comportamenti
tangibili. Esso potrebbe garantire l’organizzazione efficace delle tecnologie, dei
tempi e degli spazi, nonché dei linguaggi mediali utilizzati per comunicare.
La gestione dei flussi comunicativi
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2. Flussi comunicativi
All’interno dell’organizzazione si possono individuare due alvei di comunicazione, ossia due direttrici fondamentali in cui corrono i flussi di comunicazione interna: flussi spersonalizzati, quando gli emittenti e i destinatari sono
reparti dell’organizzazione o ruoli e funzioni gerarchiche che generano messaggi
prevalentemente formali, quasi esclusivamente per iscritto, mediante circolari,
ordini di servizio e simili; flussi personalizzati, quando emittenti e destinatari
sono individui che costruiscono relazioni interpersonali in coppia o in piccoli
gruppi, prevalentemente di tipo sincronico (a voce, per telefono e in videoconferenza; talvolta di tipo asincronico — per iscritto, in videoconferenza registrata
o mediante computer collegati in rete — ricorrendo a un ampio ventaglio di
registri stilistici — formali/informali —, di volta in volta dettati da contesto,
situazione, interlocutori, scopi).
Un’ulteriore classica distinzione, applicabile a entrambe le direttrici comunicative interne, è quella di comunicazione verticale (tra comparti e funzioni dell’organizzazione o tra singoli individui di differente grado gerarchico) e comunicazione
orizzontale (tra comparti e funzioni dell’organizzazione o tra singoli individui di pari
grado gerarchico ovvero tra soggetti sulla cui relazione non è comunque possibile
far valere alcun peso gerarchico).
È d’uso definire ulteriormente la comunicazione verticale secondo la direzionalità del flusso. La comunicazione dall’alto (top-down communication) è rappresentata dall’insieme di messaggi inviati dal vertice alla base (ovvero dal centro alla
periferia) dell’organizzazione. La comunicazione dal basso (upward o bottom-up
communication) invece è costituita dai messaggi inviati dalla base al vertice (o dalla
periferia al centro), consistenti in informazioni, feedback a ordini già ricevuti e,
soprattutto, rapporti (report) di vario tipo.
L’osservazione empirica di dinamiche e fenomeni comunicativi in ambito
organizzativo ci porta ad alcune considerazioni:
1. la gerarchia esercita un effetto positivo come leva di efficacia della comunicazione
interna di tipo verticale. Infatti la relazione gerarchica stimola deferenza e genera
attenzione, benché l’onere dell’efficacia ricada sempre sul soggetto subalterno
che se ne fa carico sia come destinatario (tendenzialmente più concentrato
sul messaggio ricevuto in quanto naturalmente autorevole) sia come emittente
(motivato a codificare con particolare cura la formulazione di messaggi propri
verso i superiori);
2. in conseguenza di quanto evidenziato nel punto precedente, si può anche affermare che, in generale, la comunicazione verticale sia comparativamente più
efficace di quella orizzontale (in cui manca la leva gerarchica);
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UNA scuola che comunica
3. la comunicazione interna è più critica rispetto alla comunicazione esterna, che,
costantemente stimolata dal contesto di mercato o di scenario (soprattutto clienti,
utenti e competitor), si rivela di solito più curata, evoluta ed efficace;
4. la comunicazione formalizzata tanto più tende a prevalere sulla comunicazione
informale, quanto più complessa è l’organizzazione.
3. Strumenti e flussi di comunicazione interna nel comparto «istruzione»
Pubblicazioni interne
La sfida del cambiamento riguarda oggi tutte le forme della socialità contemporanea. Mobilità, instabilità e innovazione contraddistinguono il risvolto
strategico di ogni attività organizzativa. Il tema del cambiamento non può esimersi
dal permeare la vita di imprese, aziende, pubbliche amministrazioni e, in generale,
di tutte le organizzazioni complesse. Le organizzazioni di oggi tendono ad avere
meno livelli gerarchici, l’albero delle decisioni è accorciato, le responsabilità sono
decentrate ai gruppi responsabili di progetti e di processi. La comunicazione propende verso registri meno formali e delinea profili più pragmatici, cioè dall’agevole
e conclamato risvolto pratico e operativo (Perrone, 2004).
L’attuale fase storica, contraddistinta da grandi cambiamenti sociali, rende
pertanto inadeguati molti strumenti tradizionali e aumenta, spesso in misura
eccessiva, le aspettative sulla comunicazione interna e le sue responsabilità (si
pensi all’Intranet). All’opposto, talvolta accade che, in situazioni di congiuntura,
la comunicazione interna venga sottovalutata o quasi annullata. D’altra parte, la
comunicazione interna, nel corso della sua storia, si è avvalsa di diversi strumenti
e canali. Il più tipico è la pubblicazione «aziendale», poi divenuta house organ in
grado di comunicare anche a e con pubblici esterni.
