CREA:I Boschi in Italia

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CREA:I Boschi in Italia
CREA:I Boschi in Italia
A cura dell’Ufficio Stampa
La crescita incontrollata dei
boschi italiani
Nel nostro Paese le foreste coprono un terzo del territorio e continuano ad avanzare. Il bosco
ha preso il posto di pascoli e coltivazioni. E sta diventando sempre più impenetrabile,
indifendibile in caso di incendi
di Federico Formica
Bosco dell'Appennino centrale. Fotografia di Barbara Dall'Angelo
In Italia, di anno in anno, le foreste avanzano inesorabili. La superficie boscata nel nostro Paese ha raggiunto i 10,9
milioni di ettari. Rispetto al 2005 è il 5,8% in più. In trent'anni i boschi hanno conquistato oltre 3 milioni di ettari. E oggi
coprono un terzo della nostra penisola.
I numeri, recentemente pubblicati dal Crea nell'Annuario dell'agricoltura italiana 2014, sono questi. Ma come dobbiamo
interpretarli? L'inarrestabile avanzata del bosco è una bella notizia? In realtà, no. Perché è il risultato
dell'abbandono, non di politiche mirate. Nel rapporto si legge come, in media, solo 1.700 ettari l'anno siano dovuti a
interventi di rimboschimento. Il bosco si impossessa di prati d'altura dove le vacche non vengono più portate a
pascolare, di terreni incolti da decenni. Sono praticamente scomparse le malghe. Lo stesso destino è toccato ai
terrazzamenti con i quali gli agricoltori di montagna sfruttavano ogni singolo metro quadrato a loro disposizione. Quella
tendenza che Mario Rigoni Stern raccontava già 30 anni fa nei suoi racconti sull'altopiano di Asiago, si è
poi estesa su scala nazionale.
La storia recente delle foreste italiane è legata a doppio filo all'abbandono delle aree rurali. È una storia che comincia più
o meno negli anni Cinquanta e ha un finale imprevedibile. Perché è un'evoluzione ecologica mai vista prima d'ora nella
storia del nostro paese dopo l'anno Mille.
Da “giardino” a giungla
Negli anni Trenta in Italia si stimava vi fossero circa 4 milioni di ettari di bosco (Agnoletti M., The Italian Historical Rural
Landscape), contro gli 11 di oggi. In parte, questo era dovuto ad un utilizzo intensivo delle nostre foreste e alle
devastazioni ambientali della Prima guerra mondiale. Situazione analoga si è ripetuta nel secondo Dopoguerra quando
furono promulgate le prime, e uniche, leggi volte proprio ad un rimboschimento massiccio del territorio italiano. Tuttavia
non è solo una questione di quantità, ma di qualità del bosco.
“Negli ultimi decenni oltre ad aumentare la superficie coperta dal bosco è aumentata soprattutto la densità forestale.
Significa che c'è molto meno spazio tra un albero e l'altro e un sottobosco che, sempre più spesso, è ormai
impenetrabile” spiega Raoul Romano, ricercatore del Centro di politiche e bioeconomia del Crea ed esperto di politiche
ed economia forestale, co-autore del capitolo dell'Annuario dedicato ai boschi insieme a Maria Rosaria Pupo D'Andrea.
“Per capire quello che è successo bisogna anche ricordare che all'inizio degli anni Sessanta, il 50% delle cucine italiane
era ancora alimentato a legna. Il gas ha raggiunto la totalità delle abitazioni solo nei primi anni 70”. Il legno è stato per
millenni una materia prima fondamentale e l’unica risorsa energetica. Per cucinare e per riscaldare gli ambienti. “Ecco
perché allora era quasi impossibile trovare un ramo secco in un bosco. Perché le foreste venivano coltivate, gestite e
controllate. Tanto che Victor Hugo e i grandi viaggiatori dell‘800 paragonavano i nostri boschi a dei giardini” continua
Romano. Oggi, parlare di “gestione del bosco” è impopolare, ma la crescita incontrollata fa male al bosco stesso.
