Re Orso e l`anomalia del gotico italiano
Transcript
Re Orso e l`anomalia del gotico italiano
Camilla Orlandini Re Orso e l’anomalia del gotico italiano Attraverso lo studio della letteratura gotica inglese si può constatare come lo sviluppo del gothic novel sia fortemente connesso con la nascita di un nuovo genere: il romanzo. Se in Inghilterra riscontriamo la comparsa e la diffusioni del novel già dalla metà del Settecento1, in Italia la situazione è differente. La storia del romanzo italiano è, per dirla con Asor Rosa “naturalmente una storia anomala2”: nonostante la produzione novellistica sia fiorente almeno fino al tardo Cinquecento e la diffusione del poema cavalleresco possa considerarsi come una forma che precorre il genere del romanzo, per l’atto di nascita vero e proprio bisognerà aspettare Manzoni con i suoi Promessi Sposi. Al ritardo nell’importazione del genere romanzo corrisponde una scarsa diffusione del gotico come genere codificato con delle regole fisse e dei topoi ricorrenti: troviamo degli elementi macabri e orrorifici nella produzione novellistica; temi come quelli del viaggio e della ricerca si rintracciano nei poemi cavallereschi; non si è immuni neanche da un’attrazione per il malvagio, come dimostrano le figure di Armida e Satana nella Gerusalemme Liberata. Tuttavia, nonostante gli autori inglesi spesso scelgano proprio la penisola italiana come ambientazione dei propri gothic novel – basti pensare a The Castle of Otranto di Walpole o a The Italian di Ann Radcliffe – è proprio nel nostro paese che questo tipo di produzione scarseggia. Le tematiche del gotico iniziano ad essere riprese nell’ambito della Scapigliatura, in particolare Tarchetti si rifà alle tematiche del sovrannaturale, con i Racconti Fantastici del 1869 e Fosca, romanzo dello stesso anno che riprende il tema, largamente presente nei racconti di Edgar Allan Poe, della donna fatale come malattia che porta alla rovina. Alla Scapigliatura appartiene anche un altro intellettuale: Arrigo Boito. Nato a Padova nel 1842, diventa librettista, poeta e compositore. Il suo interesse principale è quello musicale, scrive due opere tratte da Shakespeare per Verdi e diversi altri libretti d’opera, tra cui il più famoso è il Mefistofele, ispirato al Faust di Goethe. Oltre a questa produzione si dedica anche ad altri generi che si intrecciano con il gotico: il racconto Alfier nero e il poemetto teatrale Re Orso3, la cui prima stesura risale al 1865 e l’edizione definitiva al 1905. Del Re Orso Boito scrive: «questo Re Orso è una cosa matta, la chiami pure una leggenda, una fiaba, una ballata; la scrissi a vent’anni quando ero più pazzo di adesso e quando non mi 1 L’opera considerata come capostipite del genere è Pamela di Samuel Richardson, pubblicato nel 1740. Alberto Asor Rosa, La storia del romanzo italiano? Naturalmente, una storia anomala, in Il Romanzo, a cura di F. Moretti, vol. III, Storia e geografia, Torino, Einaudi, 2002, pp. 255-306 3 Arrigo Boito, Re Orso, Empirla, Roma 2011. 2 1 dispiaceva ancora di comparire agli occhi del pubblico sotto vesti strane». In effetti risulta difficile classificare questo prodotto ibrido, definito «favola stramba». La trama è semplice: siamo nell’Alto Medioevo, prima dell’anno Mille, a Creta, luogo che rimanda all’immaginario del Minotauro. A metà tra uomo e belva sembra anche essere il sovrano di quel luogo, lo spietato Re Orso che vive in una favolosa reggia, diviso tra un serraglio di donne e uno di belve. I divertimenti e il lusso sfrenato che caratterizzano la vita del monarca sono turbati da una voce notturna che continua a ripetere