In linea generale, le regole a cui le pubblicazioni interne (cartacee o elettroniche) dovrebbero uniformarsi sono le seguenti:
1. nel limite del possibile, le pubblicazioni devono rispettare criteri di periodicità,
in modo da creare una consuetudine capace di dettare e soddisfare aspettative
precise;
2. più vasto è il pubblico cui ci si rivolge, meno specialistico deve essere il contenuto;
3. considerate nella loro effettiva funzione, le pubblicazioni interne sono reali canali di comunicazione e non vaghi «stimolanti del morale»: solo così
possono essere utili e giustificare il costo sostenuto dall’organizzazione per
produrle;
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UNA scuola che comunica
quello delle persone, quello dei contenuti e quello delle tecnologie. L’equilibrio
fra i tre piani può collocarsi in un punto diverso nelle Intranet scolastiche rispetto
a quelle aziendali; tuttavia è chiaro che il piano che costituisce il fine, oltre che il
mezzo, è in entrambi i casi il primo.
3. A che cosa assomigliano le Intranet
Una Intranet può essere semplicisticamente definita come un sito web locale, dedicato e riservato alle persone che appartengono a un corpo sociale chiuso,
come un’impresa, un ente pubblico, un’associazione. In sostanza, dal punto di
vista dell’utente, si tratta di un sito web cui si può accedere solo fornendo i propri
dati personali (riservato) e facendo parte di una rete locale, attraverso la quale è
possibile ricevere informazioni, servizi, documenti specifici rivolti espressamente
all’utente (dedicato).
Alla Intranet si accede con un normale web browser, lo stesso che si usa per
navigare nel web; ciò che si vede navigando in fondo è una serie di pagine HTML
che assomigliano molto, almeno a un primo sguardo, a quelle che si trovano in
Internet.
Nonostante le somiglianze, permangono differenze fra Internet e Intranet,
determinate dai tre punti precedentemente elencati.
Ma le piccole differenze3 sopraccitate possono cambiare molte cose:
1. le persone che si incontrano nella Intranet condividono almeno una cosa: sono
colleghi di lavoro;
2. anche i fornitori di informazione sono colleghi e, quindi, le informazioni
hanno un grado di attendibilità (meritano fiducia) più alta di quella del web
esterno;
3. gli utenti della Intranet sono anche i suoi unici clienti: la rete deve piacere ed
essere adeguata a loro e a nessun altro;
4. le finalità della Intranet non sono commerciali, di vendita di beni o servizi, ma
sono la somma degli obiettivi dei singoli utenti;
5. la Intranet non è in concorrenza con nessun altro oggetto: non ha bisogno di
accattivare l’attenzione con effetti speciali;
6. in una parola, la Intranet appartiene ai suoi utenti.
Naturalmente possono esserci anche differenze «tecniche»: per esempio, una Intranet basata solo
su una rete locale (via cavo Ethernet) è più piccola e molto, molto più veloce di qualsiasi ADSL.
Questo implica, per esempio, che contenuti anche pesanti in termini di dimensioni in byte possano viaggiare con leggerezza. Inoltre, mentre un sito web tradizionale deve assicurarsi l’usabilità e
l’accessibilità in qualsiasi situazione, i contesti di fruizione di una Intranet sono standardizzati.
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L’Intranet della scuola
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4. Intranet a scuola
Che cosa non è una Intranet
Nella scuola italiana, la parola «Intranet» è stata per molto tempo sinonimo
della rete riservata gestita dal ministero che connetteva le segreterie e permetteva
l’uso di alcuni programmi gestionali, della posta elettronica, e l’accesso al sito
riservato del ministero. Al di là degli aspetti tecnologici, l’idea che sottostava
a questa cosiddetta Intranet era quella di un canale privilegiato e sicuro che
unisse il vertice con la periferia. Il concetto — simile per certi versi ai tentativi
di grandissime società come Microsoft di creare una propria rete alternativa a
Internet — si basava sull’idea che la rete fosse soprattutto una tecnologia e che
fosse sufficiente la definizione «dall’alto» di uno standard e la messa in opera di
infrastrutture tecnologiche adeguate per avviarne l’uso. Questo stesso concetto
è stato abbandonato dal ministero con una circolare nell’ottobre 2002 in cui si
lanciava il progetto di «migrazione» dall’unica Intranet nazionale a Internet e
contemporaneamente si postulava la necessità di collegare a Internet il 100%
delle scuole italiane.
Le ragioni di questo passaggio sono varie, non ultima forse proprio la comprensione dell’innovazione e delle novità costituite da Internet, che non è quello
che il suo nome lascerebbe intendere (una rete di reti: l’etimologia rende conto
dell’atto di creazione di Internet), bensì il fatto che gli utenti utilizzatori ne ridefiniscono continuamente il senso, la direzione, il destino.
