Splash - Cultura - Latino - Lucrezio

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Splash - Cultura - Latino - Lucrezio
Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura
De Rerum Natura
Liber I
Liber II
Liber III
Liber IV
Liber V
Liber VI
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De Rerum Natura - Liber I
Aeneadum genetrix,
hominum divomque
voluptas,
alma Venus, caeli subter
labentia signa
quae mare navigerum, quae
terras frugiferentis
concelebras, per te quoniam
genus omne animantum
concipitur visitque exortum
lumina solis:
te, dea, te fugiunt venti, te
nubila caeli
adventumque tuum, tibi
suavis daedala tellus
summittit flores, tibi rident
aequora ponti
placatumque nitet diffuso
lumine caelum.
nam simul ac species
patefactast verna diei
et reserata viget genitabilis
aura favoni,
aëriae primum volucris te,
diva, tuumque
significant initum perculsae
corda tua vi.
inde ferae pecudes
persultant pabula laeta
et rapidos tranant amnis: ita
capta lepore
te sequitur cupide quo
quamque inducere pergis.
denique per maria ac montis
fluviosque rapacis
Genitrice degli Eneadi, piacere degli
uomini e degli dèi,
Venere datrice di vita, che sotto i corsi
celesti degli astri
dovunque avvivi della tua presenza il
mare percorso dalle navi,
le terre fertili di messi, poiché grazie a te
ogni specie di viventi
è concepita e, sorta, vede la luce del sole te, o dea, te fuggono i venti, te le nuvole
del cielo,
e il tuo arrivare; a te soavi fiori sotto i
piedi fa spuntare
l'artefice terra, a te sorridono le distese
del mare
e placato splende di un diffuso lume il
cielo.
Ché appena è dischiuso l'aspetto
primaverile del giorno
e, disserrato, si ravviva il soffio del
fecondo zefiro,
prima gli aerei uccelli te, o dea, e il tuo
giungere annunziano,
colpiti nei cuori dalla tua potenza.
Poi fiere e animali domestici bàlzano per i
pascoli in rigoglio
e attraversano a nuoto i rapidi fiumi; così
preso dal fascino
ognuno ti segue ardentemente dove
intendi condurlo.
Infine, per i mari e i monti e i fiumi
rapinosi
e le frondose dimore degli uccelli e le
pianure verdeggianti,
a tutti infondendo nei petti carezzevole
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frondiferasque domos avium
camposque virentis
omnibus incutiens blandum
per pectora amorem
efficis ut cupide generatim
saecla propagent.
quae quoniam rerum
naturam sola gubernas
nec sine te quicquam dias in
luminis oras
exoritur neque fit laetum
neque amabile quicquam,
te sociam studeo scribendis
versibus esse,
quos ego de rerum natura
pangere conor
Memmiadae nostro, quem
tu, dea, tempore in omni
omnibus ornatum voluisti
excellere rebus.
quo magis aeternum da
dictis, diva, leporem.
effice ut interea fera
moenera militiai
per maria ac terras omnis
sopita quiescant;
nam tu sola potes tranquilla
pace iuvare
mortalis, quoniam belli fera
moenera Mavors
armipotens regit, in
gremium qui saepe tuum se
reiicit aeterno devictus
vulnere amoris,
atque ita suspiciens tereti
cervice reposta
pascit amore avidos inhians
amore,
fai sì che ardentemente propaghino le
generazioni secondo le stirpi poiché tu sola governi la natura
e senza di te niente sorge alle celesti
plaghe della luce,
niente si fa gioioso, niente amabile,
te desidero compagna nello scrivere i
versi
ch'io tento di comporre sulla natura
per il nostro Memmiade, che tu, o dea, in
ogni tempo
volesti eccellesse ornato di ogni dote.
Tanto più dunque, o dea, da' ai miei detti
fascino eterno.
Fa' sì che frattanto i fieri travagli della
guerra,
per i mari e le terre tutte placati, restino
quieti.
Tu sola infatti puoi con tranquilla pace
giovare
ai mortali, poiché sui fieri travagli della
guerra ha dominio
Marte possente in armi, che spesso sul
tuo grembo
s'abbandona vinto da eterna ferita
d'amore;
e così, levando lo sguardo, col ben tornito
collo arrovesciato,
pasce d'amore gli avidi occhi anelando a
te, o dea,
e, mentre sta supino, il suo respiro pende
dalle tue labbra.
Quando egli sta adagiato sul tuo corpo
santo, tu, o dea,
avvolgendolo dall'alto, effondi dalla bocca
soavi parole:
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in te, dea, visus
chiedi, o gloriosa, pei Romani placida
eque tuo pendet resupini
pace.
spiritus ore.
Ché in tempi avversi per la patria non
hunc tu, diva, tuo
possiamo noi compiere
recubantem corpore sancto quest'opera con animo sereno, né l'illustre
circum fusa super, suavis ex progenie di Memmio
ore loquellas
può in tali frangenti mancare alla comune
funde petens placidam
salvezza.
Romanis, incluta, pacem;
Infatti è necessario che ogni natura divina
nam neque nos agere hoc
goda
patriai tempore iniquo
di per sé vita immortale con somma pace,
possumus aequo animo nec remota dalle nostre cose e
Memmi clara propago
immensamente distaccata.
talibus in rebus communi
Ché immune da ogni dolore, immune da
desse saluti.
pericoli,
omnis enim per se divum
in sé possente di proprie risorse, per nulla
natura necessest
bisognosa di noi,
immortali aevo summa cum né dalle benemerenze è avvinta, né è
pace fruatur
toccata dall'ira.
semota ab nostris rebus
*
seiunctaque longe;
Quanto al resto, presta alla vera dottrina
nam privata dolore omni,
orecchie sgombre
privata periclis,
‹ed animo sagace›, scevro d'affanni,
ipsa suis pollens opibus, nihil affinché non abbandoni con disprezzo,
indiga nostri,
prima di averli intesi,
nec bene promeritis capitur i miei doni disposti per te con cura fedele.
nec tangitur ira.
Ché mi accingo ad esporti la suprema
Humana ante oculos
dottrina
foede cum vita iaceret
del cielo e degli dèi, e ti rivelerò i primi
in terris oppressa gravi sub principi delle cose,
religione,
da cui la natura produce tutte le cose, le
quae caput a caeli regionibus accresce e alimenta,
ostendebat
e in cui la stessa natura di nuovo risolve
horribili super aspectu
le cose dissolte:
mortalibus instans,
questi nell'esporre la dottrina noi siamo
primum Graius homo
soliti chiamare
mortalis tollere contra
materia e corpi generatori delle cose,
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est oculos ausus primusque
obsistere contra;
quem neque fama deum nec
fulmina nec minitanti
murmure compressit
caelum, sed eo magis acrem
inritat animi virtutem,
effringere ut arta
naturae primus portarum
claustra cupiret.
ergo vivida vis animi pervicit
et extra
processit longe flammantia
moenia mundi
atque omne immensum
peragravit mente animoque,
unde refert nobis victor quid
possit oriri,
quid nequeat, finita potestas
denique cuique
qua nam sit ratione atque
alte terminus haerens.
quare religio pedibus
subiecta vicissim
opteritur, nos exaequat
victoria caelo.
Illud in his rebus vereor,
ne forte rearis
impia te rationis inire
elementa viamque
indugredi sceleris. quod
contra saepius illa
religio peperit scelerosa
atque impia facta.
Aulide quo pacto Triviai
virginis aram
Iphianassai turparunt
e li denominiamo semi delle cose, e
inoltre li designamo
corpi primi, perché tutto da essi
primamente ha esistenza.
La vita umana giaceva sulla terra alla
vista di tutti
turpemente schiacciata dall'opprimente
religione,
che mostrava il capo dalle regioni celesti,
con orribile faccia incombendo dall'alto sui
mortali.
Un uomo greco per la prima volta osò
levare contro di lei
gli occhi mortali, e per primo resistere
contro di lei.
Né le favole intorno agli dèi, né i fulmini,
né il cielo
col minaccioso rimbombo lo trattennero:
anzi più gli accesero
il fiero valore dell'animo, sì che volle, per
primo,
infrangere gli stretti serrami delle porte
della natura.
Così il vivido vigore dell'animo prevalse,
ed egli s'inoltrò lontano, di là dalle
fiammeggianti mura del mondo,
e il tutto immenso percorse con la mente
e col cuore.
Di là, vittorioso, riporta a noi che cosa
possa nascere,
che cosa non possa, infine in qual modo
ciascuna cosa
abbia un potere finito e un termine,
profondamente confitto.
Quindi la religione è a sua volta
sottomessa e calpestata,
mentre noi la vittoria uguaglia al cielo.
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sanguine foede
Questo, a tale proposito, io temo: che per
ductores Danaum delecti,
caso tu creda
prima virorum.
d'essere iniziato ai fondamenti d'una
cui simul infula virgineos
dottrina empia e d'entrare
circum data comptus
nella via della scelleratezza. Mentre per
ex utraque pari malarum
contro assai spesso proprio
parte profusast,
essa, la religione, cagionò azioni
et maestum simul ante aras scellerate ed empie.
adstare parentem
Così in Aulide l'altare della vergine Trivia
sensit et hunc propter
col sangue d'Ifianassa turpemente
ferrum celare ministros
macchiarono
aspectuque suo lacrimas
gli eletti condottieri dei Danai, il fiore degli
effundere civis,
eroi.
muta metu terram genibus Appena la benda avvolta attorno alla bella
summissa petebat.
chioma virginea
nec miserae prodesse in tali le scese lungo le guance in due liste
tempore quibat,
uguali,
quod patrio princeps donarat appena si accorse che il padre stava
nomine regem;
mesto innanzi all'altare,
nam sublata virum manibus e accanto a lui i sacerdoti celavano il
tremibundaque ad aras
ferro,
deductast, non ut sollemni
e il popolo effondeva lacrime alla sua
more sacrorum
vista,
perfecto posset claro
muta di terrore, piegate le ginocchia,
comitari Hymenaeo,
crollava a terra.
sed casta inceste nubendi
Né alla misera in tale frangente poteva
tempore in ipso
giovare
hostia concideret mactatu
l'aver dato per prima al re il nome di
maesta parentis,
padre.
exitus ut classi felix
Ché sollevata dalle mani dei guerrieri e
faustusque daretur.
tremante
tantum religio potuit suadere fu portata all'altare, non già perché,
malorum.
compiuto il rito solenne,
Tutemet a nobis iam
potesse essere accompagnata al suono
quovis tempore vatum
dello splendido imeneo,
terriloquis victus dictis
ma perché pura impuramente, nel tempo
desciscere quaeres.
stesso delle nozze,
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quippe etenim quam multa
tibi iam fingere possunt
somnia, quae vitae rationes
vertere possint
fortunasque tuas omnis
turbare timore!
et merito; nam si certam
finem esse viderent
aerumnarum homines,
aliqua ratione valerent
religionibus atque minis
obsistere vatum.
nunc ratio nulla est restandi,
nulla facultas,
aeternas quoniam poenas in
morte timendum.
ignoratur enim quae sit
natura animai,
nata sit an contra
nascentibus insinuetur
et simul intereat nobiscum
morte dirempta
an tenebras Orci visat
vastasque lacunas
an pecudes alias divinitus
insinuet se,
Ennius ut noster cecinit, qui
primus amoeno
detulit ex Helicone perenni
fronde coronam,
per gentis Italas hominum
quae clara clueret;
etsi praeterea tamen esse
Acherusia templa
Ennius aeternis exponit
versibus edens,
quo neque permaneant
cadesse vittima mesta immolata per
mano del padre,
e così fosse data alla flotta partenza felice
e fausta.
A tali misfatti poté indurre la religione.------Tu stesso, una volta o l'altra, vinto dai
detti terrificanti
dei vati, cercherai di staccarti da noi.
Quanti sogni difatti essi possono ora
inventarti,
tali da poter sovvertire la condotta della
vita
e turbare col timore tutta la tua sorte!
E a ragione. Ché, se gli uomini vedessero
che esiste un termine
fisso per le loro pene, in qualche modo
potrebbero avere
la forza di opporsi alle paure superstiziose
e alle minacce dei vati.
Ora non c'è nessun modo di resistere,
nessuna facoltà,
perché si devono temere nella morte pene
eterne.
S'ignora infatti quale sia la natura
dell'anima,
se sia nata o al contrario s'insinui nei
nascenti,
se perisca insieme con noi disgregata
dalla morte
o vada a vedere le tenebre di Orco e gli
immani abissi,
o per volere divino s'insinui in animali
d'altra specie,
come cantò il nostro Ennio, che primo
portò giù
dall'ameno Elicona una corona di fronda
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animae neque corpora
nostra,
sed quaedam simulacra
modis pallentia miris;
unde sibi exortam semper
florentis Homeri
commemorat speciem
lacrimas effundere salsas
coepisse et rerum naturam
expandere dictis.
qua propter bene cum
superis de rebus habenda
nobis est ratio, solis
lunaeque meatus
qua fiant ratione, et qua vi
quaeque gerantur
in terris, tunc cum primis
ratione sagaci
unde anima atque animi
constet natura videndum,
et quae res nobis
vigilantibus obvia mentes
terrificet morbo adfectis
somnoque sepultis,
cernere uti videamur eos
audireque coram,
morte obita quorum tellus
amplectitur ossa.
Quod super est, vacuas
auris animumque sagacem
semotum a curis adhibe
veram ad rationem,
ne mea dona tibi studio
disposta fideli,
intellecta prius quam sint,
contempta relinquas.
nam tibi de summa caeli
perenne,
che doveva aver chiara fama tra le genti
italiche;
e tuttavia Ennio inoltre espone,
dichiarandolo in versi immortali,
che esistono le regioni acherontee,
fin dove non permangono né le anime, né
i corpi nostri,
ma certi simulacri mirabilmente pallidi;
di là racconta che sorse innanzi a lui
l'immagine di Omero
sempre fiorente e cominciò a versare
lacrime amare
e a rivelare con le sue parole la natura.
Perciò, come dobbiamo esattamente
renderci conto
delle cose celesti, in qual modo
avvengano i moti
del sole e della luna, e per qual forza si
svolga ogni cosa
in terra, così e in primo luogo dobbiamo
vedere con sagace ragionare
di che sian fatte l'anima e la natura
dell'animo,
e quale cosa, venendo incontro a noi
mentre siamo svegli
e affetti da malattia oppure sepolti nel
sonno, atterrisca
le nostre menti, sì che ci pare di vedere e
udire da presso
i morti di cui la terra abbraccia le ossa.
Né alla mia mente sfugge che è difficile
illustrare
in versi latini le oscure scoperte dei Greci,
tanto più che di molte cose bisogna
trattare con parole nuove,
per la povertà della lingua e la novità
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ratione deumque
degli argomenti;
disserere incipiam et rerum ma il tuo valore tuttavia e lo sperato
primordia pandam,
piacere
unde omnis natura creet res, della soave amicizia mi persuadono a
auctet alatque,
sostenere qualsiasi fatica
quove eadem rursum natura e m'inducono a vegliare durante le notti
perempta resolvat,
serene,
quae nos materiem et
cercando con quali detti e con quale canto
genitalia corpora rebus
alfine
reddunda in ratione vocare io possa accendere innanzi alla tua mente
et semina rerum
una chiara luce,
appellare suemus et haec
per cui tu riesca a scrutare a fondo le cose
eadem usurpare
occulte.
corpora prima, quod ex illis Questo terrore dell'animo, dunque, e
sunt omnia primis.
queste tenebre
Nec me animi fallit
non li devono dissolvere i raggi del sole,
Graiorum obscura reperta
né i lucidi dardi
difficile inlustrare Latinis
del giorno, ma l'aspetto e l'intima legge
versibus esse,
della natura.
multa novis verbis
Il cui principio prenderà per noi l'avvìo da
praesertim cum sit agendum questo:
propter egestatem linguae et che nessuna cosa mai si genera dal nulla
rerum novitatem;
per volere divino.
sed tua me virtus tamen et Certo per ciò la paura domina tutti i
sperata voluptas
mortali:
suavis amicitiae quemvis
perché vedono prodursi in terra e in cielo
efferre laborem
molti fenomeni
suadet et inducit noctes
di cui in nessun modo possono scorgere le
vigilare serenas
cause,
quaerentem dictis quibus et e credono che si producano per volere
quo carmine demum
divino.
clara tuae possim
Pertanto, quando avremo veduto che
praepandere lumina menti, nulla si può creare
res quibus occultas penitus dal nulla, allora di qui penetreremo più
convisere possis.
sicuramente
hunc igitur terrorem animi
ciò che cerchiamo, e donde si possa
tenebrasque necessest
creare ogni cosa
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non radii solis neque lucida
tela diei
discutiant, sed naturae
species ratioque.
Principium cuius hinc
nobis exordia sumet,
nullam rem e nihilo gigni
divinitus umquam.
quippe ita formido mortalis
continet omnis,
quod multa in terris fieri
caeloque tuentur,
quorum operum causas nulla
ratione videre
possunt ac fieri divino
numine rentur.
quas ob res ubi viderimus nil
posse creari
de nihilo, tum quod
sequimur iam rectius inde
perspiciemus, et unde queat
res quaeque creari
et quo quaeque modo fiant
opera sine divom.
Nam si de nihilo fierent,
ex omnibus rebus
omne genus nasci posset, nil
semine egeret.
e mare primum homines, e
terra posset oriri
squamigerum genus et
volucres erumpere caelo;
armenta atque aliae
pecudes, genus omne
ferarum,
incerto partu culta ac
deserta tenerent.
e in qual modo tutte le cose avvengano
senza interventi di dèi.
Infatti, se dal nulla si producessero, da
tutte le cose
potrebbe nascere ogni specie, nulla
avrebbe bisogno di seme.
E anzitutto dal mare gli uomini, dalla terra
potrebbero sorgere
le squamose specie dei pesci, e gli uccelli
erompere dal cielo;
gli armenti e le altre greggi, ogni specie di
fiere, partoriti
qua e là senza regola, occuperebbero
luoghi coltivati e deserti.
Né sugli alberi comunemente
permarrebbero gli stessi frutti,
ma si muterebbero, tutti gli alberi tutto
potrebbero produrre.
E in verità, se non esistessero corpi
generatori per ciascuna specie,
come potrebbero le cose avere
costantemente una madre propria?
Ma ora invece, poiché tutte le cose sono
create da semi
determinati, ciascuna nasce ed esce alle
plaghe della luce
dal luogo che ha in sé la materia e i corpi
primi ad essa propri;
ed è appunto per ciò che non possono da
tutte le cose essere generate
tutte le cose, perché ogni cosa
determinata ha in sé una facoltà distinta.
Inoltre, per qual motivo in primavera la
rosa, d'estate il frumento,
all'invito dell'autunno le viti vediamo in
rigoglio,
se non perché, quando determinati semi
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nec fructus idem arboribus
constare solerent,
sed mutarentur, ferre omnes
omnia possent.
quippe ubi non essent
genitalia corpora cuique,
qui posset mater rebus
consistere certa?
at nunc seminibus quia
certis quaeque creantur,
inde enascitur atque oras in
luminis exit,
materies ubi inest cuiusque
et corpora prima;
atque hac re nequeunt ex
omnibus omnia gigni,
quod certis in rebus inest
secreta facultas.
Praeterea cur vere rosam,
frumenta calore,
vites autumno fundi
suadente videmus,
si non, certa suo quia
tempore semina rerum
cum confluxerunt, patefit
quod cumque creatur,
dum tempestates adsunt et
vivida tellus
tuto res teneras effert in
luminis oras?
quod si de nihilo fierent,
subito exorerentur
incerto spatio atque alienis
partibus anni,
quippe ubi nulla forent
primordia, quae genitali
concilio possent arceri
di cose confluirono
nel tempo loro proprio, allora si schiude
ogni cosa creata,
mentre sono in corso stagioni favorevoli e
la terra ricca di vita
produce senza pericolo le tenere cose alle
plaghe della luce?
Ma, se dal nulla nascessero,
improvvisamente sorgerebbero,
con intervallo incerto e in parti dell'anno
non proprie a loro,
giacché allora non ci sarebbero primi
principi che la stagione
avversa potesse tener lontani
dall'aggregazione generatrice.
Né poi per la crescita delle cose ci sarebbe
bisogno del tempo
occorrente al confluire dei semi, se
potessero crescere dal nulla.
Ché da piccoli infanti diverrebbero sùbito
giovani, e gli alberi,
appena spuntati dalla terra, si leverebbero
in alto d'improvviso.
Ma è manifesto che nulla di ciò accade,
giacché tutte le cose
crescono a poco a poco, com'è naturale
per quel che nasce da un seme certo,
e crescendo conservano i caratteri della
specie; sì che puoi riconoscere
che ogni cosa ingrandisce e si alimenta di
materia propria.
A ciò si aggiunge che senza piogge in
determinate stagioni
la terra non può far crescere i frutti
giocondi;
e così la natura degli animali, se vien
privata di cibo,
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tempore iniquo.
non può propagare la specie e conservarsi
Nec porro augendis rebus in vita;
spatio foret usus
quindi è meglio pensare che molti
seminis ad coitum, si e nilo elementi son comuni a molte
crescere possent;
cose, come vediamo che le lettere sono
nam fierent iuvenes subito
comuni alle parole,
ex infantibus parvis
piuttosto che pensare che alcuna cosa
e terraque exorta repente
possa esistere senza primi principi.
arbusta salirent.
Per di più, perché la natura non poté
quorum nil fieri manifestum formare uomini tanto grandi
est, omnia quando
da poter coi piedi passare a guado il mare
paulatim crescunt, ut par est e con le mani divellere grandi monti
semine certo,
e vivendo superare molte generazioni di
crescentesque genus
viventi,
servant; ut noscere possis
se non perché al nascere delle cose è
quicque sua de materia
assegnata una materia
grandescere alique.
determinata, da cui resta fissato cosa
Huc accedit uti sine certis possa sorgere alla vita?
imbribus anni
Bisogna dunque riconoscere che nulla può
laetificos nequeat fetus
esser prodotto dal nulla,
submittere tellus
poiché alle cose è necessario un seme, da
nec porro secreta cibo
cui creata
natura animantum
ciascuna possa protendersi ai leggeri soffi
propagare genus possit
dell'aria.
vitamque tueri;
Infine, poiché vediamo che i luoghi
ut potius multis communia
coltivati prevalgono
corpora rebus
sugli incolti e rendono alle mani frutti
multa putes esse, ut verbis migliori,
elementa videmus,
è evidente che nella terra ci sono primi
quam sine principiis ullam
principi delle cose
rem existere posse.
che noi, rivoltando col vomere le glebe
Denique cur homines
feconde
tantos natura parare
e domando il suolo della terra, stimoliamo
non potuit, pedibus qui
alla germinazione.
pontum per vada possent
Se non ci fossero, vedresti ogni cosa
transire et magnos manibus senza nostra fatica
divellere montis
spontaneamente diventare molto migliore.
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multaque vivendo vitalia
A ciò si aggiunge che la natura dissolve
vincere saecla,
ogni corpo di nuovo
si non, materies quia rebus nei suoi elementi e non distrugge le cose
reddita certast
fino ad annientarle.
gignundis, e qua constat
Ché se qualcosa fosse mortale in tutte le
quid possit oriri?
parti,
nil igitur fieri de nilo posse
ogni cosa perirebbe d'improvviso rapita ai
fatendumst,
nostri occhi.
semine quando opus est
Non ci sarebbe infatti bisogno di alcuna
rebus, quo quaeque creatae forza capace di produrre
aëris in teneras possint
la disgregazione delle sue parti e di
proferrier auras.
scioglierne i legami.
Postremo quoniam incultis Ma ora, poiché le cose constano tutte di
praestare videmus
semi eterni,
culta loca et manibus
fintantoché non sia andata contro di loro
melioris reddere fetus,
una forza che le spezzi
esse videlicet in terris
con l'urto o penetri addentro per i vuoti e
primordia rerum
le dissolva,
quae nos fecundas vertentes di nessuna la natura lascia che si veda la
vomere glebas
fine.
terraique solum subigentes Inoltre, quanto il tempo toglie via per
cimus ad ortus;
vecchiezza,
quod si nulla forent, nostro se interamente lo annienta consumandone
sine quaeque labore
tutta la materia,
sponte sua multo fieri
donde Venere riconduce alla luce della
meliora videres.
vita le stirpi animali
Huc accedit uti quicque in specie per specie, o donde, ricondotte,
sua corpora rursum
l'artefice terra
dissoluat natura neque ad
le alimenta e accresce, offrendo
nihilum interemat res.
nutrimenti specie per specie?
nam siquid mortale e cunctis Donde riforniscono il mare fonti native e
partibus esset,
dall'esterno fiumi
ex oculis res quaeque
provenienti di lontano? Donde l'etere
repente erepta periret;
pasce gli astri?
nulla vi foret usus enim,
Infatti tutto ciò che ha un corpo mortale
quae partibus eius
dovrebbero
discidium parere et nexus
averlo già consumato il tempo infinito e i
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exsolvere posset.
giorni trascorsi.
quod nunc, aeterno quia
Che se per tutta la durata del tempo
constant semine quaeque,
trascorso esistettero
donec vis obiit, quae res
gli elementi di cui consiste, dopo essersi
diverberet ictu
rinnovato, questo
aut intus penetret per inania universo, d'immortale natura sono certo
dissoluatque,
dotati:
nullius exitium patitur natura non può dunque ogni cosa ridursi al nulla.
videri.
Per di più, una stessa forza e causa
Praeterea quae cumque
distruggerebbe comunemente
vetustate amovet aetas,
tutte le cose, se non le tenesse insieme
si penitus peremit
una materia eterna,
consumens materiem
meno o più ristretta nelle connessioni
omnem,
delle sue parti.
unde animale genus
Un contatto infatti sarebbe certo
generatim in lumina vitae
sufficiente causa di morte,
redducit Venus, aut
giacché non ci sarebbero elementi dotati
redductum daedala tellus
di corpo eterno,
unde alit atque auget
dei quali una forza appropriata dovesse
generatim pabula praebens? dissolvere l'aggregazione.
unde mare ingenuei fontes Ma ora, poiché connessioni dissimili
externaque longe
stringono tra loro
flumina suppeditant? unde
i principi, e la materia è eterna,
aether sidera pascit?
le cose conservano incolume il corpo,
omnia enim debet, mortali
finché non si presenti
corpore quae sunt,
una forza che sia abbastanza gagliarda in
infinita aetas consumpse
proporzione alla tessitura di ciascuna.
ante acta diesque.
Non ritorna dunque al nulla alcuna cosa,
quod si in eo spatio atque
ma tutte
ante acta aetate fuere
per disgregazione ritornano agli elementi
e quibus haec rerum
della materia.
consistit summa refecta,
Infine, scompaiono le piogge, quando il
inmortali sunt natura
padre etere
praedita certe.
le ha precipitate nel grembo della madre
haud igitur possunt ad nilum terra; ma ne sorgono
quaeque reverti.
splendide messi, e i rami degli alberi
Denique res omnis eadem rinverdiscono,
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vis causaque volgo
conficeret, nisi materies
aeterna teneret,
inter se nexus minus aut
magis indupedita;
tactus enim leti satis esset
causa profecto,
quippe ubi nulla forent
aeterno corpore, quorum
contextum vis deberet
dissolvere quaeque.
at nunc, inter se quia nexus
principiorum
dissimiles constant
aeternaque materies est,
incolumi remanent res
corpore, dum satis acris
vis obeat pro textura
cuiusque reperta.
haud igitur redit ad nihilum
res ulla, sed omnes
discidio redeunt in corpora
materiai.
postremo pereunt imbres,
ubi eos pater aether
in gremium matris terrai
praecipitavit;
at nitidae surgunt fruges
ramique virescunt
arboribus, crescunt ipsae
fetuque gravantur.
hinc alitur porro nostrum
genus atque ferarum,
hinc laetas urbes pueris
florere videmus
frondiferasque novis avibus
canere undique silvas,
gli alberi stessi crescono e si caricano di
frutti;
di qui si alimentano poi la nostra specie e
quella delle fiere,
di qui gioconde città vediamo fiorire di
fanciulli,
e frondose selve d'ogni parte risuonare
dei canti di nuovi uccelli;
di qui le greggi s'impinguano e stanche
distendono i corpi
sui pascoli rigogliosi, e il candido umore
del latte
stilla dalle mammelle turgide; di qui una
prole novella
con membra malferme allegramente ruzza
tra l'erba
tenera, di latte puro inebriata la mente
giovinetta.
Non perisce dunque del tutto ogni cosa
che pare perire,
poiché la natura rinnova una cosa
dall'altra e non comporta
che alcuna si generi se non l'aiuta la
morte di un'altra.
E ora, poiché ho mostrato che le cose non
si possono creare
dal nulla e parimenti che, una volta
generate, non possono ridursi
al nulla, affinché tu non cominci per caso
a diffidare tuttavia
delle mie parole, perché i primi principi
delle cose non possono
essere scorti con gli occhi, ascolta quali
altri corpi è necessario
che tu stesso riconosca esistenti nella
realtà eppure non visibili.
Anzitutto la forza sfrenata del vento
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hinc fessae pecudes pinguis
per pabula laeta
corpora deponunt et
candens lacteus umor
uberibus manat distentis,
hinc nova proles
artubus infirmis teneras
lasciva per herbas
ludit lacte mero mentes
perculsa novellas.
haud igitur penitus pereunt
quaecumque videntur,
quando alit ex alio reficit
natura nec ullam
rem gigni patitur nisi morte
adiuta aliena.
Nunc age, res quoniam
docui non posse creari
de nihilo neque item genitas
ad nil revocari,
ne qua forte tamen coeptes
diffidere dictis,
quod nequeunt oculis rerum
primordia cerni,
accipe praeterea quae
corpora tute necessest
confiteare esse in rebus nec
posse videri.
Principio venti vis
verberat incita corpus
ingentisque ruit navis et
nubila differt,
inter dum rapido percurrens
turbine campos
arboribus magnis sternit
montisque supremos
silvifragis vexat flabris: ita
sferza il mare
e travolge grosse navi e disperde le
nuvole,
e talvolta, percorrendo con rapinoso
turbine i campi,
grandi alberi vi abbatte e sparge, e contro
le vette dei monti
si avventa con raffiche che schiantano le
selve: tanto infuria
con fremito violento e imperversa con
minaccioso rombo il vento.
Esistono dunque, senza dubbio, invisibili
corpi di vento,
che spazzano il mare e le terre e alfine le
nuvole in cielo
e, con subitaneo turbine avventandosi, le
trascinano via;
e scorrono e spargono strage, non
altrimenti che quando
la molle natura dell'acqua si rovescia
d'improvviso
con corso straripante: per piogge dirotte
la ingrossa
un gran defluire d'acque giù dagli alti
monti,
che scaglia rottami di piante ed alberi
interi;
né solidi ponti possono reggere all'assalto
subitaneo
dell'acqua che incalza: tanto il fiume,
torbido per grandi
piogge, investe gli argini con forza
possente;
con grande fragore li abbatte, e travolge
sotto le onde grossi
macigni, rovescia ogni cosa che oppone
ostacolo ai suoi flutti.
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perfurit acri
cum fremitu saevitque
minaci murmure pontus.
sunt igitur venti ni mirum
corpora caeca,
quae mare, quae terras,
quae denique nubila caeli
verrunt ac subito vexantia
turbine raptant,
nec ratione fluunt alia
stragemque propagant
et cum mollis aquae fertur
natura repente
flumine abundanti, quam
largis imbribus auget
montibus ex altis magnus
decursus aquai
fragmina coniciens silvarum
arbustaque tota,
nec validi possunt pontes
venientis aquai
vim subitam tolerare: ita
magno turbidus imbri
molibus incurrit validis cum
viribus amnis,
dat sonitu magno stragem
volvitque sub undis
grandia saxa, ruit qua
quidquid fluctibus obstat.
sic igitur debent venti
quoque flamina ferri,
quae vel uti validum cum
flumen procubuere
quam libet in partem,
trudunt res ante ruuntque
impetibus crebris, inter dum
vertice torto
Così dunque devono infuriare anche i soffi
del vento,
che, quando come un fiume possente
sono piombati verso
una qualsiasi parte, cacciano le cose
innanzi a sé e le abbattono
con assalti frequenti, talvolta con vortice
tortuoso le afferrano
e rapinosi con roteante turbine le
trasportano.
Perciò, ancora e ancora, esistono invisibili
corpi di vento,
giacché nei fatti e nei caratteri si scoprono
emuli
dei grandi fiumi, che hanno corpo visibile.
Inoltre noi sentiamo i vari odori delle cose
e tuttavia
non li discerniamo mai mentre vengono
alle narici,
né scorgiamo le emanazioni di calore, né
possiamo cogliere
con gli occhi il freddo, né ci avviene di
vedere i suoni;
e tuttavia tutte queste cose è necessario
che constino
di natura corporea, perché possono
colpire i sensi.
Nessuna cosa infatti può toccare ed
essere toccata, se non è un corpo.
Ancora, sospese sul lido contro cui
s'infrangono i flutti,
le vesti s'inumidiscono, sciorinate al sole
s'asciugano.
Ma non s'è veduto in che modo l'umore
dell'acqua sia penetrato,
né in che modo sia poi fuggito per effetto
del calore.
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corripiunt rapidique rotanti
turbine portant.
quare etiam atque etiam
sunt venti corpora caeca,
quandoquidem factis et
moribus aemula magnis
amnibus inveniuntur, aperto
corpore qui sunt.
Tum porro varios rerum
sentimus odores
nec tamen ad naris venientis
cernimus umquam
nec calidos aestus tuimur
nec frigora quimus
usurpare oculis nec voces
cernere suemus;
quae tamen omnia corporea
constare necessest
natura, quoniam sensus
inpellere possunt;
tangere enim et tangi, nisi
corpus, nulla potest res.
Denique fluctifrago
suspensae in litore vestis
uvescunt, eaedem dispansae
in sole serescunt.
at neque quo pacto
persederit umor aquai
visumst nec rursum quo
pacto fugerit aestu.
in parvas igitur partis
dispergitur umor,
quas oculi nulla possunt
ratione videre.
quin etiam multis solis
redeuntibus annis
anulus in digito subter
L'umore dunque si sparge qua e là in
piccole parti,
che gli occhi non possono vedere in alcun
modo.
Per di più, nel corso di molti anni solari
l'anello,
a forza d'essere portato, si assottiglia
dalla parte che tocca il dito;
lo stillicidio, cadendo sulla pietra, la
incava; il ferreo vomere
adunco dell'aratro occultamente si logora
nei campi;
e le strade lastricate con pietre, le
vediamo consunte
dai piedi della folla; e poi, presso le porte,
le statue
di bronzo mostrano che le loro mani
destre si assottigliano
al tocco di quelli che spesso salutano e
passano oltre.
Che queste cose dunque diminuiscano,
noi lo vediamo,
perché son consunte. Ma quali particelle si
stacchino in ogni
momento, l'invidiosa natura della vista ci
precluse di vederlo.
Infine tutto ciò che il tempo e la natura
aggiungono alle cose
a poco a poco, facendole crescere
proporzionatamente,
nessun acume di occhi, benché si sforzi,
può scorgerlo;
né d'altra parte potresti discernere tutto
ciò che invecchia
per l'età e la macilenza, né cosa perdano
in ciascun momento
gli scogli che sovrastano il mare, corrosi
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tenuatur habendo,
dall'avido sale.
stilicidi casus lapidem cavat, Mediante corpi invisibili, dunque, opera la
uncus aratri
natura.
ferreus occulte decrescit
Né tuttavia da ogni parte tutte le cose
vomer in arvis,
sono compatte,
strataque iam volgi pedibus occupate dalla natura corporea: infatti
detrita viarum
esiste nelle cose il vuoto.
saxea conspicimus; tum
Sapere questo ti sarà utile in molti casi,
portas propter aëna
e non lascerà che errando dubiti e faccia
signa manus dextras
sempre ricerche
ostendunt adtenuari
sull'universo e diffidi delle nostre parole.
saepe salutantum tactu
Esiste dunque uno spazio che non si può
praeterque meantum.
toccare, ciò che è vuoto
haec igitur minui, cum sint e libero. Se non esistesse, in nessun
detrita, videmus.
modo potrebbero le cose
sed quae corpora decedant muoversi; infatti quella che è la funzione
in tempore quoque,
propria del corpo,
invida praeclusit speciem
opporsi e fare ostacolo, sarebbe presente
natura videndi.
in ogni momento
Postremo quae cumque
in tutte le cose; nulla dunque potrebbe
dies naturaque rebus
avanzare,
paulatim tribuit moderatim perché nessuna cosa comincerebbe a
crescere cogens,
cedere il posto.
nulla potest oculorum acies Ora, al contrario, per i mari e le terre e le
contenta tueri,
eccelse plaghe del cielo,
nec porro quae cumque aevo molte cose in molti modi, per vari motivi,
macieque senescunt,
vediamo muoversi
nec, mare quae impendent, innanzi ai nostri occhi, che, se non
vesco sale saxa peresa
esistesse il vuoto,
quid quoque amittant in
non tanto sarebbero del tutto prive
tempore cernere possis.
dell'inquieto movimento,
corporibus caecis igitur
quanto non sarebbero state
natura gerit res.
assolutamente, in alcun modo, generate,
Nec tamen undique
perché la materia da ogni parte compatta
corporea stipata tenentur
sarebbe rimasta quieta.
omnia natura; namque est in Inoltre, per quanto solide si reputino le
rebus inane.
cose, da questo tuttavia
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quod tibi cognosse in multis puoi vedere che sono di corpo in cui è
erit utile rebus
frammisto il vuoto.
nec sinet errantem dubitare In rocce e spelonche s'infiltra il liquido
et quaerere semper
umore dell'acqua
de summa rerum et nostris e dappertutto vi piangono abbondanti
diffidere dictis.
gocce.
qua propter locus est
In tutto il corpo degli esseri viventi il cibo
intactus inane vacansque.
si propaga.
quod si non esset, nulla
Crescono gli alberi e a tempo debito
ratione moveri
producono i frutti,
res possent; namque
perché il cibo ogni loro parte pervade, fin
officium quod corporis
dalle profonde
exstat,
radici diffondendosi per i tronchi e per i
officere atque obstare, id in rami tutti.
omni tempore adesset
Passano le voci per le pareti e trasvolano
omnibus; haud igitur
il chiuso
quicquam procedere posset, delle case, il rigido freddo penetra fin
principium quoniam cedendi dentro le ossa.
nulla daret res.
Tutto ciò, non lo vedresti in alcun modo
at nunc per maria ac terras avvenire,
sublimaque caeli
se non ci fossero vuoti per cui i vari corpi
multa modis multis varia
potessero passare.
ratione moveri
Infine, perché vediamo che alcune cose
cernimus ante oculos, quae, sopravanzano altre
si non esset inane,
nel peso, pur non avendo affatto
non tam sollicito motu
dimensioni maggiori?
privata carerent
Infatti, se in un gomitolo di lana c'è tanta
quam genita omnino nulla
quantità di materia
ratione fuissent,
quanta ce n'è in un uguale pezzo di
undique materies quoniam
piombo, è naturale che pesi altrettanto,
stipata quiesset.
perché è proprietà della materia premere
Praeterea quamvis solidae ogni cosa verso il basso,
res esse putentur,
mentre al contrario la natura del vuoto
hinc tamen esse licet raro
rimane senza peso.
cum corpore cernas.
Dunque, ciò che è grande ugualmente e si
in saxis ac speluncis
trova più leggero,
permanat aquarum
senza dubbio manifesta di contenere una
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liquidus umor et uberibus
flent omnia guttis.
dissipat in corpus sese cibus
omne animantum;
crescunt arbusta et fetus in
tempore fundunt,
quod cibus in totas usque ab
radicibus imis
per truncos ac per ramos
diffunditur omnis.
inter saepta meant voces et
clausa domorum
transvolitant, rigidum
permanat frigus ad ossa.
quod nisi inania sint, qua
possent corpora quaeque
transire, haud ulla fieri
ratione videres.
Denique cur alias aliis
praestare videmus
pondere res rebus nihilo
maiore figura?
nam si tantundemst in lanae
glomere quantum
corporis in plumbo est,
tantundem pendere par est,
corporis officiumst quoniam
premere omnia deorsum,
contra autem natura manet
sine pondere inanis.
ergo quod magnumst aeque
leviusque videtur,
ni mirum plus esse sibi
declarat inanis;
at contra gravius plus in se
corporis esse
dedicat et multo vacui minus
parte maggiore di vuoto;
per contrario, ciò che è più pesante,
indica di contenere una parte
maggiore di materia e di aver dentro una
molto minore parte di vuoto.
Esiste dunque, senza dubbio, mescolato
nelle cose quel che noi
cerchiamo con ragionare sagace, quel che
chiamiamo vuoto.
A questo proposito, è necessario che io
prevenga, perché non possa
trarti lontano dal vero, ciò che alcuni
vanno fantasticando.
Dicono che le acque cedono alla spinta
degli esseri squamosi
e aprono liquide vie, perché i pesci
lasciano dietro di sé
luoghi dove le onde che cedono possono
confluire:
così anche altre cose possono muoversi e
mutar luogo
scambievolmente, quantunque il tutto sia
pieno.
Ma certo ciò è stato creduto per un
ragionamento in tutto falso.
Infatti, dove mai potranno gli esseri
squamosi avanzare,
se le acque non hanno lasciato spazio
vuoto? E d'altra parte,
dove potranno ritrarsi le onde, quando i
pesci non potranno andare avanti?
Dunque, bisogna o negare il movimento a
ogni corpo
o dire che alle cose è commisto il vuoto e
che da questo
ciascuna cosa prende l'inizio primo del
movimento.
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intus habere.
est igitur ni mirum id quod
ratione sagaci
quaerimus, admixtum rebus,
quod inane vocamus.
Illud in his rebus ne te
deducere vero
possit, quod quidam fingunt,
praecurrere cogor.
cedere squamigeris latices
nitentibus aiunt
et liquidas aperire vias, quia
post loca pisces
linquant, quo possint
cedentes confluere undae;
sic alias quoque res inter se
posse moveri
et mutare locum, quamvis
sint omnia plena.
scilicet id falsa totum ratione
receptumst.
nam quo squamigeri
poterunt procedere tandem,
ni spatium dederint latices?
concedere porro
quo poterunt undae, cum
pisces ire nequibunt?
aut igitur motu privandumst
corpora quaeque
aut esse admixtum
dicundumst rebus inane,
unde initum primum capiat
res quaeque movendi.
Postremo duo de
concursu corpora lata
si cita dissiliant, nempe aër
omne necessest,
Infine, se due corpi larghi e piatti, dopo
essersi scontrati
combaciando, con brusco rimbalzo si
distaccano, certo è necessario
che l'aria occupi tutto il vuoto che si
produce tra i due corpi.
Ma, per quanto essa confluisca
tutt'intorno con celeri correnti,
tuttavia non potrà lo spazio esserne
riempito tutto in un solo
istante: è necessario infatti che essa
occupi il luogo
che via via le sta più vicino, e poi prenda
possesso dell'intera
estensione. Che se per caso qualcuno
pensa che ciò avvenga
quando i corpi si sono distaccati, per il
condensarsi dell'aria,
erra; infatti allora si produce un vuoto che
prima
non c'era, e insieme si riempie ciò che
prima era vuoto,
né in tal modo può addensarsi l'aria,
e, se pure potesse, non potrebbe, credo,
senza il vuoto
contrarsi in sé e raccogliere le sue parti in
un punto solo.
Perciò, per quanto tu indugi adducendo
molti pretesti,
è necessario tuttavia che ammetta che
esiste nelle cose il vuoto.
E io potrei, rammentandoti molti altri
argomenti,
riuscire a strappare il tuo assenso ai miei
detti.
Ma ad una mente sagace queste piccole
orme sono
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inter corpora quod fiat,
possidat inane.
is porro quamvis circum
celerantibus auris
confluat, haud poterit tamen
uno tempore totum
compleri spatium; nam
primum quemque necessest
occupet ille locum, deinde
omnia possideantur.
quod si forte aliquis, cum
corpora dissiluere,
tum putat id fieri quia se
condenseat aër,
errat; nam vacuum tum fit
quod non fuit ante
et repletur item vacuum
quod constitit ante,
nec tali ratione potest
denserier aër
nec, si iam posset, sine inani
posset, opinor,
ipse in se trahere et partis
conducere in unum.
Qua propter, quamvis
causando multa moreris,
esse in rebus inane tamen
fateare necessest.
multaque praeterea tibi
possum commemorando
argumenta fidem dictis
conradere nostris.
verum animo satis haec
vestigia parva sagaci
sunt, per quae possis
cognoscere cetera tute.
namque canes ut
sufficienti: con esse tu stesso puoi
conoscere il resto.
E infatti come i cani spesso col fiuto
scoprono il covile
coperto di fronde di una fiera che vaga sui
monti,
una volta che si son messi sulle tracce
d'una via sicura,
così in tali questioni potrai tu stesso, da
solo, passare
da una conoscenza all'altra e addentrarti
in tutte
le cieche latebre e trarne fuori il vero.
Ma se sei pigro o ti ritrai un poco dalla
cosa,
questo posso senz'altro prometterti, o
Memmio:
così larghi sorsi, attinti alle grandi fonti,
la lingua soave verserà dal mio petto
colmo,
ch'io temo che la tarda vecchiezza
serpeggi
per le membra e sciolga in noi i vincoli
della vita,
prima che su una qualsiasi singola cosa
tutta la quantità
delle prove ti sia coi versi trasmessa per
le orecchie.
Ma ora, perché io riprenda a intessere con
le parole il lavoro
intrapreso, tutta la natura dunque, come
è per sé stessa,
consiste di due cose: ci sono infatti i corpi
e il vuoto,
in cui quelli son posti e attraverso cui si
muovono per diverse vie.
Infatti, che il corpo esista, lo indica di per
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montivagae persaepe ferai
naribus inveniunt intectas
fronde quietes,
cum semel institerunt
vestigia certa viai,
sic alid ex alio per te tute
ipse videre
talibus in rebus poteris
caecasque latebras
insinuare omnis et verum
protrahere inde.
quod si pigraris paulumve
recesseris ab re,
hoc tibi de plano possum
promittere, Memmi:
usque adeo largos haustus e
fontibus magnis
lingua meo suavis diti de
pectore fundet,
ut verear ne tarda prius per
membra senectus
serpat et in nobis vitai
claustra resolvat,
quam tibi de quavis una re
versibus omnis
argumentorum sit copia
missa per auris.
Sed nunc ut repetam
coeptum pertexere dictis,
omnis ut est igitur per se
natura duabus
constitit in rebus; nam
corpora sunt et inane,
haec in quo sita sunt et qua
diversa moventur.
corpus enim per se
communis dedicat esse
sé il senso
di cui tutti siamo dotati; se non avrà
anzitutto valore
la fede in questo, ben fondata, non
esisterà, quando tratteremo
di cose occulte, nulla a cui riferendoci
possiamo provare qualcosa
col ragionare della mente. E poi, se non
esistesse l'estensione
e lo spazio, che chiamiamo vuoto, i corpi
non potrebbero esser posti
in alcun luogo, né assolutamente
muoversi verso alcun punto,
per diverse vie: ciò che già sopra,
poc'anzi, ti abbiamo dimostrato.
Oltre a questi, non c'è cosa che tu possa
dire disgiunta
da ogni corpo e separata dal vuoto,
e che risulti costituente quasi una terza
natura.
Infatti, qualunque cosa esisterà, dovrà
essere qualche cosa per sé stessa.
E se essa sarà tangibile, per quanto in
modo leggero ed esiguo,
accrescerà, con un accrescimento grande
o anche piccolo,
purché esista, il numero dei corpi e si
aggiungerà alla loro somma.
Se invece sarà intangibile, perché da
nessuna parte potrà impedire
a una cosa, che cerca di passare per essa,
di attraversarla,
evidentemente questo sarà ciò che
chiamiamo libero vuoto.
Inoltre, qualunque cosa esisterà per sé
stessa, o farà qualcosa
o, agendo altri, dovrà essa stessa subire,
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sensus; cui nisi prima fides oppure sarà tale
fundata valebit,
che in essa le cose possano esistere e
haut erit occultis de rebus
svolgersi.
quo referentes
Ma fare e subire non può alcuna cosa
confirmare animi quicquam senza corpo, né offrire
ratione queamus.
luogo può alcuna cosa, tranne lo spazio
tum porro locus ac spatium, vuoto e libero.
quod inane vocamus,
Dunque, oltre il vuoto e i corpi, non si può
si nullum foret, haut usquam lasciare nel novero
sita corpora possent
delle cose nessuna terza natura esistente
esse neque omnino
per sé stessa,
quoquam diversa meare;
né tale che cada in alcun tempo sotto i
id quod iam supera tibi paulo nostri sensi,
ostendimus ante.
né tale che qualcuno possa giungervi col
praeterea nihil est quod
ragionare della mente.
possis dicere ab omni
Infatti tutte le cose che hanno un nome, o
corpore seiunctum
le troverai proprietà
secretumque esse ab inani, di queste due cose o vedrai che sono loro
quod quasi tertia sit numero accidenti.
natura reperta.
Proprietà è ciò che in nessun caso si può
nam quod cumque erit, esse disgiungere
aliquid debebit id ipsum
e separare senza un distacco distruttore:
augmine vel grandi vel parvo tale è la pesantezza
denique, dum sit;
per i sassi, il calore per il fuoco, la
cui si tactus erit quamvis
liquidità per l'acqua,
levis exiguusque,
la tangibilità per tutti i corpi, l'intangibilità
corporis augebit numerum
per il vuoto.
summamque sequetur;
Al contrario, servitù, povertà e ricchezza,
sin intactile erit, nulla de
libertà, guerra, concordia, e tutte le altre
parte quod ullam
cose di cui
rem prohibere queat per se l'arrivo e la partenza lasciano incolume la
transire meantem,
natura della cosa,
scilicet hoc id erit, vacuum
siamo soliti chiamarle, come è naturale,
quod inane vocamus.
accidenti.
Praeterea per se quod
Anche il tempo non esiste per sé, ma dalle
cumque erit, aut faciet quid cose stesse
aut aliis fungi debebit
deriva il senso di ciò che si è svolto nel
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agentibus ipsum
aut erit ut possint in eo res
esse gerique.
at facere et fungi sine
corpore nulla potest res
nec praebere locum porro
nisi inane vacansque.
ergo praeter inane et
corpora tertia per se
nulla potest rerum in
numero natura relinqui,
nec quae sub sensus cadat
ullo tempore nostros
nec ratione animi quam
quisquam possit apisci.
Nam quae cumque cluent,
aut his coniuncta duabus
rebus ea invenies aut horum
eventa videbis.
coniunctum est id quod
nusquam sine permitiali
discidio potis est seiungi
seque gregari,
pondus uti saxis, calor ignis,
liquor aquai,
tactus corporibus cunctis,
intactus inani.
servitium contra paupertas
divitiaeque,
libertas bellum concordia
cetera quorum
adventu manet incolumis
natura abituque,
haec soliti sumus, ut par est,
eventa vocare.
tempus item per se non est,
sed rebus ab ipsis
tempo,
poi di ciò che è presente, infine di ciò che
segue più tardi.
E bisogna riconoscere che nessuno
avverte il tempo per sé,
separato dal movimento e dalla placida
quiete delle cose.
Ancora, quando dicono che "il ratto della
Tindaride" e il "soggiogamento
delle genti troiane in guerra" esistono,
bisogna badare
che per avventura non ci costringano a
riconoscere che queste cose
esistano per sé, poiché quelle generazioni
di uomini, di cui queste
furono accidenti, le tolse via, irrevocabile,
l'età già passata.
Giacché qualunque cosa si sarà compiuta,
potrà essere detta
accidente, in un caso † ...... †, in un altro
delle regioni stesse.
Infine, se non fosse esistita la materia
delle cose,
né il luogo e lo spazio in cui tutte le cose
si svolgono,
giammai il fuoco dell'amore, suscitato
dalla bellezza della Tindaride,
divampando profondo nel frigio petto di
Alessandro,
avrebbe acceso le famose battaglie della
crudele guerra,
né di nascosto ai Troiani il ligneo cavallo
avrebbe
incendiato Pergamo col notturno parto dei
Greci;
sì che tu puoi ben vedere che gli
avvenimenti, tutti, senza
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consequitur sensus,
transactum quid sit in aevo,
tum quae res instet, quid
porro deinde sequatur;
nec per se quemquam
tempus sentire fatendumst
semotum ab rerum motu
placidaque quiete.
denique Tyndaridem raptam
belloque subactas
Troiiugenas gentis cum
dicunt esse, videndumst
ne forte haec per se cogant
nos esse fateri,
quando ea saecla hominum,
quorum haec eventa
fuerunt,
inrevocabilis abstulerit iam
praeterita aetas;
namque aliud terris, aliud
regionibus ipsis
eventum dici poterit quod
cumque erit actum.
denique materies si rerum
nulla fuisset
nec locus ac spatium, res in
quo quaeque geruntur,
numquam Tyndaridis forma
conflatus amore
ignis Alexandri Phrygio sub
pectore gliscens
clara accendisset saevi
certamina belli
nec clam durateus Troiianis
Pergama partu
inflammasset equos
nocturno Graiiugenarum;
eccezione, non sussistono per sé, né
esistono così come i corpi,
né si può dire che siano allo stesso modo
in cui sussiste il vuoto;
ma piuttosto son tali che giustamente
puoi chiamarli accidenti
dei corpi e del luogo in cui tutte le cose si
svolgono.
I corpi poi sono in parte i primi principi
delle cose,
in parte le cose costituite
dall'aggregazione dei primi principi.
Ma quelli che effettivamente sono primi
principi delle cose, nessuna
forza può estinguerli; infatti per la solidità
del corpo son essi
che vincono alla fine. Sebbene sembri
difficile credere
che tra le cose se ne possa trovare
qualcuna di corpo solido.
Passa infatti il fulmine del cielo attraverso
i muri delle case,
come il grido e le voci; nel fuoco il ferro
diventa incandescente,
e le pietre si spaccano a un calore che
fiero ferva;
come la rigidità dell'oro cede alla vampa e
si scioglie,
così il ghiaccio del bronzo, vinto dalla
fiamma, si fonde;
attraversano l'argento il calore e il freddo
penetrante,
poiché l'uno e l'altro comunemente
sentiamo tenendo in mano, come s'usa,
le coppe, quando dall'alto vi è stata
versata l'acqua che le irrora.
A tal segno sembra che nelle cose non ci
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perspicere ut possis res
gestas funditus omnis
non ita uti corpus per se
constare neque esse
nec ratione cluere eadem
qua constet inane,
sed magis ut merito possis
eventa vocare
corporis atque loci, res in
quo quaeque gerantur.
Corpora sunt porro partim
primordia rerum,
partim concilio quae
constant principiorum.
sed quae sunt rerum
primordia, nulla potest vis
stinguere; nam solido
vincunt ea corpore demum.
etsi difficile esse videtur
credere quicquam
in rebus solido reperiri
corpore posse.
transit enim fulmen caeli per
saepta domorum
clamor ut ac voces, ferrum
candescit in igni
dissiliuntque fero ferventi
saxa vapore;
cum labefactatus rigor auri
solvitur aestu,
tum glacies aeris flamma
devicta liquescit;
permanat calor argentum
penetraleque frigus,
quando utrumque manu
retinentes pocula rite
sensimus infuso lympharum
sia nulla di solido.
Ma poiché, tuttavia, la verità e la natura
delle cose lo impongono,
presta attenzione, finché dimostriamo, in
pochi versi,
che esistono cose costituite di corpo solido
ed eterno,
che noi mostriamo essere i semi delle
cose e i primi principi
da cui fu creato tutto l'universo quale ora
è costituito.
Anzitutto, poiché abbiamo scoperto che
sussiste
una duplice natura, di gran lunga
dissimile, di due cose,
la materia e lo spazio, nel quale tutte le
cose si svolgono,
è necessario che ognuna delle due esista
per sé e scevra di mescolanza.
Difatti, dovunque si stende libero lo
spazio, che chiamiamo
vuoto, lì non v'è corpo; d'altra parte,
dovunque sta un corpo,
li non v'è assolutamente uno spazio
sgombro, vuoto.
Sono dunque solidi e senza vuoto i corpi
primi.
Inoltre, poiché nelle cose generate c'è il
vuoto,
è necessario che tutt'intorno stia materia
solida;
né si può con giusto ragionare provare
che alcuna cosa
nel proprio corpo celi vuoto e l'abbia nel
proprio interno,
se non ammetti che ciò che lo racchiude è
solido.
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rore superne.
D'altra parte, nient'altro può essere che
usque adeo in rebus solidi
aggregato di materia,
nihil esse videtur.
qualcosa che sia capace di racchiudere il
sed quia vera tamen ratio
vuoto delle cose.
naturaque rerum
La materia dunque, che consta di corpo
cogit, ades, paucis dum
solido,
versibus expediamus
può essere eterna, mentre tutto il resto si
esse ea quae solido atque
dissolve.
aeterno corpore constent,
E poi, se non esistesse nulla che fosse
semina quae rerum
sgombro e vuoto,
primordiaque esse docemus, il tutto sarebbe solido; per contrario, se
unde omnis rerum nunc
non esistessero
constet summa creata.
determinati corpi per empire tutti i luoghi
Principio quoniam duplex che occupano,
natura duarum
tutto quanto esiste sarebbe spazio
dissimilis rerum longe
sgombro, vuoto.
constare repertast,
Alternamente, dunque, senza dubbio il
corporis atque loci, res in
corpo è intramezzato
quo quaeque geruntur,
dal vuoto, poiché il tutto non è totalmente
esse utramque sibi per se
pieno, né, d'altronde,
puramque necessest.
è totalmente vuoto. Esistono dunque corpi
nam qua cumque vacat
determinati,
spatium, quod inane
tali da potere intramezzare col pieno lo
vocamus,
spazio vuoto.
corpus ea non est; qua porro Questi né possono dissolversi percossi da
cumque tenet se
colpi
corpus, ea vacuum
dall'esterno, né inoltre, penetrati a fondo,
nequaquam constat inane.
disgregarsi,
sunt igitur solida ac sine
né possono in altro modo attaccati
inani corpora prima.
vacillare;
Praeterea quoniam genitis ciò che già sopra, poc'anzi, ti abbiamo
in rebus inanest,
dimostrato.
materiem circum solidam
È infatti evidente che senza vuoto
constare necessest;
nessuna cosa può essere
nec res ulla potest vera
schiacciata, né infranta, né scissa in due
ratione probari
parti con un taglio;
corpore inane suo celare
né può ricevere in sé acqua e neppure il
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atque intus habere,
freddo che pervade,
si non, quod cohibet,
né il fuoco penetrante, che sono i fattori
solidum constare relinquas. d'ogni distruzione.
id porro nihil esse potest nisi E quanto più ogni cosa in sé racchiude
materiai
vuoto,
concilium, quod inane queat tanto più da queste cose a fondo
rerum cohibere.
attaccata vacilla.
materies igitur, solido quae Dunque, se i corpi primi sono solidi e
corpore constat,
senza vuoto,
esse aeterna potest, cum
così come ho dimostrato, è necessario che
cetera dissoluantur.
siano eterni.
Tum porro si nil esset
Inoltre, se la materia non fosse stata
quod inane vocaret,
eterna, prima d'ora
omne foret solidum; nisi
tutte le cose sarebbero tornate
contra corpora certa
interamente al nulla,
essent quae loca complerent e dal nulla sarebbero rinate tutte quelle
quae cumque tenerent
cose che noi vediamo.
omne quod est spatium,
Ma poiché sopra ho dimostrato che nulla
vacuum constaret inane.
si può creare dal nulla
alternis igitur ni mirum
e ciò che fu generato non può essere
corpus inani
ridotto al nulla,
distinctum, quoniam nec
di corpo immortale devono essere i primi
plenum naviter extat
principi,
nec porro vacuum; sunt ergo in cui tutte le cose possano risolversi nel
corpora certa,
momento supremo,
quae spatium pleno possint sì che la materia sia bastante a ristorare
distinguere inane.
la perdita delle cose.
haec neque dissolui plagis
Sono dunque di solida semplicità i primi
extrinsecus icta
principi,
possunt nec porro penitus
né in altro modo possono essersi
penetrata retexi
conservati attraverso le età
nec ratione queunt alia
e ristorare le perdite delle cose, da tempo
temptata labare;
ormai infinito.
id quod iam supra tibi paulo Ancora, se la natura non avesse fissato
ostendimus ante.
alcun limite
nam neque conlidi sine inani allo spezzarsi delle cose, ormai i corpi
posse videtur
della materia,
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quicquam nec frangi nec
findi in bina secando
nec capere umorem neque
item manabile frigus
nec penetralem ignem,
quibus omnia conficiuntur.
et quo quaeque magis
cohibet res intus inane,
tam magis his rebus penitus
temptata labascit.
ergo si solida ac sine inani
corpora prima
sunt ita uti docui, sint haec
aeterna necessest.
Praeterea nisi materies
aeterna fuisset,
antehac ad nihilum penitus
res quaeque redissent
de nihiloque renata forent
quae cumque videmus.
at quoniam supra docui nil
posse creari
de nihilo neque quod
genitumst ad nil revocari,
esse inmortali primordia
corpore debent,
dissolui quo quaeque
supremo tempore possint,
materies ut subpeditet rebus
reparandis.
sunt igitur solida primordia
simplicitate
nec ratione queunt alia
servata per aevom
ex infinito iam tempore res
reparare.
denique si nullam finem
spezzati dalle età passate, sarebbero
ridotti a tal punto
che da essi nulla potrebbe, entro un
tempo determinato,
esser concepito e raggiungere il sommo
limite della vita.
Infatti vediamo che qualunque cosa può
più in fretta dissolversi
che di nuovo rifarsi: pertanto ciò che la
lunga durata
dei giorni, l'infinita durata di tutto il tempo
già trascorso,
avrebbe fino ad ora spezzato,
sconvolgendolo e dissolvendolo,
non potrebbe mai essere rinnovato nel
tempo che resta.
Ma ora, senza dubbio, all'azione dello
spezzare è fissato
un limite determinato, immutabile, poiché
vediamo che ogni cosa
si rifà e, insieme, per le cose, secondo le
specie, sono fissati
tempi limitati in cui possano attingere il
fiore dell'età.
A ciò si aggiunge che, sebbene i primi
corpi della materia
siano solidissimi, tuttavia tutte le cose
molli che si producono,
l'aria l'acqua la terra i vapori, si può
spiegare in che modo
si producano e per qual forza tutte si
svolgano,
una volta che nelle cose è commisto il
vuoto.
Ma per contro, se supponiamo molli i
primi principi delle cose,
non si potrà spiegare donde possano
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natura parasset
frangendis rebus, iam
corpora materiai
usque redacta forent aevo
frangente priore,
ut nihil ex illis a certo
tempore posset
conceptum summum aetatis
pervadere finem.
nam quidvis citius dissolvi
posse videmus
quam rursus refici; qua
propter longa diei
infinita aetas ante acti
temporis omnis
quod fregisset adhuc
disturbans dissoluensque,
numquam relicuo reparari
tempore posset.
at nunc ni mirum frangendi
reddita finis
certa manet, quoniam refici
rem quamque videmus
et finita simul generatim
tempora rebus
stare, quibus possint aevi
contingere florem.
Huc accedit uti,
solidissima materiai
corpora cum constant,
possint tamen omnia reddi,
mollia quae fiunt, aër aqua
terra vapores,
quo pacto fiant et qua vi
quaeque gerantur,
admixtum quoniam semel
est in rebus inane.
crearsi le dure
rocce e il ferro, giacché radicalmente tutta
la natura
sarà priva d'un principio che ne costituisca
il fondamento.
Esistono dunque corpi possenti di solida
semplicità,
ed è per il più compatto aggregarsi di essi
che tutte le cose
possono farsi più salde e dimostrare
valide forze.
Inoltre, se nessun limite è assegnato allo
spezzarsi
dei corpi, tuttavia è necessario che
dall'eternità sopravanzino
ancora, per ciascuna specie di cose, corpi
che finora
non siano stati assaliti da alcun pericolo.
Ma, giacché sono dotati di natura fragile,
con ciò non s'accorda
che abbiano potuto continuare a
sussistere in eterno,
travagliati da innumerevoli colpi nel corso
di tutte le età.
Infine, poiché per le cose è secondo le
specie fissato
un termine di crescita e di conservazione
della vita,
e giacché risulta sancito da leggi di natura
che cosa possa
ognuna e che cosa non possa, né
alcunché si muta,
anzi tutto rimane così costante che i
variopinti uccelli,
di generazione in generazione, tutti
mostrano
presenti nel corpo i colori propri di
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at contra si mollia sint
primordia rerum,
unde queant validi silices
ferrumque creari,
non poterit ratio reddi; nam
funditus omnis
principio fundamenti natura
carebit.
sunt igitur solida pollentia
simplicitate,
quorum condenso magis
omnia conciliatu
artari possunt validasque
ostendere viris.
porro si nullast frangendis
reddita finis
corporibus, tamen ex
aeterno tempore quaeque
nunc etiam superare
necessest corpora rebus,
quae non dum clueant ullo
temptata periclo.
at quoniam fragili natura
praedita constant,
discrepat aeternum tempus
potuisse manere
innumerabilibus plagis
vexata per aevom.
Denique iam quoniam
generatim reddita finis
crescendi rebus constat
vitamque tenendi,
et quid quaeque queant per
foedera naturai,
quid porro nequeant,
sancitum quando quidem
extat,
ciascuna specie,
evidentemente devono anche avere un
corpo di materia
immutabile. Infatti, se i primi principi
potessero
in qualche modo esser vinti e mutarsi,
in tal caso sarebbe incerto anche che cosa
possa nascere,
che cosa non possa, infine in qual modo
ciascuna cosa
abbia un potere finito e un termine,
profondamente confitto;
né tante volte potrebbero le generazioni
secondo ciascuna specie
riprodurre natura, costumi, modo di
vivere e movimenti dei genitori.
E ancora: poiché c'è una punta estrema,
in ogni caso,
di quel corpo che i nostri sensi non
possono più
discernere, essa evidentemente è senza
parti
e consta di natura minima, né esistette
mai
per sé separata, né tale potrà essere in
futuro,
poiché di un'altra cosa essa stessa è parte
e prima e una;
poi altre ed altre parti simili, susseguendo
in ordine,
in schiera compatta, completano la natura
del corpo primo,
e, poiché non possono esistere per sé, è
necessario
che aderiscano là donde non possono in
alcun modo esser strappate via.
Sono dunque di solida semplicità i primi
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nec commutatur quicquam, principi,
quin omnia constant
essi che compatti di parti minime hanno
usque adeo, variae volucres stretta coesione,
ut in ordine cunctae
non aggregati per il concorso di quelle,
ostendant maculas generalis ma piuttosto possenti di eterna
corpore inesse,
semplicità.
inmutabilis materiae quoque Da essi la natura, riservando i semi alle
corpus habere
cose, non concede
debent ni mirum; nam si
che alcunché sia strappato via o venga
primordia rerum
ancora detratto.
commutari aliqua possent
D'altronde, se non ci sarà un minimo, tutti
ratione revicta,
i corpi
incertum quoque iam
più piccoli consteranno di parti infinite,
constet quid possit oriri,
giacché in tal caso la metà di una metà
quid nequeat, finita potestas avrà sempre
denique cuique
una propria metà, né alcuna cosa porrà
qua nam sit ratione atque
un termine.
alte terminus haerens,
E allora, che differenza ci sarà tra la
nec totiens possent
somma delle cose e la cosa più piccola?
generatim saecla referre
Non sarà possibile alcun divario: infatti,
naturam mores victum
per quanto
motusque parentum.
l'universo in tutto il suo insieme sia
Tum porro quoniam est
infinito, tuttavia
extremum quodque cacumen le cose più piccole consteranno
corporis illius, quod nostri
egualmente di parti infinite.
cernere sensus
Ma, poiché la verità protesta contro ciò e
iam nequeunt, id ni mirum
non ammette
sine partibus extat
che l'animo possa credervi, è necessario
et minima constat natura
che tu, vinto, riconosca
nec fuit umquam
che esistono quelle cose che non sono più
per se secretum neque post costituite di parti
hac esse valebit,
e constano di natura minima. E poiché
alterius quoniamst ipsum
esse esistono, è necessario
pars primaque et una,
che tu riconosca che esistono anche
inde aliae atque aliae similes quegli elementi, solidi ed eterni.
ex ordine partes
Infine, se la natura creatrice fosse solita
agmine condenso naturam
costringere
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corporis explent;
quae quoniam per se
nequeunt constare,
necessest
haerere unde queant nulla
ratione revelli.
sunt igitur solida primordia
simplicitate,
quae minimis stipata
cohaerent partibus arte.
non ex illorum conventu
conciliata,
sed magis aeterna pollentia
simplicitate,
unde neque avelli quicquam
neque deminui iam
concedit natura reservans
semina rebus.
Praeterea nisi erit
minimum, parvissima
quaeque
corpora constabunt ex
partibus infinitis,
quippe ubi dimidiae partis
pars semper habebit
dimidiam partem nec res
praefiniet ulla.
ergo rerum inter summam
minimamque quod escit,
nil erit ut distet; nam
quamvis funditus omnis
summa sit infinita, tamen,
parvissima quae sunt,
ex infinitis constabunt
partibus aeque.
quod quoniam ratio reclamat
vera negatque
tutte le cose a risolversi nelle parti
minime,
nulla più essa sarebbe in grado di
ricomporre con queste,
perché le cose che sono prive di parti non
possono avere
le qualità che deve avere la materia
generatrice,
le varie connessioni, i pesi, gli urti,
gl'incontri, i movimenti, per cui tutte le
cose si svolgono.
Perciò coloro i quali pensarono che
materia delle cose fosse
il fuoco e che di solo fuoco fosse costituito
l'universo,
appare evidente che molto si
allontanarono dalla verità.
Loro duce, entra primo in battaglia
Eraclito,
illustre per l'oscura lingua più tra i fatui
che tra i seri Greci ricercatori del vero.
Gli sciocchi infatti più ammirano e amano
tutte
quelle cose che scorgono nascoste sotto
parole stravolte,
e tengono per vero ciò che può titillare
gradevolmente
le orecchie ed è colorato di una piacevole
sonorità.
Come potrebbero infatti le cose essere
tanto varie, io domando,
se si suppone che siano nate dal solo e
puro fuoco?
Nulla, in verità, gioverebbe che il caldo
fuoco si condensasse
o si rarefacesse, se le parti del fuoco
avessero
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credere posse animum,
victus fateare necessest
esse ea quae nullis iam
praedita partibus extent
et minima constent natura.
quae quoniam sunt,
illa quoque esse tibi solida
atque aeterna fatendum.
Denique si minimas in
partis cuncta resolvi
cogere consuesset rerum
natura creatrix,
iam nihil ex illis eadem
reparare valeret
propterea quia, quae nullis
sunt partibus aucta,
non possunt ea quae debet
genitalis habere
materies, varios conexus
pondera plagas
concursus motus, per quas
res quaeque geruntur.
Quapropter qui materiem
rerum esse putarunt
ignem atque ex igni
summam consistere solo,
magno opere a vera lapsi
ratione videntur.
Heraclitus init quorum dux
proelia primus,
clarus [ob] obscuram
linguam magis inter inanis
quamde gravis inter Graios,
qui vera requirunt;
omnia enim stolidi magis
admirantur amantque,
inversis quae sub verbis
la medesima natura che ha anche il fuoco
intero.
Più violento sarebbe difatti l'ardore per la
concentrazione delle parti,
e, d'altro canto, più languido per la loro
disgiunzione e dispersione
Che con tali cause possa avvenire più di
questo,
non ti è dato credere; tanto meno, poi,
tanta varietà di cose
può provenire da fuochi densi e radi. E
aggiungi questo:
soltanto se ammettono che alle cose è
misto il vuoto,
i fuochi potranno condensarsi o rarefarsi.
Ma, poiché † ...... † vedono molte cose
opporsi a loro
e rifuggono dall'ammettere nelle cose il
vuoto puro,
mentre temono la via ardua, smarriscono
la via giusta;
né d'altronde vedono che, tolto dalle cose
il vuoto,
tutto si condensa e di tutto si fa un corpo
solo,
tale che da sé non può emettere nulla
istantaneamente,
nel modo in cui il fuoco avvampante getta
luce e calore,
sì che vedi che non consta di parti
compatte.
Ma, se per caso credono che in altro modo
possano
i fuochi nell'addensamento estinguersi e
mutar sostanza,
è evidente che, se non si asterranno dal
far ciò in nessuna parte,
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latitantia cernunt,
veraque constituunt quae
belle tangere possunt
auris et lepido quae sunt
fucata sonore.
Nam cur tam variae res
possent esse, requiro,
ex uno si sunt igni puroque
creatae?
nil prodesset enim calidum
denserier ignem
nec rare fieri, si partes ignis
eandem
naturam quam totus habet
super ignis haberent.
acrior ardor enim conductis
partibus esset,
languidior porro disiectis
[dis>que supatis.
amplius hoc fieri nihil est
quod posse rearis
talibus in causis, ne dum
variantia rerum
tanta queat densis rarisque
ex ignibus esse.
Id quoque: si faciant
admixtum rebus inane,
denseri poterunt ignes
rarique relinqui;
sed quia multa sibi cernunt
contraria quae sint
et fugitant in rebus inane
relinquere purum,
ardua dum metuunt,
amittunt vera viai
nec rursum cernunt exempto
rebus inane
tutto l'ardore naturalmente cadrà appieno
nel nulla,
‹e› dal nulla saranno prodotte tutte le
creature.
Infatti ogni volta che una cosa si muta ed
esce dai propri
termini, sùbito questo è la morte di ciò
che era prima.
Quindi è necessario che alle creature
qualcosa sopravanzi incolume,
perché tutte le cose non ti si riducano
appieno al nulla,
e dal nulla rinasca e prenda vigore
l'insieme delle cose.
Ora, dunque, poiché ci sono certi corpi
ben determinati,
che conservano una natura sempre
uguale,
e per il cui distaccarsi o accostarsi e
mutare di ordine
mutano natura le cose e si trasformano i
corpi,
si vede che questi corpi primi non sono di
fuoco.
Non farebbe infatti differenza che alcuni si
disgiungessero
e partissero, e altri si aggiungessero, e
alcuni mutassero ordine,
se tuttavia tutti quanti conservassero
natura di fiamma:
infatti, qualunque cosa creassero, sarebbe
in ogni modo fuoco.
Ma, a quel ch'io penso, la cosa sta così:
esistono certi corpi,
di cui gl'incontri, i movimenti, l'ordine, la
disposizione, le forme
producono i fuochi, e col mutare ordine
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omnia denseri fierique ex
mutano natura,
omnibus unum
né sono simili al fuoco, né ad alcun'altra
corpus, nil ab se quod possit cosa
mittere raptim,
che possa emettere corpi ai sensi
aestifer ignis uti lumen iacit e con l'accostarsi colpire il nostro tatto.
atque vaporem,
Dire, poi, che fuoco sono tutte le cose e
ut videas non e stipatis
che nel novero
partibus esse.
delle cose non esiste nulla che sia reale
Quod si forte alia credunt tranne il fuoco,
ratione potesse
come fa questo medesimo Eraclito, pare
ignis in coetu stingui
essere mero delirio.
mutareque corpus,
Infatti contro i sensi, partendo dai sensi,
scilicet ex nulla facere id si egli stesso combatte,
parte reparcent,
e infirma quelli da cui dipendono tutte le
occidet ad nihilum ni mirum opinioni,
funditus ardor
da cui egli stesso apprese questo che
omnis et [e] nihilo fient quae chiama fuoco.
cumque creantur;
Crede infatti che i sensi conoscano
nam quod cumque suis
realmente il fuoco,
mutatum finibus exit,
ma non tutte le altre cose, che per nulla
continuo hoc mors est illius son meno chiare.
quod fuit ante.
E questo a me sembra falsità e delirio.
proinde aliquid superare
A che ci riferiremo infatti? Che mai può
necesse est incolume ollis,
essere per noi
ne tibi res redeant ad nilum più sicuro degli stessi sensi per discernere
funditus omnes
il vero e il falso?
de nihiloque renata vigescat E d'altronde, perché uno eliminerebbe
copia rerum.
tutte le altre cose
Nunc igitur quoniam
e vorrebbe lasciare la sola natura del
certissima corpora quaedam fuoco, piuttosto che negare
sunt, quae conservant
l'esistenza del fuoco e lasciare tuttavia
naturam semper eandem,
sussistere un'altra natura?
quorum abitu aut aditu
Uguale demenza sembra, infatti, dire e
mutatoque ordine mutant
l'una e l'altra cosa.
naturam res et convertunt
Perciò coloro i quali pensarono che
corpora sese,
materia delle cose fosse
scire licet non esse haec
il fuoco e che di fuoco potesse essere
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ignea corpora rerum.
nil referret enim quaedam
decedere, abire
atque alia adtribui mutarique
ordine quaedam,
si tamen ardoris naturam
cuncta tenerent;
ignis enim foret omnimodis
quod cumque crearet.
verum, ut opinor, itast: sunt
quaedam corpora, quorum
concursus motus ordo
positura figurae
efficiunt ignis mutatoque
ordine mutant
naturam neque sunt igni
simulata neque ulli
praeterea rei quae corpora
mittere possit
sensibus et nostros adiectu
tangere tactus.
dicere porro ignem res
omnis esse neque ullam
rem veram in numero rerum
constare nisi ignem,
quod facit hic idem,
perdelirum esse videtur.
nam contra sensus ab
sensibus ipse repugnat
et labefactat eos, unde
omnia credita pendent,
unde hic cognitus est ipsi
quem nominat ignem;
credit enim sensus ignem
cognoscere vere,
cetera non credit, quae nilo
clara minus sunt.
costituito l'universo,
e coloro che posero l'aria quale principio
generatore
delle cose, o quanti pensarono che l'acqua
di per sé sola
formasse le cose, o che la terra creasse
tutto
e si trasformasse in ogni natura di cose,
sembrano essersi sperduti molto lontano
dal vero.
Aggiungi anche coloro che duplicano i
primi principi
delle cose, unendo l'aria al fuoco e la terra
all'acqua,
e coloro che credono che da quattro cose
possa crescer tutto,
dal fuoco, dalla terra e dall'aria e
dall'acqua.
Fra questi primeggia Empedocle di
Agrigento,
che entro le sue rive triangolari produsse
l'isola
intorno a cui fluttuando negli ampi anfratti
il mare
Ionio spruzza dalle onde glauche le salse
spume,
e per angusto stretto acque impetuose
dividono
con le onde le rive della terra Eolia dal
suo territorio.
Qui è la devastatrice Cariddi e qui i boati
dell'Etna
minacciano di raccogliere di nuovo le ire
delle fiamme,
sì che ancora la sua violenza vomiti fuochi
prorompenti
dalle fauci e al cielo lanci di nuovo folgori
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quod mihi cum vanum tum di fiamma.
delirum esse videtur;
E se questa regione appare in molti modi
quo referemus enim? quid
grande, meravigliosa
nobis certius ipsis
alle genti umane, e si dice che sia degna
sensibus esse potest, qui
di essere veduta,
vera ac falsa notemus?
opima di cose buone, munita di molta
Praeterea quare quisquam forza di uomini,
magis omnia tollat
pure sembra che in sé non abbia avuto
et velit ardoris naturam
nulla di più glorioso
linquere solam,
che quest'uomo, nulla di più santo e
quam neget esse ignis,
mirabile e caro.
[aliam] tamen esse
E invero i canti del suo petto divino
relinquat?
svelano a gran voce ed espongono
aequa videtur enim
gloriose scoperte,
dementia dicere utrumque. sì che a stento sembra nato da stirpe
Quapropter qui materiem umana.
rerum esse putarunt
Egli, tuttavia, e quelli che abbiamo
ignem atque ex igni
menzionati sopra,
summam consistere posse, notevolmente inferiori sotto molti aspetti
et qui principium gignundis e molto minori,
aëra rebus
benché scoprissero molte cose bene e in
constituere aut umorem qui maniera divina,
cumque putarunt
e quasi dai penetrali del cuore dessero
fingere res ipsum per se
responsi
terramve creare
più santamente e con molto maggiore
omnia et in rerum naturas
certezza
vertier omnis,
che la Pizia, che parla dal tripode e dal
magno opere a vero longe
lauro di Febo,
derrasse videntur.
tuttavia nei primi principi delle cose
adde etiam qui conduplicant rovinarono,
primordia rerum
e gravemente ivi caddero, grandi in
aëra iungentes igni
grande caduta;
terramque liquori,
prima perché, tolto dalle cose il vuoto,
et qui quattuor ex rebus
asseriscono
posse omnia rentur
il movimento, e lasciano cose morbide e
ex igni terra atque anima
porose,
procrescere et imbri.
l'aria l'acqua il fuoco la terra gli animali le
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quorum Acragantinus cum
messi,
primis Empedocles est,
e tuttavia non mescolano nel loro corpo il
insula quem triquetris
vuoto;
terrarum gessit in oris,
poi perché credono che non ci sia alcun
quam fluitans circum magnis termine
anfractibus aequor
alla divisione dei corpi, né esista arresto
Ionium glaucis aspargit virus al loro spezzarsi,
ab undis
né resti assolutamente alcun minimo nelle
angustoque fretu rapidum
cose;
mare dividit undis
mentre vediamo che di ciascuna cosa
Aeoliae terrarum oras a
esiste quel vertice estremo
finibus eius.
che si vede essere il minimo rispetto ai
hic est vasta Charybdis et
nostri sensi,
hic Aetnaea minantur
sì che puoi inferirne che il punto estremo
murmura flammarum
esistente nei corpi
rursum se colligere iras,
che non sei in grado di scorgere è in essi
faucibus eruptos iterum vis la minima parte.
ut vomat ignis
E a ciò s'aggiunge ancora questo: poiché
ad caelumque ferat flammai suppongono
fulgura rursum.
come primi principi cose molli, che noi
quae cum magna modis
vediamo soggette
multis miranda videtur
alla nascita e dotate di corpo mortale,
gentibus humanis regio
l'universo
visendaque fertur
dovrebbe in tal caso ritornare interamente
rebus opima bonis, multa
al nulla,
munita virum vi,
e dal nulla rinascere e prender vigore
nil tamen hoc habuisse viro l'insieme delle cose;
praeclarius in se
ma tu già saprai quanto e questo e quello
nec sanctum magis et mirum siano lontani dal vero.
carumque videtur.
Poi, quelle cose sono in molti modi
carmina quin etiam divini
nemiche ed hanno l'una
pectoris eius
per l'altra effetto di veleno: perciò o
vociferantur et exponunt
accozzatesi periranno
praeclara reperta,
o fuggiranno qua e là, così come, per
ut vix humana videatur
addensamento di tempesta,
stirpe creatus.
vediamo fuggire qua e là fulmini e piogge
Hic tamen et supra quos e venti.
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diximus inferiores
partibus egregie multis
multoque minores,
quamquam multa bene ac
divinitus invenientes
ex adyto tam quam cordis
responsa dedere
sanctius et multo certa
ratione magis quam
Pythia quae tripodi a Phoebi
lauroque profatur,
principiis tamen in rerum
fecere ruinas
et graviter magni magno
cecidere ibi casu.
Primum quod motus
exempto rebus inani
constituunt et res mollis
rarasque relinquunt
aëra solem ignem terras
animalia frugis
nec tamen admiscent in
eorum corpus inane;
deinde quod omnino finem
non esse secandis
corporibus facient neque
pausam stare fragori
nec prorsum in rebus
minimum consistere
qui[cquam],
cum videamus id extremum
cuiusque cacumen
esse quod ad sensus nostros
minimum esse videtur,
conicere ut possis ex hoc,
quae cernere non quis
extremum quod habent,
Infine, se da quattro cose tutto si crea
e in esse cose tutto di nuovo si dissolve,
come possono queste esser chiamate
primi principi piuttosto
che, al contrario e inversamente, le cose
principi di queste?
Alternamente infatti si generano e
cambiano colore
e l'intera loro natura reciprocamente, da
sempre.
Ma se per caso credi che il corpo del fuoco
e quello della terra
e i soffi dell'aria e il rorido umore si
congiungano
così che nell'unione per nulla muti la loro
natura,
da essi non ti si potrà formare nessun
essere,
né animato, né con corpo inanimato,
come un albero.
Difatti nella congiunzione del vario
coacervo ciascuna cosa
mostrerà la natura propria, e si vedrà
l'aria mista insieme
con la terra, e il fuoco permanere insieme
con l'acqua.
Ma nella generazione delle cose bisogna
che i primi principi
apportino una natura occulta e invisibile,
perché non spicchi qualcosa che contrasti,
e precluda
a quanto vien creato la possibilità di
un'esistenza propria.
Anzi, risalgono sino al cielo e ai suoi
fuochi,
e suppongono che prima il fuoco si
trasformi nei soffi dell'aria,
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minimum consistere [in illis]. di qui si generi la pioggia, e dalla pioggia
Huc accedit item,
si crei la terra,
quoniam primordia rerum
e dalla terra tutto ritorni indietro,
mollia constituunt, quae nos prima l'acqua, poi l'aria, quindi il calore,
nativa videmus
e che queste cose non cessino di mutarsi
esse et mortali cum corpore, tra loro,
funditus ut qui
di passare dal cielo alla terra, dalla terra
debeat ad nihilum iam rerum agli astri del cielo.
summa reverti
Cosa che i primi principi non devono fare
de nihiloque renata
in alcun modo.
vigescere copia rerum;
È necessario, infatti, che qualcosa
quorum utrumque quid a
sopravanzi immutabile,
vero iam distet habebis.
perché tutte le cose non si riducano
Deinde inimica modis
appieno al nulla.
multis sunt atque veneno
Infatti ogni volta che una cosa si muta ed
ipsa sibi inter se; quare aut esce dai propri
congressa peribunt
termini, sùbito questo è la morte di ciò
aut ita diffugient, ut
che era prima.
tempestate coacta
Perciò, poiché le cose che abbiamo dette
fulmina diffugere atque
poc'anzi
imbris ventosque videmus. subiscono mutamento, è necessario che
Denique quattuor ex
esse constino
rebus si cuncta creantur
di altre che non possano assolutamente
atque in eas rursum res
cambiarsi,
omnia dissoluuntur,
se non vuoi che tutte le cose si riducano
qui magis illa queunt rerum appieno al nulla.
primordia dici
Perché non supponi piuttosto certi corpi
quam contra res illorum
dotati
retroque putari?
di tale natura che, se per caso hanno
alternis gignuntur enim
creato il fuoco,
mutantque colorem
possano anche, tolti pochi di essi ed
et totam inter se naturam
aggiunti pochi altri,
tempore ab omni.
mutati ordine e moto, produrre i soffi
[fulmina diffugere atque
dell'aria,
imbris ventosque videmus.] e che così tutte le cose si mutino le une
sin ita forte putas ignis
nelle altre?
terraeque coire
"Ma fatti manifesti", dici, "mostrano
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (42 of 61) [07/08/2003 21.34.50]
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corpus et aërias auras
apertamente che tutte
roremque liquoris,
le cose nei soffi dell'aria crescono e
nil in concilio naturam ut
s'alimentano dalla terra;
mutet eorum,
e se la stagione non prodiga in tempo
nulla tibi ex illis poterit res
propizio le piogge,
esse creata,
sì che gli alberi vacillino per lo sciogliersi
non animans, non exanimo dei nembi,
cum corpore, ut arbos;
e il sole per parte sua non li ristora e
quippe suam quicque in
dispensa il calore,
coetu variantis acervi
non possono crescere messi, alberi, esseri
naturam ostendet mixtusque viventi".
videbitur aër
Naturalmente! E, se cibi secchi e teneri
cum terra simul et quodam liquidi
cum rore manere.
non ci sostenessero, senz'altro, deperito il
at primordia gignundis in
corpo,
rebus oportet
anche tutta la vita da tutti i nervi e le
naturam clandestinam
ossa si scioglierebbe.
caecamque adhibere,
Infatti senza dubbio noi siamo sostentati e
emineat ne quid, quod
alimentati da cose
contra pugnet et obstet
determinate, come da cose determinate
quo minus esse queat
altri esseri e altri ancora.
proprie quodcumque creatur. Certo perché molti principi primi, comuni
Quin etiam repetunt a
a molte cose
caelo atque ignibus eius
in molti modi, nelle cose son misti,
et primum faciunt ignem se per questo cose diverse si alimentano di
vertere in auras
cose diverse.
aëris, hinc imbrem gigni
E spesso importa molto con quali altri i
terramque creari
medesimi primi
ex imbri retroque a terra
principi, e in quale disposizione, siano
cuncta reverti,
collegati,
umorem primum, post aëra, e quali movimenti a vicenda imprimano e
deinde calorem,
ricevano;
nec cessare haec inter se
giacché gli stessi costituiscono il cielo, il
mutare, meare
mare, le terre, i fiumi,
a caelo ad terram, de terra il sole, gli stessi le messi, gli alberi, gli
ad sidera mundi.
esseri viventi,
quod facere haud ullo
ma si muovono commisti ad altri e in altro
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (43 of 61) [07/08/2003 21.34.50]
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debent primordia pacto.
immutabile enim quiddam
superare necessest,
ne res ad nihilum redigantur
funditus omnes;
nam quod cumque suis
mutatum finibus exit,
continuo hoc mors est illius
quod fuit ante.
quapropter quoniam quae
paulo diximus ante
in commutatum veniunt,
constare necessest
ex aliis ea, quae nequeant
convertier usquam,
ne tibi res redeant ad nilum
funditus omnis;
quin potius tali natura
praedita quaedam
corpora constituas, ignem si
forte crearint,
posse eadem demptis paucis
paucisque tributis,
ordine mutato et motu,
facere aëris auras,
sic alias aliis rebus mutarier
omnis?
'At manifesta palam res
indicat' inquis 'in auras
aëris e terra res omnis
crescere alique;
et nisi tempestas indulget
tempore fausto
imbribus, ut tabe nimborum
arbusta vacillent,
solque sua pro parte fovet
tribuitque calorem,
modo.
Anzi qua e là nei nostri stessi versi tu vedi
molte lettere comuni a molte parole,
mentre tuttavia devi ammettere che versi
e parole distano
tra loro, e per significato e per
modulazione di suono.
Tanto è il potere delle lettere, solo che se
ne muti l'ordine.
Ma i primi principi delle cose sono in
grado di apportare
più mezzi, perché se ne possano creare
tutte le varie cose.
Ora scrutiamo anche l'omeomeria di
Anassagora,
come i Greci la chiamano, mentre a noi la
povertà del patrio
linguaggio non concede di denominarla
nella nostra lingua;
ma tuttavia la cosa stessa è facile esporla
con parole.
Anzitutto - ciò che egli denomina
omeomeria delle cose evidentemente crede che le ossa siano
formate di ossa
piccolissime e minute, e di piccolissime e
minute
carni la carne, e che il sangue si crei da
molte
gocce di sangue che si uniscano tra loro,
e che l'oro possa esser costituito di
briciole d'oro,
e che la terra si componga per aggregarsi
di particelle di terra,
di particelle di fuoco sia fatto il fuoco,
d'acqua l'acqua;
e in simile maniera immagina e crede
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (44 of 61) [07/08/2003 21.34.50]
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crescere non possint fruges tutte le altre cose.
arbusta animantis.'
Né tuttavia in alcuna parte egli concede
scilicet et nisi nos cibus
che nelle cose ci sia
aridus et tener umor
il vuoto, né che esista un limite alla
adiuvet, amisso iam corpore divisione dei corpi.
vita quoque omnis
Perciò in entrambe le dottrine mi sembra
omnibus e nervis atque
che egli erri
ossibus exsoluatur;
allo stesso modo di coloro di cui
adiutamur enim dubio procul parlammo sopra.
atque alimur nos
Aggiungi che troppo deboli s'immagina i
certis ab rebus, certis aliae primi principi;
atque aliae res.
se effettivamente sono primi principi,
ni mirum quia multa modis quelli che son dotati
communia multis
di natura simile a quella che è propria
multarum rerum in rebus
delle cose stesse, e ugualmente
primordia mixta
soffrono fatica e morte, e nulla ne arresta
sunt, ideo variis variae res
il disfacimento.
rebus aluntur.
Quale di essi infatti sotto una pressione
atque eadem magni refert
violenta resisterà
primordia saepe
tanto da sfuggire alla distruzione, tra i
cum quibus et quali positura denti stessi della morte?
contineantur
Il fuoco o l'acqua o l'aria? Quale di questi?
et quos inter se dent motus Il sangue o le ossa?
accipiantque;
Nessuno, a parer mio; quando in egual
namque eadem caelum mare modo ogni cosa, senza eccezione,
terras flumina solem
sarà mortale, tanto quanto i corpi che
constituunt, eadem fruges
manifestamente vediamo
arbusta animantis,
scomparire, vinti da qualche forza, sotto i
verum aliis alioque modo
nostri occhi.
commixta moventur.
Ma che le cose non possano ricadere nel
quin etiam passim nostris in nulla, né, poi,
versibus ipsis
crescere dal nulla, chiamo a testimoniarlo
multa elementa vides multis le cose già provate.
communia verbis,
Inoltre, poiché il cibo accresce il corpo e lo
cum tamen inter se versus alimenta,
ac verba necessest
se ne può concludere che in noi le vene e
confiteare et re et sonitu
il sangue e le ossa
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (45 of 61) [07/08/2003 21.34.50]
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distare sonanti.
tantum elementa queunt
permutato ordine solo;
at rerum quae sunt
primordia, plura adhibere
possunt unde queant variae
res quaeque creari.
Nunc et Anaxagorae
scrutemur homoeomerian
quam Grai memorant nec
nostra dicere lingua
concedit nobis patrii
sermonis egestas,
sed tamen ipsam rem
facilest exponere verbis.
principio, rerum quam dicit
homoeomerian,
ossa videlicet e pauxillis
atque minutis
ossibus hic et de pauxillis
atque minutis
visceribus viscus gigni
sanguenque creari
sanguinis inter se multis
coeuntibus guttis
ex aurique putat micis
consistere posse
aurum et de terris terram
concrescere parvis,
ignibus ex ignis, umorem
umoribus esse,
cetera consimili fingit ratione
putatque.
nec tamen esse ulla de parte
in rebus inane
concedit neque corporibus
finem esse secandis.
*
o, se diranno che tutti i cibi sono di
sostanza mista
ed hanno in sé piccoli corpi di nervi
e ossa e generalmente vene e parti di
sangue,
ne conseguirà che ogni cibo, sia secco sia
liquido,
si debba credere costituito esso stesso di
cose d'altra natura,
di ossa e di nervi e di siero e di sangue
commisti.
Inoltre, se tutti i corpi che crescon dalla
terra son contenuti
nelle particelle di terra, la terra deve
essere composta
delle cose d'altra natura che sorgono su
dalla terra.
Trasporta lo stesso ragionamento a un
altro oggetto: potrai usare
le stesse parole. Se nel legno stan
nascosti fiamma e fumo e cenere,
è necessario che il legno consti di cose
d'altra natura.
Inoltre, tutti quei corpi che la terra
alimenta, accresce
*
delle cose d'altra natura che sorgono su
dal legno.
Resta qui una tenue scappatoia: è quella
di cui s'avvale
Anassagora, supponendo che in tutte le
cose
si celino commiste tutte le cose, ma
appaia
solo quella di cui nel miscuglio esistano
più particelle,
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (46 of 61) [07/08/2003 21.34.50]
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quare in utraque mihi pariter
ratione videtur
errare atque illi, supra quos
diximus ante.
Adde quod inbecilla nimis
primordia fingit;
si primordia sunt, simili quae
praedita constant
natura atque ipsae res sunt
aequeque laborant
et pereunt, neque ab exitio
res ulla refrenat.
nam quid in oppressu valido
durabit eorum,
ut mortem effugiat, leti sub
dentibus ipsis?
ignis an umor an aura? quid
horum? sanguen an ossa?
nil ut opinor, ubi ex aequo
res funditus omnis
tam mortalis erit quam quae
manifesta videmus
ex oculis nostris aliqua vi
victa perire.
at neque reccidere ad
nihilum res posse neque
autem
crescere de nihilo testor res
ante probatas.
Praeterea quoniam cibus
auget corpus alitque,
scire licet nobis venas et
sanguen et ossa
***
sive cibos omnis commixto
corpore dicent
esse et habere in se
e siano più in evidenza e collocate in
prima linea.
Ma questo si discosta molto dalla verità.
Giacché in tal caso anche le messi
dovrebbero spesso, quando
son frantumate dalla minacciosa forza
della pietra, emettere traccia
di sangue o qualcuna di quelle cose che si
alimentano nel nostro corpo;
quando le stritoliamo con pietra su pietra,
il sangue dovrebbe versarsi.
Similmente dovrebbero anche spesso le
erbe e le acque
stillare gocce dolci e di sapore simile a
quello
che ha il grasso latte delle pecore lanute;
e certo dovremmo anche, sminuzzate le
zolle di terra,
vedere spesso varie specie di erbe e
messi e fronde
disseminate tra la terra nascondersi in
particelle minute;
infine, nella legna spezzata si dovrebbero
vedere
cenere e fumo e minuti fuochi nascosti.
Ma, poiché fatti manifesti mostrano che
nessuna
di tali cose accade, è chiaro che nelle cose
non sono in quel modo
mischiate le cose, ma semi comuni a
molte cose
devono celarsi nelle cose, commisti in
molti modi.