i versi «Re Orso ti schermi dal morso dei vermi». L’incubo si ripete per tre volte, le voci vengono attribuite da Papiol, il buffone di corte, prima a una foca, poi a una gazza, infine a un poeta; le prime due vengono uccise proprio dal boia Trol, l’ultimo riesce a sopravvivere all’ago avvelenato di Papiol grazie alla sua corazza. La vendetta del Re si svolge durante una sontuosa cena, in cui sono invitati tutti i suoi ministri, lì il buffone di corte viene punito dal sovrano che lo fa cucinare nel pasticcio che gli aveva promesso dal cuoco e boia Trol. Durante la cena il Re offre più volte del vino alla sua silenziosa consorte, la bellissima Oliba, costretta con la forza al matrimonio, la giovane è sempre immobile e silenziosa fino a quando non porge al marito una mela da cui esce un verme. La visione turba Re Orso al punto tale che uccide sia sua moglie che la creatura che è uscita dal frutto. La seconda leggenda narra di Orso morto: troviamo il re che si confessa con un frate, narra l’ecatombe che aveva ordinato durante la cena, dato che non riusciva a liberarsi della voce che lo assillava. Alla fine nella reggia erano rimasti solo lui e Trol a cui il re dà ordine di uccidersi. Dato che la voce non cessa il sovrano scappa dal suo regno e vaga fino al momento della morte, in cui tenta di corrompere il prete promettendogli smisurate ricchezze. Tuttavia, il monaco si rivela essere il diavolo stesso e scompare dopo la morte del re lasciando vuoto il saio. Si celebrano in pompa magna i funerali del monarca e ad assistervi appare una figura inquietante: un’armatura vuota - un precursore del cavaliere inesistente - che scompare nell’oscurità alla fine delle esequie. Il finale descrive il viaggio del verme ucciso durante il banchetto, che arriva alla sepoltura del suo assassino e lo divora. La fiaba si chiude con l’evocazione dello spettro del re, i versi che lo assillavano diventano uno scongiuro e la morale finale è negata. Il testo presenta alcune caratteristiche che lo possono collocare nel genere fiabesco: il sottotitolo di Boito è proprio «Fiaba» ed è seguito da una citazione dalla Winter’s Tale di Shakespeare. Tuttavia, vediamo è evidente che non si tratta di una favola tradizionale, è lo stesso autore ad avvertirci nell’Esordio: « Pulzelle, pinzocchere – fantesche e comari che andate per vespero – sgranando rosari, se avete nell’anima – cristiano pensiero, se il prete vi predica – l’eterno Avversiero temete di leggere – la pagina orrenda 2 di questa leggenda4». Si possono rintracciare degli elementi appartenenti al regno del folklore e del fiabesco che vengono distorti in maniera macabra da Boito, i personaggi di Papiol e Trol forniscono un esempio calzante di questa operazione. La descrizione di Papiol è quella di un folletto: «Fu il Buffon da una mandragora messo al mondo, e appena nato era al par d’un dito mignolo picciol, magro, affusolato; poi restò sempre rachitico fin ch’ei visse ed infermiccio, che una torta ed un pasticcio fu la culla di Papiol. Per cimiero ei porta un guscio di castagna o di lumaca, una pelle di lucertola è sua calza ed è sua braca, gli filava una taràntola cinque corde al suo liuto; e non v’ha giullar più astuto del gobbetto Papiol5». La descrizione sembra corrispondere a una creatura fatata, l’abbigliamento richiama l’immaginario di un membro della corte di Oberon e Titania nel Midsummer Night’s Dream, tuttavia il lettore viene subito messo al corrente della natura crudele del gobbetto, il quale porta sempre con sé un pungiglione letale. L’altra figura fiabesca è quella di Trol, che a corte ricopre le mansioni tanto di