Senza poter approfondire adeguatamente per ragioni di spazio questo concetto,
su cui tuttavia torneremo spesso, chiariamo che il nostro obiettivo è introdurre un
modello diverso: l’Intranet della scuola rappresenta qualcosa di più di un veicolo
di comunicazione a senso unico. Non è soltanto:
1. un mezzo per pubblicare velocemente circolari e comunicati, diminuendo i
tempi morti;
2. un modo per ridurre l’impronta ecologica del sistema-scuola riducendo il volume
di carta stampata;
3. un modo per gestire in maniera efficiente le pratiche documentali attraverso
un’archiviazione digitale su supporti non deperibili;
4. un modo di controllare meglio i flussi informativi.
Che cosa potrebbe essere una Intranet
Tutti questi vantaggi, naturalmente, permangono, ma l’elemento principale è
costituito dalla possibilità di ascoltarsi reciprocamente, di attrarre gli insegnanti e
tutti gli altri operatori del sistema-scuola in una logica di comunicazione orizzontale
che da un lato esce dallo schema tradizionale della comunicazione organizzativa,
dall’altro invece lo estende, lo arricchisce e contribuisce a modificarlo.
Il videogioco nell’attività formativa
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– skill & action games (giochi di abilità e azione): danno risalto alle abilità percettive
e motorie;
– strategy games (giochi di strategia): danno risalto agli sforzi cognitivi.
Da questa breve presentazione si può comprendere come la categorizzazione
non sia una modalità sufficiente per comprendere il mondo dei videogiochi, in
quanto un videogioco può appartenere a diverse categorie e in futuro nuove se ne
possono creare.
Utilizzare i videogiochi perché…
Opportunamente utilizzato, il medium videogiochi consente di apportare
enormi vantaggi nel campo educativo e formativo:
– esperienza di grande apprendimento: la presenza di molte variabili, che si esprimono attraverso trame, racconti, eventi e situazioni, tende a creare le condizioni
favorevoli per momenti di acquisizione di quelle conoscenze e competenze che
in certi casi possono essere difficilmente traducibili con linguaggi e codici più
«tradizionali»;
– coinvolgimento di molteplici capacità: la presenza di diverse tipologie di gioco, che
coinvolgono capacità logiche, mnemoniche, inferenziali, previsionali e strategiche, tendono a sviluppare e stimolare in modo completo le funzioni intellettive
dell’utente;
– esplorazione del reale: l’enorme flessibilità e capacità elaborativa dei videogiochi
consentono di esplorare luoghi e cose esistenti ai quali, però, la maggior parte
delle persone non avrebbe alcuna possibilità di accedere;
– esperienza del possibile e non: accanto alla riproducibilità di situazioni ed eventi
del mondo reale, i videogiochi possono ricreare momenti, contesti, condizioni,
esseri ed entità irreali, impossibili o semplicemente irrealizzabili.
Accanto agli elementi in relazione con gli aspetti conoscitivi e intellettivi, vi
sono degli aspetti sociali che i videogiochi mettono in atto. Una delle maggiori
credenze ingenue risulta essere il timore che l’utilizzo dei videogiochi tenda a far
isolare il soggetto rispetto al mondo e agli altri, ma in realtà l’utilizzo del videogioco
non si conclude nella sola fase di gioco: esso si estende a un «prima» e un «poi» nei
quali si intrecciano legami con altre persone, generalmente i pari, con cui narrare la
propria esperienza videoludica, condividere modalità di gioco, ipotizzare soluzioni
e nuove strategie di azione, valutare i titoli presenti nel mercato.
Inoltre, da alcune ricerche condotte da Mason e Varisco (1990) è emerso che
il 60% dei videogiocatori intervistati afferma che avendone la possibilità preferisce
giocare insieme ad altre persone piuttosto che individualmente.
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UNA scuola che comunica
Sottolineando che i videogiochi tendono a riempire l’isolamento e che la
tendenza del bambino a isolarsi va ricondotta non all’esistenza del gioco solitario,
ma viceversa, i videogiochi tendono dunque a favorire:
– partecipazione attiva: la forte componente volontaria che i videogame implicano coinvolge l’utente in modo completo e totale, eliminando completamente
qualsiasi fruizione passiva e riducendo il tempo dedicato alla fruizione del mezzo
televisivo;
– relazionalità: il videogioco non è un agente neutrale nella socializzazione, ma
può essere utile come mezzo per l’abbattimento delle barriere interpersonali
che portano l’individuo a non socializzare, in quanto possono fornire una serie
controllata e graduale di interazioni sociali programmate;
– dialogo tra le persone: i videogame possono far crescere la comunicazione tra i
membri della famiglia, promuovendo l’interazione attraverso la cooperazione e
la competizione e superando le difficoltà comunicative che si possono instaurare
tra i suoi membri.