"Ma spesso", tu dici, "sui grandi monti
avviene
che le vicine cime degli alti alberi si
sfreghino le une
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nervorum corpora parva
ossaque et omnino venas
partisque cruoris,
fiet uti cibus omnis et aridus
et liquor ipse
ex alienigenis rebus constare
putetur,
ossibus et nervis sanieque et
sanguine mixto.
Praeterea quae cumque e
terra corpora crescunt,
si sunt in terris, terram
constare necessest
ex alienigenis, quae terris
exoriuntur.
transfer item, totidem verbis
utare licebit:
in lignis si flamma latet
fumusque cinisque,
ex alienigenis consistant
ligna necessest,
[praeterea tellus quae
corpora cumque alit auget]
ex alienigenis, quae lignis
[ex]oriuntur.
Linquitur hic quaedam
latitandi copia tenvis,
id quod Anaxagoras sibi
sumit, ut omnibus omnis
res putet inmixtas rebus
latitare, sed illud
apparere unum, cuius sint
plurima mixta
et magis in promptu
primaque in fronte locata.
quod tamen a vera longe
ratione repulsumst;
contro le altre, quando a far ciò le
costringono gli austri possenti,
finché rifulgono d'uno sbocciato fiore di
fiamma".
Certo; eppure nel legno non si annida il
fuoco,
ma ci sono molti semi di calore, che,
confluiti
per lo strofinìo, producono incendi nelle
selve.
Che se la fiamma si nascondesse nelle
selve già formata,
non potrebbero per alcun tratto di tempo
restar celati i fuochi,
divorerebbero dappertutto le selve,
brucerebbero gli alberi.
E dunque non vedi ora che, come
dicemmo poc'anzi,
spesso importa moltissimo con quali altri i
medesimi
primi principi, e in quale disposizione,
siano collegati,
e quali movimenti a vicenda imprimano e
ricevano,
e che i medesimi, di poco mutati tra loro,
producono
i fuochi e il legno? Appunto come anche le
parole stesse
constano di lettere di poco mutate tra
loro,
mentre con distinti vocaboli significhiamo
ligneo e igneo.
E infine, se tutto quanto discerni nelle
cose visibili
credi che non possa avvenire senza che tu
supponga
dotati di natura consimile i corpi primi
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conveniebat enim fruges
quoque saepe, minaci
robore cum in saxi
franguntur, mittere signum
sanguinis aut aliquid, nostro
quae corpore aluntur.
cum lapidi in lapidem
terimus, manare cruorem
consimili ratione herbis
quoque saepe decebat,
et latices dulcis guttas
similique sapore
mittere, lanigerae quali sunt
ubere lactis,
scilicet et glebis terrarum
saepe friatis
herbarum genera et fruges
frondesque videri
dispertita inter terram
latitare minute,
postremo in lignis cinerem
fumumque videri,
cum praefracta forent,
ignisque latere minutos.
quorum nil fieri quoniam
manifesta docet res,
scire licet non esse in rebus
res ita mixtas,
verum semina multimodis
inmixta latere
multarum rerum in rebus
communia debent.
'At saepe in magnis fit
montibus' inquis 'ut altis
arboribus vicina cacumina
summa terantur
inter se validis facere id
della materia,
con questo criterio i primi principi ti vanno
in rovina:
avverrà che sghignazzino, scossi da
tremulo riso,
e di lacrime salse inumidiscano i volti e le
guance.
E ora, suvvia, apprendi ciò che resta e
ascolta più chiaro canto.
Né sfugge al mio pensiero quanto queste
cose siano oscure;
ma una grande speranza di gloria ha
trafitto il mio cuore
con tirso penetrante e insieme mi ha
infuso nel petto un dolce
amore delle Muse, dal quale ora incitato
con mente vivida
percorro remote regioni delle Pieridi, ove
nessuno prima
impresse orma. Godo ad appressarmi alle
fonti intatte
e bere, e godo a cogliere nuovi fiori
e comporre per il mio capo una corona
gloriosa,
di cui prima a nessuno le Muse abbiano
velato le tempie;
anzitutto perché grandi cose io insegno, e
cerco
di sciogliere l'animo dagli stretti nodi della
superstizione;
poi perché su oscura materia compongo
versi tanto luminosi,
tutto cospargendo col fascino delle Muse.
Infatti anche questo appare non privo di
ragione;
ma, come i medici, quando cercano di
dare ai fanciulli
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cogentibus austris,
donec flammai fulserunt
flore coorto.'
scilicet et non est lignis
tamen insitus ignis,
verum semina sunt ardoris
multa, terendo
quae cum confluxere, creant
incendia silvis.
quod si facta foret silvis
abscondita flamma,
non possent ullum tempus
celarier ignes,
conficerent volgo silvas,
arbusta cremarent.
iamne vides igitur, paulo
quod diximus ante,
permagni referre eadem
primordia saepe
cum quibus et quali positura
contineantur
et quos inter se dent motus
accipiantque,
atque eadem paulo inter se
mutata creare
ignes et lignum? quo pacto
verba quoque ipsa
inter se paulo mutatis sunt
elementis,
cum ligna atque ignes
distincta voce notemus.
Denique iam quae
cumque in rebus cernis
apertis
si fieri non posse putas, quin
materiai
corpora consimili natura
il ripugnante assenzio, prima gli orli,
tutt'attorno al bicchiere,
cospargono col dolce e biondo liquore del
miele,
perché nell'imprevidenza della loro età i
fanciulli siano ingannati,
non oltre le labbra, e intanto bevano
interamente l'amara
bevanda dell'assenzio e dall'inganno non
ricevano danno,
ma al contrario in tal modo risanati
riacquistino vigore;
così io ora, poiché questa dottrina per lo
più pare
troppo ostica a coloro che non l'hanno
coltivata,
e il volgo rifugge lontano da essa, ho
voluto esporti
la nostra dottrina col canto delle Pieridi
che suona soave,
e quasi cospargerla col dolce miele delle
Muse,
per provare se per caso potessi in tal
modo tenere
avvinto il tuo animo ai miei versi, finché
penetri tutta
la natura, in quale forma sia disposta e
ornata.
Ma, poiché ho insegnato che gli atomi
sono solidissimi
e in perpetuo volteggiano, invitti
attraverso ogni tempo,
ora investighiamo se la loro somma abbia
o non abbia
alcun limite; e parimenti, il vuoto di cui
abbiamo scoperto
l'esistenza, o luogo o spazio, in cui tutte le
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praedita fingas,
cose si svolgono,
hac ratione tibi pereunt
scrutiamo se sia tutto assolutamente
primordia rerum:
finito
fiet uti risu tremulo concussa oppure si apra immenso e
cachinnent
smisuratamente profondo.
et lacrimis salsis umectent
Tutto quanto esiste, dunque, non è
ora genasque.
limitato in alcuna
Nunc age, quod super est, direzione; altrimenti dovrebbe avere
cognosce et clarius audi.
un'estremità.
nec me animi fallit quam sint È evidente, d'altra parte, che niente può
obscura; sed acri
avere un'estremità,
percussit thyrso laudis spes se al di là non esiste qualche cosa che lo
magna meum cor
delimiti, sì che appaia
et simul incussit suavem mi un punto oltre il quale questa natura di
in pectus amorem
senso non possa più seguirlo.
Musarum, quo nunc
Ora, poiché dobbiamo ammettere che
instinctus mente vigenti
niente c'è al di fuori del tutto,
avia Pieridum peragro loca
questo non ha un'estremità: manca,
nullius ante
dunque, di confine e di misura.
trita solo. iuvat integros
Né importa in quali sue regioni tu ti fermi;
accedere fontis
perché sempre, qualsiasi luogo uno abbia
atque haurire iuvatque
occupato,
novos decerpere flores
per ogni verso lascia altrettanto infinito il
insignemque meo capiti
tutto.
petere inde coronam,
E inoltre, supponiamo ora che tutto lo
unde prius nulli velarint
spazio esistente
tempora Musae;
sia limitato e che qualcuno corra avanti,
primum quod magnis doceo all'estrema
de rebus et artis
riva, spingendosi fino all'ultimo punto, e
religionum animum nodis
scagli un dardo volante:
exsolvere pergo,
preferisci tu pensare che esso, lanciato
deinde quod obscura de re
con valide forze,
tam lucida pango
vada ove è stato vibrato e voli lontano,
carmina musaeo contingens o credi che qualcosa possa arrestarlo e ad
cuncta lepore.
esso opporsi?
id quoque enim non ab nulla O l'una o l'altra ipotesi occorre infatti che
ratione videtur;
tu ammetta e scelga.
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sed vel uti pueris absinthia Ma sia l'una che l'altra ti preclude ogni via
taetra medentes
di scampo
cum dare conantur, prius
e ti obbliga a riconoscere che il tutto si
oras pocula circum
estende senza confine.
contingunt mellis dulci
Infatti, sia che esista qualcosa che
flavoque liquore,
l'arresti e gl'impedisca
ut puerorum aetas inprovida di giungere ove è stato vibrato e di
ludificetur
conficcarsi nel segno,
labrorum tenus, interea
sia che più oltre esso voli, il punto donde
perpotet amarum
è partito non è il confine estremo.
absinthi laticem deceptaque In tal modo ti incalzerò e, dovunque
non capiatur,
porrai l'estrema
sed potius tali facto recreata riva, chiederò: "che sarà poi del dardo?".
valescat,
Avverrà che in nessun luogo si potrà
sic ego nunc, quoniam haec fissare il confine,
ratio plerumque videtur
e la possibilità della fuga sempre
tristior esse quibus non est allontanerà la scappatoia.
tractata, retroque
Inoltre, se tutto lo spazio dell'intero
volgus abhorret ab hac, volui universo
tibi suaviloquenti
fosse chiuso da ogni parte e stesse entro
carmine Pierio rationem
certi confini,
exponere nostram
se fosse limitato, già la massa della
et quasi musaeo dulci
materia per il peso
contingere melle,
dei suoi corpi solidi sarebbe confluita da
si tibi forte animum tali
ogni parte nel fondo,
ratione tenere
né alcuna cosa potrebbe svolgersi sotto la
versibus in nostris possem, volta del cielo;
dum perspicis omnem
e assolutamente non ci sarebbe cielo, né
naturam rerum, qua constet luce di sole,
compta figura.
ché in tal caso tutta la materia giacerebbe
Sed quoniam docui
accumulata,
solidissima materiai
già da tempo infinito depositandosi.
corpora perpetuo volitare
Ma ora, certamente, nessuna requie è
invicta per aevom,
data ai corpi
nunc age, summai quaedam dei primi principi, perché non c'è un
sit finis eorum
ultimo fondo,
nec[ne] sit, evolvamus; item ove possano quasi confluire e porre le loro
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quod inane repertumst
seu locus ac spatium, res in
quo quaeque gerantur,
pervideamus utrum finitum
funditus omne
constet an immensum
pateat vasteque profundum.
Omne quod est igitur
nulla regione viarum
finitumst; namque
extremum debebat habere.
extremum porro nullius
posse videtur
esse, nisi ultra sit quod
finiat, ut videatur
quo non longius haec sensus
natura sequatur.
nunc extra summam
quoniam nihil esse
fatendum,
non habet extremum, caret
ergo fine modoque.
nec refert quibus adsistas
regionibus eius;
usque adeo, quem quisque
locum possedit, in omnis
tantundem partis infinitum
omne relinquit.
Praeterea si iam finitum
constituatur
omne quod est spatium, si
quis procurrat ad oras
ultimus extremas iaciatque
volatile telum,
id validis utrum contortum
viribus ire
quo fuerit missum mavis
sedi.
Sempre in continuo moto si svolgono tutte
le cose,
per ogni dove, e anche dal basso vengono
forniti
i corpi della materia che muovono
dall'infinito.
Infine, palesemente appare agli occhi che
una cosa delimita
un'altra cosa: l'aria fa da confine ai colli, e
i monti all'aria;
il mare confina con la terra e, a loro volta,
tutte le terre col mare;
ma il tutto, invero, non c'è nulla che lo
delimiti dall'esterno.
La natura dello spazio , dunque, e la
distesa dell'abisso è tale
che i fulgidi fulmini non potrebbero
percorrerla nella loro corsa,
volando per un tratto ininterrotto di
tempo, né procedendo
potrebbero affatto ottenere che resti
meno cammino da fare:
a tal segno s'apre dovunque alle cose
un'immensa estensione,
senza confini da ogni punto verso
qualunque parte.
Che poi tutto l'insieme delle cose possa
porsi da sé stesso
un limite, lo vieta la natura; la quale
costringe la materia
a essere limitata dal vuoto, e quanto è
vuoto a essere limitato
dalla materia, sì che con la loro alternanza
rende infinito
il tutto, o altrimenti l'uno o l'altro dei due,
se non lo delimita
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longeque volare,
l'altro, con la semplice sua natura si
an prohibere aliquid censes stende tuttavia illimitato.
obstareque posse?
*
alterutrum fatearis enim
né il mare, né la terra, né la volta
sumasque necessest.
luminosa del cielo,
quorum utrumque tibi
né la stirpe mortale, né i santi corpi degli
effugium praecludit et omne dèi
cogit ut exempta concedas potrebbero sussistere per l'esiguo tratto di
fine patere.
un'ora:
nam sive est aliquid quod
dispersa fuori dalla sua compagine la
probeat efficiatque
massa della materia
quo minus quo missum est vagherebbe dissolta per il vuoto immenso,
veniat finique locet se,
o piuttosto non si sarebbe mai aggregata
sive foras fertur, non est a
per formare
fine profectum.
alcuna cosa, perché, sparpagliata, non
hoc pacto sequar atque, oras avrebbe potuto adunarsi.
ubi cumque locaris
Ché certo non secondo un deliberato
extremas, quaeram: quid
proposito i primi principi
telo denique fiet?
delle cose si collocarono ciascuno al suo
fiet uti nusquam possit
posto con mente sagace,
consistere finis
né in verità pattuirono quali moti dovesse
effugiumque fugae prolatet produrre ciascuno;
copia semper.
ma, poiché molti di essi, in molti modi
Praeterea spatium
trasmigrando per il tutto,
summai totius omne
da tempo infinito sono stimolati e
undique si inclusum certis
travagliati dagli urti,
consisteret oris
sperimentando ogni genere di movimenti
finitumque foret, iam copia e aggregazioni
materiai
pervengono finalmente a tali disposizioni,
undique ponderibus solidis
quali son quelle per cui s'è formato e
confluxet ad imum
sussiste il nostro universo,
nec res ulla geri sub caeli
e, per molti lunghi anni conservatosi,
tegmine posset
una volta che si combinò in movimenti
nec foret omnino caelum
concordanti,
neque lumina solis,
fa che i fiumi con le onde abbondanti delle
quippe ubi materies omnis
loro correnti
cumulata iaceret
alimentino l'avido mare e, riscaldata dalle
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ex infinito iam tempore
vampe del sole, la terra
subsidendo.
rinnovi i parti e, sorte dal suo grembo,
at nunc ni mirum requies
fioriscano le generazioni
data principiorum
degli animali e vivano i fuochi che
corporibus nullast, quia nil
scivolano nell'etere.
est funditus imum,
Ciò che in nessun modo farebbero, se
quo quasi confluere et sedes dall'infinito
ubi ponere possint.
non potesse affluire in abbondanza la
semper in adsiduo motu res materia
quaeque geruntur
con cui sogliono riparare a tempo tutte le
partibus [in] cunctis,
perdite.
infernaque suppeditantur
Infatti, come, privati del cibo, gli esseri
ex infinito cita corpora
viventi
materiai.
si sfanno perdendo i corpi, così tutte le
Postremo ante oculos res cose devono
rem finire videtur;
dissolversi appena ha cessato di rifornirle
aër dissaepit collis atque
la materia,
aëra montes,
deviata per qualche cagione dal giusto
terra mare et contra mare
cammino.
terras terminat omnis;
E gli urti dall'esterno, provenienti da ogni
omne quidem vero nihil est parte, non hanno il potere
quod finiat extra.
di conservare tutto l'insieme di qualunque
est igitur natura loci
mondo si sia aggregato.
spatiumque profundi,
Possono bensì battere spesso e trattenere
quod neque clara suo
una parte,
percurrere fulmina cursu
fin quando ne vengano altri e l'insieme si
perpetuo possint aevi
possa completare;
labentia tractu
tuttavia talora sono costretti a rimbalzare
nec prorsum facere ut restet e ad accordare
minus ire meando;
frattanto ai principi delle cose spazio e
usque adeo passim patet
tempo di fuga,
ingens copia rebus
sì che possano volar via, liberi
finibus exemptis in cunctas dall'aggregazione.
undique partis.
Perciò, ancora e ancora, è necessario che
Ipsa modum porro sibi
molti atomi affluiscano;
rerum summa parare
e d'altronde, perché possano essere
ne possit, natura tenet, quae sufficienti gli stessi urti,
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corpus inane
et quod inane autem est
finiri corpore cogit,
ut sic alternis infinita omnia
reddat,
aut etiam alterutrum, nisi
terminet alterum eorum,
simplice natura pateat
tamen inmoderatum,
nec mare nec tellus neque
caeli lucida templa
nec mortale genus nec
divum corpora sancta
exiguum possent horai
sistere tempus;
nam dispulsa suo de coetu
materiai
copia ferretur magnum per
inane soluta,
sive adeo potius numquam
concreta creasset
ullam rem, quoniam cogi
disiecta nequisset.
nam certe neque consilio
primordia rerum
ordine se suo quaeque
sagaci mente locarunt
nec quos quaeque [darent
motus pepigere profecto]
sed quia multa modis multis
mutata per omne
ex infinito vexantur percita
plagis,
omne genus motus et coetus
experiundo
tandem deveniunt in talis
disposituras,
da ogni parte abbisogna infinita quantità
di materia.
A tale proposito, tieniti lontano dal
credere, o Memmio,
a quello che dicono: che tutte le cose
convergono verso il centro
dell'universo, e che la natura del mondo
resta salda senza sostegno
di colpi dall'esterno, e l'alto e il basso non
possono dissolversi
da nessuna parte, per questo: perché
tutte le cose premono verso il centro
(se a te pare possibile che qualcosa poggi
su sé stessa);
e che i corpi pesanti che sono sotto la
terra, convergono tutti
verso l'alto e riposano poggiati all'inverso
sulla terra,
come le immagini che adesso noi vediamo
nell'acqua.
E similmente sostengono che animali
camminano supini
e tuttavia non possono cader via dalla
terra
nelle regioni inferiori del cielo, più di
quanto i corpi nostri
possano di per sé stessi volare verso le
plaghe del cielo;
e che, quando quelli vedono il sole, noi
scorgiamo gli astri
della notte, e alternamente dividono con
noi le stagioni
del cielo e trascorrono notti corrispondenti
ai nostri giorni.
Ma un vano ‹errore ha fatto approvare›
ad uomini sciocchi tali ‹assurdità›
perché hanno abbracciato ‹una teoria con
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qualibus haec rerum
consistit summa creata,
et multos etiam magnos
servata per annos
ut semel in motus coniectast
convenientis,
efficit ut largis avidum mare
fluminis undis
integrent amnes et solis
terra vapore
fota novet fetus
summissaque gens
animantum
floreat et vivant labentis
aetheris ignes.
quod nullo facerent pacto,
nisi materiai
ex infinito suboriri copia
posset,
unde amissa solent reparare
in tempore quaeque.
nam vel uti privata cibo
natura animantum
diffluit amittens corpus, sic
omnia debent
dissolui simul ac defecit
suppeditare
materies aliqua ratione
aversa viai.
nec plagae possunt
extrinsecus undique
summam
conservare omnem, quae
cumque est conciliata.
cudere enim crebro possunt
partemque morari,
dum veniant aliae ac
falso ragionare›.
Infatti non può esserci un centro, ‹perché
l'universo è›
infinito. Né assolutamente, se pure ‹ci
fosse un centro›,
alcuna cosa potrebbe ivi star fissa ‹per
questo,›
anziché ‹essere›, in qualsiasi altro modo,
‹respinta› lontano.
Infatti tutta l'estensione e lo spazio, che
‹chiamiamo vuoto›,
per il centro come fuori dal centro, ‹deve›
ugualmente lasciare
il passo ai corpi pesanti, dovunque
tendano i loro movimenti.
Non c'è alcun luogo, ove i corpi, quando
siano giunti, possano,
perduta la forza del peso, restar fermi nel
vuoto;
né, d'altra parte, ciò che è vuoto deve
sussistere quale base sotto
alcuna cosa senza continuare a cedere,
come esige la sua natura.
Dunque non possono le cose in tal modo
esser tenute
insieme in un'aggregazione, vinte dalla
brama del centro.
Inoltre, poiché s'immaginano che al
centro tendano,
non già tutti i corpi, ma solo quelli della
terra e dell'acqua,
i flutti del mare e le grandi onde che
scendono giù dai monti,
e quelle cose che sono contenute, per così
dire, nel corpo
terrestre, ma al contrario dicono che i
tenui soffi dell'aria
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suppleri summa queatur;
inter dum resilire tamen
coguntur et una
principiis rerum spatium
tempusque fugai
largiri, ut possint a coetu
libera ferri.
quare etiam atque etiam
suboriri multa necessest,
et tamen ut plagae quoque
possint suppetere ipsae,
infinita opus est vis undique
materiai.
Illud in his rebus longe
fuge credere, Memmi,
in medium summae quod
dicunt omnia niti
atque ideo mundi naturam
stare sine ullis
ictibus externis neque
quoquam posse resolvi
summa atque ima, quod in
medium sint omnia nixa,
ipsum si quicquam posse in
se sistere credis,
et quae pondera sunt sub
terris omnia sursum
nitier in terraque retro
requiescere posta,
ut per aquas quae nunc
rerum simulacra videmus;
et simili ratione animalia
suppa vagari
contendunt neque posse e
terris in loca caeli
reccidere inferiora magis
quam corpora nostra
e i caldi fuochi insieme si irradiino dal
centro,
e che tutto l'etere all'intorno tremoli di
stelle
e la fiamma del sole pascoli attraverso i
ceruli spazi del cielo
perché, fuggendo dal centro, il calore si
raccoglie tutto là,
e che agli alberi le cime dei rami non
potrebbero affatto
frondeggiare, se dalla terra a poco a poco
cibo a ciascuno
...........................................................
che le mura del mondo, al modo delle
fiamme volanti,
fuggano via improvvisamente dissolte nel
vuoto immenso,
e tutte le altre cose tengano loro dietro in
modo consimile,
e crollino in alto le volte tonanti del cielo,
e la terra si sottragga rapidamente ai
nostri piedi, e tutta,
fra le frammiste rovine delle cose terrene
e del cielo
dissolventi i corpi, si inabissi attraverso il
vuoto profondo,
sì che in un istante nessun avanzo resti,
tranne lo spazio deserto e i primi principi
invisibili.
Infatti, da qualunque parte supporrai che
prima vengano a mancare
i corpi, questa parte sarà per le cose la
porta della morte,
per questa si riverserà fuori tutta la folla
della materia.
Queste cose così conoscerai, condottovi
con poca fatica;
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sponte sua possint in caeli
templa volare;
illi cum videant solem, nos
sidera noctis
cernere et alternis nobiscum
tempora caeli
dividere et noctes parilis
agitare diebus.
sed vanus stolidis haec * * *
amplexi quod habent perv *
**
nam medium nihil esse
potest * * *
infinita; neque omnino, si
iam [medium sit>,
possit ibi quicquam
consistere * * *
quam quavis alia longe
ratione * * *
omnis enim locus ac
spatium, quod in,
per medium, per non
medium, concedere [debet]
aeque ponderibus, motus
qua cumque feruntur.
nec quisquam locus est, quo
corpora cum venerunt,
ponderis amissa vi possint
stare [in] inani;
nec quod inane autem est
ulli subsistere debet,
quin, sua quod natura petit,
concedere pergat.
haud igitur possunt tali
ratione teneri
res in concilium medii
cuppedine victae.
e infatti da una cosa un'altra cosa si
chiarirà, né la cieca notte
ti toglierà il cammino, sì che tu non
giunga a vedere gli ultimi confini
della natura: così le cose accenderanno la
luce su altre cose.
(Ll)
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (59 of 61) [07/08/2003 21.34.51]
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Praeterea quoniam non
omnia corpora fingunt
in medium niti, sed terrarum
atque liquoris
umorem ponti magnasque e
montibus undas,
et quasi terreno quae
corpore contineantur,
at contra tenuis exponunt
aëris auras
et calidos simul a medio
differrier ignis,
atque ideo totum circum
tremere aethera signis
et solis flammam per caeli
caerula pasci,
quod calor a medio fugiens
se ibi conligat omnis,
nec prorsum arboribus
summos frondescere ramos
posse, nisi a terris paulatim
cuique cibatum
*
**
ne volucri ritu flammarum
moenia mundi
diffugiant subito magnum
per inane soluta
et ne cetera consimili ratione
sequantur
neve ruant caeli tonitralia
templa superne
terraque se pedibus raptim
subducat et omnis
inter permixtas rerum
caelique ruinas
corpora solventes abeat per
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (60 of 61) [07/08/2003 21.34.51]
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inane profundum,
temporis ut puncto nihil
extet reliquiarum
desertum praeter spatium et
primordia caeca.
nam qua cumque prius de
parti corpora desse
constitues, haec rebus erit
pars ianua leti,
hac se turba foras dabit
omnis materiai.
Haec sic pernosces parva
perductus opella;
namque alid ex alio clarescet
nec tibi caeca
nox iter eripiet, quin ultima
naturai
pervideas: ita res accendent
lumina rebus.
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (61 of 61) [07/08/2003 21.34.51]
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De Rerum Natura - Liber II
Suave, mari magno turbantibus È dolce, mentre nel grande mare i
aequora ventis
venti sconvolgono le acque,
e terra magnum alterius spectare guardare dalla terra la grande
laborem;
fatica di un altro;
non quia vexari quemquamst
non perché il tormento di qualcuno
iucunda voluptas,
sia un giocondo piacere,
sed quibus ipse malis careas quia ma perché è dolce vedere da quali
cernere suavest.
mali tu stesso sia immune.
suave etiam belli certamina
Dolce è anche contemplare grandi
magna tueri
contese di guerra
per campos instructa tua sine
apprestate nei campi senza che tu
parte pericli;
partecipi al pericolo.
sed nihil dulcius est, bene quam
Ma nulla è più piacevole che star
munita tenere
saldo sulle serene regioni
edita doctrina sapientum templa
elevate, ben fortificate dalla
serena,
dottrina dei sapienti,
despicere unde queas alios
donde tu possa volgere lo sguardo
passimque videre
laggiù, verso gli altri,
errare atque viam palantis
e vederli errare qua e là e cercare,
quaerere vitae,
andando alla ventura,
certare ingenio, contendere
la via della vita, gareggiare
nobilitate,
d'ingegno, rivaleggiare di nobiltà,
noctes atque dies niti praestante adoprarsi notte e giorno con
labore
soverchiante fatica
ad summas emergere opes
per assurgere a somma ricchezza
rerumque potiri.
e impadronirsi del potere.
o miseras hominum mentes, o
O misere menti degli uomini, o
pectora caeca!
petti ciechi!
qualibus in tenebris vitae
In che tenebre di vita e tra quanto
quantisque periclis
grandi pericoli
degitur hoc aevi quod cumquest! si consuma questa esistenza,
nonne videre
quale che sia! E come non vedere
nihil aliud sibi naturam latrare, nisi che nient'altro la natura latrando
ut qui
reclama, se non che il dolore
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (1 of 67) [07/08/2003 21.36.40]
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corpore seiunctus dolor absit,
mente fruatur
iucundo sensu cura semota
metuque?
ergo corpoream ad naturam pauca
videmus
esse opus omnino: quae demant
cumque dolorem,
delicias quoque uti multas
substernere possint
gratius inter dum, neque natura
ipsa requirit,
si non aurea sunt iuvenum
simulacra per aedes
lampadas igniferas manibus
retinentia dextris,
lumina nocturnis epulis ut
suppeditentur,
nec domus argento fulget auroque
renidet
nec citharae reboant laqueata
aurataque templa,
cum tamen inter se prostrati in
gramine molli
propter aquae rivum sub ramis
arboris altae
non magnis opibus iucunde
corpora curant,
praesertim cum tempestas adridet
et anni
tempora conspergunt viridantis
floribus herbas.
nec calidae citius decedunt
corpore febres,
textilibus si in picturis ostroque
rubenti
iacteris, quam si in plebeia veste
sia rimosso e sia assente dal
corpo, e nella mente essa goda
di un senso giocondo, libera da
affanno e timore?
E dunque vediamo che alla natura
del corpo sono necessarie
assolutamente poche cose, quelle
che tolgono il dolore,
e sono tali che possono anche
procurare molte delizie;
né la natura stessa talvolta
richiede cosa più gradita se in casa non ci sono auree
statue di giovani
che tengano nelle mani destre
torce fiammeggianti,
sì che sia data luce ai notturni
banchetti,
né il palazzo rifulge d'argento e
brilla d'oro,
né alla cetra fanno eco i soffitti a
riquadri e dorati quando tuttavia, familiarmente
distesi sull'erba morbida,
presso un ruscello, sotto i rami di
un albero alto,
con tenui mezzi ristorano
giocondamente i corpi;
soprattutto quando il tempo arride
e la stagione
cosparge di fiori le erbe
verdeggianti.
Né le ardenti febbri, se ti dibatti
tra drappi ricamati
e porpora rosseggiante, lasciano il
corpo più presto
che se devi giacere su un tappeto
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (2 of 67) [07/08/2003 21.36.40]
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cubandum est.
plebeo.
quapropter quoniam nihil nostro in Perciò, poiché nulla al nostro
corpore gazae
corpo giovano i tesori,
proficiunt neque nobilitas nec
né la nobiltà, né la gloria del
gloria regni,
regno, per il resto
quod super est, animo quoque nil si deve pensare che anche
prodesse putandum;
all'animo nulla giovino;
si non forte tuas legiones per loca salvo che, per avventura, quando
campi
vedi le tue legioni
fervere cum videas belli simulacra ardentemente agitarsi per il
cientis,
campo suscitando simulacri di
subsidiis magnis et opum vi
guerra,
constabilitas,
appoggiate da potenti riserve e da
ornatas armis stlattas pariterque forze di cavalleria,
animatas,
e le schieri fornite di armi e
his tibi tum rebus timefactae
parimenti animose,
religiones
‹quando vedi la flotta
effugiunt animo pavidae mortisque ardentemente agitarsi e vagare
timores
per largo spazio,›
tum vacuum pectus lincunt
allora, intimorite da queste cose,
curaque solutum.
le superstizioni
quod si ridicula haec ludibriaque
ti fuggano via dall'animo
esse videmus,
trepidanti, e i timori della morte
re veraque metus hominum
lascino allora sgombro il petto e
curaeque sequaces
sciolto dall'affanno.
nec metuunt sonitus armorum nec Ma, se vediamo che questi
fera tela
pensieri son ridicoli e meritano
audacterque inter reges rerumque scherno,
potentis
e in realtà i timori degli uomini e
versantur neque fulgorem
gli affanni incalzanti
reverentur ab auro
non temono i fragori delle armi, né
nec clarum vestis splendorem
i crudeli dardi,
purpureai,
e audacemente si aggirano tra i re
quid dubitas quin omnis sit haec
e i potenti del mondo,
rationis potestas,
né riveriscono il fulgore che si
omnis cum in tenebris praesertim irraggia dall'oro,
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (3 of 67) [07/08/2003 21.36.40]
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vita laboret?
nam vel uti pueri trepidant atque
omnia caecis
in tenebris metuunt, sic nos in
luce timemus
inter dum, nihilo quae sunt
metuenda magis quam
quae pueri in tenebris pavitant
finguntque futura.
hunc igitur terrorem animi
tenebrasque necessest
non radii solis neque lucida tela
diei
discutiant, sed naturae species
ratioque.
Nunc age, quo motu genitalia
materiai
corpora res varias gignant
genitasque resolvant
et qua vi facere id cogantur
quaeque sit ollis
reddita mobilitas magnum per
inane meandi,
expediam: tu te dictis praebere
memento.
nam certe non inter se stipata
cohaeret
materies, quoniam minui rem
quamque videmus
et quasi longinquo fluere omnia
cernimus aevo
ex oculisque vetustatem
subducere nostris,
cum tamen incolumis videatur
summa manere
propterea quia, quae decedunt
corpora cuique,
né il luminoso splendore di un
vestito di porpora,
come puoi dubitare che questo
potere sia tutto della ragione?
Specie se pensi che tutta nelle
tenebre la vita si travaglia.
Difatti, come i fanciulli trepidano e
tutto temono
nelle cieche tenebre, così noi nella
luce talora abbiamo paura
di cose che per nulla son da
temere più di quelle che i fanciulli
nelle tenebre paventano e
immaginano prossime ad
avvenire.
Questo terrore dell'animo,
dunque, e queste tenebre
non li devono dissolvere i raggi del
sole, né i lucidi dardi
del giorno, ma l'aspetto e l'intima
legge della natura.
Ora, bada, spiegherò con quale
movimento i corpi generatori
della materia generino le varie
cose e dissolvano le cose
generate,
e da quale forza siano costretti a
far questo, e quale velocità
sia ad essi data per percorrere il
vuoto immenso:
tu ricorda di por mente alle mie
parole.
Ché certamente la materia non ha
compattezza e coesione,
giacché vediamo che ogni corpo
diminuisce, e discerniamo
che tutte le cose quasi fluiscono
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unde abeunt minuunt, quo venere
augmine donant.
illa senescere, at haec contra
florescere cogunt,
nec remorantur ibi. sic rerum
summa novatur
semper, et inter se mortales
mutua vivunt.
augescunt aliae gentes, aliae
minuuntur,
inque brevi spatio mutantur saecla
animantum
et quasi cursores vitai lampada
tradunt.
Si cessare putas rerum
primordia posse
cessandoque novos rerum
progignere motus,
avius a vera longe ratione vagaris.
nam quoniam per inane vagantur,
cuncta necessest
aut gravitate sua ferri primordia
rerum
aut ictu forte alterius. nam [cum]
cita saepe
obvia conflixere, fit ut diversa
repente
dissiliant; neque enim mirum,
durissima quae sint
ponderibus solidis neque
quicquam a tergibus obstet.
et quo iactari magis omnia
materiai
corpora pervideas, reminiscere
totius imum
nil esse in summa, neque habere
nel lungo corso del tempo
e la vecchiezza le sottrae ai nostri
occhi;
mentre l'insieme si vede
permanere intatto,
perché i corpi che si distaccano da
ogni cosa, diminuiscono
ciò da cui si allontanano, dove
giunsero danno accrescimento,
quelle cose fanno invecchiare,
queste al contrario fiorire,
né si arrestano là. Così l'insieme
delle cose si rinnova
sempre, e i mortali vivono di
vicendevoli scambi.
Si accrescono alcune specie, altre
diminuiscono,
e in breve tratto si mutano le
generazioni degli esseri viventi
e, simili a corridori, si trasmettono
la fiaccola della vita.
Se pensi che i primi principi delle
cose possano star fermi
e, stando fermi, generare nuovi
moti delle cose,
forviato vai errando lontano dalla
verità.
Infatti, poiché vagano per il vuoto,
è necessario
che i primi principi delle cose si
muovano tutti, o per il loro peso
o talora per l'urto di altro corpo.
Infatti, quando nell'incalzante
movimento spesso si sono
incontrati e han cozzato, avviene
che in opposte
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (5 of 67) [07/08/2003 21.36.40]
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ubi corpora prima
consistant, quoniam spatium sine
fine modoquest
inmensumque patere in cunctas
undique partis
pluribus ostendi et certa ratione
probatumst.
quod quoniam constat, ni mirum
nulla quies est
reddita corporibus primis per
inane profundum,
sed magis adsiduo varioque
exercita motu
partim intervallis magnis confulta
resultant,
pars etiam brevibus spatiis
vexantur ab ictu.
et quae cumque magis condenso
conciliatu
exiguis intervallis convecta
resultant,
indupedita suis perplexis ipsa
figuris,
haec validas saxi radices et fera
ferri
corpora constituunt et cetera [de]
genere horum.
paucula quae porro magnum per
inane vagantur,
cetera dissiliunt longe longeque
recursant
in magnis intervallis; haec aëra
rarum
sufficiunt nobis et splendida
lumina solis.
multaque praeterea magnum per
inane vagantur,
direzioni d'un tratto rimbalzino;
né, certo, ciò è strano, giacché
sono
durissimi nei loro solidi pesanti
corpi, e nulla fa ad essi ostacolo
da tergo.
E, perché meglio tu discerna
l'agitarsi di tutti i corpi
della materia, ricòrdati che in tutto
l'universo
non c'è un fondo, né i corpi primi
hanno un luogo
ove possano posare, poiché lo
spazio è senza fine e misura,
e che immenso esso s'apra da
ogni punto verso qualunque parte,
con parecchie parole ho mostrato
e con sicuro ragionare è stato
provato.
Poiché questo è certo, certamente
nessuna requie è data
ai corpi primi attraverso il vuoto
profondo,
ma piuttosto, travagliati da un
movimento continuo e vario,
parte, dopo essersi scontrati,
rimbalzano per lunghi intervalli,
parte anche per brevi tratti son
travagliati dal colpo.
E quanti, aggregati con maggiore
compattezza,
dopo essersi urtati rimbalzano
entro intervalli esigui,
impacciati come sono dalle loro
stesse figure intrecciate,
questi costituiscono le dure radici
della pietra e le indomite
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (6 of 67) [07/08/2003 21.36.41]
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conciliis rerum quae sunt reiecta masse del ferro e le altre cose
nec usquam
dello stesso genere.
consociare etiam motus potuere
Degli altri, che anche vagano
recepta.
attraverso il vuoto immenso,
Cuius, uti memoro, rei
pochi bàlzano lontano, e lontano
simulacrum et imago
retrocedono
ante oculos semper nobis versatur a grandi intervalli: questi l'aria
et instat.
sottile
contemplator enim, cum solis
ci forniscono e la splendida luce
lumina cumque
del sole;
inserti fundunt radii per opaca
ma per il vuoto immenso vagano
domorum:
molti altri,
multa minuta modis multis per
che furono esclusi dalle
inane videbis
aggregazioni, né in alcun'altra
corpora misceri radiorum lumine sede
in ipso
poterono essere accolti e collegare
et vel ut aeterno certamine proelia i movimenti.
pugnas
Di questo fatto, come lo descrivo,
edere turmatim certantia nec dare un simulacro e un'immagine
pausam,
innanzi ai nostri occhi sempre si
conciliis et discidiis exercita
aggira e incalza.
crebris;
Osserva infatti, ogni volta che
conicere ut possis ex hoc,
raggi penetrati
primordia rerum
infondono la luce del sole
quale sit in magno iactari semper nell'ombra delle case:
inani.
molti minuti corpi in molti modi,
dum taxat, rerum magnarum
attraverso il vuoto
parva potest res
vedrai mescolarsi nella luce stessa
exemplare dare et vestigia notitiai. dei raggi,
Hoc etiam magis haec animum e come in eterna contesa attaccar
te advertere par est
battaglie e zuffe,
corpora quae in solis radiis turbare a torme contendendo, e non far
videntur,
sosta,
quod tales turbae motus quoque da aggregazioni e disgregazioni
materiai
frequenti travagliati;
significant clandestinos caecosque sì che da ciò puoi figurarti quale
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (7 of 67) [07/08/2003 21.36.41]
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subesse.
multa videbis enim plagis ibi
percita caecis
commutare viam retroque repulsa
reverti
nunc huc nunc illuc in cunctas
undique partis.
scilicet hic a principiis est omnibus
error.
prima moventur enim per se
primordia rerum,
inde ea quae parvo sunt corpora
conciliatu
et quasi proxima sunt ad viris
principiorum,
ictibus illorum caecis inpulsa
cientur,
ipsaque porro paulo maiora
lacessunt.
sic a principiis ascendit motus et
exit
paulatim nostros ad sensus, ut
moveantur
illa quoque, in solis quae lumine
cernere quimus
nec quibus id faciant plagis
apparet aperte.
Nunc quae mobilitas sit reddita
materiai
corporibus, paucis licet hinc
cognoscere, Memmi.
primum aurora novo cum spargit
lumine terras
et variae volucres nemora avia
pervolitantes
aëra per tenerum liquidis loca
vocibus opplent,
sia l'eterno agitarsi
dei primi principi delle cose nel
vuoto immenso;
almeno per quanto una piccola
cosa può dare un modello
di cose grandi e vestigi di loro
conoscenza.
E per questa ragione più conviene
che tu ponga mente
a questi corpi che vediamo agitarsi
nei raggi del sole:
perché tali agitazioni rivelano che
ci sono movimenti
di materia anche al di sotto,
segreti ed invisibili.
Molte particelle infatti ivi vedrai
stimolate da urti ciechi
cambiar cammino e indietro
respinte ritornare,
or qui or lì, da ogni punto verso
qualunque parte.
Certo questo errante movimento
ha per tutti origine dagli atomi.
Primi infatti si muovono da sé i
primi principi delle cose;
quindi quei corpi che constano
d'una piccola aggregazione
e son quasi prossimi alle forze dei
primi principi,
spinti dai ciechi colpi di quelli, si
mettono in movimento,
ed essi stessi a loro volta
stimolano i corpi un poco più
grandi.
Così dai primi principi ascende il
movimento e a poco a poco
emerge ai nostri sensi, sì che si
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (8 of 67) [07/08/2003 21.36.41]
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quam subito soleat sol ortus
muovono anche quelle cose
tempore tali
che possiamo discernere alla luce
convestire sua perfundens omnia del sole;
luce,
e tuttavia, per quali urti lo
omnibus in promptu
facciano, non appare
manifestumque esse videmus.
apertamente.
at vapor is, quem sol mittit,
Ora, quale velocità sia data ai
lumenque serenum
corpi della materia,
non per inane meat vacuum; quo di qui si può in breve conoscere, o
tardius ire
Memmio.
cogitur, aërias quasi dum
Anzitutto, quando l'aurora
diverberat undas;
cosparge le terre di nuova luce,
nec singillatim corpuscula quaeque e i vari uccelli, volando attraverso
vaporis
i boschi inaccessi,
sed complexa meant inter se
per l'aria tenera empiono i luoghi
conque globata;
di limpide voci qua propter simul inter se
come subitamente soglia il sole,
retrahuntur et extra
sorto in quel momento,
officiuntur, uti cogantur tardius
inondare e vestire della sua luce
ire.
tutte le cose,
at quae sunt solida primordia
vediamo che a tutti è prontamente
simplicitate,
percepibile e manifesto.
cum per inane meant vacuum nec Eppure quel calore che il sole
res remoratur
emette e la luce serena
ulla foris atque ipsa suis e partibus non per lo spazio vuoto si
unum,
diffondono; sì che son costretti
unum, in quem coepere, locum
ad andare più lenti, mentre
conixa feruntur,
fendono, per così dire, le onde
debent ni mirum praecellere
dell'aria.
mobilitate
Né separatamente si diffondono i
et multo citius ferri quam lumina singoli corpuscoli
solis
di calore, ma intrecciati tra loro e
multiplexque loci spatium
conglobati;
transcurrere eodem
perciò ad un tempo si trattengono
tempore quo solis pervolgant
tra loro e sono ostacolati
fulgura caelum.
dall'esterno, sì che son costretti ad
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (9 of 67) [07/08/2003 21.36.41]
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***
nec persectari primordia singula
quaeque,
ut videant qua quicque geratur
cum ratione.
At quidam contra haec, ignari
materiai,
naturam non posse deum sine
numine reddunt
tanto opere humanis rationibus
atmoderate
tempora mutare annorum
frugesque creare
et iam cetera, mortalis quae
suadet adire
ipsaque deducit dux vitae dia
voluptas
et res per Veneris blanditur saecla
propagent,
ne genus occidat humanum.
quorum omnia causa
constituisse deos cum fingunt,
omnibus rebus
magno opere a vera lapsi ratione
videntur.
nam quamvis rerum ignorem
primordia quae sint,
hoc tamen ex ipsis caeli rationibus
ausim
confirmare aliisque ex rebus
reddere multis,
nequaquam nobis divinitus esse
creatam
naturam mundi: tanta stat
praedita culpa.
quae tibi posterius, Memmi,
faciemus aperta;
andare più lentamente.
Ma i primi principi, che sono di
solida semplicità quando traversano lo spazio
vuoto, e nessuna cosa li rallenta
dal di fuori, ed essi stessi,
costituendo ciascuno, con le sue
parti, un tutto unico,
nell'unico verso in cui
cominciarono ad andare,
procedono con lo stesso slancio devono evidentemente
primeggiare per velocità,
e muoversi molto più rapidamente
che la luce del sole,
e correre per una distesa di spazio
molto più grande, nello stesso
tempo in cui le folgoranti luci del
sole si diffondono per il cielo.
*
né tener dietro ad ogni singolo
primo principio,
per vedere in che modo si svolga
ogni cosa.
Ma contro queste cose alcuni,
ignari della materia,
credono che la natura non possa
senza l'intervento degli dèi,
tanto armoniosamente
accordandosi ai bisogni degli
uomini,
mutare le stagioni e produrre le
messi e inoltre tutte
le altre cose cui la guida della vita,
il divino piacere,
induce i mortali a volgersi, ed esso
stesso li conduce
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nunc id quod super est de motibus
expediemus.
Nunc locus est, ut opinor, in his
illud quoque rebus
confirmare tibi, nullam rem posse
sua vi
corpoream sursum ferri
sursumque meare.
ne tibi dent in eo flammarum
corpora frudem;
sursus enim versus gignuntur et
augmina sumunt
et sursum nitidae fruges
arbustaque crescunt,
pondera, quantum in se est, cum
deorsum cuncta ferantur.
nec cum subsiliunt ignes ad tecta
domorum
et celeri flamma degustant tigna
trabesque,
sponte sua facere id sine vi
subiecta putandum est.
quod genus e nostro com missus
corpore sanguis
emicat exultans alte spargitque
cruorem.
nonne vides etiam quanta vi tigna
trabesque
respuat umor aquae? nam quo
magis ursimus altum
derecta et magna vi multi
pressimus aegre,
tam cupide sursum removet magis
atque remittit,
plus ut parte foras emergant
exiliantque.
e con gli atti di Venere li alletta a
propagare le stirpi,
perché il genere umano non
perisca. Ma, quando immaginano
che gli dèi abbiano disposto tutte
le cose per causa degli uomini,
sotto ogni aspetto si vede che
molto s'allontanano dalla verità.
E infatti quand'anche ignorassi
quali siano i primi elementi delle
cose,
questo tuttavia oserei affermare in
base agli stessi fenomeni
del cielo e comprovare in forza di
molte altre cose:
che la natura del mondo non è
stata per nulla creata
dal volere divino per noi: di così
grande difetto essa è dotata.
Ma queste cose di poi, o Memmio,
ti faremo manifeste.
Ora esporremo quanto resta da
dire sui movimenti.
Ora è il luogo, credo, di
dimostrarti in tale riguardo
anche ciò: che nessuna cosa
corporea può di sua propria forza
muoversi verso l'alto e procedere
verso l'alto;
in questo non ti traggano in
inganno i corpi delle fiamme.
Sì, verso l'alto sono prodotti e
prendono sviluppo
e verso l'alto crescono le splendide
messi e gli alberi,
mentre i corpi pesanti, per quanto
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nec tamen haec, quantum est in
se, dubitamus, opinor,
quin vacuum per inane deorsum
cuncta ferantur.
sic igitur debent flammae quoque
posse per auras
aëris expressae sursum
succedere, quamquam
pondera, quantum in est, deorsum
ducere pugnent.
nocturnasque faces caeli sublime
volantis
nonne vides longos flammarum
ducere tractus
in quas cumque dedit partis
natura meatum?
non cadere in terras stellas et
sidera cernis?
sol etiam de vertice dissipat omnis
ardorem in partis et lumine
conserit arva;
in terras igitur quoque solis
vergitur ardor.
transversosque volare per imbris
fulmina cernis,
nunc hinc nunc illinc abrupti
nubibus ignes
concursant; cadit in terras vis
flammea volgo.
Illud in his quoque te rebus
cognoscere avemus,
corpora cum deorsum rectum per
inane feruntur
ponderibus propriis, incerto
tempore ferme
incertisque locis spatio depellere
paulum,
è in loro, tutti si muovono verso il
basso.
Né, quando i fuochi bàlzano su
fino ai tetti delle case
e con celere fiamma van
lambendo assi e travi, bisogna
credere
che lo facciano spontaneamente,
senza una forza che spinga dal
basso.
Come quando il sangue emesso
dal nostro corpo
spiccia in alto d'un tratto e spande
il suo getto.
E non vedi anche con quanta
violenza il liquido dell'acqua
risputi fuori assi e travi? E infatti,
quanto più a fondo le abbiamo
spinte
in senso perpendicolare e con gran
forza in molti le abbiamo premute
a fatica,
con tanto maggiore impulso le
rivomita in su e le rigetta,
sì che emergono e bàlzano fuori
più che per metà.
E tuttavia non dubitiamo, mi pare,
che queste cose, per quanto è in
loro,
cadano tutte attraverso lo spazio
vuoto verso il basso.
Così, dunque, anche le fiamme
devono potere, una volta che per
pressione
siano sprizzate attraverso i soffi
dell'aria, montare verso l'alto,
benché il peso, per quanto è in
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tantum quod momen mutatum
esso, lotti per trarle verso il basso.
dicere possis.
E le notturne fiaccole del cielo che
quod nisi declinare solerent,
volano nell'alto,
omnia deorsum
non vedi come traggono lunghe
imbris uti guttae caderent per
scie di fiamme
inane profundum
in qualunque parte la natura diede
nec foret offensus natus nec plaga loro un passaggio?
creata
Non vedi cader sulla terra stelle e
principiis; ita nihil umquam natura costellazioni?
creasset.
Anche il sole dal culmine del cielo
Quod si forte aliquis credit
diffonde il suo calore
graviora potesse
in tutte le direzioni e dissemina la
corpora, quo citius rectum per
sua luce per i campi:
inane feruntur,
dunque anche verso le terre si
incidere ex supero levioribus atque volge il calore del sole.
ita plagas
E attraverso le piogge vedi volare i
gignere, quae possint genitalis
fulmini;
reddere motus,
or di qui or di lì erompendo dalle
avius a vera longe ratione recedit. nubi i fuochi corrono;
nam per aquas quae cumque
comunemente la forza della
cadunt atque aëra rarum,
fiamma cade sulla terra.
haec pro ponderibus casus
A tale proposito desideriamo che
celerare necessest
tu conosca anche questo:
propterea quia corpus aquae
che i corpi primi, quando in linea
naturaque tenvis
retta per il vuoto son tratti
aëris haud possunt aeque rem
in basso dal proprio peso, in un
quamque morari,
momento affatto indeterminato
sed citius cedunt gravioribus
e in un luogo indeterminato,
exsuperata;
deviano un po' dal loro cammino:
at contra nulli de nulla parte
giusto quel tanto che puoi
neque ullo
chiamare modifica del movimento.
tempore inane potest vacuum
Ma, se non solessero declinare,
subsistere rei,
tutti cadrebbero verso il basso,
quin, sua quod natura petit,
come gocce di pioggia, per il vuoto
concedere pergat;
profondo,
omnia qua propter debent per
né sarebbe nata collisione, né urto
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inane quietum
si sarebbe prodotto
aeque ponderibus non aequis
tra i primi principi: così la natura
concita ferri.
non avrebbe creato mai nulla.
haud igitur poterunt levioribus
Ma, se per caso qualcuno crede
incidere umquam
che i corpi più pesanti,
ex supero graviora neque ictus
più celermente movendosi in linea
gignere per se,
retta per il vuoto,
qui varient motus, per quos natura cadano dall'alto sui più leggeri e
gerat res.
così producano urti
quare etiam atque etiam paulum capaci di provocare movimenti
inclinare necessest
generatori,
corpora; nec plus quam minimum, forviato si discosta lontano dalla
ne fingere motus
verità.
obliquos videamur et id res vera
Difatti tutte le cose che cadono
refutet.
per le acque e l'aria sottile,
namque hoc in promptu
esse, sì, bisogna che accelerino le
manifestumque esse videmus,
cadute in proporzione dei pesi,
pondera, quantum in est, non
perché il corpo dell'acqua e la
posse obliqua meare,
tenue natura dell'aria
ex supero cum praecipitant, quod non possono egualmente ritardare
cernere possis;
ogni cosa,
sed nihil omnino regione viai
ma più celermente cedono se son
declinare quis est qui possit
vinti da cose più pesanti.
cernere sese?
Per contrario, da nessuna parte e
Denique si semper motu
in nessun tempo
conectitur omnis
lo spazio vuoto può sussistere
et vetere exoritur novus ordine
quale base sotto alcuna cosa,
certo
senza continuare a cedere, come
nec declinando faciunt primordia esige la sua natura:
motus
perciò attraverso l'inerte vuoto
principium quoddam, quod fati
tutte le cose devono muoversi
foedera rumpat,
con eguale velocità, quantunque
ex infinito ne causam causa
siano di pesi non eguali.
sequatur,
Giammai, dunque, le più pesanti
libera per terras unde haec
potranno cadere dall'alto
animantibus exstat,
sulle più leggere, né potranno per
unde est haec, inquam, fatis
sé stesse generare urti
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avolsa voluntas,
per quam progredimur quo ducit
quemque voluptas,
declinamus item motus nec
tempore certo
nec regione loci certa, sed ubi ipsa
tulit mens?
nam dubio procul his rebus sua
cuique voluntas
principium dat et hinc motus per
membra rigantur.
nonne vides etiam patefactis
tempore puncto
carceribus non posse tamen
prorumpere equorum
vim cupidam tam de subito quam
mens avet ipsa?
omnis enim totum per corpus
materiai
copia conciri debet, concita per
artus
omnis ut studium mentis conixa
sequatur;
ut videas initum motus a corde
creari
ex animique voluntate id
procedere primum,
inde dari porro per totum corpus
et artus.
nec similest ut cum inpulsi
procedimus ictu
viribus alterius magnis magnoque
coactu;
nam tum materiem totius corporis
omnem
perspicuumst nobis invitis ire
che mutino i movimenti con cui la
natura compie le sue operazioni.
Perciò, ancora e ancora, occorre
che i corpi primi declinino
un poco; ma non più del minimo
possibile, perché non sembri
che immaginiamo movimenti
obliqui: cosa che la realtà
confuterebbe.
Infatti ciò vediamo che è alla
portata di tutti e manifesto:
che i corpi pesanti, per quanto è in
loro, non possono muoversi
obliquamente,
quando precipitano dall'alto,
almeno fin dove è dato scorgere.
Ma, che essi non declinino
assolutamente dalla linea retta
nella loro caduta, chi c'è che possa
scorgerlo?
Infine, se sempre ogni movimento
è concatenato
e sempre il nuovo nasce dal
precedente con ordine certo,
né i primi principi deviando
producono qualche inizio
di movimento che rompa i decreti
del fato,
sì che causa non segua causa da
tempo infinito,
donde proviene ai viventi sulla
terra questa libera volontà,
donde deriva, dico, questa volontà
strappata ai fati,
per cui procediamo dove il piacere
guida ognuno di noi
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rapique,
donec eam refrenavit per membra
voluntas.
iamne vides igitur, quamquam vis
extera multos
pellat et invitos cogat procedere
saepe
praecipitesque rapi, tamen esse in
pectore nostro
quiddam quod contra pugnare
obstareque possit?
cuius ad arbitrium quoque copia
materiai
cogitur inter dum flecti per
membra per artus
et proiecta refrenatur retroque
residit.
quare in seminibus quoque idem
fateare necessest,
esse aliam praeter plagas et
pondera causam
motibus, unde haec est nobis
innata potestas,
de nihilo quoniam fieri nihil posse
videmus.
pondus enim prohibet ne plagis
omnia fiant
externa quasi vi; sed ne res ipsa
necessum
intestinum habeat cunctis in rebus
agendis
et devicta quasi cogatur ferre
patique,
id facit exiguum clinamen
principiorum
nec regione loci certa nec tempore
certo.
e parimenti deviamo i nostri
movimenti, non in un tempo
determinato,
né in un determinato punto dello
spazio, ma quando la mente di per
sé ci ha spinti?
Difatti senza dubbio in ognuno dà
principio a tali azioni la sua
propria
volontà, e di qui i movimenti si
diramano per le membra.
Non vedi anche come, nell'attimo
in cui i cancelli del circo
sono aperti, non possa tuttavia la
bramosa forza dei cavalli
prorompere così di colpo come la
mente stessa desidera?
Tutta infatti, per l'intero corpo, la
massa della materia
deve animarsi, sì che, una volta
animata, per tutte le membra
segua con unanime sforzo il
desiderio della mente.
Quindi puoi vedere che l'inizio del
movimento si crea dal cuore,
e dalla volontà dell'animo esso
procede primamente,
e di là si propaga poi per tutto il
corpo e gli arti.
Né ciò è simile a quel che accade
quando procediamo spinti da un
urto,
per la forza possente e la possente
costrizione di un altro.
Infatti allora è evidente che tutta
la materia dell'intero corpo
si muove ed è trascinata contro il
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Nec stipata magis fuit umquam nostro volere,
materiai
finché non l'abbia raffrenata per le
copia nec porro maioribus
membra la volontà.
intervallis;
Non vedi dunque ora che, sebbene
nam neque adaugescit quicquam spesso una forza esterna
neque deperit inde.
molti spinga e costringa a
qua propter quo nunc in motu
procedere senza che lo vogliano,
principiorum
e a lasciarsi trascinare a
corpora sunt, in eodem ante acta precipizio, tuttavia c'è nel nostro
aetate fuere
petto
et post haec semper simili ratione qualcosa che può lottar contro ed
ferentur,
opporsi?
et quae consuerint gigni gignentur È pure a suo arbitrio che la massa
eadem
della materia
condicione et erunt et crescent
è costretta talora a piegarsi per le
vique valebunt,
membra, per gli arti,
quantum cuique datum est per
e nel suo slancio è raffrenata, e
foedera naturai.
torna indietro a star ferma.
nec rerum summam commutare
Perciò anche negli atomi occorre
ulla potest vis;
che tu ammetta la stessa cosa,
nam neque quo possit genus
cioè che, oltre agli urti e ai pesi,
ullum materiai
c'è un'altra causa
effugere ex omni quicquam est ,
dei movimenti, donde proviene a
neque in omne
noi questo innato potere,
unde coorta queat nova vis
giacché vediamo che nulla può
inrumpere et omnem
nascere dal nulla.
naturam rerum mutare et vertere Il peso infatti impedisce che tutte
motus.
le cose avvengano per gli urti,
Illud in his rebus non est
quasi per una forza esterna. Ma,
mirabile, quare,
che la mente stessa
omnia cum rerum primordia sint in non abbia una necessità interiore
motu,
nel fare ogni cosa,
summa tamen summa videatur
né, come debellata, sia costretta a
stare quiete,
sopportare e a patire,
praeter quam siquid proprio dat
ciò lo consegue un'esigua
corpore motus.
declinazione dei primi principi,
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omnis enim longe nostris ab
sensibus infra
primorum natura iacet; qua
propter, ubi ipsa
cernere iam nequeas, motus
quoque surpere debent;
praesertim cum, quae possimus
cernere, celent
saepe tamen motus spatio diducta
locorum.
nam saepe in colli tondentes
pabula laeta
lanigerae reptant pecudes, quo
quamque vocantes
invitant herbae gemmantes rore
recenti,
et satiati agni ludunt blandeque
coruscant;
omnia quae nobis longe confusa
videntur
et velut in viridi candor consistere
colli.
praeterea magnae legiones cum
loca cursu
camporum complent belli
simulacra cientes,
fulgor ubi ad caelum se tollit
totaque circum
aere renidescit tellus supterque
virum vi
excitur pedibus sonitus
clamoreque montes
icti reiectant voces ad sidera
mundi
et circum volitant equites
mediosque repente
tramittunt valido quatientes
in un punto non determinato dello
spazio e in un tempo non
determinato.
Né la massa della materia fu mai
più compatta,
né, d'altra parte, ebbe mai
intervalli maggiori;
giacché nulla s'aggiunge ad
accrescerla, niente se ne perde.
Perciò il movimento che agita ora i
corpi dei primi principi,
è il medesimo da cui essi furono
agitati in passato,
e d'ora in poi sempre si
moveranno ugualmente;
e quelle cose che di solito sono
nate, nasceranno allo stesso
modo ed esisteranno e
cresceranno e varranno per
vigore,
quanto a ciascuna fu accordato
dalle leggi di natura.
Né alcuna forza può mutare la
somma delle cose;
e infatti non c'è ‹di fuori›
alcunché, in cui alcun genere
di materia possa fuggir via dal
tutto, o da cui
una nuova forza possa sorgere e
irrompere nel tutto
e mutare tutta la natura e
sovvertirne i movimenti.
Di questo non c'è, a tale
proposito, da stupire: che, mentre
tutti i primi principi delle cose
sono in movimento,
la loro somma tuttavia sembra
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impete campos;
et tamen est quidam locus altis
montibus,
stare videntur et in campis
consistere fulgor.
Nunc age, iam deinceps
cunctarum exordia rerum
qualia sint et quam longe distantia
formis,
percipe, multigenis quam sint
variata figuris;
non quo multa parum simili sint
praedita forma,
sed quia non volgo paria omnibus
omnia constant.
nec mirum; nam cum sit eorum
copia tanta,
ut neque finis, uti docui, neque
summa sit ulla,
debent ni mirum non omnibus
omnia prorsum
esse pari filo similique adfecta
figura.
Praeterea genus humanum
mutaeque natantes
squamigerum pecudes et laeta
armenta feraeque
et variae volucres, laetantia quae
loca aquarum
concelebrant circum ripas
fontisque lacusque,
et quae pervolgant nemora avia
pervolitantes,
quorum unum quidvis generatim
sumere perge;
invenies tamen inter se differre
starsene in somma quiete,
salvoché qualcosa si muova col
proprio corpo.
Infatti la natura dei corpi primi sta
tutta molto lontano
dai nostri sensi, al di sotto della
loro portata: perciò poiché essi
non si posson discernere, anche i
loro movimenti devon sottrarci;
tanto più che le cose che possiamo
discernere, tuttavia spesso,
separate da noi per distanza di
luoghi, celano i loro movimenti.
E certo spesso su un colle,
brucando i pascoli in rigoglio,
lente si muovono le lanute pecore,
ognuna dove la chiama
l'invito delle erbe ingemmate di
fresca rugiada,
e sazi gli agnelli giocano e
gaiamente cozzano;
ma tutto ciò a noi di lontano
appare confuso
e come un biancore poggiato sul
verde colle.
Inoltre, quando possenti legioni in
corsa riempiono
le distese dei campi suscitando
simulacri di guerra,
quando un fulgore s'innalza al
cielo, e tutta, dintorno,
risplende di bronzo la terra, e di
sotto solleva col calpestìo
un rimbombo la forza degli
uomini, e i monti percossi
dal clamore rimandano le voci agli
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figuris.
nec ratione alia proles cognoscere
matrem
nec mater posset prolem; quod
posse videmus
nec minus atque homines inter se
nota cluere.
nam saepe ante deum vitulus
delubra decora
turicremas propter mactatus
concidit aras
sanguinis expirans calidum de
pectore flumen;
at mater viridis saltus orbata
peragrans
novit humi pedibus vestigia pressa
bisulcis,
omnia convisens oculis loca, si
queat usquam
conspicere amissum fetum,
completque querellis
frondiferum nemus adsistens et
crebra revisit
ad stabulum desiderio perfixa
iuvenci,
nec tenerae salices atque herbae
rore vigentes
fluminaque ulla queunt summis
labentia ripis
oblectare animum subitamque
avertere curam,
nec vitulorum aliae species per
pabula laeta
derivare queunt animum curaque
levare;
usque adeo quiddam proprium
notumque requirit.
astri del cielo,
e dintorno volteggiano i cavalieri e
d'improvviso attraversano
il centro dei campi scotendoli con
impeto poderoso pure c'è un luogo sugli alti monti
‹di dove› sembrano
star fermi e sui campi star
poggiati come un fulgore.
E ora, continuando, apprendi quali
siano i principi
di tutte le cose, e quanto siano
differenti nelle forme,
quanto siano variati per figure di
molti generi;
non perché pochi siano dotati di
forma simile,
ma perché non sono tutti
generalmente uguali a tutti.
Né c'è da meravigliarsene; e
infatti, essendo la loro massa
tanto grande che, come ho
mostrato, non ha fine, né totale,
senza dubbio non devono avere
assolutamente tutti dei tratti
uguali
a quelli di tutti gli altri, né essere
improntati della stessa figura.
Inoltre, il genere umano e i muti,
nuotanti branchi
dei pesci squamosi e gli opimi
armenti e le fiere
e i vari uccelli, che popolano le
amene dimore
delle acque intorno a spiagge e
fonti e laghi,
e che percorrono i boschi inaccessi
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praeterea teneri tremulis cum
volandovi attraverso vocibus haedi
prendine uno qualunque in
cornigeras norunt matres agnique rapporto agli altri della stessa
petulci
specie:
balantum pecudes; ita, quod
troverai tuttavia che differiscono
natura resposcit,
tra loro nelle figure.
ad sua quisque fere decurrunt
Né altrimenti la prole potrebbe
ubera lactis.
conoscere la madre,
Postremo quodvis frumentum
né la madre la prole; mentre
non tamen omne
vediamo che lo possono,
quidque suo genere inter se simile e che non meno degli uomini si
esse videbis,
conoscono tra loro.
quin intercurrat quaedam distantia Così, spesso davanti agli splendidi
formis.
templi degli dèi un vitello
concharumque genus parili ratione cade immolato presso gli altari su
videmus
cui brucia l'incenso,
pingere telluris gremium, qua
esalando dal petto un caldo fiume
mollibus undis
di sangue.
litoris incurvi bibulam pavit aequor E la madre orbata, vagando per
harenam.
verdi pascoli,
quare etiam atque etiam simili
cerca sul terreno le orme impresse
ratione necessest,
dai piedi bisulchi,
natura quoniam constant neque
fruga con gli occhi ogni luogo, per
facta manu sunt
vedere se possa
unius ad certam formam primordia in qualche parte scorgere la
rerum,
creatura che ha perduta; e
dissimili inter se quaedam volitare riempie
figura.
di lamenti il bosco frondoso,
Perfacile est animi ratione
sostando; e sovente ritorna
exsolvere nobis
alla stalla, trafitta dal rimpianto
quare fulmineus multo penetralior del giovenco;
ignis
e i teneri salici e le erbe rinverdite
quam noster fluat e taedis
dalla rugiada
terrestribus ortus;
e quelle sue acque, scorrenti a fior
dicere enim possis caelestem
delle rive, non possono
fulminis ignem
dar diletto al suo animo e sviare
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subtilem magis e parvis constare
figuris
atque ideo transire foramina quae
nequit ignis
noster hic e lignis ortus taedaque
creatus.
praeterea lumen per cornum
transit, at imber
respuitur. quare, nisi luminis illa
minora
corpora sunt quam de quibus est
liquor almus aquarum?
et quamvis subito per colum vina
videmus
perfluere, at contra tardum
cunctatur olivom,
aut quia ni mirum maioribus est
elementis
aut magis hamatis inter se perque
plicatis,
atque ideo fit uti non tam diducta
repente
inter se possint primordia singula
quaeque
singula per cuiusque foramina
permanare.
Huc accedit uti mellis lactisque
liquores
iucundo sensu linguae tractentur
in ore;
at contra taetra absinthi natura
ferique
centauri foedo pertorquent ora
sapore;
ut facile agnoscas e levibus atque
rutundis
esse ea quae sensus iucunde
l'affanno che l'ha presa,
né la vista di altri vitelli per i
pascoli in rigoglio
può distrarre il suo animo e
alleviarne l'affanno:
tanto essa ricerca qualcosa che è
sua propria e che le è nota.
Inoltre, i teneri capretti che han
tremule voci riconoscono
le madri dalle fronti cornute, e i
cozzanti agnelli
le pecore che belano: così, come
esige la natura,
ciascuno generalmente accorre
alle mammelle del suo latte.
Infine, in qualunque specie di
frumento vedrai che i grani,
ciascuno nel suo genere, non sono
tuttavia tutti simili fra loro,
sì che non corra una certa
differenza tra le forme.
E con simile differenza vediamo la
specie delle conchiglie
dipingere il grembo della terra, là
dove con molli onde
l'acqua del mare batte la sabbia
assetata del lido incurvato.
Pertanto, ancora e ancora: poiché
i primi principi delle cose
esistono per natura, e non sono
foggiati da una mano
secondo la forma determinata di
uno solo, similmente occorre
che certe loro specie volteggino
con figure tra loro dissimili.
È molto facile per noi spiegare col
ragionamento
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tangere possunt,
at contra quae amara atque
aspera cumque videntur,
haec magis hamatis inter se nexa
teneri
proptereaque solere vias
rescindere nostris
sensibus introituque suo
perrumpere corpus.
omnia postremo bona sensibus et
mala tactu
dissimili inter se pugnant perfecta
figura;
ne tu forte putes serrae stridentis
acerbum
horrorem constare elementis
levibus aeque
ac musaea mele, per chordas
organici quae
mobilibus digitis expergefacta
figurant;
neu simili penetrare putes
primordia forma
in nares hominum, cum taetra
cadavera torrent,
et cum scena croco Cilici perfusa
recens est
araque Panchaeos exhalat propter
odores;
neve bonos rerum simili constare
colores
semine constituas, oculos qui
pascere possunt,
et qui conpungunt aciem
lacrimareque cogunt
aut foeda specie foedi turpesque
perché il fuoco del fulmine abbia
un flusso molto
più penetrante di questo nostro,
sorto da fiaccole terrestri.
Puoi dire infatti che il celeste fuoco
del fulmine è più sottile
per la piccolezza dei suoi elementi,
e perciò passa
attraverso forami per cui non può
passare questo
nostro fuoco sorto dalle legna e
prodotto dalla fiaccola.
Inoltre la luce passa attraverso il
corno, ma la pioggia
è respinta. Per quale causa, se
non perché quei corpi di luce sono
più piccoli di quelli di cui consta il
liquido dell'acqua che dà vita?
E vediamo che il vino fluisce
attraverso il colatoio con tutta
l'istantaneità che vuoi; ma, al
contrario, l'olio indugia tardo:
evidentemente perché è composto
di elementi più grandi
oppure più uncinati e più
intrecciati tra loro, e perciò accade
che i primi principi non possano
staccarsi in modo
abbastanza repentino per passare
ciascuno isolatamente
dagli altri attraverso i singoli
forami di ogni cosa.
A ciò s'aggiunge che i liquidi del
miele e del latte
s'assaporano in bocca con
piacevole sensazione della lingua;
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videntur.
ma al contrario la ripugnante
omnis enim, sensus quae mulcet natura dell'assenzio e la selvaggia
cumque,
centaurea fanno storcere la bocca
haut sine principiali aliquo levore col sapore repellente;
creatast;
sì che puoi facilmente riconoscere
at contra quae cumque molesta
che di atomi lisci e rotondi
atque aspera constat,
son fatte quelle cose che possono
non aliquo sine materiae squalore piacevolmente toccare i sensi,
repertast.
mentre al contrario tutte quelle
Sunt etiam quae iam nec levia che si trovano amare e aspre,
iure putantur
son tenute intrecciate tra loro da
esse neque omnino flexis
atomi più uncinati
mucronibus unca,
e perciò sogliono lacerare le vie
sed magis angellis paulum
dei nostri
prostantibus,
sensi ed entrando far violenza al
titillare magis sensus quam
corpo.
laedere possint,
Tutte le cose, infine, che per i
fecula iam quo de genere est
sensi son buone o cattive a
inulaeque sapores.
toccarsi,
Denique iam calidos ignis
contrastano tra loro perché son
gelidamque pruinam
composte di atomi di forme
dissimili dentata modo conpungere differenti.
sensus
Non devi, dunque, credere, per
corporis, indicio nobis est tactus
caso, che l'acerbo raccapriccio
uterque.
prodotto dalla sega stridente
tactus enim, tactus, pro divum
consti di atomi tanto lisci
numina sancta,
quanto le musicali melodie, cui
corporis est sensus, vel cum res
sulle corde i suonatori
extera sese
dan forma suscitandole con agili
insinuat, vel cum laedit quae in
dita;
corpore natast
né devi credere che atomi di
aut iuvat egrediens genitalis per
forma simile penetrino
Veneris res,
nelle nari degli uomini, quando si
aut ex offensu cum turbant
bruciano deformi cadaveri
corpore in ipso,
e quando la scena è stata di
semina confundunt inter se
recente aspersa con croco di
concita sensum;
Cilicia
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ut si forte manu quamvis iam
corporis ipse
tute tibi partem ferias atque
experiare.
qua propter longe formas distare
necessest
principiis, varios quae possint
edere sensus.
Denique quae nobis durata ac
spissa videntur,
haec magis hamatis inter sese
esse necessest
et quasi ramosis alte compacta
teneri.
in quo iam genere in primis
adamantina saxa
prima acie constant ictus
contemnere sueta
et validi silices ac duri robora ferri
aeraque quae claustris restantia
vociferantur.
illa quidem debent e levibus atque
rutundis
esse magis, fluvido quae corpore
liquida constant.
namque papaveris haustus itemst
facilis quod aquarum;
nec retinentur enim inter se
glomeramina quaeque
et perculsus item proclive volubilis
exstat.
omnia postremo quae puncto
tempore cernis
diffugere ut fumum nebulas
flammasque, necessest,
si minus omnia sunt e levibus
e un altare dappresso esala
profumi d'incenso della Pancaia;
né devi supporre che i buoni colori
delle cose, che possono
pascere gli occhi, constino di
atomi simili a quelli dei colori
che pungono la pupilla e
costringono a lacrimare
o per l'odioso aspetto appaiono
funesti e ripugnanti.
Infatti ogni ‹forma› che accarezza
i sensi, non è stata
prodotta senza qualche
levigatezza di primi principi;
e, al contrario, ogni forma che è
molesta ed aspra,
non è stata formata senza qualche
ruvidezza di materia.
Ci sono poi altri atomi che non si
possono giustamente
credere levigati, né del tutto
uncinati con punte ritorte,
ma hanno piuttosto angoletti un
po' sporgenti,
‹sì che› possono titillare i sensi
piuttosto che offenderli:
di tal genere appunto son gli
atomi che fanno la feccia del vino
e il sapore dell'enula. E infine, che
caldi fuochi e gelida brina
pungano i sensi del corpo con
atomi dentati in modi
differenti, ce lo rivela il contatto
dell'uno e dell'altro.
Il tatto infatti, il tatto, per la santa
potenza degli dèi,
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atque rotundis,
at non esse tamen perplexis
indupedita,
pungere uti possint corpus
penetrareque saxa,
nec tamen haerere inter se; quod
cumque videmus
sensibus dentatum, facile ut
cognoscere possis
non e perplexis, sed acutis esse
elementis.
sed quod amara vides eadem
quae fluvida constant,
sudor uti maris est, minime
mirabile debet
***
nam quod fluvidus est, e levibus
atque rotundis
est, sed levibus admixta doloris
corpora. nec tamen haec retineri
hamata necessust:
scilicet esse globosa tamen, cum
squalida constent,
provolvi simul ut possint et
laedere sensus.
et quo mixta putes magis aspera
levibus esse
principiis, unde est Neptuni corpus
acerbum,
est ratio secernendi seorsumque
videndi,
umor dulcis ubi per terras crebrius
idem
percolatur, ut in foveam fluat ac
mansuescat;
linquit enim supera taetri
primordia viri,
è il senso del corpo, sia quando
una cosa esterna s'insinua,
sia quando una che è nata dentro
il corpo ci molesta
oppure ci dà piacere uscendo nei
generatori atti di Venere,
o quando per un urto s'agitano nel
corpo stesso
gli atomi ‹e› tra loro scontrandosi
confondono il senso;
come puoi sperimentare tu stesso
se per caso con la mano
ti colpisci una qualunque parte del
corpo.
Pertanto i primi principi devono
avere forme di gran lunga
differenti, che possano produrre
sensazioni diverse.
Infine quelle cose che ci appaiono
dure e spesse,
occorre che siano più conteste di
atomi uncinati e tenute strette
in profonda compattezza come da
particelle ramificate.
In tale genere, stanno anzitutto in
prima linea
le pietre di diamante, avvezze a
sfidare i colpi,
e le selci possenti e la robustezza
del duro ferro
e il bronzo che stride resistendo ai
catenacci.
Devono invero esser fatte
maggiormente di atomi lisci e
rotondi
quelle cose che sono liquide, che
constano di un corpo fluido;
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aspera quo magis in terris
haerescere possint.
Quod quoniam docui, pergam
conectere rem quae
ex hoc apta fidem ducat,
primordia rerum
finita variare figurarum ratione.
quod si non ita sit, rursum iam
semina quaedam
esse infinito debebunt corporis
auctu.
namque in eadem una cuiusvis
iam brevitate
corporis inter se multum variare
figurae
non possunt. fac enim minimis e
partibus esse
corpora prima tribus, vel paulo
pluribus auge;
nempe ubi eas partis unius
corporis omnis,
summa atque ima locans,
transmutans dextera laevis,
omnimodis expertus eris, quam
quisque det ordo
formai speciem totius corporis
eius,
quod super est, si forte voles
variare figuras,
addendum partis alias erit. inde
sequetur,
adsimili ratione alias ut postulet
ordo,
si tu forte voles etiam variare
figuras.
ergo formarum novitatem corporis
e infatti un sorso di semi di
papavero s'inghiotte facilmente al
pari
d'un sorso d'acqua; ché le singole
particelle rotonde non si
trattengono
a vicenda, e un colpo le fa sùbito
scorrere verso il basso come
l'acqua.
Tutte le cose infine che vedi
dileguarsi in un attimo,
come il fumo le nuvole e le
fiamme, è necessario che, se pure
non sono tutte fatte di atomi lisci
e rotondi,
tuttavia non siano impedite da
elementi intrecciati,
sì che possano pungere il corpo e
penetrare i sassi,
senza tuttavia aderire tra loro:
puoi quindi facilmente conoscere
che qualunque cosa vediamo
lenita dai sensi,
non è fatta di elementi intrecciati,
bensì di acuti.
Ma, quando vedi che alcune cose
amare sono anche fluide,
com'è l'acqua del mare, non devi
in alcun modo stupirti.
*
Infatti, poiché è fluida, è fatta di
atomi lisci e rotondi,
e ‹a quelli sono› misti corpi
‹scabri› che causano dolore;
né tuttavia occorre che questi
siano uncinati e si tengano
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augmen
subsequitur. quare non est ut
credere possis
esse infinitis distantia semina
formis,
ne quaedam cogas inmani
maximitate
esse, supra quod iam docui non
posse probari.
iam tibi barbaricae vestes
Meliboeaque fulgens
purpura Thessalico concharum
tacta colore,
aurea pavonum ridenti imbuta
lepore
saecla novo rerum superata colore
iacerent
et contemptus odor smyrnae
mellisque sapores,
et cycnea mele Phoebeaque
daedala chordis
carmina consimili ratione oppressa
silerent;
namque aliis aliud praestantius
exoreretur.
cedere item retro possent in
deteriores
omnia sic partis, ut diximus in
melioris;
namque aliis aliud retro quoque
taetrius esset
naribus auribus atque oculis
orisque sapori.
quae quoniam non sunt, rebus
reddita certa
finis utrimque tenet summam,
fateare necessest
insieme;
non c'è dubbio che sono tuttavia
sferici, pur essendo scabri,
sì che possono insieme e rotolare
e ledere i sensi.
E, perché meglio ti persuada che
agli atomi lisci sono misti
atomi aspri, per cui è amaro il
corpo di Nettuno, c'è modo
di dividere gli uni dagli altri e
vederli separatamente:
l'acqua, quando filtra spesso
attraverso la terra,
fluisce dolce in una buca e si
mitiga:
lascia infatti di sopra i principi
della ripugnante salsedine,
perché, aspri come sono, meglio
possono aderire alla terra.
E, poiché ho insegnato ciò,
proseguirò connettendo una cosa
che da ciò dipende e deriva
evidenza: i primi principi delle
cose
variano per un limitato numero di
forme.
Che se così non fosse, allora di
nuovo alcuni atomi
dovrebbero avere corpo di
grandezza infinita.
Infatti, entro la stessa piccolezza
di un qualsiasi corpo,
non possono le forme variar molto
fra loro:
supponi, in effetti, che i corpi
primi siano costituiti
di tre parti minime, o aumentane
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materiem quoque finitis differe
di poche altre il numero;
figuris.
certo - quando avrai sperimentato
denique ab ignibus ad gelidas
in ogni modo tutte
hiemum usque pruinas
quelle parti di un unico corpo,
finitumst retroque pari ratione
collocandole in alto e in basso,
remensumst.
trasmutandole da destra a
omnis enim calor ac frigus
sinistra, per vedere quale forma
mediique tepores
di figura dia a tutto quel corpo
interutrasque iacent explentes
ciascun ordinamento ordine summam.
se, procedendo oltre, vorrai per
ergo finita distant ratione creata, caso produrre figure diverse,
ancipiti quoniam mucroni utrimque bisognerà aggiungere altre parti;
notantur,
poi seguirà
hinc flammis illinc rigidis infesta
che in simile modo l'ordinamento
pruinis.
richieda altre parti,
Quod quoniam docui, pergam
se tu per caso vorrai variare
conectere rem quae
ancora le figure:
ex hoc apta fidem ducat,
dunque, alla novità delle forme
primordia rerum,
sussegue l'aumento del corpo.
inter se simili quae sunt perfecta Perciò non puoi in alcun modo
figura,
credere
infinita cluere. etenim distantia
che gli atomi differiscano per
cum sit
infinite forme,
formarum finita, necesse est quae tranne che tu non costringa alcuni
similes sint
di essi a essere di immane
esse infinitas aut summam
grandezza: cosa che di sopra ho
materiai
già mostrata inammissibile.
finitam constare, id quod non esse Allora vedresti le barbariche vesti
probavi.
e la fulgente porpora
***
di Melibea, tinta col colore delle
versibus ostendam corpuscula
conchiglie tessaliche,
materiai
e le auree generazioni dei pavoni,
ex infinito summam rerum usque cosparse di grazia ridente,
tenere
giacere vinte da nuovi colori; e
undique protelo plagarum
disprezzati
continuato.
sarebbero l'odore della mirra e il
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nam quod rara vides magis esse
animalia quaedam
fecundamque magis naturam
cernis in illis,
at regione locoque alio terrisque
remotis
multa licet genere esse in eo
numerumque repleri;
sicut quadripedum cum primis
esse videmus
in genere anguimanus elephantos,
India quorum
milibus e multis vallo munitur
eburno,
ut penitus nequeat penetrari:
tanta ferarum
vis est, quarum nos perpauca
exempla videmus.
sed tamen id quoque uti
concedam, quam lubet esto
unica res quaedem nativo corpore
sola,
cui similis toto terrarum non sit, in
orbi;
infinita tamen nisi erit vis
materiai,
unde ea progigni possit concepta,
creari
non poterit neque, quod super est,
procrescere alique.
quippe etenim sumant alii finita
per omne
corpora iactari unius genitalia rei,
unde ubi qua vi et quo pacto
congressa coibunt
materiae tanto in pelago turbaque
aliena?
sapore del miele;
e le melodie dei cigni e i canti di
Febo, con arte modulati
sulle corde, similmente soverchiati
tacerebbero;
ché sempre sorgerebbe qualcosa
superiore ad ogni altra.
Parimenti, tutte le cose potrebbero
all'inverso passare a condizioni
peggiori, come, lo abbiamo detto,
a migliori potrebbero sorgere;
infatti, anche procedendo
all'inverso, ci sarebbe sempre
qualcosa
più delle altre ripugnante a nari,
orecchie e occhi e gusto.
Poiché ciò non accade, ‹ma› un
limite certo assegnato alle cose
ne racchiude la somma dall'una
parte e dall'altra, devi ammettere
che anche la materia varia per
numero limitato di forme.
Infine, dal fuoco alle gelide brine
invernali c'è un tratto
limitato, e ugualmente si misura la
distanza in senso inverso.
Infatti tutti i gradi di calore e di
freddo e di temperati tepori
sono nel mezzo di questi estremi,
compiendo la somma nell'ordine
dovuto.
Dunque sono stati creati diversi in
una gradazione limitata,
poiché con duplice punta son
segnati all'uno e all'altro estremo,
infestati di qui dalle fiamme, di lì
dalle rigide brine.
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non, ut opinor, habent rationem
conciliandi:
sed quasi naufragiis magnis
multisque coortis
disiactare solet magnum mare
transtra cavernas
antemnas prorem malos
tonsasque natantis,
per terrarum omnis oras fluitantia
aplustra
ut videantur et indicium
mortalibus edant,
infidi maris insidias virisque
dolumque
ut vitare velint, neve ullo tempore
credant,
subdola cum ridet placidi pellacia
ponti,
sic tibi si finita semel primordia
quaedam
constitues, aevom debebunt
sparsa per omnem
disiectare aestus diversi materiai,
numquam in concilium ut possint
compulsa coire
nec remorari in concilio nec
crescere adaucta;
quorum utrumque palam fieri
manifesta docet res,
et res progigni et genitas
procrescere posse.
esse igitur genere in quovis
primordia rerum
infinita palam est, unde omnia
suppeditantur.
Nec superare queunt motus
E, poiché ho insegnato ciò,
proseguirò connettendo
una cosa che da ciò dipende e
deriva evidenza: i primi principi
delle cose che hanno figure simili
tra loro, sono infiniti.
Infatti, essendo finita la differenza
delle forme,
è necessario che quelle che sono
simili
siano infinite oppure che la somma
della materia
sia finita, cosa che ho dimostrato
non essere,
mostrando nei miei versi che i
corpuscoli della materia
provenienti dall'infinito
mantengono sempre la somma
delle cose,
da ogni parte susseguendosi gli
urti in successione continua.
In effetti, se vedi che sono più rari
alcuni animali,
e meno feconda osservi in essi la
natura,
tuttavia in regione e luogo diversi
e in terre remote può darsi
ne esistano molti altri di quella
specie e il numero si compia;
così, tra i quadrupedi in primo
luogo vediamo gli elefanti
dalla proboscide serpentina: da
molte migliaia di loro
è formato il vallo d'avorio di cui
l'India è cinta,
sì che non si può penetrare
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (31 of 67) [07/08/2003 21.36.41]
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itaque exitiales
perpetuo neque in aeternum
sepelire salutem,
nec porro rerum genitales
auctificique
motus perpetuo possunt servare
creata.
sic aequo geritur certamine
principiorum
ex infinito contractum tempore
bellum.
nunc hic nunc illic superant vitalia
rerum
et superantur item. miscetur
funere vagor,
quem pueri tollunt visentis luminis
oras;
nec nox ulla diem neque noctem
aurora secutast,
quae non audierit mixtos vagitibus
aegris
ploratus, mortis comites et funeris
atri.
Illud in his obsignatum quoque
rebus habere
convenit et memori mandatum
mente tenere,
nil esse, in promptu quorum
natura videtur,
quod genere ex uno consistat
principiorum,
nec quicquam quod non permixto
semine constet.
et quod cumque magis vis multas
possidet in se
atque potestates, ita plurima
principiorum
dentro: così grande è il numero
di queste fiere, di cui noi vediamo
pochissimi esemplari.
Ma tuttavia, per concederti anche
questo: ci sia pure qualche cosa,
quanto si voglia unica, sola col
corpo con cui è nata,
che ‹non› abbia un'altra che le
somigli ‹su› tutta la terra;
se tuttavia non ci sarà un'infinita
quantità di materia
da cui possa essere concepita e
generata, essa non potrà
essere creata, né, di poi, crescere
e nutrirsi.
E infatti - quand'anche io
supponga questo, che in numero
finito
siano sbattuti qua e là per il tutto
gli atomi generatori di un'unica
cosa donde, dove, per che forza e in
che modo s'incontreranno e
s'uniranno
in sì vasto mare di materia e
confusione d'atomi estranei?
Non hanno, io penso, modo di
aggregarsi;
ma - come, quando sono avvenuti
molti e grandi naufragi,
il vasto mare suole gettare qua e
là banchi, costole di nave,
antenne, prore, alberi e remi
galleggianti,
sì che lungo tutte le spiagge si
vedono fluttuare
aplustri e dare ai mortali
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (32 of 67) [07/08/2003 21.36.41]
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in sese genera ac varias docet
esse figuras.
Principio tellus habet in se
corpora prima,
unde mare inmensum volventes
frigora fontes
adsidue renovent, habet ignes
unde oriantur;
nam multis succensa locis ardent
sola terrae,
ex imis vero furit ignibus impetus
Aetnae.
tum porro nitidas fruges
arbustaque laeta
gentibus humanis habet unde
extollere possit,
unde etiam fluvios frondes et
pabula laeta
montivago generi possit praebere
ferarum.
quare magna deum mater
materque ferarum
et nostri genetrix haec dicta est
corporis una.
Hanc veteres Graium docti
cecinere poëtae
sedibus in curru biiugos agitare
leones,
aëris in spatio magnam pendere
docentes
tellurem neque posse in terra
sistere terram.
adiunxere feras, quia quamvis
effera proles
officiis debet molliri victa
parentum.
ammonimento
a volere evitare le insidie del mare
infido
e le violenze e il suo inganno, e a
non credergli mai,
quando l'allettamento della
bonaccia subdolo ride così, bada, una volta che
t'immaginerai in numero finito
i primi principi d'una certa specie,
sparsi per il tempo infinito,
essi dovranno essere gettati qua e
là dai flutti della materia
che vanno in sensi opposti, sì che
non potranno mai essere sospinti
insieme
e unirsi in aggregazione, né
restare aggregati, né, aumentati,
svilupparsi;
ma fatti manifesti mostrano che
palesemente accadono e l'una e
l'altra cosa:
e che le cose nascono, e che,
nate, possono crescere.
È dunque palese che esistono per
qualunque specie infiniti
primi principi, da cui tutte le cose
vengono rifornite.
Pertanto non possono i movimenti
distruttori vincere
in perpetuo e seppellire in eterno
la vita;
né, d'altronde, i movimenti che
generano e accrescono le cose
possono in perpetuo conservare
quanto è stato creato.
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (33 of 67) [07/08/2003 21.36.41]
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muralique caput summum cinxere
corona,
eximiis munita locis quia sustinet
urbes.
quo nunc insigni per magnas
praedita terras
horrifice fertur divinae matris
imago.
hanc variae gentes antiquo more
sacrorum
Idaeam vocitant matrem
Phrygiasque catervas
dant comites, quia primum ex illis
finibus edunt
per terrarum orbes fruges
coepisse creari.
Gallos attribuunt, quia, numen qui
violarint
Matris et ingrati genitoribus
inventi sint,
significare volunt indignos esse
putandos,
vivam progeniem qui in oras
luminis edant.
tympana tenta tonant palmis et
cymbala circum
concava, raucisonoque minantur
cornua cantu,
et Phrygio stimulat numero cava
tibia mentis,
telaque praeportant, violenti signa
furoris,
ingratos animos atque impia
pectora volgi
conterrere metu quae possint
numine divae.
ergo cum primum magnas invecta
Così con uguale esito prosegue la
guerra
dei primi principi, che arde da
tempo infinito.
Ora qui, ora lì, vincono le forze
vitali
e parimenti son vinte. Al pianto
funebre si mescola il vagito
che levano i bimbi venendo a
vedere le rive della luce;
né mai notte è seguìta a giorno,
né aurora a notte,
senza che abbia udito misti a
lamentosi vagiti
i pianti compagni della morte e del
nero funerale.
Questo, a tale proposito, conviene
aver suggellato
e tenere ben fermo nella memore
mente: che tra le cose
la cui natura è immediatamente
visibile non c'è nulla
che consista di un unico genere di
primi principi,
non c'è cosa che non consti di
mescolanza di semi diversi;
e più una cosa qualsiasi possiede
in sé varie forze
e proprietà, più essa mostra con
ciò di avere in sé
parecchi generi e varie forme di
primi principi.
Anzitutto la terra ha in sé i corpi
primi dai quali le fonti,
che diffondono frescura, rinnovano
assiduamente
il mare immenso; ha quelli dai
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (34 of 67) [07/08/2003 21.36.41]
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per urbis
quali nascono i fuochi.
munificat tacita mortalis muta
Infatti in molti luoghi, acceso sotto
salute,
i nostri piedi, arde il suolo
aere atque argento sternunt iter
della terra, mentre di fuochi
omne viarum
profondi infuria l'impeto dell'Etna.
largifica stipe ditantes ninguntque E poi essa ha quegli altri corpi da
rosarum
cui splendide messi
floribus umbrantes matrem
ed alberi rigogliosi può fare
comitumque catervam.
sorgere per le genti umane;
hic armata manus, Curetas
ha quelli da cui anche fiumi,
nomine Grai
fronde e pascoli rigogliosi
quos memorant, Phrygias inter si può offrire alla stirpe delle fiere
forte catervas
che vaga sui monti.
ludunt in numerumque exultant
Perciò Gran Madre degli dèi e
sanguine laeti
madre delle fiere
terrificas capitum quatientes
e genitrice del nostro corpo fu
numine cristas,
detta essa sola.
Dictaeos referunt Curetas, qui
Di lei cantarono gli antichi dotti
Iovis illum
poeti di Grecia
vagitum in Creta quondam
che assisa in trono su un carro
occultasse feruntur,
guidava due leoni aggiogati,
cum pueri circum puerum pernice insegnando così che la vasta terra
chorea
è sospesa nello spazio
[armat et in numerum pernice
aereo, né può sulla terra stare
chorea]
poggiata la terra.
armati in numerum pulsarent
Aggiogarono al carro le fiere,
aeribus aera,
perché la prole, quantunque
ne Saturnus eum malis mandaret selvaggia, deve ammansirsi, vinta
adeptus
dalle cure dei genitori.
aeternumque daret matri sub
E le cinsero la sommità del capo
pectore volnus.
d'una corona murale,
propterea magnam armati matrem perché munita di alture sostiene
comitantur,
città;
aut quia significant divam
di tale diadema adorna, ora
praedicere ut armis
destando sacro orrore incede
ac virtute velint patriam defendere attraverso le vaste terre
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terram
l'immagine della madre divina.
praesidioque parent decorique
Lei varie genti, secondo l'antico
parentibus esse.
rito,
quae bene et eximie quamvis
chiamano Madre Idea, e le danno
disposta ferantur,
corteggio di turbe di Frigi,
longe sunt tamen a vera ratione
perché primamente da quella
repulsa.
regione dicono che le messi
omnis enim per se divom natura
abbiano cominciato a propagarsi
necessest
per tutta la terra.
inmortali aevo summa cum pace Le assegnano i Galli, perché
fruatur
vogliono significare che coloro
semota ab nostris rebus
che hanno offeso il nume della
seiunctaque longe;
Madre e si son mostrati
nam privata dolore omni, privata ingrati verso i genitori, devono
periclis,
essere giudicati indegni
ipsa suis pollens opibus, nihil
di generare viva progenie alle rive
indiga nostri,
della luce.
nec bene promeritis capitur neque Timpani tesi tuonano sotto le
tangitur ira.
palme e concavi cembali
terra quidem vero caret omni
tutt'intorno, e col rauco canto i
tempore sensu,
corni minacciano,
et quia multarum potitur primordia e col frigio ritmo il cavo flauto
rerum,
esalta le menti;
multa modis multis effert in
ed essi protendono armi, segni del
lumina solis.
violento furore,
hic siquis mare Neptunum
per potere atterrire gli animi
Cereremque vocare
ingrati e gli empi petti
constituet fruges et Bacchi nomine del volgo col timore della maestà
abuti
della dea.
mavolt quam laticis proprium
E così, appena, entrata e tratta
proferre vocamen,
attraverso le grandi città,
concedamus ut hic terrarum
muta fa dono ai mortali di una
dictitet orbem
tacita salute,
esse deum matrem, dum vera re di bronzo e argento ne cospargono
tamen ipse
il percorso su ogni strada,
religione animum turpi contingere arricchendola di larghe offerte, e
parcat.
fanno nevicare fiori di rosa,
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Saepe itaque ex uno tondentes
gramina campo
lanigerae pecudes et equorum
duellica proles
buceriaeque greges eodem sub
tegmine caeli
ex unoque sitim sedantes flumine
aquai
dissimili vivont specie retinentque
parentum
naturam et mores generatim
quaeque imitantur.
tanta est in quovis genere herbae
materiai
dissimilis ratio, tanta est in
flumine quoque.
Hinc porro quamvis animantem
ex omnibus unam
ossa cruor venae calor umor
viscera nervi
constituunt, quae sunt porro
distantia longe,
dissimili perfecta figura
principiorum.
Tum porro quae cumque igni
flammata cremantur.
si nil praeterea, tamen haec in
corpore tradunt,
unde ignem iacere et lumen
submittere possint
scintillasque agere ac late differre
favillam.
cetera consimili mentis ratione
peragrans
invenies igitur multarum semina
rerum
ombreggiando la Madre e le turbe
che le fan corteggio.
