La libertà si conquista a passo di danza
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La libertà si conquista a passo di danza
Senegal Una scena dello spettacolo Afro-dites/Kaddu jigeen! La libertà si conquista a passo di danza Marie-Christine Vernay, Libération, Francia. Foto di Thomas Dorn A Toubab Dialaw, sulla costa del Senegal, la coreografa Germaine Acogny ha fondato la prima scuola internazionale di danze africane a voce del muezzin sovrasta il canto del gallo. Il sole sorge sul villaggio di Toubab Dialaw, in riva all’oceano, circa cinquanta chilometri a sud di Dakar. Un gruppo di pescatori lebu è già in mare, come la maggior parte degli abitanti della zona. Sopra il villaggio, il centro internazionale di danze africane École des sables si sveglia lentamente. Senza il sottofondo dei sabar, le percussioni che accompagnano i corsi e i momenti di svago, regna il silenzio. La brezza siora il tendone che fa ombra alla palestra L 50 Internazionale 1010 | 26 luglio 2013 all’aperto. Gli allievi africani e quelli della scuola Performing arts research and training studios (Parts) di Bruxelles escono dalle casette in muratura diretti alla mensa. La colazione è pronta e Adama dirige la sua truppa di cuoche con grande maestria. La danzatrice e coreografa francosenegalese Germaine Acogny, 69 anni, che ha creato il centro insieme al marito Helmut Vogt, è già partita per la boscaglia con un gruppo di turisti. Intanto gli allievi s’incontrano per proporre delle brevi coreograie da presentare alla ine del loro stage. Sono tutti allegri, anche se il sole scotta la pelle, le zanzare sono aggressive e il caldo è opprimente. Tuttavia per questa scuola – e per la qualità dell’insegnamento, che mescola tecniche tradizionali ed elementi di danza contemporanea – vale la pena di fare qualche sacriicio. Il rapper Djino Alolo, 22 anni, è originario della Repubblica Democratica del Congo. Ballerino di hip hop, si prepara a danzare con Olivier Dubois, il nuovo direttore del Centre choréographique national di Roubaix, in Francia. “È fantastico”, dichiara Alolo. “Da due mesi parliamo solo d’arte. La concentrazione è massima e questo mi spinge a continuare su questa strada. Nel mio paese molti si sentono persi per colpa della guerra e della violenza. La mia è la prima generazione di congolesi che si dedica alla danza contemporanea”. Alolo ha seguito dei corsi di diritto. Non per diventare un magistrato, ma per “non rimanere un ignorante”. Anche la camerunese Michèle Adele, 27 anni, ha una causa da difendere: le donne. Studia storia del femminismo e dice che quando sarà madre non vorrà avere molti igli. Vorrebbe concentrarsi sulla danza e, attraverso quest’arte, portare avanti le sue battaglie. Acogny sa che molte donne hanno aspirazioni simili. È stata una delle prime a dedicarsi alla danza sperimentale, pur non rompendo con la tradizione. Nel 1968 ha aperto la prima scuola di danza a Dakar. Tra il 1977 e il 1982 ha diretto la scuola Mudra Afrique di Maurice Béjart, inché l’istituto non è stato chiuso per mancanza di fondi. Acogny, però, non ha abbandonato l’idea di lanciare un progetto pedagogico in Africa. Dopo molte battaglie, nel 2004 ha inaugurato a Toubab Dialaw l’École des sables, il primo centro di formazione per danzatori africani. E non si è fermata qui. Dopo aver creato la compagnia di danza maschile JantBi, che ha riscosso un certo successo, ha formato anche il gruppo femminile Jant-Bi Jigeen con l’aiuto del iglio Patrick, coreografo e ricercatore in arti dello spettacolo all’università Paris VIII. Nove afroditi La presenza a Toubab Dialaw di nove “Afrodites”, che si allenano e provano ogni giorno, contribuisce all’euforia degli altri studenti. La storia di queste danzatrici è esemplare. Molte di loro sono originarie del villaggio e, prima di incontrare Acogny, conoscevano solo le danze cerimoniali per le feste che scandiscono la vita locale. Da piccole, si mettevano davanti al muro della casa bianca di Acogny per osservarla, sognando di poter un giorno salire su un palcoscenico, come “mama Germaine”. N’Daye Toufy Dafé, 28 anni, è una delle danzatrici dello spettacolo Afro-dites/Kaddu jigeen!. Single, madre di un bambino di sette anni, Dafé dice di cercare qualcosa che nella vita non ha ancora trovato: la fedeltà. Ha conosciuto suo padre quando aveva 17 anni, è cresciuta insieme alla zia e non ha potuto frequentare la scuola prima dei dodici anni perché la sua famiglia non aveva abbastanza soldi. Sua madre, morta nel 2003, zoppicava e si guadagnava