Il possedere una tecnologia e/o un determinato titolo può favorire processi di
socializzazione, o di contro il mancato possesso può essere fattore di esclusione dal
gruppo dei pari. Negli ultimi anni si possono individuare due casi esemplificativi:
per le bambine tra i sei e i dieci anni il titolo Nintendogs (http://www.nintendogs.
com) per piattaforma Nintendo DS e per i bambini della medesima età il gioco
GTA IV (http://www.rockstargames.com/IV) per PC e console sono risultati
causa di digital divide nel settore dei videogiochi. Il non poter utilizzare questi
videogiochi da parte di coloro che per scelta dei genitori o possibilità economica
della famiglia ha comportato l’esclusione dalle discussioni e attività ricreative che
avevano come argomento il videogioco stesso.5
Gli attrezzi del mestiere
Considerare il mondo dei videogiochi all’interno di un percorso scolastico
solo dal lato della «fruizione» risulterebbe estremamente riduttivo per comprendere
quale importanza rivesta tale medium all’interno dell’attuale panorama culturale,
sociale e educativo.
Un percorso formativo ideale dovrebbe prevedere sia la fase in cui si privilegia la lettura/fruizione del testo «gioco elettronico», sia la fase di progettazione/
produzione di piccoli percorsi videoludici.
Tale forma di esclusione sociale era già presente negli anni Settanta e Ottanta con la bambola Barbie
della Mattel e, più in generale, con tutte quelle forme di appartenenza che fanno riferimento a
un determinato bene.
5
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UNA scuola che comunica
Una radio o un gruppo di radio possono imporre la musica che vogliono
concedendoci solo la scelta di cambiare stazione, salvo poi il fatto che magari ci
si sintonizza su un’altra radio che sta programmando la stessa canzone. Alla fine,
o ci si ribella e si mette su un CD o ci si arrende e… cominciamo a canticchiare
quella canzone, decretandone il successo.
Abbiamo accennato al delicato ruolo del direttore artistico, che ha l’arduo
compito di stabilire non solo i generi musicali da mandare in onda, ma anche
con quale cadenza, quali interpreti e quali brani inserire nella playlist. È chiaro
che non potrà basarsi sui suoi gusti ma, almeno nella radiofonia moderna, dovrà
fare i conti con le politiche promozionali delle case discografiche. Non si vuole
in questo contesto esprimere giudizi ma ci preme sottolineare che sarà piuttosto
difficile che una radio con forti ascolti possa programmare canzoni non supportate dalle grandi etichette discografiche. Fa parte del complesso meccanismo
dettato dal mercato.
9. La radio come supporto alla comunicazione scolastica: come organizzare
un laboratorio radiofonico in ambito scolastico
Utilizzare il mezzo radiofonico in ambito scolastico si rivela efficace anche
perché emerge che, tra i fruitori della radio, i giovani costituiscono una fetta
consistente di utenti. La scuola, solo negli ultimi anni, ha compreso questa
potenzialità, affidandosi talvolta al comunicato pubblicitario in radio (spot) per
promuovere le proprie iniziative. La realizzazione di una campagna pubblicitaria
che possa promuovere le attività scolastiche e la produzione del relativo spot da
diffondere nell’ambito radiofonico devono essere studiate attentamente. Prima
di tutto occorre scegliere la radio dove programmare il proprio spot, e questo
dipenderà dalla tipologia di attività che si vuole promuovere. In seguito si sceglierà
la fascia oraria, optando per quella che può garantire il maggior ascolto da parte
degli studenti. Infine si realizza lo spot. Qui le soluzioni sono infinite. La durata
potrà essere quella standard dei 30 secondi, mentre per produrlo potranno essere
scelte soluzioni artistiche diverse, affidandosi a un’agenzia di comunicazione o
facendo realizzare lo storyboard agli stessi studenti con la conseguente produzione
artistica e tecnica dello stesso. La seconda ipotesi costituisce la soluzione ideale,
perché tutto il processo produttivo della realizzazione di uno spot radiofonico è
un’esperienza che potrà coinvolgere sia docenti che studenti nella comprensione
delle potenzialità della radio, soprattutto quando si intende lanciare un messaggio
nell’etere. Anche la realizzazione di un programma radiofonico, da distribuire
successivamente alla radio, mostra come la radio possa supportare la comunicazione scolastica. In questo caso bisognerà formare un gruppo di lavoro permanente
La radio: un «mezzo» che si muove
175
(una vera e propria redazione) che sarà il punto di riferimento per tutte le puntate
previste del programma. Ipotizzando una cadenza settimanale della trasmissione,
la redazione dovrà organizzare la scaletta di ogni puntata decidendo, in funzione
della durata, gli argomenti da trattare, gli ospiti da intervistare, i brani musicali
da programmare. Queste due possibilità, con il supporto del gruppo docente e la