cuoco quanto di boia: il nome sembra rimandare al gigante maligno e maleodorante della tradizione britannica, qui è un gigante ma probabilmente il modello è l’orso dell’Atta Troll di Heine. «Trol è un colosso negro, alto, grosso, ha una figura che fa paura; tocca il soffitto quando sta ritto, sulla vetraia tien la mannaia… . . . . . . . . . . . . . Bimbi, copritevi sotto il lenzuol, ché viene Trol! Trol, cuoco e boja, 4 5 Re Orso, p. 31, cit. Re Orso, p. 46, cit. 3 strangola e scuoja; strozza i puttelli, cuoce i tortelli, dà vita e morte, ma le sua torte, pei santi dei! Non mangerei6» Questi due personaggi possono essere considerati come dei doppi di Re Orso: Trol è l’emanazione della pura forza bruta, attraverso di lui si esprime la volontà di potenza del sovrano ed è talmente assoluta che porta il servo ad uccidersi da solo per un suo ordine. Papiol incarna l’opposto, la parte complementare del brutto, del deforme: rappresenta la satira, la caricatura, è un sostituto del boia che però trova la morte per non aver portato a compimento l’omicidio del Trovatore. Un altro doppio è il corrispondente diabolico: nelle figure del confessore e del cavaliere ritroviamo l’ironia di un potere che non riesce nemmeno ad essere fedele a sé stesso. Re Orso tenta di comprare la salvezza ma il suo confessore recita le preghiere a rovescio, fa il segno della croce al contrario. Il diavolo è il suo doppio e il suo ispiratore, vera prova che alla base di un potere assoluto non può esserci che il male. Infine un doppio nel doppio: gli oppositori. Oliba è oppositore passivo, la donna ebrea che suscita il desiderio solo per negarlo, il suo primo atto spontaneo è l’offerta della mela che la porta alla morte. L’oppositore attivo è, invece, il verme: è la voce perturbante che il re sente nella notte, è l’avvertimento che sbuca dalla mela e, infine, è il simbolo del tempo e del vuoto, rappresenta la caducità del potere. Il demoniaco è il rimosso di Re Orso e il verme è l’allegoria del potere stesso: ciò che si trova dietro il potere è semplicemente il vuoto. La voce che il sovrano sente ha un effetto perturbante perché proviene da una convinzione antica, remota ma totalmente umana: la caducità della vita mortale, la caducità del potere, questo è ciò che spaventa il sovrano e in quell’avvertimento non può che leggere un presagio di morte. Non è una morte solo fisica, è una morte che scava nelle illusioni umane, alla fine della sua vita il re non trova la pace: è proprio nella tomba che viene definitivamente annientato, il verme che ha ucciso gli dimostra quanto il suo potere sia illusorio. Tutte le sue emanazioni - i suoi doppi - vengono eliminati uno a uno per suo stesso ordine, l’uomo da solo è spinto al ritorno del superato, ovvero del precedente sistema di potere, che però poggia le sue basi sul nulla. Perturbante perciò, non solo perché presagio di morte ma anche perché condanna all’oblio, al vuoto. Questo vuoto è rappresentato non solo dal verme che scava nella tomba e nel cadavere del re ma anche dal prete e dal cavaliere. Entrambe le figure rientrano pienamente nell’immaginario 6 Re Orso, pp. 52-3, cit. 4 gotico: da quello religioso rovesciato che vede i monaci cedere alle tentazioni demoniache7, qui abbiamo una vera e propria invocazione di tutti i demoni, pagani e cristiani in una sorta di messa nera che ricorda il Baudelaire dei Fleurs du Mal: «Orcus tibi ducit pedes. Urla in barbaro latino Il bieco cappuccino. Sotto il letto un rospo gracida, come un prete al Giubileo, e par che all’orrenda antifona ei risponda: ora pro eo8». La scena vede anche la presenza del