Qui un manipolo di armati, che i
Greci chiamano Cureti,
se tra le turbe frigie danza e in
ritmo tripudia,
lieto alla vista del sangue, col
movimento delle teste
scotendo i terribili pennacchi,
rappresenta
i Cureti del Ditte, dei quali si
racconta che in Creta
un giorno occultarono quel
favoloso vagito di Giove;
quando, bambini intorno a un
bambino, con rapida danza,
armati percotevano in ritmo
bronzo con bronzo,
perché Saturno non lo scoprisse e
maciullasse tra le mascelle,
producendo un'eterna ferita nel
petto della Madre.
È per questo che armati
accompagnano la Grande Madre,
o perché significano che la dea
comanda che con le armi
e il valore siano risoluti a
difendere la terra dei padri
e siano pronti a essere presidio e
vanto dei loro genitori.
Ma queste cose, pur bene ed
egregiamente disposte
e tramandate, tuttavia si
discostano molto dalla verità.
Infatti è necessario che ogni
natura divina goda
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corpore celare et varias cohibere
figuras.
Denique multa vides, quibus et
color et sapor una
reddita sunt cum odore in primis
pleraque poma.
haec igitur variis debent constare
figuris;
nidor enim penetrat qua fucus non
it in artus,
fucus item sorsum, sapor
insinuatur
sensibus; ut noscas primis differre
figuris.
dissimiles igitur formae
glomeramen in unum
conveniunt et res permixto semine
constant.
Quin etiam passim nostris in
versibus ipsis
multa elementa vides multis
communia verbis,
cum tamen inter se versus ac
verba necesse est
confiteare alia ex aliis constare
elementis;
non quo multa parum communis
littera currat
aut nulla inter se duo sint ex
omnibus isdem,
sed quia non volgo paria omnibus
omnia constant.
sic aliis in rebus item communia
multa
multarum rerum cum sint,
primordia rerum
dissimili tamen inter se consistere
di per sé vita immortale con
somma pace,
remota dalle nostre cose e
immensamente distaccata.
Ché immune da ogni dolore,
immune da pericoli,
in sé possente di proprie risorse,
per nulla bisognosa di noi,
né dalle benemerenze è avvinta,
né è toccata dall'ira.
E la terra stessa, in verità, è in
ogni tempo priva di senso;
e, poiché di molte cose possiede in
sé i primi principi,
molti prodotti in molti modi fa
sorgere alla luce del sole.
Ora, se qualcuno deciderà di
chiamare Nettuno il mare
e Cerere le messi, e preferisce
impiegare abusivamente il nome
di Bacco, anziché pronunziare il
nome che è proprio del vino,
concediamogli pure di andar
dicendo che la terra
è la madre degli dèi, purché in
effetti egli tuttavia si astenga
dal contaminare l'animo suo con
turpe superstizione.
E così le lanute pecore e la
guerriera prole dei cavalli
e le cornute mandrie dei buoi, pur
sovente brucando l'erba
da un unico prato, sotto la stessa
volta del cielo,
e da un unico corso d'acqua
placando la sete, tuttavia
con dissimile aspetto vivono, e
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summa
possunt; ut merito ex aliis
constare feratur
humanum genus et fruges
arbustaque laeta.
Nec tamen omnimodis conecti
posse putandum est
omnia; nam volgo fieri portenta
videres,
semiferas hominum species
existere et altos
inter dum ramos egigni corpore
vivo
multaque conecti terrestria
membra marinis,
tum flammam taetro spirantis ore
Chimaeras
pascere naturam per terras
omniparentis.
quorum nil fieri manifestum est,
omnia quando
seminibus certis certa genetrice
creata
conservare genus crescentia posse
videmus.
scilicet id certa fieri ratione
necessust.
nam sua cuique cibis ex omnibus
intus in artus
corpora discedunt conexaque
convenientis
efficiunt motus; at contra aliena
videmus
reicere in terras naturam,
multaque caecis
corporibus fugiunt e corpore
conservano la natura
dei genitori e ne ripetono le
abitudini, ciascuno secondo la
specie.
Tanto è grande la diversità della
materia in qualunque
genere d'erba, tanto essa è
grande in ogni corso d'acqua.
E poi, qualsiasi essere vivente, nel
complesso delle sue parti,
è composto di ossa, sangue, vene,
calore, umore, visceri, nervi;
che sono anch'essi di gran lunga
differenti,
costituiti di primi principi di forma
dissimile.
E ancora, tutte le cose che
infiammate dal fuoco bruciano,
se nient'altro, nascondono almeno
nel proprio corpo
gli elementi da cui possano far
sorgere il fuoco ed emettere
la luce e sprizzare scintille e
lontano disperdere la cenere.
Con ragionare consimile passando
in rassegna
tutte le altre cose, troverai allora
che nascondono nel corpo
semi di molte cose e racchiudono
varie figure.
Infine, vedi molte cose a cui e il
colore e il sapore son dati
insieme all'odore; in primo luogo
la maggior parte dei frutti.
Questi devono dunque constare di
atomi di varie forme:
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percita plagis,
quae neque conecti quoquam
potuere neque intus
vitalis motus consentire atque
imitari.
sed ne forte putes animalia sola
teneri
legibus his, quaedam ratio res
terminat omnis
nam vel uti tota natura dissimiles
sunt
inter se genitae res quaeque, ita
quamque necessest
dissimili constare figura
principiorum;
non quo multa parum simili sint
praedita forma,
sed quia non volgo paria omnibus
omnia constant.
semina cum porro distent, differre
necessust
intervalla vias conexus pondera
plagas
concursus motus; quae non
animalia solum
corpora seiungunt, sed terras ac
mare totum
secernunt caelumque a terris
omne retentant.
Nunc age dicta meo dulci
quaesita labore
percipe, ne forte haec albis ex
alba rearis
principiis esse, ante oculos quae
candida cernis,
aut ea quae nigrant nigro de
semine nata;
l'odore, infatti, penetra per dove il
colore non entra nelle membra,
il colore ha del pari una propria
via, ‹una propria via› ha il sapore
per insinuarsi nei sensi; sì che
puoi conoscere che differiscono
nelle figure
dei primi principi. Dissimili forme,
dunque, concorrono a comporre
un unico
agglomeramento, e le cose
constano di mescolanza di semi
diversi.
Anzi, qua e là nei nostri stessi
versi tu vedi
molte lettere comuni a molte
parole,
mentre tuttavia devi ammettere
che versi e parole differiscono
tra loro, che ognuno consta di
lettere diverse;
non perché soltanto poche lettere
comuni vi ricorrano
o perché mai due parole siano
composte di lettere tutte uguali
tra loro, ma perché non son tutte
generalmente uguali a tutte.
Così nelle altre cose parimenti,
benché molti siano
i primi principi comuni a molte
cose, tuttavia esse possono
sussistere costituite da complessi
diversi tra loro;
sì che giustamente si dice che di
atomi differenti
son composti il genere umano e le
messi e gli alberi rigogliosi.
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nive alium quemvis quae sunt
inbuta colorem,
propterea gerere hunc credas,
quod materiai
corpora consimili sint eius tincta
colore;
nullus enim color est omnino
materiai
corporibus, neque par rebus
neque denique dispar.
in quae corpora si nullus tibi forte
videtur
posse animi iniectus fieri, procul
avius erras.
nam cum caecigeni, solis qui
lumina numquam
dispexere, tamen cognoscant
corpora tactu
ex ineunte aevo nullo coniuncta
colore,
scire licet nostrae quoque menti
corpora posse
vorti in notitiam nullo circum lita
fuco.
denique nos ipsi caecis
quaecumque tenebris
tangimus, haud ullo sentimus
tincta colore.
Quod quoniam vinco fieri, nunc
esse docebo.
omnis enim color omnino mutatur
in omnis;
quod facere haud ullo debent
primordia pacto;
immutabile enim quiddam
superare necessest,
Né tuttavia si deve credere che
possano in ogni modo
aggregarsi tutti gli atomi.
Altrimenti vedresti dovunque
prodursi portenti, sorgere
semiferine forme d'uomini,
e talora alti rami spuntare da un
corpo vivente,
e molte membra di animali
terrestri connettersi a parti
di animali marini, e per le terre,
che ogni cosa generano,
la natura pascere Chimere spiranti
fiamma dall'orrida bocca.
Ma è manifesto che nulla di ciò
accade, giacché vediamo
che tutte le cose, da semi
determinati, da determinata
genitrice
procreate, possono conservare
crescendo la loro specie.
Certo ciò deve prodursi secondo
una legge determinata.
Infatti da tutti i cibi si diffondono,
dentro, nelle parti
del corpo, gli atomi propri a
ognuna, e connessi producono
movimenti concordanti. Ma al
contrario vediamo
che la natura rigetta alla terra gli
elementi estranei; e molti
con invisibili corpi fuggono dal
corpo spinti dagli urti,
perché non hanno potuto
connettersi in alcuna parte,
né, dentro, accordarsi coi
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ne res ad nihilum redigantur
funditus omnes;
nam quod cumque suis mutatum
finibus exit,
continuo hoc mors est illius quod
fuit ante.
proinde colore cave contingas
semina rerum,
ne tibi res redeant ad nihilum
funditus omnes.
Praeterea si nulla coloris
principiis est
reddita natura et variis sunt
praedita formis,
e quibus omnigenus gignunt
variantque colores,
propterea magni quod refert,
semina quaeque
cum quibus et quali positura
contineantur
et quos inter se dent motus
accipiantque,
perfacile extemplo rationem
reddere possis,
cur ea quae nigro fuerint paulo
ante colore,
marmoreo fieri possint candore
repente,
ut mare, cum magni commorunt
aequora venti,
vertitur in canos candenti
marmore fluctus;
dicere enim possis, nigrum quod
saepe videmus,
materies ubi permixta est illius et
ordo
principiis mutatus et addita
movimenti vitali e imitarli.
Ma, perché tu non creda per caso
che solo gli esseri viventi
siano astretti da queste leggi, la
stessa regola delimita tutte le
cose.
Infatti, come tutte le cose
generate sono dissimili tra loro
nel complesso della loro natura,
così è necessario
che ciascuna consti di primi
principi di figura dissimile;
non perché pochi siano dotati di
forma simile,
ma perché non sono tutti
generalmente uguali a tutti.
E poiché sono differenti i semi, è
necessario differiscano
gl'intervalli, le vie, le connessioni,
i pesi, gli urti,
gl'incontri, i movimenti, che non
solo distinguono i corpi
degli esseri viventi, ma dividono la
terra e l'intero mare
e tengono separato dalla terra
tutto il cielo.
Ora ascolta le parole che io con
dolce fatica ho cercate,
affinché tu per caso non creda
composte di primi principi
bianchi queste bianche cose che ai
tuoi occhi mostrano
il loro candore, o nate da nero
seme le cose che sono nere;
o quelle cose che sono imbevute
di un altro qualsiasi colore,
per ciò tu creda che lo portino,
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demptaque quaedam,
perché i corpi della materia
continuo id fieri ut candens
siano tinti di un colore consimile a
videatur et album.
quello.
quod si caeruleis constarent
Infatti i corpi della materia non
aequora ponti
hanno assolutamente colore,
seminibus, nullo possent albescere né uguale a quello delle cose, né,
pacto;
d'altronde, diverso.
nam quo cumque modo perturbes E se per caso ti pare che non c'è
caerula quae sint,
slancio dell'animo che possa
numquam in marmoreum possunt giungere a concepire questi corpi,
migrare colorem.
forviato tu erri lontano.
sin alio atque alio sunt semina
Difatti, se è vero che i ciechi nati,
tincta colore,
che non hanno mai scorto
quae maris efficiunt unum
la luce del sole, tuttavia
purumque nitorem,
conoscono al tatto corpi
ut saepe ex aliis formis variisque che dal principio della vita sono
figuris
stati per essi privi di colore,
efficitur quiddam quadratum
si può concludere che anche la
unaque figura,
nostra mente può pervenire
conveniebat, ut in quadrato
alla conoscenza di corpi non
cernimus esse
ricoperti di alcuna tinta.
dissimiles formas, ita cernere in
Infine, noi stessi, tutte le cose che
aequore ponti
tocchiamo
aut alio in quovis uno puroque
nelle cieche tenebre, non le
nitore
sentiamo tinte di alcun colore.
dissimiles longe inter se variosque E poiché ho provato che questo
colores.
avviene, ora mostrerò
praeterea nihil officiunt
che ‹i primi principi› sono ‹privi di
obstantque figurae
qualsiasi colore›.
dissimiles, quo quadratum minus Infatti ogni colore, assolutamente,
omne sit extra;
si muta e ogni
at varii rerum inpediunt
‹cosa che cambia colore, cambia
prohibentque colores,
sé stessa›;
quo minus esse uno possit res tota ciò che i primi principi non devono
nitore.
fare in alcun modo.
Tum porro quae ducit et inlicit È necessario, in effetti, che
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ut tribuamus
principiis rerum non numquam
causa colores,
occidit, ex albis quoniam non alba
creantur,
nec quae nigra cluent de nigris,
sed variis ex.
quippe etenim multo proclivius
exorientur
candida de nullo quam nigro nata
colore
aut alio quovis, qui contra pugnet
et obstet.
Praeterea quoniam nequeunt
sine luce colores
esse neque in lucem existunt
primordia rerum,
scire licet quam sint nullo velata
colore;
qualis enim caecis poterit color
esse tenebris?
lumine quin ipso mutatur
propterea quod
recta aut obliqua percussus luce
refulget;
pluma columbarum quo pacto in
sole videtur,
quae sita cervices circum
collumque coronat;
namque alias fit uti claro sit rubra
pyropo,
inter dum quodam sensu fit uti
videatur
inter caeruleum viridis miscere
zmaragdos.
caudaque pavonis, larga cum luce
repleta est,
qualcosa sopravanzi immutabile,
perché tutte le cose non si
riducano appieno al nulla.
Infatti ogni volta che una cosa si
muta ed esce dai propri
termini, sùbito questo è la morte
di ciò che era prima.
Perciò guàrdati dal cospargere di
colore i semi delle cose,
perché tutte le cose non ti si
riducano appieno al nulla.
Inoltre, se nessuna natura di
colore è stata assegnata
ai primi principi, ed essi sono
dotati di varie forme,
con le quali generano e variano
ogni genere di colori,
in quanto che importa molto con
quali altri i primi principi
di ciascuna specie, e in quale
disposizione, siano collegati,
e quali movimenti a vicenda
imprimano e ricevano,
tu puoi sùbito spiegare molto
facilmente
perché quelle cose che poco prima
erano di color nero,
possano diventare d'un tratto di
un candore marmoreo:
così il mare, quando forti venti ne
hanno sconvolto la superficie,
si muta in flutti che biancheggiano
come un candido marmo.
Puoi, infatti, dire che ciò che di
solito noi vediamo nero,
quando la sua materia è stata
rimescolata e l'ordine dei primi
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (44 of 67) [07/08/2003 21.36.42]
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consimili mutat ratione obversa
colores;
qui quoniam quodam gignuntur
luminis ictu,
scire licet, sine eo fieri non posse
putandum est.
Et quoniam plagae quoddam
genus excipit in se
pupula, cum sentire colorem
dicitur album,
atque aliud porro, nigrum cum et
cetera sentit,
nec refert ea quae tangas quo
forte colore
praedita sint, verum quali magis
apta figura,
scire licet nihil principiis opus esse
colore,
sed variis formis variantes edere
tactus.
Praeterea quoniam non certis
certa figuris
est natura coloris et omnia
principiorum
formamenta queunt in quovis esse
nitore,
cur ea quae constant ex illis non
pariter sunt
omnigenus perfusa coloribus in
genere omni?
conveniebat enim corvos quoque
saepe volantis
ex albis album pinnis iactare
colorem
et nigros fieri nigro de semine
cycnos
principi è stato mutato e certe
cose sono state aggiunte e certe
tolte,
sùbito avviene che appaia di una
luminosa bianchezza.
Che se le acque del mare fossero
composte di semi cerulei,
non potrebbero in alcun modo
biancheggiare.
Infatti, in qualunque modo tu
sconvolga semi che siano
cerulei, giammai possono passare
al colore del marmo.
Se poi sono tinti parte di un colore
e parte di un altro
i semi che fanno l'unico e puro
colore del mare,
come spesso da diverse forme e
da varie figure
è prodotta qualche cosa quadrata
e di un'unica figura,
in tal caso, come nel quadrato
scorgiamo che ci sono forme
dissimili, così si dovrebbero
scorgere nelle acque del mare
o in qualsiasi altro colore unico e
puro
colori vari e di gran lunga dissimili
tra loro.
Inoltre, le figure dissimili non si
oppongono per nulla
e non precludono che il tutto sia
quadrato nel contorno esterno;
mentre i diversi colori nelle cose
impediscono e proibiscono
che l'intera cosa possa essere di
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aut alio quovis uno varioque
un unico colore.
colore.
E poi, la ragione, che talvolta ci
Quin etiam quanto in partes res induce e alletta
quaeque minutas
ad attribuire colori ai primi principi
distrahitur magis, hoc magis est ut delle cose, cade,
cernere possis
se le cose bianche non si creano
evanescere paulatim stinguique
da primi principi bianchi,
colorem;
né quelle che appaiono nere, da
ut fit ubi in parvas partis
neri, ma di colori diversi.
discerpitur austrum:
E in effetti cose candide
purpura poeniceusque color
nasceranno e sorgeranno
clarissimus multo,
molto più agevolmente da nessun
filatim cum distractum est,
colore, che dal nero
disperditur omnis;
o da qualsiasi altro che contrasti e
noscere ut hinc possis prius
si opponga.
omnem efflare colorem
Inoltre, poiché senza luce non
particulas, quam discedant ad
possono esserci colori,
semina rerum.
né i primi principi delle cose
Postremo quoniam non omnia emergono alla luce,
corpora vocem
si può conoscere come questi non
mittere concedis neque odorem,
siano rivestiti di colore.
propterea fit
E infatti, quale colore potrà esserci
ut non omnibus adtribuas sonitus nelle cieche tenebre?
et odores:
Che anzi nella luce stessa il colore
sic oculis quoniam non omnia
si muta, secondo
cernere quimus,
che rifulge percosso da raggi di
scire licet quaedam tam constare luce diretti o obliqui;
orba colore
come si vedono nel sole le piume
quam sine odore ullo quaedam
delle colombe,
sonituque remota,
che si trovano intorno alla nuca e
nec minus haec animum
incoronano il collo;
cognoscere posse sagacem
e infatti talora accade che abbiano
quam quae sunt aliis rebus privata il rosso del lucido piropo;
notare.
altre volte, per un certo modo di
Sed ne forte putes solo spoliata percepire, accade
colore
che sembrino mescolare tra il
corpora prima manere, etiam
ceruleo verdi smeraldi.
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secreta teporis
E la coda del pavone, quando è
sunt ac frigoris omnino calidique
riempita di copiosa luce,
vaporis,
similmente muta, secondo che si è
et sonitu sterila et suco ieiuna
voltata, i colori;
feruntur,
e, poiché questi son prodotti da un
nec iaciunt ullum proprium de
certo colpire della luce,
corpore odorem.
chiaramente si deve credere che
sicut amaracini blandum
non possono nascere senza quella.
stactaeque liquorem
E, poiché la pupilla riceve in sé un
et nardi florem, nectar qui naribus certo genere d'impressione
halat,
quando si dice che percepisce il
cum facere instituas, cum primis colore bianco,
quaerere par est,
e un altro genere, d'altronde,
quod licet ac possis reperire,
quando percepisce il nero
inolentis olivi
e i restanti colori, né importa di
naturam, nullam quae mittat
quale colore siano per caso
naribus auram,
dotate le cose che tocchi, ma
quam minime ut possit mixtos in piuttosto di che figura sian fornite,
corpore odores
ne risulta che i primi principi non
concoctosque suo contractans
hanno bisogno di colori,
perdere viro,
ma secondo le varie forme
propter eandem debent primordia suscitano diverse sensazioni di
rerum
tatto.
non adhibere suum gignundis
Inoltre, poiché a determinate
rebus odorem
forme di atomi non appartiene
nec sonitum, quoniam nihil ab se una determinata natura di colore,
mittere possunt,
e tutte le conformazioni
nec simili ratione saporem denique dei primi principi possono esistere
quemquam
in qualsiasi colore,
nec frigus neque item calidum
perché mai le cose che ne
tepidumque vaporem,
risultano non sono ugualmente
cetera, quae cum ita sunt tamen cosparse d'ogni genere di colori in
ut mortalia constent,
ogni loro genere?
molli lenta, fragosa putri, cava
Dovrebbero infatti anche i corvi
corpore raro,
spesso, volando,
omnia sint a principiis seiuncta
da bianche penne spandere bianco
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necessest,
inmortalia si volumus subiungere
rebus
fundamenta, quibus nitatur
summa salutis;
ne tibi res redeant ad nihilum
funditus omnes.
Nunc ea quae sentire videmus
cumque necessest
ex insensilibus tamen omnia
confiteare
principiis constare. neque id
manufesta refutant
nec contra pugnant, in promptu
cognita quae sunt,
sed magis ipsa manu ducunt et
credere cogunt
ex insensilibus, quod dico,
animalia gigni.
quippe videre licet vivos existere
vermes
stercore de taetro, putorem cum
sibi nacta est
intempestivis ex imbribus umida
tellus.
Praeterea cunctas itidem res
vertere sese.
vertunt se fluvii in frondes et
pabula laeta
in pecudes, vertunt pecudes in
corpora nostra
naturam, et nostro de corpore
saepe ferarum
augescunt vires et corpora
pennipotentum.
ergo omnes natura cibos in
corpora viva
colore,
e neri prodursi da nero seme i
cigni,
o da qualsiasi altro colore, unico o
vario.
Che anzi, quanto più ogni cosa
viene sminuzzolata
in parti minute, tanto più puoi
vedere il colore
svanire a poco a poco ed
estinguersi;
come avviene quando in piccole
parti si lacera la porpora:
il colore purpureo e lo scarlatto, di
gran lunga il più lucente,
quando è stato sminuzzolato a filo
a filo, tutto si distrugge;
sì che di qui puoi conoscere che le
particelle perdono
tutto il colore prima di ridursi allo
stato di atomi.
Infine, poiché ammetti che non
tutti i corpi
emettono un suono o un odore, ne
deriva la conseguenza
che non a tutti attribuisci suoni e
odori.
Parimenti, poiché non tutte le cose
possiamo discernere
con gli occhi, è chiaro che esistono
alcune cose prive di colore,
come ne esistono alcune senza
odore e scevre di suono,
e tuttavia la mente sagace può
conoscerle, non meno di quanto
può distinguere quelle cose che
sono prive di altre qualità.
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vertit et hinc sensus animantum
procreat omnes,
non alia longe ratione atque arida
ligna
explicat in flammas et ignis omnia
versat.
iamne vides igitur magni
primordia rerum
referre in quali sint ordine
quaeque locata
et commixta quibus dent motus
accipiantque?
Tum porro, quid id est, animum
quod percutit, ipsum,
quod movet et varios sensus
expromere cogit,
ex insensilibus ne credas sensile
gigni?
ni mirum lapides et ligna et terra
quod una
mixta tamen nequeunt vitalem
reddere sensum.
illud in his igitur rebus meminisse
decebit,
non ex omnibus omnino,
quaecumque creant res
sensilia, extemplo me gigni dicere
sensus,
sed magni referre ea primum
quantula constent,
sensile quae faciunt, et qua sint
praedita forma,
motibus ordinibus posituris
denique quae sint.
quarum nil rerum in lignis
glaebisque videmus;
Ma, perché tu non creda per caso
che del solo colore
siano spogli i corpi primi, essi sono
anche del tutto mancanti
di tepore e di freddo e di fervido
calore,
e si aggirano sterili di suono e
digiuni di sapore,
né spandono dal corpo alcun
proprio odore.
Come - quando prepari il soave
liquido della maggiorana
o della mirra o l'essenza del
nardo, che alle narici esala
profumo di nettare, bisogna in
primo luogo cercare,
per quanto è possibile e ti riesca di
trovarne, una specie
di olio inodoro, che non mandi alle
narici alcuna esalazione,
sì che il meno possibile rovini, col
contatto del suo acre effluvio,
gli odori mescolati e assimilati al
suo corpo dalla cottura per la stessa ‹ragione› occorre che
i primi principi delle cose
non apportino nella generazione
delle cose un loro odore,
né un suono, poiché nulla possono
da sé emettere,
né, similmente, alcuna specie di
sapore,
né freddo, né, del pari, calore o
tepore, né altra delle cose simili;
le quali - poiché sono in ogni caso
tali da risultare mortali,
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et tamen haec, cum sunt quasi
di corpo molle le flessibili, di
putrefacta per imbres,
friabile le fragili, di rado le porose vermiculos pariunt, quia corpora
tutte è necessario che siano
materiai
disgiunte dai primi principi,
antiquis ex ordinibus permota
se vogliamo porre sotto le cose
nova re
fondamenti immortali,
conciliantur ita ut debent animalia su cui poggi la salvezza del tutto.
gigni.
Altrimenti tutte le cose ti si
Deinde ex sensilibus qui sensile ridurranno appieno al nulla.
posse creari
Ora, le cose, quali che siano, che
constituunt, porro ex aliis sentire vediamo dotate di senso,
suëti
è necessario tu ammetta che
***
tuttavia sono tutte composte
mollia cum faciunt; nam sensus
di primi principi insensibili. Né ciò
iungitur omnis
confutano, né oppugnano
visceribus nervis venis, quae
fatti manifesti, che son noti come
cumque videmus
evidenti; ma piuttosto
mollia mortali consistere corpore essi stessi ci conducono per mano
creta.
e ci costringono a credere
sed tamen esto iam posse haec
che da cose insensibili, come dico,
aeterna manere;
sono generati gli esseri animati.
nempe tamen debent aut sensum In effetti è possibile vedere che
partis habere
vivi vermi spuntano fuori
aut similis totis animalibus esse
dallo sterco nauseabondo, quando
putari.
si è putrefatta
at nequeant per se partes sentire per effetto di piogge eccessive
necesse est:
l'umida terra;
namque animus sensus
peraltro, che tutte le cose si
membrorum respuit omnis,
mutano ugualmente:
nec manus a nobis potis est
i fiumi, le fronde e i pascoli
secreta neque ulla
rigogliosi si mutano
corporis omnino sensum pars sola in greggi, le greggi mutano la
tenere.
propria natura nei corpi nostri,
linquitur ut totis animantibus
e del nostro corpo spesso si
adsimulentur,
accrescono le forze
vitali ut possint consentire undique delle fiere e i corpi degli uccelli
sensu.
dalle penne possenti.
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qui poterunt igitur rerum
Dunque la natura muta in corpi
primordia dici
vivi tutti i cibi
et leti vitare vias, animalia cum
e da questi produce tutti i sensi
sint,
degli esseri animati,
atque animalia mortalibus una
in modo non molto diverso da
eademque?
come sprigiona le fiamme
quod tamen ut possint, at coetu
dalle aride legna e trasmuta tutte
concilioque
le cose ‹in› fuoco.
nil facient praeter volgum
E dunque non vedi ora che molto
turbamque animantum,
importa in quale ordine
scilicet ut nequeant homines
tutti i primi principi siano collocati
armenta feraeque
e con quali altri
inter sese ullam rem gignere
siano commisti quando imprimono
conveniundo.
e ricevono movimenti?
sic itidem quae sentimus sentire
E poi, che cosa è che percuote la
necessest.
mente stessa,
quod si forte suum dimittunt
che la muove e costringe a
corpore sensum
esprimere diversi pensieri,
atque alium capiunt, quid opus fuit impedendoti di credere che il
adtribui id quod
sensibile si generi dall'insensibile?
detrahitur? tum praeterea, quod
Certo è questo: che le pietre e le
fudimus ante,
legna e la terra, insieme
quatinus in pullos animalis vertier mescolate, non possono tuttavia
ova
produrre il senso vitale.
cernimus alituum vermisque
Questo, a tale proposito, converrà
effervere terra,
dunque ricordare:
intempestivos quam putor cepit ob ch'io non dico che, quali che siano
imbris,
le cose che creano
scire licet gigni posse ex non
le cose sensibili, da tutte in ogni
sensibus sensus.
caso nascono senz'altro i sensi,
Quod si forte aliquis dicet, dum ma che molto importa, in primo
taxat oriri
luogo, quanto piccoli siano
posse ex non sensu sensus
gli elementi che producono il
mutabilitate,
sensibile, e di che forma sian
aut aliquo tamquam partu quod
dotati,
proditur extra,
infine quali siano quanto a
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huic satis illud erit planum facere
atque probare,
non fieri partum nisi concilio ante
coacto,
nec quicquam commutari sine
conciliatu.
Principio nequeunt ullius
corporis esse
sensus ante ipsam genitam
naturam animantis,
ni mirum quia materies disiecta
tenetur
aëre fluminibus terris terraque
creatis,
nec congressa modo vitalis
convenientes
contulit inter se motus, quibus
omnituentes
accensi sensus animantem
quamque tuentur.
Praeterea quamvis animantem
grandior ictus,
quam patitur natura, repente
adfligit et omnis
corporis atque animi pergit
confundere sensus.
dissoluuntur enim positurae
principiorum
et penitus motus vitales
inpediuntur,
donec materies omnis concussa
per artus
vitalis animae nodos a corpore
solvit
dispersamque foras per caulas
eiecit omnis;
nam quid praeterea facere ictum
movimenti, ordini, disposizioni.
Ma niente di ciò vediamo nelle
legna e nelle zolle;
e tuttavia queste, quando sono
come putrefatte per le piogge,
generano vermiciattoli, perché i
corpi di materia,
spostati dagli ordini antichi per il
nuovo stato di cose,
si aggregano nel modo per cui
devono nascere esseri animati.
Quelli poi che suppongono che il
sensibile possa crearsi
da elementi sensibili, soliti a
sentire a loro volta grazie ad altri
‹elementi sensibili, fanno mortali i
primi principi,›
poiché li fanno molli. Infatti ogni
sensazione è legata
alle viscere, ai nervi, alle vene:
cose che generalmente
vediamo esser molli e dotate di
corpo mortale.
Ma tuttavia sia ora ammesso che
tali elementi possano durare
eterni: certo devono tuttavia o
avere la sensibilità d'una parte
o essere stimati simili a interi
esseri animati.
Ma necessariamente è impossibile
che le parti di per sé abbiano
senso;
giacché ogni sensazione delle
membra è in rapporto con qualche
altra cosa, né può una mano
staccata da noi, né generalmente
alcuna parte del corpo da sola
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posse reamur
oblatum, nisi discutere ac
dissolvere quaeque?
fit quoque uti soleant minus oblato
acriter ictu
reliqui motus vitalis vincere saepe,
vincere et ingentis plagae sedare
tumultus
inque suos quicquid rursus
revocare meatus
et quasi iam leti dominantem in
corpore motum
discutere ac paene amissos
accendere sensus;
nam qua re potius leti iam limine
ab ipso
ad vitam possint conlecta mente
reverti,
quam quo decursum prope iam
siet ire et abire?
Praeterea, quoniam dolor est,
ubi materiai
corpora vi quadam per viscera
viva per artus
sollicitata suis trepidant in sedibus
intus,
inque locum quando remigrant, fit
blanda voluptas,
scire licet nullo primordia posse
dolore
temptari nullamque voluptatem
capere ex se;
quandoquidem non sunt ex ullis
principiorum
corporibus, quorum motus
novitate laborent
conservare la sensibilità.
Resta che essi siano assomigliati a
interi esseri animati.
Così è necessario che sentano
ugualmente ciò che noi sentiamo,
sì che possano da ogni parte
consentire col senso vitale.
Come potranno, dunque, esser
detti primi principi delle cose
ed evitare le vie della morte,
quando sono esseri animati,
ed esseri animati e mortali non
‹sono› che un'unica e identica
cosa?
E, ammesso pure che possano,
con l'incontro e l'unione
non faranno altro che una folla e
una turba di esseri animati,
come, evidentemente, uomini,
armenti e fiere
non potrebbero, congregandosi tra
loro, generare alcunché.
Che se per caso nel corpo perdono
la sensibilità
e ne assumono un'altra, che
bisogno c'era che fosse loro
attribuito
ciò che vien tolto? E poi, c'è
ancora l'argomento a cui siamo
ricorsi
prima: poiché vediamo che le
uova degli uccelli si mutano
in viventi pulcini, e vermi
brulicano quando per piogge
eccessive putredine ha invaso la
terra, è dato concludere
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aut aliquem fructum capiant
dulcedinis almae.
haut igitur debent esse ullo
praedita sensu.
Denique uti possint sentire
animalia quaeque,
principiis si iam est sensus
tribuendus eorum,
quid, genus humanum propritim
de quibus auctumst?
scilicet et risu tremulo concussa
cachinnant
et lacrimis spargunt rorantibus ora
genasque
multaque de rerum mixtura dicere
callent
et sibi proporro quae sint
primordia quaerunt;
quando quidem totis mortalibus
adsimulata
ipsa quoque ex aliis debent
constare elementis,
inde alia ex aliis, nusquam
consistere ut ausis;
quippe sequar, quod cumque loqui
ridereque dices
et sapere, ex aliis eadem haec
facientibus ut sit.
quod si delira haec furiosaque
cernimus esse
et ridere potest non ex ridentibus
auctus,
et sapere et doctis rationem
reddere dictis
non ex seminibus sapientibus
atque disertis,
qui minus esse queant ea quae
che la sensibilità può nascere dai
non sensibili.
Che se per caso qualcuno dirà che,
ad ogni modo,
il senso può sorgere dal non-senso
per mutamento
o quasi per una specie di parto,
per cui vien prodotto
e tratto fuori, basterà spiegare a
costui e provare questo:
che non avviene parto se non si è
prima compiuta un'unione,
e che niente si muta, se non dopo
essersi aggregato.
Anzitutto, nessun corpo può aver
sensi
prima che sia nata la stessa
natura dell'essere animato,
certo perché la sua materia si
trova sparpagliata
nell'aria, nei fiumi, nella terra e
nei prodotti della terra,
né ancora si è raccolta, né ha
combinato tra loro
i moti vitali, concordanti, per i
quali i sensi onniveggenti
sono accesi e proteggono ogni
essere vivente.
Inoltre, un colpo abbatte d'un
tratto qualunque vivente
quando è più violento di quel che
sopporta la sua natura,
e procede a scompigliare tutti i
sensi del corpo e dell'animo.
Sono dissolte infatti le disposizioni
dei primi principi
e nel profondo i moti vitali sono
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sentire videmus
seminibus permixta carentibus
undique sensu?
Denique caelesti sumus omnes
semine oriundi;
omnibus ille idem pater est, unde
alma liquentis
umoris guttas mater cum terra
recepit,
feta parit nitidas fruges
arbustaque laeta
et genus humanum, parit omnia
saecla ferarum,
pabula cum praebet, quibus
omnes corpora pascunt
et dulcem ducunt vitam
prolemque propagant;
qua propter merito maternum
nomen adepta est.
cedit item retro, de terra quod fuit
ante,
in terras, et quod missumst ex
aetheris oris,
id rursum caeli rellatum templa
receptant.
nec sic interemit mors res ut
materiai
corpora conficiat, sed coetum
dissupat ollis;
inde aliis aliud coniungit et efficit,
omnis
res ut convertant formas
mutentque colores
et capiant sensus et puncto
tempore reddant;
ut noscas referre earum primordia
intralciati,
finché la materia, scossa per tutte
le membra,
scioglie dal corpo i nodi vitali
dell'anima
e la caccia fuori dispersa per tutte
le aperture.
E in effetti, che altro dobbiamo
credere che possa fare
un colpo inferto, se non rompere e
dissolvere ogni cosa?
Avviene pure che, dopo un colpo
inferto meno duramente,
i rimanenti moti vitali sogliano
spesso vincere,
vincere, e sedare gli ingenti
tumulti del colpo,
e richiamare ciascuna parte di
nuovo nei suoi meati,
e spezzare il moto della morte,
che già quasi domina
nel corpo, e riaccendere i sensi
quasi perduti.
E in effetti, con che altro mezzo
potrebbero, pur giunti ormai
al limitare della morte, raccogliere
gli spiriti e tornare alla vita,
piuttosto che andare là dove si è
già quasi giunti, e svanire?
Inoltre, poiché c'è dolore quando i
corpi della materia,
scossi da qualche forza per le
viscere vive, per le membra,
si agitano disordinatamente nel
profondo delle proprie sedi,
e, quando tornano a posto, nasce
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rerum
cum quibus et quali positura
contineantur
et quos inter se dent motus
accipiantque,
neve putes aeterna penes residere
potesse
corpora prima quod in summis
fluitare videmus
rebus et interdum nasci subitoque
perire.
quin etiam refert nostris in
versibus ipsis
cum quibus et quali sint ordine
quaeque locata;
namque eadem caelum mare
terras flumina solem
significant, eadem fruges arbusta
animantis;
si non omnia sunt, at multo
maxima pars est
consimilis; verum positura
discrepitant res.
sic ipsis in rebus item iam materiai
[intervalla vias conexus pondera
plagas]
concursus motus ordo positura
figurae
cum permutantur, mutari res
quoque debent.
Nunc animum nobis adhibe
veram ad rationem.
nam tibi vehementer nova res
molitur ad auris
accedere et nova se species
ostendere rerum.
sed neque tam facilis res ulla est,
un carezzevole piacere,
è evidente che i primi principi non
possono essere travagliati
da alcun dolore, né sentire in sé
stessi alcun piacere;
giacché non sono composti di
corpi di primi principi
dalla novità del cui moto possano
essere travagliati
o prendere qualche frutto di
dolcezza vivificatrice.
Devono dunque essere privi di
qualsiasi senso.
E se, perché possano tutti gli
esseri viventi sentire, bisogna
in fin dei conti che il senso sia
attribuito ai loro primi principi,
come saranno quelli di cui il
genere umano è specificamente
formato?
Senza dubbio essi sghignazzano,
scossi da tremulo riso,
e di stillanti lagrime spargono i
volti e le guance,
e sanno dire molte cose intorno
alla mescolanza dei corpi
e, per di più, ricercano quali siano
i loro primi principi;
giacché, simili a interi uomini
mortali,
devono anch'essi constare di altri
elementi,
e poi questi di altri, sì che mai tu
osi fermarti:
infatti ti incalzerò, sì che, a
qualunque cosa assegnerai il
parlare e il ridere
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quin ea primum
e il ragionare, essa dovrà essere
difficilis magis ad credendum
costituita di elementi che
constet, itemque
compiono
nil adeo magnum neque tam
questi stessi atti. Ma se scorgiamo
mirabile quicquam,
che ciò è delirio e follia,
quod non paulatim minuant
e ridere può uno che non sia
mirarier omnes,
costituito di atomi ridenti,
principio caeli clarum purumque
e ragionare e con dotti detti
colorem
spiegare le cose può uno
quaeque in se cohibet, palantia
che non sia costituito di atomi
sidera passim,
sapienti ed eloquenti,
lunamque et solis praeclara luce
perché mai quegli esseri che
nitorem;
vediamo dotati di senso non
omnia quae nunc si primum
potrebbero
mortalibus essent
esser costituiti di mescolanze di
ex improviso si sint obiecta
atomi del tutto privi di senso?
repente,
Infine noi siamo tutti nati da seme
quid magis his rebus poterat
celeste; a tutti è padre
mirabile dici,
quello stesso, da cui la terra, la
aut minus ante quod auderent fore madre che ci alimenta,
credere gentes?
quando ha ricevuto le limpide
nil, ut opinor; ita haec species
gocce di pioggia,
miranda fuisset.
concepisce e genera le splendide
quam tibi iam nemo fessus satiate messi e gli alberi rigogliosi
videndi,
e il genere umano, genera tutte le
suspicere in caeli dignatur lucida stirpi delle fiere,
templa.
offrendo i cibi con cui tutti nutrono
desine qua propter novitate
i corpi
exterritus ipsa
e conducono una piacevole vita e
expuere ex animo rationem, sed
propagano la progenie;
magis acri
perciò a ragione essa ha ricevuto il
iudicio perpende, et si tibi vera
nome di madre.
videntur,
Del pari ritorna alla terra ciò che
dede manus, aut, si falsum est,
un tempo uscì dalla terra,
accingere contra.
e quel che fu mandato giù dalle
quaerit enim rationem animus,
plaghe dell'etere,
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cum summa loci sit
infinita foris haec extra moenia
mundi,
quid sit ibi porro, quo prospicere
usque velit mens
atque animi iactus liber quo
pervolet ipse.
Principio nobis in cunctas
undique partis
et latere ex utroque supterque per
omne
nulla est finis; uti docui, res
ipsaque per se
vociferatur, et elucet natura
profundi.
nullo iam pacto veri simile esse
putandumst,
undique cum vorsum spatium
vacet infinitum
seminaque innumero numero
summaque profunda
multimodis volitent aeterno
percita motu,
hunc unum terrarum orbem
caelumque creatum,
nil agere illa foris tot corpora
materiai;
cum praesertim hic sit natura
factus et ipsa
sponte sua forte offensando
semina rerum
multimodis temere in cassum
frustraque coacta
tandem coluerunt ea quae
coniecta repente
magnarum rerum fierent exordia
semper,
ritorna alle volte del cielo che
nuovamente lo accolgono.
Né la morte distrugge le cose sì da
annientare i corpi
della materia, ma di questi
dissolve l'aggregazione;
poi congiunge altri atomi con altri
e fa che tutte le cose
così modifichino le loro forme e
mutino i loro colori
e acquistino i sensi e in un attimo
li perdano, sì che puoi
conoscere come importi con quali
altri i medesimi
primi principi, e in quale
disposizione, siano collegati,
e quali movimenti a vicenda
imprimano e ricevano,
e non devi credere che negli eterni
corpi primi possa
aver sede ciò che vediamo fluire
alla superficie
delle cose e talora nascere e
sùbito perire.
Anzi, nei nostri stessi versi è
importante
con quali altre e in quale ordine
ogni lettera sia collocata;
giacché le stesse lettere
significano il cielo, il mare, le
terre,
i fiumi, il sole, le stesse le messi,
gli alberi, gli esseri viventi;
se non tutte, almeno per la parte
di gran lunga maggiore sono
consimili; ma è per la posizione
che differiscono i significati.
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terrai maris et caeli generisque
animantum.
quare etiam atque etiam talis
fateare necesse est
esse alios alibi congressus
materiai,
qualis hic est, avido complexu
quem tenet aether.
Praeterea cum materies est
multa parata,
cum locus est praesto nec res nec
causa moratur
ulla, geri debent ni mirum et
confieri res.
nunc et seminibus si tanta est
copia, quantam
enumerare aetas animantum non
queat omnis,
quis eadem natura manet, quae
semina rerum
conicere in loca quaeque queat
simili ratione
atque huc sunt coniecta, necesse
est confiteare
esse alios aliis terrarum in
partibus orbis
et varias hominum gentis et
saecla ferarum.
Huc accedit ut in summa res
nulla sit una,
unica quae gignatur et unica
solaque crescat,
quin aliquoius siet saecli
permultaque eodem
sint genere. in primis animalibus
indice mente
Così nelle cose stesse parimenti,
quando nella materia
mutano gl'incontri, i movimenti,
l'ordine,
la disposizione, le figure, anche le
cose devono mutare.
Ora applica la mente alla mia vera
dottrina.
Una cosa fortemente nuova sta
per giungerti alle orecchie,
un nuovo aspetto della realtà sta
per manifestarsi.
Ma non c'è cosa tanto facile che a
prima giunta
non sia più difficile a credersi, e
parimenti
nulla è tanto grande, nulla tanto
mirabile
che a poco a poco lo stupirsene
non diminuisca in tutti.
In primo luogo il luminoso e puro
colore del cielo
e quanto esso contiene in sé, gli
astri vaganti in ogni parte,
e la luna e il sole con lo splendore
della luce chiarissima se tutte queste cose ora per la
prima volta fossero vedute
dai mortali, se d'improvviso si
presentassero loro, d'un tratto,
che mai si potrebbe dire
meraviglia più grande di esse
o che prima le genti meno
osassero credere possibile?
Nulla, io penso: tanto questa vista
sarebbe parsa mirabile.
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invenies sic montivagum genus
esse ferarum,
sic hominum geminam prolem, sic
denique mutas
squamigerum pecudes et corpora
cuncta volantum.
qua propter caelum simili ratione
fatendumst
terramque et solem, lunam mare
cetera quae sunt,
non esse unica, sed numero magis
innumerali;
quando quidem vitae depactus
terminus alte
tam manet haec et tam nativo
corpore constant
quam genus omne, quod his
generatimst rebus abundans.
Quae bene cognita si teneas,
natura videtur
libera continuo, dominis privata
superbis,
ipsa sua per se sponte omnia dis
agere expers.
nam pro sancta deum tranquilla
pectora pace
quae placidum degunt aevom
vitamque serenam,
quis regere immensi summam,
quis habere profundi
indu manu validas potis est
moderanter habenas,
quis pariter caelos omnis
convertere et omnis
ignibus aetheriis terras suffire
feracis,
omnibus inve locis esse omni
E ora osserva: per la stanchezza
di vederlo a sazietà, nessuno
ormai si degna di levare lo
sguardo alle volte lucenti del cielo.
Cessa, dunque, di rigettare
dall'animo questa dottrina,
spaurito dalla novità per sé stessa,
ma piuttosto
pondera tutto con acuto giudizio;
e, se ti sembra vera,
arrenditi; se è falsa, accingiti a
contrastarla.
E in verità, dato che l'intero spazio
è infinito fuori dalle mura
di questo mondo, l'animo cerca di
comprendere cosa ci sia
più oltre, fin dove la mente voglia
protendere il suo sguardo,
fin dove il libero slancio dell'animo
da sé si avanzi a volo.
In primo luogo, per noi da ogni
punto verso qualunque
parte, da entrambi i lati, ‹sopra› e
sotto, per il tutto
non c'è confine: come ho
mostrato, e la cosa stessa di per
sé
a gran voce lo proclama, e la
natura dello spazio senza fondo
riluce.
In nessun modo quindi si deve
credere verosimile
che, mentre per ogni verso si
schiude vuoto lo spazio infinito
e gli atomi volteggiano in numero
innumerevole e in somma
sterminata, in molti modi,
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tempore praesto,
stimolati da moto eterno,
nubibus ut tenebras faciat caelique soltanto questa terra e questo
serena
cielo siano stati creati,
concutiat sonitu, tum fulmina
e niente facciano là fuori quei tanti
mittat et aedis
corpi di materia;
saepe suas disturbet et in deserta tanto più che questo mondo è
recedens
stato fatto dalla natura, e, da sé
saeviat exercens telum, quod
spontaneamente a caso urtandosi
saepe nocentes
tra loro i semi della materia,
praeterit exanimatque indignos
dopo essersi accozzati in molti
inque merentes?
modi alla cieca, a vuoto, invano,
Multaque post mundi tempus
alfine si unirono quelli che,
genitale diemque
combinati insieme d'un tratto,
primigenum maris et terrae
dovevano essere per sempre gli
solisque coortum
inizi di grandi cose,
addita corpora sunt extrinsecus,
della terra, del mare e del cielo e
addita circum
delle specie viventi.
semina, quae magnum iaculando Perciò, ancora e ancora, è
contulit omne,
necessario che tu ammetta
unde mare et terrae possent
che esistono in altri luoghi altri
augescere et unde
aggregati di materia,
appareret spatium caeli domus
quale è questo che l'etere cinge di
altaque tecta
un avido abbraccio.
tolleret a terris procul et
Inoltre, quando molta materia è
consurgeret aër.
pronta,
nam sua cuique, locis ex omnibus, quando è disponibile lo spazio, né
omnia plagis
cosa, né causa si oppone,
corpora distribuuntur et ad sua
senza dubbio le cose devono
saecla recedunt,
svolgersi e prodursi.
umor ad umorem, terreno corpore Ora, se c'è una quantità di atomi
terra
tanto grande, quanta
crescit et ignem ignes procudunt l'intera vita degli esseri viventi
aetheraque ,
non basterebbe a contare,
donique ad extremum crescendi
‹e› se permane la stessa forza ‹e›
perfica finem
natura per combinare
omnia perduxit rerum natura
i semi delle cose nei vari luoghi in
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creatrix;
ut fit ubi nihilo iam plus est quod
datur intra
vitalis venas quam quod fluit
atque recedit.
omnibus hic aetas debet
consistere rebus,
hic natura suis refrenat viribus
auctum.
nam quae cumque vides hilaro
grandescere adauctu
paulatimque gradus aetatis
scandere adultae,
plura sibi adsumunt quam de se
corpora mittunt,
dum facile in venas cibus omnis
inditur et dum
non ita sunt late dispessa, ut
multa remittant
et plus dispendi faciant quam
vescitur aetas.
nam certe fluere atque recedere
corpora rebus
multa manus dandum est; sed
plura accedere debent,
donec alescendi summum tetigere
cacumen.
inde minutatim vires et robur
adultum
frangit et in partem peiorem
liquitur aetas.
quippe etenim quanto est res
amplior, augmine adempto,
et quo latior est, in cunctas
undique partis
plura modo dispargit et a se
corpora mittit,
modo somigliante a quello
in cui furono combinati qui, è
necessario che tu ammetta
che in altre parti dello spazio
esistono altre terre
e diverse razze di uomini e specie
di fiere.
A ciò si aggiunge che nella somma
delle cose non ce n'è alcuna
che sia isolata, che sia generata
unica e cresca unica e sola,
senza far parte di qualche stirpe
che includa molte altre cose
dello stesso genere. Anzitutto poni
mente agli esseri animati:
così vedrai generata la stirpe delle
fiere che vagano sui monti,
così la progenie degli uomini, così
infine i muti branchi
dei pesci squamosi e tutti i corpi
dei volatili.
Allo stesso modo bisogna quindi
ammettere che il cielo
e la terra e il sole, la luna, il mare
e tutte le altre cose esistenti,
non sono unici, ma piuttosto in
numero innumerabile;
poiché un termine di vita
profondamente fissato
li attende, ed essi constano di un
corpo che è nato, tanto quanto
ogni sorta di cose che qui abbonda
di individui della stessa specie.
Se bene apprendi e tieni in mente
questo, sùbito appare
che la natura, libera, affrancata da
padroni superbi,
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nec facile in venas cibus omnis
diditur ei
nec satis est, pro quam largos
exaestuat aestus,
unde queat tantum suboriri ac
subpeditare.
iure igitur pereunt, cum rarefacta
fluendo
sunt et cum externis succumbunt
omnia plagis,
quando quidem grandi cibus aevo
denique defit,
nec tuditantia rem cessant
extrinsecus ullam
corpora conficere et plagis infesta
domare.
Sic igitur magni quoque circum
moenia mundi
expugnata dabunt labem
putrisque ruinas;
omnia debet enim cibus integrare
novando
et fulcire cibus, omnia sustentare,
ne quiquam, quoniam nec venae
perpetiuntur
quod satis est, neque quantum
opus est natura ministrat.
Iamque adeo fracta est aetas
effetaque tellus
vix animalia parva creat, quae
cuncta creavit
saecla deditque ferarum ingentia
corpora partu.
haud, ut opinor, enim mortalia
saecla superne
aurea de caelo demisit funis in
di per sé stessa spontaneamente
compie tutto senza gli dèi.
E in verità, per i santi petti degli
dèi che in tranquilla pace
trascorrono placido tempo e vita
serena,
chi potrebbe reggere la somma
dell'immensità, chi tenere
nella mano e padroneggiare le
forti redini dell'infinito,
chi insieme volgere intorno tutti i
cieli, e coi fuochi
dell'etere riscaldare tutte le terre
feraci,
e in tutti i luoghi e in ogni
momento esser pronto
ad addensare con le nuvole le
tenebre e a scuotere col tuono
i sereni spazi del cielo, poi
scagliare i fulmini e spesso
demolire i propri templi e,
ritirandosi ‹nei› deserti,
imperversare, agitando l'arma,
che spesso risparmia
i colpevoli e agli innocenti
ingiustamente infligge morte?
E dopo il tempo della nascita del
mondo, e il giorno
primigenio del mare e della terra,
e il sorgere del sole,
molti corpi si aggiunsero
dall'esterno, d'ogni intorno
s'aggiunsero atomi, che il gran
tutto scagliando conglomerò:
per essi il mare e le terre poterono
crescere, per essi
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arva
l'edifizio del cielo poté acquistare
nec mare nec fluctus plangentis
nuovo spazio e adergere
saxa crearunt,
gli alti suoi tetti, lontano dalle
sed genuit tellus eadem quae nunc terre, e l'aria sollevarsi.
alit ex se.
Infatti, da qualunque luogo
praeterea nitidas fruges vinetaque vengano, tutti i corpi son
laeta
distribuiti
sponte sua primum mortalibus
dagli urti ciascuno al gruppo cui
ipsa creavit,
appartiene, e si ritraggono
ipsa dedit dulcis fetus et pabula
nelle proprie specie: l'acqua va
laeta;
all'acqua; la terra si accresce
quae nunc vix nostro grandescunt di materia terrena; e i fuochi
aucta labore,
foggiano il fuoco; ‹l'etere›, l'etere;
conterimusque boves et viris
finché la natura, che genera le
agricolarum,
cose e le porta a compimento,
conficimus ferrum vix arvis
non abbia condotto tutto
suppeditati:
all'estremo confine del crescere;
usque adeo parcunt fetus
come avviene quando ciò che si
augentque laborem.
introduce nelle vene vitali
iamque caput quassans grandis
non supera per niente ciò che ne
suspirat arator
fluisce via e se ne stacca.
crebrius, in cassum magnos
Qui per tutte le cose lo sviluppo
cecidisse labores,
vitale deve fermarsi,
et cum tempora temporibus
qui la natura con le sue forze
praesentia confert
raffrena la crescita.
praeteritis, laudat fortunas saepe Infatti tutte le cose che vedi
parentis.
ingrandirsi con crescita gioconda
tristis item vetulae vitis sator
e a poco a poco ascendere su per i
atque
gradini dell'età adulta,
temporis incusat momen
assorbono in sé più elementi di
saeclumque fatigat,
quanti ne mandino fuori,
et crepat, antiquum genus ut
finché il cibo facilmente penetra in
pietate repletum
tutte le vene e finché i loro
perfacile angustis tolerarit finibus tessuti non si sono dilatati e
aevom,
rilassati tanto da lasciare uscire
cum minor esset agri multo modus molte sostanze e perdere più di
ante viritim;
quanto all'età loro dà alimento.
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nec tenet omnia paulatim
Ché certo bisogna arrendersi al
tabescere et ire
fatto che molti corpi fluiscono
ad capulum spatio aetatis defessa e si staccano dalle cose; ma più se
vetusto.
ne devono aggiungere
finché non sia toccato il più alto
culmine dell'accrescimento.
Quindi, un poco per volta, l'età
spezza le forze
e il vigore adulto, e scivola verso il
decadimento.
E in effetti, quanto più grande,
quanto più larga è una cosa,
una volta che la sua crescita si sia
arrestata, tanti più corpi
ora essa sparge qua e là ed
emette da sé, da ogni punto
verso qualunque parte, né il cibo
si distribuisce facilmente
in tutte le sue vene, né basta
perché possa sorgerne ed esserne
fornito
ciò che valga a compensare le
larghe emanazioni che essa
promana.
È naturale, dunque, che le cose
periscano, quando si sono
rarefatte per l'efflusso, e tutte
soccombono agli urti esterni,
perché alla tarda età il cibo alfine
vien meno,
e i corpi, picchiando dall'esterno,
non cessano di sfinire
alcuna cosa e di abbatterla ostili
con gli urti.
Così dunque anche le mura del
vasto mondo, dintorno,
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espugnate crolleranno
frantumandosi in putride macerie.
Il cibo infatti tutte le cose deve
integrare e rinnovare,
il cibo deve sostenerle, ‹il cibo›
tutte le cose deve sostentare;
ma è inutile, dal momento che le
vene non tollerano quanto
è sufficiente, né la natura fornisce
quanto è necessario.
E ormai appunto la nostra età è
spossata, e la terra, sfinita
dal partorire, a stento genera
piccoli animali, essa che tutte
le stirpi generò, e dette alla luce
immani corpi di fiere.
Infatti, a quel che penso, non già
una fune d'oro
calò le stirpi mortali dalle altezze
del cielo nei campi,
né le procrearono il mare, né i
flutti che battono gli scogli,
ma le generò la stessa terra che
ora le alimenta di sé.
Inoltre, le splendide messi e i
floridi vigneti
spontaneamente dapprima ai
mortali essa produsse,
essa donò i dolci frutti e i pascoli
floridi;
che ora a stento crescono
alimentati dalla nostra fatica,
e struggiamo i buoi e le forze dei
contadini, logoriamo
il ferro, a stento provveduti del
necessario dai campi:
a tal punto sono avari di frutti e
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richiedono più aspra fatica.
E ormai, scotendo il capo, più
sovente il vecchio aratore
sospira che le proprie grandi
fatiche sono riuscite vane,
e, quando i tempi presenti
confronta coi tempi passati,
spesso esalta la buona sorte del
padre.
Triste anche il coltivatore della
vigna vecchia e ‹avvizzita›
accusa il corso del tempo e
maledice la propria epoca,
e brontola che gli uomini d'una
volta, pieni di pietà,
molto facilmente durarono in vita
entro angusti confini,
benché per ciascuno allora la parte
di terra fosse molto minore.
E non afferra che tutte le cose a
poco a poco si consumano
e, fiaccate dal lungo corso dell'età,
vanno alla tomba.
(Ll)
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De Rerum Natura - Liber III
E tenebris tantis tam clarum
extollere lumen
qui primus potuisti inlustrans
commoda vitae,
te sequor, o Graiae gentis decus,
inque tuis nunc
ficta pedum pono pressis vestigia
signis,
non ita certandi cupidus quam
propter amorem
quod te imitari aveo; quid enim
contendat hirundo
cycnis, aut quid nam tremulis
facere artubus haedi
consimile in cursu possint et fortis
equi vis?
tu, pater, es rerum inventor, tu
patria nobis
suppeditas praecepta, tuisque ex,
inclute, chartis,
floriferis ut apes in saltibus omnia
libant,
omnia nos itidem depascimur
aurea dicta,
aurea, perpetua semper
dignissima vita.
nam simul ac ratio tua coepit
vociferari
naturam rerum divina mente
coorta
diffugiunt animi terrores, moenia
mundi
discedunt. totum video per inane
geri res.
O tu, che in mezzo a così grandi
tenebre primo potesti
levare una luce tanto chiara,
illuminando le gioie della vita,
io seguo te, o onore della gente
greca, e nelle orme
da te impresse pongo ora ferme le
piante dei miei piedi,
non tanto perché io voglia
gareggiare con te, quanto perché
anelo
a imitarti per amore. Come
potrebbe infatti contendere la
rondine
coi cigni? O come potrebbero mai i
capretti dalle tremule
membra emulare nella corsa
l'impeto di un forte cavallo?
Tu padre sei, scopritore del vero;
tu paterni precetti
ci prodighi, e, come le api nei
pascoli fioriti
suggono per ogni dove, così noi
nei tuoi scritti,
o glorioso, ci pasciamo di tutti gli
aurei detti,
aurei, sempre degnissimi di vita
perpetua.
Infatti, appena la tua dottrina
comincia a svelare a gran voce
la natura quale è sorta dalla tua
mente divina,
fuggon via i terrori dell'animo, le
mura del mondo
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apparet divum numen sedesque
si disserrano, vedo le cose
quietae,
svolgersi attraverso tutto il vuoto.
quas neque concutiunt venti nec
Appaiono la potenza degli dèi e le
nubila nimbis
sedi quiete,
aspergunt neque nix acri concreta che né venti scuotono, né nuvole
pruina
cospargono
cana cadens violat semper[que]
di piogge, né neve vìola,
innubilus aether
condensata da gelo acuto,
integit et large diffuso lumine
candida cadendo; ‹ma› un etere
ridet:
sempre senza nubi
omnia suppeditat porro natura
le ricopre, e ride di luce
neque ulla
largamente diffusa.
res animi pacem delibat tempore E tutto fornisce la natura, né
in ullo.
alcuna
at contra nusquam apparent
cosa in alcun tempo intacca la
Acherusia templa,
pace dell'animo.
nec tellus obstat quin omnia
Ma per contro in nessun luogo
dispiciantur,
appaiono le regioni acherontee,
sub pedibus quae cumque infra
né la terra impedisce che si
per inane geruntur.
discerna tutto quanto
his ibi me rebus quaedam divina
si svolge sotto i miei piedi, laggiù,
voluptas
attraverso il vuoto.
percipit atque horror, quod sic
Per queste cose mi prende allora
natura tua vi
un certo divino piacere
tam manifesta patens ex omni
e un brivido, perché così per la
parte retecta est.
potenza della tua mente la natura,
Et quoniam docui, cunctarum
tanto manifestamente
exordia rerum
dischiudendosi, in ogni parte è
qualia sint et quam variis distantia stata rivelata.
formis
E poiché ho insegnato quali siano i
sponte sua volitent aeterno percita principi
motu,
di tutte le cose e quanto differenti
quove modo possint res ex his
per varietà di forme
quaeque creari,
spontaneamente volteggino,
hasce secundum res animi natura stimolati da moto eterno,
videtur
e in che modo da questi si possa
atque animae claranda meis iam produrre ogni cosa,
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (2 of 62) [07/08/2003 21.38.51]
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versibus esse
et metus ille foras praeceps
Acheruntis agendus,
funditus humanam qui vitam
turbat ab imo
omnia suffundens mortis nigrore
neque ullam
esse voluptatem liquidam
puramque relinquit.
nam quod saepe homines morbos
magis esse timendos
infamemque ferunt vitam quam
Tartara leti
et se scire animi naturam
sanguinis esse,
aut etiam venti, si fert ita forte
voluntas,
nec prosum quicquam nostrae
rationis egere,
hinc licet advertas animum magis
omnia laudis
iactari causa quam quod res ipsa
probetur.
extorres idem patria longeque
fugati
conspectu ex hominum, foedati
crimine turpi,
omnibus aerumnis adfecti denique
vivunt,
et quo cumque tamen miseri
venere parentant
et nigras mactant pecudes et
manibus divis
inferias mittunt multoque in rebus
acerbis
acrius advertunt animos ad
dopo ciò mi sembra che nei miei
versi debba essere ormai
illustrata la natura dell'animo e
dell'anima,
e che si debba scacciar via a
precipizio quel timore
dell'Acheronte,
che dal profondo sconvolge
appieno la vita umana,
tutto inondando del nero della
morte,
né lascia esistere alcun piacere
limpido e puro.
Sì, spesso gli uomini dichiarano
che malattie e vita infame
sono più temibili che il Tartaro,
dimora della morte;
dicono di sapere che la natura
dell'animo è fatta di sangue,
o anche di vento, se a ciò per caso
li spinge il capriccio,
e di non avere affatto bisogno
della nostra dottrina;
ma di qui puoi intendere che tutto
è ostentato per vanagloria
piuttosto che espresso per
convinzione della cosa stessa.
Questi medesimi, cacciati dalla
patria ed esiliati lontano
dal cospetto degli uomini,
disonorati da un'accusa
vergognosa, afflitti da tutte le
pene, in fin dei conti vivono,
e, dovunque sono giunti nella loro
miseria, offrono tuttavia
sacrifici ai loro morti, e immolano
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (3 of 62) [07/08/2003 21.38.51]
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religionem.
quo magis in dubiis hominem
spectare periclis
convenit adversisque in rebus
noscere qui sit;
nam verae voces tum demum
pectore ab imo
eliciuntur [et] eripitur persona
Ämanare.
denique avarities et honorum
caeca cupido,
quae miseros homines cogunt
transcendere fines
iuris et inter dum socios scelerum
atque ministros
noctes atque dies niti praestante
labore
ad summas emergere opes, haec
vulnera vitae
non minimam partem mortis
formidine aluntur.
turpis enim ferme contemptus et
acris egestas
semota ab dulci vita stabilique
videtur
et quasi iam leti portas cunctarier
ante;
unde homines dum se falso
terrore coacti
effugisse volunt longe longeque
remosse,
sanguine civili rem conflant
divitiasque
conduplicant avidi, caedem caede
accumulantes,
crudeles gaudent in tristi funere
fratris
nere vittime, e agli dèi Mani
consacrano funebri onori, e negli
acerbi frangenti con ansia
molto più acuta rivolgono gli animi
alla religione.
Più conviene, quindi, provare
l'uomo nei dubbiosi
cimenti, e nelle avversità
conoscere quale sia;
giacché allora alfine parole veraci
gli si cavano dal profondo
del petto ‹e› vien strappata la
maschera, rimane la realtà.
Infine l'avidità e la cieca brama di
onori,
che forzano i miseri uomini a
oltrepassare i confini
del giusto, e talora, come
compagni e ministri di delitti,
adoprarsi notte e giorno con
soverchiante fatica
per assorgere a somma potenza queste piaghe della vita,
in gran parte è il timore della
morte che le nutre.
Infatti comunemente il
vergognoso disprezzo e l'amara
povertà paiono remoti da una vita
dolce e stabile,
e quasi già sostare davanti alle
porte della morte;
e gli uomini, mentre costretti da
fallace terrore vorrebbero
essere già fuggiti lontano da essi e
lontano averli scacciati,
col sangue dei concittadini
ingrossano le proprie sostanze
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et consanguineum mensas odere
timentque.
consimili ratione ab eodem saepe
timore
macerat invidia ante oculos illum
esse potentem,
illum aspectari, claro qui incedit
honore,
ipsi se in tenebris volvi caenoque
queruntur.
intereunt partim statuarum et
nominis ergo.
et saepe usque adeo, mortis
formidine, vitae
percipit humanos odium lucisque
videndae,
ut sibi consciscant maerenti
pectore letum
obliti fontem curarum hunc esse
timorem:
hunc vexare pudorem, hunc
vincula amicitiai
rumpere et in summa pietate
evertere suadet:
nam iam saepe homines patriam
carosque parentis
prodiderunt vitare Acherusia
templa petentes.
nam vel uti pueri trepidant atque
omnia caecis
in tenebris metuunt, sic nos in
luce timemus
inter dum, nihilo quae sunt
metuenda magis quam
quae pueri in tenebris pavitant
finguntque futura.
e avidi raddoppiano le ricchezze,
accumulando strage su strage;
crudeli si rallegrano del triste
funerale di un fratello
e per le mense dei consanguinei
provano odio e terrore.
In simile maniera, nascendo dallo
stesso timore, spesso
li macera l'invidia che alla vista di
tutti colui sia potente,
attragga gli sguardi colui che
incede con splendido onore,
mentre essi si lamentano di
voltolarsi nelle tenebre e nel
fango.
Alcuni periscono per brama di
statue e di rinomanza;
e spesso a tal segno per paura
della morte prende
gli uomini odio della vita e della
vista della luce,
che si danno con petto angosciato
la morte,
dimenticando che la fonte degli
affanni è questo timore,
questo fa strazio del senso
d'onore, questo rompe i vincoli
dell'amicizia - e insomma induce a
sovvertire la pietà.
Già spesso infatti gli uomini
tradirono la patria
e i cari genitori, cercando di
evitare le regioni acherontee.
Difatti, come i fanciulli trepidano e
tutto temono
nelle cieche tenebre, così noi nella
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hunc igitur terrorem animi
tenebrasque necessest
non radii solis neque lucida tela
diei
discutiant, sed naturae species
ratioque.
Primum animum dico, mentem
quem saepe vocamus,
in quo consilium vitae regimenque
locatum est,
esse hominis partem nihilo minus
ac manus et pes
atque oculei partes animantis
totius extant.
***
sensum animi certa non esse in
parte locatum,
verum habitum quendam vitalem
corporis esse,
harmoniam Grai quam dicunt,
quod faciat nos
vivere cum sensu, nulla cum in
parte siet mens;
ut bona saepe valetudo cum
dicitur esse
corporis, et non est tamen haec
pars ulla valentis,
sic animi sensum non certa parte
reponunt;
magno opere in quo mi diversi
errare videntur.
Saepe itaque, in promptu
corpus quod cernitur, aegret,
cum tamen ex alia laetamur parte
latenti;
et retro fit ubi contra sit saepe
vicissim,
luce talora abbiamo paura
di cose che per nulla son da
temere più di quelle che i fanciulli
nelle tenebre paventano e
immaginano prossime ad
avvenire.
Questo terrore dell'animo,
dunque, e queste tenebre
non li devono dissolvere i raggi del
sole, né i lucidi dardi
del giorno, ma l'aspetto e l'intima
legge della natura.
Anzitutto dico che l'animo, che
spesso chiamiamo mente,
in cui han sede il senno e il
governo della vita,
è una parte dell'uomo, non meno
che una mano e un piede
e gli occhi sono parti dell'intero
essere animato.
‹Tuttavia taluni hanno asserito›
che la sensibilità dell'animo non ha
sede in una parte
determinata, ma è una certa
disposizione vitale del corpo,
che i Greci chiamano armonia,
perché per essa noi vivremmo
dotati di sensibilità, sebbene in
nessuna parte esista la mente;
come spesso si dice che il corpo
gode di buona salute,
e tuttavia questa non è alcuna
parte di colui che sta bene.
Così la sensibilità dell'animo non la
pongono in una parte
determinata;
e in ciò mi sembra che errino
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cum miser ex animo laetatur
corpore toto;
non alio pacto quam si, pes cum
dolet aegri,
in nullo caput interea sit forte
dolore.
Praeterea molli cum somno
dedita membra
effusumque iacet sine sensu
corpus honustum,
est aliud tamen in nobis quod
tempore in illo
multimodis agitatur et omnis
accipit in se
laetitiae motus et curas cordis
inanis.
Nunc animam quoque ut in
membris cognoscere possis
esse neque harmonia corpus
sentire solere,
principio fit uti detracto corpore
multo
saepe tamen nobis in membris
vita moretur.
Atque eadem rursum, cum
corpora pauca caloris
diffugere forasque per os est
editus aër,
deserit extemplo venas atque ossa
relinquit;
noscere ut hinc possis non aequas
omnia partis
corpora habere neque ex aequo
fulcire salutem,
sed magis haec, venti quae sunt
calidique vaporis
molto lontano dalla giusta via.
Spesso, infatti, il corpo in una
parte palese è malato,
mentre tuttavia gioiamo in un'altra
parte che è occulta;
e all'inverso accade spesso che
s'avveri il contrario, a sua volta,
quando chi soffre nell'animo
gioisce in tutto il corpo;
non altrimenti che se, mentre a un
malato duole un piede,
nessun dolore intanto abbia, per
avventura, la testa.
Inoltre, quando le membra sono in
preda a molle sonno
e abbandonato giace senza senso
il corpo appesantito,
tuttavia c'è in noi qualche altra
cosa che in quel mentre
si agita in molti modi e tutti in sé
riceve
i moti della letizia e le vane
inquietudini del cuore.
Ora, perché tu possa conoscere
che anche l'anima
è nelle membra e che non per
un'armonia suole il corpo sentire,
anzitutto accade spesso che, pur
detratta gran parte
del corpo, tuttavia ci rimanga nelle
membra la vita;
e d'altra parte, quando poche
particelle di calore
son fuggite via e aria è stata
esalata fuori attraverso la bocca,
la stessa vita sùbito abbandona le
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semina, curare in membris ut vita
moretur.
est igitur calor ac ventus vitalis in
ipso
corpore, qui nobis moribundos
deserit artus.
quapropter quoniam est animi
natura reperta
atque animae quasi pars hominis,
redde harmoniai
nomen, ad organicos alto delatum
Heliconi,
sive aliunde ipsi porro traxere et
in illam
transtulerunt, proprio quae tum
res nomine egebat.
quidquid [id] est, habeant: tu
cetera percipe dicta.
Nunc animum atque animam
dico coniuncta teneri
inter se atque unam naturam
conficere ex se,
sed caput esse quasi et dominari
in corpore toto
consilium, quod nos animum
mentemque vocamus.
idque situm media regione in
pectoris haeret.
hic exultat enim pavor ac metus,
haec loca circum
laetitiae mulcent: hic ergo mens
animusquest.
cetera pars animae per totum
dissita corpus
paret et ad numen mentis
momenque movetur.
idque sibi solum per se sapit et
vene e lascia le ossa;
sì che da ciò puoi conoscere che
non tutti i corpi primi
hanno funzioni uguali, né in ugual
modo sostengono la salvezza,
ma più questi, che sono i semi del
vento e dell'ardente calore,
fanno sì che rimanga nelle
membra la vita.
V'è dunque nello stesso corpo un
calore e un vento vitale,
che abbandona le nostre membra
al momento della morte.
Pertanto, poiché la natura
dell'animo e dell'anima è stata
svelata come una parte dell'uomo,
lascia il nome di armonia,
che per i musicisti fu portato giù
dall'alto Elicona;
o forse questi stessi, a loro volta,
lo trassero d'altrove
e lo trasportarono a quella cosa
che allora non aveva un proprio
nome.
Comunque ‹ciò› sia, se lo
tengano: tu ascolta i restanti miei
detti.
Ora io dico che l'animo e l'anima si
tengono congiunti
tra loro e costituiscono di sé una
sola natura;
ma ciò che è il capo, per così dire,
e domina in tutto il corpo,
è il senno, che noi chiamiamo
animo e mente.
Ed esso è posto e fissato nella
regione centrale del petto.
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sibi gaudet,
Qui infatti si agitano l'ansia e la
cum neque res animam neque
paura, intorno a queste parti
corpus commovet una.
le gioie ci accarezzano; qui
et quasi, cum caput aut oculus
dunque è la mente e l'animo.
temptante dolore
Tutto il resto dell'anima,
laeditur in nobis, non omni
disseminato per tutto il corpo,
concruciamur
obbedisce e si muove al cenno e al
corpore, sic animus nonnumquam movimento della mente.
laeditur ipse
Questa ragiona da sé per sé sola,
laetitiaque viget, cum cetera pars ‹questa› da sé gode,
animai
quando nessuna cosa commuove
per membra atque artus nulla
l'anima, né il corpo.
novitate cietur;
E come, quando la testa o un
verum ubi vementi magis est
occhio è leso in noi
commota metu mens,
dall'assalto del dolore, non siamo
consentire animam totam per
afflitti nello stesso tempo
membra videmus
in tutto il corpo, così l'animo talora
sudoresque ita palloremque
di per sé stesso è leso
existere toto
o di gioia esulta, mentre tutto il
corpore et infringi linguam
resto dell'anima
vocemque aboriri,
per le membra e le articolazioni da
caligare oculos, sonere auris,
nessuna novità viene eccitato.
succidere artus,
Ma, quando la mente è commossa
denique concidere ex animi terrore da timore più veemente,
videmus
tutta l'anima vediamo consentire
saepe homines; facile ut quivis
attraverso le membra,
hinc noscere possit
e quindi sudori e pallore effondersi
esse animam cum animo
per tutto il corpo
coniunctam, quae cum animi [vi] e balbettare la lingua e spegnersi
percussa est, exim corpus propellit la voce, annebbiarsi
et icit.
gli occhi, fischiar le orecchie, venir
Haec eadem ratio naturam
meno le articolazioni;
animi atque animai
alfine per il terrore dell'animo
corpoream docet esse; ubi enim
vediamo spesso gli uomini
propellere membra,
crollare; sì che facilmente ognuno
corripere ex somno corpus
può da questo conoscere
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mutareque vultum
atque hominem totum regere ac
versare videtur,
quorum nil fieri sine tactu posse
videmus
nec tactum porro sine corpore,
nonne fatendumst
corporea natura animum constare
animamque?
praeterea pariter fungi cum
corpore et una
consentire animum nobis in
corpore cernis.
si minus offendit vitam vis horrida
teli
ossibus ac nervis disclusis intus
adacta,
at tamen insequitur languor
terraeque petitus
suavis et in terra mentis qui
gignitur aestus
inter dumque quasi exsurgendi
incerta voluntas.
ergo corpoream naturam animi
esse necessest,
corporeis quoniam telis ictuque
laborat.
Is tibi nunc animus quali sit
corpore et unde
constiterit pergam rationem
reddere dictis.
principio esse aio persuptilem
atque minutis
perquam corporibus factum
constare. id ita esse
hinc licet advertas animum, ut
pernoscere possis.
che l'anima è congiunta con
l'animo e, quando ‹dalla potenza›
dell'animo è stata percossa, sùbito
urta e sospinge il corpo.
Questo stesso ragionamento prova
che la natura dell'animo e
dell'anima
è corporea. Quando infatti si vede
che sospinge le membra,
strappa dal sonno il corpo e cangia
il volto,
e tutto l'uomo regge e volge di
qua e di là e di queste cose vediamo che
nessuna può prodursi senza
contatto,
né il contatto, a sua volta, senza
corpo - non si deve forse
ammettere che l'animo e l'anima
sono di natura corporea?
Inoltre tu vedi che col corpo
patisce parimenti
l'animo e insieme partecipa del
sentire nel nostro corpo.
Se non offende la vita la violenza
orrida di un dardo
penetrata addentro squarciando
ossa e nervi,
nondimeno ne segue un languore
e un dolce cadere per terra,
e in terra una confusione che
nasce nella mente,
e talora come un'incerta volontà di
rialzarsi.
Dunque, non può essere che
corporea la natura dell'animo,
poiché dall'urto di dardi corporei è
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Nil adeo fieri celeri ratione
videtur,
quam si mens fieri proponit et
inchoat ipsa;
ocius ergo animus quam res se
perciet ulla,
ante oculos quorum in promptu
natura videtur.
at quod mobile tanto operest,
constare rutundis
perquam seminibus debet
perquamque minutis,
momine uti parvo possint inpulsa
moveri.
namque movetur aqua et tantillo
momine flutat,
quippe volubilibus parvisque
creata figuris.
at contra mellis constantior est
natura
et pigri latices magis et
cunctantior actus:
haeret enim inter se magis omnis
materiai
copia, ni mirum quia non tam
levibus extat
corporibus neque tam suptilibus
atque rutundis.
namque papaveris aura potest
suspensa levisque
cogere ut ab summo tibi diffluat
altus acervus,
at contra lapidum coniectum
spicarumque
noenu potest. igitur parvissima
corpora pro quam
travagliata.
Ora, di quale specie di materia sia
quest'animo e come
sia costituito, proseguendo ti
spiegherò con le mie parole.
In primo luogo dico che è molto
sottile e risulta costituito
di corpuscoli estremamente
minuti. Che sia così,
puoi intendere, se presti
attenzione, da questo.
Nessuna cosa si vede avvenire con
la celerità con la quale
la mente si raffigura che avvenga
e le dà inizio essa stessa.
L'animo, dunque, si muove più
velocemente di tutte le cose
la cui natura appare manifesta
innanzi ai nostri occhi.
Ma ciò che è tanto mobile, deve
constare di semi
estremamente rotondi ed
estremamente minuti,
sicché possano muoversi spinti da
un piccolo impulso.
Infatti si muove l'acqua e per un
minimo impulso fluttua,
perché è composta di atomi
girevoli e piccoli.
Al contrario, la natura del miele è
più consistente,
e più pigro il suo liquore, e più
indugiante il suo movimento;
infatti tutta la massa della sua
materia ha maggiore coesione,
evidentemente perché non consta
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et levissima sunt, ita mobilitate
di corpi tanto lisci,
fruuntur;
né tanto sottili e rotondi. Giacché
at contra quae cumque magis cum un soffio sospeso
pondere magno
e leggero può costringere un alto
asperaque inveniuntur, eo stabilita mucchio di semi
magis sunt.
di papavero a sparpagliarsi innanzi
nunc igitur quoniamst animi
a te giù dalla cima:
natura reperta
al contrario, su un mucchio di
mobilis egregie, perquam constare pietre o di spighe
necessest
non può nulla. Dunque, quanto più
corporibus parvis et levibus atque i corpi sono piccoli
rutundis.
e lisci, tanto più sono dotati di
quae tibi cognita res in multis, o
mobilità.
bone, rebus
Al contrario, tutti quelli che si
utilis invenietur et opportuna
trovano di peso maggiore
cluebit.
ed aspri, tanto più sono stabili.
Haec quoque res etiam
Ora, dunque, poiché ‹si è› trovato
naturam dedicat eius,
che la natura dell'animo
quam tenui constet textura
è particolarmente mobile, essa
quamque loco se
deve constare di corpi
contineat parvo, si possit
estremamente piccoli e lisci e
conglomerari,
rotondi.
quod simul atque hominem leti
E questa verità, da te conosciuta,
secura quies est
in molte cose, o caro,
indepta atque animi natura
si dimostrerà utile e sarà
animaeque recessit,
riconosciuta opportuna.
nil ibi libatum de toto corpore
Anche questo fatto indica del pari
cernas
la natura dell'animo,
ad speciem, nihil ad pondus: mors di quanto tenue tessitura esso sia
omnia praestat,
costituito, e in quanto
vitalem praeter sensum
piccolo luogo sarebbe contenuto,
calidumque vaporem.
se potesse conglomerarsi:
ergo animam totam perparvis esse appena l'imperturbata quiete della
necessest
morte si è impadronita
seminibus nexam per venas
dell'uomo, e la natura dell'animo e
viscera nervos,
dell'anima se n'è staccata,
qua tenus, omnis ubi e toto iam
nulla potresti ivi discernere
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corpore cessit,
detratto da tutto il corpo,
extima membrorum circumcaesura né alla vista, né al peso: la morte
tamen se
lascia ogni cosa
incolumem praestat nec defit
al suo posto, tranne il senso vitale
ponderis hilum.
e il fervido calore.
quod genus est, Bacchi cum flos
Dunque tutta l'anima dev'essere
evanuit aut cum
composta di semi
spiritus unguenti suavis diffugit in piccolissimi, intrecciata per vene,
auras
viscere, nervi;
aut aliquo cum iam sucus de
dato che, quando tutta è ormai
corpore cessit;
andata via dall'intero corpo,
nil oculis tamen esse minor res
l'esterno contorno delle membra si
ipsa videtur
conserva tuttavia
propterea neque detractum de
incolume, né al peso manca nulla.
pondere quicquam,
Simile cosa avviene quando
ni mirum quia multa minutaque
l'aroma di Bacco è svanito
semina sucos
o quando un soave profumo
efficiunt et odorem in toto corpore d'unguento s'è disperso per l'aria
rerum.
o quando da qualche corpo s'è
quare etiam atque etiam mentis
ormai dileguato il sapore;
naturam animaeque
in nulla tuttavia agli occhi la cosa
scire licet perquam pauxillis esse stessa sembra divenuta
creatam
più piccola perciò, né alcunché
seminibus, quoniam fugiens nil
sembra detratto dal suo peso;
ponderis aufert.
evidentemente perché molti e
Nec tamen haec simplex nobis minuti semi fanno
natura putanda est.
i sapori e l'odore nell'interno corpo
tenvis enim quaedam moribundos delle cose.
deserit aura
Perciò, ancora e ancora, si può
mixta vapore, vapor porro trahit
concludere che la natura
aëra secum;
della mente e dell'anima è
nec calor est quisquam, cui non sit composta di semi estremamente
mixtus et aër;
piccolini, perché fuggendo non
rara quod eius enim constat
porta via alcuna parte del peso.
natura, necessest
Tuttavia non dobbiamo supporre
aëris inter eum primordia multa
semplice questa natura.
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moveri.
iam triplex animi est igitur natura
reperta;
nec tamen haec sat sunt ad
sensum cuncta creandum,
nil horum quoniam recipit mens
posse creare
sensiferos motus, quae denique
mente volutat.
quarta quoque his igitur quaedam
natura necessest
adtribuatur; east omnino nominis
expers;
qua neque mobilius quicquam
neque tenvius extat
nec magis e parvis et levibus ex
elementis;
sensiferos motus quae didit prima
per artus.
prima cietur enim, parvis perfecta
figuris,
inde calor motus et venti caeca
potestas
accipit, inde aër, inde omnia
mobilitantur:
concutitur sanguis, tum viscera
persentiscunt
omnia, postremis datur ossibus
atque medullis
sive voluptas est sive est
contrarius ardor.
nec temere huc dolor usque potest
penetrare neque acre
permanare malum, quin omnia
perturbentur
usque adeo [ut] vitae desit locus
atque animai
I moribondi infatti abbandona un
certo soffio tenue,
misto a calore, e il calore trae aria
con sé.
Né c'è alcun calore, a cui non sia
mista anche aria;
poiché la sua natura è infatti rada,
molti
primi principi d'aria devono
muoversi entro di esso.
Già triplice, quindi, è apparsa la
natura dell'animo;
e tuttavia questi elementi tutti
insieme non bastano a creare
il senso, poiché la mente non
ammette che alcuno di questi
possa creare i moti sensiferi e i
pensieri che la mente rivolge.
È dunque necessario che a questi
s'aggiunga
anche una quarta natura. Essa è
del tutto priva di nome;
e non esiste alcuna cosa che sia
più mobile o più tenue di lei,
né fatta di elementi più piccoli e
più lisci;
lei per prima diffonde i movimenti
sensiferi per le membra.
È infatti prima ad essere eccitata,
composta com'è di piccoli atomi;
poi i movimenti s'estendono al
calore e alla cieca forza
del vento, poi all'aria; poi è messa
in movimento ogni cosa:
s'agita il sangue, in séguito la
sensazione penetra in tutte
le carni, per ultime la ricevono le
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diffugiant partes per caulas
corporis omnis.
sed plerumque fit in summo quasi
corpore finis
motibus: hanc ob rem vitam
retinere valemus.
Nunc ea quo pacto inter sese
mixta quibusque
compta modis vigeant rationem
reddere aventem
abstrahit invitum patrii sermonis
egestas;
sed tamen, ut potero summatim
attingere, tangam.
inter enim cursant primordia
principiorum
motibus inter se, nihil ut secernier
unum
possit nec spatio fieri divisa
potestas,
sed quasi multae vis unius
corporis extant.
quod genus in quovis animantum
viscere volgo
est odor et quidam color et sapor,
et tamen ex his
omnibus est unum perfectum
corporis augmen,
sic calor atque aër et venti caeca
potestas
mixta creant unam naturam et
mobilis illa
vis, initum motus ab se quae
dividit ollis,
sensifer unde oritur primum per
viscera motus.
ossa e le midolla,
si tratti di un piacere o di un
ardore contrario.
Né facilmente il dolore può
penetrare fin qui, né un acuto
male introdursi, senza che tutto
sia perturbato,
a tal segno ‹che› non c'è più luogo
per la vita, e le parti
dell'anima fuggono via per tutte le
aperture del corpo.
Ma per lo più i movimenti hanno
termine quasi alla superficie
del corpo: perciò siamo in grado di
trattenere la vita.
Ora, sebbene io desideri spiegare
come misti tra loro, e in quali
modi combinati, questi elementi
compiano le loro operazioni,
me ne rattiene, mio malgrado, la
povertà della patria lingua;
ma tuttavia, come potrò
sommariamente occuparmene,
toccherò
questo argomento. S'intrecciano
infatti tra loro correndo qua e là
i primi principi coi movimenti che
sono propri degli atomi,
sì che non si può staccare un solo
elemento, né il suo potere
può sussistere diviso dagli altri
nello spazio, ma sono come
le molte forze di un unico corpo.
Allo stesso modo che qualunque
viscere di essere vivente ha in
genere un odore e un certo calore
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nam penitus prorsum latet haec
natura subestque
nec magis hac infra quicquam est
in corpore nostro
atque anima est animae proporro
totius ipsa.
quod genus in nostris membris et
corpore toto
mixta latens animi vis est
animaeque potestas,
corporibus quia de parvis
paucisque creatast,
sic tibi nominis haec expers vis,
facta minutis
corporibus, latet atque animae
quasi totius ipsa
proporrost anima et dominatur
corpore toto.
consimili ratione necessest ventus
et aër
et calor inter se vigeant commixta
per artus
atque aliis aliud subsit magis
emineatque,
ut quiddam fieri videatur ab
omnibus unum,
ni calor ac ventus seorsum
seorsumque potestas
aëris interemant sensum
diductaque solvant.
est etiam calor ille animo, quem
sumit, in ira
cum fervescit et ex oculis micat
acrius ardor;
est et frigida multa, comes
formidinis, aura,
quae ciet horrorem membris et
e un sapore, e tuttavia di tutti
questi è composta la complessione
di un unico corpo; così il calore e
l'aria e la cieca forza del vento
misti creano un'unica natura,
insieme con quella mobile forza,
che da sé distribuisce ad essi
l'inizio del movimento,
donde prima sorge attraverso la
carne il movimento sensifero.
Giacché affatto nel profondo è
nascosta questa natura, e sta
laggiù, né c'è cosa nel nostro
corpo più interna di questa,
ed essa è a sua volta l'anima di
tutta l'anima.
Allo stesso modo che nelle nostre
membra e in tutto il corpo
la forza dell'animo e il potere
dell'anima sono misti e nascosti,
perché son composti di corpi
piccoli e radi,
così, vedi, questa forza priva di
nome, fatta di corpi minuti,
sta nascosta, e di tutta l'anima è
essa stessa, a sua volta,
per così dire, l'anima, e domina su
tutto il corpo.
In simile maniera è necessario che
il vento e l'aria
e il calore compiano le loro
operazioni commisti tra loro
per le membra, e uno stia più
sotto di altri o sormonti,
perché si veda risultare da tutti
un'unica cosa: altrimenti
il calore e il vento separatamente,
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concitat artus;
e separatamente la potenza
est etiam quoque pacati status
dell'aria,
aëris ille,
distruggerebbero il senso e, divisi,
pectore tranquillo fit qui voltuque lo dissolverebbero.
sereno.
L'animo ha anche quel calore da
sed calidi plus est illis quibus acria cui è preso
corda
quando ferve d'ira e un ardore
iracundaque mens facile
sfavilla dagli occhi più vivamente.
effervescit in ira,
C'è anche molta aria fredda, che è
quo genere in primis vis est
compagna della paura
violenta leonum,
e suscita un brivido nel corpo ed
pectora qui fremitu rumpunt
agita le membra.
plerumque gementes
E c'è anche quello stato d'aria
nec capere irarum fluctus in
pacata, che si produce
pectore possunt.
quando il petto è tranquillo e il
at ventosa magis cervorum frigida volto è sereno.
mens est
Ma più calore hanno quelli cui i
et gelidas citius per viscera
cuori fieri
concitat auras,
e l'animo iracondo facilmente
quae tremulum faciunt membris
ribollono nell'ira.
existere motum.
Di tale genere è in primo luogo la
at natura boum placido magis aëre forza violenta dei leoni,
vivit
che spesso ruggendo rompono i
nec nimis irai fax umquam subdita petti coi fremiti,
percit
né possono contenere nel petto i
fumida, suffundens caecae
flutti delle ire.
caliginis umbra,
Ma più vento ha la fredda mente
nec gelidis torpet telis perfixa
dei cervi
pavoris;
e più presto suscita per le viscere
interutrasque sitast cervos
gelidi soffi,
saevosque leones.
che fanno sì che nelle membra si
sic hominum genus est: quamvis levi un tremulo moto.
doctrina politos
Ma la natura dei buoi vive
constituat pariter quosdam, tamen piuttosto di un'aria placida,
illa relinquit
né mai troppo la fumida face
naturae cuiusque animi vestigia
dell'ira vi s'insinua e l'accende,
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prima.
soffondendo l'ombra di una
nec radicitus evelli mala posse
caligine cieca,
putandumst,
né intorpidisce trafitta dai dardi
quin proclivius hic iras decurrat ad gelidi dello spavento:
acris,
tiene il posto di mezzo, tra i cervi
ille metu citius paulo temptetur, at e i selvaggi leoni.
ille
Così è del genere umano. Sebbene
tertius accipiat quaedam
l'educazione raffini
clementius aequo.
alcuni e li formi in pari grado,
inque aliis rebus multis differre
tuttavia essa lascia
necessest
in ciascuno le prime vestigia del
naturas hominum varias moresque carattere naturale.
sequacis;
Né si deve credere che i difetti
quorum ego nunc nequeo caecas possano essere strappati dalle
exponere causas
radici,
nec reperire figurarum tot nomina sì che costui non trascorra troppo
quot sunt
corrivamente a ire violente,
principiis, unde haec oritur
colui non sia un po' più presto
variantia rerum.
assalito da paura, e un terzo
illud in his rebus video firmare
non accetti certe cose più
potesse,
placidamente del giusto.
usque adeo naturarum vestigia
E in molte altre cose è necessario
linqui
che differiscano
parvola, quae nequeat ratio
le varie nature degli uomini e i
depellere nobis,
costumi che ne conseguono;
ut nihil inpediat dignam dis degere ma io ora non posso chiarirne le
vitam.
cause oscure,
Haec igitur natura tenetur
né trovare nomi per tante figure,
corpore ab omni
quante ne hanno
ipsaque corporis est custos et
i primi principi da cui sorge questa
causa salutis;
varietà delle cose.
nam communibus inter se
Questo, a tale proposito, vedo di
radicibus haerent
potere affermare:
nec sine pernicie divelli posse
di quelle nature restano tracce che
videntur.
la ragione
quod genus e thuris glaebis
non può scacciare da noi talmente
evellere odorem
esigue
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (18 of 62) [07/08/2003 21.38.52]
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haud facile est, quin intereat
natura quoque eius,
sic animi atque animae naturam
corpore toto
extrahere haut facile est, quin
omnia dissoluantur.
inplexis ita principiis ab origine
prima
inter se fiunt consorti praedita
vita,
nec sibi quaeque sine alterius vi
posse videtur
corporis atque animi seorsum
sentire potestas,
sed communibus inter eas
conflatur utrimque
motibus accensus nobis per
viscera sensus.
Praeterea corpus per se nec
gignitur umquam
nec crescit neque post mortem
durare videtur.
non enim, ut umor aquae dimittit
saepe vaporem,
qui datus est, neque ea causa
convellitur ipse,
sed manet incolumis, non,
inquam, sic animai
discidium possunt artus perferre
relicti,
sed penitus pereunt convulsi
conque putrescunt.
ex ineunte aevo sic corporis atque
animai
mutua vitalis discunt contagia
motus,
che nulla impedisce di trascorrere
una vita degna degli dèi.
Questa natura dell'anima è
dunque tenuta insieme da tutto il
corpo,
e al corpo è essa stessa custode e
causa di conservazione;
giacché mediante comuni radici
aderiscono tra loro
e si vede che non possono essere
distaccati senza rovina.
Come dai grani d'incenso non è
possibile staccare
l'odore senza che se ne distrugga
anche la natura,
così non è possibile trarre fuori da
tutto il corpo
la natura della mente e dell'anima
senza che tutto si dissolva.
Con primi principi così intrecciati
tra loro fin dalla prima
origine si sviluppano, dotati di vita
con sorte comune,
ed è evidente che le potenze del
corpo e dell'animo non possono
sentire
separatamente, ciascuna per sé,
senza la forza dell'altra,
ma per movimenti comuni tra loro
è suscitato,
da entrambe le parti, il senso
acceso in noi attraverso la carne.
Inoltre, il corpo da sé né mai si
genera,
né cresce, né dopo la morte si
vede durare.
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maternis etiam membris alvoque
reposta,
discidium [ut] nequeat fieri sine
peste maloque;
ut videas, quoniam coniunctast
causa salutis,
coniunctam quoque naturam
consistere eorum.
Quod super est, siquis corpus
sentire refutat
atque animam credit permixtam
corpore toto
suscipere hunc motum quem
sensum nominitamus,
vel manifestas res contra
verasque repugnat.
quid sit enim corpus sentire quis
adferet umquam,
si non ipsa palam quod res dedit
ac docuit nos?
'at dimissa anima corpus caret
undique sensu.'
perdit enim quod non proprium
fuit eius in aevo
multaque praeterea perdit quom
expellitur aevo.
Dicere porro oculos nullam rem
cernere posse,
sed per eos animum ut foribus
spectare reclusis,
difficilest, contra cum sensus
ducat eorum;
sensus enim trahit atque acies
detrudit ad ipsas,
fulgida praesertim cum cernere
saepe nequimus,
lumina luminibus quia nobis
Non come l'acqua, infatti, che
spesso lascia andar via il calore
che le fu comunicato, né per ciò è
sconvolta essa stessa,
ma rimane intatta, non così, dico,
le membra abbandonate
possono sopportare la separazione
dell'anima,
ma a fondo sconvolte periscono e
cadono in putrefazione.
Così fin dall'inizio della vita il
corpo e l'anima
nei mutui contatti apprendono i
movimenti vitali, quando
sono ancora nascosti nelle
membra e nel grembo della
madre,
‹sì che› la separazione non può
avvenire senza danno e rovina;
puoi quindi vedere che, siccome è
congiunta la causa
della conservazione, anche la loro
natura risulta congiunta.
Del resto, se qualcuno nega che il
corpo senta
e crede che sia l'anima che,
commista a tutto il corpo,
concepisca questo moto a cui
diamo il nome di senso,
egli combatte contro fatti pur veri
e manifesti.
Infatti chi mai chiarirà cosa sia il
sentire del corpo,
se non ciò che ci ha manifestato e
insegnato la realtà stessa?
"Ma, quando l'anima se n'è
staccata, il corpo è del tutto privo
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praepediuntur.
quod foribus non fit; neque enim,
qua cernimus ipsi,
ostia suscipiunt ullum reclusa
laborem.
praeterea si pro foribus sunt
lumina nostra,
iam magis exemptis oculis debere
videtur
cernere res animus sublatis
postibus ipsis.
