LA CERVA, LA PULCE E LA VECCHIA SCORTICATA di
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LA CERVA, LA PULCE E LA VECCHIA SCORTICATA di
LA CERVA, LA PULCE E LA VECCHIA SCORTICATA di Giambattista Basile Tre brani dalle fiabe di Lo cunto de li cunti tradotte in italiano moderno da Bianca Lazzaro Donzelli Editore Brano da La pulce: Una volta, il re d’Altomonte, essendo mozzicato da una pulce, l’afferrò con pronta destrezza e vedendola tanto bella e florida non se la sentì di condannarla al patibolo dell’unghia; perciò la mise in una caraffa e, a furia di pascerla ogni giorno del sangue del suo braccio, quella si fece così pingue che, in capo a sette mesi, bisognò cambiarla di posto, e divenne più grossa di un agnello. Al che il re la fece scuoiare e, conciata la pelle, gettò un bando: chi avesse indovinato di che animale era quel cuoio, avrebbe avuto in sposa sua figlia. Pubblicato l’annuncio, la gente arrivò a branchi, e vennero fin dal culo del mondo per sottoporsi a quella prova e tentare la sorte. Chi diceva che era una pelle di gatto mammone, chi di lince, chi di coccodrillo, chi di un animale e chi di un altro; ma tutti restavano lontani le cento miglia e nessuno centrava il bersaglio. Alla fine, si presentò a quella prova d’anatomia un orco, che pareva la cosa più immonda della terra e solo a guardarlo faceva venire la strizza, la cacarella, i vermi e i brividi, anche al più intrepido giovane di questo mondo. Costui, il tempo di arrivare, annusare e svolazzare sulla pelle a mo’ di mosca, fece subito centro dicendo: «Questa pelle è dell’arcicapo delle pulci»… Brano da La cerva fatata: …E così, mandati cento pescatori a mare, si misero a preparare arpioni, chiusarane, palamiti, tramagli, nasse, lenze e filaccioli, e tanto girarono e tanto voltarono, finché presero un dragone, gli cavarono il cuore e lo portarono al re, che lo diede da cucinare a una bella ancella. Questa si chiuse in una camera e, appena mise il cuore a cuocere sul fuoco, il fumo si levò dalla pignatta che bolliva, e non solo rimase incinta la bella cuoca, ma s’ingrossarono pure tutti i mobili della casa e in capo a qualche giorno figliarono pure quelli: il letto a baldacchino fece un lettuccio, il forziere fece un cofanetto, le sedie fecero seggioline, la tavola un tavolino e il vaso da notte fece un vasetto smaltato così bello ch’era una delizia. Cotto il cuore, appena la regina l’assaggiò, sentì che la pancia s’ingrossava, e quattro giorni dopo lei e l’ancella ebbero al contempo un bel figlio maschio, l’uno talmente spiccicato all’altro che non si riusciva a distinguerli. I due bambini crebbero insieme con un tale attaccamento che non sapevano stare l’uno senza l’altro; si volevano un bene così sviscerato che la regina cominciò a essere un poco invidiosa, vedendo che il figlio mostrava più affetto per il figlio di una serva che per lei, e non sapeva come fare a levarsi quella pagliuzza dall’occhio… Brano da La vecchia scorticata: S’erano ritirate in un giardino, su cui affacciava il re di Roccaforte, due vecchierelle che erano il sunto delle disgrazie, il protocollo delle magagne, il libro mastro della bruttezza: avevano le ciocche ispide e scompigliate, la fronte grinzosa e bitorzoluta, le ciglia scarruffate e setolose, le palpebre rigonfie e cascanti, gli occhi guasti e sformati, la faccia gialliccia e incartapecorita, la bocca slargata e sbieca e, come se non bastasse, la barba da capretta, il petto peloso, le spalle gibbose, le braccia storpie, le gambe sciancate e sbilenche e i piedi rattrappiti. Ragion per cui, non volendo mostrare manco al Sole quella brutta cera, se ne stavano rintanate in un basso al pianterreno, sotto le finestre di quel gran signore. Il quale era ridotto al punto da non poter fare manco una scorreggia senza che urtasse il naso di quei due bubboni, che per ogni inezia bofonchiavano e davano in smanie: ora dicevano che un gelsomino caduto da sopra gli aveva fatto un bernoccolo sulla pelata, ora che una lettera stracciata gli aveva storto una spalla, ora che un poco di polvere gli aveva ammaccato una coscia. Tanto che, sentendo una tale caterva di delicatezze, il re si figurò che sotto di lui ci stesse la quintessenza delle morbidezze, il primo taglio delle polpe sopraffine, il fior fiore del tenerume, motivo per cui gli montò una fregola da ogni fibra e una voglia sin dal midollo di vedere quella meraviglia e di mettere in chiaro la faccenda…