rospo, animale considerato come un’incarnazione del male, associato alla stregoneria sin dal 6000 dC. La minaccia più forte rimane il vuoto: oltre il potere e oltre il demoniaco c’è il nulla ovvero ciò che non conosciamo, la paura più remota dell’umanità. Ciò che realmente spaventa del prete e del cavaliere non è tanto quello che fanno, visto che in realtà non si dimostrano pericolosi, ma il loro scomparire, il simbolo di un annullamento. La «strana armadura» non contiene nulla: «O il bel cavaliero l’aspetto fatale, emana ribrezzo. Gorgiera, cimiero, corazza, cosciale, tutto è d’un sol pezzo. La strana armadura incute paura. Vedendolo scorrere leggier come un vento, le donne ed i bamboli si danno a pensar: “Nell’erta panoplia di bronzo e d’argento, per quale incantesimo poté penetrar?” La strana armadura incute paura9» . È un’altra voce senza corpo che si annuncia come antenata del re: ancora una volta, il vuoto, la vita umana e le sue vanità hanno base nel nulla. Tanto il frate quanto il cavaliere escono di scena con lo scatenarsi delle forze della natura: il primo nel terremoto e nel mare, il secondo nell’oscurarsi improvviso del cielo. 7 I paesi cattolici erano spesso sede delle ambientazioni dei gothic novel: si associava il cattolicesimo con la corruzione e la malvagità, si pensi a The Monk di Matthew Gregory Lewis o The Sicilian Romance di Ann Radcliffe. 8 Re Orso, p. 75, cit. 9 Re Orso, p. 81, cit. 5 Questi elementi hanno tutti un retroscena gotico: l’immaginario del cavaliere, lo scatenarsi delle forze della natura, l’espediente della voce senza corpo sono tutte caratteristiche rintracciabili nella tradizione inglese; così come l’ambientazione medievale e il gusto dell’esotico nel racconto. Il personaggio di Re Orso sembra ricalcare quello del Califfo Vathek di Beckford: sono sovrani potenti, crudeli, nella loro smania di potere lasciano i loro divertimenti e vanno incontro alla rovina. In particolare il tema della cena che si conclude con l’ecatombe richiama l’immaginario del Vathek, così come l’esotica bellezza di Oliba e la tragedia delle varie mogli del sovrano. Entrambi i personaggi rincorrono il sogno sfrenato del potere assoluto, sono voraci di tutto: cibo, vino, donne, potere. Se Vathek va incontro alla propria rovina seguendo Jaur e ritrovando nell’inferno la sua smania di dominio totale, Re Orso finisce per creare il vuoto intorno a sé in vita e anche a subirlo nella morte attraverso l’opera del verme. La scena della cena tragica ha diversi richiami tradizionali: dalle classiche tragedie greche in cui il banchetto diventa momento di vendetta, allo stesso Vathek, in cui la madre Carathis organizza spesso cene che si rivelano un’ecatombe. La volontà di dominio del Re Orso compie un passo oltre quella del romanzo gotico: Vathek, Victor Frankenstein cercano di dominare la morte; Re Orso cerca di costruirsi un monumento che dimostri il suo potere oltre la vita. Non si tratta più di salvezza o dannazione: il tema è quello della sopravvivenza nella memoria, l’immortalità acquisita attraverso la materialità. Anche l’erotismo e la sensualità trovano spazio in questa favola per una adulti: di grande effetto è la scena che Boito denomina Constrinctor: «“Oliba! per l’atra mannaia del boia! Oliba! pel sacro furore del Re! Per l’acre geènna! per l’Orco e la foia! Per mille assassinj che pesan su me! T’accosta, o fanciulla dal sen di cammeo, dal crin di basalte, dall’occhio giudeo, non far ch’io demente ti schiacci col piè. L’ansante tuo petto m’annodi di gioia! Oliba! per l’atra mannaia del boia! Oliba! pel sacro furore del Re!” (Ma Oliba non move né voce