Illud in his rebus nequaquam
sumere possis,
Democriti quod sancta viri
sententia ponit,
corporis atque animi primordia
singula primis
adposita alternis, variare ac
nectere membra.
nam cum multo sunt animae
elementa minora
quam quibus e corpus nobis et
viscera constant,
tum numero quoque concedunt et
rara per artus
dissita sunt, dum taxat ut hoc
promittere possis,
quantula prima queant nobis
iniecta ciere
corpora sensiferos motus in
corpore, tanta
intervalla tenere exordia prima
animai.
nam neque pulveris inter dum
sentimus adhaesum
corpore nec membris incussam
di senso": esso perde, infatti, ciò
che non fu suo proprio nella vita,
e molte altre cose perde quando è
cacciato fuori della vita.
Dire poi che gli occhi non possono
discernere alcuna cosa,
ma che per essi l'animo guarda
come per porte aperte,
è difficile, giacché il senso loro
guida in parte contraria;
il senso infatti ci tira e spinge ad
attribuire la vista alle pupille
stesse,
tanto più che spesso non
possiamo discernere cose lucenti,
perché la vista è in noi impedita
dalla luce.
Il che non accade alle porte;
giacché gli usci, per cui noi
guardiamo,
non subiscono alcun travaglio per
il fatto che sono aperti.
D'altronde, se i nostri occhi sono
come porte, allora,
è evidente, l'animo, tolti gli occhi,
dovrebbe discernere meglio
le cose, giacché sarebbero stati
rimossi gli stipiti stessi.
A questo proposito non potresti in
alcun modo accogliere
ciò che afferma l'opinione di
Democrito, uomo venerabile,
secondo cui i primi principi del
corpo e dell'animo, giustapposti
a uno a uno, si susseguono
alternandosi e intrecciano le
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sidere cretam,
membra.
nec nebulam noctu neque arani
Giacché, come gli elementi
tenvia fila
dell'anima sono molto minori
obvia sentimus, quando obretimur di quelli dei quali constano il
euntes,
nostro corpo e le viscere,
nec supera caput eiusdem
così anche nel numero cedono, e
cecidisse vietam
radi sono disseminati
vestem nec plumas avium
per le membra, sì che per lo meno
papposque volantis,
puoi garantire questo:
qui nimia levitate cadunt
quanto son grandi i minimi corpi
plerumque gravatim,
che colpendoci
nec repentis itum cuiusvis cumque possono suscitare nel corpo i moti
animantis
sensiferi, tanto
sentimus nec priva pedum vestigia sono grandi gl'intervalli che
quaeque,
separano gli atomi dell'anima.
corpore quae in nostro culices et Infatti talora non sentiamo
cetera ponunt.
l'aderire della polvere al corpo,
usque adeo prius est in nobis
né il posarsi della creta scossa
multa ciendum
sulle membra,
quam primordia sentiscant
né sentiamo la nebbia, né i tenui
concussa animai,
fili del ragno
semina corporibus nostris inmixta che ci incontrano, quando,
per artus,
camminando, ne siamo irretiti,
et quam in his intervallis tuditantia né che sul capo esso ci ha lasciato
possint
cadere la sua vizza
concursare coire et dissultare
spoglia, né le piume degli uccelli o
vicissim.
i pappi volanti
Et magis est animus vitai
che per troppa levità cadono per lo
claustra coërcens
più tardamente,
et dominantior ad vitam quam vis né sentiamo l'andare di qualsiasi
animai.
animaletto strisciante,
nam sine mente animoque nequit né una per una le orme delle
residere per artus
zampe
temporis exiguam partem pars
che sul nostro corpo posano le
ulla animai,
zanzare e gli altri insetti.
sed comes insequitur facile et
A tal punto è vero che bisogna in
discedit in auras
noi stimolare molta materia
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et gelidos artus in leti frigore
linquit.
at manet in vita cui mens
animusque remansit,
quamvis est circum caesis lacer
undique membris;
truncus adempta anima circum
membrisque remota
vivit et aetherias vitalis suscipit
auras;
si non omnimodis, at magna parte
animai
privatus, tamen in vita cunctatur
et haeret;
ut, lacerato oculo circum si pupula
mansit
incolumis, stat cernundi vivata
potestas,
dum modo ne totum corrumpas
luminis orbem
et circum caedas aciem solamque
relinquas;
id quoque enim sine pernicie non
fiet eorum.
at si tantula pars oculi media illa
peresa est,
occidit extemplo lumen
tenebraeque secuntur,
incolumis quamvis alioqui
splendidus orbis.
hoc anima atque animus vincti
sunt foedere semper.
Nunc age, nativos animantibus
et mortalis
esse animos animasque levis ut
noscere possis,
prima che gli atomi dell'anima,
frammischiati ai nostri corpi
per le membra, comincino a
sentire che gli atomi del corpo
sono stati scossi, e prima che,
urtandosi in questi intervalli,
essi possano scontrarsi, unirsi e
rimbalzare a vicenda.
E l'animo è quello che più tiene
stretti i vincoli della vita,
e per la vita vale più che la forza
dell'anima.
Giacché senza la mente e l'animo
non può restare nelle membra
neppure per esiguo tratto di
tempo alcuna parte dell'anima,
ma compagna tien dietro senza
ritardo e si dilegua nell'aria
e lascia le gelide membra nel
freddo della morte.
Ma rimane in vita colui a cui la
mente e l'animo è rimasto.
Sebbene sia un tronco lacero, con
le membra tutt'intorno
mutilate, tolta l'anima d'intorno e
staccata dal corpo,
egli vive e respira i vitali soffi del
cielo.
Privato, se non totalmente, di gran
parte dell'anima,
tuttavia indugia nella vita e vi
resta attaccato;
come se, lacerato l'occhio
d'intorno, la pupilla è rimasta
intatta, permane la vitale facoltà
della vista,
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conquisita diu dulcique reperta
labore
digna tua pergam disponere
carmina vita.
tu fac utrumque uno subiungas
nomine eorum
atque animam verbi causa cum
dicere pergam,
mortalem esse docens, animum
quoque dicere credas,
qua tenus est unum inter se
coniunctaque res est.
Principio quoniam tenuem
constare minutis
corporibus docui multoque
minoribus esse
principiis factam quam liquidus
umor aquai
aut nebula aut fumus;Ænam longe
mobilitate
praestat et a tenui causa magis
icta movetur,
quippe ubi imaginibus fumi
nebulaeque movetur;
quod genus in somnis sopiti ubi
cernimus alte
exhalare vaporem altaria ferreque
fumum;
nam procul haec dubio nobis
simulacra gerunturÆ
nunc igitur quoniam quassatis
undique vasis
diffluere umorem et laticem
discedere cernis,
et nebula ac fumus quoniam
discedit in auras,
crede animam quoque diffundi
purché tu non rovini tutto il globo
dell'occhio
e non recida la pupilla d'intorno e
la lasci isolata;
giacché anche ciò non potrà
avvenire senza rovina d'ambedue.
Ma se quella minuscola parte nel
mezzo dell'occhio è lesa,
tramonta sùbito la luce e
susseguono le tenebre,
benché sia incolume in tutto il
resto lo splendido globo.
Da tale patto anima ed animo
sono avvinti per sempre.
E ora, perché tu possa conoscere
che negli esseri viventi
gli animi e le anime lievi sono
soggetti a nascita e a morte,
proseguirò ad esporre versi cercati
a lungo e trovati
con dolce fatica, degni che ad essi
si consacri la tua vita.
Tu procura di comprendere
entrambi sotto un unico nome
e se, per esempio, io proseguo a
parlare dell'anima,
insegnando che è mortale, pensa
che parlo anche dell'animo,
giacché sono, insieme, un'unità e
in una cosa sola son congiunti.
Anzitutto, poiché ho insegnato che
l'anima sottile
consta di corpi minuti ed è fatta di
primi principi
molto più piccoli che il liquido
umore dell'acqua
o la nebbia o il fumo - infatti li
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multoque perire
ocius et citius dissolvi in corpora
prima,
cum semel ex hominis membris
ablata recessit;
quippe etenim corpus, quod vas
quasi constitit eius,
cum cohibere nequit
conquassatum ex aliqua re
ac rarefactum detracto sanguine
venis,
aëre qui credas posse hanc
cohiberier ullo,
corpore qui nostro rarus magis
incohibens sit?
Praeterea gigni pariter cum
corpore et una
crescere sentimus pariterque
senescere mentem.
nam vel ut infirmo pueri
teneroque vagantur
corpore, sic animi sequitur
sententia tenvis.
inde ubi robustis adolevit viribus
aetas,
consilium quoque maius et auctior
est animi vis.
post ubi iam validis quassatum est
viribus aevi
corpus et obtusis ceciderunt
viribus artus,
claudicat ingenium, delirat lingua
[labat] mens,
omnia deficiunt atque uno
tempore desunt.
ergo dissolui quoque convenit
supera di gran lunga
in mobilità e da più tenue causa
spinta si muove;
giacché per immagini di fumo e di
nebbia si commuove:
come quando, assopiti nel sonno,
vediamo gli altari
in alto esalare vapore e diffondere
fumo;
infatti senza dubbio questi sono
simulacri che giungono a noi ora dunque, poiché da vasi
fracassati vedi
l'acqua fluir via d'ogni parte e il
liquido dileguarsi,
e poiché nebbia e fumo si
dileguano nell'aria, devi credere
che anche l'anima si diffonde e
molto più velocemente
perisce e più rapidamente si
dissolve ‹nei› corpi primi,
una volta che, strappata dalle
membra dell'uomo, s'è
allontanata.
In effetti, se il corpo, che per essa
è come un vaso,
non può contenerla, quando per
qualche causa è sconvolto
o è divenuto rado, perché fu tolto
sangue alle vene,
come puoi credere che questa
possa mai essere contenuta
dall'aria,
che, più rada del nostro corpo, è
ancor più incapace di contenerla?
Inoltre sentiamo che la mente
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omnem animai
naturam, ceu fumus, in altas aëris
auras;
quando quidem gigni pariter
pariterque videmus
crescere et, [ut] docui, simul aevo
fessa fatisci.
Huc accedit uti videamus,
corpus ut ipsum
suscipere inmanis morbos
durumque dolorem,
sic animum curas acris luctumque
metumque;
quare participem leti quoque
convenit esse.
quin etiam morbis in corporis
avius errat
saepe animus; dementit enim
deliraque fatur,
inter dumque gravi lethargo fertur
in altum
aeternumque soporem oculis
nutuque cadenti;
unde neque exaudit voces nec
noscere voltus
illorum potis est, ad vitam qui
revocantes
circum stant lacrimis rorantes ora
genasque.
quare animum quoque dissolui
fateare necessest,
quandoquidem penetrant in eum
contagia morbi;
nam dolor ac morbus leti
fabricator uterquest,
multorum exitio perdocti quod
sumus ante.
nasce unitamente
col corpo e insieme cresce e
unitamente invecchia.
Infatti, come i bimbi camminano
vacillando col corpo malfermo
e tenero, così a questo
s'accompagna un debole giudizio
della mente.
Poi, quando si sono irrobustite le
forze e l'età si è fatta adulta,
maggiore è anche il senno e
aumentato il vigore dell'animo.
Più tardi, quando il corpo è stato
ormai scosso dalle valide forze
del tempo e con le forze spente
sono crollate le membra,
zoppica l'intelligenza, sproposita la
lingua, ‹barcolla› la mente,
tutto viene meno e ad un tempo
svanisce.
Dunque ne consegue che anche la
natura dell'anima si dissolve
tutta, come fumo, per l'aria che
spira nell'alto;
giacché vediamo che nascono
insieme e insieme crescono
e, ‹come› ho spiegato, fiaccati dal
tempo, simultaneamente si
sfasciano.
A ciò si aggiunge che, come
vediamo che il corpo stesso
subisce orribili malattie e duro
dolore,
così vediamo che l'animo soffre
affanni acuti e lutto e paura;
perciò è naturale che sia partecipe
anche della morte.
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (26 of 62) [07/08/2003 21.38.52]
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[et quoniam mentem sanari
Anzi, nelle malattie del corpo
corpus ut aegrum
l'animo spesso sviato
et pariter mentem sanari corpus
va errando; sragiona infatti il
inani]
malato e parla in delirio,
denique cor, hominem cum vini vis e talvolta per grave letargo cade,
penetravit
con gli occhi e la testa
acris et in venas discessit diditus cascanti, in sopore profondo e
ardor,
senza fine,
consequitur gravitas membrorum, da cui non ode le voci, né può
praepediuntur
riconoscere i volti
crura vacillanti, tardescit lingua,
di quelli che, cercando di
madet mens,
richiamarlo alla vita,
nant oculi, clamor singultus iurgia gli stanno attorno e di lacrime
gliscunt,
bagnano i volti e le guance.
et iam cetera de genere hoc quae Perciò occorre che tu ammetta che
cumque secuntur,
anche l'animo si dissolve,
cur ea sunt, nisi quod vehemens giacché penetrano in esso contagi
violentia vini
di malattia.
conturbare animam consuevit
Infatti dolore e malattia sono
corpore in ipso?
entrambi artefici di morte,
at quae cumque queunt conturbari come ci ha già insegnato la fine di
inque pediri,
molti.
significant, paulo si durior
E poi, perché mai, quando la forza
insinuarit
sconvolgente del vino
causa, fore ut pereant aevo
ha penetrato l'uomo e nelle vene
privata futuro.
s'è sparso e distribuito l'ardore,
Quin etiam subito vi morbi
segue gravezza di membra, le
saepe coactus
gambe gli s'inceppano
ante oculos aliquis nostros, ut
ed egli vacilla, la lingua è torpida,
fulminis ictu,
la mente s'offusca,
concidit et spumas agit, ingemit et gli occhi sono smarriti, clamore
tremit artus,
singulti oltraggi crescono,
desipit, extentat nervos,
e infine tutte le altre cose della
torquetur, anhelat
stessa specie che a queste
inconstanter, et in iactando
s'accompagnano - perché ciò
membra fatigat,
avviene, se non perché la
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (27 of 62) [07/08/2003 21.38.52]
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ni mirum quia vis morbi distracta
per artus
turbat agens animam, spumans
[ut] in aequore salso
ventorum validis fervescunt
viribus undae.
exprimitur porro gemitus, quia
membra dolore
adficiuntur et omnino quod semina
vocis
eliciuntur et ore foras glomerata
feruntur
qua quasi consuerunt et sunt
munita viai.
desipientia fit, quia vis animi
atque animai
conturbatur et, ut docui, divisa
seorsum
disiectatur eodem illo distracta
veneno.
inde ubi iam morbi reflexit causa,
reditque
in latebras acer corrupti corporis
umor,
tum quasi vaccillans primum
consurgit et omnis
paulatim redit in sensus
animamque receptat.
haec igitur tantis ubi morbis
corpore in ipso
iactentur miserisque modis
distracta laborent,
cur eadem credis sine corpore in
aëre aperto
cum validis ventis aetatem degere
posse?
Et quoniam mentem sanari
veemente
violenza del vino suole perturbare
l'anima nel corpo stesso?
Ma, qualunque cosa può essere
perturbata e inceppata,
mostra che, se una forza un po'
più dura vi s'insinua,
perirà, privata di vita ulteriore.
Anzi, spesso qualcuno,
subitamente astretto dalla
violenza
della malattia, innanzi ai nostri
occhi, come colpito
da un fulmine, stramazza e sbava,
geme e trema nelle membra,
farnetica, tende fortemente i
muscoli, si contorce, anela
irregolarmente e dibattendosi
affatica le membra.
Certamente perché, dilaniata dalla
violenza della malattia
per le membra, l'anima è in
tumulto e sbava, ‹come› nel salso
mare le onde ribollono per la
veemente violenza dei venti.
E gli si strappano gemiti, perché le
membra dal dolore
sono afflitte e in generale perché i
semi della voce
vengono cacciati all'esterno ed
escon fuori della bocca
agglomerati,
per dove, per così dire, sogliono, e
trovano fatta la strada.
Il delirio si produce, perché la
forza dell'animo e dell'anima
si conturba e, come ho mostrato,
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (28 of 62) [07/08/2003 21.38.52]
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corpus ut aegrum
cernimus et flecti medicina posse
videmus,
id quoque praesagit mortalem
vivere mentem.
addere enim partis aut ordine
traiecere aecumst
aut aliquid prosum de summa
detrahere hilum,
commutare animum qui cumque
adoritur et infit
aut aliam quamvis naturam
flectere quaerit.
at neque transferri sibi partis nec
tribui vult
inmortale quod est quicquam
neque defluere hilum;
nam quod cumque suis mutatum
finibus exit,
continuo hoc mors est illius quod
fuit ante.
ergo animus sive aegrescit,
mortalia signa
mittit, uti docui, seu flectitur a
medicina.
usque adeo falsae rationi vera
videtur
res occurrere et effugium
praecludere eunti
ancipitique refutatu convincere
falsum.
Denique saepe hominem
paulatim cernimus ire
et membratim vitalem deperdere
sensum;
in pedibus primum digitos
divisa in parti separate
è sbattuta qua e là, dilaniata da
quello stesso veleno.
Poi, quando ormai la causa della
malattia ha regredito
e l'acre umore del corpo corrotto è
ritornato nelle sue latebre,
allora il malato, quasi vacillando,
comincia a levarsi e ritorna,
a poco a poco, alla pienezza dei
sensi e riprende animo.
Se la mente e l'anima, dunque, da
malattie sì gravi sono agitate
nel corpo stesso, e dilaniate
soffrono in miseri modi,
come puoi credere che senza
corpo, all'aria aperta, tra i venti
violenti le medesime possano
proseguire la loro vita?
E poiché vediamo che la mente
vien guarita,
come il corpo infermo, e può
essere mutata dalla medicina,
anche questo preannunzia che la
mente ha vita mortale.
Infatti è necessario che aggiunga
parti o ne muti l'ordine
o detragga dall'insieme qualcosa,
sia pure in misura affatto minima,
chiunque tenta e comincia a
mutare lo stato dell'animo
o cerca di modificare qualunque
altra natura.
Ma ciò che è immortale non
consente che parti gli siano
trasposte,
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (29 of 62) [07/08/2003 21.38.52]
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livescere et unguis,
o qualcosa sia aggiunta o
inde pedes et crura mori, post
staccata, benché minima.
inde per artus
Infatti ogni volta che una cosa si
ire alios tractim gelidi vestigia leti. muta ed esce dai propri
scinditur atque animae haec
termini, sùbito questo è la morte
quoniam natura nec uno
di ciò che era prima.
tempore sincera existit, mortalis
L'animo, dunque, sia che
habendast.
s'ammali, sia che venga mutato
quod si forte putas ipsam se posse da medicina, manifesta, come ho
per artus
insegnato, la sua mortalità.
introsum trahere et partis
A tal punto è evidente che la
conducere in unum
realtà s'oppone
atque ideo cunctis sensum
alla falsa dottrina e le preclude
diducere membris,
ogni via di scampo
at locus ille tamen, quo copia
e con duplice confutazione ne
tanta animai
dimostra la falsità.
cogitur, in sensu debet maiore
Ancora, spesso vediamo che un
videri;
uomo se ne va a poco a poco,
qui quoniam nusquamst, ni
e a membro a membro perde il
mirum, ut diximus [ante>,
senso vitale;
dilaniata foras dispargitur, interit prima nei piedi illividiscono le dita
ergo.
e le unghie,
quin etiam si iam libeat concedere poi muoiono i piedi e le gambe, in
falsum
séguito di lì per le altre
et dare posse animam glomerari in membra procedono via via le orme
corpore eorum,
della gelida morte.
lumina qui lincunt moribundi
Poiché, dunque, si scinde la natura
particulatim,
‹dell'anima› e non viene
mortalem tamen esse animam
fuori intera in un solo istante,
fateare necesse
dev'esser creduta mortale.
nec refert utrum pereat dispersa E se per caso supponi che da sé
per auras
stessa essa possa ritrarsi,
an contracta suis e partibus
attraverso le membra, nell'
obbrutescat,
interno, e adunare le sue parti
quando hominem totum magis ac in un sol punto e in tal modo
magis undique sensus
togliere la sensibilità da tutte
deficit et vitae minus et minus
le membra, tuttavia quel luogo,
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undique restat.
ove tanta abbondanza d'anima
Et quoniam mens est hominis si raccoglie, dovrebbe mostrarsi
pars una locoque
dotato di sensibilità maggiore;
fixa manet certo, vel ut aures
ma poiché tale luogo non esiste,
atque oculi sunt
certo, come abbiamo detto
atque alii sensus qui vitam
‹prima›,
cumque gubernant,
l'anima dilaniata si sparge fuori,
et vel uti manus atque oculus
qua e là: dunque muore.
naresve seorsum
Anzi, quand'anche piaccia
secreta ab nobis nequeunt sentire concedere il falso
neque esse,
e ammettere che l'anima possa
sed tamen in parvo lincuntur
agglomerarsi nel corpo
tempore tali,
di quelli che moribondi lasciano la
sic animus per se non quit sine
luce a parte a parte,
corpore et ipso
è tuttavia necessario che tu
esse homine, illius quasi quod vas riconosca che l'anima è mortale,
esse videtur,
né importa se perisca dispersa per
sive aliud quid vis potius
l'aria
coniunctius ei
o se, contrattasi ritraendosi dalle
fingere, quandoquidem conexu
sue varie parti, istupidisca,
corpus adhaeret.
giacché a tutto l'uomo, più e più,
Denique corporis atque animi
da ogni parte il senso
vivata potestas
manca, e in ogni parte resta meno
inter se coniuncta valent vitaque e meno di vita.
fruuntur;
E poiché la mente è una delle parti
nec sine corpore enim vitalis edere dell'uomo, che resta
motus
fissa in un luogo determinato,
sola potest animi per se natura
come sono orecchie e occhi
nec autem
e tutti gli altri sensi che governano
cassum anima corpus durare et
la vita:
sensibus uti.
se una mano e un occhio o il naso,
scilicet avolsus radicibus ut nequit una volta staccati
ullam
da noi e separati, non possono
dispicere ipse oculus rem seorsum sentire, né esistere,
corpore toto,
ma per contro in breve tempo si
sic anima atque animus per se nil dissolvono in putrefazione,
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posse videtur.
ni mirum quia [per] venas et
viscera mixtim,
per nervos atque ossa tenentur
corpore ab omni
nec magnis intervallis primordia
possunt
libera dissultare, ideo conclusa
moventur
sensiferos motus, quos extra
corpus in auras
aëris haut possunt post mortem
eiecta moveri
propterea quia non simili ratione
tenentur;
corpus enim atque animans erit
aër, si cohibere
sese anima atque in eos poterit
concludere motus,
quos ante in nervis et in ipso
corpore agebat.
quare etiam atque etiam resoluto
corporis omni
tegmine et eiectis extra vitalibus
auris
dissolui sensus animi fateare
necessest
atque animam, quoniam
coniunctast causa duobus.
Denique cum corpus nequeat
perferre animai
discidium, quin in taetro tabescat
odore,
quid dubitas quin ex imo
penitusque coorta
emanarit uti fumus diffusa animae
vis,
parimenti l'animo non può esistere
di per sé, senza il corpo
e l'uomo stesso, che appare
essere come un vaso dell'animo
o qualsiasi altra cosa tu preferisca
immaginare più congiunta
con esso, giacché ad esso con
stretto legame il corpo aderisce.
Ancora, le facoltà vitali del corpo e
dell'anima
per vicendevole connessione
hanno vigore e godono della vita;
né senza il corpo, infatti, da sola
la natura dell'animo
può di per sé produrre i moti della
vita, né dal canto suo
il corpo privo d'anima può durare
e servirsi dei sensi.
È evidente: come, avulso dalle
radici, non può l'occhio
scorgere alcuna cosa da solo,
staccato da tutto il resto del
corpo,
così si vede che l'anima e l'animo
di per sé non possono nulla.
Senza dubbio, poiché, mescolati
‹per› vene e visceri,
per nervi ed ossa, i loro primi
principi sono trattenuti
da tutto il corpo, né possono
balzar qua e là, liberi,
a grandi distanze - per questo
rinchiusi si muovono
con moti sensiferi, che essi, fuori
del corpo, scacciati
tra i venti, dopo la morte non
possono produrre,
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atque ideo tanta mutatum putre
ruina
conciderit corpus, penitus quia
mota loco sunt
fundamenta foras manant
animaeque per artus
perque viarum omnis flexus, in
corpore qui sunt,
atque foramina? multimodis ut
noscere possis
dispertitam animae naturam
exisse per artus
et prius esse sibi distractam
corpore in ipso,
quam prolapsa foras enaret in
aëris auras.
Quin etiam finis dum vitae
vertitur intra,
saepe aliqua tamen e causa
labefacta videtur
ire anima ac toto solui de corpore
[tota]
et quasi supremo languescere
tempore voltus
molliaque exsangui cadere omnia
[corpore] membra.
quod genus est, animo male
factum cum perhibetur
aut animam liquisse; ubi iam
trepidatur et omnes
extremum cupiunt vitae
reprehendere vinclum;
conquassatur enim tum mens
animaeque potestas
omnis. et haec ipso cum corpore
conlabefiunt,
perché non sono trattenuti nello
stesso modo.
Corpo infatti, e per di più essere
animato, sarà l'aria, se l'anima
potrà mantenervisi unita e
chiudersi in quei movimenti
che prima compiva nei nervi e
dentro il corpo stesso.
Perciò, ancora e ancora, una volta
che sia dissolto tutto
il riparo del corpo e scacciato fuori
il soffio della vita,
è necessario, devi ammetterlo,
che il senso dell'animo e l'anima
si dissolvano, giacché per questi e
il corpo la causa è congiunta.
Ancora, poiché il corpo non può
sopportare la separazione
dell'anima senza putrefarsi in un
odore ripugnante,
come puoi dubitare che, levatasi
dal profondo e dall'intimo,
la forza dell'anima sia esalata e si
sia dispersa come fumo,
e che il corpo, mutato da tanta
rovina, sia caduto in sfacelo
per ciò, perché nel profondo sono
state smosse dalla sede
le fondamenta, con l'esalare
dell'anima fuori, per le membra
e per tutte le tortuosità dei meati,
che sono nel corpo,
e attraverso i pori? Sicché in molti
modi puoi conoscere
che divisa in parti la natura
dell'anima è uscita per le membra,
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ut gravior paulo possit dissolvere
causa.
Quid dubitas tandem quin
extra prodita corpus
inbecilla foras in aperto, tegmine
dempto,
non modo non omnem possit
durare per aevom,
sed minimum quodvis nequeat
consistere tempus?
nec sibi enim quisquam moriens
sentire videtur
ire foras animam incolumem de
corpore toto,
nec prius ad iugulum et supera
succedere fauces,
verum deficere in certa regione
locatam;
ut sensus alios in parti quemque
sua scit
dissolui. quod si inmortalis nostra
foret mens,
non tam se moriens dissolvi
conquereretur,
sed magis ire foras vestemque
relinquere, ut anguis.
Denique cur animi numquam
mens consiliumque
gignitur in capite aut pedibus
manibusve, sed unis
sedibus et certis regionibus
omnibus haeret,
si non certa loca ad nascendum
reddita cuique
sunt, et ubi quicquid possit durare
creatum
atque ita multimodis partitis
e dentro il corpo stesso s'era già
da sé dilaniata
prima che, scivolando via, andasse
a volare tra i venti.
Anzi, mentre ancora si volge
dentro i confini della vita,
l'anima tuttavia sovente, scossa
da qualche causa,
sembra andarsene e ‹volere›
sciogliersi da tutto il corpo,
e il volto sembra invaso dal
languore dell'ora estrema,
e molli dal corpo esangue cadere
tutte le membra.
In tale stato è colui di cui si dice
che s'è sentito male
o che è caduto in deliquio; e già si
trepida e tutti
agognano riallacciare l'estremo
vincolo della vita.
Sono scossi, infatti, allora la
mente e il potere dell'anima
interamente, e col corpo stesso
essi stanno per sfasciarsi;
sì che una causa un po' più grave
può dissolverli.
E puoi ancora dubitare che
l'anima, cacciata via dal corpo,
debole com'è, fuori, all'aperto,
priva del suo riparo,
non solo non possa durare in
perpetuo, ma sia anche
incapace di sussistere per un
qualsiasi minimo tempo?
E infatti non si vede alcuno che
morendo senta
l'anima sua andar fuori dal corpo
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artubus esse,
membrorum ut numquam existat
praeposterus ordo?
usque adeo sequitur res rem,
neque flamma creari
fluminibus solitast neque in igni
gignier algor.
Praeterea si inmortalis natura
animaist
et sentire potest secreta a corpore
nostro,
quinque, ut opinor, eam
faciundum est sensibus auctam.
nec ratione alia nosmet proponere
nobis
possumus infernas animas
Acherunte vagare.
pictores itaque et scriptorum
saecla priora
sic animas intro duxerunt sensibus
auctas.
at neque sorsum oculi neque
nares nec manus ipsa
esse potest animae neque sorsum
lingua neque aures;
haud igitur per se possunt sentire
neque esse.
Et quoniam toto sentimus
corpore inesse
vitalem sensum et totum esse
animale videmus,
si subito medium celeri praeciderit
ictu
vis aliqua, ut sorsum partem
secernat utramque,
dispertita procul dubio quoque vis
intero intatta,
o salirgli prima alla gola e più
sopra, alle fauci; sente invece
che essa vien meno lì dov'è
collocata, in una sede
determinata;
così come sa che gli altri sensi si
dissolvono ognuno nella propria
parte.
Ma, se la nostra mente fosse
immortale, non tanto, morendo,
si lamenterebbe di dissolversi:
piuttosto ‹si rallegrerebbe›
d'andar fuori e lasciare la spoglia,
come una serpe.
Ancora, perché la mente e il senno
dell'animo non nascono mai
nel capo o nei piedi o nelle mani,
ma sono per tutti gli uomini
fissati in un'unica sede e in una
determinata regione,
se non perché determinati luoghi
sono assegnati a ogni cosa
per la nascita, e dove ognuna, una
volta che sia creata,
possa durare ed avere le varie
parti così ripartite
che l'ordine delle membra non
appaia mai sovvertito?
Tanto è vero che una cosa segue a
un'altra cosa, né suole
la fiamma esser prodotta dai
fiumi, né il gelo nascere nel fuoco.
Inoltre, se la natura dell'anima è
immortale
e può sentire dopo essere stata
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animai
disgiunta dal nostro corpo,
et discissa simul cum corpore
di cinque sensi, a quel ch'io credo,
dissicietur.
bisogna supporla dotata.
at quod scinditur et partis discedit Né in altro modo noi possiamo
in ullas,
rappresentarci
scilicet aeternam sibi naturam
le anime d'inferno vaganti lungo
abnuit esse.
l'Acheronte.
falciferos memorant currus
Pertanto i pittori e le precedenti
abscidere membra
generazioni di scrittori
saepe ita de subito permixta
presentarono le anime così, dotate
caede calentis,
di sensi.
ut tremere in terra videatur ab
Ma né occhi, né nari e neppure
artubus id quod
mani può aver l'anima separata
decidit abscisum, cum mens
dal corpo, né può aver lingua, né
tamen atque hominis vis
orecchie separata dal corpo;
mobilitate mali non quit sentire
dunque, non possono le anime per
dolorem;
sé sole sentire, né esistere.
et simul in pugnae studio quod
E, poiché sentiamo che il senso
dedita mens est,
vitale è presente
corpore relicuo pugnam caedesque in tutto il corpo e vediamo che
petessit,
questo è tutto animato,
nec tenet amissam laevam cum
se subitamente a mezzo lo recide
tegmine saepe
con celere colpo
inter equos abstraxe rotas
qualche forza, sì da disgiungere
falcesque rapaces,
del tutto l'una e l'altra parte,
nec cecidisse alius dextram, cum fuor di dubbio anche la forza
scandit et instat.
dell'anima spartita
inde alius conatur adempto
e scissa insieme col corpo sarà
surgere crure,
disunita.
cum digitos agitat propter
Ma ciò che viene scisso e si divide
moribundus humi pes.
in parti,
et caput abscisum calido
evidentemente nega di avere una
viventeque trunco
natura eterna.
servat humi voltum vitalem
Si narra che carri armati di falci,
oculosque patentis,
caldi di confusa strage,
donec reliquias animai reddidit
spesso recidano le membra così
omnes.
subitamente
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (36 of 62) [07/08/2003 21.38.52]
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quin etiam tibi si, lingua vibrante, che tremare in terra si vede ciò
minanti
che dagli arti è caduto
serpentis cauda, procero corpore, reciso, mentre tuttavia la mente e
utrumque
la forza dell'uomo
sit libitum in multas partis
non possono sentire il dolore per
discidere ferro,
la subitaneità del colpo
omnia iam sorsum cernes ancisa e insieme perché la mente è presa
recenti
dalla passione della battaglia:
volnere tortari et terram
col resto del corpo egli tende alla
conspargere tabo,
battaglia e alle stragi,
ipsam seque retro partem petere e spesso non s'accorge d'aver
ore priorem,
perduto la mano sinistra con lo
volneris ardenti ut morsu premat scudo
icta dolore.
e che tra i cavalli l'han travolta le
omnibus esse igitur totas dicemus ruote e le falci rapaci;
in illis
un altro non s'accorge che gli è
particulis animas? at ea ratione
caduta la destra, mentre
sequetur
s'arrampica e incalza.
unam animantem animas habuisse D'altra parte un altro tenta di
in corpore multas.
drizzarsi sulla gamba mozzata,
ergo divisast ea quae fuit una
mentre lì presso, sul suolo, il piede
simul cum
moribondo agita le dita.
corpore; quapropter mortale
E una testa recisa da un tronco
utrumque putandumst,
caldo e vivente
in multas quoniam partis disciditur conserva sul suolo il volto della
aeque.
vita e gli occhi aperti,
Praeterea si inmortalis natura
finché non ha esalato del tutto i
animai
resti dell'anima.
constat et in corpus nascentibus
Anzi, se d'un serpente che ha
insinuatur,
lingua vibrante,
cur super ante actam aetatem
minacciosa coda, lungo corpo, ti
meminisse nequimus
piace fendere col ferro
[interisse et quae nunc est nunc
le due parti in molti pezzi, vedrai
esse creatam]
poi tutti i brani
nec vestigia gestarum rerum ulla tagliati contorcersi per la fresca
tenemus?
ferita
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (37 of 62) [07/08/2003 21.38.52]
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nam si tanto operest animi mutata
potestas,
omnis ut actarum exciderit
retinentia rerum,
non, ut opinor, id ab leto iam
longius errat;
qua propter fateare necessest
quae fuit ante
interiisse, et quae nunc est nunc
esse creatam.
Praeterea si iam perfecto
corpore nobis
inferri solitast animi vivata
potestas
tum cum gignimur et vitae cum
limen inimus,
haud ita conveniebat uti cum
corpore et una
cum membris videatur in ipso
sanguine cresse,
sed vel ut in cavea per se sibi
vivere solam
convenit, ut sensu corpus tamen
affluat omne.
quare etiam atque etiam neque
originis esse putandumst
expertis animas nec leti lege
solutas;
nam neque tanto opere adnecti
potuisse putandumst
corporibus nostris extrinsecus
insinuatas,
quod fieri totum contra manifesta
docet res
Ænamque ita conexa est per
venas viscera nervos
ossaque, uti dentes quoque sensu
ciascuno separatamente e
cospargere di putredine la terra,
e la parte anteriore voltarsi e
avventarsi con la bocca su sé
stessa
per stringersi col morso, trafitta
dall'ardente dolore della ferita.
Diremo dunque che in tutti quei
pezzetti
vi sono anime intere? Ma,
ragionando così, seguirà
che un unico essere vivente aveva
nel corpo molte anime.
Dunque, quell'anima, che fu una,
è stata divisa insieme
col corpo; perciò bisogna credere
che entrambi sono mortali,
poiché ugualmente si scindono in
molte parti.
Inoltre, se la natura dell'anima è
immortale
e s'insinua nel corpo al momento
della nascita,
perché non possiamo ricordare
anche la vita trascorsa prima,
né serbiamo alcuna traccia delle
azioni in essa compiute?
Giacché, se la facoltà dell'animo è
mutata a tal punto
che ogni ricordo delle cose passate
è svanito,
tale stato, io credo, non si scosta
ormai molto dalla morte.
Perciò bisogna che tu ammetta
che l'anima di prima è perita
e quella che c'è in quest'età, in
quest'età è stata creata.
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (38 of 62) [07/08/2003 21.38.52]
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participentur;
morbus ut indicat et gelidai
stringor aquai
et lapis oppressus subitis e
frugibus asperÆ
nec, tam contextae cum sint, exire
videntur
incolumes posse et salvas
exsolvere sese
omnibus e nervis atque ossibus
articulisque,
quod si forte putas extrinsecus
insinuatam
permanare animam nobis per
membra solere,
tanto quique magis cum corpore
fusa peribit;
quod permanat enim, dissolvitur,
interit ergo;
dispertitur enim per caulas
corporis omnis.
ut cibus, in membra atque artus
cum diditur omnis,
disperit atque aliam naturam
sufficit ex se,
sic anima atque animus quamvis
[est] integra recens [in]
corpus eunt, tamen in manando
dissoluuntur,
dum quasi per caulas omnis
diduntur in artus
particulae quibus haec animi
natura creatur,
quae nunc in nostro dominatur
corpore nata
ex illa quae tunc periit partita per
Inoltre, se la facoltà vitale
dell'animo suole introdursi
in noi dopo che il nostro corpo è
già formato,
nello stesso punto in cui nasciamo
e passiamo la soglia
della vita, non dovremmo, in tal
caso, vederla crescere insieme
col corpo e unitamente con le
membra nello stesso sangue,
ma dovrebbe vivere come in una
gabbia, per sé, da sé sola,
lasciando tuttavia abbondare di
sensibilità tutto il corpo.
Quindi, ancora e ancora, non
bisogna credere che le anime
siano esenti dal nascere, né sciolte
dalla legge di morte.
Infatti non si può credere che
abbiano potuto a tal punto
connettersi coi nostri corpi
insinuandovisi dall'esterno.
La realtà manifesta insegna che
avviene tutto il contrario;
giacché l'anima è così connessa
per vene, carni, nervi
ed ossa che anche i denti son
partecipi del senso;
come dimostrano il mal di denti e
la loro fitta per acqua gelata
e l'urto d'un aspro sassolino che si
nasconda in un pezzo di pane.
D'altronde, essendo le anime così
intrecciate, non si vede
come possano uscire incolumi e
disciogliersi sane e salve
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (39 of 62) [07/08/2003 21.38.52]
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artus.
quapropter neque natali privata
videtur
esse die natura animae nec
funeris expers.
Semina praeterea linquontur
necne animai
corpore in exanimo? quod si
lincuntur et insunt,
haut erit ut merito inmortalis
possit haberi,
partibus amissis quoniam libata
recessit.
sin ita sinceris membris ablata
profugit,
ut nullas partis in corpore liquerit
ex se,
unde cadavera rancenti iam
viscere vermes
expirant atque unde animantum
copia tanta
exos et exanguis tumidos
perfluctuat artus?
quod si forte animas extrinsecus
insinuari?
vermibus et privas in corpora
posse venire
credis nec reputas cur milia multa
animarum
conveniant unde una recesserit,
hoc tamen est ut
quaerendum videatur et in
discrimen agendum,
utrum tandem animae venentur
semina quaeque
vermiculorum ipsaeque sibi
fabricentur ubi sint,
da tutti i nervi e le ossa e le
articolazioni.
Ma, se per caso credi che,
insinuatasi dall'esterno,
l'anima soglia spandersi per le
nostre membra,
tanto più essa perirà, essendo
sparsa attraverso il corpo.
Giacché ciò che si spande, si
dissolve: dunque muore.
Infatti, come il cibo, ripartito per
tutti i meati del corpo,
quando si propaga nelle membra e
in tutti gli arti,
perisce e da sé fornisce una nuova
sostanza,
così l'anima e l'animo, seppure
entrano intatti ‹nel› corpo
appena nato, tuttavia nello
spandervisi si dissolvono,
mentre per tutti i meati, per così
dire, si spargono negli arti
le particelle da cui si crea questa
natura dell'animo,
che ora domina nel nostro corpo,
nata
da quella che allora perì ripartita
tra gli arti.
Quindi si vede che la natura
dell'anima non è priva
del giorno natale, né è esente
dalla morte.
Inoltre, restano semi dell'anima
nel corpo
esanime, o no? Che se restano e
stanno lì dentro,
non si potrà a ragione crederla
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (40 of 62) [07/08/2003 21.38.52]
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an quasi corporibus perfectis
insinuentur.
at neque cur faciant ipsae quareve
laborent
dicere suppeditat. neque enim,
sine corpore cum sunt,
sollicitae volitant morbis alguque
fameque;
corpus enim magis his vitiis adfine
laborat,
et mala multa animus contage
fungitur eius.
sed tamen his esto quamvis facere
utile corpus,
cum subeant; at qua possint via
nulla videtur.
haut igitur faciunt animae sibi
corpora et artus.
nec tamen est ut qui [cum]
perfectis insinuentur
corporibus; neque enim poterunt
suptiliter esse
conexae neque consensu contagia
fient.
Denique cur acris violentia
triste leonum
seminium sequitur, volpes dolus,
et fuga cervos?
a patribus datur et [a] patrius
pavor incitat artus,
et iam cetera de genere hoc cur
omnia membris
ex ineunte aevo generascunt
ingenioque,
si non, certa suo quia semine
seminioque
immortale,
poiché sminuita dalla perdita di
parti s'è dipartita.
Ma se con integre membra s'è
staccata ed è fuggita via,
sì da non lasciare alcuna parte di
sé nel corpo,
donde mai i cadaveri, quando la
carne è già putrida, danno vita
a vermi, e come mai una sì grande
folla di esseri viventi,
senza ossa e senza sangue,
brulica su per gli arti tumefatti?
Che se per caso credi che
dall'esterno le anime s'insinuino
nei vermi e ad una ad una
possano introdursi nei corpi,
e non consideri perché mai molte
migliaia di anime
s'adunino là donde è partita una
sola, tuttavia c'è questo
che sembra debba essere
investigato e messo in
discussione:
se finalmente le anime vadano in
caccia di ogni seme
di vermiciattolo, e da sé si
fabbrichino sedi per starvi dentro,
oppure s'insinuino, per così dire,
in corpi già formati.
Ma perché esse lo facciano o
perché s'affatichino,
non è possibile dire. E infatti,
quando sono senza corpo,
non svolazzano assillate da
malattie e da gelo e da fame.
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vis animi pariter crescit cum
Giacché il corpo, più soggetto a
corpore quoque?
tali afflizioni, più ne soffre,
quod si inmortalis foret et mutare e molti mali l'animo subisce per il
soleret
contatto con esso.
corpora, permixtis animantes
Ma tuttavia ammettiamo che per
moribus essent,
queste sia quanto si voglia utile
effugeret canis Hyrcano de semine farsi un corpo in cui entrare; non
saepe
si vede però alcuna via
cornigeri incursum cervi
per cui lo possano. Dunque le
tremeretque per auras
anime non fanno per sé corpi e
aëris accipiter fugiens veniente
arti.
columba,
Né tuttavia può essere che
desiperent homines, saperent fera s'insinuino in corpi già formati;
saecla ferarum.
giacché non potranno essere
illud enim falsa fertur ratione,
intimamente connesse con quelli,
quod aiunt
né si produrrà l'armonia per
inmortalem animam mutato
corrispondenza di sensi.
corpore flecti;
E ancora, perché la feroce violenza
quod mutatur enim, dissolvitur,
s'accompagna alla funesta
interit ergo;
stirpe dei leoni, l'astuzia alle volpi,
traiciuntur enim partes atque
e l'inclinazione alla fuga
ordine migrant;
viene ai cervi trasmessa dai padri
quare dissolui quoque debent
e la paterna paura ne stimola le
posse per artus,
membra?
denique ut intereant una cum
E in breve, perché tutte le altre
corpore cunctae.
qualità di questo genere
sin animas hominum dicent in
si generano nelle membra e
corpora semper
nell'indole dal principio della vita,
ire humana, tamen quaeram cur e se non perché insieme con ogni
sapienti
corpo cresce un potere
stulta queat fieri, nec prudens sit dell'animo determinato secondo il
puer ullus,
suo seme e la stirpe?
[si non, certa suo quia semine
Ma, se l'anima fosse immortale e
seminioque]
solesse passare da un corpo
nec tam doctus equae pullus quam in un altro, gli esseri viventi
fortis equi vis.
avrebbero caratteri confusi,
scilicet in tenero tenerascere
spesso il cane di razza ircana
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corpore mentem
confugient. quod si iam fit, fateare
necessest
mortalem esse animam, quoniam
mutata per artus
tanto opere amittit vitam
sensumque priorem.
quove modo poterit pariter cum
corpore quoque
confirmata cupitum aetatis
tangere florem
vis animi, nisi erit consors in
origine prima?
quidve foras sibi vult membris
exire senectis?
an metuit conclusa manere in
corpore putri
et domus aetatis spatio ne fessa
vetusto
obruat? at non sunt immortali ulla
pericla.
Denique conubia ad Veneris
partusque ferarum
esse animas praesto deridiculum
esse videtur,
expectare immortalis mortalia
membra
innumero numero certareque
praeproperanter
inter se quae prima potissimaque
insinuetur;
si non forte ita sunt animarum
foedera pacta,
ut quae prima volans advenerit
insinuetur
prima neque inter se contendant
fuggirebbe l'assalto
d'un cornuto cervo, e tra i venti
dell'aria lo sparviero,
fuggendo all'arrivo della colomba,
tremerebbe, sarebbero privi
di ragione gli uomini,
ragionerebbero le selvagge stirpi
delle fiere.
Giacché con falso ragionare si
procede, quando s'afferma
che l'anima immortale mutando
corpo si modifica.
Ciò che si muta, infatti, si
dissolve: dunque muore.
Si traspongono infatti le parti ed
escono dal loro ordine;
perciò devono anche potersi
dissolvere nelle membra,
per morire alfine tutte insieme col
corpo.
Se poi diranno che le anime degli
uomini trasmigrano sempre
in corpi umani, domanderò
tuttavia perché di sapiente
l'anima possa diventare stolta, e
nessun bimbo sia avveduto,
né il puledro sia addestrato come
il cavallo nel pieno del vigore.
Certo ricorreranno a questo
espediente: che in tenero corpo
si fa tenera la mente. Ma, se ciò
davvero avviene, bisogna
che tu ammetta che l'anima è
mortale, poiché, mutata
per le membra a tal punto, perde
la vita e il senso di prima.
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viribus hilum.
Denique in aethere non arbor,
non aequore in alto
nubes esse queunt nec pisces
vivere in arvis
nec cruor in lignis neque saxis
sucus inesse.
certum ac dispositumst ubi
quicquid crescat et insit.
sic animi natura nequit sine
corpore oriri
sola neque a nervis et sanguine
longius esse.
quod si posset enim, multo prius
ipsa animi vis
in capite aut umeris aut imis
calcibus esse
posset et innasci quavis in parte
soleret,
tandem in eodem homine atque in
eodem vase manere.
quod quoniam nostro quoque
constat corpore certum
dispositumque videtur ubi esse et
crescere possit
sorsum anima atque animus,
tanto magis infitiandum
totum posse extra corpus durare
genique.
quare, corpus ubi interiit, periisse
necessest
confiteare animam distractam in
corpore toto.
quippe etenim mortale aeterno
iungere et una
consentire putare et fungi mutua
posse
E in qual modo il vigore dell'animo
potrà, rinsaldandosi
insieme con ogni corpo, attingere
il desiderato fiore della vita,
se non sarà partecipe della stessa
sorte nell'origine prima?
E perché se ne vuole uscire fuori
dalle membra invecchiate?
Forse teme di rimanere rinchiuso
in un corpo putrido
e che la casa, rovinata dal lungo
tratto di tempo, gli crolli
addosso? Ma per ciò che è
immortale non esistono pericoli.
Ancora, sembra cosa ridicola
immaginare che le anime
facciano la posta ai connubi di
Venere e ai parti delle fiere;
che anime immortali aspettino
mortali membra
in numero innumerevole e
gareggino con straordinaria fretta
tra loro a chi prima e prevalendo
sulle altre s'insinui;
salvo che, per caso, siano stabiliti
tra le anime patti
per cui quella che prima sia a volo
arrivata per prima s'insinui
e quindi non contendano affatto
tra loro con la violenza.
Ancora, non può esistere nel cielo
un albero, né nel mare
profondo nuvole, non possono i
pesci vivere nei campi,
né esserci sangue nel legno, né
succo nei sassi.
È determinato e disposto dove
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desiperest; quid enim diversius
ogni cosa cresca e abbia sede.
esse putandumst
Così la natura dell'animo non può
aut magis inter se disiunctum
nascere sola,
discrepitansque,
senza il corpo, né esistere lontano
quam mortale quod est inmortali dai nervi e dal sangue.
atque perenni
Se lo potesse, infatti, molto prima
iunctum in concilio saevas tolerare la stessa forza dell'animo
procellas?
potrebbe essere nel capo o negli
praeterea quaecumque manent
òmeri o in fondo ai talloni
aeterna necessest
e sarebbe solita nascere in
aut quia sunt solido cum corpore qualsiasi parte, ma in fin dei conti
respuere ictus
rimanere nello stesso uomo e nello
nec penetrare pati sibi quicquam stesso vaso.
quod queat artas
Ora, poiché anche nel nostro
dissociare intus partis, ut materiai corpo è fermamente determinato
corpora sunt, quorum naturam
e si vede disposto dove possano
ostendimus ante,
esistere e crescere
aut ideo durare aetatem posse per separatamente l'anima e l'animo,
omnem,
tanto più si deve negare
plagarum quia sunt expertia sicut che fuori da tutto il corpo possano
inanest,
nascere o durare.
quod manet intactum neque ab
Perciò, quando il corpo è morto,
ictu fungitur hilum,
devi ammettere
aut etiam quia nulla loci sit copia che anche l'anima è perita,
circum,
dilaniata in tutto il corpo.
quo quasi res possint discedere
Giacché congiungere il mortale
dissoluique,
all'eterno e credere
sicut summarum summast
che possano sentire in comune e
aeterna, neque extra
avere reazioni reciproche,
quis locus est quo diffugiant neque è follia. Infatti cosa mai si può
corpora sunt quae
credere più contrastante
possint incidere et valida
o più sconnesso e discordante
dissolvere plaga.
nelle sue relazioni
Quod si forte ideo magis
che l'unione di ciò che è mortale
inmortalis habendast,
con ciò che è immortale
quod vitalibus ab rebus munita
e perenne in un aggregato che
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tenetur,
aut quia non veniunt omnino
aliena salutis,
aut quia quae veniunt aliqua
ratione recedunt
pulsa prius quam quid noceant
sentire queamus,
***
praeter enim quam quod morbis
cum corporis aegret,
advenit id quod eam de rebus
saepe futuris
macerat inque metu male habet
curisque fatigat,
praeteritisque male admissis
peccata remordent.
adde furorem animi proprium
atque oblivia rerum,
adde quod in nigras lethargi
mergitur undas.
Nil igitur mors est ad nos neque
pertinet hilum,
quandoquidem natura animi
mortalis habetur.
et vel ut ante acto nihil tempore
sensimus aegri,
ad confligendum venientibus
undique Poenis,
omnia cum belli trepido concussa
tumultu
horrida contremuere sub altis
aetheris auris,
in dubioque fuere utrorum ad
regna cadendum
omnibus humanis esset terraque
marique,
sic, ubi non erimus, cum corporis
sopporti furiose tempeste?
Inoltre, tutte le cose che
permangono eterne è necessario
o che respingano gli urti perché
hanno corpo solido
e non si lascino penetrare da
qualcosa che possa dissociare
nell'interno le parti strettamente
unite, quali sono i corpi
della materia, di cui prima
abbiamo rivelato la natura;
oppure che possano durare per
ogni tempo per questo,
perché sono esenti da colpi, come
è il vuoto,
che rimane intatto e non subisce il
minimo urto,
o anche perché intorno non si
trova tratto di spazio
ove, in qualche modo, le cose
possano sperdersi e dissolversi;
così è eterna la somma delle
somme, fuori della quale
non c'è luogo ove le cose si
dileguino, né ci son corpi
che possano cadere su di esse e
con forte colpo dissolverle.
Ma se per caso l'anima dev'esser
creduta immortale piuttosto
per questo, perché è munita e
protetta da forze vitali
o perché non l'attingono affatto
cose avverse alla sua salvezza
o perché quelle che l'attingono in
qualche modo si ritirano
respinte prima che possiamo
sentire quanto ci nocciono,
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atque animai
discidium fuerit, quibus e sumus
uniter apti,
scilicet haud nobis quicquam, qui
non erimus tum,
accidere omnino poterit
sensumque movere,
non si terra mari miscebitur et
mare caelo.
et si iam nostro sentit de corpore
postquam
distractast animi natura
animaeque potestas,
nil tamen est ad nos, qui comptu
coniugioque
corporis atque animae consistimus
uniter apti.
nec, si materiem nostram
collegerit aetas
post obitum rursumque redegerit
ut sita nunc est,
atque iterum nobis fuerint data
lumina vitae,
pertineat quicquam tamen ad nos
id quoque factum,
interrupta semel cum sit
repetentia nostri.
et nunc nil ad nos de nobis attinet,
ante
qui fuimus, [neque] iam de illis
nos adficit angor.
nam cum respicias inmensi
temporis omne
praeteritum spatium, tum motus
materiai
multimodi quam sint, facile hoc
‹fatti manifesti mostrano che la
verità è un'altra›.
Giacché, a parte il fatto che
s'ammala delle malattie del corpo,
sovente sopravviene ciò che,
riguardo al futuro, la tormenta
e nel timore la fa star male e con
affanni la travaglia;
e per le colpe passate i rimorsi la
straziano.
Aggiungi la follia propria della
mente e l'oblio delle cose,
aggiungi che è sommersa nelle
nere onde del letargo.
Nulla dunque la morte è per noi,
né ci riguarda punto,
dal momento che la natura
dell'animo è conosciuta mortale.
E come nel tempo passato non
sentimmo alcuna afflizione,
mentre i Cartaginesi da ogni parte
venivano a combattere,
quando il mondo, scosso dal
trepido tumulto della guerra,
tremò tutto d'orrore sotto le alte
volte dell'etere,
e fu dubbio sotto il regno di quale
dei due popoli
dovessero cadere tutti gli uomini
sulla terra e sul mare,
così quando noi non saremo più,
quando sarà avvenuto il distacco
del corpo e dell'anima, che uniti
compongono il nostro essere,
certo a noi, che allora non saremo
più, non potrà affatto
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adcredere possis,
semina saepe in eodem, ut nunc
sunt, ordine posta
haec eadem, quibus e nunc nos
sumus, ante fuisse.
nec memori tamen id quimus
reprehendere mente;
inter enim iectast vitai pausa
vageque
deerrarunt passim motus ab
sensibus omnes.
debet enim, misere si forte
aegreque futurumst;
ipse quoque esse in eo tum
tempore, cui male possit
accidere. id quoniam mors eximit,
esseque prohibet
illum cui possint incommoda
conciliari,
scire licet nobis nihil esse in morte
timendum
nec miserum fieri qui non est
posse, neque hilum
differre an nullo fuerit iam
tempore natus,
mortalem vitam mors cum
inmortalis ademit.
Proinde ubi se videas hominem
indignarier ipsum,
post mortem fore ut aut putescat
corpore posto
aut flammis interfiat malisve
ferarum,
scire licet non sincerum sonere
atque subesse
caecum aliquem cordi stimulum,
quamvis neget ipse
accadere alcunché, nulla potrà
colpire i nostri sensi,
neppure se la terra si confonderà
col mare e il mare col cielo.
E anche se supponiamo che, dopo
il distacco dal nostro corpo,
la natura dell'animo e il potere
dell'anima serbano il senso,
questo tuttavia non importa a noi,
che dall'unione e dal connubio
del corpo e dell'anima siamo
costituiti e unitamente composti.
E quand'anche il tempo
raccogliesse la nostra materia
dopo la morte e di nuovo la
disponesse nell'assetto
in cui si trova ora e a noi fosse
ridata la luce della vita,
tuttavia neppure questo evento ci
riguarderebbe minimamente,
una volta che fosse interrotta la
continuità della nostra coscienza.
Così ora a noi non importa nulla di
noi, quali fummo in precedenza,
‹né› ormai per quel nostro essere
ci affligge angoscia.
E invero, se volgi lo sguardo verso
tutto lo spazio trascorso
del tempo illimitato, e consideri
quanto siano molteplici
i movimenti della materia,
facilmente puoi indurti a credere
che questi stessi atomi, di cui
siamo composti ora, già prima
siano stati spesso disposti nel
medesimo ordine in cui sono ora.
Eppure non possiamo riafferrare
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credere se quemquam sibi sensum
in morte futurum;
non, ut opinor, enim dat quod
promittit et unde
nec radicitus e vita se tollit et
eicit,
sed facit esse sui quiddam super
inscius ipse.
vivus enim sibi cum proponit
quisque futurum,
corpus uti volucres lacerent in
morte feraeque,
ipse sui miseret; neque enim se
dividit illim
nec removet satis a proiecto
corpore et illum
se fingit sensuque suo contaminat
astans.
hinc indignatur se mortalem esse
creatum
nec videt in vera nullum fore
morte alium se,
qui possit vivus sibi se lugere
peremptum
stansque iacentem [se] lacerari
urive dolere.
nam si in morte malumst malis
morsuque ferarum
tractari, non invenio qui non sit
acerbum
ignibus inpositum calidis
torrescere flammis
aut in melle situm suffocari atque
rigere
frigore, cum summo gelidi cubat
aequore saxi,
con la memoria quell'esistenza;
s'è interposta infatti una pausa
della vita e sparsamente
tutti i moti si sviarono per ogni
dove, lontano dai sensi.
Infatti, se sventura e affanno
devono colpire qualcuno, occorre
che allora, in quel medesimo
tempo, esista quella stessa
persona
cui possa incoglier male. Ma,
poiché la morte toglie ciò e
impedisce
che esista colui a cui le disgrazie
possano attaccarsi,
è chiaro che niente noi dobbiamo
temere nella morte,
e che non può divenire infelice chi
non esiste, né fa punto
differenza se egli sia nato o non
sia nato in alcun tempo,
quando la vita mortale gli è stata
tolta dalla morte immortale.
Quindi, se vedi un uomo dolersi
della propria sorte,
perché dopo la morte dovrà,
sepolto il corpo, putrefarsi
o essere distrutto dalle fiamme o
dalle mascelle delle fiere,
puoi intendere che le sue parole
non suonano sincere
e che sotto il suo cuore c'è
qualche stimolo cieco,
benché egli asserisca di non
credere che morto avrà qualche
senso.
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urgerive superne obrutum
pondere terrae.
'Iam iam non domus accipiet te
laeta neque uxor
optima, nec dulces occurrent
oscula nati
praeripere et tacita pectus
dulcedine tangent.
non poteris factis florentibus esse
tuisque
praesidium. misero misere' aiunt
'omnia ademit
una dies infesta tibi tot praemia
vitae.'
illud in his rebus non addunt 'nec
tibi earum
iam desiderium rerum super
insidet una.'
quod bene si videant animo
dictisque sequantur,
dissoluant animi magno se angore
metuque.
'tu quidem ut es leto sopitus, sic
eris aevi
quod super est cunctis privatus
doloribus aegris;
at nos horrifico cinefactum te
prope busto
insatiabiliter deflevimus,
aeternumque
nulla dies nobis maerorem e
pectore demet.'
illud ab hoc igitur quaerendum
est, quid sit amari
tanto opere, ad somnum si res
redit atque quietem,
cur quisquam aeterno possit
Infatti, io credo, non mantiene ciò
che promette e i principi
su cui poggia, né radicalmente si
svelle e si scaccia fuori
della vita, ma inconsciamente fa
sopravvivere qualcosa di sé.
Ognuno infatti che da vivo si
rappresenta
che dopo la morte uccelli e fiere
sbraneranno il suo corpo,
commisera sé stesso; e infatti non
riesce a separarsi di lì,
né si stacca abbastanza dal
cadavere gettato via e confonde
sé stesso
con quello e, stando dritto lì
accanto, gli trasfonde il proprio
senso.
Per questo si duole d'esser nato
mortale
e non vede che nella vera morte
non ci sarà un altro sé stesso
che possa, vivo, piangere la
perdita di sé per sé stesso
e, stando in piedi, lamentarsi di
giacere a terra e d'essere sbranato
o bruciato.
E invero, se nella morte è un male
essere straziato dalle mascelle
e dai morsi delle fiere, non intendo
come non sia acerbo
esser posto sul rogo per esservi
arrostito dalle calde fiamme
o soffocare immerso nel miele o
intirizzire di freddo,
disteso sopra la liscia superficie
d'una gelida pietra,
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tabescere luctu.
Hoc etiam faciunt ubi
discubuere tenentque
pocula saepe homines et
inumbrant ora coronis,
ex animo ut dicant: 'brevis hic est
fructus homullis;
iam fuerit neque post umquam
revocare licebit.'
tam quam in morte mali cum
primis hoc sit eorum,
quod sitis exurat miseros atque
arida torrat,
aut aliae cuius desiderium insideat
rei.
nec sibi enim quisquam tum se
vitamque requiret,
cum pariter mens et corpus sopita
quiescunt;
nam licet aeternum per nos sic
esse soporem,
nec desiderium nostri nos adficit
ullum,
et tamen haud quaquam nostros
tunc illa per artus
longe ab sensiferis primordia
motibus errant,
cum correptus homo ex somno se
colligit ipse.
multo igitur mortem minus ad nos
esse putandumst,
si minus esse potest quam quod
nihil esse videmus;
maior enim turbae disiectus
materiai
consequitur leto nec quisquam
o esser premuto dall'alto,
schiacciato sotto il peso della
terra.
"Ora, ora mai più la casa ti
accoglierà in letizia, né la sposa
ottima, né i dolci figli ti correranno
incontro a contendersi
i primi baci, né invaderanno il tuo
cuore di tacita dolcezza.
Non potrai essere uomo di
prospere imprese, né sostegno
ai tuoi. A te misero miseramente"
dicono "un solo giorno
avverso tutti ha tolti i molti doni
della vita".
Ma questo, a tale proposito, non
aggiungono: "né più
il rimpianto di quelle cose ti
accompagna e resta in te".
Se ciò vedessero chiaro con la
mente e vi s'attenessero con le
parole,
si scioglierebbero da grande
angoscia e timore dell'animo.
"Tu certamente, come ti sei
assopito nella morte, così sarai
per tutto il tempo che resta,
esente da tutti i dolori penosi.
Ma noi insaziabilmente abbiamo
pianto te ridotto
in cenere sull'orribile rogo lì vicino,
e nessun giorno
ci leverà dal petto l'eterna
tristezza".
Questo dunque a costui bisogna
chiedere: che mai ci sia
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expergitus extat,
frigida quem semel est vitai pausa
secuta.
Denique si vocem rerum
natura repente.
mittat et hoc alicui nostrum sic
increpet ipsa:
'quid tibi tanto operest, mortalis,
quod nimis aegris
luctibus indulges? quid mortem
congemis ac fles?
nam [si] grata fuit tibi vita ante
acta priorque
et non omnia pertusum congesta
quasi in vas
commoda perfluxere atque ingrata
interiere;
cur non ut plenus vitae conviva
recedis
aequo animoque capis securam,
stulte, quietem?
sin ea quae fructus cumque es
periere profusa
vitaque in offensost, cur amplius
addere quaeris,
rursum quod pereat male et
ingratum occidat omne,
non potius vitae finem facis atque
laboris?
nam tibi praeterea quod machiner
inveniamque,
quod placeat, nihil est; eadem
sunt omnia semper.
si tibi non annis corpus iam
marcet et artus
confecti languent, eadem tamen
omnia restant,
di tanto amaro, se la cosa si
riduce al sonno e alla quiete,
perché uno possa consumarsi in
eterno lutto.
Anche ciò gli uomini fanno quando
si son messi a tavola
e tengono in mano le coppe e
velano la fronte con le corone:
dicono,
dal profondo dell'animo: "Breve è
questo godere per i poveri uomini;
presto sarà passato, né dopo sarà
mai possibile farlo tornare".
Come se nella morte questo
dovesse essere il peggiore
dei loro mali: essere arsi e
disseccati, gli infelici, da un'arida
sete
o essere oppressi dal rimpianto di
qualche altra cosa.
In realtà nessuno sente la
mancanza di sé stesso e della vita
quando la mente e il corpo
riposano insieme assopiti.
Per quanto riguarda noi, infatti,
quel sonno può durare
in perpetuo, né alcun rimpianto di
noi stessi ci affligge.
E tuttavia, attraverso le nostre
membra quei primi principi
non vagano affatto lontano dai
moti sensiferi
quando un uomo, strappatosi al
sonno, raccoglie sé stesso.
Molto meno, dunque, si deve
credere che sia per noi la morte,
se può esserci meno rispetto a ciò
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omnia si perges vivendo vincere
saecla,
atque etiam potius, si numquam
sis moriturus',
quid respondemus, nisi iustam
intendere litem
naturam et veram verbis exponere
causam?
grandior hic vero si iam seniorque
queratur
atque obitum lamentetur miser
amplius aequo,
non merito inclamet magis et voce
increpet acri:
'aufer abhinc lacrimas, baratre, et
compesce querellas.
omnia perfunctus vitai praemia
marces;
sed quia semper aves quod abest,
praesentia temnis,
inperfecta tibi elapsast ingrataque
vita,
et nec opinanti mors ad caput
adstitit ante
quam satur ac plenus possis
discedere rerum.
nunc aliena tua tamen aetate
omnia mitte
aequo animoque, age dum,
magnis concede necessis?'
iure, ut opinor, agat, iure increpet
inciletque;
cedit enim rerum novitate extrusa
vetustas
semper, et ex aliis aliud reparare
necessest.
che vediamo esser nulla;
giacché maggiore dispersione della
materia perturbata
segue alla morte, né alcuno si
risveglia e si leva,
una volta che l'abbia colto la
fredda pausa della vita.
Ancora, se la natura d'un tratto
parlasse e a qualcuno
di noi così facesse, in persona,
questo rimprovero:
"Che cosa, o mortale, ti preme
tanto che indulgi oltremisura
a penosi lamenti? Perché per la
morte ti affliggi e piangi?
Infatti, se ti è stata gradita la vita
che hai trascorsa prima,
né tutti i suoi beni, come
accumulati in un vaso bucato,
sono fluiti via e si sono dileguati
senza che ne godessi,
perché non ti ritiri, come un
convitato sazio della vita,
e non prendi, o stolto, di buon
animo, un riposo sicuro?
Ma se tutti i godimenti che ti sono
stati offerti, sono stati dissipati
e perduti, e la vita ti è in odio,
perché cerchi di aggiungere
ancora
quello che di nuovo andrà
malamente perduto e tutto svanirà
senza profitto? Perché non poni
piuttosto fine alla vita e al
travaglio?
Infatti non c'è più nulla che io
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (53 of 62) [07/08/2003 21.38.53]
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Nec quisquam in baratrum nec possa escogitare e scoprire
Tartara deditur atra;
per te, che ti piaccia: tutte le cose
materies opus est, ut crescant
sono sempre uguali.
postera saecla;
Se il tuo corpo non è ancora sfatto
quae tamen omnia te vita
dagli anni, né le membra
perfuncta sequentur;
stremate languiscono, tuttavia
nec minus ergo ante haec quam tu tutte le cose restano uguali,
cecidere cadentque.
anche se tu dovessi vincere,
sic alid ex alio numquam desistet continuando a vivere,
oriri
tutte le età, anzi perfino se tu non
vitaque mancipio nulli datur,
dovessi morire mai"; omnibus usu.
che cosa risponderemmo, se non
respice item quam nil ad nos ante che la natura intenta
acta vetustas
un giusto processo e con le sue
temporis aeterni fuerit, quam
parole espone una causa vera?
nascimur ante.
E se ora un vecchio cadente si
hoc igitur speculum nobis natura lagnasse e lamentasse
futuri
l'incombere della morte
temporis exponit post mortem
rattristandosi più del giusto,
denique nostram.
non avrebbe essa ragione d'alzare
numquid ibi horribile apparet, num la voce e rimbrottarlo con voce
triste videtur
aspra?
quicquam, non omni somno
"Via di qui con le tue lacrime, o
securius exstat?
uomo da baratro, e rattieni i
Atque ea ni mirum quae
lamenti.
cumque Acherunte profundo
Tutti i doni della vita hai già goduti
prodita sunt esse, in vita sunt
e sei marcio.
omnia nobis.
Ma, perché sempre aneli a ciò che
nec miser inpendens magnum
è lontano e disprezzi quanto è
timet aëre saxum
presente,
Tantalus, ut famast, cassa
incompiuta ti è scivolata via, e
formidine torpens;
senza profitto, la vita,
sed magis in vita divom metus
e inaspettatamente la morte sta
urget inanis
dritta accosto al tuo capo
mortalis casumque timent quem
prima che tu possa andartene
cuique ferat fors.
sazio e contento d'ogni cosa.
nec Tityon volucres ineunt
Ora, comunque, lascia tutte
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (54 of 62) [07/08/2003 21.38.53]
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Acherunte iacentem
queste cose che non si confanno
nec quod sub magno scrutentur
più alla tua età
pectore quicquam
e di buon animo, suvvia, cedi il
perpetuam aetatem possunt
posto ‹ad altri›: è necessario".
reperire profecto.
Giusta, penso, sarebbe l'accusa,
quam libet immani proiectu
giusti i rimbrotti e gl'improperi.
corporis exstet,
Sempre infatti, scacciate dalle
qui non sola novem dispessis
cose nuove, cedono il posto
iugera membris
le vecchie, ed è necessario che
optineat, sed qui terrai totius
una cosa da altre si rinnovi;
orbem,
né alcuno nel baratro del
non tamen aeternum poterit
tenebroso Tartaro sprofonda.
perferre dolorem
Di materia c'è bisogno perché
nec praebere cibum proprio de
crescano le generazioni future;
corpore semper.
che tutte, tuttavia, compiuta la
sed Tityos nobis hic est, in amore loro vita, ti seguiranno;
iacentem
e dunque non meno di te le
quem volucres lacerant atque
generazioni son cadute prima, e
exest anxius angor
cadranno.
aut alia quavis scindunt cuppedine Così le cose non cesseranno mai di
curae.
nascere le une dalle altre,
Sisyphus in vita quoque nobis ante e la vita a nessuno è data in
oculos est,
proprietà, a tutti in usufrutto.
qui petere a populo fasces
Volgiti a considerare parimenti
saevasque secures
come nulla siano state per noi
imbibit et semper victus tristisque le età dell'eterno tempo trascorse
recedit.
prima che noi nascessimo.
nam petere imperium, quod
Questo è dunque lo specchio in cui
inanest nec datur umquam,
la natura ci presenta
atque in eo semper durum
il tempo che alfine seguirà la
sufferre laborem,
nostra morte.
hoc est adverso nixantem trudere Forse in esso appare qualcosa di
monte
orribile, forse si vede qualcosa
saxum, quod tamen [e] summo
di triste? Non è uno stato più
iam vertice rusum
tranquillo di ogni sonno?
volvitur et plani raptim petit
E senza dubbio tutte quelle cose
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aequora campi.
che secondo la tradizione
deinde animi ingratam naturam
sono nell'Acheronte profondo,
pascere semper
sono tutte nella nostra vita.
atque explere bonis rebus
Né Tantalo misero teme il gran
satiareque numquam,
masso che nell'aria
quod faciunt nobis annorum
sovrasta, da vana paura, come è
tempora, circum
fama, paralizzato;
cum redeunt fetusque ferunt
ma piuttosto nella vita un fallace
variosque lepores,
timore degli dèi opprime
nec tamen explemur vitai fructibus i mortali, e temono il colpo che a
umquam,
ognuno può menare la sorte.
hoc, ut opinor, id est, aevo
Né gli uccelli si cacciano dentro
florente puellas
Tizio giacente
quod memorant laticem pertusum nell'Acheronte, né dentro l'ampio
congerere in vas,
petto possono certo
quod tamen expleri nulla ratione trovare qualcosa in cui frugare in
potestur.
perpetuo.
Cerberus et Furiae iam vero et
Si stenda pure con una massa di
lucis egestas,
corpo quanto si voglia
Tartarus horriferos eructans
immane, che copra con le membra
faucibus aestus!
dispiegate,
qui neque sunt usquam nec
non solo nove iugeri, ma tutto
possunt esse profecto;
l'orbe della terra:
sed metus in vita poenarum pro
non potrà tuttavia continuare a
male factis
sopportare un eterno dolore,
est insignibus insignis scelerisque né fornire cibo dal proprio corpo
luela,
per sempre.
carcer et horribilis de saxo iactus Ma Tizio è per noi qui: è colui che
deorsum,
giacente nell'amore
verbera carnifices robur pix
uccelli straziano, cioè lo divora
lammina taedae;
un'ansiosa angoscia
quae tamen etsi absunt, at mens o per qualsiasi altra passione lo
sibi conscia factis
dilaniano affanni.
praemetuens adhibet stimulos
Anche Sisifo è nella vita nostra,
torretque flagellis,
alla vista di tutti:
nec videt interea qui terminus
è colui che aspira ad ottenere dal
esse malorum
popolo i fasci
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possit nec quae sit poenarum
e le crudeli scuri, e sempre vinto e
denique finis,
triste si ritira.
atque eadem metuit magis haec
Giacché cercare un potere che è
ne in morte gravescant.
vano, né vien dato mai,
hic Acherusia fit stultorum denique e in quella ricerca sostenere
vita.
sempre un duro travaglio,
Hoc etiam tibi tute interdum
questo è sospingere con grande
dicere possis.
sforzo su per l'erta d'un monte
'lumina sis oculis etiam bonus
un masso, che tuttavia ‹dalla›
Ancus reliquit,
somma vetta sùbito rotola
qui melior multis quam tu fuit,
di nuovo giù, e ratto corre verso la
improbe, rebus.
distesa della piana campagna.
inde alii multi reges rerumque
Ancora: pascer sempre
potentes
l'insaziabile natura dell'animo
occiderunt, magnis qui gentibus
e tuttavia non colmarla mai di
imperitarunt.
beni, né mai saziarla,
ille quoque ipse, viam qui
come a noi fanno le stagioni
quondam per mare magnum
dell'anno, quando, in giro
stravit iterque dedit legionibus ire volgendosi, ritornano e ci recano i
per altum
frutti e le varie delizie,
ac pedibus salsas docuit super ire senza che tuttavia noi siamo mai
lucunas
paghi delle gioie della vita,
et contempsit equis insultans
questa, io penso, è la favola delle
murmura ponti,
fanciulle nel fiore dell'età,
lumine adempto animam
le quali raccolgono l'acqua in un
moribundo corpore fudit.
vaso perforato,
Scipiadas, belli fulmen,
che tuttavia non si può in alcun
Carthaginis horror,
modo riempire.
ossa dedit terrae proinde ac famul Cerbero e le Furie, per soprappiù,
infimus esset.
e la mancanza di luce,
adde repertores doctrinarum
il Tartaro eruttante dalle fauci
atque leporum,
vampe orribili,
adde Heliconiadum comites;
che non esistono in alcun luogo,
quorum unus Homerus
né invero possono esistere!
sceptra potitus eadem aliis sopitus Ma c'è nella vita il timore delle
quietest.
pene,
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denique Democritum post quam
grave per i crimini gravi, e
matura vetustas
l'espiazione della colpa,
admonuit memores motus
il carcere e l'orribile precipitare giù
languescere mentis,
dalla rupe,
sponte sua leto caput obvius
staffilate, carnefici, cavalletto,
optulit ipse.
pece, lamine, fiaccole;
ipse Epicurus obit decurso lumine e anche se son lontani, pure la
vitae,
mente, conscia dei propri misfatti,
qui genus humanum ingenio
in ansia infligge assilli a sé stessa
superavit et omnis
e si brucia con staffili,
restinxit stellas exortus ut
né vede intanto quale possa
aetherius sol.
essere il termine dei mali,
tu vero dubitabis et indignabere
né quale sia alfine la fine delle
obire?
pene, e anzi teme
mortua cui vita est prope iam vivo che queste stesse afflizioni nella
atque videnti,
morte diventino più gravi.
qui somno partem maiorem
Alfine, è qui che la vita degli stolti
conteris aevi,
diventa un inferno.
et viligans stertis nec somnia
Anche questo talora tu potresti
cernere cessas
dire a te stesso:
sollicitamque geris cassa formidine "Chiuse i suoi occhi alla luce anche
mentem
il buon Anco,
nec reperire potes tibi quid sit
che in molte cose fu migliore di te,
saepe mali, cum
o briccone.
ebrius urgeris multis miser
Caddero poi molti altri re e
undique curis
dominatori del mondo,
atque animo incerto fluitans errore che su grandi nazioni esercitarono
vagaris.'
il comando.
Si possent homines, proinde ac Quegli stesso che un giorno aprì
sentire videntur
una via per il grande mare
pondus inesse animo, quod se
e offerse alle legioni un cammino
gravitate fatiget,
perché andassero sopra
e quibus id fiat causis quoque
le profondità marine, e insegnò a
noscere et unde
varcare a piedi i salati abissi,
tanta mali tam quam moles in
e disprezzò i fragori dei flutti
pectore constet,
calpestandoli coi cavalli,
haut ita vitam agerent, ut nunc
anch'egli fu privato della luce ed
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plerumque videmus
quid sibi quisque velit nescire et
quaerere semper,
commutare locum, quasi onus
deponere possit.
exit saepe foras magnis ex
aedibus ille,
esse domi quem pertaesumst,
subitoque [revertit>,
quippe foris nihilo melius qui
sentiat esse.
currit agens mannos ad villam
praecipitanter
auxilium tectis quasi ferre
ardentibus instans;
oscitat extemplo, tetigit cum
limina villae,
aut abit in somnum gravis atque
oblivia quaerit,
aut etiam properans urbem petit
atque revisit.
hoc se quisque modo fugit, at
quem scilicet, ut fit,
effugere haut potis est: ingratius
haeret et odit
propterea, morbi quia causam non
tenet aeger;
quam bene si videat, iam rebus
quisque relictis
naturam primum studeat
cognoscere rerum,
temporis aeterni quoniam, non
unius horae,
ambigitur status, in quo sit
mortalibus omnis
aetas, post mortem quae restat
esalò l'anima dal corpo morente.
Scipione, fulmine di guerra,
terrore di Cartagine,
rese le ossa alla terra come se
fosse un infimo schiavo.
Aggiungi gli scopritori delle
scienze e delle arti,
aggiungi i compagni delle Muse,
tra i quali Omero, l'unico,
dopo aver conquistato lo scettro,
s'addormentò dello stesso sonno
degli altri.
E ancora: dopoché matura
vecchiezza fece sentire a
Democrito
che i memori movimenti della
mente languivano,
spontaneamente alla morte andò
incontro e offrì il proprio capo.
Lo stesso Epicuro morì, dopo aver
percorso il luminoso tratto
della vita, egli che per ingegno
superò il genere umano, e tutti
offuscò, come il sole sorto
nell'etere offusca le stelle.
E tu esiterai e t'indignerai di
morire?
Tu cui la vita è quasi morta,
mentre sei ancora vivo e vedi;
tu che nel sonno consumi la parte
maggiore del tempo
e sveglio russi, né cessi di vedere
sogni
ed hai la mente assillata da vana
paura,
e spesso non sei capace di
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (59 of 62) [07/08/2003 21.38.53]
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cumque manendo.
Denique tanto opere in dubiis
trepidare periclis
quae mala nos subigit vitai tanta
cupido?
certe equidem finis vitae
mortalibus adstat
nec devitari letum pote, quin
obeamus.
praeterea versamur ibidem atque
insumus usque
nec nova vivendo procuditur ulla
voluptas;
sed dum abest quod avemus, id
exsuperare videtur
cetera; post aliud, cum contigit
illud, avemus
et sitis aequa tenet vitai semper
hiantis.
posteraque in dubiost fortunam
quam vehat aetas,
quidve ferat nobis casus quive
exitus instet.
nec prorsum vitam ducendo
demimus hilum
tempore de mortis nec delibare
valemus,
quo minus esse diu possimus forte
perempti.
proinde licet quod vis vivendo
condere saecla,
mors aeterna tamen nihilo minus
illa manebit,
nec minus ille diu iam non erit, ex
hodierno
lumine qui finem vitai fecit, et ille,
mensibus atque annis qui multis
scoprire che male tu abbia,
mentre
ebbro sei oppresso da molti
affanni, infelice, da ogni parte,
e vaghi ondeggiando in preda al
confuso errore dell'animo".
Se gli uomini, come si vede che
sentono di avere
in fondo all'animo un peso che con
la sua gravezza li affatica,
potessero anche conoscere da che
cause ciò provenga e perché
una sì grande mole, per così dire,
di male nel petto persista,
non così passerebbero la vita,
come ora per lo più li vediamo:
ognuno non sa quel che si voglia e
cerca sempre
di mutar luogo, quasi potesse
deporre il suo peso.
Esce spesso fuori del grande
palazzo colui
che lo stare in casa ha tediato, e
sùbito ‹ritorna›,
giacché sente che fuori non si sta
per niente meglio.
Corre alla villa, sferzando i puledri,
precipitosamente,
come se si affrettasse a recar
soccorso alla casa in fiamme;
sbadiglia immediatamente,
appena ha toccato la soglia
della villa, o greve si sprofonda nel
sonno e cerca l'oblio,
o anche parte in fretta e furia per
la città e torna a vederla.
Così ciascuno fugge sé stesso, ma,
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (60 of 62) [07/08/2003 21.38.53]
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occidit ante.
a quel suo 'io', naturalmente,
come accade, non potendo
sfuggire, malvolentieri gli resta
attaccato,
e lo odia, perché è malato e non
comprende la causa del male;
se la scorgesse bene, ciascuno,
lasciata ormai ogni altra cosa,
mirerebbe prima di tutto a
conoscere la natura delle cose,
giacché è in questione non la
condizione di un'ora sola,
ma quella del tempo senza fine, in
cui i mortali devono aspettarsi
che si trovi tutta l'età, qualunque
essa sia, che resta dopo la morte.
Infine, a trepidare tanto nei
dubbiosi cimenti
quale trista brama di vita con
tanta forza ci costringe?
Senza dubbio un termine certo
della vita incombe ai mortali,
né la morte si può evitare,
dobbiamo incontrarla.
Inoltre, ci moviamo nello stesso
giro e vi rimaniamo sempre,
né col continuare a vivere si
produce alcun nuovo piacere;
ma, finché ciò che bramiamo è
lontano, sembra che esso superi
ogni altra cosa; poi, quando
abbiamo ottenuto quello, altro
bramiamo e un'uguale sete di vita
sempre in noi avidi riarde.
Ed è dubbio qual sorte apporti il
tempo futuro,
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (61 of 62) [07/08/2003 21.38.53]
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che cosa ci rechi il caso, quale fine
sovrasti.
Né, protraendo la vita, sottraiamo
mai nulla
dal tempo della morte, in nulla
siamo in grado d'intaccarlo,
sì da potere, forse, per un tempo
più breve essere morti.
Puoi, quindi, vivendo finire quante
generazioni vuoi:
ti aspetterà pur sempre quella
morte eterna;
né per colui che ha finito la vita
con la luce
di questo giorno il non esistere più
sarà più breve
che per colui che già da molti mesi
ed anni scomparve.
(Ll)
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (62 of 62) [07/08/2003 21.38.53]
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De Rerum Natura - Liber IV
Avia Pieridum peragro loca
nullius ante
trita solo. iuvat integros accedere
fontis
atque haurire, iuvatque novos
decerpere flores
insignemque meo capiti petere
inde coronam,
unde prius nulli velarint tempora
musae;
primum quod magnis doceo de
rebus et artis
religionum animum nodis
exsolvere pergo,
deinde quod obscura de re tam
lucida pango
carmina musaeo contingens
cuncta lepore.
id quoque enim non ab nulla
ratione videtur;
nam vel uti pueris absinthia taetra
medentes
cum dare conantur, prius oras
pocula circum
contingunt mellis dulci flavoque
liquore,
ut puerorum aetas inprovida
ludificetur
labrorum tenus, interea perpotet
amarum
absinthi laticem deceptaque non
capiatur,
sed potius tali facto recreata
valescat,
Percorro remote regioni delle
Pieridi, ove nessuno prima
impresse orma. Godo ad
appressarmi alle fonti intatte
e bere, e godo a cogliere nuovi
fiori
e comporre per il mio capo una
corona gloriosa,
di cui prima a nessuno le Muse
abbiano velato le tempie;
anzitutto perché grandi cose io
insegno, e cerco
di sciogliere l'animo dagli stretti
nodi della superstizione;
poi perché su oscura materia
compongo versi tanto luminosi,
tutto cospargendo col fascino delle
Muse.
Infatti anche questo appare non
privo di ragione;
ma, come i medici, quando
cercano di dare ai fanciulli
il ripugnante assenzio, prima gli
orli, tutt'attorno al bicchiere,
cospargono col dolce e biondo
liquore del miele,
perché nell'imprevidenza della loro
età i fanciulli siano ingannati,
non oltre le labbra, e intanto
bevano interamente l'amara
bevanda dell'assenzio e
dall'inganno non ricevano danno,
ma al contrario in tal modo
risanati riacquistino vigore;
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (1 of 73) [07/08/2003 21.41.33]
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sic ego nunc, quoniam haec ratio così io ora, poiché questa dottrina
plerumque videtur
per lo più pare
tristior esse quibus non est
troppo ostica a coloro che non
tractata, retroque
l'hanno coltivata,
volgus abhorret ab hac, volui tibi e il volgo rifugge lontano da essa,
suaviloquenti
ho voluto esporti
carmine Pierio rationem exponere la nostra dottrina col canto delle
nostram
Pieridi che suona soave,
et quasi musaeo dulci contingere e quasi cospargerla col dolce miele
melle;
delle Muse,
si tibi forte animum tali ratione
per provare se per caso potessi in
tenere
tal modo tenere
versibus in nostris possem, dum
avvinto il tuo animo ai miei versi,
percipis omnem
finché comprendi tutta
naturam rerum ac persentis
la natura e senti a fondo il
utilitatem.
vantaggio.
Sed quoniam docui cunctarum E, poiché ho insegnato quale sia la
exordia rerum
natura dell'animo
qualia sint et quam variis distantia e di quali elementi costituita viva
formis
in unione col corpo
sponte sua volitent aeterno percita e in che modo, una volta divisa,
motu
torni ai primi principi,
quoque modo possit res ex his
ora comincerò a dirti ciò che con
quaeque creari,
queste cose è connesso
[nunc agere incipiam tibi quod
strettamente: esistono quelli che
vehementer ad has res
chiamiamo simulacri delle cose;
attinet esse ea quae rerum
i quali, come membrane strappate
simulacra vocamus,
dalla superficie delle cose,
quae quasi membranae vel cortex volteggiano qua e là per l'aria; e
nominitandast,]
sono essi stessi
atque animi quoniam docui natura che atterriscono gli animi,
quid esset
presentandosi a noi,
et quibus e rebus cum corpore
sia mentre vegliamo, sia nel
compta vigeret
sonno, quando spesso osserviamo
quove modo distracta rediret in
figure strane e spettri di gente che
ordia prima,
ha perduto la luce della vita,
nunc agere incipiam tibi, quod
i quali spesso, mentre languivamo
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (2 of 73) [07/08/2003 21.41.33]
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vehementer ad has res
addormentati, paurosamente
attinet esse ea quae rerum
ci svegliarono: perché non
simulacra vocamus,
crediamo, per caso, che le anime
quod speciem ac formam similem fuggano dall'Acheronte o che le
gerit eius imago,
ombre volteggino tra i viventi
cuius cumque cluet de corpore
o che qualcosa di noi possa durare
fusa vagari;
dopo la morte,
quae quasi membranae summo de quando il corpo e la natura
corpore rerum
dell'animo insieme disfatti
dereptae volitant ultroque citroque si sono disgregati nei loro diversi
per auras,
principi primi.
atque eadem nobis vigilantibus
Dico dunque che immagini delle
obvia mentes
cose e tenui figure
terrificant atque in somnis, cum
sono emesse dalle cose e si
saepe figuras
staccano dalla loro superficie.
contuimur miras simulacraque
Ciò si può conoscere di qui, anche
luce carentum,
con mente ottusa.
quae nos horrifice languentis
[Ma, poiché ho insegnato quali
saepe sopore
siano i principi
excierunt ne forte animas
di tutte le cose e quanto differenti
Acherunte reamur
per varietà di forme
effugere aut umbras inter vivos
spontaneamente volteggino,
volitare
stimolati da moto eterno,
neve aliquid nostri post mortem
e in che modo da questi si possa
posse relinqui,
produrre ogni cosa,
cum corpus simul atque animi
ora comincerò a dirti ciò che con
natura perempta
queste cose è connesso
in sua discessum dederint
strettamente: esistono quelli che
primordia quaeque.
chiamiamo simulacri delle cose,
dico igitur rerum effigias tenuisque cui si può dare quasi il nome di
figuras
membrane o di corteccia,
mittier ab rebus summo de cortice poiché l'immagine presenta
eorum;
aspetto e forma simile all'oggetto,
id licet hinc quamvis hebeti
qualunque sia, dal cui corpo essa
cognoscere corde.
appare emanata per vagare.]
Principio quoniam mittunt in
Anzitutto, poiché molte tra le cose
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (3 of 73) [07/08/2003 21.41.33]
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rebus apertis
visibili emettono
corpora res multae, partim diffusa corpi, in parte liberamente diffusi,
solute,
come la legna emette fumo e il
robora ceu fumum mittunt
fuoco calore,
ignesque vaporem,
e in parte più strettamente
et partim contexta magis
contesti e densi, come si vede
condensaque, ut olim
talora, quando le cicale in estate
cum teretis ponunt tunicas aestate depongono le fini tuniche,
cicadae,
e quando i vitelli nascendo
et vituli cum membranas de
lasciano cadere membrane
corpore summo
dalla superficie del corpo, e
nascentes mittunt, et item cum
similmente quando la lubrica
lubrica serpens
serpe lascia tra i pruni la veste:
exuit in spinis vestem; nam saepe infatti spesso vediamo
videmus
i pruneti coperti di svolazzanti
illorum spoliis vepres volitantibus spoglie di serpi auctas.
poiché tali cose accadono, una
quae quoniam fiunt, tenuis quoque tenue immagine deve pure
debet imago
dalle cose essere emessa,
ab rebus mitti summo de corpore staccarsi dalla superficie delle
rerum.
cose.
nam cur illa cadant magis ab
Infatti, perché cadano e si scostino
rebusque recedant
dalle cose quegli oggetti
quam quae tenvia sunt, hiscendist piuttosto che altri più sottili, non è
nulla potestas;
possibile dire;
praesertim cum sint in summis
tanto più che le cose hanno in
corpora rebus
superficie molti corpi
multa minuta, iaci quae possint
minuti, tali che possono volarne
ordine eodem
via nello stesso ordine
quo fuerint et formai servare
in cui erano, conservando la forma
figuram,
esteriore,
et multo citius, quanto minus
tanto più velocemente, quanto
indupediri
meno possono essere impediti,
pauca queunt et [quae] sunt
pochi come sono, e collocati in
prima fronte locata.
prima linea.
nam certe iacere ac largiri multa Giacché certo vediamo molte cose
videmus,
emettere particelle e spanderle in
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non solum ex alto penitusque, ut
diximus ante,
verum de summis ipsum quoque
saepe colorem.
et volgo faciunt id lutea russaque
vela
et ferrugina, cum magnis intenta
theatris
per malos volgata trabesque
trementia flutant;
namque ibi consessum caveai
supter et omnem
scaenai speciem patrum
matrumque deorsum
inficiunt coguntque suo fluitare
colore.
et quanto circum mage sunt
inclusa theatri
moenia, tam magis haec intus
perfusa lepore
omnia conrident correpta luce diei.
ergo lintea de summo cum
corpore fucum
mittunt, effigias quoque debent
mittere tenvis
res quaeque, ex summo quoniam
iaculantur utraque.
sunt igitur iam formarum vestigia
certa,
quae volgo volitant subtili praedita
filo
nec singillatim possunt secreta
videri.
Praeterea omnis odor fumus
vapor atque aliae res
consimiles ideo diffusae rebus
abbondanza,
non solo dal profondo e
dall'intimo, come abbiamo detto
prima,
ma anche dalla superficie: e ciò
avviene spesso per il loro stesso
colore.
E generalmente fanno questo i
velari gialli e rossi
e color di ruggine, quando, tesi su
grandi teatri,
oscillano e fluttuano, spiegati
ovunque tra pali e travi:
ivi infatti colorano sotto di sé il
pubblico delle gradinate
e tutto lo sfoggio della scena ‹e la
splendida folla dei senatori›,
e li costringono a fluttuare nei loro
colori.
E quanto più sono chiuse,
tutt'intorno, le pareti
del teatro, tanto più ciò che è
dentro, soffuso di grazia,
ride tutto nella raccolta luce del
giorno.
Dunque, se le tele emettono dalla
superficie il colore,
ogni oggetto deve anche emettere
immagini tenui,
poiché in ambo i casi è dalla
superficie che avviene il lancio.
Ci sono dunque, senz'altro, sicure
tracce di forme,
che dovunque volteggiano fornite
di un sottile tessuto,
né si possono vedere separate ad
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abundant,
ex alto quia dum veniunt
extrinsecus ortae
scinduntur per iter flexum, nec
recta viarum
ostia sunt, qua contendant exire
coortae.
at contra tenuis summi membrana
coloris
cum iacitur, nihil est quod eam
discerpere possit,
in promptu quoniam est in prima
fronte locata.
Postremo speculis in aqua
splendoreque in omni
quae cumque apparent nobis
simulacra, necessest,
quandoquidem simili specie sunt
praedita rerum,
exin imaginibus missis consistere
eorum.
[nam cur illa cadant magis ab
rebusque recedant
quam quae tenuia sunt, hiscendist
nulla potestas.]
sunt igitur tenues formarum illis
similesque
effigiae, singillatim quas cernere
nemo
cum possit, tamen adsiduo
crebroque repulsu
reiectae reddunt speculorum ex
aequore visum,
nec ratione alia servari posse
videntur,
tanto opere ut similes reddantur
cuique figurae.
una ad una.
Inoltre, ogni odore, fumo, calore e
altre cose
consimili, perciò traboccano dalle
cose, disperdendosi,
perché, venendo dalle profondità,
al cui interno son sorti,
si scindono nel cammino sinuoso,
né le vie hanno varchi diretti
per cui possano affrettarsi a uscire
insieme, dopo esser insieme sorti.
Per contro, quando vien lanciata la
tenue membrana d'un colore
che si trova alla superficie, non c'è
nulla che possa lacerarla,
perché, collocata in prima linea,
ha sgombro il cammino.
Infine, tutti i simulacri che ci
appaiono negli specchi,
nell'acqua e in ogni superficie
risplendente,
giacché sono dotati di aspetto
simile alle cose,
devono consistere di immagini
emesse da queste.
Ci sono dunque tenui immagini
delle forme, simili ad esse,
che, sebbene nessuno le possa
discernere ad una ad una,
tuttavia, rinviate indietro con
assiduo e frequente riflesso,
rimandano dal piano degli specchi
la visione,
e si vede che non possono
altrimenti conservarsi,
in modo che sian riflesse figure
tanto simili a ciascun oggetto.
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Nunc age, quam tenui natura
constet imago
percipe. et in primis, quoniam
primordia tantum
sunt infra nostros sensus tantoque
minora
quam quae primum oculi coeptant
non posse tueri,
nunc tamen id quoque uti
confirmem, exordia rerum
cunctarum quam sint subtilia
percipe paucis.
primum animalia sunt iam partim
tantula, corum
tertia pars nulla possit ratione
videri.
horum intestinum quodvis quale
esse putandumst!
quid cordis globus aut oculi? quid
membra? quid artus?
quantula sunt! quid praeterea
primordia quaeque,
unde anima atque animi constet
natura necessumst,
nonne vides quam sint subtilia
quamque minuta?
praeterea quaecumque suo de
corpore odorem
expirant acrem, panaces absinthia
taetra
habrotonique graves et tristia
centaurea,
quorum unum quidvis leviter si
forte duobus
***
quin potius noscas rerum
E ora apprendi di che tenue natura
consti l'immagine.
E in primo luogo, considera quanto
i primi principi
sono al di sotto dei nostri sensi e
quanto più piccoli delle cose
che gli occhi primamente
cominciano a non potere più
scorgere.
Ora, tuttavia, affinché io ti
confermi anche questo, apprendi
in poche parole quanto siano sottili
i principi di tutte le cose.
Anzitutto, già ci sono alcuni
animali talmente piccoli
che una terza parte di loro non si
può in alcun modo vedere.
Un viscere qualunque di questi,
come si deve credere che sia?
E il globo del cuore o dell'occhio? E
le membra? E gli arti?
Quanto son piccini? Che dire poi di
ciascuno dei primi principi
di cui deve constare la loro anima
e la natura dell'animo?
Non vedi forse quanto siano sottili
e quanto minuti?