“Una foresta impenetrabile è quasi indifendibile in caso di incendio o di attacchi parassitari. Abbiamo avuto molti esempi
a riguardo negli ultimi anni: dalla Sardegna alla Calabria alla Puglia. Spesso è impossibile entrare nel bosco per
spegnere le fiamme e l'unica alternativa è quella dei Canadair, ma a volte neanche questi bastano ”. Anche le bufere di
vento fanno strage di alberi, nonostante sia quasi impossibile trovare qualche notizia a riguardo sui media nazionali.
Centinaia di ettari di bosco cancellati da un devastante effetto domino, in cui un albero spezzato dal vento abbatte quello
adiacente, e così via. Anche in questo caso, non è colpa della natura ma dell'uomo.
Gli errori del passato
Già, perché nel secondo Dopoguerra in Italia una politica di rimboschimento è stata fatta. Ma è stata fatta male, senza
tener conto della biodiversità tra una zona e l'altra del nostro Paese né alcun riguardo per le specie autoctone. “Per
rimboschire si utilizzarono soprattutto eucalipto e pino nero, anche in zone dove non erano mai cresciuti prima d'allora”,
continua Romano, che è anche consulente per il ministero delle Politiche agricole e forestali (Mipaaf).
Tuttavia, nel passato qualcosa l'abbiamo azzeccata. Già dagli anni Trenta, con la legge Serpieri, il prelievo di legname soprattutto in montagna - doveva e deve ancora oggi rispettare il cosiddetto “vincolo idrogeologico”. Che non significa
vietare il taglio del bosco ma gestire in modo oculato il patrimonio forestale. Per evitare il dissesto idrogeologico e le
inondazioni a valle, ma soprattutto per controllare la crescita dei boschi. Un principio che in un certo senso è stato poi
elevato a sistema negli anni Novanta in tutta Europa con la Gestione forestale sostenibile. Ma che nel frattempo noi
abbiamo dimenticato. “Gestire un bosco non significa solamente tagliare alberi, la gestione forestale è un processo
colturale e culturale che accompagna lo sviluppo di una risorsa valorizzandone i beni economici e i servizi ecosistemici
che questa può fornire all’uomo, oggi come in futuro” puntualizza Romano.
Gli intoccabili
Nell'Annuario del Crea c'è un altro dato che, a prima vista, potrebbe sembrare incoraggiante. Ogni anno si utilizza (cioè
si taglia) solo il 30% della nuova superficie boschiva. Significa che, ogni anno, per 100 nuovi alberi che nascono se ne
tagliano 30. Mentre in Europa si preleva, in media, il 60% della nuova biomassa e in Paesi come l'Austria si supera il
90%.
Il risultato – come si legge nel report del Crea - è che poi l'Italia importa più l'80% della legna dall'estero. E pensare che
la legna ci servirebbe eccome: “La nostra industria del legno è la prima in Europa con un fatturato superiore persino
all'Ikea. Le cucine e gli arredamenti made in Italy sono apprezzati in tutto il mondo. Tutto questo, con legna che arriva da
altri Paesi” spiega il ricercatore del Crea. A rifornirci di biomassa sono soprattutto i nostri vicini: Francia, Slovenia,
Austria, Croazia e Svizzera.
Anche i (tanti) impianti a biomasse disseminati per il nostro Paese, sarebbero fermi senza la materia prima
d'oltreconfine. L'Italia ha nei suoi boschi un potenziale economico inutilizzato. E anche se il prelievo di legna
raddoppiasse rispetto a oggi, le nostre foreste continuerebbero ad aumentare di anno in anno.
In tutto questo, sembra quasi incredibile che stia aumentando anche il cemento. Nel 2013 (dati Ispra) si è registrato il
record di consumo di suolo in Italia: +6,9% (negli anni '50 era al 2,7%). Siamo stretti in una morsa. Cemento da una
parte, bosco selvaggio dall'altra. A perderci è la qualità del suolo, la pastorizia e l'agricoltura.