da vivere vendendo il pane. Dafé dice di aver vissuto “sempre con la pancia vuota” e per questo a scimento africano di Dakar, che è stato fonte di polemiche perché, secondo alcuni imam, la statua della donna ha un vestito troppo corto. Per cambiare la mentalità della gente la strada è ancora lunga e lo spettacolo, senza essere troppo provocatorio, si schiera dalla parte della libertà delle donne. Nei frammenti di vita portati in scena si affrontano vari tabù e temi come la religione, la poligamia, lo stupro, la prostituzione, la schiavitù domestica, il khessal (l’usanza di sbiancarsi la pelle). Un archivio speciale scuola faticava a concentrarsi. Oggi comincia a guadagnarsi da vivere ballando: “La nostra è una professione. Germaine ce lo ricorda spesso”. Anche Yama Mariama Ndione, 32 anni, è nata nel villaggio. Alla scuola coranica che frequentava da piccola non ballava, a malapena si muoveva. Quando ha conosciuto Acogny, nel 1998, ha seguito un primo corso di formazione di tre mesi. “All’inizio”, racconta, “era complicato, danzavo e portavo il velo, era strano per gli altri. La mia famiglia era all’oscuro di tutto, pensava che il mondo della danza fosse rischioso. Ma alla ine mi sono detta che non me ne importa niente”. Ndione ha dovuto divorziare a causa della sua scelta. Suo marito non approvava. Al contrario, alcuni suoi parenti hanno riconosciuto che la danza è un mestiere serio. “Nello spettacolo Afro-dites parliamo a nome di tutte le donne”, racconta. “Osiamo dire quello che pensiamo”. Ramatoulaye Sass, 31 anni, viene da Saint-Louis, nel nordovest del Senegal. È nata in una famiglia di griot (cantastorie). Sua madre danzava nella compagnia di ballo nazionale. La strada per lei era segnata, anche se Sass ci tiene a far sapere che ha dovuto seguire un lungo apprendistato. Single senza igli, dice di aspettare ancora l’uomo che fa per lei. “Nello spettacolo diciamo cose importantissime e di grande attualità, ma io ho ancora molto da esprimere e aspetto il momento in cui potrò farlo”. Lo spettacolo Afro-dites/Kaddu jigeen! si basa su una coreograia un po’ rigida di Germaine e Patrick Acogny. Mescolando danza tradizionale e contemporanea, le giovani si mettono in mostra, si prendono in giro, si arrabbiano e rivendicano uno spazio che va oltre quello che viene solitamente assegnato alle donne africane. Lo spettacolo fa l’occhiolino alla statua che si trova a place de la Femme a Bobo-Dioulasso, in Burkina Faso, e che rappresenta una donna con in mano una scopa. Ma anche al Monumento al rina- Il sole tramonta a Toubab Dialaw. Patrick Acogny pensa al compito che lo attende: prendere il posto della madre. “È stata la sua danza a ispirarmi quando avevo 23 anni”, racconta. “Sento il dovere di andare più lontano, di trovare la mia strada. Questa scuola è il sogno di Germaine ed Helmut, e io sono il loro erede. Non mi resta che accogliere questo dono e realizzare il mio sogno: attirare i migliori danzatori, fornirgli degli strumenti, compreso un bagaglio intellettuale solido che gli permetta di progredire e inventare la danza del futuro”. Germaine Acogny, dal canto suo, può inalmente riposarsi. Sta mettendo insieme un archivio prezioso sia per la storia della danza sia per quella dell’Africa. Oltre alle foto della scuola Mudra Afrique, Acogny ha trovato il coltello di un feticcio nago, un’etnia dell’Africa occidentale, che le aveva tramandato suo padre. Lui l’aveva ricevuto a sua volta dalla madre, Yaoisa Abofo, nata a Meko, in Nigeria, e portata come schiava in Dahomey (l’attuale Benin) dopo una guerra tra le etnie fon e nago. Con il calare della notte arriva l’ora in cui si raccontano delle storie. Acogny versa un po’ di whisky per terra in onore dei suoi antenati. In una specie di bar, gli allievi ascoltano i racconti dei compagni in wolof, in portoghese (ci sono alcuni capoverdiani), in francese. Le nove “Afro-dites” sono tornate al villaggio. Le donne che raccolgono il sale nella laguna hanno inito di lavorare. Alcune piroghe navigano in lontananza. Helmut Vogt sogna dei crauti tedeschi e non nasconde di essere preoccupato. Il futuro della scuola è incerto. Una delle fondazioni che la sosteneva ha appena sospeso i inanziamenti e per il momento non è ancora stato trovato un modo di rimpiazzarla, a parte la creazione di un’associazione di amici dell’École des sables. Intanto il villaggio si addormenta, in balìa dei cani randagi. Domani i tamburi tradizionali, djembé e sabar, torneranno a suonare. u gim IInternazionale 1010 | 26 luglio 2013 51