Inoltre, tutte le cose che emanano
dal proprio corpo
un odore acre, la panacea, il
ripugnante assenzio
e l'abrotono greve e l'amara
centaurea:
se per caso ‹premi› un poco tra
due ‹dita› una qualunque di
queste,
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simulacra vagari
‹un forte odore aderirà alle tue
multa modis multis, nulla vi
dita...› ...
cassaque sensu?
e non riconoscere piuttosto che
Sed ne forte putes ea demum molti simulacri di cose vagano
sola vagari,
in molti modi, non dotati di forza
quae cumque ab rebus rerum
propria e privi di sensibilità?
simulacra recedunt,
Ma, affinché tu non creda, per
sunt etiam quae sponte sua
caso, che vadano vagando solo
gignuntur et ipsa
quei simulacri che si distaccano
constituuntur in hoc caelo, qui
dalle cose, e non altri,
dicitur aer,
esistono anche quelli che si
quae multis formata modis
generano spontaneamente
sublime feruntur,
e si formano da soli in questa
ut nubes facile inter dum
regione del cielo
concrescere in alto
che si chiama aria, e foggiati in
cernimus et mundi speciem violare molti modi volano in alto,
serenam
come talora vediamo le nuvole
aëra mulcentes motu; nam saepe facilmente formarsi nell'alto
Gigantum
del cielo e oscurare il sereno
ora volare videntur et umbram
aspetto del firmamento,
ducere late,
accarezzando l'aria col moto: ché
inter dum magni montes
spesso si vedono volare
avolsaque saxa
volti di Giganti e spander l'ombra
montibus ante ire et solem
per ampio spazio,
succedere praeter,
talora grandi monti e macigni
inde alios trahere atque inducere divelti
belua nimbos.
dai monti avanzare e passar
nec speciem mutare suam
davanti al sole,
liquentia cessant
poi una belva tirarsi dietro altri
et cuiusque modi formarum
nembi e guidarli.
vertere in oras.
E fondendosi non cessano di
Nunc ea quam facili et celeri
mutare il proprio aspetto
ratione genantur
e assumere contorni di forme
perpetuoque fluant ab rebus
d'ogni specie.
lapsaque cedant
Ora, in che facile e celere modo si
***
generino quei simulacri,
semper enim summum quicquid
e di continuo fluiscano dalle cose e
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de rebus abundat,
quod iaculentur. et hoc alias cum
pervenit in res,
transit, ut in primis vestem; sed
ubi aspera saxa
aut in materiam ligni pervenit, ibi
iam
scinditur, ut nullum simulacrum
reddere possit.
at cum splendida quae constant
opposta fuerunt
densaque, ut in primis speculum
est, nihil accidit horum;
nam neque, uti vestem, possunt
transire, neque autem
scindi; quam meminit levor
praestare salutem.
qua propter fit ut hinc nobis
simulacra redundent.
et quamvis subito quovis in
tempore quamque
rem contra speculum ponas,
apparet imago;
perpetuo fluere ut noscas e
corpore summo
texturas rerum tenuis tenuisque
figuras.
ergo multa brevi spatio simulacra
genuntur,
ut merito celer his rebus dicatur
origo.
et quasi multa brevi spatio
summittere debet
lumina sol, ut perpetuo sint omnia
plena,
sic ab rebus item simili ratione
staccatisi s'allontanino,
‹io esporrò...› ...
sempre infatti ciò che è
all'estrema superficie trabocca
dalle cose, sì che esse possono
emetterlo. E quando ciò raggiunge
altre cose, le attraversa, come fa
soprattutto con la stoffa.
Ma, quando ha raggiunto aspre
rocce o legname, lì sùbito
si lacera, sì che non può
rimandare alcun simulacro.
Ma, quando fanno ostacolo oggetti
risplendenti e densi,
qual è soprattutto lo specchio,
niente di simile accade.
Infatti non può attraversarli, come
la stoffa, né d'altra parte
può lacerarsi: a conservarlo così
illeso provvede la levigatezza.
Perciò avviene che di lì tornino a
noi riflessi i simulacri.
E per quanto subitamente, in
qualsiasi momento, tu ponga
una cosa qualunque contro uno
specchio, appare l'immagine;
sì che puoi conoscere che sempre
fluiscono dalla superficie
dei corpi tessuti tenui e tenui
figure delle cose.
Dunque, molti simulacri in breve
tempo si generano,
sì che a ragione può dirsi che per
tali cose sia celere il nascere.
E come il sole deve spandere in
breve tempo molti
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necessest
temporis in puncto rerum
simulacra ferantur
multa modis multis in cunctas
undique partis;
quandoquidem speculum quo
cumque obvertimus oris,
res ibi respondent simili forma
atque colore.
Praeterea modo cum fuerit
liquidissima caeli
tempestas, perquam subito fit
turbida foede,
undique uti tenebras omnis
Acherunta rearis
liquisse et magnas caeli complesse
cavernas.
usque adeo taetra nimborum
nocte coorta
inpendent atrae Formidinis ora
superne;
quorum quantula pars sit imago
dicere nemost
qui possit neque eam rationem
reddere dictis.
Nunc age, quam celeri motu
simulacra ferantur,
et quae mobilitas ollis tranantibus
auras
reddita sit, longo spatio ut brevis
hora teratur,
in quem quaeque locum diverso
numine tendunt,
suavidicis potius quam multis
versibus edam;
parvus ut est cycni melior canor,
ille gruum quam
raggi perché continuamente tutto
ne sia pieno,
così dalle cose, parimenti e per
simile ragione, devono
in un istante effondersi molti
simulacri di cose,
in molti modi, da ogni parte, in
tutte le direzioni;
giacché, ovunque volgiamo alle
superfici delle cose
lo specchio, le cose vi si riflettono
con simile forma e colore.
Inoltre, il cielo, anche se fu or ora
in uno stato di estrema
limpidezza,
con la massima celerità diventa
orridamente torbido,
sì che potresti credere che da ogni
parte le tenebre abbiano tutte
lasciato l'Acheronte e abbiano
riempito le grandi caverne del
cielo:
a tal punto, sorta la tetra notte dei
nembi,
incombono dall'alto volti di cupa
paura;
e tuttavia, di questi quanto piccola
parte sia l'immagine,
non c'è alcuno che possa dirlo, né
a parole renderne conto.
E ora, con che celere moto
procedano i simulacri
e quale mobilità nell'attraversare a
nuoto l'aria sia ad essi data,
sì che in lungo tragitto si consuma
breve tempo,
quale che sia il luogo a cui
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clamor in aetheriis dispersus
nubibus austri.
Principio persaepe levis res
atque minutis
corporibus factas celeris licet esse
videre.
in quo iam genere est solis lux et
vapor eius,
propterea quia sunt e primis facta
minutis,
quae quasi cuduntur perque aëris
intervallum
non dubitant transire sequenti
concita plaga;
suppeditatur enim confestim
lumine lumen
et quasi protelo stimulatur fulgere
fulgur.
qua propter simulacra pari ratione
necessest
inmemorabile per spatium
transcurrere posse
temporis in puncto, primum quod
parvola causa
est procul a tergo quae provehat
atque propellat,
quod super est, ubi tam volucri
levitate ferantur,
deinde quod usque adeo textura
praedita rara
mittuntur, facile ut quasvis
penetrare queant res
et quasi permanare per aëris
intervallum.
Praeterea si quae penitus
corpuscula rerum
ciascuno con diverso impulso
tende,
esporrò in versi soavi piuttosto
che numerosi;
così il breve canto del cigno è
migliore di quel clamore
delle gru disperso tra le eteree
nubi dell'Austro.
Anzitutto, molto spesso si può
vedere che le cose leggere
e fatte di corpi minuti sono celeri.
Di tale specie sono, certo, la luce
del sole e il suo calore
perché sono fatti di elementi
minuti,
che vengono quasi battuti e non
esitano ad attraversare
l'aria interposta, incalzati dal colpo
susseguente.
Sùbito infatti luce succede a luce
e, come in serie
ininterrotta, splendore è stimolato
da splendore.
Perciò bisogna che i simulacri
parimenti possano
trascorrere in un istante
attraverso uno spazio
inimmaginabile, anzitutto perché
c'è una piccola causa
lontano, da tergo, che li sospinge
e li caccia innanzi,
quando, del resto, essi procedono
con tanto alata levità;
poi perché vengono emessi dotati
di un tessuto così rado
che posson penetrare facilmente
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ex altoque foras mittuntur, solis
uti lux
ac vapor, haec puncto cernuntur
lapsa diei
per totum caeli spatium diffundere
sese
perque volare mare ac terras
caelumque rigare.
quid quae sunt igitur iam prima
fronte parata,
cum iaciuntur et emissum res
nulla moratur?
quone vides citius debere et
longius ire
multiplexque loci spatium
transcurrere eodem
tempore quo solis pervolgant
lumina caelum?
Hoc etiam in primis specimen
verum esse videtur,
quam celeri motu rerum simulacra
ferantur,
quod simul ac primum sub diu
splendor aquai
ponitur, extemplo caelo stellante
serena
sidera respondent in aqua
radiantia mundi.
iamne vides igitur quam puncto
tempore imago
aetheris ex oris in terrarum
accidat oras?
quare etiam atque etiam mitti
fateare necessest
corpora quae feriant oculos
visumque lacessant.
perpetuoque fluunt certis ab rebus
in cose di qualunque tipo
e, per così dire, infiltrarsi
attraverso l'aria interposta.
Inoltre, se quelle particelle che
son mandate fuori
dalle intime profondità delle cose,
come la luce
e il calore del sole, in un momento
si vedono staccarsi
e diffondersi per tutto lo spazio del
cielo
e volare su per il mare e le terre e
inondare il cielo,
che avverrà allora di quelle che
son già pronte in prima linea,
quando vengono lanciate via e
nulla ne ritarda il dipartirsi?
Non vedi quanto più presto e più
lontano debbono andare,
e correre attraverso una distesa di
spazio molto più grande,
nel tempo stesso in cui i raggi del
sole si spandono per il cielo?
Anche questa sembra essere una
prova sopra tutte vera
del celere moto con cui procedono
i simulacri delle cose:
appena si pone sotto il cielo
sereno un'acqua limpida,
sùbito, se il cielo è stellato, puri
rispondono nell'acqua i raggianti
astri del firmamento.
Non vedi, dunque, ormai come in
un istante l'immagine
cada dalle plaghe dell'etere nelle
plaghe terrene?
Perciò, ancora e ancora, devi
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odores,
frigus ut a fluviis, calor ab sole,
aestus ab undis
aequoris, exesor moerorum litora
circum,
nec variae cessant voces volitare
per auras.
denique in os salsi venit umor
saepe saporis,
cum mare versamur propter,
dilutaque contra
cum tuimur misceri absinthia,
tangit amaror.
usque adeo omnibus ab rebus res
quaeque fluenter
fertur et in cunctas dimittitur
undique partis
nec mora nec requies interdatur
ulla fluendi,
perpetuo quoniam sentimus et
omnia semper
cernere odorari licet et sentire
sonare.
Praeterea quoniam manibus
tractata figura
in tenebris quaedam cognoscitur
esse eadem quae
cernitur in luce et claro candore,
necessest
consimili causa tactum visumque
moveri.
nunc igitur si quadratum
temptamus et id nos
commovet in tenebris, in luci quae
poterit res
accidere ad speciem quadrata, nisi
riconoscere che con mirabile
‹rapidità sono emessi dalle cose›
corpi che feriscono gli occhi e
provocano il vedere.
E continuamente fluiscono da
certe cose gli odori;
come il fresco dai fiumi, il calore
dal sole, dalle onde del mare
l'esalazione che corrode i muri
intorno alle spiagge.
Né cessano varie voci di
volteggiare per l'aria.
Ancora, spesso entra nella bocca
un'umidità di sapore salmastro
quando camminiamo lungo il
mare; e d'altra parte, quando
guardiamo mescolare un infuso
d'assenzio, ci punge l'amaro.
A tal punto è vero che da tutte le
cose emanazioni d'ogni tipo
fluendo si staccano e da ogni parte
si diffondono in tutte
le direzioni, né sosta né requie è
mai dato frapporre al fluire,
giacché di continuo i nostri sensi
ne sono impressionati,
e sempre possiamo vedere ogni
cosa, percepirne odori e suoni.
Inoltre, giacché una forma palpata
con le mani
nelle tenebre si riconosce in certo
modo uguale a quella
che si discerne alla luce e nel
luminoso fulgore,
da una simile causa devono essere
mossi il tatto e la vista.
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eius imago?
esse in imaginibus qua propter
causa videtur
cernundi neque posse sine his res
ulla videri.
Nunc ea quae dico rerum
simulacra feruntur
undique et in cunctas iaciuntur
didita partis;
verum nos oculis quia solis
cernere quimus,
propterea fit uti, speciem quo
vertimus, omnes
res ibi eam contra feriant forma
atque colore.
et quantum quaeque ab nobis res
absit, imago
efficit ut videamus et internoscere
curat;
nam cum mittitur, extemplo
protrudit agitque
aëra qui inter se cumque est
oculosque locatus,
isque ita per nostras acies
perlabitur omnis
et quasi perterget pupillas atque
ita transit.
propterea fit uti videamus quam
procul absit
res quaeque. et quanto plus aëris
ante agitatur
et nostros oculos perterget longior
aura,
tam procul esse magis res
quaeque remota videtur.
scilicet haec summe celeri ratione
geruntur,
Ora, dunque, se tastiamo un
oggetto quadrato e di questo
riceviamo l'impressione nelle
tenebre, nella luce che cosa
potrà offrirsi quadrata allo
sguardo, se non la sua immagine?
È quindi evidente che la causa del
vedere sta nelle immagini
e che senza di queste non può
essere veduta cosa alcuna.
Ora, quei simulacri di cui parlo,
procedono
da ogni parte e si lanciano e
diffondono in ogni direzione.
Ma, poiché noi possiamo vedere
soltanto con gli occhi,
perciò accade che, ove volgiamo lo
sguardo, ivi tutte le cose
gli si fanno incontro e lo
colpiscono con la forma e il colore.
E quanto ogni cosa sia da noi
distante, è l'immagine
che ce lo fa vedere e procura che
lo determiniamo.
Infatti, quando viene emessa,
sùbito caccia innanzi e spinge
l'aria, quale che sia, che si trova
interposta fra essa e gli occhi,
e così questa scorre tutta nel
nostro sguardo
e quasi asterge le pupille, e così
passa.
Perciò accade che vediamo quanto
ogni cosa sia lontana.
E quanta più aria è agitata innanzi
a noi
e quanto più lungo è il soffio che
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quale sit ut videamus, et una
quam procul absit.
Illud in his rebus minime
mirabile habendumst,
cur, ea quae feriant oculos
simulacra videri
singula cum nequeant, res ipsae
perspiciantur.
ventus enim quoque paulatim cum
verberat et cum
acre fluit frigus, non privam
quamque solemus
particulam venti sentire et frigoris
eius,
sed magis unorsum, fierique
perinde videmus
corpore tum plagas in nostro tam
quam aliquae res
verberet atque sui det sensum
corporis extra.
praeterea lapidem digito cum
tundimus, ipsum
tangimus extremum saxi
summumque colorem
nec sentimus eum tactu, verum
magis ipsam
duritiem penitus saxi sentimus in
alto.
Nunc age, cur ultra speculum
videatur imago
percipe: nam certe penitus
remmota videtur.
quod genus illa foris quae vere
transpiciuntur,
ianua cum per se transpectum
praebet apertum,
asterge i nostri occhi,
tanto più ogni cosa si vede remota
nella lontananza.
Queste cose si svolgono, ben
inteso, con celerità somma,
sì che vediamo insieme quale sia
ogni cosa e quanto disti.
In tale riguardo non dobbiamo
affatto meravigliarci
perché i simulacri che colpiscono
gli occhi non possano
essere veduti a uno a uno e invece
le cose stesse sono scorte.
Giacché, anche quando il vento ci
sferza a poco a poco
e quando il freddo aspro s'insinua,
non soliamo sentire
ogni singola particella di quel
vento e di quel freddo,
bensì l'insieme, e vediamo allora
che il nostro corpo
subisce colpi proprio come se
qualche cosa
ci sferzasse e ci desse la
sensazione del suo corpo
dall'esterno.
Inoltre, quando picchiamo una
pietra con un dito,
tocchiamo solo la superficie del
sasso e il colore esteriore,
eppure non sentiamo questo col
tatto, bensì sentiamo
la durezza stessa del sasso
nell'intima profondità.
Ora, suvvia, apprendi perché
l'immagine si veda
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multa facitque foris ex aedibus ut al di là dello specchio: giacché
videantur;
certo appare discosta nel fondo.
is quoque enim duplici geminoque Così è delle cose che son vedute
fit aëre visus.
realmente fuori, attraverso
primus enim citra postes tum
una porta, quand'essa offre
cernitur aër,
attraverso a sé una vista aperta,
inde fores ipsae dextra laevaque e molte cose fa sì che dalla casa
secuntur,
siano vedute fuori.
post extraria lux oculos perterget Giacché anche questa visione si
et aër
produce per una duplice aria.
alter, et illa foris quae vere
Prima infatti si scorge in tal caso
transpiciuntur.
l'aria al di qua degli stipiti,
sic ubi se primum speculi proiecit seguono poi gli stessi battenti a
imago,
destra e a sinistra,
dum venit ad nostras acies,
successivamente asterge gli occhi
protrudit agitque
la luce di fuori,
aëra qui inter se cumquest
poi l'altra aria e quelle cose che
oculosque locatus,
sono vedute realmente fuori.
et facit, ut prius hunc omnem
Così, appena l'immagine dello
sentire queamus
specchio si è lanciata avanti,
quam speculum; sed ubi [in]
mentre viene alle nostre pupille,
speculum quoque sensimus ipsum, caccia innanzi e spinge
continuo a nobis in eum quae
l'aria, quale che sia, che si trova
fertur imago
interposta fra essa e gli occhi,
pervenit, et nostros oculos reiecta e fa sì che possiamo sentire tutta
revisit
questa prima che lo specchio.
atque alium prae se propellens
Ma, quando abbiamo percepito
aëra volvit,
anche lo specchio stesso,
et facit ut prius hunc quam se
sùbito l'immagine che da noi
videamus, eoque
procede perviene
distare ab speculo tantum semota a questo, e riflessa ritorna verso i
videtur.
nostri occhi,
quare etiam atque etiam minime e sospinge e fa scorrere innanzi a
mirarier est par
sé altra aria,
***
e fa sì che vediamo questa prima
illis quae reddunt speculorum ex di lei stessa,
aequore visum,
e per ciò sembra distare dallo
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aëribus binis quoniam res confit
utraque.
Nunc ea quae nobis
membrorum dextera pars est,
in speculis fit ut in laeva videatur
eo quod
planitiem ad speculi veniens cum
offendit imago,
non convertitur incolumis, sed
recta retrorsum
sic eliditur, ut siquis, prius arida
quam sit
cretea persona, adlidat pilaeve
trabive,
atque ea continuo rectam si fronte
figuram
servet et elisam retro sese
exprimat ipsa.
fiet ut, ante oculus fuerit qui
dexter, ut idem
nunc sit laevus et e laevo sit
mutua dexter.
Fit quoque de speculo in
speculum ut tradatur imago,
quinque etiam [aut] sex ut fieri
simulacra suërint.
nam quae cumque retro parte
interiore latebunt,
inde tamen, quamvis torte
penitusque remota,
omnia per flexos aditus educta
licebit
pluribus haec speculis videantur in
aedibus esse.
usque adeo speculo in speculum
translucet imago,
specchio tanto discosta.
Quindi, ancora e ancora, non è
giusto che ci si meravigli
‹che il medesimo fenomeno
dell'apparire al di là, avvenga
sia per le cose che si vedono
attraverso la porta, sia›
per quelle che rimandano dal
piano degli specchi la visione,
giacché da duplice aria è prodotta
la cosa in ambo i casi.
Ora, quella che per noi è la parte
destra delle membra,
negli specchi accade che appaia a
sinistra, perché l'immagine,
quando arriva e urta contro il
piano dello specchio,
non si volta girando su sé stessa e
restando inalterata,
ma è rovesciata dritta, come se
uno sbatta una maschera
di creta, prima che sia asciutta,
contro un pilastro o una trave,
ed essa conservi immediatamente
dritta di fronte
la propria figura e riproduca sé
stessa rovesciata indietro.
Accadrà che quell'occhio che prima
era destro, ora
sia sinistro, e reciprocamente il
sinistro diventi destro.
Anche accade che da specchio a
specchio si trasmetta l'immagine,
sì che sogliono prodursi anche
cinque ‹o› sei simulacri.
Infatti quanti oggetti saranno
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et cum laeva data est, fit rusum ut nascosti là dietro, in una parte più
dextera fiat,
interna,
inde retro rursum redit et
di lì, benché remoti in fondo ad un
convertit eodem.
tortuoso andirivieni,
Quin etiam quae cumque
sarà possibile tirarli fuori tutti per
latuscula sunt speculorum
serpeggianti passaggi
adsimili lateris flexura praedita
mediante più specchi e vedere che
nostri,
sono dentro la casa.
dextera ea propter nobis simulacra Tanto è vero che di specchio in
remittunt,
specchio si riflette l'immagine
aut quia de speculo in speculum
e, quando è stata porta la sinistra,
transfertur imago,
accade poi che si muti in destra,
inde ad nos elisa bis advolat, aut quindi ritorna di nuovo indietro e
etiam quod
riprende la stessa posizione.
circum agitur, cum venit, imago
Anzi, tutti gli specchi che hanno
propterea quod
facce laterali
flexa figura docet speculi
dotate di una curvatura simile a
convertier ad nos.
quella dei nostri fianchi,
Indugredi porro pariter
per questo ci rimandano i
simulacra pedemque
simulacri senza rivoltarli,
ponere nobiscum credas
o perché l'immagine è trasmessa
gestumque imitari
da una parte all'altra dello
propterea quia, de speculi qua
specchio
parte recedas,
e di lì vola verso di noi rovesciata
continuo nequeunt illinc simulacra due volte, o anche perché
reverti;
l'immagine, quando è arrivata, fa
omnia quandoquidem cogit natura un giro su sé stessa per questa
referri
cagione, che la curva forma dello
ac resilire ab rebus ad aequos
specchio le insegna di volgersi
reddita flexus.
in giro verso di noi. Può sembrarti,
Splendida porro oculi fugitant
per di più, che i simulacri
vitantque tueri.
camminino di pari passo e posino
sol etiam caecat, contra si tendere il piede insieme con noi e imitino
pergas,
i nostri gesti, perché da quella
propterea quia vis magnast ipsius parte dello specchio da cui ti ritiri,
et alte
sùbito di lì non possono riflettersi i
aëra per purum simulacra feruntur simulacri;
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et feriunt oculos turbantia
composituras.
Praeterea splendor qui cumque
est acer adurit
saepe oculos ideo quod semina
possidet ignis
multa, dolorem oculis quae
gignunt insinuando.
lurida praeterea fiunt quae
cumque tuentur
arquati, quia luroris de corpore
eorum
semina multa fluunt simulacris
obvia rerum,
multaque sunt oculis in eorum
denique mixta,
quae contage sua palloribus omnia
pingunt.
E tenebris autem quae sunt in
luce tuemur
propterea quia, cum propior
caliginis aër
ater init oculos prior et possedit
apertos,
insequitur candens confestim
lucidus aër,
qui quasi purgat eos ac nigras
discutit umbras
aëris illius; nam multis partibus
hic est
mobilior multisque minutior et
mage pollens.
qui simul atque vias oculorum luce
replevit
atque pate fecit, quas ante
obsederat aër
giacché la natura costringe tutte le
cose a riflettersi
e rimbalzare dalle cose, rimandate
indietro con angoli eguali.
Gli occhi, poi, rifuggono le cose
splendenti e evitano di fissarle.
Il sole finanche acceca, se continui
a tendere lo sguardo
contro di esso, perché grande è la
sua forza, e dall'alto
attraverso l'aria pura
pesantemente i simulacri
piombano
e feriscono gli occhi
perturbandone le compagini.
Inoltre ogni splendore che è
penetrante, sovente
brucia gli occhi perché contiene
molti semi di fuoco,
che negli occhi producono dolore
insinuandosi.
Giallastre inoltre diventano tutte le
cose che fissano
gli itterici, perché dal corpo di
questi fluiscono
molti semi di color giallastro e
vanno a incontrare i simulacri
delle cose, e molti sono per di più
mescolati nei loro occhi
e con il loro contatto dipingono
ogni oggetto di pallore.
E dall'oscurità vediamo le cose che
sono nella luce
perché, quando la nera aria della
caligine, che è più vicina,
è entrata per prima negli occhi
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, continuo rerum simulacra
secuntur,
quae sita sunt in luce,
lacessuntque ut videamus.
quod contra facere in tenebris e
luce nequimus
propterea quia posterior caliginis
aër
crassior insequitur, qui cuncta
foramina complet
obsiditque vias oculorum, ne
simulacra
possint ullarum rerum coniecta
moveri.
Quadratasque procul turris cum
cernimus urbis,
propterea fit uti videantur saepe
rutundae,
angulus optusus quia longe
cernitur omnis
sive etiam potius non cernitur ac
perit eius
plaga nec ad nostras acies
perlabitur ictus,
aëra per multum quia dum
simulacra feruntur,
cogit hebescere eum crebris
offensibus aër.
hoc ubi suffugit sensum simul
angulus omnis.
fit quasi ut ad turnum saxorum
structa tuantur;
non tamen ut coram quae sunt
vereque rutunda,
sed quasi adumbratim paulum
simulata videntur.
Umbra videtur item nobis in
aperti e li ha occupati,
la segue sùbito una raggiante aria
luminosa
che, per così dire, li purga e
spazza via le nere ombre
dell'altra aria; infatti quest'aria è
molte volte
più mobile e molte più minuta e
più possente.
Appena essa ha riempito di luce le
vie degli occhi
e ha dischiuso quelle che prima
aveva invase l'aria
‹nera›, senza indugio seguono i
simulacri delle cose
che si trovano nella luce e ci
stimolano a vedere.
Per contro non possiamo far ciò
dalla luce nell'oscurità
perché l'aria della caligine, che è
più spessa,
segue seconda ed empie tutti i
canali
e invade le vie degli occhi, sì che
nessun simulacro
delle cose può lanciarsi in essi e
stimolarli.
E quando vediamo da lungi le
quadrate torri d'una città,
per ciò spesso avviene che
sembrino rotonde,
perché di lontano ogni angolo si
vede ottuso
o piuttosto non si vede affatto e se
ne perde
il colpo, né la percossa perviene
alle nostre pupille,
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sole moveri
perché, mentre i simulacri
et vestigia nostra sequi
viaggiano per molta aria,
gestumque imitari,
coi frequenti scontri l'aria la
aëra si credis privatum lumine
costringe ad ottundersi.
posse
Quando perciò tutti gli angoli sono
indugredi, motus hominum
insieme sfuggiti al senso,
gestumque sequentem;
accade che le strutture di pietra
nam nihil esse potest aliud nisi
appaiano come lavorate al tornio,
lumine cassus
non tuttavia come quelle che son
aër id quod nos umbram perhibere davanti a noi e davvero rotonde,
suëmus.
ma paiono un po' somiglianti come
ni mirum, quia terra locis ex
per vago adombramento.
ordine certis
Similmente l'ombra sembra a noi
lumine privatur solis qua cumque che nel sole si muova
meantes
e che segua i nostri passi ed imiti i
officimus, repletur item quod
gesti:
liquimus eius,
se tu credi possibile che aria
propterea fit uti videatur, quae fuit privata di luce
umbra
cammini, seguendo i movimenti e
corporis, e regione eadem nos
i gesti degli uomini;
usque secuta.
in effetti non può essere altro che
semper enim nova se radiorum
aria priva di luce
lumina fundunt
ciò che noi siamo soliti chiamare
primaque dispereunt, quasi in
ombra.
ignem lana trahatur.
Certo perché il suolo vien privato
propterea facile et spoliatur
della luce del sole
lumine terra
in certi luoghi successivamente,
et repletur item nigrasque sibi
dovunque noi movendoci
abluit umbras.
la intercettiamo, e similmente se
Nec tamen hic oculos falli
ne riempie quella sua parte
concedimus hilum.
che abbiamo lasciata, perciò
nam quo cumque loco sit lux
accade che quella che fu poc'anzi
atque umbra tueri
l'ombra del nostro corpo, sembri
illorum est; eadem vero sint
averci sempre seguiti identica,
lumina necne,
in linea dritta con noi. Sempre
umbraque quae fuit hic eadem
infatti nuovi raggi luminosi
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nunc transeat illuc,
an potius fiat paulo quod diximus
ante,
hoc animi demum ratio discernere
debet,
nec possunt oculi naturam noscere
rerum.
proinde animi vitium hoc oculis
adfingere noli.
Qua vehimur navi, fertur, cum
stare videtur;
quae manet in statione, ea praeter
creditur ire.
et fugere ad puppim colles
campique videntur,
quos agimus praeter navem
velisque volamus.
Sidera cessare aetheriis adfixa
cavernis
cuncta videntur, et adsiduo sunt
omnia motu,
quandoquidem longos obitus
exorta revisunt,
cum permensa suo sunt caelum
corpore claro.
solque pari ratione manere et luna
videtur
in statione, ea quae ferri res
indicat ipsa.
Exstantisque procul medio de
gurgite montis
classibus inter quos liber patet
exitus ingens,
insula coniunctis tamen ex his una
videtur.
atria versari et circum cursare
columnae
si spandono e i precedenti
svaniscono, come se si fili lana
entro una fiamma. Perciò
facilmente la terra e si spoglia
di luce e ugualmente se ne
riempie e si deterge le nere
ombre.
Né tuttavia concediamo che qui gli
occhi s'ingannino in nulla.
Giacché vedere in quale luogo sia
la luce e in quale l'ombra,
è loro proprietà; ma se sia o non
sia la stessa luce,
e se la stessa ombra che fu qui,
passi ora là,
o piuttosto accada ciò che
abbiamo detto poc'anzi,
questo deve discernerlo soltanto il
ragionare della mente,
né possono gli occhi conoscere la
natura delle cose.
Dunque non attribuire falsamente
agli occhi questo errore della
mente.
La nave da cui siamo trasportati,
si muove, mentre sembra star
ferma;
quella che rimane immobile
all'ormeggio, si crede che proceda
oltre.
E sembra che a poppa fuggano
colline e pianure
oltre le quali conduciamo la nave e
con le vele voliamo.
Gli astri sembrano tutti restare
immobili, fissi
alle eteree cavità, e tuttavia son
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usque adeo fit uti pueris
tutti in assiduo movimento,
videantur, ubi ipsi
giacché, dopo esser sorti, rivedono
desierunt verti, vix ut iam credere i lontani tramonti,
possint
quando hanno percorso il cielo col
non supra sese ruere omnia tecta loro corpo lucente.
minari.
E il sole e la luna parimenti
Iamque rubrum tremulis iubar sembra che rimangano
ignibus erigere alte
immobili, essi che il fatto stesso
cum coeptat natura supraque
mostra in movimento.
extollere montes,
E monti che s'innalzano lontano in
quos tibi tum supra sol montis
mezzo alle onde,
esse videtur
tra i quali si apre libero un vasto
comminus ipse suo contingens
passaggio alle flotte,
fervidus igni,
sembrano tuttavia fare, congiunti
vix absunt nobis missus bis mille tra loro, un'unica isola.
sagittae,
Ai fanciulli, quando hanno smesso
vix etiam cursus quingentos saepe di fare il girotondo
veruti;
essi stessi, paiono gli atri girare e
inter eos solemque iacent immania rigirare, e le colonne
ponti
correre intorno, a tal punto che a
aequora substrata aetheriis
stento allora essi possono
ingentibus oris,
credere che non minacci la casa
interiectaque sunt terrarum milia tutta di crollare sopra di loro.
multa,
E ancora, quando la natura
quae variae retinent gentes et
comincia a levare in alto il rosso
saecla ferarum.
fulgore
At coniectus aquae digitum non del sole coi suoi tremuli fuochi e a
altior unum,
innalzarlo sopra i monti,
qui lapides inter sistit per strata
quei monti, sopra i quali a te
viarum,
allora sembra stia il sole,
despectum praebet sub terras
toccandoli esso stesso da vicino,
inpete tanto,
ardente, col suo fuoco,
a terris quantum caeli patet altus distano da noi appena duemila tiri
hiatus,
di freccia,
nubila despicere et caelum ut
anzi spesso appena cinquecento
videare videre,
lanci di giavellotto:
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corpora mirande sub terras abdita
caelo.
Denique ubi in medio nobis
ecus acer obhaesit
flumine et in rapidas amnis
despeximus undas,
stantis equi corpus transversum
ferre videtur
vis et in adversum flumen
contrudere raptim,
et quo cumque oculos traiecimus
omnia ferri
et fluere adsimili nobis ratione
videntur.
Porticus aequali quamvis est
denique ductu
stansque in perpetuum paribus
suffulta columnis,
longa tamen parte ab summa cum
tota videtur,
paulatim trahit angusti fastigia
coni,
tecta solo iungens atque omnia
dextera laevis
donec in obscurum coni conduxit
acumen.
In pelago nautis ex undis ortus
in undis
sol fit uti videatur obire et condere
lumen;
quippe ubi nil aliud nisi aquam
caelumque tuentur;
ne leviter credas labefactari
undique sensus.
at maris ignaris in portu clauda
videntur
navigia aplustris fractis obnitier
tra essi e il sole giacciono le
smisurate distese del mare,
che si estendono sotto le immense
plaghe eteree,
e sono interposte molte migliaia di
terre,
in cui dimorano varie genti e razze
di fiere.
Ma una pozzanghera d'acqua non
più profonda d'un dito,
che tra le pietre stagna per le vie
lastricate,
offre una vista che tanto a fondo
sotterra s'inabissa
quanto la profonda voragine del
cielo si stende su dalla terra;
sì che ti pare di vedere laggiù le
nuvole e scorgere il cielo,
corpi mirabilmente immersi
sotterra nel cielo.
Ancora, quando l'ardente cavallo ci
si è impuntato
in mezzo a un fiume e guardiamo
laggiù,
nelle rapide onde della corrente,
sembra che una forza trascini
di traverso il corpo del cavallo
immoto e rapidamente lo sospinga
contro corrente e, ovunque
volgiamo gli occhi,
ogni cosa sembra essere
trascinata e fluire come noi.
Un portico, ancora, benché sia di
tracciato uniforme
e stia da un capo all'altro sorretto
su colonne uguali,
tuttavia, se vien guardato da
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undis.
nam quae cumque supra rorem
salis edita pars est
remorum, recta est, et recta
superne guberna;
quae demersa liquore obeunt,
refracta videntur
omnia converti sursumque supina
reverti
et reflexa prope in summo fluitare
liquore.
Raraque per caelum cum venti
nubila portant
tempore nocturno, tum splendida
signa videntur
labier adversum nimbos atque ire
superne
longe aliam in partem ac vera
ratione feruntur
At si forte oculo manus uni
subdita supter
pressit eum, quodam sensu fit uti
videantur
omnia quae tuimur fieri tum bina
tuendo,
bina lucernarum florentia lumina
flammis
binaque per totas aedis geminare
supellex
et duplicis hominum facies et
corpora bina.
Denique cum suavi devinxit
membra sopore
somnus et in summa corpus iacet
omne quiete,
tum vigilare tamen nobis et
un'estremità per tutta la
lunghezza,
a poco a poco si contrae nel
vertice di un cono angusto,
congiungendo il tetto al suolo e
tutto il lato destro al sinistro,
finché li unisce nell'oscura punta di
un cono.
In mare accade che ai naviganti il
sole sembri sorgere
dalle onde e nelle onde scomparire
e nascondere la luce;
ed è naturale, giacché nient'altro
che acqua e cielo vedono;
perché tu non creda alla leggera
che i sensi cadano in fallo da ogni
lato.
E a coloro che non conoscono il
mare, nel porto i navigli sembrano
storpiati, con gli aplustri infranti,
resistere agli urti delle onde.
Giacché tutta la parte dei remi che
sovrasta ai salsi flutti
è diritta, e diritti sono di sopra i
timoni.
Le parti, invece, che immerse
s'affondano nell'acqua, sembrano,
infrante, tutte rivolgersi e,
rovesciate all'indietro, ritornare in
su
e ritorte quasi fluttuare alla
superficie dell'acqua.
E quando per il cielo i venti
trasportano rade nuvole
nottetempo, allora gli spendidi
astri sembrano
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membra movere
nostra videmur, et in noctis
caligine caeca
cernere censemus solem
lumenque diurnum,
conclusoque loco caelum mare
flumina montis
mutare et campos pedibus
transire videmur,
et sonitus audire, severa silentia
noctis
undique cum constent, et reddere
dicta tacentes.
Cetera de genere hoc mirande
multa videmus,
quae violare fidem quasi sensibus
omnia quaerunt,
ne quiquam, quoniam pars horum
maxima fallit
propter opinatus animi, quos
addimus ipsi,
pro visis ut sint quae non sunt
sensibus visa;
nam nihil aegrius est quam res
secernere apertas
ab dubiis, animus quas ab se
protinus addit.
Denique nil sciri siquis putat, id
quoque nescit
an sciri possit, quoniam nil scire
fatetur.
hunc igitur contra minuam
contendere causam,
qui capite ipse suo in statuit
vestigia sese.
et tamen hoc quoque uti
concedam scire, at id ipsum
scorrere contro i nembi e andare
nell'alto in una direzione
di gran lunga diversa da quella in
cui procedono veramente.
E se per caso una mano, posta
sotto un occhio, di sotto
lo preme, per una certa
sensazione accade che tutte le
cose
che guardiamo sembrino farsi
allora doppie al guardarle,
doppie le luci delle lucerne che
fioriscono di fiamme
e doppia per tutta la casa farsi la
suppellettile
e duplici le facce degli uomini e
doppi i corpi.
Ancora, quando il sonno ha
avvinto le membra con soave
sopore, e il corpo giace tutto in
somma quiete,
allora ci sembra tuttavia di
vegliare e di muovere
le membra, e nella cieca caligine
della notte
crediamo di vedere il sole e la luce
del giorno,
e nella chiusa camera ci sembra di
mutare cielo, mare, fiumi,
monti, e attraversare a piedi
pianure,
e udire suoni mentre i severi
silenzi della notte
perdurano ovunque, e scambiare
parole, mentre taciamo.
Altre cose di questa specie,
mirabilmente numerose, vediamo,
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quaeram, cum in rebus veri nil
viderit ante,
unde sciat quid sit scire et nescire
vicissim,
notitiam veri quae res falsique
crearit
et dubium certo quae res differre
probarit.
invenies primis ab sensibus esse
creatam
notitiem veri neque sensus posse
refelli.
nam maiore fide debet reperirier
illud,
sponte sua veris quod possit
vincere falsa.
quid maiore fide porro quam
sensus haberi
debet? an ab sensu falso ratio orta
valebit
dicere eos contra, quae tota ab
sensibus orta est?
qui nisi sunt veri, ratio quoque
falsa fit omnis.
An poterunt oculos aures
reprehendere, an aures
tactus? an hunc porro tactum
sapor arguet oris,
an confutabunt nares oculive
revincent?
non, ut opinor, ita est. nam
seorsum cuique potestas
divisast, sua vis cuiquest, ideoque
necesse est
et quod molle sit et gelidum
fervensve videre
e tutte tendono quasi a fare
scempio della fede nei sensi;
invano: perché la maggior parte di
esse inganna
per le opinioni della mente che
aggiungiamo noi stessi,
sì che cose non vedute dai sensi
contano come vedute.
Infatti nulla è più malagevole che
distinguere le cose manifeste
dalle cose incerte, che l'animo da
sé senz'altro aggiunge.
Infine, se taluno crede che non si
sappia nulla, anche questo
non sa se si possa sapere, giacché
ammette di non sapere nulla.
Contro di lui dunque tralascerò di
discutere,
perché da sé stesso si mette col
capo al posto dei propri piedi.
E tuttavia voglio pure concedergli
che sappia anche ciò;
ma gli domanderò soltanto: se nel
mondo egli non ha prima veduto
mai nulla di vero, donde sa cosa
sia sapere e, viceversa, non
sapere?
Quale cosa ha prodotto il concetto
di vero e di falso,
e quale cosa ha provato che
l'incerto differisce dal certo?
Troverai che il concetto di vero è
stato prodotto primamente
dai sensi e che i sensi non
possono essere contraddetti.
Giacché maggiore credibilità
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et seorsum varios rerum sentire
dev'essere riconosciuta
colores
a ciò che di per sé col vero possa
et quae cumque coloribus sint
confutare il falso.
coniuncta necessest.
Ma che cosa si deve giudicare
seorsus item sapor oris habet vim, maggiormente credibile
seorsus odores
che il senso? Forse, nata da un
nascuntur, seorsum sonitus.
senso fallace, la ragione
ideoque necesse est
varrà ad oppugnare i sensi, essa
non possint alios alii convincere
che tutta da loro è nata?
sensus.
Se quelli non son veritieri, anche
nec porro poterunt ipsi
la ragione diventa tutta falsa.
reprehendere sese,
O potranno le orecchie correggere
aequa fides quoniam debebit
gli occhi, o il tatto
semper haberi.
le orecchie? O, d'altronde, questo
proinde quod in quoquest his
tatto sarà convinto d'errore
visum tempore, verumst.
dal gusto della bocca, o lo
Et si non poterit ratio dissolvere confuteranno le nari, o gli occhi
causam,
lo smentiranno? Non è così, io
cur ea quae fuerint iuxtim
penso. Giacché ogni senso
quadrata, procul sint
ha un potere specialmente
visa rutunda, tamen praestat
distinto, ciascuno ha una facoltà
rationis egentem
propria, e perciò è necessario
reddere mendose causas utriusque percepire con un senso speciale
figurae,
ciò che è molle e gelido o infocato,
quam manibus manifesta suis
e con un senso speciale
emittere quoquam
i vari colori delle cose, e vedere
et violare fidem primam et
quanto ai colori è congiunto.
convellere tota
Una speciale facoltà ha pure il
fundamenta quibus nixatur vita
gusto della bocca, per una via
salusque.
speciale sorgono gli odori, per
non modo enim ratio ruat omnis, un'altra speciale i suoni. Si deve
vita quoque ipsa
perciò concludere che i sensi non
concidat extemplo, nisi credere
possono confutarsi a vicenda.
sensibus ausis
E neanche potranno correggersi da
praecipitisque locos vitare et
sé,
cetera quae sint
poiché uguale fiducia si dovrà
in genere hoc fugienda, sequi
sempre ad essi accordare.
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contraria quae sint.
illa tibi est igitur verborum copia
cassa
omnis, quae contra sensus
instructa paratast.
Denique ut in fabrica, si pravast
regula prima,
normaque si fallax rectis
regionibus exit,
et libella aliqua si ex parti
claudicat hilum,
omnia mendose fieri atque obstipa
necessu est
prava cubantia prona supina atque
absona tecta,
iam ruere ut quaedam videantur
velle, ruantque
prodita iudiciis fallacibus omnia
primis,
sic igitur ratio tibi rerum prava
necessest
falsaque sit, falsis quae cumque
ab sensibus ortast.
Nunc alii sensus quo pacto
quisque suam rem
sentiat, haud quaquam ratio
scruposa relicta est.
Principio auditur sonus et vox
omnis, in auris
insinuata suo pepulere ubi corpore
sensum.
corpoream quoque enim [vocem]
constare fatendumst
et sonitum, quoniam possunt
inpellere sensus.
Praeterea radit vox fauces
Quindi ciò che in ogni momento è
a questi apparso, è vero.
E se non potrà la ragione
discernere la causa per la quale
le cose che da presso erano
quadrate, da lontano sembrano
rotonde, tuttavia è preferibile per
difetto di ragionamento
spiegare erroneamente le cause
dell'una e dell'altra figura,
anziché lasciarsi sfuggir via dalle
mani cose manifeste
e far violenza alla fede prima e
sconvolgere gl'interi
fondamenti su cui poggiano la vita
e la salvezza.
Non solo, infatti, la ragione
rovinerebbe tutta: anche la stessa
vita crollerebbe all'istante, se tu
non osassi fidarti dei sensi
ed evitare i precipizi e tutte le
altre cose di questa specie
che si devon fuggire, e seguire le
cose che sono contrarie.
Concludi dunque che è un vano
mucchio di parole tutto
quello che contro i sensi è stato
messo insieme e approntato.
Ancora: come in una costruzione,
se il regolo al principio
è storto, e se la squadra è fallace
ed esce dalle linee dritte,
e la livella da qualche parte
zoppica un pochino,
inevitabilmente tutto l'edificio
riesce difettoso e piegato,
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saepe facitque
storto, cascante, inclinato in
asperiora foras gradiens arteria
avanti, inclinato all'indietro
clamor,
e disarmonico, sì che alcune parti
quippe per angustum turba maiore sembra vogliano
coorta
già precipitare, e tutto precipita,
ire foras ubi coeperunt primordia tradito dalle prime misure
vocum.
fallaci, così, dunque, il ragionare
scilicet expletis quoque ianua
sulle cose deve riuscirti
raditur oris.
storto e falso, qualora da falsi
haud igitur dubiumst quin voces
sensi sia nato.
verbaque constent
Ora resta da spiegare in che modo
corporeis e principiis, ut laedere
gli altri sensi percepiscano
possint.
ciascuno il proprio oggetto,
nec te fallit item quid corporis
spiegazione per nulla difficile.
auferat et quid
Anzitutto, suoni e voci d'ogni
detrahat ex hominum nervis ac
specie si odono quando,
viribus ipsis
insinuandosi nelle orecchie, hanno
perpetuus sermo nigrai noctis ad colpito il senso col loro corpo.
umbram
Bisogna infatti riconoscere che
aurorae perductus ab exoriente
anche la voce e il suono
nitore,
hanno natura ‹corporea›, giacché
praesertim si cum summost
possono urtare i sensi.
clamore profusus.
D'altronde, la voce raschia spesso
ergo corpoream vocem constare
la gola
necessest,
e il grido prorompendo inasprisce
multa loquens quoniam amittit de la trachea.
corpore partem.
Giacché, quando gli elementi delle
Asperitas autem vocis fit ab
voci, lanciati in folla soverchia
asperitate
per l'angusto passaggio, hanno
principiorum et item levor levore cominciato a uscire, naturalmente,
creatur;
riempita la gola, vien raschiata
nec simili penetrant auris
anche l'entrata della bocca.
primordia forma,
Non è dubbio, dunque, che le voci
cum tuba depresso graviter sub
e le parole constano
murmure mugit
di elementi corporei, sì che
et reboat raucum retro cita barbita possono produrre lesioni.
bombum,
E parimenti non ti sfugge quanta
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et [iam] Dauliades natae hortis ex
Heliconis
cum liquidam tollunt lugubri voce
querellam.
Hasce igitur penitus voces cum
corpore nostro
exprimimus rectoque foras
emittimus ore,
mobilis articulat nervorum daedala
lingua,
formaturaque labrorum pro parte
figurat.
hoc ubi non longum spatiumst
unde illa profecta
perveniat vox quaeque, necessest
verba quoque ipsa
plane exaudiri discernique
articulatim;
servat enim formaturam
servatque figuram.
at si inter positum spatium sit
longius aequo,
aëra per multum confundi verba
necessest
et conturbari vocem, dum
transvolat auras.
ergo fit, sonitum ut possis sentire
neque illam
internoscere, verborum sententia
quae sit;
usque adeo confusa venit vox
inque pedita.
Praeterea verbum saepe unum
perciet auris
omnibus in populo missum
praeconis ab ore.
parte di corpo porti via
e quanta parte tolga ai nervi e alle
forze stesse degli uomini
un discorso continuo, fino
all'ombra della nera notte
protratto dal sorgente splendore
dell'aurora,
soprattutto se viene emesso con
altissimo gridare.
Dunque la voce deve constare di
elementi corporei,
giacché chi molto parla perde
parte del corpo.
E l'asprezza della voce è prodotta
dall'asprezza
dei primi elementi, e così la
levigatezza viene dalla
levigatezza.
Né primi elementi di forma simile
penetrano le orecchie,
quando una tromba con basso
murmure gravemente mugge
e col riecheggiare del suono
produce barbara un rauco
rimbombo,
e quando † ...... † dell'Elicona
levano con lugubre voce un
limpido lamento.
Queste voci, dunque, quando dal
profondo del nostro corpo
le tiriamo e direttamente per la
bocca le mandiamo fuori,
le articola la mobile lingua,
artefice di parole,
e le foggia per parte sua la
conformazione delle labbra.
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in multas igitur voces vox una
repente
diffugit, in privas quoniam se
dividit auris
obsignans formam verbis
clarumque sonorem.
at quae pars vocum non auris
incidit ipsas,
praeter lata perit frustra diffusa
per auras.
pars solidis adlisa locis reiecta
sonorem
reddit et inter dum frustratur
imagine verbi.
Quae bene cum videas,
rationem reddere possis
tute tibi atque aliis, quo pacto per
loca sola
saxa paris formas verborum ex
ordine reddant.
palantis comites com montis inter
opacos
quaerimus et magna dispersos
voce ciemus.
sex etiam aut septem loca vidi
reddere vocis,
unam cum iaceres: ita colles
collibus ipsi
verba repulsantes iterabant dicta
referri.
haec loca capripedes Satyros
Nymphasque tenere
finitimi fingunt et Faunos esse
locuntur,
quorum noctivago strepitu
ludoque iocanti
adfirmant volgo taciturna silentia
Per questo, se non è lunga la
distanza da cui ognuna
di quelle voci parte e arriva a noi,
anche le stesse parole
si devono chiaramente udire e
distinguere secondo le
articolazioni:
ogni voce infatti conserva la
disposizione e conserva la forma.
Ma, se lo spazio frapposto è
troppo ampio, di necessità
le parole, attraversando molta
aria, si confondono
e la voce si perturba nel volare
attraverso i venti.
Così accade che tu possa sentire il
suono, senza tuttavia
distinguere quale sia il senso di
quelle parole:
a tal punto la voce arriva confusa
e intralciata.
Inoltre, un'unica parola, emessa
dalla bocca di un banditore,
spesso in un'assemblea percuote
le orecchie di tutti i presenti.
In molte voci, dunque, un'unica
voce d'un tratto si spande,
se è vero che arriva separata a
tutte le singole orecchie,
imprimendo alle parole il suggello
della forma e del chiaro suono.
Ma quella parte di voci che non
cade nelle orecchie stesse,
passando oltre si perde, diffusa
invano per l'aria.
Un'altra parte, urtando contro
luoghi occupati da cose compatte,
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rumpi
chordarumque sonos fieri
dulcisque querellas,
tibia quas fundit digitis pulsata
canentum,
et genus agricolum late
sentiscere, quom Pan
pinea semiferi capitis velamina
quassans
unco saepe labro calamos
percurrit hiantis,
fistula silvestrem ne cesset
fundere musam.
cetera de genere hoc monstra ac
portenta loquontur,
ne loca deserta ab divis quoque
forte putentur
sola tenere. ideo iactant miracula
dictis
aut aliqua ratione alia ducuntur, ut
omne
humanum genus est avidum nimis
auricularum.
Quod super est, non est
mirandum qua ratione,
per loca quae nequeunt oculi res
cernere apertas,
haec loca per voces veniant
aurisque lacessant,
conloquium clausis foribus quoque
saepe videmus;
ni mirum quia vox per flexa
foramina rerum
incolumis transire potest,
simulacra renutant;
perscinduntur enim, nisi recta
è rimandata indietro e ci riporta il
suono, e talora c'inganna
con l'eco d'una parola. Se discerni
bene ciò, puoi spiegare
a te stesso e agli altri in che modo
per luoghi solitari
le rocce rimandino uguali le forme
delle parole, in ordine,
quando cerchiamo i compagni
vaganti tra i monti ombrosi,
e li chiamiamo a gran voce,
mentre sono sparsi qua e là.
Ho veduto luoghi rimandare anche
sei o sette voci,
quando ne gettavi solo una: così i
colli stessi, ai colli
rinviando le parole, rinnovavano
l'eco di ciò che era stato detto.
In questi luoghi gli abitanti delle
vicinanze s'immaginano
che risiedano i capripedi Satiri e le
Ninfe, e dicono che ci sono
i Fauni, e affermano che dal loro
strepito vagante nella notte
e dai loro giochi buffi son rotti
spesso i taciturni silenzi,
e suoni di corde si levano, e dolci
lamenti,
che effonde il flauto toccato dalle
dita dei sonatori,
e la gente delle campagne per
ampia distesa l'ode, quando Pan,
scotendo le fronde di pino che gli
velano il capo semiferino,
con il labbro adunco spesso
percorre le cave canne,
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foramina tranant,
perché la zampogna non cessi
qualia sunt vitrei, species qua
d'effondere la silvestre armonia.
travolat omnis.
Ogni altro prodigio e portento di
praeterea partis in cunctas
tale specie raccontano,
dividitur vox,
perché non si creda che risiedano
ex aliis aliae quoniam gignuntur, in luoghi solitari, abbandonati
ubi una
anche dagli dèi. Perciò vantano
dissuluit semel in multas exorta, miracoli nei loro discorsi
quasi ignis
o da qualche altra ragione vi sono
saepe solet scintilla suos se
indotti, dal momento
spargere in ignis.
che tutto il genere umano è troppo
ergo replentur loca vocibus abdita avido di orecchie intente.
retro,
Quanto al resto, non c'è da stupire
omnia quae circum fervunt
se per quegli stessi
sonituque cientur.
luoghi attraverso cui gli occhi non
at simulacra viis derectis omnia
possono vedere cose palesi,
tendunt,
le voci passano e giungono a
ut sunt missa semel; qua propter colpire le orecchie.
cernere nemo
Spesso vediamo svolgersi un
saepe supra potis est, at voces
colloquio anche attraverso
accipere extra.
porte chiuse, senza dubbio perché
et tamen ipsa quoque haec, dum la voce può passare incolume
transit clausa [domorum>
per i sinuosi meati dei corpi,
vox optunditur atque auris confusa mentre i simulacri vi si rifiutano.
penetrat
Infatti si lacerano, se non
et sonitum potius quam verba
traversano meati diritti,
audire videmur.
quali son quelli del vetro, per cui
Hoc, qui sentimus sucum,
ogni immagine passa a volo.
lingua atque palatum
Inoltre la voce si propaga in tutte
plusculum habent in se rationis,
le direzioni
plus operai.
perché le voci nascono le une dalle
principio sucum sentimus in ore, altre una volta che una,
cibum cum
levatasi, si è suddivisa in molte,
mandendo exprimimus, ceu
come spesso una scintilla
plenam spongiam aquai
di fuoco suole spandersi nelle sue
siquis forte manu premere ac
particelle di fuoco.
siccare coëpit.
Dunque s'empiono di voci luoghi
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inde quod exprimimus per caulas
omne palati
diditur et rarae per flexa foramina
linguae,
hoc ubi levia sunt manantis
corpora suci,
suaviter attingunt et suaviter
omnia tractant
umida linguai circum sudantia
templa;
at contra pungunt sensum
lacerantque coorta,
quanto quaeque magis sunt
asperitate repleta.
deinde voluptas est e suco fine
palati;
cum vero deorsum per fauces
praecipitavit,
nulla voluptas est, dum diditur
omnis in artus;
nec refert quicquam quo victu
corpus alatur,
dum modo quod capias concoctum
didere possis
artubus et stomachi tumidum
servare tenorem.
Nunc aliis alius qui sit cibus ut
videamus,
expediam, quareve, aliis quod
triste et amarumst,
hoc tamen esse aliis possit
perdulce videri,
tantaque [in] his rebus distantia
differitasque est,
ut quod aliis cibus est aliis fuat
acre venenum;
nascosti allo sguardo e appartati,
che tutti intorno fervono e sono
agitati dal suono.
Ma i simulacri procedono tutti per
vie diritte,
una volta che sono stati emessi;
perciò nessuno può vedere
oltre un recinto, mentre si
possono percepire le voci di fuori.
E tuttavia questa voce, anch'essa,
mentre passa per i muri
‹delle case›, s'affievolisce e nelle
orecchie penetra confusa,
e a noi sembra di udire un suono
piuttosto che parole.
Né la lingua e il palato, con cui
sentiamo i sapori,
richiedono un po' più di
ragionamento o maggiore fatica.
Anzitutto, sentiamo il sapore in
bocca, quando spremiamo
il cibo masticando, come se uno
cominci a comprimere
con la mano e a svuotare una
spugna piena d'acqua.
Poi ciò che spremiamo fuori, si
spande tutto per i condotti
del palato e per i sinuosi meati
della lingua porosa.
Perciò, quando sono lisci gli atomi
del succo che cola,
soavemente toccano e
soavemente titillano tutte
le umide volte che s'inarcano sulla
lingua, dintorno trasudanti.
Ma per contro, tanto più gli atomi
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est itaque ut serpens, hominis
pungono il senso
quae tacta salivis
e con l'assalto lo lacerano, quanto
disperit ac sese mandendo conficit più son pieni d'asperità.
ipsa.
E poi, piacere nasce dal succo
praeterea nobis veratrum est acre entro i confini del palato;
venenum,
ma, quando giù per le fauci è
at capris adipes et cocturnicibus
precipitato,
auget.
non v'è alcun piacere, mentre si
id quibus ut fiat rebus cognoscere spande tutto nelle membra.
possis,
Né importa alcunché con quale
principio meminisse decet quae
vitto il corpo sia nutrito,
diximus ante,
purché ciò che ingerisci tu possa
semina multimodis in rebus mixta digerirlo e spanderlo
teneri.
nelle membra e conservare nello
porro omnes quae cumque cibum stomaco un'umidità costante.
capiunt animantes,
|[continua]|
ut sunt dissimiles extrinsecus et
|[LIBRO IV, 2]|
generatim
extima membrorum circumcaesura Ora darò una spiegazione che ci
faccia capire perché il cibo
coërcet,
sia diverso per diversi esseri, e per
proinde et seminibus constant
che ragione ciò che per gli uni
variantque figura.
semina cum porro distent, differre è disgustoso e amaro, possa
tuttavia parere dolcissimo ad altri.
necessest
intervalla viasque, foramina quae E così grandi sono ‹in› tale
riguardo la distanza e la
perhibemus,
discordanza
omnibus in membris et in ore
che ciò che per uno è cibo, per
ipsoque palato.
altri è violento veleno.
esse minora igitur quaedam
‹C'è, per esempio,› un serpente
maioraque debent,
esse triquetra aliis, aliis quadrata che, toccato da saliva d'uomo,
perisce, distruggendosi da sé, coi
necessest,
propri morsi.
multa rutunda, modis multis
Inoltre, per noi l'elleboro è
multangula quaedam.
violento veleno,
namque figurarum ratio ut
ma alle capre e alle quaglie
motusque reposcunt,
proinde foraminibus debent differe accresce l'adipe.
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Perché tu possa conoscere per
figurae
et variare viae proinde ac textura quali cause avvenga questo,
anzitutto conviene ricordare ciò
coërcet.
hoc ubi quod suave est aliis aliis fit che abbiamo detto prima,
cioè che i semi contenuti nelle
amarum,
cose sono misti in vari modi.
illi, cui suave est, levissima
D'altro canto, tutti gli esseri
corpora debent
animati che ingeriscono cibo,
contractabiliter caulas intrare
come sono dissimili esternamente
palati,
e come, secondo le specie,
at contra quibus est eadem res
è diverso l'esterno contorno delle
intus acerba,
membra che li racchiude,
aspera ni mirum penetrant
così sono anche composti di semi
hamataque fauces.
con forme differenti.
nunc facile est ex his rebus
E poiché sono differenti i semi,
cognoscere quaeque.
quippe ubi cui febris bili superante devono differire
gl'intervalli e i canali, che
coorta est
aut alia ratione aliquast vis excita chiamiamo meati,
in tutte le membra e nella bocca e
morbi,
perturbatur ibi iam totum corpus nello stesso palato.
Più piccoli devono dunque essere
et omnes
alcuni, più grandi altri;
commutantur ibi positurae
per alcune specie devono essere
principiorum;
triangolari, per altre quadrati,
fit prius ad sensum [ut] quae
molti rotondi, alcuni con molti
corpora conveniebant
angoli disposti in molti modi.
nunc non conveniant, et cetera
Infatti, come esigono la
sint magis apta,
combinazione delle forme
quae penetrata queunt sensum
e i movimenti, così devono
progignere acerbum;
differire le forme dei meati
utraque enim sunt in mellis
e variare i canali secondo il
commixta sapore;
tessuto che li racchiude.
id quod iam supera tibi saepe
Per questo, quando ciò che è dolce
ostendimus ante.
per gli uni, agli altri
Nunc age, quo pacto naris
diventa amaro, a quello per cui è
adiectus odoris
tangat agam. primum res multas dolce atomi sommamente
lisci devono carezzevolmente
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esse necessest
unde fluens volvat varius se
fluctus odorum,
et fluere et mitti volgo spargique
putandumst;
verum aliis alius magis est
animantibus aptus,
dissimilis propter formas. ideoque
per auras
mellis apes quamvis longe
ducuntur odore,
volturiique cadaveribus; tum fissa
ferarum
ungula quo tulerit gressum
promissa canum vis
ducit, et humanum longe
praesentit odorem
Romulidarum arcis servator,
candidus anser.
sic aliis alius nidor datus ad sua
quemque
pabula ducit et a taetro resilire
veneno
cogit, eoque modo servantur
saecla ferarum.
Hic odor ipse igitur, naris qui
cumque lacessit,
est alio ut possit permitti longius
alter;
sed tamen haud quisquam tam
longe fertur eorum
quam sonitus, quam vox, mitto
iam dicere quam res
quae feriunt oculorum acies
visumque lacessunt.
errabundus enim tarde venit ac
perit ante
entrare nei condotti del palato,
mentre, d'altronde, a quelli cui la
stessa cosa è dentro acerba,
certo atomi ruvidi e uncinati
penetrano le fauci.
Ora è facile in base a questi fatti
intendere ogni cosa.
Così, quando qualcuno è stato
assalito dalla febbre
per eccesso di bile, o da un'altra
causa è stata suscitata
qualche violenza di malattia, allora
l'intero corpo è turbato,
allora tutte sono alterate le
positure degli atomi;
avviene che corpi che prima si
confacevano al senso,
ora non si confacciano, e siano più
congrui altri,
che posson penetrare e produrre
una sensazione acerba.
Ambedue le specie sono infatti
commiste nel sapore del miele;
ciò che già sopra ti abbiamo
dimostrato spesso prima d'ora.
E ora dirò come l'odore s'accosti e
tocchi le nari.
Anzitutto, devono esserci molte
cose
da cui fluendo si svolge il vario
flutto degli odori,
e bisogna credere che ovunque
fluisca e si lanci e si sparga;
ma ad alcuni esseri viventi è più
congruo un odore, ad altri
un altro, per la diversità delle
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (38 of 73) [07/08/2003 21.41.34]
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paulatim facilis distractus in aëris
auras;
ex alto primum quia vix emittitur
ex re;
nam penitus fluere atque recedere
rebus odores
significat quod fracta magis
redolere videntur
omnia, quod contrita, quod igni
conlabefacta.
deinde videre licet maioribus esse
creatum
principiis quam vox, quoniam per
saxea saepta
non penetrat, qua vox volgo
sonitusque feruntur.
quare etiam quod olet non tam
facile esse videbis
investigare in qua sit regione
locatum;
refrigescit enim cunctando plaga
per auras
nec calida ad sensum decurrunt
nuntia rerum.
errant saepe canes itaque et
vestigia quaerunt.
Nec tamen hoc solis in odoribus
atque saporum
in generest, sed item species
rerum atque colores
non ita conveniunt ad sensus
omnibus omnes,
ut non sint aliis quaedam magis
acria visu.
quin etiam gallum noctem
explaudentibus alis
forme. E così attraverso l'aria
le api sono attirate dall'odore del
miele, benché sia lontano,
e gli avvoltoi dai cadaveri. E
ovunque il biforcuto zoccolo
delle bestie selvagge abbia volto il
passo, l'impeto dei cani
sguinzagliati ci conduce; e di
lontano l'odore dell'uomo è colto
col fiuto dalla candida oca,
salvatrice della rocca dei figli di
Romolo.
Così i vari odori assegnati ai vari
corpi conducono ognuno
al proprio cibo e lo costringono a
tirarsi indietro per fuggire
il repellente veleno, e in tal modo
si conservano le specie delle fiere.
Di questi stessi odori, dunque, che
stimolano le nostre nari,
taluno può propagarsi più lontano
di un altro;
ma tuttavia nessun odore va tanto
lontano quanto il suono,
quanto la voce, e tralascio di dire:
quanto i corpi
che feriscono le pupille e
provocano il vedere.
Vagando, infatti, l'odore viene
lentamente e svanisce troppo
presto,
inconsistente dissolvendosi a poco
a poco tra i venti;
prima, perché, venendo dal
profondo, è emesso a stento dalla
cosa:
infatti, che gli odori fluiscano e si
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auroram clara consuetum voce
stacchino dall'interno delle cose,
vocare,
lo dimostra il fatto che da tutte le
noenu queunt rapidi contra
cose il profumo ci giunge
constare leones
più forte quando esse sono
inque tueri: ita continuo meminere spezzate, quando sono triturate,
fugai.
quando sono sciolte dal fuoco; e
ni mirum quia sunt gallorum in
poi, si può vedere che l'odore
corpore quaedam
è composto di elementi più grandi
semina, quae cum sunt oculis
che quelli della voce, poiché non
inmissa leonum,
penetra
pupillas interfodiunt acremque
attraverso le pareti di pietra, per
dolorem
cui la voce e il suono
praebent, ut nequeant contra
comunemente passano.
durare feroces,
Per questo anche vedrai che non è
cum tamen haec nostras acies nil tanto facile scoprire
laedere possint,
in quale luogo sia posto l'oggetto
aut quia non penetrant aut quod che manda odore.
penetrantibus illis
Si raffredda infatti l'impulso
exitus ex oculis liber datur, in
indugiando per l'aria,
remorando
né al senso accorrono caldi i
laedere ne possint ex ulla lumina messaggi dei corpi.
parte.
Perciò i cani spesso errano e
Nunc age, quae moveant
vanno in cerca delle tracce.
animum res accipe, et unde
Né tuttavia ciò avviene soltanto
quae veniunt veniant in mentem per gli odori
percipe paucis.
e i sapori, ma ugualmente gli
principio hoc dico, rerum
aspetti e i colori delle cose
simulacra vagari
non si confanno tutti ai sensi di
multa modis multis in cunctas
tutti,
undique partis
sì che alcuni non siano troppo
tenvia, quae facile inter se
aspri alla vista di certuni.
iunguntur in auris,
Anzi, al gallo, che suole, sbattendo
obvia cum veniunt, ut aranea
le ali per cacciar via
bratteaque auri.
la notte, chiamare l'aurora con
quippe etenim multo magis haec voce squillante,
sunt tenvia textu
i rabbiosi leoni non possono stare
quam quae percipiunt oculos
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visumque lacessunt,
corporis haec quoniam penetrant
per rara cientque
tenvem animi naturam intus
sensumque lacessunt.
Centauros itaque et Scyllarum
membra videmus
Cerbereasque canum facies
simulacraque eorum
quorum morte obita tellus
amplectitur ossa;
omnigenus quoniam passim
simulacra feruntur,
partim sponte sua quae fiunt aëre
in ipso,
partim quae variis ab rebus
cumque recedunt
et quae confiunt ex horum facta
figuris.
nam certe ex vivo Centauri non fit
imago,
nulla fuit quoniam talis natura
animata;
verum ubi equi atque hominis
casu convenit imago,
haerescit facile extemplo, quod
diximus ante,
propter subtilem naturam et
tenvia texta.
cetera de genere hoc eadem
ratione creantur.
quae cum mobiliter summa
levitate feruntur,
ut prius ostendi, facile uno
commovet ictu
quae libet una animum nobis
di fronte
e fissarlo: tanto pensano
immediatamente a fuggire,
senza dubbio perché nel corpo dei
galli ci sono certi
semi, che, quando sono spinti
dentro gli occhi dei leoni,
trafiggono le pupille e provocano
un dolore acuto,
sì che questi, malgrado la ferocia,
non possono resistervi;
mentre tuttavia tali semi non
possono ledere in nulla le nostre
pupille, o perché non vi penetrano
o perché, pur penetrandovi,
è data ad essi una libera uscita
dagli occhi, sì che non possono,
nel trattenervisi, ledere in alcuna
parte la vista.
Ora ascolta, suvvia, quali cose
muovano l'animo e apprendi
in poche parole donde vengano le
cose che vengono nella mente.
Anzitutto questo io dico, che molti
simulacri di cose
in molti modi vagano da ogni
parte in tutte le direzioni,
e son sottili, e facilmente si
congiungono tra loro nell'aria,
quando s'incontrano, come
ragnatele e foglie d'oro.
E infatti questi simulacri sono di
tessuto molto più sottile,
in confronto a quelli che occupano
gli occhi e provocano il vedere,
poiché questi penetrano per i pori
del corpo e dentro destano
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subtilis imago;
tenvis enim mens est et mire
mobilis ipsa.
haec fieri ut memoro, facile hinc
cognoscere possis.
quatinus hoc simile est illi, quod
mente videmus
atque oculis, simili fieri ratione
necessest.
Nunc igitur docui quoniam me
forte leonum
cernere per simulacra, oculos
quae cumque lacessunt,
scire licet mentem simili ratione
moveri
per simulacra leonum [et] cetera
quae videt aeque
nec minus atque oculi, nisi quod
mage tenvia cernit.
nec ratione alia, cum somnus
membra profudit,
mens animi vigilat, nisi quod
simulacra lacessunt
haec eadem nostros animos quae
cum vigilamus,
usque adeo, certe ut videamur
cernere eum quem
rellicta vita iam mors et terra
potitast.
hoc ideo fieri cogit natura, quod
omnes
corporis offecti sensus per
membra quiescunt
nec possunt falsum veris
convincere rebus.
praeterea meminisse iacet
languetque sopore,
la sottile natura dell'animo e ne
provocano la sensibilità.
E così vediamo Centauri e membra
di Scille
e canine facce di Cerberi e i
simulacri di coloro
che sono morti e di cui la terra
abbraccia le ossa;
poiché simulacri d'ogni genere si
muovono in ogni dove,
e parte nascono spontaneamente
nell'aria stessa,
parte son quelli che in qualche
modo si staccano dalle varie cose
e quelli che son fatti dal comporsi
delle figure di questi.
Ché certo non viene da cosa viva
l'immagine del Centauro,
poiché non è mai esistita la natura
d'un tale essere vivente,
ma, quando le immagini d'un
cavallo e d'un uomo per caso
s'incontrano, sùbito facilmente
aderiscono, come abbiamo detto
prima, per la loro sottile natura e
il tenue tessuto.
Tutte le altre cose di questo
genere si producono allo stesso
modo.
E quando si muovono rapidamente
con somma levità,
come prima ho mostrato,
facilmente con un solo colpo
una qualsiasi sottile immagine
commuove l'animo nostro;
tenue infatti è la mente e
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nec dissentit eum mortis letique
potitum
iam pridem, quem mens vivom se
cernere credit.
quod super est, non est mirum
simulacra moveri
bracchiaque in numerum iactare
et cetera membra;
nam fit ut in somnis facere hoc
videatur imago.
quippe, ubi prima perit alioque est
altera nata
inde statu, prior hic gestum
mutasse videtur.
scilicet id fieri celeri ratione
putandumst:
tanta est mobilitas et rerum copia
tanta
tantaque sensibili quovis est
tempore in uno
copia particularum, ut possit
suppeditare.
Multaque in his rebus
quaeruntur multaque nobis
clarandumst, plane si res
exponere avemus.
quaeritur in primis quare, quod
cuique libido
venerit, extemplo mens cogitet
eius id ipsum.
anne voluntatem nostram
simulacra tuentur
et simul ac volumus nobis occurrit
imago,
si mare, si terram cordist, si
denique caelum?
mirabilmente mobile anch'essa.
Che queste cose avvengano come
dico, facilmente puoi conoscere
da questo: dal momento che l'uno
è simile all'altro, ciò che vediamo
con la mente e ciò che vediamo
con gli occhi, in simile modo
devono avvenire. Ora, dunque,
poiché ho chiarito che io vedo,
ad esempio, un leone mediante
simulacri, quelli che colpiscono
gli occhi, si può intendere che la
mente in modo simile è mossa
mediante simulacri di leoni ‹e› di
tutte le altre cose che vede,
né più, né meno che gli occhi, ma
distingue simulacri più tenui.
E, quando il sonno ha rilassato le
membra, la facoltà intellettiva
dell'animo resta sveglia solo
perché ci colpiscono
l'animo questi medesimi simulacri
della veglia,
a tal grado che effettivamente
crediamo di vedere colui
che, lasciata la vita, è ormai preda
della morte e della terra.
Perciò la natura fa avvenire
questo, perché tutti
i sensi del corpo ottusi riposano
nelle membra,
né possono confutare il falso col
vero.
Inoltre la memoria è inattiva e
langue in sopore,
né discorda obiettando che è
morto e trapassato
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conventus hominum, pompam,
convivia, pugnas,
omnia sub verbone creat natura
paratque?
cum praesertim aliis eadem in
regione locoque
longe dissimilis animus res cogitet
omnis.
quid porro, in numerum procedere
cum simulacra
cernimus in somnis et mollia
membra movere,
mollia mobiliter cum alternis
bracchia mittunt
et repetunt oculis gestum pede
convenienti?
scilicet arte madent simulacra et
docta vagantur,
nocturno facere ut possint in
tempore ludos.
an magis illud erit verum? quia
tempore in uno,
cum sentimus, id est cum vox
emittitur una,
tempora multa latent, ratio quae
comperit esse,
propterea fit uti quovis in tempore
quaeque
praesto sint simulacra locis in
quisque parata.
tanta est mobilitas et rerum copia
tanta.
hoc ubi prima perit alioque est
altera nata
inde statu, prior hic gestum
mutasse videtur.
et quia tenvia sunt, nisi quae
già da tempo colui che la mente
crede di veder vivo.
Quanto al resto, non è
sorprendente che i simulacri si
muovano
e in cadenza agitino le braccia e le
altre membra.
Infatti accade che nei sogni
l'immagine sembri far questo,
giacché, quando la prima è sparita
e quindi un'altra è nata
in altra positura, sembra allora
che la prima abbia mutato gesto.
Senza dubbio si deve pensare che
ciò avvenga in modo celere:
tanta è la mobilità, tanta la
moltitudine delle immagini,
e tanta è l'abbondanza delle
particelle in un qualunque
minimo tempo percettibile, che
può bastare all'effetto.
E a questo proposito molte
domande si pongono e molti fatti
dobbiamo chiarire, se vogliamo
esporre appieno le cose.
Si chiede anzitutto perché, quando
a chiunque sia venuto
il capriccio di pensar qualcosa,
sùbito la mente pensi proprio
quella.
Forse i simulacri sono attenti al
nostro volere
e, appena noi vogliamo, accorre a
noi l'immagine,
se il mare, se la terra ci sta a
cuore, o infine il cielo?
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contendit, acute
cernere non potis est animus;
proinde omnia quae sunt
praeterea pereunt, nisi quae ex
se[se] ipse paravit.
ipse parat sese porro speratque
futurum
ut videat quod consequitur rem
quamque: fit ergo.
nonne vides oculos etiam, cum
tenvia quae sunt
[praeterea pereunt, nisi quae ex
se ipse paravit]
cernere coeperunt, contendere se
atque parare,
nec sine eo fieri posse ut
cernamus acute?
et tamen in rebus quoque apertis
noscere possis,
si non advertas animum, proinde
esse quasi omni
tempore semotum fuerit longeque
remotum.
cur igitur mirumst, animus si
cetera perdit
praeter quam quibus est in rebus
deditus ipse?
deinde adopinamur de signis
maxima parvis
ac nos in fraudem induimus
frustraminis ipsi.
Fit quoque ut inter dum non
suppeditetur imago
eiusdem generis, sed femina quae
fuit ante,
in manibus vir uti factus videatur
Radunanze d'uomini, una
processione, conviti, battaglie,
ogni cosa la natura crea e
appronta a una nostra parola?
E questo benché, nella stessa
regione e nello stesso luogo,
la mente d'altri pensi ogni sorta di
cose molto dissimili.
Che dire poi, quando in sogno
vediamo simulacri avanzare
ritmicamente e muovere le
flessibili membra,
quando alternamente slanciano
celeri le flessibili braccia
e ripetono il gesto col piede che
s'accorda agli occhi?
Certo sono imbevuti d'arte i
simulacri e addestrati vagano,
sì che possono offrire
rappresentazioni nelle ore
notturne.
O non sarà piuttosto vero ciò?
Poiché in un singolo momento
in cui sentiamo, cioè in cui viene
emessa una singola voce,
si celano molti momenti, che la
ragione scopre esistenti,
perciò accade che in qualsiasi
momento simulacri d'ogni tipo
siano a disposizione e pronti in
tutti i vari luoghi:
tanta è la mobilità, tanta la
moltitudine delle immagini.
Perciò, quando la prima è morta e
quindi un'altra è nata
in altra positura, pare allora che la
prima abbia mutato gesto.
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adesse,
E poiché sono sottili, l'animo non
aut alia ex alia facies aetasque
può discernere distinte
sequatur.
se non quelle che cerca di
quod ne miremur sopor atque
cogliere; quindi tutte quelle che ci
oblivia curant.
sono
Illud in his rebus vitium
oltre ad esse, vanno perdute,
vehementer Äinesse
tranne quelle cui l'animo s'è
effugere errorem vitareque
preparato.
praemetuenter,
Esso, d'altra parte, si prepara e
lumina ne facias oculorum clara
s'aspetta che gli accada di vedere
creata,
ciò che segue a ogni positura
prospicere ut possimus, et ut
dell'immagine; quindi ciò avviene.
proferre queamus
Non vedi che anche gli occhi,
proceros passus, ideo fastigia
quando s'accingono a scorgere
posse
cose che sono sottili, si tendono
surarum ac feminum pedibus
con sforzo e si preparano,
fundata plicari,
né senza ciò può accadere che
bracchia tum porro validis ex apta discerniamo distintamente?
lacertis
E tuttavia, anche nel caso di cose
esse manusque datas utraque [ex] manifeste, puoi osservare
parte ministras,
che, se non volgi ad esse la
ut facere ad vitam possemus quae mente, è come se tutto
foret usus.
il tempo la cosa fosse distante e di
cetera de genere hoc inter quae
gran lunga remota.
cumque pretantur,
Perché, dunque, meravigliarsi, se
omnia perversa praepostera sunt l'animo perde tutte
ratione,
le altre cose, tranne quelle alle
nil ideo quoniam natumst in
quali esso è intento?
corpore ut uti
E poi da piccoli segni procediamo
possemus, sed quod natumst id
alle congetture più vaste
procreat usum.
e ci irretiamo noi stessi
nec fuit ante videre oculorum
nell'inganno che ci illude.
lumina nata,
Accade anche talora che non
nec dictis orare prius quam lingua sussegua un'immagine
creatast,
dello stesso genere, ma quella che
sed potius longe linguae
prima era una donna,
praecessit origo
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sermonem multoque creatae sunt sembri starci accanto divenuta
uomo sotto i nostri occhi,
prius aures
quam sonus est auditus, et omnia oppure si seguano facce ed età
differenti.
denique membra
ante fuere, ut opinor, eorum quam Ma il sonno e l'oblio fanno sì che
non ce ne stupiamo.
foret usus;
A tale proposito desideriamo
haud igitur potuere utendi
vivamente che tu fugga
crescere causa.
at contra conferre manu certamina un vizioso ragionamento, e con
grande cautela eviti l'errore
pugnae
di credere che il chiaro lume degli
et lacerare artus foedareque
occhi sia stato creato
membra cruore
affinché possiamo vedere, e che le
ante fuit multo quam lucida tela
estremità delle gambe
volarent,
e delle cosce fondate sui piedi
et volnus vitare prius natura
possano piegarsi per questo,
coëgit
affinché siamo in grado di
quam daret obiectum parmai
avanzare a lunghi passi,
laeva per artem.
scilicet et fessum corpus mandare e ancora, che gli avambracci siano
attaccati alle forti braccia
quieti
e ci siano state date le mani per
multo antiquius est quam lecti
servirci ‹dall'›una e l'altra parte,
mollia strata,
affinché possiamo fare ciò che
et sedare sitim prius est quam
abbisogna per la vita.
pocula natum.
haec igitur possunt utendi cognita Tutte le interpretazioni di questo
genere
causa
credier, ex usu quae sunt vitaque mettono il prima al posto del dopo
con ragionare stravolto,
reperta.
illa quidem seorsum sunt omnia, poiché nessuna cosa è nata nel
corpo per questo,
quae prius ipsa
affinché potessimo usarne, ma ciò
nata dedere suae post notitiam
che è nato crea esso l'uso.
utilitatis.
Né esistette la vista prima che
quo genere in primis sensus et
nascessero gli occhi,
membra videmus;
né il dire con parole prima che la
quare etiam atque etiam procul
lingua fosse creata,
est ut credere possis
ma piuttosto la nascita della lingua
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utilitatis ob officium potuisse
creari.
Illud item non est mirandum,
corporis ipsa
quod natura cibum quaerit
cuiusque animantis.
quippe etenim fluere atque
recedere corpora rebus
multa modis multis docui, sed
plurima debent
ex animalibus; [quae] quia sunt
exercita motu,
multa per os exhalantur, cum
languida anhelant,
multaque per sudorem ex alto
pressa feruntur.
his igitur rebus rarescit corpus et
omnis
subruitur natura, dolor quam
consequitur rem.
propterea capitur cibus, ut
suffulciat artus
et recreet vires inter datus, atque
patentem
per membra ac venas ut amorem
opturet edendi.
umor item discedit in omnia quae
loca cumque
poscunt umorem; glomerataque
multa vaporis
corpora, quae stomacho praebent
incendia nostro,
dissupat adveniens liquor ac
restinguit ut ignem,
urere ne possit calor amplius
aridus artus.
sic igitur tibi anhela sitis de
precedette di molto
la favella, e le orecchie furono
create molto prima
che si udisse il suono, e, in breve,
tutte le membra
esistettero, io credo, prima che
esistesse il loro uso.
Non poterono quindi crescere per
il fine dell'uso.
Ma, al contrario, venire alle mani
nella zuffa della battaglia
e lacerar membra e insozzare di
sangue il corpo
furono molto prima che volassero i
lucidi dardi,
e la natura costrinse a evitare la
ferita prima che il braccio
sinistro opponesse la difesa dello
scudo foggiato dall'arte.
E senza dubbio l'abbandonare al
riposo il corpo stanco
è molto più antico che il letto dai
morbidi materassi,
e il placare la sete nacque prima
delle coppe.
Si può dunque credere che siano
state inventate per l'uso
queste cose che sono state
scoperte secondo i bisogni della
vita.
Ma stanno a parte tutte quelle
cose che, nate prima
esse stesse, dettero poi la nozione
della loro utilità.
Di tale genere vediamo anzitutto i
sensi e le membra;
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corpore nostro
abluitur, sic expletur ieiuna
cupido.
Nunc qui fiat uti passus
proferre queamus,
cum volumus, quareque datum sit
membra movere
et quae res tantum hoc oneris
protrudere nostri
corporis insuerit, dicam: tu
percipe dicta.
dico animo nostro primum
simulacra meandi
accidere atque animum pulsare, ut
diximus ante.
inde voluntas fit; neque enim
facere incipit ullam
rem quisquam, [quam] mens
providit quid velit ante.
id quod providet, illius rei constat
imago,
ergo animus cum sese ita
commovet ut velit ire
inque gredi, ferit extemplo quae in
corpore toto
per membra atque artus animai
dissita vis est;
et facilest factu, quoniam
coniuncta tenetur.
inde ea proporro corpus ferit,
atque ita tota
paulatim moles protruditur atque
movetur.
praeterea tum rarescit quoque
corpus et aër,
scilicet ut debet qui semper
quindi, ancora e ancora, non ti è
possibile credere
che abbiano potuto esser creati
per adempiere l'utile funzione.
Di questo, ugualmente, non ci si
deve stupire, che il corpo
d'ogni vivente cerca il cibo per
impulso della propria natura.
E infatti ho insegnato che molti
corpi fluiscono via e si staccano
dalle cose in molti modi, ma più
numerosi se ne devono staccare
dagli animali. Poiché ‹questi› sono
travagliati dal movimento,
e molti corpi vanno via col sudore,
spremuti dal profondo,
molti sono esalati per la bocca,
quando essi infiacchiti anelano,
per tali motivi, dunque, si dirada il
corpo e si strema
tutta la loro natura; e a ciò segue
il dolore.
Perciò si prende il cibo, affinché
sorregga le membra
e distribuito ricrei le forze, e per
membra
e per vene sazi l'avido desiderio di
nutrimento.
Ugualmente l'umore si spande in
tutte quelle parti
che richiedono umore; e i molti
corpi di calore raccolti,
che nel nostro stomaco producono
un incendio,
li dissipa al suo arrivo il liquido e li
spegne come fuoco,
affinché l'arido calore non possa
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mobilis extat,
per patefacta venit penetratque
foramina largus,
et dispargitur ad partis ita
quasque minutas
corporis. hic igitur rebus fit
utrimque duabus,
corpus ut ac navis velis ventoque
feratur.
nec tamen illud in his rebus
mirabile constat,
tantula quod tantum corpus
corpuscula possunt
contorquere et onus totum
convertere nostrum;
quippe etenim ventus subtili
corpore tenvis
trudit agens magnam magno
molimine navem
et manus una regit quanto vis
impete euntem
atque gubernaclum contorquet
quo libet unum,
multaque per trocleas et tympana
pondere magno
commovet atque levi sustollit
machina nisu.
Nunc quibus ille modis somnus
per membra quietem
inriget atque animi curas e
pectore solvat,
suavidicis potius quom multis
versibus edam,
parvus ut est cycni melior canor,
ille gruum quam
clamor in aetheriis dispersus
nubibus austri.
più ardere le membra.
Così dunque, vedi, la sete
anelante si deterge
dal nostro corpo, così si appaga
l'affamata brama.
Ora dirò come avviene che
possiamo avanzare coi nostri passi
quando vogliamo, e che ci sia dato
muover le membra in vari modi,
e quale forza sia solita spingere
innanzi questo gran peso
del nostro corpo: tu ascolta
attentamente le mie parole.
Dico che dapprima simulacri di
movimento giungono
al nostro animo e lo
impressionano, come abbiamo già
detto.
Quindi nasce il volere; e infatti
nessuno comincia a fare
qualcosa prima ‹che› la mente
preveda quello che vuole fare.
E di quello che essa prevede,
esiste un'immagine.
Dunque, quando l'animo si muove
sì che vuole andare
e procedere, sùbito sprona la forza
dell'anima
che è disseminata in tutto il corpo
per membra e giunture;
e ciò è facile a farsi, poiché
all'animo è strettamente
congiunta.
Poi essa sprona a sua volta il
corpo, e così tutta
la massa a poco a poco è spinta
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tu mihi da tenuis auris animumque innanzi e si muove.
Inoltre, allora si dirada anche il
sagacem,
ne fieri negites quae dicam posse corpo, e l'aria
(come naturalmente deve, giacché
retroque
sempre è di mobile natura)
vera repulsanti discedas pectore
arriva attraverso le aperture e
dicta,
penetra nei fori in abbondanza,
tutemet in culpa cum sis neque
e così si sparge qua e là, fino a
cernere possis.
tutte le parti minute
Principio somnus fit ubi est
del corpo. Allora, dunque, avviene
distracta per artus
vis animae partimque foras eiecta che il corpo sia mosso
da due cause, operanti da una
recessit
et partim contrusa magis concessit parte e dall'altra, come una nave
spinta dai remi e dal vento. Né
in altum;
tuttavia in ciò fa meraviglia
dissoluuntur enim tum demum
che corpuscoli tanto piccoli
membra fluuntque.
nam dubium non est, animai quin possano dirigere un corpo
tanto grande e voltare attorno
opera sit
tutto il nostro peso.
sensus hic in nobis, quem cum
E infatti il vento, tenue per la
sopor inpedit esse,
sottile sua materia,
tum nobis animam perturbatam
muove e spinge una grande nave
esse putandumst
di grande massa,
eiectamque foras, non omnem;
e un'unica mano la guida, con
namque iaceret
qualunque rapidità proceda,
aeterno corpus perfusum frigore
e un unico timone la dirige
leti.
quippe ubi nulla latens animai pars ovunque piaccia;
e per mezzo di carrucole e di ruote
remaneret
in membris, cinere ut multa latet una macchina sposta
e solleva molte cose di grande
obrutus ignis,
peso con uno sforzo lieve.
unde reconflari sensus per
In quali modi il sonno diffonda la
membra repente
possit, ut ex igni caeco consurgere quiete per le membra
e sciolga dal petto le inquietudini
flamma?
Sed quibus haec rebus novitas dell'animo,
ora esporrò in versi soavi piuttosto
confiat et unde
che numerosi;
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perturbari anima et corpus
languescere possit,
expediam: tu fac ne ventis verba
profundam.
Principio externa corpus de
parte necessum est,
aëriis quoniam vicinum tangitur
auris,
tundier atque eius crebro pulsarier
ictu,
proptereaque fere res omnes aut
corio sunt
aut etiam conchis aut callo aut
cortice tectae.
interiorem etiam partem
spirantibus aër
verberat hic idem, cum ducitur
atque reflatur.
quare utrimque secus cum corpus
vapulet et cum
perveniant plagae per parva
foramina nobis
corporis ad primas partis
elementaque prima,
fit quasi paulatim nobis per
membra ruina.
conturbantur enim positurae
principiorum
corporis atque animi. fit uti pars
inde animai
eliciatur et introrsum pars abdita
cedat,
pars etiam distracta per artus non
queat esse
coniuncta inter se neque motu
mutua fungi;
inter enim saepit coetus natura
così il breve canto del cigno è
migliore di quel clamore
delle gru disperso tra le eteree
nubi dell'austro.
Tu prestami fini orecchie e animo
sagace,
affinché non neghi che possa
avvenire ciò che dico
e non ti scosti da me con petto
che respinge e scaccia le parole
veritiere, mentre proprio tu sei in
errore e non riesci a discernere.
Anzitutto, il sonno si produce
quando la forza dell'anima
è dispersa per le membra, e una
parte, scacciata fuori, è andata
via,
un'altra, stipata dentro, si è
ritratta più nel profondo.
Infatti, proprio allora le membra si
rilassano e sono cascanti.
Giacché non v'è dubbio che per
opera dell'anima esiste
in noi questo senso; quando il
sonno gl'impedisce di esistere,
dobbiamo credere che allora
l'anima sia stata perturbata
e scacciata fuori; tuttavia, non
tutta: altrimenti il corpo
giacerebbe penetrato dall'eterno
freddo della morte.
E infatti, se nessuna parte
dell'anima rimanesse celata
nelle membra, come si cela il
fuoco sepolto sotto molta cenere,
donde potrebbe il senso
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viasque.
ergo sensus abit mutatis motibus
alte.
et quoniam non est quasi quod
suffulciat artus,
debile fit corpus languescuntque
omnia membra,
bracchia palpebraeque cadunt
poplitesque cubanti
saepe tamen summittuntur
virisque resolvunt.
Deinde cibum sequitur somnus,
quia, quae facit aër,
haec eadem cibus, in venas dum
diditur omnis,
efficit. et multo sopor ille
gravissimus exstat,
quem satur aut lassus capias, quia
plurima tum se
corpora conturbant magno
contusa labore.
fit ratione eadem coniectus parte
animai
altior atque foras eiectus largior
eius,
et divisior inter se ac distractior
intus.
Et quo quisque fere studio
devinctus adhaeret
aut quibus in rebus multum sumus
ante morati
atque in ea ratione fuit contenta
magis mens,
in somnis eadem plerumque
videmur obire:
causidici causas agere et
riaccendersi d'un tratto nelle
membra,
come da fuoco invisibile può
risorgere la fiamma?
Ma spiegherò per quali fattori si
produca questo nuovo stato
e per quale causa possa
perturbarsi l'anima e languire il
corpo:
tu fa' che io non disperda ai venti
le parole.
Anzitutto, è inevitabile che dalla
parte esterna il corpo,
poiché da vicino è toccato dai soffi
dell'aria,
venga urtato e picchiato dai
frequenti colpi di questa;
e perciò quasi tutti i corpi sono
coperti o di cuoio
o anche di conchiglie o di callo o di
scorza.
Anche la parte interna degli esseri
che respirano è sferzata
da questa stessa aria, quando
viene inspirata ed espirata.
Perciò, essendo il corpo battuto da
entrambi i lati
ed arrivando i colpi, attraverso i
piccoli pori,
fino alle prime parti e agli elementi
primi del nostro corpo,
avviene a poco a poco in noi per le
membra quasi un crollo.
Si sconvolgono infatti le positure
degli atomi
del corpo e dell'animo. Avviene
quindi che una parte dell'anima
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componere leges,
sia scacciata fuori e una parte si
induperatores pugnare ac proelia ritragga e si celi nell'interno,
obire,
un'altra parte, dispersa per le
nautae contractum cum ventis
membra, non possa restare
degere bellum,
in sé connessa, né scambiare
nos agere hoc autem et naturam movimenti;
quaerere rerum
la natura infatti impedisce gli
semper et inventam patriis
incontri e sbarra le vie;
exponere chartis.
così, mutati i movimenti, il senso
cetera sic studia atque artes
si ritira nel profondo.
plerumque videntur
E poiché non v'è nulla che quasi
in somnis animos hominum
sorregga le giunture,
frustrata tenere.
diventa debole il corpo e
et qui cumque dies multos ex
languiscono tutte le membra,
ordine ludis
cadono le braccia e le palpebre, e i
adsiduas dederunt operas,
ginocchi,
plerumque videmus,
anche se si è coricati, spesso si
cum iam destiterunt ea sensibus piegano e rilassano le loro forze.
usurpare,
Ancora, il sonno segue al pasto,
relicuas tamen esse vias in mente perché i medesimi effetti
patentis,
dell'aria li produce anche il cibo,
qua possint eadem rerum
mentre in tutte le vene
simulacra venire;
si diffonde. E molto più di ogni
per multos itaque illa dies eadem altro è pesante quel sopore
obversantur
che ti prende se sei sazio o
ante oculos, etiam vigilantes ut
stanco, perché più numerosi
videantur
elementi allora si sconvolgono,
cernere saltantis et mollia membra travagliati dal grande sforzo.
moventis
Parimenti avvengono un più
et citharae liquidum carmen
profondo stiparsi di parte
chordasque loquentis
dell'anima
auribus accipere et consessum
e una più larga espulsione di
cernere eundem
un'altra parte all'esterno,
scenaique simul varios splendere mentre all'interno essa è in sé
decores.
stessa più divisa e dispersa.
usque adeo magni refert studium E l'attività alla quale ognuno di
atque voluntas,
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et quibus in rebus consuerint esse
operati
non homines solum sed vero
animalia cuncta.
quippe videbis equos fortis, cum
membra iacebunt,
in somnis sudare tamen
spirareque semper
et quasi de palma summas
contendere viris
aut quasi carceribus patefactis
[edere voces>
venantumque canes in molli saepe
quiete
iactant crura tamen subito
vocisque repente
mittunt et crebro redducunt
naribus auras.
ut vestigia si teneant inventa
ferarum,
expergefactique secuntur inania
saepe
cervorum simulacra, fugae quasi
dedita cernant,
donec discussis redeant erroribus
ad se.
at consueta domi catulorum
blanda propago
discutere et corpus de terra
corripere instant,
[iactant crura tamen subito
vocisque repente
mittunt et crebro redducunt
naribus auras
ut vestigia si teneant inventa
ferarum
solito è attaccato e attende,
o gli oggetti sui quali molto ci
siamo prima intrattenuti
e nell'occuparsi dei quali è stata
più intenta la mente,
in questi stessi per lo più nei sogni
ci pare d'essere impegnati:
gli avvocati credono di perorare
cause e confrontare leggi,
i generali di combattere e di
impegnarsi nella battaglia,
i naviganti di sostenere la lotta
ingaggiata coi venti,
e noi di compiere quest'opera e
d'investigare sempre la natura
e scoprirla ed esporla in pagine
scritte nella lingua dei padri.
Così tutte le altre attività e arti per
lo più paiono nei sogni
tenere prigionieri di fallaci
immagini gli animi degli uomini.
E chiunque per molti giorni
continuamente fu presente
e attento agli spettacoli, per lo più
vediamo
che, quando ha ormai cessato di
percepirli coi sensi,
conserva tuttavia aperte nella sua
mente altre vie,
per le quali possono entrare i
medesimi simulacri.