consulenza di professionisti della radiofonia (direttori artistici, speaker e tecnici),
possono costituire un primo costruttivo approccio al mondo della radiofonia in
ambito scolastico. Prendendo ad esempio le esperienze dei campus americani,
dove all’interno delle università esiste una vera e propria emittente radiofonica,
addentriamoci nelle modalità che possono aiutare a realizzare un vero e proprio
laboratorio radiofonico all’interno dello spazio scolastico, sia per creare un centro
di esperienza permanente, sia per avere al proprio interno una radio che parli a
tutti i frequentatori del campus con il proprio linguaggio, diffondendo i propri
messaggi. Realizzare questo progetto è più semplice di quanto si possa credere,
tenendo conto che l’area dove vogliamo trasmettere non è il congestionato etere
radiofonico ma un luogo circoscritto. In primo luogo sarà sufficiente determinare un budget, che dipenderà dalle modalità di trasmissione; nell’ambito di
una struttura le possibilità possono essere quelle di utilizzare Internet (l’ascolto
può essere fatto dal PC e anche da appositi distributori collegati in rete muniti
di proprio altoparlante) o il vecchio sistema via cavo, disponendo una serie di
altoparlanti nelle aree dove si intende far ascoltare la radio. Decidere il palinsesto
sarà il passo successivo. Non sarà necessario riempire tutte le fasce orarie, ma
basterà individuare quegli orari in cui le persone saranno presenti nella struttura
e potranno essere in grado di ascoltare. Il resto della giornata la nostra «radio
campus» potrà essere muta o proporre una selezione musicale. La scelta dei programmi da diffondere che costituiranno l’ossatura del nostro palinsesto arriverà
di conseguenza. In questo caso si renderà necessaria un’analisi dei bisogni del
nostro pubblico (comunicazione di servizio, orientamento professionale, informazioni sulle lezioni). Infine si compie la scelta dello staff, che potrà ruotare
ogni sei mesi, in modo da garantire un’esperienza formativa e continuativa a più
studenti. Un direttore artistico, un direttore delle news e una decina di persone
tra giornalisti, speaker e tecnici (ragazzi che potranno secondo la loro inclinazione
ricoprire i ruoli citati), possono costituire il gruppo iniziale al quale potranno
aggiungersi collaboratori saltuari che daranno il loro contributo. La radio potrà
essere essenzialmente in diretta e bisognerà individuare all’interno della struttura
scolastica alcuni ambienti dove allestire lo studio radiofonico e la redazione della
radio, seguendo le indicazioni fornite nei paragrafi precedenti di questo breve
compendio. Una volta avviato il progetto, la radio mostrerà tutta la sua forza
formativa e informativa e diventerà uno strumento fondamentale e insostituibile
anche all’interno di uno spazio circoscritto come quello scolastico.
Il quotidiano in classe
213
piamo quello che è successo nel mondo grazie all’informazione televisiva (si tratti
di un disastro ferroviario o di una crisi di governo), il quotidiano dovrà offrirti il
giorno dopo qualcosa di più e di diverso: spazio quindi a interviste, retroscena,
descrizioni attente e minuziose dei particolari.
Dopo aver iniziato al meglio ed esposto con chiarezza tutti gli argomenti
previsti nella iniziale scaletta si arriva a un altro punto topico della stesura dell’articolo giornalistico: la chiusura. Solitamente il testo va a spegnersi, si conclude
quasi per consunzione, ma è preferibile evitare al lettore un’atmosfera di automatico
dissolvimento. Quindi il suggerimento è quello di concludere recuperando con
poche parole il senso, la «cifra» dell’articolo, evitando però chiusure a effetto con
condimento di battute salaci o ironiche, soprattutto nel caso di un’intervista. In
quest’ultima, infatti, non fosse altro che per una questione di educazione, l’ultima
parola dovrebbe essere sempre dell’intervistato.
Una volta scritto, il pezzo va riletto e, ovviamente, corretto. La lettura deve
essere attenta, con il duplice scopo di controllare la coerenza del testo con la scaletta (e dunque con le priorità fissate nel percorso) e di verificarne l’ortografia e il
coordinamento sintattico.
Un articolo nell’odierna scrittura al personal computer viene quantificato in
numero delle battute (in passato si parlava di cartelle, secondo uno schema in cui
la cartella classica era fatta di 30 righe di 60 battute). Questi valori devono essere
sempre rispettati: vincoli di sintesi e di concisione sono di grande esemplarità sul
piano didattico. Giacché parliamo di scrittura al computer e di correzione è bene
mettere sull’avviso attorno alla scivolosità dei correttori automatici. Mai fidarsi
delle decisioni autonome di un computer: la sintassi binaria non fa differenze tra
«mazzo di chiavi» e «pazzo di chiavi» (per non dire di peggio).