né passo par fatta di sasso; e il Re maledetto S’attorce sul letto.) “A me Ligula” repente urla il Duca, ed un serpente già dall’ombra ecco sbucò; sul terren le ondose anella negre, viscide, lucenti, già distese e si drizzò; già sui piè d’Oliba bella pone il grifo e già co’ denti 6 l’ampio velo le strappò… già la cinghia e già la serra, già l’annoda e già l’atterra, strascinandola sul suol! Roteante – strisciante già depon la smorta amante sovra il tepido lenzuol! Oh spavento! In stretto morso su d’Oliba e su Re Orso si ringroppa il mostro ancor, già due corpi in un serrati, trucemente soffocati urlan rantoli d’amor10». È una violenza sessuale che mescola amore, morte e animalità, con la figura del serpente che racchiude il sovrano e la sposa nelle sue spire che sembra ricalcare un po’ l’immagine preraffaellita di Lilith. Una volta rintracciati nell’opera gli elementi del gotico, è necessario interrogarsi su quale funzione essi abbiamo nel testo. In Mary Shelley così come in Walpole e Beckford possiamo trovare una sorta di morale finale. In questo caso la morale non esiste, siamo all’interno di un pessimismo molto più radicato. Questo elemento però va anche in un’altra direzione, scrive Francesco Muzzioli: « Il macabro va alla grande in Re Orso; ma al di là dell’effetto, sia esso di sobbalzo orrorifico che di reprimenda moralistica, la direzione del testo di Boito è la parodia. (…) Boito inserisce en passant e con aria di rincrescimento “l’opera dello scettico”, l’incredulità critica moderna. Il criticismo fa lo stesso lavoro distruttivo sulle finzioni che il verme sul cadavere del sovrano. La parodia si legge nell’iperbole, nella esagerazione della crudeltà e del sangue, nell’orrore di maniera, quasi messo “tra virgolette” a guisa di citazione con un bell’anticipo sulle teorie postmoderne11». Quindi, la parodia e la satira si esprimono qui attraverso una tendenza all’esagerazione: è un’ironia tecnica che si rintraccia sia attraverso la struttura formale che nel nonsense del finale. La metrica ci rimanda alla favola, alla ballata ma è arricchita dalla sperimentazione, si torna sempre all’uguale, come nelle fiabe, ma con un risvolto inquietante – si pensi alla ripetizione ossessiva della voce che recita i versi. Nella morale, alla fine, avviene un rovesciamento completo: non si ricerca un insegnamento ma dei numeri del lotto, siamo arrivati alla derisione di senso. «Né savio motto – né aforismo dotto, né sermo o perno – di morale eterno nessun ricerchi in me. Sol lo strambo – quaderno – un ambo – o un terno 10 11 Re Orso, pp. 42-3, cit. Re Orso, Prefazione, p. 23, cit. 7 può dar di botto – per chi giuoca al lotto. Dunque ascoltate – l’ambo e il terno c’è: un boja e un frate- Un gobbo, un verme e un re12». Nella negazione della morale possiamo comprendere il messaggio dell’autore: l’epoca delle certezze è conclusa. Il gotico è, in questo caso, un fattore di parodia e un elemento di inquietudine. Non possiamo realmente definire questo prodotto spaventoso, è un ibrido, non si lascia definire facilmente. Proprio come Re Orso, oscilliamo tra il riso per quei divertimenti e quelle morti che sono troppo esagerate per apparire spaventose e un senso di inquietudine provocato da ciò che è dietro a tutto questo, ciò che non capiamo. È un sublime inteso nella sfumatura di Perturbante di cui ci parla Freud: il nulla sembrerebbe essere quanto di meno famigliare esista per l’uomo, eppure questo concetto lo attrae, lo chiama e insieme lo spaventa. Siamo di fronte a una paura nuova, molto moderna che è quella del vuoto, della perdita di senso. 12 Re Orso, p. 95, cit. 8