E così per molti giorni quelle
stesse immagini si presentano
davanti ai suoi occhi, sì che anche
da sveglio crede
di veder persone che danzano e
muovono le flessibili membra,
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expergefactique secuntur inania
e di percepire con le orecchie il
saepe]
limpido canto della cetra
proinde quasi ignotas facies atque e la voce delle corde, e di vedere
ora tuantur.
gli stessi spettatori
et quo quaeque magis sunt aspera e, insieme, lo splendere dei vari
seminiorum,
ornamenti della scena.
tam magis in somnis eadem
Tanto grande è l'importanza della
saevire necessust.
passione e del piacere
at variae fugiunt volucres
e delle occupazioni consuete,
pinnisque repente
non solo per gli uomini, ma anche
sollicitant divom nocturno tempore per tutti gli animali.
lucos,
Vedrai infatti forti cavalli, le cui
accipitres somno in leni si proelia membra giaceranno distese,
pugnas
tuttavia irrorarsi di sudore nel
edere sunt persectantes visaeque sonno e ansar senza posa
volantes.
e tender le forze all'estremo, quasi
porro hominum mentes, magnis
fossero in gara per la vittoria,
quae motibus edunt
o le sbarre fossero state aperte †
magna, itidem saepe in somnis
...... †
faciuntque geruntque,
E spesso i cani dei cacciatori, pur
reges expugnant, capiuntur,
mollemente addormentati,
proelia miscent,
tuttavia dimenano d'improvviso le
tollunt clamorem, quasi si
zampe e emettono d'un tratto
iugulentur ibidem.
latrati e aspirano frequentemente
multi depugnant gemitusque
con le nari l'aria,
doloribus edunt
come se avessero scoperto tracce
et quasi pantherae morsu saevive di fiere e le seguissero;
leonis
e spesso, essendosi svegliati,
mandantur, magnis clamoribus
inseguono vane
omnia complent.
immagini di cervi, quasiché li
multi de magnis per somnum
vedessero lanciati nella fuga,
rebus loquuntur
finché, dissipati gli errori,
indicioque sui facti persaepe fuere. ritornano in sé.
multi mortem obeunt. multi, de
Ma la carezzevole prole dei
montibus altis
cuccioli, avvezza a vita domestica,
ut quasi praecipitent ad terram
in fretta scuote via e solleva da
corpore toto,
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exterruntur et ex somno quasi
mentibus capti
vix ad se redeunt permoti corporis
aestu.
flumen item sitiens aut fontem
propter amoenum
adsidet et totum prope faucibus
occupat amnem.
puri saepe lacum propter si ac
dolia curta
somno devincti credunt se
extollere vestem,
totius umorem saccatum corporis
fundunt,
cum Babylonica magnifico
splendore rigantur.
tum quibus aetatis freta primitus
insinuatur
semen, ubi ipsa dies membris
matura creavit,
conveniunt simulacra foris e
corpore quoque,
nuntia praeclari voltus pulchrique
coloris,
qui ciet inritans loca turgida
semine multo,
ut quasi transactis saepe omnibus
rebus profundant
fluminis ingentis fluctus
vestemque cruentent.
Sollicitatur id [in] nobis, quod
diximus ante,
semen, adulta aetas cum primum
roborat artus.
namque alias aliud res commovet
atque lacessit;
terra il corpo,
quasiché vedesse figure e facce
ignote.
E quanto più una razza è feroce,
tanto più nel sonno essa deve
infuriare.
Ma i variopinti uccelli fuggon via e,
sbattendo le ali,
d'un tratto turbano durante la
notte i boschi sacri,
se nel dolce sonno sembrò loro di
vedere sparvieri
dare battaglia e far zuffa
perseguitandoli a volo.
Inoltre le menti degli uomini, che
con grandi movimenti producono
grandi cose, spesso nei sogni le
fanno e le svolgono parimenti:
i re espugnano, son fatti
prigionieri, si gettano nella
mischia,
emettono grida come se fossero
scannati in quel punto stesso.
Molti lottano all'ultimo sangue e
mandano gemiti di dolore
e, come se fossero dilaniati dai
morsi d'una pantera
o d'un feroce leone, riempiono
tutto di grandi grida.
Molti nel sonno parlano di cose
gravi,
e così parecchi denunziarono
proprie colpe.
Molti affrontano la morte. Molti,
come se da alti monti
precipitassero a terra con tutto il
peso del corpo,
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ex homine humanum semen ciet
una hominis vis.
quod simul atque suis eiectum
sedibus exit,
per membra atque artus decedit
corpore toto,
in loca conveniens nervorum certa
cietque
continuo partis genitalis corporis
ipsas.
inritata tument loca semine fitque
voluntas
eicere id quo se contendit dira
lubido,
[incitat inritans loca turgida
semine multo]
idque petit corpus, mens unde est
saucia amore;
namque omnes plerumque cadunt
in vulnus et illam
emicat in partem sanguis, unde
icimur ictu,
et si comminus est, hostem ruber
occupat umor.
sic igitur Veneris qui telis accipit
ictus,
sive puer membris muliebribus
hunc iaculatur
seu mulier toto iactans e corpore
amorem,
unde feritur, eo tendit gestitque
coire
t iacere umorem in corpus de
corpore ductum;
namque voluptatem praesagit
muta cupido.
Haec Venus est nobis; hinc
sono sconvolti dalla paura e,
destandosi, come mentecatti
a stento tornano in sé, perturbati
dal rimescolìo del corpo.
Similmente, un assetato si siede
presso un corso d'acqua
o un'amena sorgente e con le
fauci ingoia quasi tutto il fiume.
Spesso persone pudiche, se
avvinte dal sonno credono
di sollevare la veste davanti a una
latrina o a un vaso da notte,
spandono il liquido filtrato
attraverso tutto il corpo, e le
coperte
babilonesi, dal magnifico
splendore, ne sono bagnate.
E a quelli cui pei canali adolescenti
la prima volta s'insinua
il seme, quel giorno stesso della
maturazione che l'ha prodotto
nelle membra, arrivano di fuori
simulacri emessi da vari corpi,
nunzi di uno splendido volto e di
un bel colorito,
che stimola ed eccita le parti
turgide di molto seme,
sì che spesso, come se tutto
avessero compiuto, spandono
larghi fiotti di liquido e imbrattano
la veste.
Si agita ‹in› noi questo seme, di
cui ho parlato prima,
appena l'adolescenza rafforza le
membra.
Giacché diverse cause eccitano e
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autemst nomen Amoris,
hinc illaec primum Veneris
dulcedinis in cor
stillavit gutta et successit frigida
cura;
nam si abest quod ames, praesto
simulacra tamen sunt
illius et nomen dulce obversatur
ad auris.
sed fugitare decet simulacra et
pabula amoris
absterrere sibi atque alio
convertere mentem
et iacere umorem coniectum in
corpora quaeque
nec retinere semel conversum
unius amore
et servare sibi curam certumque
dolorem;
ulcus enim vivescit et inveterascit
alendo
inque dies gliscit furor atque
aerumna gravescit,
si non prima novis conturbes
volnera plagis
volgivagaque vagus Venere ante
recentia cures
aut alio possis animi traducere
motus.
Nec Veneris fructu caret is qui
vitat amorem,
sed potius quae sunt sine poena
commoda sumit;
nam certe purast sanis magis inde
voluptas
quam miseris; etenim potiundi
provocano diversi oggetti:
dall'uomo, solo l'attrattiva
dell'uomo fa scaturire il seme
umano.
E appena questo, emesso dalle
sue sedi, esce,
attraverso le membra e le
giunture si ritira da tutto il corpo,
raccogliendosi in determinate
regioni nervose,
e immediatamente eccita proprio
gli organi genitali.
Le parti stimolate inturgidiscono di
seme e nasce la voglia
di emetterlo là verso dove è
protesa la furente brama,
e il corpo cerca quello da cui la
mente è ferita d'amore.
Giacché tutti solitamente cadono
sulla ferita, e il sangue
spiccia in quella direzione da cui è
giunto il colpo
e, se il nemico è vicino, il rosso
liquido lo copre.
Così, dunque, chi riceve i colpi dai
dardi di Venere,
lo trafigga un fanciullo di membra
femminee
o una donna che da tutto il corpo
irraggi amore,
tende verso là donde è ferito, e
anela a congiungersi,
e in quel corpo spandere l'umore
tratto dal corpo.
Ché il muto desiderio presagisce il
piacere.
Questa è Venere per noi; e di qui
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tempore in ipso
fluctuat incertis erroribus ardor
amantum
nec constat quid primum oculis
manibusque fruantur.
quod petiere, premunt arte
faciuntque dolorem
corporis et dentes inlidunt saepe
labellis
osculaque adfigunt, quia non est
pura voluptas
et stimuli subsunt, qui instigant
laedere id ipsum,
quod cumque est, rabies unde
illaec germina surgunt.
sed leviter poenas frangit Venus
inter amorem
blandaque refrenat morsus
admixta voluptas.
namque in eo spes est, unde est
ardoris origo,
restingui quoque posse ab eodem
corpore flammam.
quod fieri contra totum natura
repugnat;
unaque res haec est, cuius quam
plurima habemus,
tam magis ardescit dira cuppedine
pectus.
nam cibus atque umor membris
adsumitur intus;
quae quoniam certas possunt
obsidere partis,
hoc facile expletur laticum
frugumque cupido.
ex hominis vero facie pulchroque
colore
viene il nome di amore,
di qui quella goccia della dolcezza
di Venere stillò
prima nel cuore, e le susseguì il
gelido affanno.
Infatti, se è assente l'oggetto del
tuo amore, son tuttavia presenti
le sue immagini, e il dolce nome
non abbandona le tue orecchie.
Ma conviene fuggire quelle
immagini e respingere via da sé
ciò che alimenta l'amore e volgere
la mente ad altro oggetto
e spandere in altri corpi, quali che
siano, l'umore raccolto,
e non trattenerlo essendo rivolto
una volta per sempre all'amore
d'una persona sola, e così
riservare a sé stesso affanno e
sicuro dolore.
Giacché la piaga s'inacerbisce e
incancrenisce, a nutrirla,
e di giorno in giorno la follia
aumenta e la sofferenza
s'aggrava,
se non scacci con nuove piaghe le
prime ferite, e non le curi
vagando con Venere vagabonda
mentre sono ancora fresche,
o trovi modo di rivolgere altrove i
moti dell'animo.
Né dei frutti di Venere è privo colui
che evita l'amore,
ma piuttosto coglie le gioie che
sono senza pena.
Giacché certo agli assennati ne
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nil datur in corpus praeter
simulacra fruendum
tenvia; quae vento spes raptast
saepe misella.
ut bibere in somnis sitiens quom
quaerit et umor
non datur, ardorem qui membris
stinguere possit,
sed laticum simulacra petit
frustraque laborat
in medioque sitit torrenti flumine
potans,
sic in amore Venus simulacris ludit
amantis,
nec satiare queunt spectando
corpora coram
nec manibus quicquam teneris
abradere membris
possunt errantes incerti corpore
toto.
denique cum membris conlatis
flore fruuntur
aetatis, iam cum praesagit gaudia
corpus
atque in eost Venus ut muliebria
conserat arva,
adfigunt avide corpus iunguntque
salivas
oris et inspirant pressantes
dentibus ora,
ne quiquam, quoniam nihil inde
abradere possunt
nec penetrare et abire in corpus
corpore toto;
nam facere inter dum velle et
certare videntur.
viene un piacere più puro
che ai malati d'amore. Infatti nel
momento stesso del possedere
fluttua ed erra incerto l'ardore
degli amanti, né sanno
che cosa debbano prima godere
con gli occhi e le mani.
Quel che hanno desiderato, lo
premono strettamente, e fanno
male al corpo, e spesso infiggono i
denti nelle labbra,
e urtano bocca con bocca nei baci,
perché non è puro il piacere
e assilli occulti li stimolano a ferire
l'oggetto stesso,
quale che sia, da cui sorgono quei
germi di furore.
Ma lievemente attenua le pene
Venere nell'atto di amore
e il carezzevole piacere,
commisto, raffrena i morsi.
Giacché in ciò è la speranza: che
dallo stesso corpo
da cui è nato l'ardore, possa anche
essere estinta la fiamma.
Ma la natura oppone che ciò
avviene tutto al contrario;
e questa è l'unica cosa per cui,
quanto più ne possediamo,
tanto più il petto riarde d'una
crudele brama.
Difatti cibo e bevanda sono
assorbiti dentro le membra;
e poiché possono occupare
determinate parti,
perciò la sete e la fame si saziano
facilmente.
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usque adeo cupide in Veneris
compagibus haerent,
membra voluptatis dum vi
labefacta liquescunt.
tandem ubi se erupit nervis
coniecta cupido,
parva fit ardoris violenti pausa
parumper.
inde redit rabies eadem et furor
ille revisit,
cum sibi quod cupiant ipsi
contingere quaerunt,
nec reperire malum id possunt
quae machina vincat.
usque adeo incerti tabescunt
volnere caeco.
Adde quod absumunt viris
pereuntque labore,
adde quod alterius sub nutu
degitur aetas,
languent officia atque aegrotat
fama vacillans.
labitur interea res et Babylonia
fiunt
unguenta et pulchra in pedibus
Sicyonia rident,
scilicet et grandes viridi cum luce
zmaragdi
auro includuntur teriturque
thalassina vestis
adsidue et Veneris sudorem
exercita potat.
et bene parta patrum fiunt
anademata, mitrae,
inter dum in pallam atque
Alidensia Ciaque vertunt.
eximia veste et victu convivia,
Ma di una faccia umana e di un bel
colorito nulla, di cui
si possa godere, penetra nel
corpo, tranne tenui simulacri,
che spesso trascinano la mente
con una misera speranza.
Come quando in sogno un
assetato cerca di bere e non gli è
data
bevanda che nelle membra possa
estinguere l'arsura,
ma a simulacri di acque aspira e
invano si travaglia
e in mezzo a un fiume impetuoso
bevendo patisce la sete,
così in amore Venere con simulacri
illude gli amanti,
né possono saziare i propri corpi
contemplando corpi pur vicini,
né sono in grado di strappar via
qualcosa dalle tenere membra
con le mani errando incerti su per
tutto il corpo.
E quando, alfine, congiunte le
membra, si godono il fiore
di giovinezza, quando il corpo già
presagisce il piacere,
e Venere è sul punto di effondere
il seme nel femmineo campo,
s'avvinghiano avidamente al corpo
e mischiano le salive
bocca a bocca, e ansano,
premendo coi denti le labbra;
ma invano; perché non possono
strapparne nulla,
né penetrare e perdersi nell'altro
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corpo con tutto il corpo;
ludi,
pocula crebra, unguenta, coronae, infatti sembra talora che vogliano
farlo e che per questo lottino:
serta parantur,
tanto ardentemente si tengono
ne quiquam, quoniam medio de
avvinti nelle strette di Venere,
fonte leporum
surgit amari aliquid, quod in ipsis finché le membra si sciolgono,
sfinite dalla forza del piacere.
floribus angat,
aut cum conscius ipse animus se Infine, quando il desiderio
costretto nei nervi ha trovato
forte remordet
desidiose agere aetatem lustrisque sfogo,
segue una piccola pausa
perire,
dell'ardore violento, per poco.
aut quod in ambiguo verbum
Quindi torna la stessa rabbia, e di
iaculata reliquit,
quod cupido adfixum cordi vivescit nuovo li invade quel furore,
quando essi stessi non sanno ciò
ut ignis,
aut nimium iactare oculos aliumve che bramano ottenere,
né sono in grado di trovare che
tueri
mezzo possa vincere quel male:
quod putat in voltuque videt
in tanta incertezza si consumano
vestigia risus.
per una piaga nascosta.
Atque in amore mala haec
Aggiungi che sciupano le forze e si
proprio summeque secundo
inveniuntur; in adverso vero atque struggono nel travaglio;
aggiungi che si trascorre la vita al
inopi sunt,
cenno di un'altra persona.
prendere quae possis oculorum
Son trascurati i doveri, e ne soffre
lumine operto.
il buon nome e vacilla.
innumerabilia; ut melius vigilare
Frattanto il patrimonio si dilegua,
sit ante,
qua docui ratione, cavereque, ne e si converte in profumi
babilonesi, e bei sandali di Sicione
inliciaris.
ai piedi ridono,
nam vitare, plagas in amoris ne
s'intende, e grandi smeraldi con la
iaciamur,
non ita difficile est quam captum verde luce
sono incastonati nell'oro, e la
retibus ipsis
veste color di mare è consunta
exire et validos Veneris
assiduamente, e maltrattata beve
perrumpere nodos.
et tamen implicitus quoque possis il sudore di Venere;
e i beni ben guadagnati dai padri
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inque peditus
effugere infestum, nisi tute tibi
obvius obstes
et praetermittas animi vitia omnia
primum
aut quae corporis sunt eius, quam
praepetis ac vis.
nam faciunt homines plerumque
cupidine caeci
et tribuunt ea quae non sunt his
commoda vere.
multimodis igitur pravas turpisque
videmus
esse in deliciis summoque in
honore vigere.
atque alios alii inrident
Veneremque suadent
ut placent, quoniam foedo
adflictentur amore,
nec sua respiciunt miseri mala
maxima saepe.
nigra melichrus est, inmunda et
fetida acosmos,
caesia Palladium, nervosa et
lignea dorcas,
parvula, pumilio, chariton mia,
tota merum sal,
magna atque inmanis cataplexis
plenaque honoris.
balba loqui non quit, traulizi, muta
pudens est;
at flagrans, odiosa, loquacula
Lampadium fit.
ischnon eromenion tum fit, cum
vivere non quit
prae macie; rhadine verost iam
mortua tussi.
diventano bende, diademi,
talora si cangiano in un mantello
femminile e in tessuti di Alinda e
di Ceo.
S'apparecchiano conviti con
splendide tovaglie e vivande,
giochi, coppe senza risparmio,
unguenti, corone, serti,
ma invano, perché di mezzo alla
fonte delle delizie
sorge qualcosa di amaro che pur
tra i fiori angoscia,
o quando per caso l'animo conscio
s'angustia per il rimorso
d'una vita trascorsa nell'inerzia e
perduta nelle orge,
o perché lei ha lanciato,
lasciandone in dubbio il senso, una
parola,
che confitta nel cuore
appassionato divampa come
fuoco,
o perché gli sembra che troppo lei
occhieggi o che il suo sguardo
sia attratto da un altro, e nel suo
volto vede le tracce d'un sorriso.
E questi mali si trovano in un
amore che dura ed è felice
al più alto grado; ma, se è infelice
e senza speranza, ci sono
mali che puoi cogliere anche ad
occhi chiusi,
innumerevoli; sì che è meglio
stare prima all'erta,
come ho insegnato, e guardarsi
dall'essere adescati.
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at nimia et mammosa Ceres est
ipsa ab Iaccho,
simula Silena ac Saturast, labeosa
philema.
cetera de genere hoc longum est
si dicere coner.
sed tamen esto iam quantovis oris
honore,
cui Veneris membris vis omnibus
exoriatur;
nempe aliae quoque sunt; nempe
hac sine viximus ante;
nempe eadem facit et scimus
facere omnia turpi
et miseram taetris se suffit
odoribus ipsa,
quam famulae longe fugitant
furtimque cachinnant.
at lacrimans exclusus amator
limina saepe
floribus et sertis operit postisque
superbos
unguit amaracino et foribus miser
oscula figit;
quem si iam ammissum
venientem offenderit aura
una modo, causas abeundi
quaerat honestas
et meditata diu cadat alte sumpta
querella
stultitiaque ibi se damnet,
tribuisse quod illi
plus videat quam mortali
concedere par est.
nec Veneres nostras hoc fallit; quo
magis ipsae
Difatti evitare di cadere nei lacci
d'amore
non è così difficile come districarsi,
una volta presi
in mezzo alle reti, e forzare i
possenti nodi di Venere.
E tuttavia, anche avviluppato e
inceppato, potresti sfuggire
all'insidia, se proprio tu non
opponessi ostacoli a te stesso,
e non ti celassi in primo luogo tutti
i difetti dell'animo
o quelli del corpo di colei che
prediligi e desideri.
Questo infatti fanno per lo più gli
uomini ciechi di passione,
e attribuiscono alle amate pregi
ch'esse non posseggono davvero.
Così vediamo che donne in molti
modi deformi e laide
sono adorate e godono del più alto
onore.
E poi s'irridono a vicenda, e l'uno
invita l'altro a placare
Venere, perché lo affligge un
brutto amore, e spesso
non scorge, l'infelice, i propri mali,
che sono i più grandi.
La nera "ha il colore del miele", la
sudicia e fetida è "disadorna",
se ha occhi verdastri è
"l'immagine di Pallade", se è
nervosa e secca è "una gazzella",
la piccoletta, la nanerottola, è
"una delle Grazie", è "tutta puro
sale",
la corpulenta e smisurata è "un
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omnia summo opere hos vitae
poscaenia celant,
quos retinere volunt adstrictosque
esse in amore,
ne quiquam, quoniam tu animo
tamen omnia possis
protrahere in lucem atque omnis
inquirere risus
et, si bello animost et non odiosa,
vicissim
praetermittere [et] humanis
concedere rebus.
Nec mulier semper ficto
suspirat amore,
quae conplexa viri corpus cum
corpore iungit
et tenet adsuctis umectans oscula
labris;
nam facit ex animo saepe et
communia quaerens
gaudia sollicitat spatium decurrere
amoris.
nec ratione alia volucres armenta
feraeque
et pecudes et equae maribus
subsidere possent,
si non, ipsa quod illarum subat,
ardet abundans
natura et Venerem salientum laeta
retractat.
nonne vides etiam quos mutua
saepe voluptas
vinxit, ut in vinclis communibus
excrucientur,
in triviis cum saepe canes
discedere aventis
divorsi cupide summis ex viribus
prodigio" ed è "piena di maestà".
La balbuziente, che non può
parlare, "cinguetta", la muta è
"pudica";
e l'irruente, odiosa, linguacciuta è
"tutta fuoco".
Diventa "un sottile amorino",
quando non può vivere
per la consunzione; se poi è già
morta di tosse, è "delicata".
E la turgida e popputa è "Cerere
stessa dopo aver partorito Bacco",
la camusa è "una Silena" e "una
Satira", la labbrona è "un bacio".
Troppo mi dilungherei, se tentassi
di dire tutte le altre cose
di questa specie. Ma tuttavia sia
pure bella in volto quanto vuoi,
sia tale che da tutte le sue
membra promani il potere di
Venere:
certo ce ne sono anche altre;
certo senza di lei siamo vissuti per
l'addietro,
certo ella fa in tutto, e noi
sappiamo che le fa, le stesse cose
che fa la brutta, e da sé stessa,
misera, s'appesta di odori
nauseanti:
fuggono allora le ancelle lontano
da lei e furtivamente
sghignazzano.
Ma l'amante escluso, piangendo,
spesso copre di fiori
e ghirlande la soglia, e profuma di
maggiorana
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tendunt,
quom interea validis Veneris
compagibus haerent?
quod facerent numquam, nisi
mutua gaudia nossent,
quae iacere in fraudem possent
vinctosque tenere.
quare etiam atque etiam, ut dico,
est communis voluptas.
Et commiscendo quom semine
forte virilem
femina vim vicit subita vi
corripuitque,
tum similes matrum materno
semine fiunt,
ut patribus patrio. sed quos
utriusque figurae
esse vides, iuxtim miscentes vulta
parentum,
corpore de patrio et materno
sanguine crescunt,
semina cum Veneris stimulis
excita per artus
obvia conflixit conspirans mutuus
ardor,
et neque utrum superavit eorum
nec superatumst.
fit quoque ut inter dum similes
existere avorum
possint et referant proavorum
saepe figuras,
propterea quia multa modis
primordia multis
mixta suo celant in corpore saepe
parentis,
quae patribus patres tradunt a
la porta superba, e addolorato
imprime baci sui battenti;
ma se, alfine ricevuto, lo
investisse nell'entrare una sola
di quelle esalazioni, cercherebbe
speciosi pretesti per andar via,
e cadrebbe il lamento, a lungo
meditato, ripreso da lontano,
e in quel punto egli si taccerebbe
di stoltezza, perché vedrebbe
d'avere attribuito a lei più di
quanto conviene concedere a una
mortale.
Né questo sfugge alle nostre
Veneri; perciò tanto più esse
celano
con la massima cura tutti i
retroscena della vita a costoro
che vogliono tenere saldamente
avvinti nei vincoli d'amore,
ma invano, perché tu con la mente
hai pur sempre il potere di trarli
tutti alla luce e di scrutare tutto
ciò che può essere oggetto di riso,
e, se lei è di animo amabile e non
è odiosa, a tua volta
puoi lasciar correre ‹e› perdonare
all'umana limitatezza.
Né sempre di finto amore sospira
la donna, quando,
abbracciando il corpo dell'amante,
col proprio corpo lo congiunge,
e lo tiene avvinto, dando umidi
baci sulle labbra che sugge.
Difatti spesso lo fa di cuore e,
cercando condivisi
piaceri, lo stimola a raggiungere la
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stirpe profecta.
inde Venus varia producit sorte
figuras,
maiorumque refert voltus
vocesque comasque;
quandoquidem nihilo magis haec
[de] semine certo
fiunt quam facies et corpora
membraque nobis.
et muliebre oritur patrio de
semine saeclum
maternoque mares existunt
corpore creti;
semper enim partus duplici de
semine constat,
atque utri similest magis id quod
cumque creatur,
eius habet plus parte aequa; quod
cernere possis,
sive virum suboles sivest muliebris
origo.
Nec divina satum genitalem
numina cuiquam
absterrent, pater a gnatis ne
dulcibus umquam
appelletur et ut sterili Venere
exigat aevom;
quod plerumque putant et multo
sanguine maesti
conspergunt aras adolentque
altaria donis,
ut gravidas reddant uxores semine
largo;
ne quiquam divom numen
sortisque fatigant;
nam steriles nimium crasso sunt
semine partim,
meta dell'amore.
Non potrebbero altrimenti gli
uccelli, gli armenti
e le fiere e le greggi e le cavalle
sottomettersi ai maschi,
se la stessa natura loro non
entrasse in calore, non ardesse
traboccando
e non rispondesse con gioia alla
Venere di quelli che dan loro
l'assalto.
Non vedi anche come quelli che
vicendevole piacere
ha avvinti, spesso nei legami
comuni si travagliano?
Quanto spesso nei trivi i cani,
anelando a distaccarsi,
bramosamente tirano con tutte le
forze in direzioni opposte,
mentre restano tuttavia stretti nei
possenti lacci di Venere!
Questo non lo farebbero mai, se
non conoscessero mutui piaceri,
capaci di farli cadere nella rete e
tenerli avvinti.
Dunque, ancora e ancora, come
dico, il piacere è condiviso.
E quando, nel frammischiarsi dei
semi, per avventura
la femmina con sùbita forza ha
vinto e travolto la forza del
maschio,
allora i figli nascono simili alle
madri per effetto del seme
materno,
come ai padri per il seme paterno.
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (68 of 73) [07/08/2003 21.41.35]
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et liquido praeter iustum tenuique Ma quelli che vedi
partecipi d'ambedue gli aspetti,
vicissim.
mescolare, l'uno accosto all'altro,
tenve locis quia non potis est
i volti dei genitori, crescono dal
adfigere adhaesum,
corpo paterno e dal sangue
liquitur extemplo et revocatum
materno,
cedit abortu.
quando il concorde, mutuo ardore
crassius hinc porro quoniam
ha spinto a incontrarsi
concretius aequo
i semi eccitati per le membra dagli
mittitur, aut non tam prolixo
stimoli di Venere,
provolat ictu
aut penetrare locos aeque nequit e nessuno dei due ha vinto, né è
stato vinto.
aut penetratum
aegre admiscetur muliebri semine Avviene anche talora che possano
nascere figli simili agli avi,
semen.
e spesso riproducano gli aspetti
nam multum harmoniae Veneris
dei bisavoli,
differre videntur.
atque alias alii complent magis ex perché spesso i genitori celano nel
proprio corpo
aliisque
molti principi mescolati in molti
succipiunt aliae pondus magis
modi, che, provenienti
inque gravescunt.
et multae steriles Hymenaeis ante dal ceppo originario, son trasmessi
da padri ad altri padri:
fuerunt
pluribus et nactae post sunt tamen così Venere con varia sorte forma
gli aspetti
unde puellos
e riproduce i volti e le voci e i
suscipere et partu possent
capelli degli antenati;
ditescere dulci.
giacché questi sono creati in noi
et quibus ante domi fecundae
‹da› semi determinati,
saepe nequissent
non meno che le facce e i corpi e
uxoris parere, inventast illis
le membra.
quoque compar
natura, ut possent gnatis munire E figlie femmine sorgono dal seme
paterno
senectam.
e maschi nascono plasmati dal
usque adeo magni refert, ut
corpo materno.
semina possint
seminibus commisceri genitaliter Sempre infatti il parto è prodotto
da duplice seme,
apta
e quello dei due cui più
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crassaque conveniant liquidis et
liquida crassis.
atque in eo refert quo victu vita
colatur;
namque aliis rebus concrescunt
semina membris
atque aliis extenvantur tabentque
vicissim.
et quibus ipsa modis tractetur
blanda voluptas.
id quoque permagni refert; nam
more ferarum
quadrupedumque magis ritu
plerumque putantur
concipere uxores, quia sic loca
sumere possunt
pectoribus positis sublatis semina
lumbis.
nec molles opus sunt motus
uxoribus hilum.
nam mulier prohibet se concipere
atque repugnat,
clunibus ipsa viri Venerem si laeta
retractat
atque exossato ciet omni pectore
fluctus;
eicit enim sulcum recta regione
viaque
vomeris atque locis avertit seminis
ictum.
idque sua causa consuerunt scorta
moveri,
ne complerentur crebro
gravidaeque iacerent,
et simul ipsa viris Venus ut
concinnior esset;
coniugibus quod nil nostris opus
rassomiglia chi vien procreato,
è lui che ha dato la parte più
grande; come puoi scorgere,
si tratti di maschio rampollo o di
prole femminile.
Né divine potenze rifiutano ad
alcuno il seme generativo,
perché non venga mai chiamato
padre dai dolci nati
e in sterili amori trascorra
l'esistenza;
come credono sovente gli uomini,
e mesti cospargono
di molto sangue le are e bruciano
offerte sugli altari,
perché possano far gravide le
mogli con seme abbondante.
Invano affaticano la potenza degli
dèi e gli oracoli.
Giacché sterili sono, parte a causa
di seme troppo denso,
altri, per contro, perché il seme è
liquido e sottile più del giusto.
Il sottile, poiché non può fissare la
sua aderenza alle parti,
sùbito scorre via e torna indietro
senza fecondare.
Il seme troppo denso, inoltre,
poiché per quegli altri
nell'emissione
è più tenace del giusto, o non vola
via con lancio abbastanza lungo,
o non può penetrare egualmente
nelle parti, o, sebbene sia
penetrato, si mescola a stento col
seme femminile.
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esse videtur.
Nec divinitus inter dum
Venerisque sagittis
deteriore fit ut forma muliercula
ametur;
nam facit ipsa suis inter dum
femina factis
morigerisque modis et munde
corpore culto,
ut facile insuescat secum [te]
degere vitam.
quod super est, consuetudo
concinnat amorem;
nam leviter quamvis quod crebro
tunditur ictu,
vincitur in longo spatio tamen
atque labascit.
nonne vides etiam guttas in saxa
cadentis
umoris longo in spatio pertundere
saxa?
Si vede infatti che molto
differiscono le armonie di Venere.
E alcuni più fan pregne alcune
donne, e da altri
meglio altre accolgono il peso e
diventano gravide.
E molte furono per l'addietro sterili
in più matrimoni
e tuttavia alfine trovarono l'uomo
dal quale poterono
generare fanciullini e arricchirsi di
dolce parto.
E spesso anche per uomini, cui
prima nella casa le mogli,
benché feconde, non avevano
potuto partorire, fu trovata
la natura confacente, sì che
poterono munire di figli la
vecchiaia.
A tal punto importa che i semi
possano
mischiarsi coi semi in un modo
atto alla generazione,
e che i densi s'uniscano coi liquidi
e i liquidi coi densi.
E in ciò ha importanza con quale
vitto la vita si sostenti;
e infatti per alcuni cibi
s'ingrossano i semi nelle membra
e per altri, al contrario, si
assottigliano e si struggono.
E in quali modi si goda lo stesso
carezzevole piacere,
è anche cosa di grande
importanza; difatti si crede per lo
più
che nella positura delle fiere e alla
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (71 of 73) [07/08/2003 21.41.35]
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maniera dei quadrupedi le mogli
concepiscano meglio, perché così i
semi possono raggiungere
le proprie sedi, quando il petto è
chinato e son sollevati i fianchi.
Né le mogli han punto bisogno di
movimenti voluttuosi.
Giacché la donna s'impedisce di
concepire e contrasta,
se godendo risponde essa stessa
con le anche alla Venere dell'uomo
e con tutto il petto che s'agita
flessuoso provoca il fiotto:
infatti scosta il solco dal retto
percorso del vomere
e svia dalle sue sedi il getto del
seme.
E così son solite agitarsi le
meretrici per propria utilità,
per non essere fatte pregne
sovente e giacer gravide,
e insieme perché l'atto stesso di
Venere sia agli uomini più grato;
ma di ciò è evidente che le nostre
spose non hanno bisogno.
E non avviene per volere divino
talora o per le saette di Venere
che una donnetta di aspetto meno
leggiadro sia amata.
Giacché la donna stessa talvolta,
col suo fare
e coi modi compiacenti e col corpo
finemente curato,
riesce ad avvezzar‹ti› facilmente a
trascorrere la vita con lei.
Del resto, la consuetudine fa
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nascere l'amore;
giacché ciò che è percosso da colpi
continui, benché lievi,
tuttavia in lungo tratto di tempo è
vinto e cede.
Non vedi come anche le gocce
d'acqua che cadono sopra
le rocce, in lungo tratto di tempo
bucano le rocce?
(Ll)
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De Rerum Natura - Liber V
Quis potis est dignum pollenti
pectore carmen
condere pro rerum maiestate
hisque repertis?
quisve valet verbis tantum, qui
fingere laudes
pro meritis eius possit, qui talia
nobis
pectore parta suo quaesitaque
praemia liquit?
nemo, ut opinor, erit mortali
corpore cretus.
nam si, ut ipsa petit maiestas
cognita rerum,
dicendum est, deus ille fuit, deus,
inclyte Memmi,
qui princeps vitae rationem invenit
eam quae
nunc appellatur sapientia, quique
per artem
fluctibus et tantis vitam tantisque
tenebris
in tam tranquillo et tam clara luce
locavit.
confer enim divina aliorum antiqua
reperta.
namque Ceres fertur fruges
Liberque liquoris
vitigeni laticem mortalibus
instituisse;
cum tamen his posset sine rebus
vita manere,
ut fama est aliquas etiam nunc
vivere gentis.
Chi può con mente possente
comporre un canto
degno della maestà delle cose e di
queste scoperte?
O chi vale con la parola tanto da
poter foggiare
lodi che siano all'altezza dei meriti
di colui
che ci lasciò tali doni, cercati ‹e›
trovati dalla sua mente?
Nessuno, io credo, fra i nati da
corpo mortale.
Infatti, se si deve parlare come
richiede la conosciuta
maestà delle cose, un dio fu, un
dio, o nobile Memmio,
colui che primo scoperse quella
regola di vita
che ora è chiamata sapienza, e
con la scienza
portò la vita da flutti così grandi e
da così grandi tenebre
in tanta tranquillità e in tanto
chiara luce.
Confronta, infatti, le divine
scoperte che altri fecero in antico.
E in effetti si narra che Cerere le
messi e Libero la bevanda
prodotta col succo della vite
abbian fatto conoscere ai mortali;
eppure la vita avrebbe potuto
durare senza queste cose,
come è fama che alcune genti
vivano tuttora.
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (1 of 82) [07/08/2003 21.43.56]
Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V
at bene non poterat sine puro
pectore vivi;
quo magis hic merito nobis deus
esse videtur,
ex quo nunc etiam per magnas
didita gentis
dulcia permulcent animos solacia
vitae.
Herculis antistare autem si facta
putabis,
longius a vera multo ratione
ferere.
quid Nemeaeus enim nobis nunc
magnus hiatus
ille leonis obesset et horrens
Arcadius sus,
tanto opere officerent nobis
Stymphala colentes?
denique quid Cretae taurus
Lernaeaque pestis
hydra venenatis posset vallata
colubris?
quidve tripectora tergemini vis
Geryonai
et Diomedis equi spirantes naribus
ignem
Thracia Bistoniasque plagas atque
Ismara propter
aureaque Hesperidum servans
fulgentia mala,
asper, acerba tuens, immani
corpore serpens
arboris amplexus stirpes? quid
denique obesset
propter Atlanteum litus pelagique
severa,
quo neque noster adit quisquam
Ma vivere bene non si poteva
senza mente pura;
quindi a maggior ragione ci appare
un dio questi
per opera del quale anche ora,
diffuse tra le grandi nazioni,
le dolci consolazioni della vita
placano gli animi.
E se crederai che le gesta di Ercole
siano superiori,
andrai molto più lontano dalla
verità.
Quale danno, infatti, a noi ora
potrebbero recare le grandi
fauci del leone nemeo e l'ispido
cinghiale d'Arcadia?
E ancora, che potrebbero fare il
toro di Creta e il flagello
di Lerna, l'idra cinta di un baluardo
di velenosi serpenti?
Che mai, coi suoi tre petti, la forza
del triplice Gerione
*
tanto danno farebbero a noi ‹gli
uccelli› abitatori ‹del lago›
di Stinfalo e i cavalli del tracio
Diomede che dalle froge
spiravano fuoco, presso le
contrade bistonie e l'Ismaro?
E il guardiano delle auree fulgide
mele delle Esperidi,
il feroce serpente, che torvo
guatava, con l'immane corpo
avvolto intorno al tronco
dell'albero, che danno alfine
farebbe,
lì, presso il lido di Atlante e le
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (2 of 82) [07/08/2003 21.43.56]
Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V
nec barbarus audet?
severe distese del mare,
cetera de genere hoc quae sunt
dove nessuno di noi si spinge, né
portenta perempta,
alcun barbaro s'avventura?
si non victa forent, quid tandem
E tutti gli altri mostri di questo
viva nocerent?
genere che furono sterminati,
nil, ut opinor: ita ad satiatem terra se non fossero stati vinti, in che,
ferarum
di grazia, nocerebbero vivi?
nunc etiam scatit et trepido
In nulla, io credo: a tal punto la
terrore repleta est
terra tuttora
per nemora ac montes magnos
pullula di fiere a sazietà, ed è
silvasque profundas;
piena di trepido terrore,
quae loca vitandi plerumque est
per boschi e monti grandi e selve
nostra potestas.
profonde;
at nisi purgatumst pectus, quae
luoghi che per lo più è in nostro
proelia nobis
potere evitare.
atque pericula tumst ingratis
Ma, se non è purificato l'animo, in
insinuandum!
quali battaglie
quantae tum scindunt hominem
e pericoli dobbiamo allora a
cuppedinis acres
malincuore inoltrarci!
sollicitum curae quantique perinde Che acuti assilli di desiderio allora
timores!
dilaniano
quidve superbia spurcitia ac
l'uomo angosciato e, insieme, che
petulantia? quantas
timori!
efficiunt clades! quid luxus
E la superbia, la sordida avarizia e
desidiaeque?
l'insolenza?
haec igitur qui cuncta subegerit ex Quali rovine producono! E il lusso
animoque
e la pigrizia?
expulerit dictis, non armis, nonne L'uomo, dunque, che ha
decebit
soggiogato tutti questi mali
hunc hominem numero divom
e li ha scacciati dall'animo coi
dignarier esse?
detti, non con le armi,
cum bene praesertim multa ac
non converrà stimarlo degno
divinitus ipsis
d'essere annoverato fra gli dèi?
iam mortalibus e divis dare dicta Tanto più che bene e divinamente
suerit
egli fu solito proferire
atque omnem rerum naturam
molti detti sugli stessi dèi
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pandere dictis.
immortali
Cuius ego ingressus vestigia
e coi suoi detti rivelare tutta la
dum rationes
natura.
persequor ac doceo dictis, quo
Sull'orme sue io cammino e,
quaeque creata
mentre seguo
foedere sint, in eo quam sit durare i suoi ragionamenti e con le mie
necessum
parole insegno con che norma
nec validas valeant aevi rescindere tutte le cose siano state create,
leges,
come debbano in essa permanere
quo genere in primis animi natura e non possano spezzare le
reperta est
possenti leggi del tempo nativo primum consistere corpore e così anzitutto si è trovato che la
creta,
natura dell'animo
nec posse incolumem magnum
è in primo luogo generata e
durare per aevum,
costituita di corpo che nasce,
sed simulacra solere in somnis
ed è incapace di durare incolume
fallere mentem,
per gran tratto di tempo,
cernere cum videamur eum quem e sono solo simulacri quelli che nei
vita reliquit,
sogni sogliono ingannare
quod super est, nunc huc rationis la mente, quando ci pare di vedere
detulit ordo,
colui che la vita ha lasciato ut mihi mortali consistere corpore per quel che resta, ora l'ordine
mundum
della dottrina mi ha condotto
nativomque simul ratio reddunda a questo punto, che io devo
sit esse;
spiegare come il mondo consista
et quibus ille modis congressus
di un corpo mortale e insieme ha
materiai
avuto una nascita;
fundarit terram caelum mare
e in quali modi quel concorso di
sidera solem
materia abbia costituito
lunaique globum; tum quae tellure le fondamenta di terra, cielo,
animantes
mare, astri, sole
extiterint, et quae nullo sint
e del globo lunare; poi quali esseri
tempore natae;
viventi siano sorti
quove modo genus humanum
dalla terra, e quali non siano nati
variante loquella
in alcun tempo;
coeperit inter se vesci per nomina e in che modo il genere umano
rerum;
abbia cominciato a usare
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et quibus ille modis divom metus
insinuarit
pectora, terrarum qui in orbi
sancta tuetur
fana lacus lucos aras simulacraque
divom.
praeterea solis cursus lunaeque
meatus
expediam qua vi flectat natura
gubernans;
ne forte haec inter caelum
terramque reamur
libera sponte sua cursus lustrare
perennis,
morigera ad fruges augendas
atque animantis,
neve aliqua divom volvi ratione
putemus.
nam bene qui didicere deos
securum agere aevom,
si tamen interea mirantur qua
ratione
quaeque geri possint, praesertim
rebus in illis
quae supera caput aetheriis
cernuntur in oris,
rursus in antiquas referuntur
religiones
et dominos acris adsciscunt,
omnia posse
quos miseri credunt, ignari quid
queat esse,
quid nequeat, finita potestas
denique cuique
qua nam sit ratione atque alte
terminus haerens.
nei reciproci rapporti il vario
linguaggio mediante i nomi
attribuiti alle cose; e in quali modi
si sia insinuato negli animi
quel timore degli dèi, che su tutta
la terra consacra e conserva
templi, laghi, boschi, altari e
simulacri di dèi.
Inoltre spiegherò con quale forza
la natura, che li governa,
volga i corsi del sole e i movimenti
della luna;
perché non ci avvenga di credere
che tra cielo e terra
questi percorrano liberi,
spontaneamente, i corsi perenni
per favorire la crescita delle messi
e degli esseri viventi,
né crediamo che girino secondo
qualche disegno divino.
Difatti chi bene ha appreso che gli
dèi conducono una vita serena,
se tuttavia frattanto si chiede
stupito in che modo
ogni cosa possa svolgersi,
specialmente fra quelle cose
che sopra il nostro capo si vedono
nelle plaghe eteree,
nuovamente ricade nelle antiche
superstizioni
e accetta padroni dispotici, e nella
sua miseria
li crede onnipotenti, ignorando che
cosa possa essere,
che cosa non possa, infine in qual
modo ciascuna cosa
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Quod super est, ne te in
promissis plura moremur,
principio maria ac terras
caelumque tuere;
quorum naturam triplicem, tria
corpora, Memmi,
tris species tam dissimilis, tria
talia texta,
una dies dabit exitio, multosque
per annos
sustentata ruet moles et machina
mundi.
nec me animi fallit quam res nova
miraque menti
accidat exitium caeli terraeque
futurum,
et quam difficile id mihi sit
pervincere dictis;
ut fit ubi insolitam rem adportes
auribus ante
nec tamen hanc possis oculorum
subdere visu
nec iacere indu manus, via qua
munita fidei
proxima fert humanum in pectus
templaque mentis.
sed tamen effabor. dictis dabit
ipsa fidem res
forsitan et graviter terrarum
motibus ortis
omnia conquassari in parvo
tempore cernes.
quod procul a nobis flectat fortuna
gubernans,
et ratio potius quam res
persuadeat ipsa
succidere horrisono posse omnia
abbia un potere finito e un
termine, profondamente confitto.
Del resto, perché non ti
tratteniamo più a lungo
con promesse, contempla
anzitutto i mari e le terre e il cielo:
la loro triplice natura, i loro tre
corpi, o Memmio,
i tre aspetti tanto dissimili, le tre
compagini così connesse,
li darà in preda alla rovina un solo
giorno e, dopo essersi sostenuta
per molti anni, precipiterà
l'immane macchina del mondo.
Né al mio pensiero sfugge quanto
alla mente giunga nuova
e mirabile cosa la futura rovina del
cielo e della terra,
e quanto sia per me difficile
dimostrar questo con parole;
come accade se rechi alle orecchie
una cosa prima inaudita,
ma non puoi sottoporla
all'accertamento degli occhi,
né metterla fra le mani, per dove
la via sicura della persuasione
più dritta porta al cuore umano e
alla dimora della mente.
Ma tuttavia parlerò. Alle parole
darà forse conferma
il fatto stesso, e per violento
insorgere di terremoti
tutte le cose in poco tempo vedrai
sconvolte.
Ma lontano da noi volga questo la
fortuna reggitrice, e la ragione
piuttosto che il fatto stesso ci
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victa fragore.
Qua prius adgrediar quam de re
fundere fata
sanctius et multo certa ratione
magis quam
Pythia quae tripode a Phoebi
lauroque profatur,
multa tibi expediam doctis solacia
dictis;
religione refrenatus ne forte rearis
terras et solem et caelum, mare
sidera lunam,
corpore divino debere aeterna
manere,
proptereaque putes ritu par esse
Gigantum
pendere eos poenas inmani pro
scelere omnis,
qui ratione sua disturbent moenia
mundi
praeclarumque velint caeli
restinguere solem
inmortalia mortali sermone
notantes;
quae procul usque adeo divino a
numine distent
inque deum numero quae sint
indigna videri,
notitiam potius praebere ut posse
putentur
quid sit vitali motu sensuque
remotum.
quippe etenim non est, cum
quovis corpore ut esse
posse animi natura putetur
consiliumque.
persuada che l'universo
può inabissarsi vinto, in un fragore
di suono orrendo.
Ma, prima che m'accinga a
proferire su questo tema
fatidiche parole, più santamente e
con molto maggiore certezza
che la Pizia, la quale parla dal
tripode e dal lauro di Febo,
molte consolazioni ti appresterò
con dotte parole;
perché tu, inceppato dalla
religione, non abbia per caso a
credere
che le terre e il sole e il cielo, il
mare, gli astri, la luna,
debbano durare eterni in virtù di
un corpo divino,
e non giudichi perciò giusto che
come i Giganti
paghino il fio per un immane
delitto tutti quelli
che con la loro dottrina
sconvolgono le mura del mondo
e vogliono estinguere in cielo il
sole splendente,
marchiando con discorso mortale
cose immortali;
mentre si tratta di cose che tanto
distano dal nume divino,
tanto sono indegne d'essere
annoverate fra gli dèi,
che le crederemmo piuttosto in
grado di dare la nozione
di ciò che è remoto da moto e da
senso vitale.
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sicut in aethere non arbor, non
aequore salso
nubes esse queunt neque pisces
vivere in arvis
nec cruor in lignis neque saxis
sucus inesse,
certum ac dispositumst ubi
quicquid crescat et insit,
sic animi natura nequit sine
corpore oriri
sola neque a nervis et sanguine
longius esse.
quod si posset enim, multo prius
ipsa animi vis
in capite aut umeris aut imis
calcibus esse
posset et innasci quavis in parte
soleret,
tandem in eodem homine atque in
eodem vase manere.
quod quoniam nostro quoque
constat corpore certum
dispositumque videtur ubi esse et
crescere possit
seorsum anima atque animus,
tanto magis infitiandum
totum posse extra corpus
formamque animalem
putribus in glebis terrarum aut
solis in igni
aut in aqua durare aut altis
aetheris oris.
haud igitur constant divino
praedita sensu,
quandoquidem nequeunt vitaliter
esse animata.
Illud item non est ut possis
E infatti non si può credere che la
natura dell'animo e il senno
si possano congiungere con un
corpo qualsiasi;
come non può esistere nel cielo un
albero, né nel mare salato
nuvole, né possono i pesci vivere
nei campi,
né esserci sangue nel legno, né
succo nei sassi.
È determinato e disposto dove
ogni cosa cresca e abbia sede.
Così la natura dell'animo non può
nascere sola,
senza il corpo, né esistere lontano
dai nervi e dal sangue.
Se lo potesse, infatti, molto prima
la stessa forza dell'animo
potrebbe essere nel capo o negli
òmeri o in fondo ai talloni
e sarebbe solita nascere in
qualsiasi parte, ma in fin dei conti
rimanere nello stesso uomo e nello
stesso vaso.
Ora, poiché anche nel nostro
corpo è fermamente determinato
e si vede disposto dove possano
esistere e crescere
separatamente l'anima e l'animo,
tanto più si deve negare
che possano durare fuori da tutto
il corpo e dalla forma vivente,
nelle friabili zolle della terra o
‹nel› fuoco del sole
o nell'acqua o nelle alte plaghe
dell'etere.
Questi dunque non sono dotati di
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credere, sedes
senso divino,
esse deum sanctas in mundi
giacché non possono essere
partibus ullis.
vivificati da un'anima.
tenvis enim natura deum longeque Questo parimenti non ti è possibile
remota
credere, che le sedi
sensibus ab nostris animi vix
sante degli dèi siano in alcuna
mente videtur;
parte del mondo.
quae quoniam manuum tactum
Sottile, infatti, e di gran lunga
suffugit et ictum,
remota dai nostri sensi, la natura
tactile nil nobis quod sit contingere degli dèi è veduta appena dalla
debet;
facoltà intellettiva dell'animo;
tangere enim non quit quod tangi e poiché sfugge al contatto e
non licet ipsum.
all'urto delle mani,
quare etiam sedes quoque nostris non deve toccare niente che sia
sedibus esse
tangibile per noi.
dissimiles debent, tenues de
Toccare infatti non può, ciò che
corpore eorum;
non può essere esso stesso
quae tibi posterius largo sermone toccato.
probabo.
Pertanto anche le loro sedi devono
Dicere porro hominum causa
dalle nostre sedi
voluisse parare
esser dissimili, sottili secondo i
praeclaram mundi naturam
loro corpi.
proptereaque
Te lo proverò più tardi, con
adlaudabile opus divom laudare
copioso discorso.
decere
Dire, d'altro canto, che per amor
aeternumque putare atque
degli uomini gli dèi
inmortale futurum,
vollero apprestare la magnifica
nec fas esse, deum quod sit
natura del mondo
ratione vetusta
e che perciò conviene lodare la
gentibus humanis fundatum
loro opera lodevole
perpetuo aevo,
e crederla eterna e destinata a
sollicitare suis ulla vi ex sedibus
durare immortale;
umquam
e che non è giusto scuotere con
nec verbis vexare et ab imo
alcuna violenza dalle fondamenta
evertere summa,
ciò che da antico disegno degli dèi
cetera de genere hoc adfingere et fu costruito per le genti umane
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addere, Memmi,
desiperest. quid enim inmortalibus
atque beatis
gratia nostra queat largirier
emolumenti,
ut nostra quicquam causa gerere
adgrediantur?
quidve novi potuit tanto post ante
quietos
inlicere ut cuperent vitam mutare
priorem?
nam gaudere novis rebus debere
videtur
cui veteres obsunt; sed cui nihil
accidit aegri
tempore in ante acto, cum pulchre
degeret aevom,
quid potuit novitatis amorem
accendere tali?
quidve mali fuerat nobis non esse
creatis?
an, credo, in tenebris vita ac
maerore iacebat,
donec diluxit rerum genitalis
origo?
natus enim debet qui cumque est
velle manere
in vita, donec retinebit blanda
voluptas;
qui numquam vero vitae gustavit
amorem
nec fuit in numero, quid obest non
esse creatum?
exemplum porro gignundis rebus
et ipsa
notities hominum divis unde insita
primum est,
perché esistesse in perpetuo, o a
parole oltraggiarlo
e sovvertirlo dal fondo alla
sommità: immaginare queste cose
e aggiungerne altre di questo
genere, o Memmio,
è follia. Che vantaggio infatti la
nostra gratitudine
potrebbe arrecare ad esseri
immortali e beati,
sì che intraprendano a fare
qualcosa per cagion nostra?
O che novità poté dopo tanto
allettare esseri che prima
se n'erano stati quieti, sì che
volessero mutare la vita anteriore?
Difatti è evidente che di cose
nuove deve godere chi ha danno
dalle antiche; ma in colui cui nulla
di doloroso accadde
nel tempo andato, quando
beatamente egli passava la vita,
in un tale essere che cosa poté
accendere amore di novità?
O che male sarebbe stato per noi
non essere creati?
Forse - ciò dovrei credere - la vita
giaceva in tenebre e tristezza,
finché non albeggiò l'origine
primigenia delle cose?
Infatti, chiunque è nato, è
necessario che voglia restare
in vita, finché lo tratterrà il
carezzevole piacere;
ma a colui che non gustò mai
l'amore della vita,
né visse mai, che nuoce il non
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quid vellent facere ut scirent
animoque viderent,
quove modost umquam vis
cognita principiorum
quidque inter sese permutato
ordine possent.
si non ipsa dedit speciem natura
creandi?
namque ita multa modis multis
primordia rerum
ex infinito iam tempore percita
plagis
ponderibusque suis consuerunt
concita ferri
omnimodisque coire atque omnia
pertemptare,
quae cumque inter se possint
congressa creare,
ut non sit mirum, si in talis
disposituras
deciderunt quoque et in talis
venere meatus,
qualibus haec rerum geritur nunc
summa novando.
Quod [si] iam rerum ignorem
primordia quae sint,
hoc tamen ex ipsis caeli rationibus
ausim
confirmare aliisque ex rebus
reddere multis,
nequaquam nobis divinitus esse
paratam
naturam rerum: tanta stat
praedita culpa.
principio quantum caeli tegit
impetus ingens,
essere stato creato?
E poi, l'esemplare per la
generazione delle cose e lo stesso
concetto dell'uomo donde furono
primamente impressi negli dèi,
sì che sapessero e vedessero nella
loro mente ciò che volevano fare?
O in che modo mai si conobbe il
potere dei primi elementi
e che cosa questi potessero fare
cambiando tra loro le disposizioni,
se la natura stessa non dette
l'esempio della creazione?
E in verità tanto numerosi primi
elementi delle cose, in molti modi,
da tempo infinito fino ad ora
stimolati dagli urti
e tratti dal proprio peso, sono
soliti muoversi e vagare
e in ogni modo congiungersi e
provare tutto
quanto possano produrre
aggregandosi tra loro,
che non meraviglia se caddero
anche in tali disposizioni
e giunsero a tali movimenti quali
son quelli
per cui ora il nostro universo
rinnovandosi vive.
E quand'anche ignorassi quali
siano i primi elementi delle cose,
questo tuttavia oserei affermare in
base agli stessi fenomeni
del cielo e comprovare in forza di
molte altre cose:
che la natura del mondo non è
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Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V
inde avidam partem montes
silvaeque ferarum
possedere, tenent rupes
vastaeque paludes
et mare, quod late terrarum
distinet oras.
inde duas porro prope partis
fervidus ardor
adsiduusque geli casus mortalibus
aufert.
quod super est arvi, tamen id
natura sua vi
sentibus obducat, ni vis humana
resistat
vitai causa valido consueta bidenti
ingemere et terram pressis
proscindere aratris.
si non fecundas vertentes vomere
glebas
terraique solum subigentes cimus
ad ortus.
sponte sua nequeant liquidas
existere in auras.
et tamen inter dum magno
quaesita labore
cum iam per terras frondent atque
omnia florent,
aut nimiis torret fervoribus
aetherius sol
aut subiti peremunt imbris
gelidaeque pruinae
flabraque ventorum violento
turbine vexant.
praeterea genus horriferum natura
ferarum
humanae genti infestum terraque
marique
stata per nulla disposta
dal volere divino per noi: di così
grande difetto essa è dotata.
In primo luogo, di quanto copre
l'ampia distesa del cielo,
una grande parte è occupata da
monti e selve
dominio di belve, la posseggono
rupi e deserte paludi
e il mare che vastamente
disgiunge le rive delle terre.
Inoltre, quasi due terzi il bruciante
calore
e l'assiduo cadere del gelo li
tolgono ai mortali.
Ciò che resta di terra coltivabile, la
natura con la propria forza
lo coprirebbe tuttavia di rovi, se
non le resistesse la forza
dell'uomo,
per i bisogni della vita avvezzo a
gemere sul robusto
bidente e a solcare la terra
cacciandovi a fondo l'aratro.
Se, rivoltando col vomere le glebe
feconde e domando
il suolo della terra, non le
stimolassimo al nascere,
spontaneamente le piante non
potrebbero sorgere nell'aria pura;
e nondimeno, talora, procurate
con grande fatica,
quando già per i campi
frondeggiano e tutte fioriscono,
o le brucia con eccessivi calori
l'etereo sole
o le distruggono improvvise
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cur alit atque auget? cur anni
tempora morbos
adportant? quare mors inmatura
vagatur?
tum porro puer, ut saevis
proiectus ab undis
navita, nudus humi iacet infans
indigus omni
vitali auxilio, cum primum in
luminis oras
nixibus ex alvo matris natura
profudit,
vagituque locum lugubri complet,
ut aequumst
cui tantum in vita restet transire
malorum.
at variae crescunt pecudes
armenta feraeque
nec crepitacillis opus est nec
cuiquam adhibendast
almae nutricis blanda atque
infracta loquella
nec varias quaerunt vestes pro
tempore caeli,
denique non armis opus est, non
moenibus altis,
qui sua tutentur, quando omnibus
omnia large
tellus ipsa parit naturaque daedala
rerum.
Principio quoniam terrai corpus
et umor
aurarumque leves animae
calidique vapores,
e quibus haec rerum consistere
summa videtur,
piogge e gelide brine,
e le devasta con violento turbine il
soffiare dei venti.
E poi, la razza orrenda delle fiere,
nemica
del genere umano, perché la
natura in terra e in mare
la alimenta e la accresce? Perché
le stagioni apportano
malattie? Perché la morte
prematura s'aggira qua e là?
E inoltre, il bimbo, come un
navigante gettato sulla riva
da onde furiose, giace a terra
nudo, incapace di parlare,
bisognoso d'ogni aiuto per vivere,
appena la natura lo fa uscire
con sforzi fuori dal ventre della
madre alle rive della luce,
e riempie il luogo di un lugubre
vagito, come è giusto
per uno che nella vita dovrà
passare per tanti mali.
Ma crescono i vari animali
domestici, gli armenti e le fiere,
né c'è bisogno di sonaglini, per
nessuno occorre
la carezzevole e balbettante voce
dell'amorevole nutrice,
né essi richiedono vesti diverse
secondo le stagioni;
infine, non hanno bisogno di armi,
né di alte mura,
per proteggere i propri averi,
giacché per tutti tutto
largamente producono la terra
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omnia nativo ac mortali corpore
constant,
debet eodem omnis mundi natura
putari.
quippe etenim, quorum partis et
membra videmus
corpore nativo mortalibus esse
figuris,
haec eadem ferme mortalia
cernimus esse
et nativa simul. qua propter
maxima mundi
cum videam membra ac partis
consumpta regigni,
scire licet caeli quoque item
terraeque fuisse
principiale aliquod tempus
clademque futuram.
Illud in his rebus ne corripuisse
rearis
me mihi, quod terram atque
ignem mortalia sumpsi
esse neque umorem dubitavi
aurasque perire
atque eadem gigni rursusque
augescere dixi.
principio pars terrai non nulla,
perusta
solibus adsiduis, multa pulsata
pedum vi,
pulveris exhalat nebulam
nubesque volantis,
quas validi toto dispergunt aëre
venti.
pars etiam glebarum ad diluviem
revocatur
imbribus et ripas radentia flumina
stessa e la natura artefice.
Innanzitutto, poiché il corpo della
terra e l'acqua
e i lievi soffi dei venti e i caldi
vapori,
dei quali si vede consistere questo
universo,
tutti constano d'un corpo che
nasce e che muore,
d'uguale corpo si deve credere
consti tutta la natura del mondo.
E infatti le cose, le cui parti e
membra vediamo
essere di corpo che nasce e di
forme mortali,
ci appaiono esse stesse
costantemente mortali
e insieme soggette alla nascita.
Perciò, quando vedo le membra
grandissime e parti del mondo
consumarsi e rinascere,
concludo che anche il cielo e la
terra ebbero parimenti
qualche tempo primordiale e
subiranno distruzione.
A tale proposito, perché tu non
creda che io abbia a mio pro
carpito
l'ammissione di quel punto,
quando ho asserito che la terra e il
fuoco
sono mortali, e non ho esitato ad
affermare che l'acqua e l'aria
periscono, e dissi che questi stessi
nascono e crescono di nuovo,
in primo luogo, alquanta parte
della terra, bruciata
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rodunt.
praeterea pro parte sua, quod
cumque alit auget,
redditur; et quoniam dubio procul
esse videtur
omniparens eadem rerum
commune sepulcrum.
ergo terra tibi libatur et aucta
recrescit.
Quod super est, umore novo
mare flumina fontes
semper abundare et latices
manare perennis
nil opus est verbis: magnus
decursus aquarum
undique declarat. sed primum
quicquid aquai
tollitur in summaque fit ut nihil
umor abundet,
partim quod validi verrentes
aequora venti
deminuunt radiisque retexens
aetherius sol,
partim quod supter per terras
diditur omnis;
percolatur enim virus retroque
remanat
materies umoris et ad caput
amnibus omnis
convenit, inde super terras fluit
agmine dulci
qua via secta semel liquido pede
detulit undas.
Aëra nunc igitur dicam, qui
corpore toto
innumerabiliter privas mutatur in
continuamente dal sole, battuta
dagli urti di molti piedi,
esala una nuvola di polvere e nubi
volanti,
che i venti possenti sparpagliano
per tutta l'aria.
E ancora, una parte delle zolle è
trascinata dalle piogge
nell'inondazione, e i fiumi,
radendo le rive, le corrodono.
Inoltre, ogni corpo che la terra
alimenta e accresce, le è restituito
per la parte che esso ha ricevuta;
e poiché certo essa appare
madre di tutto e insieme comune
sepolcro delle cose, vedi
dunque che la terra subisce
riduzione e, aumentata, ricresce.
Per il resto, che di nuovo liquido il
mare, i fiumi, le fonti
sempre abbondino e che le acque
scaturiscano perenni,
non c'è bisogno di dirlo: il loro
grande scorrere da ogni parte
lo manifesta. Ma l'acqua che di
volta in volta è prima, si perde,
e così avviene che nell'insieme il
liquido non trabocchi mai,
in parte perché lo diminuiscono i
venti possenti
spazzando il mare, e l'etereo sole
dissolvendolo coi raggi,
in parte perché nelle profondità
terrestri si spande ovunque:
vien filtrata infatti la salsedine, e
l'elemento liquido
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horas.
rifluisce indietro e s'aduna tutto
semper enim, quod cumque fluit
alla sorgente dei fiumi
de rebus, id omne
e di lì sgorga sulle terre con dolce
aëris in magnum fertur mare; qui corrente, là dove la via
nisi contra
una volta aperta ha fatto
corpora retribuat rebus recreetque discendere le onde con liquido
fluentis,
piede.
omnia iam resoluta forent et in
Ora dunque parlerò dell'aria, che
aëra versa.
in tutto il suo corpo
haut igitur cessat gigni de rebus et si muta innumerabilmente d'ora in
in res
ora.
reccidere, adsidue quoniam fluere Sempre infatti ciò che fluisce dalle
omnia constat.
cose, è trasportato tutto
Largus item liquidi fons luminis, nel gran mare dell'aria; e, se
aetherius sol,
questa a sua volta non restituisse
inrigat adsidue caelum candore
elementi alle cose e non le
recenti
reintegrasse di ciò che ne fluisce,
suppeditatque novo confestim
tutto sarebbe ormai dissolto e
lumine lumen.
convertito in aria.
nam primum quicquid fulgoris
Dunque non cessa questa d'esser
disperit ei,
generata dalle cose e di risolversi
quo cumque accidit. id licet hinc
nelle cose, poiché è certo che
cognoscere possis,
tutto continuamente fluisce.
quod simul ac primum nubes
Così l'abbondante fonte di limpida
succedere soli
luce, l'etereo sole,
coepere et radios inter quasi
perennemente inonda il cielo di
rumpere lucis,
fulgore sempre nuovo
extemplo inferior pars horum
e sùbito rifornisce la luce con luce
disperit omnis
nuova.
terraque inumbratur qua nimbi
Ché ogni sua prima emanazione di
cumque feruntur;
fulgore perisce,
ut noscas splendore novo res
dovunque cada. E ciò puoi
semper egere
apprenderlo da questo,
et primum iactum fulgoris
che appena le nubi cominciano a
quemque perire
passare sotto il sole
nec ratione alia res posse in sole e a troncare, per così dire, a
videri,
mezzo i raggi della luce,
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perpetuo ni suppeditet lucis caput
ipsum.
quin etiam nocturna tibi, terrestria
quae sunt,
lumina, pendentes lychni
claraeque coruscis
fulguribus pingues multa caligine
taedae
consimili properant ratione, ardore
ministro,
suppeditare novom lumen,
tremere ignibus instant,
instant, nec loca lux inter quasi
rupta relinquit:
usque adeo properanter ab
omnibus ignibus ei
exitium celeri celeratur origine
flammae.
sic igitur solem lunam stellasque
putandum
ex alio atque alio lucem iactare
subortu
et primum quicquid flammarum
perdere semper,
inviolabilia haec ne credas forte
vigere.
Denique non lapides quoque
vinci cernis ab aevo,
non altas turris ruere et
putrescere saxa,
non delubra deum simulacraque
fessa fatisci
nec sanctum numen fati protollere
finis
posse neque adversus naturae
foedera niti?
d'un tratto la parte inferiore di
questi perisce tutta
e la terra si vela d'ombra
dovunque si portano i nembi;
sì che puoi conoscere che di nuovo
splendore sempre le cose han
bisogno
e che le emanazioni di fulgore
periscono man mano che si
producono,
né altrimenti le cose potrebbero
essere vedute nella luce del sole,
se la stessa sorgente della luce
non la fornisse perpetuamente.
E inoltre, vedi, i lumi notturni che
sono sulla terra,
lampade appese e torce splendenti
di lampeggianti baleni,
grasse di molta caligine, in simile
modo s'affrettano
a fornire, mediante la loro
fiamma, nuova luce,
e insistono nel tremolare dei
fuochi, insistono, né la luce,
troncata, per così dire, a mezzo,
lascia i luoghi d'intorno.
Tanto in fretta il suo estinguersi è
celato
col celere scaturire di nuova
fiamma da tutti i fuochi.
Così, dunque, il sole, la luna e le
stelle è da credere
che spandano la luce con
successive emanazioni
e che perdano sempre ogni
fiamma che via via spunta;
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denique non monimenta virum
dilapsa videmus,
[quaerere proporro, sibi cumque
senescere credas,]
non ruere avolsos silices a
montibus altis
nec validas aevi vires perferre
patique
finiti? neque enim caderent avolsa
repente,
ex infinito quae tempore
pertolerassent
omnia tormenta aetatis, privata
fragore.
Denique iam tuere hoc, circum
supraque quod omne
continet amplexu terram: si
procreat ex se
omnia, quod quidam memorant,
recipitque perempta,
totum nativum mortali corpore
constat.
nam quod cumque alias ex se res
auget alitque,
deminui debet, recreari, cum
recipit res.
Praeterea si nulla fuit genitalis
origo
terrarum et caeli semperque
aeterna fuere,
cur supera bellum Thebanum et
funera Troiae
non alias alii quoque res cecinere
poëtae?
quo tot facta virum totiens
cecidere neque usquam
aeternis famae monimentis insita
che non ti avvenga di supporli
dotati d'inviolabile vigore.
Ancora, non vedi che anche le
pietre sono vinte dal tempo,
che le alte torri cadono in rovina e
le rocce si sgretolano,
che i templi e le statue degli dèi
rovinati si fendono,
e il santo nume non può differire i
termini del fato,
né lottare contro le leggi della
natura?
E ancora, non vediamo i
monumenti degli eroi crollati
chiedere se tu credi che essi a loro
volta invecchiano?
Non vediamo precipitare rupi
divelte dagli alti monti,
incapaci di resistere e di
sopportare le possenti forze di un
tempo
sia pure limitato? Né infatti
cadrebbero divelte d'un tratto,
se da tempo infinito avessero
continuato a sopportare
tutti gli attacchi dell'età senza
esserne spezzate.
Inoltre, contempla ora questo cielo
che d'intorno e di sopra
cinge col suo abbraccio tutta la
terra: se procrea da sé
tutte le cose, come alcuni dicono,
e le accoglie dissolte,
tutto di corpo soggetto a nascita e
a morte esso consta.
Infatti tutto ciò che di sé accresce
e alimenta altre cose,
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florent?
verum, ut opinor, habet novitatem
summa recensque
naturast mundi neque pridem
exordia cepit.
quare etiam quaedam nunc artes
expoliuntur,
nunc etiam augescunt; nunc
addita navigiis sunt
multa, modo organici melicos
peperere sonores,
denique natura haec rerum
ratioque repertast
nuper, et hanc primus cum primis
ipse repertus
nunc ego sum in patrias qui
possim vertere voces.
Quod si forte fuisse ante hac
eadem omnia credis,
sed periise hominum torrenti
saecla vapore,
aut cecidisse urbis magno
vexamine mundi,
aut ex imbribus adsiduis exisse
rapaces
per terras amnes atque oppida
coperuisse.
tanto quique magis victus fateare
necessest
exitium quoque terrarum caelique
futurum;
nam cum res tantis morbis
tantisque periclis
temptarentur, ibi si tristior
incubuisset
causa, darent late cladem
deve decrescere, e reintegrarsi
quando riprende ciò che ha dato.
Oltre a ciò, se non ci fu un'origine
primigenia
della terra e del cielo, e sempre
essi esistettero eterni,
perché di là dalla guerra tebana e
dalle rovine di Troia
non cantarono altri poeti anche
altri eventi?
Dove mai tante gesta di eroi tante
volte svanirono e perché non
fioriscono
in alcun luogo, impresse negli
eterni monumenti della fama?
Vero è, a parer mio, che tutto il
nostro mondo è nella sua
giovinezza,
e recente è la natura del cielo, né
da molto tempo ebbe inizio.
Perciò alcune arti ancor oggi si
raffinano, oggi ancora
progrediscono; oggi sono stati
aggiunti alle navi
molti attrezzi; poc'anzi i musicisti
hanno creato melodiosi suoni.
Infine, questo sistema della natura
è stato scoperto
di recente, e primo fra tutti io
stesso mi trovo
ora in grado di tradurlo nella
lingua dei padri.
E se per caso credi che tutte le
cose siano esistite identiche già in
passato,
ma le generazioni degli uomini
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magnasque ruinas.
nec ratione alia mortales esse
videmur,
inter nos nisi quod morbis
aegrescimus isdem
atque illi quos a vita natura
removit.
Praeterea quae cumque manent
aeterna necessust
aut, quia sunt solido cum corpore,
respuere ictus
nec penetrare pati sibi quicquam
quod queat artas
dissociare intus partis, ut materiai
corpora sunt, quorum naturam
ostendimus ante,
aut ideo durare aetatem posse per
omnem,
plagarum quia sunt expertia, sicut
inane est,
quod manet intactum neque ab
ictu fungitur hilum,
aut etiam quia nulla loci sit copia
circum,
quo quasi res possint discedere
dissoluique,
sicut summarum summa est
aeterna, neque extra
qui locus est quo dissiliant neque
corpora sunt quae
possint incidere et valida
dissolvere plaga.
at neque, uti docui, solido cum
corpore mundi
naturast, quoniam admixtumst in
rebus inane,
nec tamen est ut inane, neque
siano perite in avvampante fuoco,
o le città sian crollate in un grande
sconvolgimento del mondo,
o a causa di piogge assidue fiumi
rapinosi siano straripati
su per le terre e abbiano
sommerso le città,
tanto più è inevitabile che tu,
vinto, ammetta
che alla rovina soccomberanno
anche la terra e il cielo:
infatti, quando le cose subivano
l'assalto di tali flagelli e di tali
pericoli,
se una forza più nociva si fosse in
quel punto abbattuta su di loro,
per vasto spazio sarebbero
precipitate in disastro e grandi
rovine.
Né in altra maniera noi ci
accorgiamo di essere mortali,
se non perché a vicenda siamo
preda delle stesse malattie
di cui soffrirono coloro che la
natura allontanò dalla vita.
Inoltre, tutte le cose che
permangono eterne è necessario
o che respingano gli urti perché
hanno corpo solido
e non si lascino penetrare da
qualcosa che possa dissociare
nell'interno le parti strettamente
unite, quali sono i corpi
della materia, di cui prima
abbiamo rivelato la natura,
oppure che possano durare per
ogni tempo per questo,
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autem corpora desunt,
ex infinito quae possint forte
coorta
corruere hanc rerum violento
turbine summam
aut aliam quamvis cladem
inportare pericli,
nec porro natura loci spatiumque
profundi
deficit, exspargi quo possint
moenia mundi,
aut alia quavis possunt vi pulsa
perire.
haut igitur leti praeclusa est ianua
caelo
nec soli terraeque neque altis
aequoris undis,
sed patet immani et vasto
respectat hiatu.
quare etiam nativa necessumst
confiteare
haec eadem; neque enim, mortali
corpore quae sunt,
ex infinito iam tempore adhuc
potuissent
inmensi validas aevi contemnere
vires.
Denique tantopere inter se cum
maxima mundi
pugnent membra, pio nequaquam
concita bello,
nonne vides aliquam longi
certaminis ollis
posse dari finem, vel cum sol et
vapor omnis
omnibus epotis umoribus
perché sono esenti da colpi, come
è il vuoto,
che rimane intatto e non subisce il
minimo urto,
o anche perché intorno non si
trova tratto di spazio
ove, in qualche modo, le cose
possano sperdersi e dissolversi:
così è eterna la somma delle
somme, fuori della quale
non c'è luogo ove le cose saltino in
pezzi, né ci son corpi
che possano cadere su di esse e
con forte colpo dissolverle.
Ma, come ho insegnato, la natura
del mondo non è dotata
di corpo solido, poiché dentro le
cose è misto il vuoto,
né tuttavia esso è come il vuoto,
né d'altronde mancano corpi
che, dall'infinito per caso
irrompendo in folla, possano
far precipitare questo insieme di
cose con violento turbine
o introdurvi qualche altro
disastroso pericolo,
e inoltre non difettano il vuoto e le
profondità dello spazio,
dove le mura del mondo possano
disperdersi,
oppure possono perire colpite da
qualsiasi altra forza.
Dunque la porta della morte non è
chiusa al cielo,
né al sole, né alla terra, né alle
acque profonde del mare,
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exsuperarint?
ma sta spalancata e li aspetta con
quod facere intendunt, neque
immane e vasta voragine.
adhuc conata patrantur;
Perciò devi anche ammettere che
tantum suppeditant amnes
queste stesse cose hanno avuto
ultraque minantur
una nascita; e infatti cose che
omnia diluviare ex alto gurgite
sono di corpo mortale
ponti:
non avrebbero potuto da tempo
ne quiquam, quoniam verrentes
infinito fino ad ora
aequora venti
disprezzare le possenti forze di
deminuunt radiisque retexens
un'età immensa.
aetherius sol,
Infine, poiché tanto lottano tra
et siccare prius confidunt omnia
loro le grandissime
posse
membra del mondo, sfrenate in
quam liquor incepti possit
empia guerra,
contingere finem.
non vedi che alla loro lunga
tantum spirantes aequo certamine contesa può essere posto
bellum
qualche termine? Così, quando il
magnis [inter se] de rebus cernere sole e ogni fuoco,
certant,
assorbiti tutti gli umori, avranno
cum semel interea fuerit
preso il sopravvento:
superantior ignis
a far ciò tendono, ma finora i
et semel, ut fama est, umor
tentativi non hanno avuto effetto:
regnarit in arvis.
tanto rifornimento danno i fiumi, e
ignis enim superavit et ambiens
per di più minacciano
multa perussit,
d'inondare ogni cosa riversandosi
avia cum Phaethonta rapax vis
dai profondi gorghi del mare,
solis equorum
ma invano: poiché i venti,
aethere raptavit toto terrasque per spazzando le acque, e l'etereo
omnis.
sole,
at pater omnipotens ira tum
dissolvendole coi raggi, ne
percitus acri
diminuiscono il volume,
magnanimum Phaethonta repenti e confidano di poter prosciugare
fulminis ictu
ogni cosa prima che le onde
deturbavit equis in terram, Solque possano raggiungere il termine
cadenti
della loro impresa.
obvius aeternam succepit lampada Da tanto spirito guerresco
mundi
infiammati, con uguale esito
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disiectosque redegit equos
iunxitque trementis,
inde suum per iter recreavit
cuncta gubernans,
scilicet ut veteres Graium cecinere
poëtae.
quod procul a vera nimis est
ratione repulsum.
ignis enim superare potest ubi
materiai
ex infinito sunt corpora plura
coorta;
inde cadunt vires aliqua ratione
revictae,
aut pereunt res exustae
torrentibus auris.
umor item quondam coepit
superare coortus,
ut fama est, hominum vitas
quando obruit undis;
inde ubi vis aliqua ratione aversa
recessit,
ex infinito fuerat quae cumque
coorta,
constiterunt imbres et flumina vim
minuerunt.
Sed quibus ille modis coniectus
materiai
fundarit terram et caelum
pontique profunda,
solis lunai cursus, ex ordine
ponam.
nam certe neque consilio
primordia rerum
ordine se suo quaeque sagaci
mente locarunt
lottano per decidere di grandi cose
‹fra loro›,
e intanto il fuoco ebbe una volta il
sopravvento,
e una volta, come si racconta,
l'acqua regnò sui campi.
Il fuoco infatti sormontò e,
raggiungendo molte cose, le
bruciò,
quando la rapace forza dei cavalli
del sole, uscendo di strada,
trascinò Fetonte attraverso tutto
l'etere e su tutte le terre.
Ma il padre onnipotente, stimolato
allora da un'ira violenta,
con un repentino colpo di fulmine
gettò l'animoso Fetonte
giù dai cavalli sulla terra, e il Sole,
andandogli incontro
mentre cadeva, raccolse l'eterna
lampada del mondo
e ritrasse i cavalli sbandati e li
aggiogò che ancora tremavano;
poi, guidandoli per la loro strada,
ristorò tutte le cose.
Così invero cantarono gli antichi
poeti di Grecia.
Ma questo si discosta troppo dalla
verità.
Il fuoco infatti può sormontare
quando più numerosi corpi
della sua materia hanno fatto in
folla irruzione dall'infinito;
poi cadono le sue forze,
sopraffatte da qualche causa,
oppure le cose periscono bruciate
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nec quos quaeque darent motus
pepigere profecto;
sed quia multa modis multis
primordia rerum
ex infinito iam tempore percita
plagis
ponderibusque suis consuerunt
concita ferri
omnimodisque coire atque omnia
pertemptare,
quae cumque inter se possent
congressa creare,
propterea fit uti magnum volgata
per aevom
omnigenus coetus et motus
experiundo
tandem conveniant ea quae
coniecta repente
magnarum rerum fiunt exordia
saepe,
terrai maris et caeli generisque
animantum.
Hic neque tum solis rota cerni
lumine largo
altivolans poterat nec magni
sidera mundi
nec mare nec caelum nec denique
terra neque aër
nec similis nostris rebus res ulla
videri,
sed nova tempestas quaedam
molesque coorta.
diffugere inde loci partes coepere
paresque
cum paribus iungi res et
discludere mundum
membraque dividere et magnas
dai soffi cocenti.
Anche l'acqua un tempo, insorta,
cominciò a sormontare,
come è fama, quando sommerse
molti uomini sotto le onde.
Poi, quando venne meno, respinta
da qualche causa,
la sua forza, quanta dall'infinito
aveva fatto irruzione,
si fermarono le piogge e i fiumi
scemarono la loro violenza.
Ma ora esporrò con ordine in quali
modi quell'ammasso
di materia abbia costituito le
fondamenta della terra e del cielo
e delle profondità marine, i corsi
del sole e della luna.
Ché certo non secondo un
deliberato proposito i primi
elementi
delle cose si collocarono ciascuno
al suo posto con mente sagace,
né in verità pattuirono quali moti
dovesse produrre ciascuno,
ma, poiché molti primi elementi
delle cose, in molti modi,
da tempo infinito fino ad ora
stimolati dagli urti
e tratti dal proprio peso, sono
soliti muoversi e vagare
e in ogni modo congiungersi e
provare tutto
quanto possano produrre
aggregandosi tra loro,
per questo avviene che, dopo aver
vagato per gran tempo,
sperimentando ogni genere di
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disponere partes
aggregazioni e di moti,
omnigenis e principiis, discordia
alfine si incontrano quelli che,
quorum
messi insieme d'un tratto,
intervalla vias conexus pondera
diventano spesso inizi di grandi
plagas
cose,
concursus motus turbabat proelia della terra, del mare e del cielo e
miscens
delle specie viventi.
propter dissimilis formas variasque In tale situazione, non si poteva
figuras,
allora vedere il disco
quod non omnia sic poterant
del sole, volante nell'alto con la
coniuncta manere
sua luce copiosa, né gli astri
nec motus inter sese dare
del vasto firmamento, né mare, né
convenientis,
cielo, e neppure terra, né aria,
hoc est, a terris altum secernere né alcuna cosa simile alle nostre
caelum,
cose si poteva scorgere,
et sorsum mare, uti secreto umore ma una specie di tempesta sorta
pateret,
di recente e un ammasso
seorsus item puri secretique
composto di atomi d'ogni genere,
aetheris ignes.
la cui discordia perturbava
Quippe etenim primum terrai
gl'intervalli, le vie, le connessioni,
corpora quaeque,
i pesi, gli urti,
propterea quod erant gravia et
gl'incontri, i movimenti, in un
perplexa, coibant
arder di battaglie,
in medio atque imas capiebant
perché, per le forme dissimili e le
omnia sedes;
varie figure,
quae quanto magis inter se
non potevano tutti così rimanere
perplexa coibant,
congiunti,
tam magis expressere ea quae
né produrre tra loro movimenti
mare sidera solem
concordanti.
lunamque efficerent et magni
Indi parti diverse cominciarono a
moenia mundi;
fuggire in varie direzioni,
omnia enim magis haec e levibus e le cose simili a congiungersi con
atque rutundis
le simili, e segnare
seminibus multoque minoribus
i confini del mondo e dividerne le
sunt elementis
membra e disporre
quam tellus. ideo per rara
le grandi parti, cioè distinguere
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foramina terrae
partibus erumpens primus se
sustulit aether
ignifer et multos secum levis
abstulit ignis,
non alia longe ratione ac saepe
videmus,
aurea cum primum gemmantis
rore per herbas
matutina rubent radiati lumina
solis
exhalantque lacus nebulam
fluviique perennes
ipsaque ut inter dum tellus fumare
videtur;
omnia quae sursum cum
conciliantur, in alto
corpore concreto subtexunt nubila
caelum.
sic igitur tum se levis ac diffusilis
aether
corpore concreto circum datus
undique saepsit
et late diffusus in omnis undique
partis
omnia sic avido complexu cetera
saepsit.
hunc exordia sunt solis lunaeque
secuta,
interutrasque globi quorum
vertuntur in auris;
quae neque terra sibi adscivit nec
maximus aether,
quod neque tam fuerunt gravia ut
depressa sederent,
nec levia ut possent per summas
labier oras,
dalle terre l'alto cielo,
e far sì che in disparte con distinte
acque si stendesse il mare,
in disparte anche i fuochi
dell'etere puri e distinti.
E, invero, dapprincipio i vari corpi
di terra,
poiché erano pesanti e
aggrovigliati, s'adunavano
nel mezzo e occupavano tutti le
regioni più basse;
e, quanto più aggrovigliati tra loro
s'adunavano,
tanto più spremevano fuori i corpi
che dovevano produrre
il mare, gli astri, il sole e la luna e
le mura del vasto mondo.
Tutti questi in effetti sono di semi
più lisci
e più rotondi e di elementi molto
più piccoli
che la terra. Così, erompendo, per
i fori della terra porosa,
dalle parti di questa, primo si levò
in alto l'etere
infuocato e, leggero, trasse su con
sé molti fuochi,
non molto diversamente da quel
che spesso vediamo,
quando l'aurea luce mattutina del
sole raggiante
comincia a rosseggiare fra le erbe
ingemmate di rugiada
ed esalano nebbia i laghi e i fiumi
perenni,
e anche come la terra stessa si
vede talora fumare;
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et tamen interutrasque ita sunt, ut
corpora viva
versent et partes ut mundi totius
extent;
quod genus in nobis quaedam licet
in statione
membra manere, tamen cum sint
ea quae moveantur.
his igitur rebus retractis terra
repente,
maxuma qua nunc se ponti plaga
caerula tendit,
succidit et salso suffudit gurgite
fossas.
inque dies quanto circum magis
aetheris aestus
et radii solis cogebant undique
terram
verberibus crebris extrema ad
limina fartam
in medio ut propulsa suo condensa
coiret,
tam magis expressus salsus de
corpore sudor
augebat mare manando
camposque natantis,
et tanto magis illa foras elapsa
volabant
corpora multa vaporis et aëris
altaque caeli
densabant procul a terris fulgentia
templa.
sidebant campi, crescebant
montibus altis
ascensus; neque enim poterant
subsidere saxa
e, quando tutte queste esalazioni,
movendo verso l'alto, si
aggregano,
lassù condensatesi diventano
nuvole che col loro intreccio
oscurano il cielo.
Così, dunque, allora l'etere
leggero ed espansibile,
condensatosi e avvoltosi intorno,
s'incurvò da ogni parte
e, ampiamente espanso da ogni
parte in tutte le direzioni,
così circondò tutte le altre cose
con avido abbraccio.
A questo tennero dietro gl'inizi del
sole e della luna,
i cui globi si volgono nell'aria fra
etere e terra:
né la terra li accolse in sé, né
l'etere grandissimo, poiché non
erano
tanto pesanti da cadere in basso e
posarsi sul fondo,
né leggeri sì da potere scivolare
per le plaghe più alte;
e tuttavia sono fra l'una e l'altro in
tal modo che fanno girare
i loro corpi vivi ed esistono come
parti di tutto il mondo:
come in noi certe membra
possono restare immobili,
mentre ve ne sono altre che
frattanto si muovono.
Ritiratesi, quindi, queste cose,
d'un tratto la terra,
là dove ora la zona cerula del
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nec pariter tantundem omnes
mare si stende amplissima,
succumbere partis.
sprofondò, e inondò di salati
Sic igitur terrae concreto
gorghi gli avvallamenti.
corpore pondus
E di giorno in giorno, quanto più le
constitit atque omnis mundi quasi vampe dell'etere
limus in imum
d'intorno e i raggi del sole
confluxit gravis et subsedit
serravano da ogni parte la terra
funditus ut faex;
in spazio ristretto con colpi
inde mare, inde aër, inde aether
frequenti sugli estremi bordi,
ignifer ipse
sì che, compressa, si condensava
corporibus liquidis sunt omnia
e s'adunava al centro,
pura relicta
tanto più il salso sudore, spremuto
et leviora aliis alia, et liquidissimus fuori dal suo corpo,
aether
scorrendo accresceva il mare e le
atque levissimus aërias super
distese fluttuanti,
influit auras
e tanto più, guizzando fuori,
nec liquidum corpus turbantibus
volavano quei numerosi
aëris auris
corpi di calore e d'aria e
commiscet; sinit haec violentis
addensavano lontano
omnia verti
dalla terra le alte e fulgide regioni
turbinibus, sinit incertis turbare
del cielo.
procellis,
Si abbassavano le pianure, ai
ipse suos ignis certo fert impete
monti elevati cresceva
labens.
l'altezza; e infatti le rocce non
nam modice fluere atque uno
potevano abbassarsi,
posse aethera nisu
né tutte le parti insieme
significat Pontos, mare certo quod ugualmente cader giù.
fluit aestu
Così, dunque, il peso della terra
unum labendi conservans usque
col corpo condensato
tenorem.
si fissò, e tutto il limo, per così
Motibus astrorum nunc quae sit dire, del mondo confluì
causa canamus.
pesante verso il basso e si posò
principio magnus caeli si vortitur nel fondo come feccia;
orbis,
poi il mare, poi l'aria, poi lo stesso
ex utraque polum parti premere
etere infuocato
aëra nobis
coi loro corpi liquidi, tutti
dicendum est extraque tenere et restarono puri,
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claudere utrimque;
inde alium supra fluere atque
intendere eodem
quo volvenda micant aeterni
sidera mundi;
aut alium supter, contra qui
subvehat orbem,
ut fluvios versare rotas atque
austra videmus.
est etiam quoque uti possit
caelum omne manere
in statione, tamen cum lucida
signa ferantur,
sive quod inclusi rapidi sunt
aetheris aestus
quaerentesque viam circum
versantur et ignes
passim per caeli volvunt
summania templa,
sive aliunde fluens alicunde
extrinsecus aër
versat agens ignis, sive ipsi
serpere possunt,
quo cuiusque cibus vocat atque
invitat euntis,
flammea per caelum pascentis
corpora passim.
nam quid in hoc mundo sit eorum
ponere certum
difficilest; sed quid possit fiatque
per omne
in variis mundis varia ratione
creatis,
id doceo plurisque sequor
disponere causas,
motibus astrorum quae possint
e l'uno più leggero dell'altro; e
l'etere, il più liquido
e il più leggero, scorre sopra i soffi
dell'aria,
né mischia il suo liquido corpo con
gli sconvolgenti
soffi dell'aria; lascia che tutte le
cose quaggiù siano sossopra
per violenti turbini, lascia che
s'agitino per mutevoli procelle,
mentre trasporta i suoi fuochi
scorrendo con slancio immutato.
Infatti, che l'etere possa fluire con
calma e con moto uniforme,
lo mostra il Ponto, il mare che
fluisce con corrente immutata,
conservando sempre uguale
l'andamento del suo scorrere.
Ora cantiamo quale sia la causa
dei movimenti degli astri.
Anzitutto, se la grande sfera del
cielo gira intorno,
dobbiamo dire che l'aria preme sui
poli alle due estremità dell'asse
e la tiene a posto dall'esterno e la
chiude da ambo i lati;
altra aria, poi, fluisce al di sopra e
tende alla stessa meta
verso cui girano brillando gli astri
dell'eterno mondo;
o altra aria fluisce di sotto e
trascina la sfera in senso opposto,
come vediamo i fiumi far girare
ruote e secchie.
Può anche darsi che tutto il cielo
resti immoto,
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esse per omne;
e quibus una tamen sit et haec
quoque causa necessest,
quae vegeat motum signis; sed
quae sit earum
praecipere haud quaquamst
pedetemptim progredientis.
Terraque ut in media mundi
regione quiescat,
evanescere paulatim et decrescere
pondus
convenit atque aliam naturam
supter habere
ex ineunte aevo coniunctam atque
uniter aptam
partibus aëriis mundi, quibus
insita vivit.
propterea non est oneri neque
deprimit auras,
ut sua cuique homini nullo sunt
pondere membra
nec caput est oneri collo nec
denique totum
corporis in pedibus pondus
sentimus inesse;
at quae cumque foris veniunt
inpostaque nobis
pondera sunt laedunt, permulto
saepe minora.
usque adeo magni refert quid
quaeque queat res.
sic igitur tellus non est aliena
repente
allata atque auris aliunde obiecta
alienis,
sed pariter prima concepta ab
origine mundi
mentre frattanto i lucidi astri sono
in movimento,
o perché vi sono rinchiuse le
rapide correnti dell'etere
e, cercando una via, s'aggirano
tutt'intorno
e così volgono i fuochi qua e là per
le notturne volte del cielo;
o un'aria, che fluisce da un altro
luogo qualsiasi al di fuori,
trascina e fa girare i fuochi; o
possono essi stessi scivolare
dove il cibo d'ognuno li chiama e
invita mentre procedono,
pascendo qua e là per il cielo i loro
corpi di fuoco.
Infatti è difficile dare per certo
quale di tali cause operi
in questo mondo; ma che cosa
possa avvenire e avvenga
per tutto l'universo nei vari mondi
in vario modo creati,
questo io insegno, e proseguo a
esporre diverse cause
che possono produrre i movimenti
degli astri per l'universo;
fra esse tuttavia una sola
dev'essere anche in questo mondo
la causa che dà vita al movimento
delle stelle; ma spiegare quale
di esse sia, non è affatto proprio di
chi avanza passo passo.
E perché la terra resti ferma nel
mezzo del mondo,
bisogna che il peso svanisca a
poco a poco e decresca,
e che di sotto essa abbia un'altra
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certaque pars eius, quasi nobis
membra videntur.
Praeterea grandi tonitru
concussa repente
terra supra quae se sunt concutit
omnia motu;
quod facere haut ulla posset
ratione, nisi esset
partibus aëriis mundi caeloque
revincta;
nam communibus inter se
radicibus haerent
ex ineunte aevo coniuncta atque
uniter aucta.
Nonne vides etiam quam
magno pondere nobis
sustineat corpus tenuissima vis
animai,
propterea quia tam coniuncta
atque uniter apta est?
Denique iam saltu pernici
tollere corpus
quid potis est nisi vis animae,
quae membra gubernat?
iamne vides quantum tenuis
natura valere
possit, ubi est coniuncta gravi cum
corpore, ut aër
coniunctus terris et nobis est
animi vis?
Nec nimio solis maior rota nec
minor ardor
esse potest, nostris quam
sensibus esse videtur.
nam quibus e spatiis cumque
ignes lumina possunt
natura,
dall'inizio dell'esistenza congiunta
e strettamente unita
con le parti aeree del mondo in cui
è incorporata e vive.
Perciò non è di peso all'aria, né la
preme giù;
come su ogni uomo non gravano
le sue membra,
né la testa è di peso al collo, e,
infine, non sentiamo
che tutto il peso del corpo poggia
sui piedi;
mentre tutti i pesi che vengono
dall'esterno e ci sono imposti,
ci molestano, quantunque sovente
di gran lunga minori.
Di così grande importanza è quale
potere abbia ciascuna cosa.
Così dunque la terra non
s'aggiunse d'improvviso
come estranea, né da un altro
luogo fu gettata su aria estranea,
ma insieme fu concepita sin dalla
prima origine del mondo
e come parte determinata d'esso,
quali si vedono in noi le membra.
Inoltre, scossa d'un tratto da un
gran tuono,
la terra col suo moto scuote tutto
quanto le sta sopra;
ciò non potrebbe essa fare in
alcun modo, se non fosse
connessa con le parti aeree del
mondo e col cielo.
In effetti mediante comuni radici
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adiicere et calidum membris
aderiscono tra loro,
adflare vaporem,
dall'inizio dell'esistenza congiunti e
nil magnis intervallis de corpore
strettamente uniti.
libant
Non vedi anche come il nostro
flammarum, nihil ad speciem est corpo è sostenuto,
contractior ignis.
benché molto pesante, dalla
proinde, calor quoniam solis
sottilissima forza dell'anima,
lumenque profusum
perché essa gli è tanto congiunta
perveniunt nostros ad sensus et
e strettamente unita?
loca fulgent,
E infine, che cosa può sollevare il
forma quoque hinc solis debet
corpo con agile balzo,
filumque videri,
se non la forza dell'anima che
nil adeo ut possis plus aut minus governa le membra?
addere vere.
Non vedi oramai quanto possa
[perveniunt nostros ad sensus et essere grande la forza
loca fulgent]
d'una natura sottile, quando è
lunaque sive notho fertur loca
unita a un corpo pesante,
lumine lustrans,
come l'aria è unita alla terra e la
sive suam proprio iactat de
forza dell'animo a noi?
corpore lucem,
Né la ruota del sole può essere
quidquid id est, nihilo fertur
molto maggiore,
maiore figura
né il suo calore molto minore di
quam, nostris oculis qua cernimus, quel che appare ai nostri sensi.
esse videtur.
Giacché, da qualsiasi distanza
nam prius omnia, quae longe
possano i fuochi lanciarci
semota tuemur
la luce e soffiare sulle membra
aëra per multum, specie confusa l'ardente calore,
videntur
nulla la distanza toglie al corpo
quam minui filum. quapropter luna delle fiamme
necesse est,
per il suo intervallo, per nulla il
quandoquidem claram speciem
fuoco è ristretto alla vista.
certamque figuram
Quindi, poiché il calore del sole e
praebet, ut est oris extremis
la luce ch'esso spande
cumque notata,
arrivano ai nostri sensi e i luoghi
quanta quoquest, tanta hinc nobis ne rifulgono, anche la forma
videatur in alto.
e la grandezza del sole devono
postremo quos cumque vides hinc esser viste di qui
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (32 of 82) [07/08/2003 21.43.57]
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aetheris ignes,
scire licet perquam pauxillo posse
minores
esse vel exigua maioris parte
brevique.
quandoquidem quos cumque in
terris cernimus [ignes],
dum tremor [et] clarus dum
cernitur ardor eorum,
perparvom quiddam inter dum
mutare videntur
alteram utram in partem filum,
quo longius absunt.
Illud item non est mirandum,
qua ratione
tantulus ille queat tantum sol
mittere lumen,
quod maria ac terras omnis
caelumque rigando
compleat et calido perfundat
cuncta vapore.