12. Questioni di genere
Abbiamo già accennato ai diversi generi giornalistici. Cerchiamo di analizzarli
un po’ più nel dettaglio, ricordando che tutti oscillano sempre tra le solite polarità:
descrizione e interpretazione. Storicamente la descrizione era considerata un valore nel
giornalismo americano che predicava «l’enfasi sui fatti», ma tale approccio è stato poi
rivoluzionato dal new journalism degli anni Sessanta di Tom Wolfe, Truman Capote,
ecc., «che si è sforzato di sovvertire la convenzione che ispirava la scrittura giornalistica,
sostituendo, alla presenza del giornalista che descrive o spiega, la rappresentazione
realistica dei fatti stessi dal di dentro, soggettivamente» (Papuzzi, 1998b, p. 83).
Montaggio di scene dal vivo, impiego di dialoghi che riproducono il modo
di parlare dei protagonisti, ricostruzione di atmosfere, stati psicologici, uso del
214
UNA scuola che comunica
punto di vista, interno alle vicende, di un protagonista o di un testimone, reale o
ipotetico, ecc. hanno segnato il passaggio dallo straight reporting all’interpretative
reporting, dalle news alle features (dal risvolto romanzesco), dalla chiarezza descrittiva allo «stile» letterario.
Il giornalismo non è solo il racconto della notizia, ma anche il commento e
l’interpretazione dei fatti, solitamente scritti da grandi firme giornalistiche o da
esperti.
Su ogni giornale troveremo, quindi, gli editoriali e i cosiddetti corsivi, ovvero
valutazioni degli eventi affidate a penne sapienti. In particolare il giornalismo politico, a differenza della cronaca o del reportage, non può limitarsi ai fatti, perché
il pubblico esige un commento.
L’editoriale è l’articolo collocato in posizione di apertura in alto a sinistra della
prima pagina, senza occhiello e sommario e, se non è firmato, è espressione della
linea politica del giornale nel suo complesso, anche se non è più come in passato
necessariamente scritto dal direttore.
È però espressione di un redattore autorevole o di un collaboratore di prestigio
su un tema di particolare rilievo nel momento.
Il corsivo è invece un commento polemico, tra l’ironico e il tagliente: i Fortebraccio dell’«Unità» e i Controcorrente del «Giornale» di Montanelli sono stati
un importante esempio in Italia.
Tra la cronaca e il commento si colloca anche il servizio di reportage, che
non è un semplice resoconto dell’avvenimento nel suo farsi, ma la ricerca di nessi
significativi tra fatti e altri fatti per dare loro la rilevanza di una storia, articolata
in sequenze. Il reportage è legato all’idea del racconto di viaggio: territori lontani,
culture diverse rappresentate dall’inviato del giornale. Racconti affascinanti e suggestivi, messi però in crisi dalla globalizzazione televisiva e dal turismo di massa.
Nella tradizionale nomenclatura degli articoli, un posto importante è rappresentato dalle inchieste di tipo investigativo, che prendono il nome dal linguaggio
giudiziario e si articolano in più puntate (soprattutto nei settimanali), coinvolgendo
più giornalisti nel delicato compito di scoprire verità nascoste e di esprimere valutazioni critiche su realtà controverse o oscure. Ci sono poi le inchieste sociologiche
di tipo conoscitivo; le interviste che, contrariamente alle apparenze, risultano un
genere molto difficile, perché richiedono competenza (quello che il manuale inglese Practical newspaper reporting definisce «background»; Harris e Spark, 1966)
e padronanza tecnica nella giustapposizione e articolazione delle domande e delle
risposte; il pastone o nota politica, in cui si elencano i fatti politici più importanti
della giornata; le notizie specialistiche di carattere economico e finanziario; gli articoli sportivi, ricchi di espressioni metaforiche creative; le recensioni di spettacoli
teatrali e cinematografici o di libri.
238
UNA scuola che comunica
11. Il telegiornale come oggetto di analisi
Una volta chiariti gli aspetti tecnici e linguistici della produzione di un telegiornale, ovvero dopo aver fornito gli strumenti operativi, è utile passare alla sua
analisi. Ai fini di una lettura formativa dei media, volta a un consumo consapevole
dei prodotti audiovisivi, si tratta innanzitutto di esaminare il concetto-chiave di
rappresentazione, individuando l’intenzionalità comunicativa che si costruisce tra la
cosa rappresentata e il modus della sua rappresentazione. Come abbiamo visto, l’atto
comunicativo è frutto di una negoziazione tra un emittente e un ricevente, cioè fra
coloro che entrano in relazione all’interno di un contesto, con il fine di rendere il
messaggio veicolato il più efficace possibile. Ovviamente, nel processo comunicativo,
le informazioni vengono rielaborate sia dall’emittente sia dal ricevente in base alla
cultura, ai valori, alle esperienze precedenti, all’ambiente sociale e professionale.