[quanta quoquest tanta hinc nobis
videatur in alto]
nam licet hinc mundi patefactum
totius unum
largifluum fontem scatere atque
erumpere lumen,
ex omni mundo quia sic elementa
vaporis
undique conveniunt et sic
coniectus eorum
confluit, ex uno capite hic ut
profluat ardor.
nonne vides etiam quam late
parvus aquai
prata riget fons inter dum
quali sono davvero, sì che nulla
puoi aggiungervi o toglierne.
E la luna, sia che viaggi
illuminando i luoghi con luce
estranea,
sia che emetta sua luce dal
proprio corpo,
viaggia comunque con una forma
per nulla maggiore
di quella con cui ci appare quando
la vedono i nostri occhi.
Infatti tutte le cose che scorgiamo
a grande distanza,
attraverso molta aria, si vedon
confuse all'aspetto
prima che ne sembri diminuita la
grandezza. Pertanto la luna,
giacché presenta chiaro aspetto e
netta forma, dev'esser vista
da noi, di quaggiù, nell'alto così
come essa è delineata
dagli estremi contorni e grande
quanto lo è davvero.
Infine tutti i fuochi del cielo che
vedi di quaggiù:
poiché tutti ‹i fuochi› che
scorgiamo sulla terra,
finché il loro scintillìo ‹è› chiaro,
finché la loro fiamma è scorta,
solo un tantino si vedono talora
mutare in più o in meno
la loro grandezza, a seconda della
distanza,
si può concludere che di
pochissimo possono essere minori
di come ci appaiono o d'un'esigua
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (33 of 82) [07/08/2003 21.43.57]
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campisque redundet?
est etiam quoque uti non magno
solis ab igni
aëra percipiat calidis fervoribus
ardor,
opportunus ita est si forte et
idoneus aër,
ut queat accendi parvis ardoribus
ictus;
quod genus inter dum segetes
stipulamque videmus
accidere ex una scintilla incendia
passim.
forsitan et rosea sol alte lampade
lucens
possideat multum caecis
fervoribus ignem
circum se, nullo qui sit fulgore
notatus,
aestifer ut tantum radiorum
exaugeat ictum.
Nec ratio solis simplex [et]
recta patescit,
quo pacto aestivis e partibus
aegocerotis
brumalis adeat flexus atque inde
revertens
canceris ut vertat metas ad
solstitialis,
lunaque mensibus id spatium
videatur obire,
annua sol in quo consumit
tempora cursu.
non, inquam, simplex his rebus
reddita causast.
nam fieri vel cum primis id posse
videtur,
e breve parte maggiori.
Neppure di questo ci si deve
stupire, come il sole,
pur così piccolo, possa emettere
tanta luce da riempire
dei suoi raggi i mari e tutte le
terre e il cielo,
e inondare del suo ardente calore
tutte le cose.
Può darsi infatti che in tutto il
mondo s'apra di qui l'unica fonte
che faccia scaturire con flusso
abbondante e prorompere la luce,
perché da ogni parte del mondo in
tal modo gli elementi ignei
si raccolgono e in tal modo il loro
ammasso
confluisce che l'ardore sgorga qui
da un'unica sorgente.
Non vedi anche quanto
ampiamente una piccola fonte
d'acqua talora inondi i prati e
trabocchi sulla pianura?
Può anche essere che dal fuoco
del sole, benché non grande,
una vampa invada l'aria col suo
fervere ardente,
se per caso l'aria è così
convenientemente acconcia
da potersi accendere colpita da
vampe leggere;
come talora da una sola scintilla
vediamo piombare
su messi e stoppie un incendio
diffuso.
O forse il sole, che con rosea
fiaccola splende nell'alto,
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (34 of 82) [07/08/2003 21.43.57]
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Democriti quod sancta viri
sententia ponit,
quanto quaeque magis sint terram
sidera propter,
tanto posse minus cum caeli
turbine ferri;
evanescere enim rapidas illius et
acris
imminui supter viris, ideoque
relinqui
paulatim solem cum posterioribus
signis,
inferior multo quod sit quam
fervida signa.
et magis hoc lunam: quanto
demissior eius
cursus abest procul a caelo
terrisque propinquat,
tanto posse minus cum signis
tendere cursum.
flaccidiore etiam quanto iam
turbine fertur
inferior quam sol, tanto magis
omnia signa
hanc adipiscuntur circum
praeterque feruntur.
propterea fit ut haec ad signum
quodque reverti
mobilius videatur, ad hanc quia
signa revisunt.
fit quoque ut e mundi transversis
partibus aër
alternis certo fluere alter tempore
possit,
qui queat aestivis solem detrudere
signis
ha intorno a sé molto fuoco che
ferve invisibile,
che non è indicato da alcun
fulgore,
sì che, carico di calore, accresce
solo la violenza dei raggi.
Né si dà un'unica e immediata
possibilità di spiegare
in che modo il sole s'avvicini dalle
regioni estive
al tropico invernale del
Capricorno, e come, ritornando
di là, si volga alla meta solstiziale
del Cancro,
e come si veda la luna percorrere
tutti i mesi lo spazio
in cui il sole correndo consuma il
tempo di un anno.
Non c'è, dico, un'unica causa
assegnata a queste cose.
Prima di tutto, infatti, sembra che
possa avvenire
ciò che afferma l'opinione di
Democrito, uomo venerabile:
quanto più i vari astri sono vicini
alla terra,
tanto meno essi possono esser
tratti col turbine del cielo;
giacché la sua rapida e veemente
forza diminuisce
e si perde in basso; e il sole è a
poco a poco lasciato
indietro con le costellazioni
posteriori per questo:
perché è molto meno alto delle
costellazioni ardenti.
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (35 of 82) [07/08/2003 21.43.57]
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brumalis usque ad flexus
gelidumque rigorem,
et qui reiciat gelidis a frigoris
umbris
aestiferas usque in partis et
fervida signa.
et ratione pari lunam stellasque
putandumst,
quae volvunt magnos in magnis
orbibus annos,
aëribus posse alternis e partibus
ire.
nonne vides etiam diversis nubila
ventis
diversas ire in partis inferna
supernis?
qui minus illa queant per magnos
aetheris orbis
aestibus inter se diversis sidera
ferri?
At nox obruit ingenti caligine
terras,
aut ubi de longo cursu sol ultima
caeli
impulit atque suos efflavit
languidus ignis
concussos itere et labefactos aëre
multo,
aut quia sub terras cursum
convortere cogit
vis eadem, supra quae terras
pertulit orbem.
Tempore item certo roseam
Matuta per oras
aetheris auroram differt et lumina
pandit,
aut quia sol idem, sub terras ille
E ancor più di questo la luna:
quanto più basso è il suo corso,
quanto più s'allontana dal cielo e
s'appressa alla terra,
tanto meno essa può dirigere il
corso gareggiando con gli astri.
Anzi, quanto più lento è il turbine
da cui essa è tratta
trovandosi al disotto del sole,
tanto più tutti gli astri
la raggiungono girandole intorno e
la sorpassano.
E perciò avviene ch'essa sembri
tornare a ogni astro
più celermente: perché sono gli
astri che di nuovo la raggiungono.
Può anche avvenire che da regioni
del mondo che attraversano
il corso del sole fluiscano a turno
due correnti d'aria, ciascuna
in una stagione determinata: una
che possa cacciare il sole
dalle costellazioni estive al tropico
invernale e al rigido gelo;
l'altra che dalle gelide ombre del
freddo lo ricacci
fino alle regioni cariche di calore e
alle costellazioni ardenti.
E similmente si deve credere che
la luna e le stelle,
che volgono in grandi orbite i
grandi anni, possano muoversi
per correnti d'aria da opposte
regioni alternamente.
Non vedi anche le nuvole più
basse andare, per forza di venti
opposti, in direzione opposta a
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (36 of 82) [07/08/2003 21.43.57]
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revertens,
anticipat caelum radiis accendere
temptans,
aut quia conveniunt ignes et
semina multa
confluere ardoris consuerunt
tempore certo,
quae faciunt solis nova semper
lumina gigni;
quod genus Idaeis fama est e
montibus altis
dispersos ignis orienti lumine
cerni,
inde coire globum quasi in unum
et conficere orbem.
nec tamen illud in his rebus
mirabile debet
esse, quod haec ignis tam certo
tempore possint
semina confluere et solis reparare
nitorem.
multa videmus enim, certo quae
tempore fiunt
omnibus in rebus. florescunt
tempore certo
arbusta et certo dimittunt tempore
florem.
nec minus in certo dentes cadere
imperat aetas
tempore et inpubem molli
pubescere veste
et pariter mollem malis demittere
barbam.
fulmina postremo nix imbres
nubila venti
non nimis incertis fiunt in partibus
quella delle più alte?
Perché non potrebbero quegli
astri, per le grandi orbite
dell'etere, volgersi per forza di
correnti opposte fra loro?
Ma la notte ricopre d'enorme
tenebra la terra,
o quando, al termine del lungo
corso, il sole ha battuto
alle estreme regioni del cielo e,
fiaccato, ha spirato i suoi fuochi
scossi dal viaggio e indeboliti dalla
molta aria attraversata,
o perché lo costringe a volgere il
corso sotto la terra
la stessa forza che ha portato il
suo giro sopra la terra.
Parimenti a un'ora fissa Matuta
diffonde la rosea
aurora per le plaghe dell'etere e
propaga la luce,
o perché lo stesso sole, che ritorna
di sotto la terra,
occupa prima il cielo coi raggi
tentando di accenderlo,
o perché fuochi si raccolgono e
molti semi
di calore son soliti confluire a
un'ora fissa
e fanno che ogni giorno nasca la
luce di un nuovo sole;
così è fama che dalle alte cime
dell'Ida
fuochi sparsi si vedano al sorgere
della luce,
poi s'uniscano come in un globo e
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anni.
namque ubi sic fuerunt causarum
exordia prima
atque ita res mundi cecidere ab
origine prima,
conseque quoque iam redeunt ex
ordine certo.
Crescere itemque dies licet et
tabescere noctes,
et minui luces, cum sumant
augmina noctis,
aut quia sol idem sub terras atque
superne
imparibus currens amfractibus
aetheris oras
partit et in partis non aequas
dividit orbem,
et quod ab alterutra detraxit
parte, reponit
eius in adversa tanto plus parte
relatus,
donec ad id signum caeli pervenit,
ubi anni
nodus nocturnas exaequat lucibus
umbras;
nam medio cursu flatus aquilonis
et austri
distinet aequato caelum discrimine
metas
propter signiferi posituram totius
orbis,
annua sol in quo concludit
tempora serpens,
obliquo terras et caelum lumine
lustrans,
ut ratio declarat eorum qui loca
caeli
formino il disco del sole.
Né tuttavia in queste cose
dovrebbe suscitar meraviglia
che a un'ora così fissa questi semi
di fuoco
possano confluire e rinnovare lo
splendore del sole.
Giacché vediamo molti fenomeni
che avvengono
a data fissa in tutte le cose.
Fioriscono a data fissa
gli alberi e a data fissa fanno
cadere il fiore.
A data non meno fissa il tempo
ingiunge che cadano i denti,
e che l'impubere entri nella
pubertà rivestendosi di molle
lanugine,
e faccia scendere da entrambe le
guance morbida barba.
Infine i fulmini, la neve, le piogge,
le nuvole, i venti
si producono in periodi dell'anno
non troppo incerti.
Infatti, poiché tali furono i primi
principi delle cause
e così le cose si svolsero fin
dall'origine prima del mondo,
anche oggi ritornano l'uno dopo
l'altro in ordine fisso.
E del pari può darsi che
s'allunghino i giorni e scemino le
notti,
e poi s'accorcino i giorni e nel
contempo crescano le notti,
perché lo stesso sole, sotto la
terra e al disopra
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omnia dispositis signis ornata
notarunt.
aut quia crassior est certis in
partibus aër,
sub terris ideo tremulum iubar
haesitat ignis
nec penetrare potest facile atque
emergere ad ortus;
propterea noctes hiberno tempore
longae
cessant, dum veniat radiatum
insigne diei.
aut etiam, quia sic alternis
partibus anni
tardius et citius consuerunt
confluere ignes,
qui faciunt solem certa de surgere
parte,
propterea fit uti videantur dicere
verum.
Luna potest solis radiis
percussa nitere
inque dies magis [id] lumen
convertere nobis
ad speciem, quantum solis secedit
ab orbi,
donique eum contra pleno bene
lumine fulsit
atque oriens obitus eius super
edita vidit;
inde minutatim retro quasi
condere lumen
debet item, quanto propius iam
solis ad ignem
labitur ex alia signorum parte per
orbem;
descrivendo curve di lunghezza
differente, spartisce
le plaghe dell'etere e divide la sua
orbita in parti ineguali,
e ciò che da una parte ha tolto, lo
aggiunge nell'opposta parte
dell'orbita, facendovi una corsa
tanto più lunga,
finché non arriva a quel segno
celeste, dove il nodo
dell'anno uguaglia ai giorni le
ombre della notte.
Difatti a mezzo cammino fra i soffi
dell'aquilone e dell'austro,
il cielo tiene separate ad uguale
distanza le due mete
per la positura di tutto il cerchio
delle costellazioni
in cui il sole scivolando conchiude
il periodo di un anno,
illuminando di obliqua luce la terra
e il cielo,
come spiega la dottrina di coloro
che disegnarono tutte le regioni
del cielo, ornate delle costellazioni
poste nell'ordine loro.
Può anche darsi che in certe parti
l'aria sia più densa,
e perciò sotto la terra esiti il
tremulo splendore del fuoco
e non possa penetrarla facilmente
ed emergere a oriente;
perciò le notti nel tempo invernale
lunghe indugiano,
finché non giunga il radioso
ornamento del giorno.
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ut faciunt, lunam qui fingunt esse
pilai
consimilem cursusque viam sub
sole tenere.
est etiam quare proprio cum
lumine possit
volvier et varias splendoris
reddere formas;
corpus enim licet esse aliud, quod
fertur et una
labitur omnimodis occursans
officiensque,
nec potis est cerni, quia cassum
lumine fertur.
versarique potest, globus ut, si
forte, pilai
dimidia ex parti candenti lumine
tinctus,
versandoque globum variantis
edere formas,
donique eam partem, quae
cumque est ignibus aucta,
ad speciem vertit nobis oculosque
patentis;
inde minutatim retro contorquet et
aufert
luciferam partem glomeraminis
atque pilai;
ut Babylonica Chaldaeum doctrina
refutans
astrologorum artem contra
convincere tendit,
proinde quasi id fieri nequeat quod
pugnat uterque
aut minus hoc illo sit cur
amplectier ausis.
denique cur nequeat semper nova
Può ancora darsi che allo stesso
modo in alterne stagioni dell'anno
siano soliti confluire, ora più
lentamente, ora più rapidamente,
i fuochi che fanno sorgere il sole
da una parte determinata.
Per questo avviene che sembrino
dire il vero
*
Può darsi che la luna splenda
perché percossa dai raggi del sole,
e che di giorno in giorno
maggiormente volga ‹quella› luce
verso il nostro sguardo, quanto
più s'allontana dal disco del sole,
finché di contro ad esso rifulge di
pienissima luce
e sorgendo, alta sopra l'orizzonte,
ne vede il tramonto;
poi, a poco a poco, essa deve
parimenti ritrarsi e nascondere,
per così dire, la luce, quanto più
vicino al fuoco del sole
ormai scivola dall'altra parte per il
cerchio delle costellazioni;
tale è la teoria di coloro i quali
immaginano che la luna
sia simile a una sfera e percorra la
sua orbita al disotto del sole.
È dato anche supporre ch'essa
possa ruotare con propria luce
e pur presentare differenti aspetti
del suo splendore.
Può esserci infatti un altro corpo,
che si muove e scivola
insieme con essa, in tutti i modi
opponendosi ed eclissandola,
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luna creari
ordine formarum certo certisque
figuris
inque dies privos aborisci quaeque
creata
atque alia illius reparari in parte
locoque,
difficilest ratione docere et vincere
verbis,
ordine cum [videas] tam certo
multa creari.
it Ver et Venus et Veneris
praenuntius ante
pennatus graditur, Zephyri
vestigia propter
Flora quibus mater praespargens
ante viai
cuncta coloribus egregiis et
odoribus opplet.
inde loci sequitur Calor aridus et
comes una
pulverulenta Ceres [et] etesia
flabra aquilonum.
inde Autumnus adit, graditur simul
Euhius Euan.
inde aliae tempestates ventique
secuntur,
altitonans Volturnus et Auster
fulmine pollens.
tandem Bruma nives adfert
pigrumque rigorem
reddit. Hiemps sequitur crepitans
hanc dentibus algu.
quo minus est mirum, si certo
tempore luna
gignitur et certo deletur tempore
senza che sia possibile discernerlo,
perché privo di luce si muove.
Ed essa può girare su sé stessa,
come farebbe la sfera
d'una palla cosparsa per metà di
candida luce
e, facendo girare la sua sfera,
produrre varie fasi,
finché volge al nostro sguardo e
agli occhi aperti
quella parte, qualunque sia, che è
cinta di fuoco;
poi a poco a poco torce indietro e
sottrae ai nostri occhi
la parte luminosa della sua massa
sferica:
questo è ciò che la babilonica
dottrina dei Caldei, confutando
la scienza degli astronomi, cerca
di provare contro costoro,
quasiché non possa avverarsi ciò
per cui lottano gli uni e gli altri
o ci sia un motivo per cui osi
abbracciare meno questa che
quella.
Infine, perché non possa ogni
giorno una nuova luna
crearsi con ordine fisso di fasi e
con forme fisse,
e ciascun giorno sparire quella che
si era creata
e un'altra sostituirsi ad essa nella
sua regione e posizione,
è difficile mostrare col
ragionamento e provare con le
parole,
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rusus,
cum fieri possint tam certo
tempore multa.
Solis item quoque defectus
lunaeque latebras
pluribus e causis fieri tibi posse
putandumst.
nam cur luna queat terram
secludere solis
lumine et a terris altum caput
obstruere ei,
obiciens caecum radiis ardentibus
orbem,
tempore eodem aliut facere id non
posse putetur
corpus, quod cassum labatur
lumine semper?
solque suos etiam dimittere
languidus ignis
tempore cur certo nequeat
recreareque lumen,
cum loca praeteriit flammis infesta
per auras,
quae faciunt ignis interstingui
atque perire?
et cur terra queat lunam spoliare
vicissim
lumine et oppressum solem super
ipsa tenere,
menstrua dum rigidas coni
perlabitur umbras,
tempore eodem aliud nequeat
succurrere lunae
corpus vel supra solis perlabier
orbem,
quod radios inter rumpat
lumenque profusum?
quando ‹vedi› che tante cose si
creano con ordine fisso.
Viene primavera e Venere, e
l'alato nunzio di Venere
innanzi cammina, e sulle orme di
Zefiro
la madre Flora davanti a loro tutta
la via
cosparge di squisiti colori e odori.
Poi segue il calore arido e insieme
la sua compagna,
la polverosa Cerere, ‹e› gli etesii
soffi degli aquiloni.
Poi giunge l'autunno, e con esso
cammina l'Evio Bacco.
Poi altre stagioni e i loro venti
seguono,
l'altitonante Volturno e l'Austro
possente col fulmine.
Infine la bruma porta le nevi e
rinnova il pigro gelo;
la segue l'inverno che batte i denti
per il freddo.
Perciò non c'è da meravigliarsi se
a tempo fisso la luna
nasce e di nuovo a tempo fisso si
dissolve,
quando tante cose possono a
tempo fisso avvenire.
Parimenti devi credere che anche
le eclissi del sole
e il celarsi della luna possano
avvenire per diverse cause.
Infatti, perché la luna potrebbe
escludere la terra dalla luce
del sole e a questo opporre il
proprio capo alto dalla terra,
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et tamen ipsa suo si fulget luna
ponendo l'opaco disco davanti ai
nitore,
raggi ardenti,
cur nequeat certa mundi
e nello stesso tempo si dovrebbe
languescere parte,
credere che non possa
dum loca luminibus propriis
far ciò un altro corpo che scivoli
inimica per exit?
sempre privo di luce?
[menstrua dum rigidas coni
E il sole stesso perché non
perlabitur umbras].
potrebbe illanguidito
Quod superest, quoniam magni perdere i suoi fuochi a tempo fisso
per caerula mundi
e poi rinnovare la luce,
qua fieri quicquid posset ratione
quando, traversando l'aria, è
resolvi,
passato per luoghi ostili alle
solis uti varios cursus lunaeque
fiamme,
meatus
i quali producono l'estinguersi e il
noscere possemus quae vis et
perire dei fuochi?
causa cieret,
E perché la terra potrebbe a sua
quove modo [possent] offecto
volta spogliar di luce la luna
lumine obire
e tener nascosto il sole standogli
et neque opinantis tenebris
sopra essa stessa, mentre la luna
obducere terras,
nel suo mensile viaggio scivola per
cum quasi conivent et aperto
le rigide ombre del cono,
lumine rursum
e nello stesso tempo non potrebbe
omnia convisunt clara loca candida un altro corpo
luce,
passar sotto la luna o scivolare
nunc redeo ad mundi novitatem et sopra il disco del sole,
mollia terrae
così da interromperne i raggi e la
arva, novo fetu quid primum in
luce che esso spande?
luminis oras
E d'altronde, se la stessa luna
tollere et incertis crerint
rifulge di proprio splendore,
committere ventis.
perché non potrebbe illanguidirsi
Principio genus herbarum
in una determinata parte
viridemque nitorem
del mondo, mentre attraversa
terra dedit circum collis
luoghi nemici alla sua luce?
camposque per omnis,
Quanto al resto, poiché ho
florida fulserunt viridanti prata
spiegato come ogni cosa
colore,
possa avvenire per i ceruli spazi
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arboribusque datumst variis
exinde per auras
crescendi magnum inmissis
certamen habenis.
ut pluma atque pili primum
saetaeque creantur
quadripedum membris et corpore
pennipotentum,
sic nova tum tellus herbas
virgultaque primum
sustulit, inde loci mortalia saecla
creavit
multa modis multis varia ratione
coorta.
nam neque de caelo cecidisse
animalia possunt,
nec terrestria de salsis exisse
lacunis.
linquitur ut merito maternum
nomen adepta
terra sit, e terra quoniam sunt
cuncta creata.
multaque nunc etiam existunt
animalia terris
imbribus et calido solis concreta
vapore;
quo minus est mirum, si tum sunt
plura coorta
et maiora, nova tellure atque
aethere adulta.
principio genus alituum variaeque
volucres
ova relinquebant exclusae
tempore verno,
folliculos ut nunc teretis aestate
cicadae
lincunt sponte sua victum
del vasto mondo,
sì che potessimo conoscere quale
forza e causa produca
i vari corsi del sole e i movimenti
della luna,
e in che modo quegli astri,
oscurata la luce, ‹possano›
eclissarsi
e coprire di tenebre la terra che
non le aspettava,
quando pare che chiudano gli
occhi e poi, apertili di nuovo,
frugano ogni luogo che si imbianca
di chiara luce,
ora torno alla giovinezza del
mondo e ai molli campi della terra,
e dirò che cosa dapprima essi
s'indussero a levare, con nuova
procreazione, alle plaghe della
luce e affidare ai volubili venti.
Da principio la terra produsse la
famiglia delle erbe
e il verde splendore intorno ai colli
e per tutti i piani,
i floridi prati rifulsero di
verdeggiante colore,
e ai vari alberi in séguito fu dato
di gareggiare
grandemente nel crescere per
l'aria a briglie sciolte.
Come sulle membra dei
quadrupedi e sul corpo
dei pennuti spuntano dapprima
piume e peli e setole,
così allora la giovane terra generò
dapprima erbe e virgulti,
in séguito creò le stirpi mortali,
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vitamque petentes.
tum tibi terra dedit primum
mortalia saecla.
multus enim calor atque umor
superabat in arvis.
hoc ubi quaeque loci regio
opportuna dabatur,
crescebant uteri terram radicibus
apti;
quos ubi tempore maturo pate
fecerat aetas
infantum, fugiens umorem
aurasque petessens,
convertebat ibi natura foramina
terrae
et sucum venis cogebat fundere
apertis
consimilem lactis, sicut nunc
femina quaeque
cum peperit, dulci repletur lacte,
quod omnis
impetus in mammas convertitur
ille alimenti.
terra cibum pueris, vestem vapor,
herba cubile
praebebat multa et molli lanugine
abundans.
at novitas mundi nec frigora dura
ciebat
nec nimios aestus nec magnis
viribus auras.
omnia enim pariter crescunt et
robora sumunt.
Quare etiam atque etiam
maternum nomen adepta
terra tenet merito, quoniam genus
che nacquero in gran numero, in
molti modi, con varie forme.
Infatti non possono esser caduti
dal cielo gli animali,
né le specie terrestri essere uscite
dai salati abissi.
Resta che a ragione la terra ha
ricevuto il nome di madre
poiché dalla terra traggono origine
tutte le creature.
Ed anche ora molti animali
sorgono dalla terra,
generati dalle piogge e
dall'ardente calore del sole;
perciò non c'è da stupire se più
numerosi ne nacquero allora,
e più grandi, essendo cresciuti
quando terra e cielo eran giovani.
Da principio la specie degli alati e i
vari uccelli
lasciavano le uova, uscendo dai
gusci in primavera,
come ora d'estate le cicale
spontaneamente abbandonano
i tondeggianti involucri per cercare
il cibo e la vita.
Allora, vedi, la terra cominciò a
produrre le stirpi mortali.
Molto calore, infatti, e umidità
sovrabbondavano nei campi.
Perciò, ovunque si offriva idonea
disposizione di luogo,
crescevano uteri attaccati alla
terra con radici;
e quando, maturato il tempo, li
aveva aperti l'età
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ipsa creavit
humanum atque animal prope
certo tempore fudit
omne quod in magnis bacchatur
montibus passim,
aëriasque simul volucres
variantibus formis.
sed quia finem aliquam pariendi
debet habere,
destitit, ut mulier spatio defessa
vetusto.
mutat enim mundi naturam totius
aetas
ex alioque alius status excipere
omnia debet
nec manet ulla sui similis res:
omnia migrant,
omnia commutat natura et vertere
cogit.
namque aliud putrescit et aevo
debile languet,
porro aliud [suc]crescit et [e]
contemptibus exit.
sic igitur mundi naturam totius
aetas
mutat, et ex alio terram status
excipit alter,
quod potuit nequeat, possit quod
non tulit ante.
Multaque tum tellus etiam
portenta creare
conatast mira facie membrisque
coorta,
androgynem, interutras
necutrumque utrimque remotum,
orba pedum partim, manuum
viduata vicissim,
degli infanti, fuggendo l'umidità e
cercando l'aria,
lì la natura rivolgeva i canali della
terra
e li costringeva a versare dalle
vene aperte un succo
simile al latte, come ora ogni
femmina,
quando ha partorito, s'empie di
dolce latte, perché tutto
alle mammelle converge l'impeto
del suo alimento.
La terra offriva ai bimbi il cibo, il
calore una veste, l'erba
un giaciglio riboccante di molta e
morbida lanugine.
Ma la giovinezza del mondo non
produceva rigidi freddi,
né eccessivi calori, né venti di
forze possenti.
Tutte le cose infatti di pari passo
crescono e prendono vigore.
Perciò, ancora e ancora, la terra a
ragione ha ricevuto
e conserva il nome di madre,
poiché da sé essa creò
il genere umano e, quasi a un
momento stabilito, partorì
ogni animale che sui grandi monti
scorrazza selvaggio
e insieme gli uccelli dell'aria nelle
varie forme.
Ma, poiché il suo partorire deve
avere un termine,
essa cessò, come donna fiaccata
da vecchiezza.
Il tempo infatti muta la natura di
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muta sine ore etiam, sine voltu
caeca reperta,
vinctaque membrorum per totum
corpus adhaesu,
nec facere ut possent quicquam
nec cedere quoquam
nec vitare malum nec sumere
quod volet usus.
cetera de genere hoc monstra ac
portenta creabat,
ne quiquam, quoniam natura
absterruit auctum
nec potuere cupitum aetatis
tangere florem
nec reperire cibum nec iungi per
Veneris res.
multa videmus enim rebus
concurrere debere,
ut propagando possint procudere
saecla;
pabula primum ut sint, genitalia
deinde per artus
semina qua possint membris
manare remissis,
feminaque ut maribus coniungi
possit, habere,
mutua qui mutent inter se gaudia
uterque.
Multaque tum interiisse
animantum saecla necessest
nec potuisse propagando
procudere prolem.
nam quae cumque vides vesci
vitalibus auris,
aut dolus aut virtus aut denique
mobilitas est
tutto il mondo,
e in tutte le cose a uno stato deve
subentrarne un altro,
né alcunché resta simile a sé
stesso: tutte le cose passano,
tutte la natura le trasmuta e le
costringe a trasformarsi.
Giacché una imputridisce e
fiaccata dal tempo langue,
poi un'altra cresce ed esce ‹dalle›
condizioni di disprezzo.
Così dunque il tempo muta la
natura di tutto il mondo,
e nella terra a uno stato ne
subentra un altro, sicché non può
produrre ciò che poté, ma può ciò
che non poté in passato.
E anche molti portenti allora la
terra tentò di creare,
nati con facce e membra strane:
l'androgino, che sta tra i due
sessi, e non è né l'uno, né l'altro,
ma è lontano da ambedue;
alcune creature prive di piedi,
altre mancanti, a loro volta,
di mani, o anche mute senza la
bocca, o ch'erano cieche
senza gli occhi, o avviluppate in
tutto il corpo per l'aderire delle
membra,
sì che non potevano fare alcunché,
né muoversi verso alcun luogo,
né evitare un danno, né prendere
ciò che era necessario.
Ogni altro mostro e portento di
questa specie essa creava,
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ex ineunte aevo genus id tuta
ma invano, perché la natura ne
reservans.
impedì la crescita,
multaque sunt, nobis ex utilitate
né poterono attingere il bramato
sua quae
fiore dell'età,
commendata manent, tutelae
né trovare cibo, né congiungersi
tradita nostrae.
con gli atti di Venere.
principio genus acre leonum
Molte cose vediamo infatti che
saevaque saecla
devono concorrere negli esseri
tutatast virtus, volpes dolus et
perché possano generare e
fuga cervos.
propagare le stirpi;
at levisomna canum fido cum
bisogna anzitutto che abbiano di
pectore corda,
che nutrirsi, poi passaggi per cui
et genus omne quod est veterino i semi genitali possano scorrere
semine partum
attraverso i corpi ed emanare
lanigeraeque simul pecudes et
dalle membra rilassate; e, affinché
bucera saecla
la femmina possa congiungersi col
omnia sunt hominum tutelae
maschio,
tradita, Memmi;
devono avere ambedue ciò che
nam cupide fugere feras
occorre per scambiarsi vicendevoli
pacemque secuta
piaceri.
sunt et larga suo sine pabula parta E molte stirpi di esseri viventi
labore,
dovettero allora soccombere
quae damus utilitatis eorum
e non poterono generare e
praemia causa.
propagare la prole.
at quis nil horum tribuit natura,
Giacché tutte quelle che vedi
nec ipsa
respirare le aure vitali,
sponte sua possent ut vivere nec o l'astuzia o la forza o almeno la
dare nobis
velocità le protesse
utilitatem aliquam, quare
dal principio dell'esistenza e ne
pateremur eorum
conservò le generazioni.
praesidio nostro pasci genus
E molte ce ne sono che,
esseque tutum,
raccomandate a noi
scilicet haec aliis praedae lucroque dalla loro utilità, furono affidate
iacebant
alla nostra tutela.
indupedita suis fatalibus omnia
In primo luogo alla fiera progenie
vinclis,
dei leoni e alle stirpi selvagge
donec ad interitum genus id
fornì difesa la forza, alle volpi
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natura redegit.
Sed neque Centauri fuerunt nec
tempore in ullo
esse queunt duplici natura et
corpore bino
ex alienigenis membris compacta,
potestas
hinc illinc partis ut sat par esse
potissit.
id licet hinc quamvis hebeti
cognoscere corde.
principio circum tribus actis
impiger annis
floret equus, puer haut quaquam;
nam saepe etiam nunc
ubera mammarum in somnis
lactantia quaeret.
post ubi equum validae vires
aetate senecta
membraque deficiunt fugienti
languida vita,
tum demum puerili aevo florenta
iuventas
officit et molli vestit lanugine
malas;
ne forte ex homine et veterino
semine equorum
confieri credas Centauros posse
neque esse,
aut rapidis canibus succinctas
semimarinis
corporibus Scyllas et cetera de
genere horum,
inter se quorum discordia membra
videmus;
quae neque florescunt pariter nec
l'astuzia e ai cervi la fuga.
Ma i cani dal sonno leggero, che
nei petti hanno cuori fedeli,
e ogni progenie nata dal seme
delle bestie da soma
e insieme le greggi lanose e le
cornute stirpi dei buoi,
tutti furono affidati alla tutela degli
uomini, o Memmio.
Ardentemente infatti fuggirono le
fiere e cercarono pace
e copiose pasture ottenute senza
loro fatica,
cose che noi diamo loro in
ricompensa della loro utilità.
Ma quelli cui la natura non diede
nulla di ciò,
né di vivere da sé stessi
liberamente, né di rendere a noi
qualche servigio per cui
consentissimo alla loro progenie
di nutrirsi e di vivere sicura sotto
la nostra protezione,
questi certo soggiacevano ad altri
come preda e bottino,
inceppati come erano tutti dalle
loro catene fatali,
finché la natura ne portò la
progenie ad estinzione.
Ma non ci furono Centauri, né in
alcun tempo
possono esistere esseri di duplice
natura e di corpo doppio,
messi insieme con membra
eterogenee, così che le facoltà di
creature
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robora sumunt
corporibus neque proiciunt aetate
senecta
nec simili Venere ardescunt nec
moribus unis
conveniunt neque sunt eadem
iucunda per artus.
quippe videre licet pinguescere
saepe cicuta
barbigeras pecudes, homini quae
est acre venenum.
flamma quidem [vero] cum
corpora fulva leonum
tam soleat torrere atque urere
quam genus omne
visceris in terris quod cumque et
sanguinis extet,
qui fieri potuit, triplici cum corpore
ut una,
prima leo, postrema draco, media
ipsa, Chimaera
ore foras acrem flaret de corpore
flammam?
quare etiam tellure nova caeloque
recenti
talia qui fingit potuisse animalia
gigni,
nixus in hoc uno novitatis nomine
inani,
multa licet simili ratione effutiat
ore,
aurea tum dicat per terras flumina
vulgo
fluxisse et gemmis florere arbusta
suësse
aut hominem tanto membrorum
esse impete natum,
nate da questa specie e da quella
possano corrispondere
abbastanza.
Ciò si può conoscere di qui, anche
con mente ottusa.
Anzitutto, nel giro di tre anni il
focoso cavallo
è nel suo fiore, ma il bambino per
niente; ché spesso ancora
cercherà nel sonno i capezzoli del
seno materno colmi di latte.
Poi, quando al cavallo per
vecchiaia vengon meno le forze
poderose e languiscono le membra
per il fuggire della vita,
solo allora il fanciullo raggiunge il
fiore dell'età e comincia
per lui la gioventù, che gli veste di
morbida lanugine le guance.
Non ti avvenga, dunque, di
credere che dall'uomo e dal seme
di bestie da soma, dei cavalli,
possan formarsi Centauri,
ed esistere, o Scille coi corpi
semimarini, cinte di rabbiosi cani,
e tutti gli altri esseri di questa
fatta,
le cui membra vediamo
discordanti fra loro;
che nello stesso tempo né
fioriscono, né prendono il vigore
del corpo, né lo perdono a causa
della vecchiaia,
né di simile amore ardono, né
armonizzano per abitudini
uniformi, né identiche sono le cose
che giovano alle loro membra.
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trans maria alta pedum nisus ut
ponere posset
et manibus totum circum se
vertere caelum.
nam quod multa fuere in terris
semina rerum,
tempore quo primum tellus
animalia fudit,
nil tamen est signi mixtas potuisse
creari
inter se pecudes compactaque
membra animantum,
propterea quia quae de terris nunc
quoque abundant
herbarum genera ac fruges
arbustaque laeta
non tamen inter se possunt
complexa creari,
sed res quaeque suo ritu procedit
et omnes
foedere naturae certo discrimina
servant.
Et genus humanum multo fuit
illud in arvis
durius, ut decuit, tellus quod dura
creasset,
et maioribus et solidis magis
ossibus intus
fundatum, validis aptum per
viscera nervis,
nec facile ex aestu nec frigore
quod caperetur
nec novitate cibi nec labi corporis
ulla.
multaque per caelum solis
volventia lustra
Spesso infatti si può vedere che le
barbute capre ingrassano
con la cicuta, mentre questa per
l'uomo è violento veleno.
Poiché, ‹d'altra parte,› la fiamma
suole cuocere e bruciare
i corpi fulvi dei leoni, tanto quanto
qualunque altra specie
di carne e sangue che esiste sulla
terra,
come sarebbe potuto avvenire che
un unico essere con triplice corpo,
nella parte anteriore leone, nella
posteriore drago, nella mediana
lei,
la Chimera, spirasse per la bocca
una fiamma violenta uscita dal
corpo?
Così, dunque, chi immagina che
tali animali potessero nascere
quando la terra era giovane e il
cielo da poco formato,
fondandosi soltanto su questo
vano nome di gioventù,
molte cose similmente può dire a
vanvera;
può dire che allora fiumi d'oro
scorrevano sulla terra ovunque
e che gli alberi comunemente
fiorivano di pietre preziose
o che nacque un uomo con
membra tanto gigantesche
da poter con un passo poggiare il
piede di là da mari profondi
e con le mani rotare intorno a sé
tutto il cielo.
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volgivago vitam tractabant more Ché, se la terra contenne molti
ferarum.
semi di cose
nec robustus erat curvi moderator nel tempo in cui il suolo cominciò
aratri
a produrre gli animali,
quisquam, nec scibat ferro molirier questo tuttavia non è segno che si
arva
siano potute creare
nec nova defodere in terram
bestie miste fra loro e membra
virgulta neque altis
accozzate di esseri viventi,
arboribus veteres decidere falcibus poiché le specie delle erbe e le
ramos.
messi e gli alberi rigogliosi,
quod sol atque imbres dederant, che tuttora pullulano in
quod terra crearat
abbondanza dalla terra,
sponte sua, satis id placabat
non posson tuttavia nascere
pectora donum.
intrecciati fra loro,
glandiferas inter curabant corpora ma ognuna di queste cose procede
quercus
secondo un proprio modo
plerumque; et quae nunc hiberno e tutte per salda legge di natura
tempore cernis
conservano le differenze.
arbita puniceo fieri matura colore, Ma la stirpe umana che visse
plurima tum tellus etiam maiora
allora nei campi fu molto
ferebat.
più dura, com'era naturale, ché la
multaque praeterea novitas tum
dura terra l'aveva creata;
florida mundi
e nell'interno del corpo fu piantata
pabula dura tulit, miseris
su ossa più grandi
mortalibus ampla.
e più salde, connessa attraverso le
at sedare sitim fluvii fontesque
carni da nervi poderosi,
vocabant,
tale che non poteva facilmente
ut nunc montibus e magnis
esser vinta dal caldo, né dal
decursus aquai
freddo,
claricitat late sitientia saecla
né da cibo inconsueto, né da alcun
ferarum.
difetto del corpo.
denique nota vagis silvestria
E, durante il corso di molti lustri
templa tenebant
del sole per il cielo,
nympharum, quibus e scibant
conducevano la vita a guisa di
umore fluenta
fiere vagabonde.
lubrica proluvie larga lavere umida Non c'era nessuno che robusto
saxa,
reggesse l'aratro ricurvo,
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umida saxa, super viridi stillantia nessuno sapeva lavorare i campi
musco,
col ferro,
et partim plano scatere atque
né piantare nella terra i virgulti
erumpere campo.
novelli, né dagli alti
necdum res igni scibant tractare
alberi tagliar via coi falcetti i rami
neque uti
vecchi.
pellibus et spoliis corpus vestire
Ciò che donavano il sole e le
ferarum,
piogge, ciò che produceva
sed nemora atque cavos montis
di per sé la terra, era un dono
silvasque colebant
bastevole a placare quei petti.
et frutices inter condebant
Tra le querce cariche di ghiande
squalida membra
per lo più ristoravano i corpi;
verbera ventorum vitare imbrisque e le corbezzole, che ora nella
coacti.
stagione invernale vedi
nec commune bonum poterant
farsi mature, di colore purpureo,
spectare neque ullis
allora la terra
moribus inter se scibant nec
le produceva in grandissimo
legibus uti.
numero e anche più grosse.
quod cuique obtulerat praedae
E la fiorente gioventù del mondo
fortuna, ferebat
produsse allora
sponte sua sibi quisque valere et molti altri rudi alimenti,
vivere doctus.
abbondanza per i miseri mortali.
et Venus in silvis iungebat corpora Ma a sedare la sete li chiamavano
amantum;
i fiumi e le fonti,
conciliabat enim vel mutua
come ora il torrente, che precipita
quamque cupido
giù dai grandi monti,
vel violenta viri vis atque inpensa chiama per ampio spazio col
libido
chiaro suono sitibonde famiglie di
vel pretium, glandes atque arbita fiere.
vel pira lecta.
Occupavano infine i silvestri
et manuum mira freti virtute
recessi delle ninfe, scoperti
pedumque
nel loro vagare, dai quali
consectabantur silvestria saecla
sapevano che rivoli d'acqua
ferarum
fluivano con larga corrente
missilibus saxis et magno pondere lavando le umide rocce,
clavae.
le umide rocce, stillanti sopra il
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multaque vincebant, vitabant
pauca latebris;
saetigerisque pares subus
silvestria membra
nuda dabant terrae nocturno
tempore capti,
circum se foliis ac frondibus
involventes.
nec plangore diem magno
solemque per agros
quaerebant pavidi palantes noctis
in umbris,
sed taciti respectabant somnoque
sepulti,
dum rosea face sol inferret lumina
caelo.
a parvis quod enim consuerant
cernere semper
alterno tenebras et lucem tempore
gigni,
non erat ut fieri posset mirarier
umquam
nec diffidere, ne terras aeterna
teneret
nox in perpetuum detracto lumine
solis.
sed magis illud erat curae, quod
saecla ferarum
infestam miseris faciebant saepe
quietem.
eiectique domo fugiebant saxea
tecta
spumigeri suis adventu validique
leonis
atque intempesta cedebant nocte
paventes
hospitibus saevis instrata cubilia
verde muschio,
mentre altri scaturivano ed
erompevano per la piana
campagna.
E non sapevano ancora trattare le
cose col fuoco,
né servirsi di pelli e vestire il corpo
con spoglie di fiere,
ma abitavano boschi e caverne
montane e selve
e nascondevano le scabre membra
tra le macchie,
quando eran costretti a evitare
sferzate di venti e piogge.
Né erano capaci di mirare al bene
comune,
né sapevano valersi di costumi e
di leggi nei loro rapporti.
Ciò che a ciascuno la fortuna
aveva offerto come preda,
ciascuno
se lo prendeva, avvezzo a usare la
forza e a vivere da sé, per sé
stesso.
E Venere nelle selve congiungeva i
corpi degli amanti;
conquistava infatti la donna o un
reciproco desiderio
o la violenta forza dell'uomo e la
sua brama intensa
o una mercede: ghiande e
corbezzole o pere scelte.
E, confidando nella meravigliosa
forza delle mani e dei piedi,
davano la caccia alle silvestri stirpi
delle fiere
con lancio di sassi e con clave
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fronde.
Nec nimio tum plus quam nunc
mortalia saecla
dulcia linquebant lamentis lumina
vitae.
unus enim tum quisque magis
deprensus eorum
pabula viva feris praebebat,
dentibus haustus,
et nemora ac montis gemitu
silvasque replebat
viva videns vivo sepeliri viscera
busto.
at quos effugium servarat corpore
adeso,
posterius tremulas super ulcera
tetra tenentes
palmas horriferis accibant vocibus
Orcum,
donique eos vita privarant
vermina saeva
expertis opis, ignaros quid volnera
vellent.
at non multa virum sub signis
milia ducta
una dies dabat exitio nec turbida
ponti
aequora lidebant navis ad saxa
virosque.
nam temere in cassum frustra
mare saepe coortum
saevibat leviterque minas ponebat
inanis,
nec poterat quemquam placidi
pellacia ponti
subdola pellicere in fraudem
pesanti;
e molte ne vincevano, poche ne
evitavano nascondendosi;
e, come setolosi cinghiali,
abbandonavano sulla terra
nude le membra silvestri, quando
li sorprendeva la notte,
avvolgendosi, tutt'intorno, di foglie
e di fronde.
Né con grande lamento cercavano
il giorno e il sole
per i campi vagando paurosi tra le
ombre della notte,
ma taciti e sepolti nel sonno
aspettavano
che con la rosea fiaccola il sole
portasse la luce nel cielo.
E infatti, poiché dalla fanciullezza
s'erano abituati a vedere
sempre le tenebre e la luce
prodursi in tempi alterni,
non poteva avvenire mai che li
colpisse meraviglia
o il timore che una notte senza
fine occupasse la terra
e il lume del sole fosse stato rapito
per sempre.
Ma più angoscioso era questo, che
le stirpi ferine
spesso a quei miseri facevano
tribolato il riposo.
E, scacciati dalla loro dimora,
fuggivano i rocciosi ripari
all'arrivo d'un cinghiale
schiumante o d'un possente leone,
e a notte fonda atterriti cedevano
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ridentibus undis.
improba navigii ratio tum caeca
iacebat.
tum penuria deinde cibi languentia
leto
membra dabat, contra nunc rerum
copia mersat.
illi inprudentes ipsi sibi saepe
venenum
vergebant, nunc dant [aliis]
sollertius ipsi.
Inde casas postquam ac pellis
ignemque pararunt
et mulier coniuncta viro concessit
in unum
***
cognita sunt, prolemque ex se
videre creatam,
tum genus humanum primum
mollescere coepit.
ignis enim curavit, ut alsia corpora
frigus
non ita iam possent caeli sub
tegmine ferre,
et Venus inminuit viris puerique
parentum
blanditiis facile ingenium fregere
superbum.
tunc et amicitiem coeperunt
iungere aventes
finitimi inter se nec laedere nec
violari,
et pueros commendarunt
muliebreque saeclum,
vocibus et gestu cum balbe
significarent
imbecillorum esse aequum
agli ospiti feroci i covili coperti di
fronde.
Né allora molto più che ora le
stirpi mortali
lasciavano con lamenti la dolce
luce della vita.
Certo, allora più spesso qualcuno
di loro, sorpreso,
offriva pasto vivente alle fiere,
dilaniato dalle zanne,
e riempiva di lamenti boschi e
monti e selve,
vedendo le proprie vive carni
seppellite in un vivo sepolcro.
E quelli che si erano salvati
fuggendo col corpo lacerato,
poi, tenendo le mani tremanti
sopra le orribili piaghe,
invocavano con grida spaventose
Orco,
finché spasimi crudeli li privavano
della vita,
senza aiuto, ignari delle cure che
le ferite reclamavano.
Tuttavia molte migliaia di uomini
adunate sotto le insegne
non dava a morte un solo giorno,
né le procellose acque
del mare gettavano navi e uomini
a infrangersi contro gli scogli;
ma alla cieca, a vuoto, invano il
mare spesso si sollevava
imperversando, e facilmente
deponeva le inutili minacce,
né la lusinga della bonaccia poteva
subdola
trarre in inganno qualcuno col
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misererier omnis.
sorridere delle onde.
nec tamen omnimodis poterat
La rovinosa arte del navigare
concordia gigni,
giaceva allora ignorata.
sed bona magnaque pars servabat Allora la penuria di cibo dava alla
foedera caste;
morte le membra
aut genus humanum iam tum
languenti, ora al contrario le
foret omne peremptum
sommerge l'abbondanza.
nec potuisset adhuc perducere
Per ignoranza gli uomini d'allora
saecla propago.
spesso versavano il veleno
At varios linguae sonitus natura a sé stessi, quelli d'ora più
subegit
scaltramente lo danno essi ‹agli
mittere et utilitas expressit
altri.›
nomina rerum,
Poi, quando si provvidero di
non alia longe ratione atque ipsa capanne e di pelli e di fuoco,
videtur
e la donna congiunta con l'uomo
protrahere ad gestum pueros
passò ad un solo
infantia linguae,
*
cum facit ut digito quae sint
furono conosciuti, ed essi videro la
praesentia monstrent.
prole nata da loro,
sentit enim vim quisque suam
allora primamente il genere
quod possit abuti.
umano cominciò a dirozzarsi.
cornua nata prius vitulo quam
Il fuoco infatti fece sì che i corpi
frontibus extent,
freddolosi non potessero più
illis iratus petit atque infestus
sopportare bene il freddo sotto la
inurget.
volta del cielo,
at catuli pantherarum scymnique e Venere diminuì le forze, e i
leonum
bambini con le carezze
unguibus ac pedibus iam tum
facilmente vinsero l'indole fiera dei
morsuque repugnant,
genitori.
vix etiam cum sunt dentes
Allora cominciarono anche a
unguesque creati.
stringere amicizia fra loro
alituum porro genus alis omne
i vicini, desiderando non nuocere e
videmus
non subire violenza,
fidere et a pennis tremulum petere e si affidarono l'un l'altro i fanciulli
auxiliatum.
e le donne,
proinde putare aliquem tum
con balbettanti voci e col gesto
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nomina distribuisse
rebus et inde homines didicisse
vocabula prima,
desiperest. nam cur hic posset
cuncta notare
vocibus et varios sonitus emittere
linguae,
tempore eodem alii facere id non
quisse putentur?
praeterea si non alii quoque
vocibus usi
inter se fuerant, unde insita
notities est
utilitatis et unde data est huic
prima potestas,
quid vellet facere ut sciret
animoque videret?
cogere item pluris unus victosque
domare
non poterat, rerum ut perdiscere
nomina vellent.
nec ratione docere ulla
suadereque surdis,
quid sit opus facto, facilest; neque
enim paterentur
nec ratione ulla sibi ferrent
amplius auris
vocis inauditos sonitus obtundere
frustra.
postremo quid in hac mirabile
tantoperest re,
si genus humanum, cui vox et
lingua vigeret,
pro vario sensu varia res voce
notaret?
cum pecudes mutae, cum denique
saecla ferarum
significando
che era giusto che tutti avessero
pietà per i deboli.
Né tuttavia poteva la concordia
nascere sempre, ma una buona,
una gran parte degli uomini
osservava i patti fedelmente;
altrimenti il genere umano già
allora sarebbe perito tutto,
né il suo propagarsi avrebbe
potuto far durare fino ad ora le
stirpi.
I vari suoni della lingua, poi, fu la
natura che costrinse
ad emetterli, e l'utilità foggiò i
nomi delle cose,
in modo non molto diverso da
quello in cui si vede che la stessa
incapacità della lingua a esprimere
parole induce i bimbi a gestire,
quando fa che mostrino a dito le
cose che sono presenti.
Difatti ognuno sente per qual uso
possa valersi delle proprie facoltà.
Il vitello, prima che le corna gli
siano spuntate e sporgano
dalla fronte, con esse irato assale
e ostile incalza.
Dal canto loro, i cuccioli delle
pantere e i leoncini
si difendono con unghie e zampe e
morsi già quando
denti e unghie non sono ancora
ben formati.
Vediamo poi ogni specie di uccelli
affidarsi alle ali
e chiedere alle penne un aiuto che
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dissimilis soleant voces variasque
ciere,
cum metus aut dolor est et cum
iam gaudia gliscunt.
quippe [et]enim licet id rebus
cognoscere apertis.
inritata canum cum primum
magna Molossum
mollia ricta fremunt duros
nudantia dentes,
longe alio sonitu rabies [re]stricta
minatur,
et cum iam latrant et vocibus
omnia complent;
at catulos blande cum lingua
lambere temptant
aut ubi eos lactant, pedibus
morsuque potentes
suspensis teneros imitantur
dentibus haustus,
longe alio pacto gannitu vocis
adulant,
et cum deserti baubantur in
aedibus, aut cum
plorantis fugiunt summisso
corpore plagas.
denique non hinnitus item differre
videtur,
inter equas ubi equus florenti
aetate iuvencus
pinnigeri saevit calcaribus ictus
Amoris
et fremitum patulis sub naribus
edit ad arma,
et cum sic alias concussis artibus
hinnit?
ancora è tremolante.
Perciò pensare che qualcuno allora
abbia assegnato i nomi
alle cose e che da lui gli uomini
abbiano imparato i primi vocaboli,
è follia. Infatti, perché colui
avrebbe potuto designare con
parole
ogni cosa ed emettere i vari suoni
della lingua, ma si dovrebbe
credere che nello stesso tempo
altri non abbiano potuto farlo?
Inoltre, se delle parole non
avevano fatto uso fra loro
anche altri, donde fu impressa in
quello la nozione
della loro utilità e donde fu data a
lui per primo la facoltà
di sapere e di vedere nella mente
che cosa volesse fare?
Parimenti, non poteva uno solo
costringer molti e vincerli
e domarli, sì che acconsentissero a
imparare i nomi delle cose.
Né in alcun modo è facile
insegnare a sordi e persuaderli
di ciò che bisogna fare; difatti non
lo sopporterebbero,
né in alcun modo tollererebbero
che inauditi suoni di voce
più volte assordassero le loro
orecchie invano.
Infine, che c'è di tanto
sorprendente in questo,
se il genere umano, che aveva
voce e lingua vigorose,
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postremo genus alituum variaeque
volucres,
accipitres atque ossifragae
mergique marinis
fluctibus in salso victum vitamque
petentes,
longe alias alio iaciunt in tempore
voces,
et quom de victu certant
praedaque repugnant.
et partim mutant cum
tempestatibus una
raucisonos cantus, cornicum ut
saecla vetusta
corvorumque gregis ubi aquam
dicuntur et imbris
poscere et inter dum ventos
aurasque vocare.
ergo si varii sensus animalia
cogunt,
muta tamen cum sint, varias
emittere voces,
quanto mortalis magis aequumst
tum potuisse
dissimilis alia atque alia res voce
notare!
Illud in his rebus tacitus ne
forte requiras,
fulmen detulit in terram
mortalibus ignem
primitus, inde omnis flammarum
diditur ardor;
multa videmus enim caelestibus
insita flammis
fulgere, cum caeli donavit plaga
vaporis.
et ramosa tamen cum ventis pulsa
secondo le diverse impressioni
designava le cose con suoni
diversi?
Quando le greggi prive di parola,
quando perfino le stirpi
delle fiere son solite formare voci
dissimili e varie,
secondo che sentano timore o
dolore o cresca in esse la gioia.
E infatti è possibile conoscer
questo in base a fatti palesi.
Quando le larghe morbide labbra
dei cani molossi
incominciano a fremere irritate,
scoprendo i duri denti,
tirate indietro per la rabbia,
minacciano con suono molto
diverso
da quando poi latrano ed empiono
tutti i luoghi delle loro voci.
Ma, quando prendono a lambire
con la lingua carezzevolmente i
cuccioli
o li sballottano con le zampe e,
minacciando di morderli,
senza stringere i denti fingono di
volerli divorare teneramente,
li vezzeggiano col mugolìo in modo
molto diverso
da quando lasciati soli in casa
abbaiano, o quando
uggiolando scansano col corpo
schiacciato a terra le percosse.
E ancora, non si vede che
parimenti differisce il nitrito,
quando un polledro nel fiore
dell'età infuria fra le cavalle,
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vacillans
aestuat in ramos incumbens
arboris arbor,
exprimitur validis extritus viribus
ignis,
emicat inter dum flammai fervidus
ardor,
mutua dum inter se rami
stirpesque teruntur.
quorum utrumque dedisse potest
mortalibus ignem.
inde cibum quoquere ac flammae
mollire vapore
sol docuit, quoniam mitescere
multa videbant
verberibus radiorum atque aestu
victa per agros.
Inque dies magis hi victum
vitamque priorem
commutare novis monstrabant
rebus et igni,
ingenio qui praestabant et corde
vigebant.
condere coeperunt urbis arcemque
locare
praesidium reges ipsi sibi
perfugiumque,
et pecudes et agros divisere atque
dedere
pro facie cuiusque et viribus
ingenioque;
nam facies multum valuit viresque
vigebant.
posterius res inventast aurumque
repertum,
quod facile et validis et pulchris
colpito dagli sproni di amore alato,
e con le froge dilatate freme
movendo all'assalto,
e quando, in altri casi, nitrisce con
membra tremanti?
Infine, le specie degli alati e i vari
uccelli,
gli sparvieri e le aquile marine e
gli smerghi
che cercano il nutrimento e la vita
nei salati flutti del mare,
in un tempo diverso gettano gridi
di gran lunga diversi
da quando contendono per il cibo
e le prede fanno resistenza.
E alcuni mutano col mutare del
tempo i rauchi canti,
come le longeve stirpi delle
cornacchie e le frotte dei corvi,
di cui si dice che a volte invochino
l'acqua e la pioggia,
altre volte chiamino i venti e le
brezze.
Dunque, se sensi diversi
costringono gli animali,
benché siano privi di parola, a
emettere voci diverse,
quanto è più naturale che gli
uomini allora abbian potuto
designare cose dissimili con suoni
differenti fra loro!
Perché a tale proposito non ti
ponga per caso, tacito, questa
domanda, fu il fulmine che portò
giù in terra ai mortali il fuoco
dapprincipio; di là si diffonde ogni
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dempsit honorem;
ardore di fiamme.
divitioris enim sectam plerumque Molte cose infatti vediamo
secuntur
accendersi penetrate dai semi
quam lubet et fortes et pulchro
delle fiamme
corpore creti.
celesti, quando un colpo dal cielo
quod siquis vera vitam ratione
ha dato ad esse il suo calore.
gubernet,
E d'altronde, quando un albero
divitiae grandes homini sunt
ramoso, battuto dai venti,
vivere parce
vacillando fluttua e si getta sui
aequo animo; neque enim est
rami di un altro albero,
umquam penuria parvi.
si sprigiona il fuoco, cavato fuori
at claros homines voluerunt se
dal possente attrito,
atque potentes,
prorompe talora il fervido ardore
ut fundamento stabili fortuna
della fiamma,
maneret
mentre tra loro i rami e i tronchi si
et placidam possent opulenti
sfregano a vicenda.
degere vitam,
E l'una e l'altra di queste cause
ne quiquam, quoniam ad summum può aver dato ai mortali il fuoco.
succedere honorem
Poi il sole insegnò loro a cuocere il
certantes iter infestum fecere viai, cibo e ad ammollirlo
et tamen e summo, quasi fulmen, col calore della fiamma, poiché
deicit ictos
vedevano molte cose maturare
invidia inter dum contemptim in
vinte dalle sferzate dei raggi e
Tartara taetra;
dalla calura per i campi.
invidia quoniam ceu fulmine
E di giorno in giorno sempre più a
summa vaporant
mutare il cibo e la vita
plerumque et quae sunt aliis
anteriore con nuove scoperte e col
magis edita cumque;
fuoco insegnavano loro
ut satius multo iam sit parere
quelli che eccellevano per ingegno
quietum
e vigore d'animo.
quam regere imperio res velle et I re incominciarono a fondare città
regna tenere.
e a costruire rocche,
proinde sine in cassum defessi
per trovarvi essi stessi difesa e
sanguine sudent,
rifugio,
angustum per iter luctantes
e divisero il bestiame e i campi, e
ambitionis;
li donarono
quandoquidem sapiunt alieno ex
secondo la bellezza e la forza e
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ore petuntque
res ex auditis potius quam
sensibus ipsis,
nec magis id nunc est neque erit
mox quam fuit ante.
Ergo regibus occisis subversa
iacebat
pristina maiestas soliorum et
sceptra superba,
et capitis summi praeclarum
insigne cruentum
sub pedibus vulgi magnum
lugebat honorem;
nam cupide conculcatur nimis ante
metutum.
res itaque ad summam faecem
turbasque redibat,
imperium sibi cum ac summatum
quisque petebat.
inde magistratum partim docuere
creare
iuraque constituere, ut vellent
legibus uti.
nam genus humanum, defessum
vi colere aevom,
ex inimicitiis languebat; quo magis
ipsum
sponte sua cecidit sub leges
artaque iura.
acrius ex ira quod enim se quisque
parabat
ulcisci quam nunc concessumst
legibus aequis,
hanc ob rem est homines
pertaesum vi colere aevom.
inde metus maculat poenarum
l'ingegno di ciascuno;
perché la bellezza ebbe molto
valore e la forza gran pregio.
Più tardi fu scoperta la ricchezza e
fu trovato l'oro,
che facilmente tolse onore sia ai
belli che ai forti;
al séguito del più ricco difatti gli
uomini per lo più s'accodano,
quantunque siano e forti e dotati
di bei corpi.
Ma, se si vuol governare la vita
secondo la verità,
ricchezza grande è per l'uomo il
vivere parcamente
con animo sereno; giacché del
poco non c'è mai penuria.
Ma gli uomini vollero essere illustri
e potenti,
perché su fondamento stabile
perdurasse la loro fortuna
e opulenti potessero condurre una
placida vita;
invano, perché, lottando per
ascendere al vertice degli onori,
si fecero pieno di insidie il
cammino,
e, quand'anche vi giungano, dal
vertice l'invidia, come un fulmine,
colpendoli talvolta li precipita con
disprezzo nel Tartaro tetro;
perché per l'invidia, come per il
fulmine, per lo più ardono
i vertici e tutte le cose che si
elevano al disopra di altre;
sì che è molto meglio obbedire
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praemia vitae.
circumretit enim vis atque iniuria
quemque
atque unde exortast, ad eum
plerumque revertit,
nec facilest placidam ac pacatam
degere vitam
qui violat factis communia foedera
pacis.
etsi fallit enim divom genus
humanumque,
perpetuo tamen id fore clam
diffidere debet;
quippe ubi se multi per somnia
saepe loquentes
aut morbo delirantes protraxe
ferantur
et celata [mala] in medium et
peccata dedisse.
Nunc quae causa deum per
magnas numina gentis
pervulgarit et ararum compleverit
urbis
suscipiendaque curarit sollemnia
sacra,
quae nunc in magnis florent sacra
rebus locisque,
unde etiam nunc est mortalibus
insitus horror,
qui delubra deum nova toto
suscitat orbi
terrarum et festis cogit celebrare
diebus,
non ita difficilest rationem reddere
verbis.
quippe etenim iam tum divom
mortalia saecla
quieto
che aspirare al potere supremo e
al possesso di regni.
Lascia dunque che invano spossati
sudino sangue,
lottando per l'angusto cammino
dell'ambizione;
giacché il loro sapere dipende
dalla bocca altrui, e mirano alle
cose
seguendo ciò che hanno udito dire
piuttosto che i propri sensi,
né ciò è ora, né sarà in avvenire
più di quanto fu per l'innanzi.
Dunque, uccisi i re, giacevano
abbattuti
l'antica maestà dei troni e gli
scettri superbi;
e lo splendido ornamento della
testa regale, insanguinato,
sotto i piedi del volgo piangeva il
grande onore;
con ardore infatti si calpesta ciò
che troppo fu prima temuto.
Così le cose eran ridotte a estrema
confusione e turbamento,
mentre ognuno cercava per sé il
potere e la sovranità.
Poi una parte di essi insegnò a
creare magistrati
e fondò il diritto, perché volessero
osservare le leggi.
Infatti il genere umano, spossato
dal vivere una vita di violenza,
languiva per le inimicizie; perciò
tanto più spontaneamente
si sottomise da sé stesso alle leggi
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egregias animo facies vigilante
videbant
et magis in somnis mirando
corporis auctu.
his igitur sensum tribuebant
propterea quod
membra movere videbantur
vocesque superbas
mittere pro facie praeclara et
viribus amplis.
aeternamque dabant vitam, quia
semper eorum
subpeditabatur facies et forma
manebat,
et tamen omnino quod tantis
viribus auctos
non temere ulla vi convinci posse
putabant.
fortunisque ideo longe praestare
putabant,
quod mortis timor haut
quemquam vexaret eorum,
et simul in somnis quia multa et
mira videbant
efficere et nullum capere ipsos
inde laborem.
praeterea caeli rationes ordine
certo
et varia annorum cernebant
tempora verti
nec poterant quibus id fieret
cognoscere causis.
ergo perfugium sibi habebant
omnia divis
tradere et illorum nutu facere
omnia flecti.
e alla stretta giustizia.
Poiché ognuno, difatti, nell'ira
s'apprestava a vendetta
più crudele di quella che ora
concedono le giuste leggi,
per questo agli uomini venne a
tedio il vivere una vita di violenza.
Da allora il timore delle pene
guasta i doni della vita.
Giacché violenza e ingiustizia
irretiscono ognuno
e per lo più ricadono su colui da
cui nacquero,
né trascorrere una vita placida e
pacata è facile
per chi vìola coi propri atti i
comuni patti di pace.
Infatti, benché sfugga alla stirpe
divina e all'umana,
tuttavia non può esser sicuro che
il misfatto resterà sempre occulto;
e invero si dice che molti, spesso
parlando nel sonno
o delirando per malattia, si
tradirono
e manifestarono colpe ‹a lungo›
celate.
Ora, quale causa abbia diffuso per
le grandi nazioni
la potenza degli dèi e abbia
riempito le città di altari
e abbia fatto istituire solenni riti,
quei riti
che oggi fioriscono in grandi
occasioni e in grandi sedi,
donde ancor oggi è piantato
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in caeloque deum sedes et templa
locarunt,
per caelum volvi quia nox et luna
videtur,
luna dies et nox et noctis signa
severa
noctivagaeque faces caeli
flammaeque volantes,
nubila sol imbres nix venti fulmina
grando
et rapidi fremitus et murmura
magna minarum.
O genus infelix humanum, talia
divis
cum tribuit facta atque iras
adiunxit acerbas!
quantos tum gemitus ipsi sibi,
quantaque nobis
volnera, quas lacrimas peperere
minoribus nostris!
nec pietas ullast velatum saepe
videri
vertier ad lapidem atque omnis
accedere ad aras
nec procumbere humi prostratum
et pandere palmas
ante deum delubra nec aras
sanguine multo
spargere quadrupedum nec votis
nectere vota,
sed mage pacata posse omnia
mente tueri.
nam cum suspicimus magni
caelestia mundi
templa super stellisque micantibus
aethera fixum,
et venit in mentem solis lunaeque
dentro i mortali l'orrore
che innalza nuovi templi di dèi su
tutta la terra
e costringe a frequentarli nei
giorni festivi,
non è tanto difficile spiegare con
parole.
E difatti già allora le stirpi dei
mortali vedevano
nelle menti durante la veglia
eccellenti immagini di dèi,
e queste in sogno apparivano di
ancor più mirabile corporatura.
A queste, dunque, attribuivano il
senso perché pareva
che movessero le membra e
proferissero parole superbe,
confacenti allo splendido aspetto e
alle forze imponenti.
E attribuivano loro vita eterna,
perché sempre la loro immagine
si rinnovava e la forma rimaneva
inalterata
e, d'altronde, soprattutto perché
pensavano che esseri dotati di
forze
così grandi non potessero
facilmente esser vinti da alcuna
forza.
E pensavano che per sorte molto
eccellessero,
perché il timore della morte non
ne tormentava alcuno,
e insieme perché in sogno li
vedevano compiere molte
e mirabili azioni senza risentirne
essi stessi alcuna fatica.
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viarum,
tunc aliis oppressa malis in
pectora cura
illa quoque expergefactum caput
erigere infit,
ne quae forte deum nobis inmensa
potestas
sit, vario motu quae candida
sidera verset;
temptat enim dubiam mentem
rationis egestas,
ecquae nam fuerit mundi genitalis
origo,
et simul ecquae sit finis, quoad
moenia mundi
et taciti motus hunc possint ferre
laborem,
an divinitus aeterna donata salute
perpetuo possint aevi labentia
tractu
inmensi validas aevi contemnere
viris.
praeterea cui non animus
formidine divum
contrahitur, cui non correpunt
membra pavore,
fulminis horribili cum plaga torrida
tellus
contremit et magnum percurrunt
murmura caelum?
non populi gentesque tremunt,
regesque superbi
corripiunt divum percussi membra
timore,
ne quod ob admissum foede
dictumve superbe
Scorgevano inoltre i fenomeni
celesti e le varie stagioni
dell'anno rotare secondo un ordine
costante,
né potevano conoscere per quali
cause questo avvenisse.
Dunque avevano per sé via
d'uscita l'assegnare ogni cosa
agli dèi e supporre che al cenno di
quelli ogni cosa obbedisse.
E nel cielo collocarono le sedi e le
regioni degli dèi,
perché nel cielo si vedono girare la
notte e la luna,
la luna, il giorno e la notte, e le
severe stelle della notte,
e le faci del cielo che vagano di
notte, e le fiamme volanti,
le nubi, il sole, le piogge, la neve, i
venti, i fulmini, la grandine,
e i rapidi fremiti e i grandi
minacciosi fragori.
O infelice genere umano, quando
agli dèi
attribuì tali azioni ed aggiunse ire
acerbe!
Che gemiti allora a sé stessi, che
piaghe a noi,
che lacrime cagionarono ai nostri
discendenti!
Né è punto vera pietà farsi spesso
vedere nell'atto di volgersi
velato a un sasso e accostarsi a
tutti gli altari,
né gettarsi a terra prosternato e
protendere le palme
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poenarum grave sit solvendi
tempus adauctum?
summa etiam cum vis violenti per
mare venti
induperatorem classis super
aequora verrit
cum validis pariter legionibus
atque elephantis,
non divom pacem votis adit ac
prece quaesit
ventorum pavidus paces
animasque secundas?
ne quiquam, quoniam violento
turbine saepe
correptus nihilo fertur minus ad
vada leti.
usque adeo res humanas vis
abdita quaedam
opterit et pulchros fascis
saevasque secures
proculcare ac ludibrio sibi habere
videtur.
denique sub pedibus tellus cum
tota vacillat
concussaeque cadunt urbes
dubiaeque minantur,
quid mirum si se temnunt mortalia
saecla
atque potestatis magnas mirasque
relinquunt
in rebus viris divum, quae cuncta
gubernent?
Quod super est, ae[s at]que
aurum ferrumque repertumst
et simul argenti pondus plumbique
potestas,
ignis ubi ingentis silvas ardore
innanzi ai templi degli dèi, né
cospargere gli altari
con molto sangue di quadrupedi,
né intrecciar voti a voti,
ma piuttosto il poter contemplare
ogni cosa con mente tranquilla.
Difatti, quando leviamo lo sguardo
alle celesti plaghe
del vasto mondo, lassù, e all'etere
trapunto di stelle fulgenti,
e il pensiero si volge ai corsi del
sole e della luna,
allora, contro i petti oppressi da
altri mali comincia
a ergere il capo ridesto anche
quell'angoscioso pensiero,
che non ci sia per caso su di noi
un immenso potere di dèi,
che con vario movimento volga gli
astri splendenti.
Ignorando le cause, infatti, la
mente è assillata dal dubbio
se mai ci sia stata un'origine
primigenia del mondo
e, insieme, se ci sia un termine
fino al quale le mura del mondo
possano sopportare questo
travaglio di moto affannoso,
oppure, dotate di eterna esistenza
dal volere divino,
possano, volando per un tratto
ininterrotto di tempo,
disprezzare le possenti forze di
un'età immensa.
Oltre a ciò, a chi non si stringe il
cuore per timore degli dèi,
a chi non si raggricciano le
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cremarat
montibus in magnis, seu caelo
fulmine misso,
sive quod inter se bellum silvestre
gerentes
hostibus intulerant ignem
formidinis ergo,
sive quod inducti terrae bonitate
volebant
pandere agros pinguis et pascua
reddere rura,
sive feras interficere et ditescere
praeda;
nam fovea atque igni prius est
venarier ortum
quam saepire plagis saltum
canibusque ciere.
quicquid id est, qua cumque e
causa flammeus ardor
horribili sonitu silvas exederat altis
a radicibus et terram percoxerat
igni,
manabat venis ferventibus in loca
terrae
concava conveniens argenti rivus
et auri,
aeris item et plumbi. quae cum
concreta videbant
posterius claro in terra splendere
colore,
tollebant nitido capti levique
lepore,
et simili formata videbant esse
figura
atque lacunarum fuerant vestigia
cuique.
membra per paura,
quando sotto l'orribile colpo del
fulmine la terra arsa
trema tutta e fragori percorrono il
vasto cielo?
Non tremano popoli e genti, e i re
superbi
non contraggono le membra
percossi dal timore degli dèi,
immaginando che per qualche
azione turpe o parola superba
sia giunto il penoso tempo di
pagare il fio?
E, quando l'enorme forza del
vento che imperversa per il mare
spazza via su per l'onde il
comandante d'una flotta
insieme con le possenti legioni e
gli elefanti,
non cerca egli con voti la pace
degli dèi, non invoca pregando
pavido il placarsi dei venti e
brezze favorevoli,
ma invano, giacché spesso,
afferrato da turbine violento,
vien tuttavia trasportato nelle
secche della morte?
A tal punto una forza nascosta
schiaccia le cose umane
e sembra calpestare e avere a
scherno
gli splendidi fasci e le scuri
spietate.
Infine, quando sotto i piedi la terra
tutta vacilla
e scosse cadono le città o
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tum penetrabat eos posse haec
liquefacta calore
quamlibet in formam et faciem
decurrere rerum,
et prorsum quamvis in acuta ac
tenvia posse
mucronum duci fastigia
procudendo,
ut sibi tela parent silvasque ut
caedere possint
materiemque dolare et levia
radere tigna
et terebrare etiam ac pertundere
perque forare.
nec minus argento facere haec
auroque parabant
quam validi primum violentis
viribus aeris,
ne quiquam, quoniam cedebat
victa potestas
nec poterant pariter durum
sufferre laborem.
nam fuit in pretio magis aes
aurumque iacebat
propter inutilitatem hebeti
mucrone retusum;
nunc iacet aes, aurum in summum
successit honorem.
sic volvenda aetas commutat
tempora rerum.
quod fuit in pretio, fit nullo
denique honore;
porro aliud succedit et [e]
contemptibus exit
inque dies magis adpetitur
floretque repertum
laudibus et miro est mortalis inter
minacciano di cadere,
che meraviglia se le stirpi mortali
disprezzano sé stesse
e ammettono nel mondo vasti
poteri e mirabili forze
di dèi che governino tutte le cose?
Quanto al resto, il rame e l'oro e il
ferro e, insieme ad essi,
il peso dell'argento e il potere del
piombo furono scoperti
quando il fuoco avvampante aveva
arso immense selve
su grandi monti, o per un fulmine
piombato dal cielo,
o perché gli uomini, guerreggiando
tra loro nelle selve,
avevano scagliato il fuoco tra i
nemici per atterrirli,
o perché, allettati dalla bontà del
terreno, volevano
aprire pingui campi e a pascoli
ridurre le campagne,
o far massacro di belve e
arricchirsi di preda.
Difatti il cacciare con la fossa e col
fuoco sorse prima
che il cingere il bosco con reti e lo
scovare la selvaggina coi cani.
Comunque sia, quale che fosse la
causa per cui l'ardore
delle fiamme aveva divorato con
orrendo fragore le selve
dalle profonde radici e aveva cotto
a fondo col fuoco la terra,
colavano dalle vene bollenti
confluendo nelle cavità della terra
rivoli d'argento e d'oro e anche di
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honore.
rame e di piombo.
Nunc tibi quo pacto ferri natura E quando gli uomini li vedevano
reperta
poi rappresi
sit facilest ipsi per te cognoscere, risplendere sul suolo di lucido
Memmi.
colore,
arma antiqua manus ungues
li raccoglievano, avvinti dalla
dentesque fuerunt
nitida e levigata bellezza,
et lapides et item silvarum
e vedevano che erano foggiati in
fragmina rami
forma simile a quella
et flamma atque ignes, post quam che aveva l'impronta dell'incavo di
sunt cognita primum.
ognuno.
posterius ferri vis est aerisque
Allora in essi entrava il pensiero
reperta.
che questi, liquefatti al calore,
et prior aeris erat quam ferri
potessero colando plasmarsi in
cognitus usus,
qualsiasi forma e aspetto di
quo facilis magis est natura et
oggetti,
copia maior.
e che martellandoli si potesse
aere solum terrae tractabant,
forgiarli in punte di pugnali
aereque belli
quanto mai si volesse acute e
miscebant fluctus et vulnera vasta sottili,
serebant
sì da procurarsi armi e poter
et pecus atque agros adimebant; tagliare selve
nam facile ollis
ed asciare il legname e piallare e
omnia cedebant armatis nuda et
levigare travi
inerma.
ed anche trapanare e trafiggere e
inde minutatim processit ferreus
perforare.
ensis
E dapprima s'apprestavano a far
versaque in obprobrium species
queste cose con l'argento e l'oro
est falcis ahenae,
non meno che con la forza
et ferro coepere solum proscindere violenta del possente rame,
terrae
ma invano, poiché la tempra di
exaequataque sunt creperi
quelli vinta cedeva,
certamina belli.
né potevano sopportare
et prius est armatum in equi
ugualmente il duro sforzo.
conscendere costas
Difatti ‹il rame› era più pregiato e
et moderarier hunc frenis
l'oro era trascurato
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dextraque vigere
quam biiugo curru belli temptare
pericla.
et biiugo prius est quam bis
coniungere binos
et quam falciferos armatum
escendere currus.
inde boves Lucas turrito corpore,
tetras,
anguimanus, belli docuerunt
volnera Poeni
sufferre et magnas Martis turbare
catervas.
sic alid ex alio peperit discordia
tristis,
horribile humanis quod gentibus
esset in armis,
inque dies belli terroribus addidit
augmen.
Temptarunt etiam tauros in
moenere belli
expertique sues saevos sunt
mittere in hostis.
et validos partim prae se misere
leones
cum doctoribus armatis saevisque
magistris,
qui moderarier his possent
vinclisque tenere,
ne quiquam, quoniam permixta
caede calentes
turbabant saevi nullo discrimine
turmas,
terrificas capitum quatientis
undique cristas,
nec poterant equites fremitu
perterrita equorum
per l'inutilità, perché si smussava
con la punta rintuzzata.
Ora è trascurato il rame, l'oro è
asceso al più alto onore.
Così il volgere del tempo tramuta
le stagioni delle cose:
ciò che era in pregio, diventa
alfine di nessun valore;
quindi subentra un'altra cosa ed
esce ‹dal› disprezzo
e sempre più, di giorno in giorno,
è desiderata, e una volta scoperta
fiorisce di lodi e gode tra i mortali
di mirabile onore.
Ora in qual modo sia stata
scoperta la natura del ferro,
ti è facile conoscere da te stesso,
o Memmio.
Armi furono in antico le mani, le
unghie e i denti
e i sassi, e inoltre i rami spezzati
nelle selve,
poi fiamme e fuoco, da quando se
n'ebbe la prima conoscenza.
In séguito fu scoperta la forza del
ferro e del bronzo.
E l'uso del bronzo fu conosciuto
prima di quello del ferro,
in quanto la sua natura è più
malleabile e di più esso abbonda.
Col bronzo lavoravano il terreno, e
col bronzo agitavano
flutti di guerra e spargevano ferite
devastatrici
e depredavano greggi e campi.
Infatti tutto quel ch'era nudo
e inerme cedeva facilmente a
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pectora mulcere et frenis
convertere in hostis.
inritata leae iaciebant corpora
saltu
undique et adversum venientibus
ora patebant
et nec opinantis a tergo
deripiebant
deplexaeque dabant in terram
volnere victos,
morsibus adfixae validis atque
unguibus uncis.
iactabantque suos tauri
pedibusque terebant
et latera ac ventres hauribant
supter equorum
cornibus et terram minitanti
mente ruebant.
et validis socios caedebant
dentibus apri
tela infracta suo tinguentes
sanguine saevi
[in se fracta suo tinguentes
sanguine tela,]
permixtasque dabant equitum
peditumque ruinas.
nam transversa feros exibant
dentis adactus
iumenta aut pedibus ventos erecta
petebant,
ne quiquam, quoniam ab nervis
succisa videres
concidere atque gravi terram
consternere casu.
si quos ante domi domitos satis
esse putabant,
quelli ch'erano armati.
Poi a poco a poco si fece strada la
spada di ferro
e divenne obbrobriosa la foggia
della falce di bronzo,
e col ferro incominciarono a
solcare il suolo della terra
e furono uguagliati i cimenti della
guerra dall'esito incerto.
E montare armato sui fianchi del
cavallo e guidarlo
col morso e combattere con la
destra, è uso più antico
che tentare i rischi della guerra su
un carro a due cavalli.
E due cavalli si usò aggiogare
prima che quattro
e prima che salire armati sui carri
muniti di falci.
Poi ai bovi lucani dal corpo turrito,
spaventosi,
con la proboscide serpentina, i
Punici insegnarono a sopportare
in guerra le ferite e a scompigliare
le grandi schiere di Marte.
Così la triste discordia produsse,
l'una dopo l'altra,
cose fatte per incutere orrore alle
genti umane in armi,
e di giorno in giorno fece crescere
i terrori della guerra.
Sperimentarono anche tori nelle
imprese di guerra
e tentarono d'avventare contro i
nemici cinghiali feroci.
E alcuni lanciarono innanzi a sé
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effervescere cernebant in rebus
agundis
volneribus clamore fuga terrore
tumultu,
nec poterant ullam partem
redducere eorum;
diffugiebat enim varium genus
omne ferarum,
ut nunc saepe boves Lucae ferro
male mactae
diffugiunt, fera facta suis cum
multa dedere.
Sed facere id non tam vincendi
spe voluerunt;
quam dare quod gemerent hostes,
ipsique perire,
qui numero diffidebant armisque
vacabant,
si fuit ut facerent. sed vix adducor
ut ante
non quierint animo praesentire
atque videre,
quam commune malum fieret
foedumque, futurum.
et magis id possis factum
contendere in omni
in variis mundis varia ratione
creatis,
quam certo atque uno terrarum
quolibet orbi.
Nexilis ante fuit vestis quam
textile tegmen.
textile post ferrumst, quia ferro
tela paratur,
nec ratione alia possunt tam levia
gigni
insilia ac fusi, radii, scapique
vigorosi leoni
con domatori armati e spietati
maestri,
che potessero guidarli e tenerli in
catene,
ma invano, perché, caldi della
confusa strage, inferociti,
i leoni scompigliavano le torme
senza alcuna distinzione,
squassando dappertutto le criniere
terrificanti,
né i cavalieri potevano placare i
petti dei cavalli
spauriti al ruggito, né rivolgerli coi
freni contro i nemici.
Le leonesse slanciavano d'un
balzo, da ogni lato, i corpi
concitati,
e s'avventavano ai volti di quelli
che andavano incontro ad esse,
e strappavano giù quelli che
sorprendevano da tergo
e, avvinghiandosi intorno, li
gettavano a terra vinti dalle ferite,
attaccate a loro con i morsi
poderosi e gli artigli adunchi.
E i tori sbalzavan via gli uomini
della propria schiera e con le
zampe
li schiacciavano, e ai cavalli fianchi
e ventri trafiggevano di sotto
con le corna, e sconvolgevano il
terreno con impeto minaccioso.
E i cinghiali con le zanne poderose
massacravano gli alleati,
cospargendo furibondi col proprio
sangue i dardi in loro infranti,
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (74 of 82) [07/08/2003 21.43.58]
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sonantes.
et facere ante viros lanam natura
coëgit
quam muliebre genus; nam longe
praestat in arte
et sollertius est multo genus omne
virile;
agricolae donec vitio vertere
severi,
ut muliebribus id manibus
concedere vellent
atque ipsi pariter durum sufferre
laborem
atque opere in duro durarent
membra manusque.
At specimen sationis et
insitionis origo
ipsa fuit rerum primum natura
creatrix,
arboribus quoniam bacae
glandesque caducae
tempestiva dabant pullorum
examina supter;
unde etiam libitumst stirpis
committere ramis
et nova defodere in terram
virgulta per agros.
inde aliam atque aliam culturam
dulcis agelli
temptabant fructusque feros
mansuescere terra
cernebant indulgendo blandeque
colendo.
inque dies magis in montem
succedere silvas
cogebant infraque locum
[cospargendo col proprio sangue i
dardi infranti nei propri corpi]
e atterravano cavalieri e fanti in
confusa rovina.
I cavalli infatti cercavano di
schivare le feroci zannate
gettandosi
di traverso, o impennandosi
percotevano l'aria con gli zoccoli,
ma invano, ché si potevano
vedere coi garretti troncati
crollare e coprire il terreno con
pesante caduta.
Se alcune belve prima gli uomini
credevano abbastanza domate
e addomesticate, nel fervere della
mischia le vedevano infiammarsi
per le ferite, il clamore, la fuga, il
terrore, il tumulto,
né potevano ricondurne indietro
alcuna parte;
infatti tutte le varie specie delle
fiere fuggivano qua e là;
come ora i bovi lucani, malamente
colpiti dal ferro, sovente
fuggono qua e là, dopo aver fatto
stragi di amici.
Se avvenne che facessero questo.
Ma a stento posso indurmi
a credere che non abbiano potuto
presentire e vedere con la mente,
prima che avvenisse, l'atroce male
che li avrebbe colpiti tutti;
e meglio potresti asserire che ciò
sia avvenuto entro l'universo,
nei vari mondi in varia maniera
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concedere cultis,
prata lacus rivos segetes
vinetaque laeta
collibus et campis ut haberent,
atque olearum
caerula distinguens inter plaga
currere posset
per tumulos et convallis
camposque profusa;
ut nunc esse vides vario distincta
lepore
omnia, quae pomis intersita
dulcibus ornant
arbustisque tenent felicibus opsita
circum.
At liquidas avium voces
imitarier ore
ante fuit multo quam levia
carmina cantu
concelebrare homines possent
aurisque iuvare.
et zephyri cava per calamorum
sibila primum
agrestis docuere cavas inflare
cicutas.
inde minutatim dulcis didicere
querellas,
tibia quas fundit digitis pulsata
canentum,
avia per nemora ac silvas
saltusque reperta,
per loca pastorum deserta atque
otia dia.
[sic unum quicquid paulatim
protrahit aetas
in medium ratioque in luminis
eruit oras.]
creati,
anziché su una qualunque
determinata ed unica terra.
Ma vollero far questo, non tanto
per la speranza di vincere,
quanto per dar motivo di pianto ai
nemici, e perire essi stessi,
giacché non confidavano nel
numero ed erano privi di armi.
La veste intrecciata precedette
l'abito tessuto.
Il tessuto viene dopo il ferro,
perché col ferro s'appresta il
telaio,
né in altro modo si posson
produrre strumenti così levigati,
spole e fusi, navette e rulli sonori.
E a lavorare la lana la natura
costrinse gli uomini prima
che la stirpe delle donne (giacché
molto eccelle nell'arte
e molto più industriosa è in genere
la stirpe virile),
finché i severi contadini fecero di
ciò una colpa,
sì che quelli vollero lasciarne la
cura a mani femminili
e sopportare essi stessi
ugualmente dura fatica
e indurire in duro lavoro le
membra e le mani.
Ma esempio per la semina e
origine dell'innesto
fu dapprima la stessa natura
creatrice delle cose,
perché le bacche e le ghiande
cadute dagli alberi facevano
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haec animos ollis mulcebant atque
iuvabant
cum satiate cibi; nam tum sunt
omnia cordi.
saepe itaque inter se prostrati in
gramine molli
propter aquae rivom sub ramis
arboris altae.
non magnis opibus iucunde
corpora habebant,
praesertim cum tempestas ridebat
et anni
tempora pingebant viridantis
floribus herbas.
tum ioca, tum sermo, tum dulces
esse cachinni
consuerant; agrestis enim tum
musa vigebat.
tum caput atque umeros plexis
redimire coronis
floribus et foliis lascivia laeta
movebat,
atque extra numerum procedere
membra moventes
duriter et duro terram pede
pellere matrem;
unde oriebantur risus dulcesque
cachinni,
omnia quod nova tum magis haec
et mira vigebant.
et vigilantibus hinc aderant solacia
somno
ducere multimodis voces et
flectere cantus
et supera calamos unco percurrere
labro;
a piè di questi pullulare nella
giusta stagione sciami di polloni;
di là venne anche l'idea di inserire
germogli nei rami
e di piantare nella terra novelli
virgulti per i campi.
Poi tentavano altre e altre colture
del caro campicello
e vedevano che i frutti selvatici si
ammansivano nel terreno
per effetto di premurosa
attenzione e amorevole cura.
E ogni giorno di più costringevano
le selve a ritrarsi
in su, sopra i monti, e a far posto
in basso alle colture,
per aver prati, stagni, ruscelli,
messi e floridi vigneti
sui colli e nelle pianure, e perché
la cerula zona
degli ulivi col suo risalto potesse
correre in mezzo,
sparsa per poggi e convalli e
pianure; come ora vedi
per varia bellezza risaltare tutta la
campagna,
che gli uomini ornano piantandovi
in mezzo
dolci frutteti e cingono piantando
intorno alberi feraci.
Ma l'imitare con la bocca le
limpide voci degli uccelli
fu molto prima che gli uomini
fossero capaci di praticare
il canto di versi armoniosi e
dilettare gli orecchi.
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unde etiam vigiles nunc haec
accepta tuentur.
et numerum servare genus
didicere, neque hilo
maiore interea capiunt dulcedine
fructum
quam silvestre genus capiebat
terrigenarum.
nam quod adest praesto, nisi quid
cognovimus ante
suavius, in primis placet et pollere
videtur,
posteriorque fere melior res illa
reperta
perdit et immutat sensus ad
pristina quaeque.
sic odium coepit glandis, sic illa
relicta
strata cubilia sunt herbis et
frondibus aucta.
pellis item cecidit vestis
contempta ferina;
quam reor invidia tali tunc esse
repertam,
ut letum insidiis qui gessit primus
obiret,
et tamen inter eos distractam
sanguine multo
disperiise neque in fructum
convertere quisse.
tunc igitur pelles, nunc aurum et
purpura curis
exercent hominum vitam belloque
fatigant;
quo magis in nobis, ut opinor,
culpa resedit.
frigus enim nudos sine pellibus
E i sibili dello zefiro per le cavità
delle canne dapprima
insegnarono ai campagnoli a
soffiare entro cave zampogne.
Poi a poco a poco appresero i dolci
lamenti
che effonde il flauto toccato dalle
dita dei sonatori,
scoperto fra remoti boschi e selve
e pascoli,
nei solinghi luoghi dei pastori e
negli ozi divini.
[Così gradatamente il tempo rivela
ogni cosa,
e la ragione la innalza alle plaghe
della luce.]
Questi suoni carezzavano loro gli
animi e davano diletto,
quando erano sazi di cibo; allora
infatti tutto è caro al cuore.
Spesso, dunque, familiarmente
distesi sull'erba morbida,
presso un ruscello, sotto i rami di
un albero alto,
con tenui mezzi davano giocondità
ai corpi,
soprattutto quando il tempo
arrideva e la stagione
dipingeva di fiori le erbe
verdeggianti.
Allora solevano esserci gli scherzi,
allora i conversari, allora i dolci
scoppi di gaiezza; allora infatti la
musa agreste era in rigoglio;
allora una libera allegria li
spingeva a ornare il capo
e le spalle con corone intrecciate
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (78 of 82) [07/08/2003 21.43.58]
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excruciabat
terrigenas; at nos nil laedit veste
carere
purpurea atque auro signisque
ingentibus apta,
dum plebeia tamen sit, quae
defendere possit.
Ergo hominum genus in cassum
frustraque laborat
semper et [in] curis consumit
inanibus aevom,
ni mirum quia non cognovit quae
sit habendi
finis et omnino quoad crescat vera
voluptas;
idque minutatim vitam provexit in
altum
et belli magnos commovit funditus
aestus.
at vigiles mundi magnum versatile
templum
sol et luna suo lustrantes lumine
circum
perdocuere homines annorum
tempora verti
et certa ratione geri rem atque
ordine certo.
Iam validis saepti degebant
turribus aevom,
et divisa colebatur discretaque
tellus,
tum mare velivolis florebat
navibus ponti,
auxilia ac socios iam pacto foedere
habebant,
carminibus cum res gestas
di fiori e di foglie,
e ad avanzare in danza senza
ritmo, duramente movendo
le membra, e a battere con duro
piede la madre terra;
di lì nascevano risa e dolci scoppi
di gaiezza, perché allora
tutte queste cose, più nuove e
meravigliose, erano pregiate.
E se vegliavano, di qui avevano
sollievo per il sonno perduto:
far passare la voce per molti toni e
modulare il canto,
e correre col labbro incurvato su
per le canne del flauto;
donde venne questa usanza che
anche ora conservano le scolte,
e hanno imparato a osservare i
tipi dei ritmi, ma intanto
non colgono affatto un frutto di
dolcezza maggiore di quello
che coglieva la stirpe silvestre dei
figli della terra.
Difatti ciò che è a disposizione, se
non abbiamo conosciuto prima
qualche cosa di più dolce, ci piace
sopra tutto e sembra prevalere,
ma per lo più una scoperta
posteriore lo annienta
e muta il nostro sentire riguardo a
ogni cosa passata.
Così nacque l'avversione per le
ghiande, così furono abbandonati
quei giacigli cosparsi di erbe e
guarniti di fronde.
Cadde anche nel disprezzo la
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (79 of 82) [07/08/2003 21.43.58]
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coepere poëtae
tradere; nec multo prius sunt
elementa reperta.
propterea quid sit prius actum
respicere aetas
nostra nequit, nisi qua ratio
vestigia monstrat.
Navigia atque agri culturas
moenia leges
arma vias vestes [et] cetera de
genere horum,
praemia, delicias quoque vitae
funditus omnis,
carmina, picturas et daedala signa
polita
usus et impigrae simul experientia
mentis
paulatim docuit pedetemptim
progredientis.
sic unum quicquid paulatim
protrahit aetas
in medium ratioque in luminis
erigit oras;
namque alid ex alio clarescere
corde videbant,
artibus ad summum donec venere
cacumen.
veste di pelle ferina;
che, quando fu scoperta, suscitò,
io credo, tale invidia
da cagionare insidie e morte a chi
la indossò per primo;
e tuttavia, lacerata da coloro che
se la strappavan di mano,
fra molto sangue fu distrutta
senza poter giovare.
Allora, dunque, le pelli, ora l'oro e
la porpora tormentano
con affannosi desideri la vita degli
uomini e l'affaticano in guerra;
e perciò, come credo, la colpa
maggiore sta in noi.
Infatti, nudi, senza pelli, i figli
della terra erano martoriati
dal freddo; ma a noi non nuoce
affatto l'esser privi
d'una veste di porpora e adorna
d'oro e di grandi figure,
purché abbiamo una veste plebea
che possa proteggerci.
Dunque il genere umano a vuoto e
invano si travaglia
sempre e consuma ‹in› affanni
inutili la vita,
certo perché non conosce quale
sia il limite del possesso
e generalmente fino a qual punto
cresca il vero piacere.
E questo a poco a poco ha
sospinto la vita in alto mare
e ha suscitato dal profondo grandi
tempeste di guerra.
Ma quelle scolte, il sole e la luna,
con la loro luce
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (80 of 82) [07/08/2003 21.43.58]
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percorrendo tutt'intorno la grande,
rotante volta del cielo,
insegnarono agli uomini che le
stagioni ruotano e che la cosa
si svolge secondo un costante
piano e un ordine costante.
Già protetti da torri possenti
passavano la vita
e divisa e distinta da confini era
coltivata la terra,
e inoltre il mare fioriva di navi
volanti con le vele,
già per patti fissati avevano
ausiliari e alleati, quando i poeti
cominciarono a tramandare coi
canti le gesta compiute;
né molto prima furono scoperte le
lettere dell'alfabeto.
Perciò la nostra età non può
discernere quel che è avvenuto
prima,
tranne che il ragionamento in
qualche modo non le mostri le
tracce.
Navi e colture dei campi, mura,
leggi,
armi, vie, vesti ‹e› le altre cose
siffatte,
i doni e anche le delizie della vita,
tutte quante,
canti, pitture e statue lavorate con
arte, levigate, gradatamente
li insegnarono la pratica e,
insieme, lo sperimentare
della mente alacre agli uomini
avanzanti passo passo.
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (81 of 82) [07/08/2003 21.43.58]
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Così gradatamente il tempo rivela
ogni cosa
e la ragione la innalza alle plaghe
della luce.
Difatti con la mente vedevano
chiarirsi una cosa dall'altra,
finché con le arti giunsero al
culmine più alto.
(Ll)
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De Rerum Natura - Liber VI
Primae frugiparos fetus
mortalibus aegris
dididerunt quondam praeclaro
nomine Athenae
et recreaverunt vitam legesque
rogarunt
et primae dederunt solacia dulcia
vitae,
cum genuere virum tali cum corde
repertum,
omnia veridico qui quondam ex
ore profudit;
cuius et extincti propter divina
reperta
divolgata vetus iam ad caelum
gloria fertur.
nam cum vidit hic ad victum quae
flagitat usus
omnia iam ferme mortalibus esse
parata
et, pro quam possent, vitam
consistere tutam,
divitiis homines et honore et laude
potentis
affluere atque bona gnatorum
excellere fama,
nec minus esse domi cuiquam
tamen anxia cordi,
atque animi ingratis vitam vexare
sine ulla
pausa atque infestis cogi saevire
querellis,
intellegit ibi vitium vas efficere
ipsum
Quanto al resto, poiché ho
spiegato come ogni cosa
possa avvenire per i ceruli spazi
del vasto mondo,
sì che potessimo conoscere quale
forza e causa produca
i vari corsi del sole e i movimenti
della luna,
e in che modo quegli astri,
oscurata la luce, ‹possano›
eclissarsi
e coprire di tenebre la terra che
non le aspettava,
quando pare che chiudano gli
occhi e poi, apertili di nuovo,
frugano ogni luogo che si imbianca
di chiara luce,
ora torno alla giovinezza del
mondo e ai molli campi della terra,
e dirò che cosa dapprima essi
s'indussero a levare, con nuova
procreazione, alle plaghe della
luce e affidare ai volubili venti.