Partendo da questa premessa è possibile, seppure con qualche eccezione dovuta
principalmente all’introduzione dei canali all news o alla continua ridefinizione del
«TG La7», ricondurre i telegiornali generalmente a due modelli: generalista-oggettivo e
interpretativo-esplicativo (Buscema, 1982). Al primo tipo fanno riferimento il «TG1» e
il «TG5» in quanto, rivolgendosi a un pubblico eterogeneo, organizzano e presentano
i palinsesti, i contenuti e il linguaggio in modo da superare le differenze presenti
tra i destinatari dell’informazione (Simonelli, 2005, pp. 24-25). In questo caso, i
TG si definiscono «oggettivi» perché durante la loro enunciazione «lo spettatore ha
l’impressione, certo illusoria, di trovarsi direttamente di fronte agli eventi, in quanto
il discorso sugli avvenimenti viene fatto attraverso gli oggetti stessi dell’avvenimento»
(Simonelli, 2005, p. 26). I servizi, cuore del modello, si presentano come una visione
diretta della realtà e non come una messa in ordine della stessa.
Al secondo modello, quello interpretativo-esplicativo, sono riconducibili
altri due telegiornali, il «TG3» e il «TG4». Nella loro evidente differenziazione
editoriale, questi telegiornali prediligono «una forte densità della rappresentazione dei soggetti informatori, con la messa in scena dello spazio e del tempo della
produzione informativa, della cosiddetta fabbrica delle notizie» (Simonelli, 2005,
p. 30). Danno una forte visibilità sia alle figure giornalistiche sia allo spazio redazionale. Infine, sono «esplicativi» nella misura in cui tentano di spiegare la realtà
permettendo di «costruire una lettura ordinata e coerente del mondo: un ordine e
una coerenza che non appartiene evidentemente alla realtà, ma al discorso che su
di essa viene svolto» (Rivoltella, 1998, p. 21).
Queste due macrotipologie, nel panorama giornalistico televisivo italiano, diventano utili ai fini dello studio e, in particolare, della scelta dei TG da analizzare.
A scuola di telegiornale
239
Smontare la rappresentazione
Il découpage è il primo obiettivo dell’analisi testuale degli audiovisivi. La
scomposizione della rappresentazione consiste, in primo luogo, nello smontare il
programma informativo nelle sue componenti costitutive (attraverso una visione
reiterata dei telegiornali presi in esame) e nella trascrizione grafica degli stessi per
ovviare alla parzialità di una visione unica e di una ricostruzione soggettiva del
contenuto. Il passo successivo connota un’analisi dei codici utilizzati e delle strutture narrative messe in atto. Come suggerisce Rivoltella (1998, p. 21), «si tratta
della capacità di vedere il testo [giornalistico] in maniera diversa, di sottoporlo a
uno sguardo disincantato che ne metta a nudo l’anatomia».
Un esercizio semplice per iniziare l’analisi è quello di visionare i titoli di apertura
dei principali telegiornali italiani, individuando e confrontando la rilevanza degli
argomenti proposti, l’ordine e il numero delle notizie. Probabilmente emergeranno,
da subito, differenze e somiglianze proprie delle linee editoriali dei diversi TG.
Dopo una discussione introduttiva dei titoli dei TG, dal punto di vista della
metodologia utilizzata, questo livello d’analisi prevede la trascrizione del sommario
d’ogni telegiornale preso in considerazione, evidenziando l’argomento, il genere e
la durata parziale dei singoli servizi e quella totale (tabella 14.1).
TABELLA 14.1
Griglia di analisi per la trascrizione del sommario
Argomento
Genere
Durata parziale
Durata totale
A partire dai dati raccolti si effettua un’analisi del contenuto comparata tra i
differenti TG, valutando il criterio gerarchico delle notizie, il ruolo e la prevalenza
dei diversi generi, lo spazio e il ruolo delle interviste, le notizie in comune tra i
TG. In aggiunta, è possibile approfondire alcuni servizi, ritenuti più significativi,
per mezzo di una trascrizione che preveda da un lato il testo e le dichiarazioni
degli intervistati, dall’altro il contenuto delle immagini e gli eventuali movimenti
di camera (tabella 14.2).
La pubblicità sui banchi di scuola
253
È chiaro che tale lavoro raggiunge diversi livelli di approfondimento a seconda
del ciclo scolastico in cui viene effettuato e del grado di profondità degli strumenti
di classificazione e scomposizione utilizzati. Se nelle scuole primarie può essere
sufficiente un’analisi descrittiva degli elementi di uno spot, in quelle secondarie
di primo e secondo grado occorre realizzare una valutazione più dettagliata delle
tecniche comunicative utilizzate.15
Una lettura approfondita della pubblicità a scuola permette, dunque, di conoscerne i meccanismi e il linguaggio, rendere palese ciò che è nascosto, analizzare
modelli sociali più o meno occulti, snidare eventuali stereotipi e comprendere i
meccanismi di difesa attivati da bambini e ragazzi di fronte alla pervasività e alla
ripetitività della pubblicità. Così, l’educazione alla lettura e alla decodifica di un
messaggio pubblicitario offre un’utile possibilità di arricchimento formativo in
una scuola al passo con i tempi e aperta ai molteplici stimoli che la società della
comunicazione offre.
3. L’officina della pubblicità
Il lavoro sulla pubblicità può rivelarsi un efficace strumento didattico sia nella
lettura di messaggi pubblicitari selezionati dagli insegnanti o dai ragazzi sia nella
scomposizione e ricomposizione di un annuncio, con l’intento di modificarne
l’effetto.
Un esercizio più complesso potrebbe essere, invece, quello di costruire nuovi
messaggi o campagne pubblicitarie.16 In questo caso, l’insegnante potrebbe suddividere la classe in gruppi che riflettano la struttura di un’agenzia pubblicitaria.
L’agenzia, in genere, cura tutti gli aspetti della pubblicità, dalla definizione delle
strategie di base (che cosa dire, come dirlo, dove dirlo) alla realizzazione della
campagna in tutte le sue fasi, compreso l’acquisto degli spazi sui mezzi di comunicazione e la produzione dei materiali necessari per stampare un annuncio sui
giornali o trasmettere un filmato in TV.
Questo non significa che tutte le attività connesse alla produzione di una
campagna di comunicazione siano svolte all’interno dell’agenzia. Fotografie, disegni,
film e musiche sono realizzati, di solito, da professionisti esterni.
Si rimanda ad altre sedi per l’approfondimento degli strumenti di analisi della pubblicità e le
indicazioni per costruire spot e annunci originali: Zanacchi (1999a); Vecchia (2006); Codeluppi
(1997).
16 «Per campagna pubblicitaria s’intende una serie coordinata di messaggi pubblicitari che, veicolati
attraverso uno o più media, mirano a raggiungere un obiettivo prefissato» (http://it.wikipedia.
org/wiki/Campagna_pubblicitaria).
15
254
UNA scuola che comunica
Anche se agenzie diverse spesso sono organizzate in modo differente, la maggior
parte fa riferimento a un modello preciso. I principali reparti in cui è strutturata
l’agenzia e le rispettive funzioni sono:
– reparto contatto: le persone che vi lavorano si chiamano account17 e hanno il
compito di coordinare l’attività di tutti i reparti dell’agenzia, mantenendo le
relazioni con i clienti dei quali si occupano;
– reparto creativo: il suo compito è ideare ed eseguire la campagna pubblicitaria o
sovrintendere alla sua realizzazione nel caso in cui essa sia affidata a collaboratori esterni; in genere, a capo di ogni reparto creativo c’è un direttore dal quale
dipendono una serie di coppie creative formate ognuna da un art director e un
copywriter; dopo una prima fase in cui assieme elaborano alcune idee condivise,
il primo si occupa dell’impostazione grafica dell’annuncio, dei disegni o delle
foto da utilizzare, mentre il secondo si occupa della scrittura dei testi (headline
e bodycopy);
– reparto media: chi ci lavora sceglie e acquista gli spazi pubblicitari nei mezzi di
comunicazione; il documento che riassume le scelte di questo reparto si chiama «piano media» e la sua stesura è un’operazione complessa, il cui obiettivo è
ottimizzare gli investimenti, ovvero fare in modo che il maggior numero delle
persone interessate al prodotto da pubblicizzare veda la campagna il maggior
numero di volte;
– reparto amministrazione: come in tutte le aziende, cura l’aspetto amministrativo
e finanziario dell’impresa.18
Non tutti questi settori sono necessari in una simulazione del lavoro d’agenzia a uso didattico. Il reparto amministrativo, per esempio, può essere trascurato;
il reparto media, invece, diventa poco rilevante nel caso in cui sia l’insegnante a
decidere se analizzare o costruire annunci stampa o manifesti, più semplici da
realizzare nel contesto scolastico rispetto agli spot radiofonici o televisivi. Buona
parte del lavoro si concentra così nei reparti contatto e creativo.
Gli account possono essere executive, supervisor o director a seconda delle loro funzioni specifiche
e del livello di responsabilità.
18 Le agenzie che hanno al proprio interno le funzioni contatto, creativa, media e amministrativa si
chiamano «a servizio completo».
17