Da principio la terra produsse la
famiglia delle erbe
e il verde splendore intorno ai colli
e per tutti i piani,
i floridi prati rifulsero di
verdeggiante colore,
e ai vari alberi in séguito fu dato
di gareggiare
grandemente nel crescere per
l'aria a briglie sciolte.
Come sulle membra dei
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omniaque illius vitio corrumpier
intus,
quae conlata foris et commoda
cumque venirent;
partim quod fluxum pertusumque
esse videbat,
ut nulla posset ratione explerier
umquam,
partim quod taetro quasi
conspurcare sapore
omnia cernebat, quae cumque
receperat, intus.
veridicis igitur purgavit pectora
dictis
et finem statuit cuppedinis atque
timoris
exposuitque bonum summum, quo
tendimus omnes,
quid foret, atque viam monstravit,
tramite parvo
qua possemus ad id recto
contendere cursu,
quidve mali foret in rebus
mortalibus passim,
quod fieret naturali varieque
volaret
seu casu seu vi, quod sic natura
parasset,
et quibus e portis occurri cuique
deceret,
et genus humanum frustra
plerumque probavit
volvere curarum tristis in pectore
fluctus.
nam vel uti pueri trepidant atque
omnia caecis
in tenebris metuunt, sic nos in
quadrupedi e sul corpo
dei pennuti spuntano dapprima
piume e peli e setole,
così allora la giovane terra generò
dapprima erbe e virgulti,
in séguito creò le stirpi mortali,
che nacquero in gran numero, in
molti modi, con varie forme.
Infatti non possono esser caduti
dal cielo gli animali,
né le specie terrestri essere uscite
dai salati abissi.
Resta che a ragione la terra ha
ricevuto il nome di madre
poiché dalla terra traggono origine
tutte le creature.
Ed anche ora molti animali
sorgono dalla terra,
generati dalle piogge e
dall'ardente calore del sole;
perciò non c'è da stupire se più
numerosi ne nacquero allora,
e più grandi, essendo cresciuti
quando terra e cielo eran giovani.
Da principio la specie degli alati e i
vari uccelli
lasciavano le uova, uscendo dai
gusci in primavera,
come ora d'estate le cicale
spontaneamente abbandonano
i tondeggianti involucri per cercare
il cibo e la vita.
Allora, vedi, la terra cominciò a
produrre le stirpi mortali.
Molto calore, infatti, e umidità
sovrabbondavano nei campi.
Perciò, ovunque si offriva idonea
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luce timemus
inter dum, nihilo quae sunt
metuenda magis quam
quae pueri in tenebris pavitant
finguntque futura.
hunc igitur terrorem animi
tenebrasque necessest
non radii solis nec lucida tela diei
discutiant, sed naturae species
ratioque.
quo magis inceptum pergam
pertexere dictis.
Et quoniam docui mundi
mortalia templa
esse [et] nativo consistere corpore
caelum,
et quae cumque in eo fiunt
fierique necessest
pleraque dissolui, qui restant
percipe porro,
quandoquidem semel insignem
conscendere currum
***
tu mihi supremae praescripta ad
candida callis
currenti spatium praemonstra,
callida musa
Calliope, requies hominum
divomque voluptas,
te duce ut insigni capiam cum
laude coronam.
***
ventorum existant, placentur [ut]
omnia rursum
***
quae fuerint, sint placato conversa
disposizione di luogo,
crescevano uteri attaccati alla
terra con radici;
e quando, maturato il tempo, li
aveva aperti l'età
degli infanti, fuggendo l'umidità e
cercando l'aria,
lì la natura rivolgeva i canali della
terra
e li costringeva a versare dalle
vene aperte un succo
simile al latte, come ora ogni
femmina,
quando ha partorito, s'empie di
dolce latte, perché tutto
alle mammelle converge l'impeto
del suo alimento.
La terra offriva ai bimbi il cibo, il
calore una veste, l'erba
un giaciglio riboccante di molta e
morbida lanugine.
Ma la giovinezza del mondo non
produceva rigidi freddi,
né eccessivi calori, né venti di
forze possenti.
Tutte le cose infatti di pari passo
crescono e prendono vigore.
Perciò, ancora e ancora, la terra a
ragione ha ricevuto
e conserva il nome di madre,
poiché da sé essa creò
il genere umano e, quasi a un
momento stabilito, partorì
ogni animale che sui grandi monti
scorrazza selvaggio
e insieme gli uccelli dell'aria nelle
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furore.
cetera quae fieri in terris caeloque
tuentur
mortales, pavidis cum pendent
mentibus saepe
et faciunt animos humilis
formidine divom
depressosque premunt ad terram
propterea quod
ignorantia causarum conferre
deorum
cogit ad imperium res et
concedere regnum.
[quorum operum causas nulla
ratione videre
possunt ac fieri divino numine
rentur.]
nam bene qui didicere deos
securum agere aevom,
si tamen interea mirantur qua
ratione
quaeque geri possint, praesertim
rebus in illis
quae supera caput aetheriis
cernuntur in oris,
rursus in antiquas referuntur
religionis
et dominos acris adsciscunt,
omnia posse
quos miseri credunt, ignari quid
queat esse,
quid nequeat, finita potestas
denique cuique
qua nam sit ratione atque alte
terminus haerens;
quo magis errantes caeca ratione
feruntur.
varie forme.
Ma, poiché il suo partorire deve
avere un termine,
essa cessò, come donna fiaccata
da vecchiezza.
Il tempo infatti muta la natura di
tutto il mondo,
e in tutte le cose a uno stato deve
subentrarne un altro,
né alcunché resta simile a sé
stesso: tutte le cose passano,
tutte la natura le trasmuta e le
costringe a trasformarsi.
Giacché una imputridisce e
fiaccata dal tempo langue,
poi un'altra cresce ed esce ‹dalle›
condizioni di disprezzo.
Così dunque il tempo muta la
natura di tutto il mondo,
e nella terra a uno stato ne
subentra un altro, sicché non può
produrre ciò che poté, ma può ciò
che non poté in passato.
E anche molti portenti allora la
terra tentò di creare,
nati con facce e membra strane:
l'androgino, che sta tra i due
sessi, e non è né l'uno, né l'altro,
ma è lontano da ambedue;
alcune creature prive di piedi,
altre mancanti, a loro volta,
di mani, o anche mute senza la
bocca, o ch'erano cieche
senza gli occhi, o avviluppate in
tutto il corpo per l'aderire delle
membra,
sì che non potevano fare alcunché,
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quae nisi respuis ex animo
longeque remittis
dis indigna putare alienaque pacis
eorum,
delibata deum per te tibi numina
sancta
saepe oberunt; non quo violari
summa deum vis
possit, ut ex ira poenas petere
inbibat acris,
sed quia tute tibi placida cum pace
quietos
constitues magnos irarum volvere
fluctus,
nec delubra deum placido cum
pectore adibis,
nec de corpore quae sancto
simulacra feruntur
in mentes hominum divinae nuntia
formae,
suscipere haec animi tranquilla
pace valebis.
inde videre licet qualis iam vita
sequatur.
quam quidem ut a nobis ratio
verissima longe
reiciat, quamquam sunt a me
multa profecta,
multa tamen restant et sunt
ornanda politis
versibus; est ratio caelisque
tenenda,
sunt tempestates et fulmina clara
canenda,
quid faciant et qua de causa
cumque ferantur;
né muoversi verso alcun luogo,
né evitare un danno, né prendere
ciò che era necessario.
Ogni altro mostro e portento di
questa specie essa creava,
ma invano, perché la natura ne
impedì la crescita,
né poterono attingere il bramato
fiore dell'età,
né trovare cibo, né congiungersi
con gli atti di Venere.
Molte cose vediamo infatti che
devono concorrere negli esseri
perché possano generare e
propagare le stirpi;
bisogna anzitutto che abbiano di
che nutrirsi, poi passaggi per cui
i semi genitali possano scorrere
attraverso i corpi ed emanare
dalle membra rilassate; e, affinché
la femmina possa congiungersi col
maschio,
devono avere ambedue ciò che
occorre per scambiarsi vicendevoli
piaceri.
E molte stirpi di esseri viventi
dovettero allora soccombere
e non poterono generare e
propagare la prole.
Giacché tutte quelle che vedi
respirare le aure vitali,
o l'astuzia o la forza o almeno la
velocità le protesse
dal principio dell'esistenza e ne
conservò le generazioni.
E molte ce ne sono che,
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ne trepides caeli divisis partibus
amens,
unde volans ignis pervenerit aut in
utram se
verterit hinc partim, quo pacto per
loca saepta
insinuarit, et hinc dominatus ut
extulerit se.
[quorum operum causas nulla
ratione videre
possunt ac fieri divino numine
rentur.]
Principio tonitru quatiuntur
caerula caeli
propterea quia concurrunt sublime
volantes
aetheriae nubes contra
pugnantibus ventis.
nec fit enim sonitus caeli de parte
serena,
verum ubi cumque magis denso
sunt agmine nubes,
tam magis hinc magno fremitus fit
murmure saepe.
praeterea neque tam condenso
corpore nubes
esse queunt quam sunt lapides ac
ligna, neque autem
tam tenues quam sunt nebulae
fumique volantes;
nam cadere aut bruto deberent
pondere pressae
ut lapides, aut ut fumus constare
nequirent
nec cohibere nives gelidas et
grandinis imbris.
Dant etiam sonitum patuli
raccomandate a noi
dalla loro utilità, furono affidate
alla nostra tutela.
In primo luogo alla fiera progenie
dei leoni e alle stirpi selvagge
fornì difesa la forza, alle volpi
l'astuzia e ai cervi la fuga.
Ma i cani dal sonno leggero, che
nei petti hanno cuori fedeli,
e ogni progenie nata dal seme
delle bestie da soma
e insieme le greggi lanose e le
cornute stirpi dei buoi,
tutti furono affidati alla tutela degli
uomini, o Memmio.
Ardentemente infatti fuggirono le
fiere e cercarono pace
e copiose pasture ottenute senza
loro fatica,
cose che noi diamo loro in
ricompensa della loro utilità.
Ma quelli cui la natura non diede
nulla di ciò,
né di vivere da sé stessi
liberamente, né di rendere a noi
qualche servigio per cui
consentissimo alla loro progenie
di nutrirsi e di vivere sicura sotto
la nostra protezione,
questi certo soggiacevano ad altri
come preda e bottino,
inceppati come erano tutti dalle
loro catene fatali,
finché la natura ne portò la
progenie ad estinzione.
Ma non ci furono Centauri, né in
alcun tempo
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super aequora mundi,
carbasus ut quondam magnis
intenta theatris
dat crepitum malos inter iactata
trabesque,
inter dum perscissa furit
petulantibus auris
et fragilis [sonitus] chartarum
commeditatur;
id quoque enim genus in tonitru
cognoscere possis,
aut ubi suspensam vestem
chartasque volantis
verberibus venti versant
planguntque per auras.
fit quoque enim inter dum [ut]
non tam concurrere nubes
frontibus adversis possint quam
de latere ire
diverso motu radentes corpora
tractim,
aridus unde auris terget sonus ille
diuque
ducitur, exierunt donec regionibus
artis.
Hoc etiam pacto tonitru
concussa videntur
omnia saepe gravi tremere et
divolsa repente
maxima dissiluisse capacis moenia
mundi,
cum subito validi venti conlecta
procella
nubibus intorsit sese conclusaque
ibidem
turbine versanti magis ac magis
possono esistere esseri di duplice
natura e di corpo doppio,
messi insieme con membra
eterogenee, così che le facoltà di
creature
nate da questa specie e da quella
possano corrispondere
abbastanza.
Ciò si può conoscere di qui, anche
con mente ottusa.
Anzitutto, nel giro di tre anni il
focoso cavallo
è nel suo fiore, ma il bambino per
niente; ché spesso ancora
cercherà nel sonno i capezzoli del
seno materno colmi di latte.
Poi, quando al cavallo per
vecchiaia vengon meno le forze
poderose e languiscono le membra
per il fuggire della vita,
solo allora il fanciullo raggiunge il
fiore dell'età e comincia
per lui la gioventù, che gli veste di
morbida lanugine le guance.
Non ti avvenga, dunque, di
credere che dall'uomo e dal seme
di bestie da soma, dei cavalli,
possan formarsi Centauri,
ed esistere, o Scille coi corpi
semimarini, cinte di rabbiosi cani,
e tutti gli altri esseri di questa
fatta,
le cui membra vediamo
discordanti fra loro;
che nello stesso tempo né
fioriscono, né prendono il vigore
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undique nubem
del corpo, né lo perdono a causa
cogit uti fiat spisso cava corpore
della vecchiaia,
circum,
né di simile amore ardono, né
post ubi conminuit vis eius et
armonizzano per abitudini
impetus acer,
uniformi, né identiche sono le cose
tum perterricrepo sonitu dat scissa che giovano alle loro membra.
fragorem.
Spesso infatti si può vedere che le
nec mirum, cum plena animae
barbute capre ingrassano
vensicula parva
con la cicuta, mentre questa per
saepe haud dat parvum sonitum
l'uomo è violento veleno.
displosa repente.
Poiché, ‹d'altra parte,› la fiamma
Est etiam ratio, cum venti
suole cuocere e bruciare
nubila perflant,
i corpi fulvi dei leoni, tanto quanto
ut sonitus faciant; etenim ramosa qualunque altra specie
videmus
di carne e sangue che esiste sulla
nubila saepe modis multis atque
terra,
aspera ferri;
come sarebbe potuto avvenire che
scilicet ut, crebram silvam cum
un unico essere con triplice corpo,
flamina cauri
nella parte anteriore leone, nella
perflant, dant sonitum frondes
posteriore drago, nella mediana
ramique fragorem.
lei,
Fit quoque ut inter dum validi
la Chimera, spirasse per la bocca
vis incita venti
una fiamma violenta uscita dal
perscindat nubem perfringens
corpo?
impete recto;
Così, dunque, chi immagina che
nam quid possit ibi flatus
tali animali potessero nascere
manifesta docet res,
quando la terra era giovane e il
hic, ubi lenior est, in terra cum
cielo da poco formato,
tamen alta
fondandosi soltanto su questo
arbusta evolvens radicibus haurit vano nome di gioventù,
ab imis.
molte cose similmente può dire a
sunt etiam fluctus per nubila, qui vanvera;
quasi murmur
può dire che allora fiumi d'oro
dant in frangendo graviter; quod scorrevano sulla terra ovunque
item fit in altis
e che gli alberi comunemente
fluminibus magnoque mari, cum
fiorivano di pietre preziose
frangitur aestus.
o che nacque un uomo con
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Fit quoque, ubi e nubi in nubem
vis incidit ardens
fulminis; haec multo si forte
umore recepit
ignem, continuo magno clamore
trucidat;
ut calidis candens ferrum e
fornacibus olim
stridit, ubi in gelidum propter
demersimus imbrem.
Aridior porro si nubes accipit
ignem,
uritur ingenti sonitu succensa
repente,
lauricomos ut si per montis
flamma vagetur
turbine ventorum comburens
impete magno;
nec res ulla magis quam Phoebi
Delphica laurus
terribili sonitu flamma crepitante
crematur.
Denique saepe geli multus
fragor atque ruina
grandinis in magnis sonitum dat
nubibus alte;
ventus enim cum confercit,
franguntur in artum
concreti montes nimborum et
grandine mixti.
Fulgit item, nubes ignis cum
semina multa
excussere suo concursu, ceu
lapidem si
percutiat lapis aut ferrum; nam
tum quoque lumen
membra tanto gigantesche
da poter con un passo poggiare il
piede di là da mari profondi
e con le mani rotare intorno a sé
tutto il cielo.
Ché, se la terra contenne molti
semi di cose
nel tempo in cui il suolo cominciò
a produrre gli animali,
questo tuttavia non è segno che si
siano potute creare
bestie miste fra loro e membra
accozzate di esseri viventi,
poiché le specie delle erbe e le
messi e gli alberi rigogliosi,
che tuttora pullulano in
abbondanza dalla terra,
non posson tuttavia nascere
intrecciati fra loro,
ma ognuna di queste cose procede
secondo un proprio modo
e tutte per salda legge di natura
conservano le differenze.
Ma la stirpe umana che visse
allora nei campi fu molto
più dura, com'era naturale, ché la
dura terra l'aveva creata;
e nell'interno del corpo fu piantata
su ossa più grandi
e più salde, connessa attraverso le
carni da nervi poderosi,
tale che non poteva facilmente
esser vinta dal caldo, né dal
freddo,
né da cibo inconsueto, né da alcun
difetto del corpo.
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exilit et claras scintillas dissipat
ignis.
sed tonitrum fit uti post auribus
accipiamus,
fulgere quam cernant oculi, quia
semper ad auris
tardius adveniunt quam visum
quae moveant res.
id licet hinc etiam cognoscere:
caedere si quem
ancipiti videas ferro procul arboris
auctum,
ante fit ut cernas ictum quam
plaga per auris
det sonitum; sic fulgorem quoque
cernimus ante
quam tonitrum accipimus, pariter
qui mittitur igni
e simili causa, concursu natus
eodem.
Hoc etiam pacto volucri loca
lumine tingunt
nubes et tremulo tempestas
impete fulgit.
ventus ubi invasit nubem et
versatus ibidem
fecit ut ante cavam docui
spissescere nubem,
mobilitate sua fervescit; ut omnia
motu
percalefacta vides ardescere,
plumbea vero
glans etiam longo cursu volvenda
liquescit.
ergo fervidus hic nubem cum
perscidit atram,
dissipat ardoris quasi per vim
E, durante il corso di molti lustri
del sole per il cielo,
conducevano la vita a guisa di
fiere vagabonde.
Non c'era nessuno che robusto
reggesse l'aratro ricurvo,
nessuno sapeva lavorare i campi
col ferro,
né piantare nella terra i virgulti
novelli, né dagli alti
alberi tagliar via coi falcetti i rami
vecchi.
Ciò che donavano il sole e le
piogge, ciò che produceva
di per sé la terra, era un dono
bastevole a placare quei petti.
Tra le querce cariche di ghiande
per lo più ristoravano i corpi;
e le corbezzole, che ora nella
stagione invernale vedi
farsi mature, di colore purpureo,
allora la terra
le produceva in grandissimo
numero e anche più grosse.
E la fiorente gioventù del mondo
produsse allora
molti altri rudi alimenti,
abbondanza per i miseri mortali.
Ma a sedare la sete li chiamavano
i fiumi e le fonti,
come ora il torrente, che precipita
giù dai grandi monti,
chiama per ampio spazio col
chiaro suono sitibonde famiglie di
fiere.
Occupavano infine i silvestri
recessi delle ninfe, scoperti
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expressa repente
semina, quae faciunt nictantia
fulgura flammae;
inde sonus sequitur, qui tardius
adlicit auris
quam quae perveniunt oculorum
ad lumina nostra.
scilicet hoc densis fit nubibus et
simul alte
extructis aliis alias super impete
miro.
ne tibi sit frudi quod nos inferne
videmus
quam sint lata magis quam
sursum extructa quid extent.
contemplator enim, cum montibus
adsimulata
nubila portabunt venti transversa
per auras,
aut ubi per magnos montis
cumulata videbis
insuper esse aliis alia atque
urguere superna
in statione locata sepultis undique
ventis;
tum poteris magnas moles
cognoscere eorum
speluncasque vel ut saxis
pendentibus structas
cernere, quas venti cum
tempestate coorta
conplerunt, magno indignantur
murmure clausi
nubibus in caveisque ferarum
more minantur,
nunc hinc nunc illinc fremitus per
nel loro vagare, dai quali
sapevano che rivoli d'acqua
fluivano con larga corrente
lavando le umide rocce,
le umide rocce, stillanti sopra il
verde muschio,
mentre altri scaturivano ed
erompevano per la piana
campagna.
E non sapevano ancora trattare le
cose col fuoco,
né servirsi di pelli e vestire il corpo
con spoglie di fiere,
ma abitavano boschi e caverne
montane e selve
e nascondevano le scabre membra
tra le macchie,
quando eran costretti a evitare
sferzate di venti e piogge.
Né erano capaci di mirare al bene
comune,
né sapevano valersi di costumi e
di leggi nei loro rapporti.
Ciò che a ciascuno la fortuna
aveva offerto come preda,
ciascuno
se lo prendeva, avvezzo a usare la
forza e a vivere da sé, per sé
stesso.
E Venere nelle selve congiungeva i
corpi degli amanti;
conquistava infatti la donna o un
reciproco desiderio
o la violenta forza dell'uomo e la
sua brama intensa
o una mercede: ghiande e
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nubila mittunt,
quaerentesque viam circum
versantur et ignis
semina convolvunt [e] nubibus
atque ita cogunt
multa rotantque cavis flammam
fornacibus intus,
donec divolsa fulserunt nube
corusci.
Hac etiam fit uti de causa
mobilis ille
devolet in terram liquidi color
aureus ignis,
semina quod nubes ipsas permulta
necessust
ignis habere; etenim cum sunt
umore sine ullo,
flammeus [est] plerumque colos
et splendidus ollis.
quippe etenim solis de lumine
multa necessest
concipere, ut merito rubeant
ignesque profundant.
hasce igitur cum ventus agens
contrusit in unum
compressitque locum cogens,
expressa profundunt
semina, quae faciunt flammae
fulgere colores.
Fulgit item, cum rarescunt
quoque nubila caeli;
nam cum ventus eas leviter
diducit euntis
dissoluitque, cadant ingratius illa
necessest
semina quae faciunt fulgorem.
tum sine taetro
corbezzole o pere scelte.
E, confidando nella meravigliosa
forza delle mani e dei piedi,
davano la caccia alle silvestri stirpi
delle fiere
con lancio di sassi e con clave
pesanti;
e molte ne vincevano, poche ne
evitavano nascondendosi;
e, come setolosi cinghiali,
abbandonavano sulla terra
nude le membra silvestri, quando
li sorprendeva la notte,
avvolgendosi, tutt'intorno, di foglie
e di fronde.
Né con grande lamento cercavano
il giorno e il sole
per i campi vagando paurosi tra le
ombre della notte,
ma taciti e sepolti nel sonno
aspettavano
che con la rosea fiaccola il sole
portasse la luce nel cielo.
E infatti, poiché dalla fanciullezza
s'erano abituati a vedere
sempre le tenebre e la luce
prodursi in tempi alterni,
non poteva avvenire mai che li
colpisse meraviglia
o il timore che una notte senza
fine occupasse la terra
e il lume del sole fosse stato rapito
per sempre.
Ma più angoscioso era questo, che
le stirpi ferine
spesso a quei miseri facevano
tribolato il riposo.
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terrore atque sonis fulgit nulloque
tumultu.
Quod superest, [quali] natura
praedita constent
fulmina, declarant ictus et inusta
vaporis
signa notaeque gravis halantis
sulpuris auras;
ignis enim sunt haec non venti
signa neque imbris.
praeterea saepe accendunt
quoque tecta domorum
et celeri flamma dominantur in
aedibus ipsis.
hunc tibi subtilem cum primis
ignibus ignem
constituit natura minutis
mobilibusque
corporibus, cui nil omnino
obsistere possit.
transit enim validum fulmen per
saepta domorum
clamor ut ac voces, transit per
saxa, per aera
et liquidum puncto facit aes in
tempore et aurum.
curat item vasis integris vina
repente
diffugiant, quia ni mirum facile
omnia circum
conlaxat rareque facit lateramina
vasis
adveniens calor eius et insinuatus
in ipsum
mobiliter soluens differt primordia
vini.
E, scacciati dalla loro dimora,
fuggivano i rocciosi ripari
all'arrivo d'un cinghiale
schiumante o d'un possente leone,
e a notte fonda atterriti cedevano
agli ospiti feroci i covili coperti di
fronde.
Né allora molto più che ora le
stirpi mortali
lasciavano con lamenti la dolce
luce della vita.
Certo, allora più spesso qualcuno
di loro, sorpreso,
offriva pasto vivente alle fiere,
dilaniato dalle zanne,
e riempiva di lamenti boschi e
monti e selve,
vedendo le proprie vive carni
seppellite in un vivo sepolcro.
E quelli che si erano salvati
fuggendo col corpo lacerato,
poi, tenendo le mani tremanti
sopra le orribili piaghe,
invocavano con grida spaventose
Orco,
finché spasimi crudeli li privavano
della vita,
senza aiuto, ignari delle cure che
le ferite reclamavano.
Tuttavia molte migliaia di uomini
adunate sotto le insegne
non dava a morte un solo giorno,
né le procellose acque
del mare gettavano navi e uomini
a infrangersi contro gli scogli;
ma alla cieca, a vuoto, invano il
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quod solis vapor aetatem non
posse videtur
efficere usque adeo pollens
fervore corusco.
tanto mobilior vis et dominantior
haec est.
Nunc ea quo pacto gignantur et
impete tanto
fiant ut possint ictu discludere
turris,
disturbare domos, avellere tigna
trabesque
et monimenta virum commoliri
atque ciere,
exanimare homines, pecudes
prosternere passim,
cetera de genere hoc qua vi facere
omnia possint,
expediam neque [te] in promissis
plura morabor.
Fulmina gignier e crassis
alteque putandumst
nubibus extructis; nam caelo nulla
sereno
nec leviter densis mittuntur
nubibus umquam.
nam dubio procul hoc fieri
manifesta docet res;
quod tunc per totum concrescunt
aeëra nubes,
undique uti tenebras omnis
Acherunta reamur
liquisse et magnas caeli complesse
cavernas,
Æusque adeo tetra nimborum
nocte coorta
inpendent atrae formidinis ora
mare spesso si sollevava
imperversando, e facilmente
deponeva le inutili minacce,
né la lusinga della bonaccia poteva
subdola
trarre in inganno qualcuno col
sorridere delle onde.
La rovinosa arte del navigare
giaceva allora ignorata.
Allora la penuria di cibo dava alla
morte le membra
languenti, ora al contrario le
sommerge l'abbondanza.
Per ignoranza gli uomini d'allora
spesso versavano il veleno
a sé stessi, quelli d'ora più
scaltramente lo danno essi ‹agli
altri.›
Poi, quando si provvidero di
capanne e di pelli e di fuoco,
e la donna congiunta con l'uomo
passò ad un solo
*
furono conosciuti, ed essi videro la
prole nata da loro,
allora primamente il genere
umano cominciò a dirozzarsi.
Il fuoco infatti fece sì che i corpi
freddolosi non potessero più
sopportare bene il freddo sotto la
volta del cielo,
e Venere diminuì le forze, e i
bambini con le carezze
facilmente vinsero l'indole fiera dei
genitori.
Allora cominciarono anche a
stringere amicizia fra loro
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superne,Æ
cum commoliri tempestas fulmina
coeptat.
praeterea persaepe niger quoque
per mare nimbus,
ut picis e caelo demissum flumen,
in undas
sic cadit effertus tenebris procul et
trahit atram
fulminibus gravidam tempestatem
atque procellis,
ignibus ac ventis cum primis ipse
repletus,
in terra quoque ut horrescant ac
tecta requirant.
sic igitur supera nostrum caput
esse putandumst
tempestatem altam; neque enim
caligine tanta
obruerent terras, nisi inaedificata
superne
multa forent multis exempto
nubila sole;
nec tanto possent venientes
opprimere imbri,
flumina abundare ut facerent
camposque natare,
si non extructis foret alte nubibus
aether.
hic igitur ventis atque ignibus
omnia plena
sunt; ideo passim fremitus et
fulgura fiunt.
quippe etenim supra docui
permulta vaporis
semina habere cavas nubes et
i vicini, desiderando non nuocere e
non subire violenza,
e si affidarono l'un l'altro i fanciulli
e le donne,
con balbettanti voci e col gesto
significando
che era giusto che tutti avessero
pietà per i deboli.
Né tuttavia poteva la concordia
nascere sempre, ma una buona,
una gran parte degli uomini
osservava i patti fedelmente;
altrimenti il genere umano già
allora sarebbe perito tutto,
né il suo propagarsi avrebbe
potuto far durare fino ad ora le
stirpi.
I vari suoni della lingua, poi, fu la
natura che costrinse
ad emetterli, e l'utilità foggiò i
nomi delle cose,
in modo non molto diverso da
quello in cui si vede che la stessa
incapacità della lingua a esprimere
parole induce i bimbi a gestire,
quando fa che mostrino a dito le
cose che sono presenti.
Difatti ognuno sente per qual uso
possa valersi delle proprie facoltà.
Il vitello, prima che le corna gli
siano spuntate e sporgano
dalla fronte, con esse irato assale
e ostile incalza.
Dal canto loro, i cuccioli delle
pantere e i leoncini
si difendono con unghie e zampe e
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multa necessest
concipere ex solis radiis ardoreque
eorum.
hoc ubi ventus eas idem qui cogit
in unum
forte locum quemvis, expressit
multa vaporis
semina seque simul cum eo
commiscuit igni,
insinuatus ibi vortex versatur in
arto
et calidis acuit fulmen fornacibus
intus;
nam duplici ratione accenditur:
ipse sua cum
mobilitate calescit et e contagibus
ignis.
inde ubi percaluit venti vis [et]
gravis ignis
impetus incessit, maturum tum
quasi fulmen
perscindit subito nubem ferturque
coruscis
omnia luminibus lustrans loca
percitus ardor.
quem gravis insequitur sonitus,
displosa repente
opprimere ut caeli videantur
templa superne.
inde tremor terras graviter
pertemptat et altum
murmura percurrunt caelum; nam
tota fere tum
tempestas concussa tremit
fremitusque moventur.
quo de concussu sequitur gravis
imber et uber,
morsi già quando
denti e unghie non sono ancora
ben formati.
Vediamo poi ogni specie di uccelli
affidarsi alle ali
e chiedere alle penne un aiuto che
ancora è tremolante.
Perciò pensare che qualcuno allora
abbia assegnato i nomi
alle cose e che da lui gli uomini
abbiano imparato i primi vocaboli,
è follia. Infatti, perché colui
avrebbe potuto designare con
parole
ogni cosa ed emettere i vari suoni
della lingua, ma si dovrebbe
credere che nello stesso tempo
altri non abbiano potuto farlo?
Inoltre, se delle parole non
avevano fatto uso fra loro
anche altri, donde fu impressa in
quello la nozione
della loro utilità e donde fu data a
lui per primo la facoltà
di sapere e di vedere nella mente
che cosa volesse fare?
Parimenti, non poteva uno solo
costringer molti e vincerli
e domarli, sì che acconsentissero a
imparare i nomi delle cose.
Né in alcun modo è facile
insegnare a sordi e persuaderli
di ciò che bisogna fare; difatti non
lo sopporterebbero,
né in alcun modo tollererebbero
che inauditi suoni di voce
più volte assordassero le loro
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omnis uti videatur in imbrem
vertier aether
atque ita praecipitans ad diluviem
revocare;
tantus discidio nubis ventique
procella
mittitur, ardenti sonitus cum
provolat ictu.
Est etiam cum vis extrinsecus
incita venti
incidit in validam maturo culmine
nubem;
quam cum perscidit, extemplo
cadit igneus ille
vertex, quem patrio vocitamus
nomine fulmen.
hoc fit idem in partis alias, quo
cumque tulit vis.
Fit quoque ut inter dum venti
vis missa sine igni
igniscat tamen in spatio longoque
meatu,
dum venit amittens in cursu
corpora quaedam
grandia, quae nequeunt pariter
penetrare per auras,
atque alia ex ipso conradens aeëre
portat
parvola, quae faciunt ignem
commixta volando;
non alia longe ratione ac plumbea
saepe
fervida fit glans in cursu, cum
multa rigoris
corpora dimittens ignem concepit
in auris.
orecchie invano.
Infine, che c'è di tanto
sorprendente in questo,
se il genere umano, che aveva
voce e lingua vigorose,
secondo le diverse impressioni
designava le cose con suoni
diversi?
Quando le greggi prive di parola,
quando perfino le stirpi
delle fiere son solite formare voci
dissimili e varie,
secondo che sentano timore o
dolore o cresca in esse la gioia.
E infatti è possibile conoscer
questo in base a fatti palesi.
Quando le larghe morbide labbra
dei cani molossi
incominciano a fremere irritate,
scoprendo i duri denti,
tirate indietro per la rabbia,
minacciano con suono molto
diverso
da quando poi latrano ed empiono
tutti i luoghi delle loro voci.
Ma, quando prendono a lambire
con la lingua carezzevolmente i
cuccioli
o li sballottano con le zampe e,
minacciando di morderli,
senza stringere i denti fingono di
volerli divorare teneramente,
li vezzeggiano col mugolìo in modo
molto diverso
da quando lasciati soli in casa
abbaiano, o quando
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Fit quoque ut ipsius plagae vis
excitet ignem,
frigida cum venti pepulit vis missa
sine igni,
ni mirum quia, cum vehementi
perculit ictu,
confluere ex ipso possunt
elementa vaporis
et simul ex illa quae tum res
excipit ictum;
ut, lapidem ferro cum caedimus,
evolat ignis,
nec, quod frigida vis ferrist, hoc
setius illi
semina concurrunt calidi fulgoris
ad ictum.
sic igitur quoque res accendi
fulmine debet,
opportuna fuit si forte et idonea
flammis.
nec temere omnino plane vis
frigida venti
esse potest, ea quae tanta vi
missa supernest,
quin, prius in cursu si non
accenditur igni,
at tepefacta tamen veniat
commixta calore.
Mobilitas autem fit fulminis et
gravis ictus
et celeri ferme percurrunt fulmina
lapsu,
nubibus ipsa quod omnino prius
incita se vis
colligit et magnum conamen sumit
eundi,
inde ubi non potuit nubes capere
uggiolando scansano col corpo
schiacciato a terra le percosse.
E ancora, non si vede che
parimenti differisce il nitrito,
quando un polledro nel fiore
dell'età infuria fra le cavalle,
colpito dagli sproni di amore alato,
e con le froge dilatate freme
movendo all'assalto,
e quando, in altri casi, nitrisce con
membra tremanti?
Infine, le specie degli alati e i vari
uccelli,
gli sparvieri e le aquile marine e
gli smerghi
che cercano il nutrimento e la vita
nei salati flutti del mare,
in un tempo diverso gettano gridi
di gran lunga diversi
da quando contendono per il cibo
e le prede fanno resistenza.
E alcuni mutano col mutare del
tempo i rauchi canti,
come le longeve stirpi delle
cornacchie e le frotte dei corvi,
di cui si dice che a volte invochino
l'acqua e la pioggia,
altre volte chiamino i venti e le
brezze.
Dunque, se sensi diversi
costringono gli animali,
benché siano privi di parola, a
emettere voci diverse,
quanto è più naturale che gli
uomini allora abbian potuto
designare cose dissimili con suoni
differenti fra loro!
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inpetis auctum,
Perché a tale proposito non ti
exprimitur vis atque ideo volat
ponga per caso, tacito, questa
impete miro,
domanda, fu il fulmine che portò
ut validis quae de tormentis missa giù in terra ai mortali il fuoco
feruntur.
dapprincipio; di là si diffonde ogni
Adde quod e parvis et levibus
ardore di fiamme.
est elementis,
Molte cose infatti vediamo
nec facilest tali naturae obsistere accendersi penetrate dai semi
quicquam;
delle fiamme
inter enim fugit ac penetrat per
celesti, quando un colpo dal cielo
rara viarum,
ha dato ad esse il suo calore.
non igitur multis offensibus in
E d'altronde, quando un albero
remorando
ramoso, battuto dai venti,
haesitat, hanc ob rem celeri volat vacillando fluttua e si getta sui
impete labens.
rami di un altro albero,
Deinde, quod omnino natura
si sprigiona il fuoco, cavato fuori
pondera deorsum
dal possente attrito,
omnia nituntur, cum plagast
prorompe talora il fervido ardore
addita vero,
della fiamma,
mobilitas duplicatur et impetus ille mentre tra loro i rami e i tronchi si
gravescit,
sfregano a vicenda.
ut vehementius et citius quae
E l'una e l'altra di queste cause
cumque morantur
può aver dato ai mortali il fuoco.
obvia discutiat plagis itinerque
Poi il sole insegnò loro a cuocere il
sequatur.
cibo e ad ammollirlo
Denique quod longo venit
col calore della fiamma, poiché
impete, sumere debet
vedevano molte cose maturare
mobilitatem etiam atque etiam,
vinte dalle sferzate dei raggi e
quae crescit eundo
dalla calura per i campi.
et validas auget viris et roborat
E di giorno in giorno sempre più a
ictum;
mutare il cibo e la vita
nam facit ut quae sint illius semina anteriore con nuove scoperte e col
cumque
fuoco insegnavano loro
e regione locum quasi in unum
quelli che eccellevano per ingegno
cuncta ferantur,
e vigore d'animo.
omnia coniciens in eum volventia I re incominciarono a fondare città
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cursum.
Forsitan ex ipso veniens trahat
aeëre quaedam
corpora, quae plagis incendunt
mobilitatem.
incolumisque venit per res atque
integra transit
multa, foraminibus liquidus quia
transviat ignis.
multaque perfringit, cum corpora
fulminis ipsa
corporibus rerum inciderunt, qua
texta tenentur.
dissoluit porro facile aes
aurumque repente
conferve facit, e parvis quia facta
minute
corporibus vis est et levibus ex
elementis,
quae facile insinuantur et
insinuata repente
dissoluont nodos omnis et vincla
relaxant.
Autumnoque magis stellis
fulgentibus alta
concutitur caeli domus undique
totaque tellus,
et cum tempora se veris florentia
pandunt.
frigore enim desunt ignes ventique
calore
deficiunt neque sunt tam denso
corpore nubes.
interutrasque igitur cum caeli
tempora constant,
tum variae causae concurrunt
fulminis omnes.
e a costruire rocche,
per trovarvi essi stessi difesa e
rifugio,
e divisero il bestiame e i campi, e
li donarono
secondo la bellezza e la forza e
l'ingegno di ciascuno;
perché la bellezza ebbe molto
valore e la forza gran pregio.
Più tardi fu scoperta la ricchezza e
fu trovato l'oro,
che facilmente tolse onore sia ai
belli che ai forti;
al séguito del più ricco difatti gli
uomini per lo più s'accodano,
quantunque siano e forti e dotati
di bei corpi.
Ma, se si vuol governare la vita
secondo la verità,
ricchezza grande è per l'uomo il
vivere parcamente
con animo sereno; giacché del
poco non c'è mai penuria.
Ma gli uomini vollero essere illustri
e potenti,
perché su fondamento stabile
perdurasse la loro fortuna
e opulenti potessero condurre una
placida vita;
invano, perché, lottando per
ascendere al vertice degli onori,
si fecero pieno di insidie il
cammino,
e, quand'anche vi giungano, dal
vertice l'invidia, come un fulmine,
colpendoli talvolta li precipita con
disprezzo nel Tartaro tetro;
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nam fretus ipse anni permiscet
frigus [ad] aestum.
quorum utrumque opus est
fabricanda ad fulmina nubi,
ut discordia [sit] rerum magnoque
tumultu
ignibus et ventis furibundus
fluctuet aeër.
perché per l'invidia, come per il
fulmine, per lo più ardono
i vertici e tutte le cose che si
elevano al disopra di altre;
sì che è molto meglio obbedire
quieto
che aspirare al potere supremo e
al possesso di regni.
Lascia dunque che invano spossati
sudino sangue,
ut discordia [sit] rerum magnoque lottando per l'angusto cammino
tumultu
dell'ambizione;
ignibus et ventis furibundus
giacché il loro sapere dipende
fluctuet aeër.
dalla bocca altrui, e mirano alle
prima caloris enim pars est
cose
postrema rigoris;
seguendo ciò che hanno udito dire
tempus id est vernum; quare
piuttosto che i propri sensi,
pugnare necessest
né ciò è ora, né sarà in avvenire
dissimilis [res] inter se turbareque più di quanto fu per l'innanzi.
mixtas.
Dunque, uccisi i re, giacevano
et calor extremus primo cum
abbattuti
frigore mixtus
l'antica maestà dei troni e gli
volvitur, autumni quod fertur
scettri superbi;
nomine tempus,
e lo splendido ornamento della
hic quoque confligunt hiemes
testa regale, insanguinato,
aestatibus acres.
sotto i piedi del volgo piangeva il
propterea [freta] sunt haec anni
grande onore;
nominitanda,
con ardore infatti si calpesta ciò
nec mirumst, in eo si tempore
che troppo fu prima temuto.
plurima fiunt
Così le cose eran ridotte a estrema
fulmina tempestasque cietur
confusione e turbamento,
turbida caelo,
mentre ognuno cercava per sé il
ancipiti quoniam bello turbatur
potere e la sovranità.
utrimque,
Poi una parte di essi insegnò a
hinc flammis, illinc ventis
creare magistrati
umoreque mixto.
e fondò il diritto, perché volessero
Hoc est igniferi naturam
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fulminis ipsam
perspicere et qua vi faciat rem
quamque videre,
non Tyrrhena retro volventem
carmina frustra
indicia occultae divum perquirere
mentis,
unde volans ignis pervenerit aut in
utram se
verterit hinc partim, quo pacto per
loca saepta
insinuarit, et hinc dominatus ut
extulerit se,
quidve nocere queat de caelo
fulminis ictus.
quod si Iuppiter atque alii
fulgentia divi
terrifico quatiunt sonitu caelestia
templa
et iaciunt ignem quo cuiquest
cumque voluntas,
cur quibus incautum scelus
aversabile cumquest
non faciunt icti flammas ut fulguris
halent
pectore perfixo, documen
mortalibus acre,
et potius nulla sibi turpi conscius
in re
volvitur in flammis innoxius inque
peditur
turbine caelesti subito correptus et
igni?
cur etiam loca sola petunt
frustraque laborant?
an tum bracchia consuescunt
osservare le leggi.
Infatti il genere umano, spossato
dal vivere una vita di violenza,
languiva per le inimicizie; perciò
tanto più spontaneamente
si sottomise da sé stesso alle leggi
e alla stretta giustizia.
Poiché ognuno, difatti, nell'ira
s'apprestava a vendetta
più crudele di quella che ora
concedono le giuste leggi,
per questo agli uomini venne a
tedio il vivere una vita di violenza.
Da allora il timore delle pene
guasta i doni della vita.
Giacché violenza e ingiustizia
irretiscono ognuno
e per lo più ricadono su colui da
cui nacquero,
né trascorrere una vita placida e
pacata è facile
per chi vìola coi propri atti i
comuni patti di pace.
Infatti, benché sfugga alla stirpe
divina e all'umana,
tuttavia non può esser sicuro che
il misfatto resterà sempre occulto;
e invero si dice che molti, spesso
parlando nel sonno
o delirando per malattia, si
tradirono
e manifestarono colpe ‹a lungo›
celate.
Ora, quale causa abbia diffuso per
le grandi nazioni
la potenza degli dèi e abbia
riempito le città di altari
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (22 of 75) [07/08/2003 21.46.55]
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firmantque lacertos?
e abbia fatto istituire solenni riti,
in terraque patris cur telum
quei riti
perpetiuntur
che oggi fioriscono in grandi
optundi? cur ipse sinit neque
occasioni e in grandi sedi,
parcit in hostis?
donde ancor oggi è piantato
denique cur numquam caelo iacit dentro i mortali l'orrore
undique puro
che innalza nuovi templi di dèi su
Iuppiter in terras fulmen
tutta la terra
sonitusque profundit?
e costringe a frequentarli nei
an simul ac nubes successere, ipse giorni festivi,
in eas tum
non è tanto difficile spiegare con
descendit, prope ut hinc teli
parole.
determinet ictus?
E difatti già allora le stirpi dei
in mare qua porro mittit ratione? mortali vedevano
quid undas
nelle menti durante la veglia
arguit et liquidam molem
eccellenti immagini di dèi,
camposque natantis?
e queste in sogno apparivano di
praeterea si vult caveamus
ancor più mirabile corporatura.
fulminis ictum,
A queste, dunque, attribuivano il
cur dubitat facere ut possimus
senso perché pareva
cernere missum?
che movessero le membra e
si nec opinantis autem volt
proferissero parole superbe,
opprimere igni,
confacenti allo splendido aspetto e
cur tonat ex illa parte, ut vitare
alle forze imponenti.
queamus,
E attribuivano loro vita eterna,
cur tenebras ante et fremitus et
perché sempre la loro immagine
murmura concit?
si rinnovava e la forma rimaneva
et simul in multas partis qui
inalterata
credere possis
e, d'altronde, soprattutto perché
mittere? an hoc ausis numquam
pensavano che esseri dotati di
contendere factum,
forze
ut fierent ictus uno sub tempore
così grandi non potessero
plures?
facilmente esser vinti da alcuna
at saepest numero factum fierique forza.
necessest,
E pensavano che per sorte molto
ut pluere in multis regionibus et
eccellessero,
cadere imbris,
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fulmina sic uno fieri sub tempore perché il timore della morte non
ne tormentava alcuno,
multa.
postremo cur sancta deum delubra e insieme perché in sogno li
vedevano compiere molte
suasque
discutit infesto praeclaras fulmine e mirabili azioni senza risentirne
essi stessi alcuna fatica.
sedes
Scorgevano inoltre i fenomeni
et bene facta deum frangit
celesti e le varie stagioni
simulacra suisque
demit imaginibus violento volnere dell'anno rotare secondo un ordine
costante,
honorem?
né potevano conoscere per quali
altaque cur plerumque petit loca
cause questo avvenisse.
plurimaque eius
Dunque avevano per sé via
montibus in summis vestigia
d'uscita l'assegnare ogni cosa
cernimus ignis?
Quod super est, facilest ex his agli dèi e supporre che al cenno di
quelli ogni cosa obbedisse.
cognoscere rebus,
E nel cielo collocarono le sedi e le
presteras Graii quos ab re
regioni degli dèi,
nominitarunt,
in mare qua missi veniant ratione perché nel cielo si vedono girare la
notte e la luna,
superne.
la luna, il giorno e la notte, e le
nam fit ut inter dum tam quam
severe stelle della notte,
demissa columna
in mare de caelo descendat, quam e le faci del cielo che vagano di
notte, e le fiamme volanti,
freta circum
le nubi, il sole, le piogge, la neve, i
fervescunt graviter spirantibus
venti, i fulmini, la grandine,
incita flabris,
e i rapidi fremiti e i grandi
et quae cumque in eo tum sint
minacciosi fragori.
deprensa tumultu
O infelice genere umano, quando
navigia in summum veniant
agli dèi
vexata periclum.
hoc fit ubi inter dum non quit vis attribuì tali azioni ed aggiunse ire
acerbe!
incita venti
rumpere quam coepit nubem, sed Che gemiti allora a sé stessi, che
piaghe a noi,
deprimit, ut sit
che lacrime cagionarono ai nostri
in mare de caelo tam quam
discendenti!
demissa columna,
Né è punto vera pietà farsi spesso
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paulatim, quasi quid pugno
bracchique superne
coniectu trudatur et extendatur in
undas;
quam cum discidit, hinc
prorumpitur in mare venti
vis et fervorem mirum concinnat
in undis;
versabundus enim turbo descendit
et illam
deducit pariter lento cum corpore
nubem;
quam simul ac gravidam detrusit
ad aequora ponti,
ille in aquam subito totum se
inmittit et omne
excitat ingenti sonitu mare fervere
cogens.
Fit quoque ut involvat venti se
nubibus ipse
vertex conradens ex aeëre semina
nubis
et quasi demissum caelo prestera
imitetur;
hic ubi se in terras demisit
dissoluitque,
turbinis immanem vim provomit
atque procellae.
sed quia fit raro omnino
montisque necessest
officere in terris, apparet crebrius
idem
prospectu maris in magno
caeloque patenti.
Nubila concrescunt, ubi corpora
multa volando
hoc super in caeli spatio coiere
vedere nell'atto di volgersi
velato a un sasso e accostarsi a
tutti gli altari,
né gettarsi a terra prosternato e
protendere le palme
innanzi ai templi degli dèi, né
cospargere gli altari
con molto sangue di quadrupedi,
né intrecciar voti a voti,
ma piuttosto il poter contemplare
ogni cosa con mente tranquilla.
Difatti, quando leviamo lo sguardo
alle celesti plaghe
del vasto mondo, lassù, e all'etere
trapunto di stelle fulgenti,
e il pensiero si volge ai corsi del
sole e della luna,
allora, contro i petti oppressi da
altri mali comincia
a ergere il capo ridesto anche
quell'angoscioso pensiero,
che non ci sia per caso su di noi
un immenso potere di dèi,
che con vario movimento volga gli
astri splendenti.
Ignorando le cause, infatti, la
mente è assillata dal dubbio
se mai ci sia stata un'origine
primigenia del mondo
e, insieme, se ci sia un termine
fino al quale le mura del mondo
possano sopportare questo
travaglio di moto affannoso,
oppure, dotate di eterna esistenza
dal volere divino,
possano, volando per un tratto
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repente
asperiora, modis quae possint
indupedita
exiguis tamen inter se compressa
teneri.
haec faciunt primum parvas
consistere nubes;
inde ea comprendunt inter se
conque gregantur
et coniungendo crescunt ventisque
feruntur
usque adeo donec tempestas
saeva coortast.
Fit quoque uti montis vicina
cacumina caelo
quam sint quoque magis, tanto
magis edita fument
adsidue fulvae nubis caligine
crassa
propterea quia, cum consistunt
nubila primum,
ante videre oculi quam possint
tenvia, venti
portantes cogunt ad summa
cacumina montis;
hic demum fit uti turba maiore
coorta
et condensa queant apparere et
simul ipso
vertice de montis videantur
surgere in aethram.
nam loca declarat sursum ventosa
patere
res ipsa et sensus, montis cum
ascendimus altos.
Praeterea permulta mari
ininterrotto di tempo,
disprezzare le possenti forze di
un'età immensa.
Oltre a ciò, a chi non si stringe il
cuore per timore degli dèi,
a chi non si raggricciano le
membra per paura,
quando sotto l'orribile colpo del
fulmine la terra arsa
trema tutta e fragori percorrono il
vasto cielo?
Non tremano popoli e genti, e i re
superbi
non contraggono le membra
percossi dal timore degli dèi,
immaginando che per qualche
azione turpe o parola superba
sia giunto il penoso tempo di
pagare il fio?
E, quando l'enorme forza del
vento che imperversa per il mare
spazza via su per l'onde il
comandante d'una flotta
insieme con le possenti legioni e
gli elefanti,
non cerca egli con voti la pace
degli dèi, non invoca pregando
pavido il placarsi dei venti e
brezze favorevoli,
ma invano, giacché spesso,
afferrato da turbine violento,
vien tuttavia trasportato nelle
secche della morte?
A tal punto una forza nascosta
schiaccia le cose umane
e sembra calpestare e avere a
scherno
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quoque tollere toto
corpora naturam declarant litore
vestis
suspensae, cum concipiunt umoris
adhaesum.
quo magis ad nubis augendas
multa videntur
posse quoque e salso consurgere
momine ponti;
nam ratio consanguineast
umoribus omnis.
Praeterea fluviis ex omnibus et
simul ipsa
surgere de terra nebulas
aestumque videmus,
quae vel ut halitus hinc ita sursum
expressa feruntur
suffunduntque sua caelum caligine
et altas
sufficiunt nubis paulatim
conveniundo;
urget enim quoque signiferi super
aetheris aestus
et quasi densendo subtexit caerula
nimbis.
Fit quoque ut hunc veniant in
caelum extrinsecus illa
corpora quae faciunt nubis
nimbosque volantis;
innumerabilem enim numerum
summamque profundi
esse infinitam docui, quantaque
volarent
corpora mobilitate ostendi
quamque repente
immemorabile [per] spatium
transire solerent.
gli splendidi fasci e le scuri
spietate.
Infine, quando sotto i piedi la terra
tutta vacilla
e scosse cadono le città o
minacciano di cadere,
che meraviglia se le stirpi mortali
disprezzano sé stesse
e ammettono nel mondo vasti
poteri e mirabili forze
di dèi che governino tutte le cose?
Quanto al resto, il rame e l'oro e il
ferro e, insieme ad essi,
il peso dell'argento e il potere del
piombo furono scoperti
quando il fuoco avvampante aveva
arso immense selve
su grandi monti, o per un fulmine
piombato dal cielo,
o perché gli uomini, guerreggiando
tra loro nelle selve,
avevano scagliato il fuoco tra i
nemici per atterrirli,
o perché, allettati dalla bontà del
terreno, volevano
aprire pingui campi e a pascoli
ridurre le campagne,
o far massacro di belve e
arricchirsi di preda.
Difatti il cacciare con la fossa e col
fuoco sorse prima
che il cingere il bosco con reti e lo
scovare la selvaggina coi cani.
Comunque sia, quale che fosse la
causa per cui l'ardore
delle fiamme aveva divorato con
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haut igitur mirumst, si parvo
tempore saepe
tam magnis ventis tempestas
atque tenebrae
coperiant maria ac terras inpensa
superne,
undique quandoquidem per caulas
aetheris omnis
et quasi per magni circum
spiracula mundi
exitus introitusque elementis
redditus extat.
Nunc age, quo pacto pluvius
concrescat in altis
nubibus umor et in terras
demissus ut imber
decidat, expediam. primum iam
semina aquai
multa simul vincam consurgere
nubibus ipsis
omnibus ex rebus pariterque ita
crescere utrumque
et nubis et aquam, quae cumque
in nubibus extat,
ut pariter nobis corpus cum
sanguine crescit,
sudor item atque umor qui
cumque est denique membris.
concipiunt etiam multum quoque
saepe marinum
umorem, vel uti pendentia vellera
lanae,
cum supera magnum mare venti
nubila portant.
consimili ratione ex omnibus
amnibus umor
orrendo fragore le selve
dalle profonde radici e aveva cotto
a fondo col fuoco la terra,
colavano dalle vene bollenti
confluendo nelle cavità della terra
rivoli d'argento e d'oro e anche di
rame e di piombo.
E quando gli uomini li vedevano
poi rappresi
risplendere sul suolo di lucido
colore,
li raccoglievano, avvinti dalla
nitida e levigata bellezza,
e vedevano che erano foggiati in
forma simile a quella
che aveva l'impronta dell'incavo di
ognuno.
Allora in essi entrava il pensiero
che questi, liquefatti al calore,
potessero colando plasmarsi in
qualsiasi forma e aspetto di
oggetti,
e che martellandoli si potesse
forgiarli in punte di pugnali
quanto mai si volesse acute e
sottili,
sì da procurarsi armi e poter
tagliare selve
ed asciare il legname e piallare e
levigare travi
ed anche trapanare e trafiggere e
perforare.
E dapprima s'apprestavano a far
queste cose con l'argento e l'oro
non meno che con la forza
violenta del possente rame,
ma invano, poiché la tempra di
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tollitur in nubis. quo cum bene
semina aquarum
multa modis multis convenere
undique adaucta,
confertae nubes umorem mittere
certant
dupliciter; nam vis venti contrudit
et ipsa
copia nimborum turba maiore
coacta
urget et e supero premit ac facit
effluere imbris.
praeterea cum rarescunt quoque
nubila ventis
aut dissolvuntur solis super icta
calore,
mittunt umorem pluvium
stillantque, quasi igni
cera super calido tabescens multa
liquescat.
sed vehemens imber fit, ubi
vehementer utraque
nubila vi cumulata premuntur et
impete venti.
at retinere diu pluviae longumque
morari
consuerunt, ubi multa cientur
semina aquarum
atque aliis aliae nubes nimbique
rigantes
insuper atque omni vulgo de parte
feruntur,
terraque cum fumans umorem
tota redhalat.
hic ubi sol radiis tempestatem
inter opacam
adversa fulsit nimborum aspargine
quelli vinta cedeva,
né potevano sopportare
ugualmente il duro sforzo.
Difatti ‹il rame› era più pregiato e
l'oro era trascurato
per l'inutilità, perché si smussava
con la punta rintuzzata.
Ora è trascurato il rame, l'oro è
asceso al più alto onore.
Così il volgere del tempo tramuta
le stagioni delle cose:
ciò che era in pregio, diventa
alfine di nessun valore;
quindi subentra un'altra cosa ed
esce ‹dal› disprezzo
e sempre più, di giorno in giorno,
è desiderata, e una volta scoperta
fiorisce di lodi e gode tra i mortali
di mirabile onore.
Ora in qual modo sia stata
scoperta la natura del ferro,
ti è facile conoscere da te stesso,
o Memmio.
Armi furono in antico le mani, le
unghie e i denti
e i sassi, e inoltre i rami spezzati
nelle selve,
poi fiamme e fuoco, da quando se
n'ebbe la prima conoscenza.
In séguito fu scoperta la forza del
ferro e del bronzo.
E l'uso del bronzo fu conosciuto
prima di quello del ferro,
in quanto la sua natura è più
malleabile e di più esso abbonda.
Col bronzo lavoravano il terreno, e
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contra,
tum color in nigris existit nubibus
arqui.
Cetera quae sursum crescunt
sursumque creantur,
et quae concrescunt in nubibus,
omnia, prorsum
omnia, nix venti grando
gelidaeque pruinae
et vis magna geli, magnum
duramen aquarum,
et mora quae fluvios passim
refrenat aventis,
perfacilest tamen haec reperire
animoque videre,
omnia quo pacto fiant quareve
creentur,
cum bene cognoris elementis
reddita quae sint.
Nunc age, quae ratio terrai
motibus extet
percipe. et in primis terram fac ut
esse rearis
supter item ut supera ventosis
undique plenam
speluncis multosque lacus
multasque lucunas
in gremio gerere et rupes
deruptaque saxa;
multaque sub tergo terrai flumina
tecta
volvere vi fluctus summersos
[cae]ca putandumst;
undique enim similem esse sui res
postulat ipsa.
his igitur rebus subiunctis
col bronzo agitavano
flutti di guerra e spargevano ferite
devastatrici
e depredavano greggi e campi.
Infatti tutto quel ch'era nudo
e inerme cedeva facilmente a
quelli ch'erano armati.
Poi a poco a poco si fece strada la
spada di ferro
e divenne obbrobriosa la foggia
della falce di bronzo,
e col ferro incominciarono a
solcare il suolo della terra
e furono uguagliati i cimenti della
guerra dall'esito incerto.
E montare armato sui fianchi del
cavallo e guidarlo
col morso e combattere con la
destra, è uso più antico
che tentare i rischi della guerra su
un carro a due cavalli.
E due cavalli si usò aggiogare
prima che quattro
e prima che salire armati sui carri
muniti di falci.
Poi ai bovi lucani dal corpo turrito,
spaventosi,
con la proboscide serpentina, i
Punici insegnarono a sopportare
in guerra le ferite e a scompigliare
le grandi schiere di Marte.
Così la triste discordia produsse,
l'una dopo l'altra,
cose fatte per incutere orrore alle
genti umane in armi,
e di giorno in giorno fece crescere
i terrori della guerra.
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suppositisque
terra superne tremit magnis
concussa ruinis,
subter ubi ingentis speluncas
subruit aetas;
quippe cadunt toti montes
magnoque repente
concussu late disserpunt inde
tremores.
et merito, quoniam plaustris
concussa tremescunt
tecta viam propter non magno
pondere tota,
nec minus exultant, si quidvis
cumque viai
ferratos utrimque rotarum succutit
orbes.
Fit quoque, ubi in magnas
aquae vastasque lucunas
gleba vetustate e terra provolvitur
ingens,
ut iactetur aquae fluctu quoque
terra vacillans;
ut vas inter [aquas] non quit
constare, nisi umor
destitit in dubio fluctu iactarier
intus.
Praeterea ventus cum per loca
subcava terrae
collectus parte ex una procumbit
et urget
obnixus magnis speluncas viribus
altas,
incumbit tellus quo venti prona
premit vis.
tum supera terram quae sunt
extructa domorum
Sperimentarono anche tori nelle
imprese di guerra
e tentarono d'avventare contro i
nemici cinghiali feroci.
E alcuni lanciarono innanzi a sé
vigorosi leoni
con domatori armati e spietati
maestri,
che potessero guidarli e tenerli in
catene,
ma invano, perché, caldi della
confusa strage, inferociti,
i leoni scompigliavano le torme
senza alcuna distinzione,
squassando dappertutto le criniere
terrificanti,
né i cavalieri potevano placare i
petti dei cavalli
spauriti al ruggito, né rivolgerli coi
freni contro i nemici.
Le leonesse slanciavano d'un
balzo, da ogni lato, i corpi
concitati,
e s'avventavano ai volti di quelli
che andavano incontro ad esse,
e strappavano giù quelli che
sorprendevano da tergo
e, avvinghiandosi intorno, li
gettavano a terra vinti dalle ferite,
attaccate a loro con i morsi
poderosi e gli artigli adunchi.
E i tori sbalzavan via gli uomini
della propria schiera e con le
zampe
li schiacciavano, e ai cavalli fianchi
e ventri trafiggevano di sotto
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ad caelumque magis quanto sunt con le corna, e sconvolgevano il
terreno con impeto minaccioso.
edita quaeque,
inclinata minent in eandem prodita E i cinghiali con le zanne poderose
massacravano gli alleati,
partem
protractaeque trabes inpendent ire cospargendo furibondi col proprio
sangue i dardi in loro infranti,
paratae.
[cospargendo col proprio sangue i
et metuunt magni naturam
dardi infranti nei propri corpi]
credere mundi
exitiale aliquod tempus clademque e atterravano cavalieri e fanti in
confusa rovina.
manere,
I cavalli infatti cercavano di
cum videant tantam terrarum
schivare le feroci zannate
incumbere molem!
gettandosi
quod nisi respirent venti, [vis]
di traverso, o impennandosi
nulla refrenet
percotevano l'aria con gli zoccoli,
res neque ab exitio possit
ma invano, ché si potevano
reprehendere euntis;
nunc quia respirant alternis inque vedere coi garretti troncati
crollare e coprire il terreno con
gravescunt
pesante caduta.
et quasi collecti redeunt
Se alcune belve prima gli uomini
ceduntque repulsi,
credevano abbastanza domate
saepius hanc ob rem minitatur
e addomesticate, nel fervere della
terra ruinas
mischia le vedevano infiammarsi
quam facit; inclinatur enim
per le ferite, il clamore, la fuga, il
retroque recellit
et recipit prolapsa suas in pondere terrore, il tumulto,
né potevano ricondurne indietro
sedes.
hac igitur ratione vacillant omnia alcuna parte;
infatti tutte le varie specie delle
tecta,
summa magis mediis, media imis, fiere fuggivano qua e là;
come ora i bovi lucani, malamente
ima perhilum.
colpiti dal ferro, sovente
Est haec eiusdem quoque
fuggono qua e là, dopo aver fatto
magni causa tremoris.
ventus ubi atque animae subito vis stragi di amici.
Se avvenne che facessero questo.
maxima quaedam
Ma a stento posso indurmi
aut extrinsecus aut ipsa tellure
a credere che non abbiano potuto
coorta
presentire e vedere con la mente,
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in loca se cava terrai coniecit
ibique
speluncas inter magnas fremit
ante tumultu
versabunda portatur, post incita
cum vis
exagitata foras erumpitur et simul
altam
diffindens terram magnum
concinnat hiatum.
in Syria Sidone quod accidit et fuit
Aegi
in Peloponneso, quas exitus hic
animai
disturbat urbes et terrae motus
obortus.
multaque praeterea ceciderunt
moenia magnis
motibus in terris et multae per
mare pessum
subsedere suis pariter cum civibus
urbes.
quod nisi prorumpit, tamen
impetus ipse animai
et fera vis venti per crebra
foramina terrae
dispertitur ut horror et incutit inde
tremorem;
frigus uti nostros penitus cum
venit in artus,
concutit invitos cogens tremere
atque movere.
ancipiti trepidant igitur terrore per
urbis,
tecta superne timent, metuunt
inferne cavernas
terrai ne dissoluat natura repente,
prima che avvenisse, l'atroce male
che li avrebbe colpiti tutti;
e meglio potresti asserire che ciò
sia avvenuto entro l'universo,
nei vari mondi in varia maniera
creati,
anziché su una qualunque
determinata ed unica terra.
Ma vollero far questo, non tanto
per la speranza di vincere,
quanto per dar motivo di pianto ai
nemici, e perire essi stessi,
giacché non confidavano nel
numero ed erano privi di armi.
La veste intrecciata precedette
l'abito tessuto.
Il tessuto viene dopo il ferro,
perché col ferro s'appresta il
telaio,
né in altro modo si posson
produrre strumenti così levigati,
spole e fusi, navette e rulli sonori.
E a lavorare la lana la natura
costrinse gli uomini prima
che la stirpe delle donne (giacché
molto eccelle nell'arte
e molto più industriosa è in genere
la stirpe virile),
finché i severi contadini fecero di
ciò una colpa,
sì che quelli vollero lasciarne la
cura a mani femminili
e sopportare essi stessi
ugualmente dura fatica
e indurire in duro lavoro le
membra e le mani.
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neu distracta suum late dispandat Ma esempio per la semina e
origine dell'innesto
hiatum
idque suis confusa velit complere fu dapprima la stessa natura
creatrice delle cose,
ruinis.
perché le bacche e le ghiande
proinde licet quamvis caelum
cadute dagli alberi facevano
terramque reantur
incorrupta fore aeternae mandata a piè di questi pullulare nella
giusta stagione sciami di polloni;
saluti:
et tamen inter dum praesens vis di là venne anche l'idea di inserire
germogli nei rami
ipsa pericli
subdit et hunc stimulum quadam e di piantare nella terra novelli
virgulti per i campi.
de parte timoris,
ne pedibus raptim tellus subtracta Poi tentavano altre e altre colture
del caro campicello
feratur
in barathrum rerumque sequatur e vedevano che i frutti selvatici si
ammansivano nel terreno
prodita summa
per effetto di premurosa
funditus et fiat mundi confusa
attenzione e amorevole cura.
ruina.
E ogni giorno di più costringevano
***
le selve a ritrarsi
Principio mare mirantur non
in su, sopra i monti, e a far posto
reddere maius
naturam, quo sit tantus decursus in basso alle colture,
per aver prati, stagni, ruscelli,
aquarum,
messi e floridi vigneti
omnia quo veniant ex omni
sui colli e nelle pianure, e perché
flumina parte.
adde vagos imbris tempestatesque la cerula zona
degli ulivi col suo risalto potesse
volantes,
correre in mezzo,
omnia quae maria ac terras
sparsa per poggi e convalli e
sparguntque rigantque;
adde suos fontis; tamen ad maris pianure; come ora vedi
per varia bellezza risaltare tutta la
omnia summam
campagna,
guttai vix instar erunt unius
che gli uomini ornano piantandovi
adaugmen;
in mezzo
quo minus est mirum mare non
dolci frutteti e cingono piantando
augescere magnum.
Praeterea magnam sol partem intorno alberi feraci.
Ma l'imitare con la bocca le
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detrahit aestu.
limpide voci degli uccelli
quippe videmus enim vestis umore fu molto prima che gli uomini
madentis
fossero capaci di praticare
exsiccare suis radiis ardentibus
il canto di versi armoniosi e
solem;
dilettare gli orecchi.
at pelage multa et late substrata E i sibili dello zefiro per le cavità
videmus.
delle canne dapprima
proinde licet quamvis ex uno
insegnarono ai campagnoli a
quoque loco sol
soffiare entro cave zampogne.
umoris parvam delibet ab aequore Poi a poco a poco appresero i dolci
partem,
lamenti
largiter in tanto spatio tamen
che effonde il flauto toccato dalle
auferet undis.
dita dei sonatori,
Tum porro venti quoque
scoperto fra remoti boschi e selve
magnam tollere partem
e pascoli,
umoris possunt verrentes
nei solinghi luoghi dei pastori e
aequora, ventis
negli ozi divini.
una nocte vias quoniam persaepe [Così gradatamente il tempo rivela
videmus
ogni cosa,
siccari mollisque luti concrescere e la ragione la innalza alle plaghe
crustas.
della luce.]
Praeterea docui multum quoque Questi suoni carezzavano loro gli
tollere nubes
animi e davano diletto,
umorem magno conceptum ex
quando erano sazi di cibo; allora
aequore ponti
infatti tutto è caro al cuore.
et passim toto terrarum spargere Spesso, dunque, familiarmente
in orbi,
distesi sull'erba morbida,
cum pluit in terris et venti nubila presso un ruscello, sotto i rami di
portant.
un albero alto,
Postremo quoniam raro cum
con tenui mezzi davano giocondità
corpore tellus
ai corpi,
est et coniunctast oras maris
soprattutto quando il tempo
undique cingens,
arrideva e la stagione
debet, ut in mare de terris venit
dipingeva di fiori le erbe
umor aquai,
verdeggianti.
in terras itidem manare ex
Allora solevano esserci gli scherzi,
aequore salso;
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allora i conversari, allora i dolci
percolatur enim virus retroque
scoppi di gaiezza; allora infatti la
remanat
musa agreste era in rigoglio;
materies umoris et ad caput
allora una libera allegria li
amnibus omnis
spingeva a ornare il capo
confluit, inde super terras redit
e le spalle con corone intrecciate
agmine dulci
qua via secta semel liquido pede di fiori e di foglie,
e ad avanzare in danza senza
detulit undas.
Nunc ratio quae sit, per fauces ritmo, duramente movendo
le membra, e a battere con duro
montis ut Aetnae
piede la madre terra;
expirent ignes inter dum turbine
di lì nascevano risa e dolci scoppi
tanto,
di gaiezza, perché allora
expediam; neque enim mediocri
tutte queste cose, più nuove e
clade coorta
meravigliose, erano pregiate.
flammae tempestas Siculum
E se vegliavano, di qui avevano
dominata per agros
finitimis ad se convertit gentibus sollievo per il sonno perduto:
far passare la voce per molti toni e
ora,
fumida cum caeli scintillare omnia modulare il canto,
e correre col labbro incurvato su
templa
per le canne del flauto;
cernentes pavida complebant
donde venne questa usanza che
pectora cura,
anche ora conservano le scolte,
quid moliretur rerum natura
e hanno imparato a osservare i
novarum.
Hisce tibi in rebus latest alteque tipi dei ritmi, ma intanto
non colgono affatto un frutto di
videndum
dolcezza maggiore di quello
et longe cunctas in partis
che coglieva la stirpe silvestre dei
dispiciendum,
figli della terra.
ut reminiscaris summam rerum
Difatti ciò che è a disposizione, se
esse profundam
non abbiamo conosciuto prima
et videas caelum summai totius
qualche cosa di più dolce, ci piace
unum
sopra tutto e sembra prevalere,
quam sit parvula pars et quam
ma per lo più una scoperta
multesima constet
nec tota pars, homo terrai quota posteriore lo annienta
e muta il nostro sentire riguardo a
totius unus.
ogni cosa passata.
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quod bene propositum si plane
contueare
ac videas plane, mirari multa
relinquas.
numquis enim nostrum miratur,
siquis in artus
accepit calido febrim fervore
coortam
aut alium quemvis morbi per
membra dolorem?
opturgescit enim subito pes,
arripit acer
saepe dolor dentes, oculos invadit
in ipsos,
existit sacer ignis et urit corpore
serpens
quam cumque arripuit partem
repitque per artus,
ni mirum quia sunt multarum
semina rerum
et satis haec tellus morbi
caelumque mali fert,
unde queat vis immensi
procrescere morbi.
sic igitur toti caelo terraeque
putandumst
ex infinito satis omnia
suppeditare,
unde repente queat tellus
concussa moveri
perque mare ac terras rapidus
percurrere turbo,
ignis abundare Aetnaeus,
flammescere caelum;
id quoque enim fit et ardescunt
caelestia templa
et tempestates pluviae graviore
Così nacque l'avversione per le
ghiande, così furono abbandonati
quei giacigli cosparsi di erbe e
guarniti di fronde.
Cadde anche nel disprezzo la
veste di pelle ferina;
che, quando fu scoperta, suscitò,
io credo, tale invidia
da cagionare insidie e morte a chi
la indossò per primo;
e tuttavia, lacerata da coloro che
se la strappavan di mano,
fra molto sangue fu distrutta
senza poter giovare.
Allora, dunque, le pelli, ora l'oro e
la porpora tormentano
con affannosi desideri la vita degli
uomini e l'affaticano in guerra;
e perciò, come credo, la colpa
maggiore sta in noi.
Infatti, nudi, senza pelli, i figli
della terra erano martoriati
dal freddo; ma a noi non nuoce
affatto l'esser privi
d'una veste di porpora e adorna
d'oro e di grandi figure,
purché abbiamo una veste plebea
che possa proteggerci.
Dunque il genere umano a vuoto e
invano si travaglia
sempre e consuma ‹in› affanni
inutili la vita,
certo perché non conosce quale
sia il limite del possesso
e generalmente fino a qual punto
cresca il vero piacere.
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E questo a poco a poco ha
coortu
sospinto la vita in alto mare
sunt, ubi forte ita se tetulerunt
e ha suscitato dal profondo grandi
semina aquarum.
tempeste di guerra.
'at nimis est ingens incendi
Ma quelle scolte, il sole e la luna,
turbidus ardor.'
con la loro luce
scilicet et fluvius qui visus
percorrendo tutt'intorno la grande,
maximus ei,
rotante volta del cielo,
qui non ante aliquem maiorem
insegnarono agli uomini che le
vidit, et ingens
arbor homoque videtur et omnia stagioni ruotano e che la cosa
si svolge secondo un costante
de genere omni
maxima quae vidit quisque, haec piano e un ordine costante.
Già protetti da torri possenti
ingentia fingit,
passavano la vita
cum tamen omnia cum caelo
e divisa e distinta da confini era
terraque marique
nil sint ad summam summai totius coltivata la terra,
e inoltre il mare fioriva di navi
omnem.
volanti con le vele,
Nunc tamen illa modis quibus
già per patti fissati avevano
inritata repente
ausiliari e alleati, quando i poeti
flamma foras vastis Aetnae
cominciarono a tramandare coi
fornacibus efflet,
expediam. primum totius subcava canti le gesta compiute;
né molto prima furono scoperte le
montis
lettere dell'alfabeto.
est natura fere silicum suffulta
Perciò la nostra età non può
cavernis.
discernere quel che è avvenuto
omnibus est porro in speluncis
prima,
ventus et aeër.
ventus enim fit, ubi est agitando tranne che il ragionamento in
qualche modo non le mostri le
percitus aeër.
tracce.
hic ubi percaluit cale fecitque
Navi e colture dei campi, mura,
omnia circum
leggi,
saxa furens, qua contingit,
armi, vie, vesti ‹e› le altre cose
terramque et ab ollis
excussit calidum flammis velocibus siffatte,
i doni e anche le delizie della vita,
ignem,
tollit se ac rectis ita faucibus eicit tutte quante,
canti, pitture e statue lavorate con
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alte.
arte, levigate, gradatamente
fert itaque ardorem longe
li insegnarono la pratica e,
longeque favillam
insieme, lo sperimentare
differt et crassa volvit caligine
della mente alacre agli uomini
fumum
avanzanti passo passo.
extruditque simul mirando
Così gradatamente il tempo rivela
pondere saxa;
ogni cosa
ne dubites quin haec animai
e la ragione la innalza alle plaghe
turbida sit vis.
della luce.
praeterea magna ex parti mare
Difatti con la mente vedevano
montis ad eius
chiarirsi una cosa dall'altra,
radices frangit fluctus aestumque finché con le arti giunsero al
resolvit.
culmine più alto.
ex hoc usque mari speluncae
Ora spiegherò quale sia la ragione
montis ad altas
per cui attraverso le fauci
perveniunt subter fauces. hac ire del monte Etna spirano a volte
fatendumst
fuochi con turbine
***
tanto grande. E infatti, scoppiata
et penetrare mari penitus res cogit con vasta rovina,
aperto
la tempesta di fiamme,
atque efflare foras ideoque
spadroneggiando per i campi dei
extollere flammam
Siculi,
saxaque subiectare et arenae
attirò su di sé gli sguardi delle
tollere nimbos.
genti vicine,
in summo sunt vertice enim
quando queste, al vedere tutte le
crateres, ut ipsi
regioni del cielo fumide
nominitant, nos quod fauces
mandare scintille, riempivano i
perhibemus et ora.
petti di pauroso affanno,
Sunt aliquot quoque res
domandandosi quali rivolgimenti
quarum unam dicere causam
macchinasse la natura.
non satis est, verum pluris, unde In queste cose è necessario che tu
una tamen sit;
veda largo e a fondo
corpus ut exanimum siquod procul e che scruti lontano in tutte le
ipse iacere
direzioni,
conspicias hominis, fit ut omnis
perché ti rammenti che la somma
dicere causas
delle cose è infinita
conveniat leti, dicatur ut illius una;
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nam [ne]que eum ferro nec frigore e veda come dell'intera somma un
solo cielo
vincere possis
sia una piccola parte e risulti una
interiisse neque a morbo neque
minima frazione,
forte veneno,
verum aliquid genere esse ex hoc né sia tanta parte quanta di tutta
la terra è un uomo solo.
quod contigit ei
Se ti poni ciò bene davanti alla
scimus. item in multis hoc rebus
mente e chiaramente l'osservi
dicere habemus.
e lo vedi chiaramente, di molte
Nilus in aestatem crescit
cose cesserai di meravigliarti.
campisque redundat
Forse alcuno di noi, infatti, si
unicus in terris, Aegypti totius
meraviglia se qualcuno
amnis.
ha contratto nelle membra una
is rigat Aegyptum medium per
febbre insorta con calore
saepe calorem,
ardente o un'altra qualunque
aut quia sunt aestate aquilones
dolorosa malattia nel corpo?
ostia contra,
anni tempore eo, qui etesiae esse Si gonfia infatti d'improvviso un
piede, un acuto dolore
feruntur,
sovente assale i denti, attacca
et contra fluvium flantes
persino gli occhi,
remorantur et undas
cogentes sursus replent coguntque il fuoco sacro scoppia e
serpeggiando nel corpo brucia
manere.
ogni parte che ha assalita, e
nam dubio procul haec adverso
s'insinua attraverso le membra,
flabra feruntur
flumine, quae gelidis ab stellis axis certo perché esistono semi di
molte cose,
aguntur;
ille ex aestifera parti venit amnis e questa terra e il cielo producono
a sufficienza morbi e mali
ab austro
inter nigra virum percocto saecla perché ne possa crescere la
violenza d'una malattia immensa.
colore
exoriens penitus media ab regione Così dunque si deve credere che
all'intero cielo e alla terra
diei.
dall'infinito sia fornita ogni cosa a
est quoque uti possit magnus
sufficienza
congestus harenae
perché possa la terra d'un tratto
fluctibus adversis oppilare ostia
scossa agitarsi
contra,
e per il mare e le terre trascorrere
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cum mare permotum ventis ruit
intus harenam;
quo fit uti pacto liber minus exitus
amnis
et proclivis item fiat minus
impetus undis.
fit quoque uti pluviae forsan magis
ad caput ei
tempore eo fiant, quo etesia flabra
aquilonum
nubila coniciunt in eas tunc omnia
partis.
scilicet, ad mediam regionem
eiecta diei
cum convenerunt, ibi ad altos
denique montis
contrusae nubes coguntur vique
premuntur.
forsitan Aethiopum penitus de
montibus altis
crescat, ubi in campos albas
descendere ningues
tabificis subigit radiis sol omnia
lustrans.
Nunc age, Averna tibi quae sint
loca cumque lacusque,
expediam, quali natura praedita
constent.
principio, quod Averna vocantur
nomine, id ab re
inpositumst, quia sunt avibus
contraria cunctis,
e regione ea quod loca cum
venere volantes,
remigii oblitae pennarum vela
remittunt
praecipitesque cadunt molli
un travolgente turbine,
traboccare il fuoco dell'Etna,
fiammeggiare il cielo.
Anche ciò infatti avviene, e
s'accendono le regioni celesti,
e tempeste di pioggia scoppiano
con maggiore violenza,
quando per caso si sono raccolti
così i semi delle acque.
"Ma troppo è enorme il
tempestoso ardore di questo
incendio".
S'intende; e così è anche per il
fiume che appare il più grande
a colui che non ne ha visto prima
uno più grande; così sembra
enorme un albero o un uomo; e
tutte le cose
che in ogni genere ciascuno ha
viste più grandi, se le immagina
enormi, mentre tutte, insieme con
il cielo e la terra e il mare,
sono nulla rispetto all'intera
somma della somma universale.
Ma ora spiegherò in quali modi
quella fiamma, suscitata
d'un tratto, divampi fuori dalle
vaste fornaci dell'Etna.
In primo luogo, la natura di tutto il
monte è cava di sotto,
generalmente sostenuta da
caverne di basalto.
In tutte le spelonche, inoltre, ci
sono vento ed aria.
Giacché vento diventa l'aria
quando è stimolata da agitazione.
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cervice profusae
in terram, si forte ita fert natura
locorum,
aut in aquam, si forte lacus
substratus Averni.
is locus est Cumas aput, acri
sulpure montis
oppleti calidis ubi fumant fontibus
aucti.
est et Athenaeis in moenibus,
arcis in ipso
vertice, Palladis ad templum
Tritonidis almae,
quo numquam pennis appellunt
corpora raucae
cornices, non cum fumant altaria
donis;
usque adeo fugitant non iras
Palladis acris
pervigili causa, Graium ut cecinere
poeëtae,
sed natura loci opus efficit ipsa
suapte.
in Syria quoque fertur item locus
esse videri,
quadripedes quoque quo simul ac
vestigia primum
intulerint, graviter vis cogat
concidere ipsa,
manibus ut si sint divis mactata
repente.
omnia quae naturali ratione
geruntur,
et quibus e fiant causis apparet
origo;
ianua ne pote eis Orci regionibus
Esso, quando si è molto scaldato e
calde ha fatte, infuriando,
tutte le rocce intorno, dove tocca,
e la terra, e ne ha fatto
prorompere un caldo fuoco con
fiamme veloci,
si leva e si lancia così, dritto per le
fauci, in alto.
E così sparge la vampa lontano, e
lontano dissemina
le faville, ed emette turbini di
fumo con densa caligine,
e insieme caccia fuori massi di
mirabile peso;
quindi non puoi dubitare che
questa sia la burrascosa forza
dell'aria.
Inoltre, su gran parte delle radici
di quel monte il mare
infrange i flutti e ne riassorbe il
ribollìo.
Da questo mare spelonche
s'inoltrano sotterra sino alle alte
fauci del monte. Per questa via
bisogna ammettere che passi
*
e lo stato delle cose lo costringe a
penetrare a fondo dal mare
aperto, e a soffiar fuori e così
levare in alto la fiamma
e lanciare massi e sollevare nembi
di sabbia.
Sull'estrema cima ci sono infatti
crateri, come li chiamano là,
mentre noi li diciamo fauci e
bocche.
Ci sono anche alcuni fatti per i
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esse
credatur, post hinc animas
Acheruntis in oras
ducere forte deos manis inferne
reamur,
naribus alipedes ut cervi saepe
putantur
ducere de latebris serpentia saecla
ferarum.
quod procul a vera quam sit
ratione repulsum
percipe; nam de re nunc ipsa
dicere conor.
Principio hoc dico, quod dixi
saepe quoque ante,
in terra cuiusque modi rerum esse
figuras;
multa, cibo quae sunt, vitalia
multaque, morbos
incutere et mortem quae possint
adcelerare.
et magis esse aliis alias
animantibus aptas
res ad vitai rationem ostendimus
ante
propter dissimilem naturam
dissimilisque
texturas inter sese primasque
figuras.
multa meant inimica per auris,
multa per ipsas
insinuant naris infesta atque
aspera tactu,
nec sunt multa parum tactu
vitanda neque autem
aspectu fugienda saporeque tristia
quae sint.
quali non basta dire
una sola causa, ma bisogna dirne
parecchie, di cui tuttavia
una sola dev'essere la vera. Così,
se per tua parte vedi un corpo
esanime d'uomo giacere lontano,
conviene che tu dica tutte
le cause di morte perché sia detta
quella che sola è per lui vera.
Infatti non potresti provare che sia
morto di spada,
né di freddo, né di malattia, né,
putacaso, di veleno;
ma sappiamo che è qualcosa di tal
genere ciò che gli è capitato.
Similmente siamo in grado di dire
questo per molte altre cose.
Con l'avanzare dell'estate cresce,
e inonda i campi,
unico sulla terra, il Nilo, fiume di
tutto l'Egitto.
Esso suole irrigare l'Egitto nel
pieno della calura,
perché d'estate spirano contro le
sue bocche gli aquiloni,
che in quella stagione si dice siano
venti etesii,
e soffiando contro la corrente la
trattengono e, respingendo
le onde in su, colmano il letto e
costringono il fiume a fermarsi.
Infatti soffiano senza dubbio in
senso opposto al corso del fiume
queste folate, che giungono dalle
gelide stelle del polo.
Il fiume invece proviene dalla
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Deinde videre licet quam
multae sint homini res
acriter infesto sensu spurcaeque
gravisque;
arboribus primum certis gravis
umbra tributa
usque adeo, capitis faciant ut
saepe dolores,
siquis eas subter iacuit prostratus
in herbis.
est etiam magnis Heliconis
montibus arbos
floris odore hominem taetro
consueta necare.
scilicet haec ideo terris ex omnia
surgunt,
multa modis multis multarum
semina rerum
quod permixta gerit tellus
discretaque tradit.
nocturnumque recens extinctum
lumen ubi acri
nidore offendit nares, consopit
ibidem,
concidere et spumas qui morbo
mittere suevit.
castoreoque gravi mulier sopita
recumbit,
et manibus nitidum teneris opus
effluit ei,
tempore eo si odoratast quo
menstrua solvit.
multaque praeterea languentia
membra per artus
solvunt atque animam labefactant
sedibus intus.
torrida zona dell'austro,
e ha la sorgente fra nere stirpi
d'uomini dal colore bruciato,
nelle profondità della regione del
mezzodì.
È anche possibile che un grande
cumulo di sabbia s'erga
contro le bocche del fiume
opponendosi alle onde,
quando il mare sconvolto dai venti
caccia la sabbia verso l'interno;
così avviene che lo sbocco del
fiume sia meno libero
e similmente sia meno agevole
l'impeto delle onde.
Può essere anche, forse, che in
quel tempo le piogge cadano
più abbondanti verso la sua
sorgente perché allora gli etesii
soffi degli aquiloni cacciano tutte
le nuvole in quei luoghi.
Certo, quando le nuvole, spinte
verso la regione del mezzodì,
si sono radunate, là alfine,
sbattute insieme contro gli alti
monti,
vengono addensate e
violentemente premute.
O forse il Nilo cresce dal profondo
degli alti monti degli Etiopi,
quando il sole che rischiara tutte
le cose costringe
le bianche nevi, coi raggi che le
squagliano, a scendere nei piani.
Ora, suvvia, ti spiegherò di quale
natura siano dotati
i luoghi e laghi Averni, quanti ve
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denique si calidis etiam cunctere
lavabris
plenior et lueris, solio ferventis
aquai
quam facile in medio fit uti des
saepe ruinas!
carbonumque gravis vis atque
odor insinuatur
quam facile in cerebrum, nisi aqua
praecepimus ante!
at cum membra domans percepit
fervida febris,
tum fit odor vini plagae mactabilis
instar.
nonne vides etiam terra quoque
sulpur in ipsa
gignier et taetro concrescere
odore bitumen,
denique ubi argenti venas aurique
secuntur,
terrai penitus scrutantes abdita
ferro,
qualis expiret Scaptensula subter
odores?
quidve mali fit ut exalent aurata
metalla!
quas hominum reddunt facies
qualisque colores!
nonne vides audisve perire in
tempore parvo
quam soleant et quam vitai copia
desit,
quos opere in tali cohibet vis
magna necessis?
hos igitur tellus omnis exaestuat
aestus
expiratque foras in apertum
ne sono.
Anzitutto, quanto al fatto che son
chiamati Averni, questo nome
fu imposto per l'effetto, perché
sono nocivi a tutti gli uccelli:
e infatti questi, quando a volo
sono giunti diritti su quei luoghi,
dimentichi del remeggio delle ali
abbassano le vele
e cadono a capofitto, lasciandosi
andare col collo flaccido
in terra, se per caso è tale la
natura dei luoghi,
o in acqua, se per caso disotto si
stende un lago d'Averno.
Un luogo siffatto è presso Cuma,
ove fumano monti
pieni d'acre zolfo, ricchi di calde
sorgenti.
Ce n'è uno anche fra le mura di
Atene, proprio in cima
alla rocca, presso il tempio di
Pallade Tritonide, datrice di vita,
dove le rauche cornacchie non
spingono mai con le ali
i loro corpi, nemmeno quando gli
altari fumano di offerte:
tanto tendono a fuggire, non per
evitare le ire acerbe di Pallade
provocate dal loro vigilare, come
cantarono i poeti dei Greci,
ma perché la natura stessa del
luogo produce da sé l'effetto.
Anche in Siria, si dice, similmente
si può vedere un luogo,
dove anche i quadrupedi, appena
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promptaque caeli.
Sic et Averna loca alitibus
summittere debent
mortiferam vim. de terra quae
surgit in auras,
ut spatium caeli quadam de parte
venenet;
quo simul ac primum pennis
delata sit ales,
impediatur ibi caeco correpta
veneno,
ut cadat e regione loci, qua derigit
aestus.
quo cum conruit, hic eadem vis
illius aestus
reliquias vitae membris ex
omnibus aufert.
quippe etenim primo quasi
quendam conciet aestum;
posterius fit uti. cum iam cecidere
veneni
in fontis ipsos, ibi sit quoque vita
vomenda,
propterea quod magna mali fit
copia circum.
Fit quoque ut inter dum vis
haec atque aestus Averni
aeëra, qui inter avis cumquest
terramque locatus.
discutiat, prope uti locus hic
linquatur inanis.
cuius ubi e regione loci venere
volantis,
claudicat extemplo pinnarum nisus
inanis
et conamen utrimque alarum
vi mettono piede,
son costretti dalla sua stessa forza
a stramazzare pesantemente,
come se d'un tratto fossero
sacrificati ai Mani divini.
Ma tutte queste cose si svolgono
per legge naturale,
e son chiare le cause da cui
traggono origine;
perciò non si deve credere che in
quelle regioni possa esistere
la porta di Orco, e non dobbiamo
quindi pensare che per caso
di là dietro gli dèi Mani tirino giù le
anime alle rive acherontee,
come spesso si suppone che gli
alipedi cervi con le nari
tirino fuori dalle tane le selvagge
stirpi dei serpenti.
Ma ascolta quanto questo si
discosti lontano dalla verità,
giacché ora tento di parlare della
cosa in sé stessa.
Anzitutto dico ciò che anche prima
ho detto spesso,
che nella terra ci sono elementi di
ogni specie di cose;
molti, che servono di cibo, vitali, e
molti che possono
provocare malattie e affrettare la
morte.
E prima ho mostrato che per
esseri viventi diversi
cose diverse sono più adatte ai
bisogni della vita,
perché dissimile è la natura e
dissimili sono fra loro
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proditur omne.
hic ubi nixari nequeunt
insistereque alis,
scilicet in terram delabi pondere
cogit
natura, et vacuum prope iam per
inane iacentes
dispergunt animas per caulas
corporis omnis.
***
frigidior porro in puteis aestate fit
umor,
arescit quia terra calore et semina
si qua
forte vaporis habet proprie,
dimittit in auras.
quo magis est igitur tellus effeta
calore,
fit quoque frigidior qui in terrast
abditus umor.
frigore cum premitur porro omnis
terra coitque
et quasi concrescit, fit scilicet ut
coeundo
exprimat in puteos si quem gerit
ipsa calorem.
Esse apud Hammonis fanum
fons luce diurna
frigidus et calidus nocturno
tempore fertur.
hunc homines fontem nimis
admirantur et acri
sole putant subter terras
fervescere partim,
nox ubi terribili terras caligine
texit.
quod nimis a verast longe ratione
gli intrecci e le forme degli
elementi.
Molte cose dannose passano
attraverso le orecchie,
molte rovinose e scabre a toccarsi
s'insinuano per le stesse nari,
né sono poche quelle che devono
essere evitate dal tatto
e fuggite dalla vista e che sono
sgradevoli al gusto.
Poi, si può vedere quante cose
cagionino all'uomo un senso
aspramente increscioso e siano
nauseanti e perniciose.
In primo luogo è propria di certi
alberi un'ombra
tanto perniciosa che sovente
causano dolori al capo,
se qualcuno si è coricato ai loro
piedi, disteso nell'erba.
C'è anche, sui grandi monti
dell'Elicona, un albero
che col ributtante odore del suo
fiore suole uccidere un uomo.
Senza dubbio tutte queste cose
sorgono dal suolo
per la ragione che molti semi di
molte cose in molti modi
frammisti contiene la terra e
separati li distribuisce.
E nottetempo una lampada spenta
da poco, quando con l'acre
puzzo offende le nari, in quel
punto stesso assopisce
chi per malattia è solito
stramazzare ed emettere schiuma.
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remotum.
quippe ubi sol nudum contractans
corpus aquai
non quierit calidum supera de
reddere parte,
cum superum lumen tanto fervore
fruatur,
qui queat hic supter tam crasso
corpore terram
perquoquere umorem et calido
focilare vapore?
praesertim cum vix possit per
saepta domorum
insinuare suum radiis ardentibus
aestum.
quae ratiost igitur? ni mirum terra
magis quod
rara tenet circum fontem quam
cetera tellus
multaque sunt ignis prope semina
corpus aquai.
hoc ubi roriferis terram nox obruit
undis,
extemplo penitus frigescit terra
coitque.
hac ratione fit ut, tam quam
compressa manu sit,
exprimat in fontem quae semina
cumque habet ignis,
quae calidum faciunt laticis tactum
atque vaporem.
inde ubi sol radiis terram dimovit
obortus
et rare fecit calido miscente
vapore,
rursus in antiquas redeunt
E per il greve castoreo la donna
giace assopita
e dalle mani tenere le sfugge il
nitido lavoro,
se ne aspira l'odore nel tempo
delle mestruazioni.
E molte altre cose dissolvono alle
giunture le membra
illanguidite, e fanno vacillare
l'anima nelle sue sedi.
Infine, se a lungo indugi in un
bagno caldo
quando sei troppo satollo, quanto
facilmente avviene
che in mezzo alla vasca dell'acqua
bollente sovente tu crolli!
E i grevi vapori e l'odore dei
carboni quanto facilmente
s'insinuano
nel cervello, se non li abbiamo
prevenuti bevendo prima acqua!
E quando ci ha invasi la febbre
ardente che spossa le membra,
allora l'odore del vino fa l'effetto di
un colpo mortale.
Non vedi anche dentro la terra
stessa formarsi lo zolfo
e rappigliarsi il bitume dall'odore
nauseante,
e ancora, dove gli uomini seguono
vene d'argento e d'oro,
frugando a fondo col ferro i recessi
della terra,
quali odori emani Scaptensula dal
sottosuolo?
E quali miasmi talora esalano le
miniere d'oro!
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (48 of 75) [07/08/2003 21.46.56]
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primordia sedes
Come riducono le facce degli
ignis et in terram cedit calor omnis uomini e come i colori!
aquai.
Non vedi o non senti dire come
frigidus hanc ob rem fit fons in
sogliano morire
luce diurna.
in breve tempo e come manchino
praeterea solis radiis iactatur
di forza vitale quelli
aquai
che la grande potenza della
umor et in lucem tremulo rarescit necessità costringe a tale fatica?
ab aestu;
La terra dunque esala tutte queste
propterea fit uti quae semina
esalazioni
cumque habet ignis
e le emana fuori all'aperto e nei
dimittat; quasi saepe gelum, quod liberi spazi del cielo.
continet in se,
Così anche i luoghi Averni devono
mittit et exsolvit glaciem
mandar su un vapore
nodosque relaxat.
mortale per gli uccelli, che dalla
Frigidus est etiam fons, supra terra si leva nell'aria,
quem sita saepe
sì che per un certo tratto avvelena
stuppa iacit flammam concepto
la distesa del cielo;
protinus igni,
e appena l'uccello vi è giunto
taedaque consimili ratione accensa portato dalle ali,
per undas
viene impedito in quel punto,
conlucet, quo cumque natans
ghermito dall'occulto veleno,
impellitur auris.
sì che cade a piombo sul luogo per
ni mirum quia sunt in aqua
cui spira l'esalazione.
permulta vaporis
Quando vi è precipitato, lì la
semina de terraque necessest
stessa forza di quell'esalazione
funditus ipsa
rapisce da tutte le membra gli
ignis corpora per totum
ultimi resti di vita.
consurgere fontem
Infatti, dapprima provoca quasi
et simul exspirare foras exireque una specie di vertigine;
in auras,
poi avviene che, quando ormai gli
non ita multa tamen, calidus queat uccelli son caduti
ut fieri fons;
nelle fonti stesse del veleno, lì
praeterea dispersa foras erumpere debbano anche vomitare la vita,
cogit
perché grande abbondanza di
vis per aquam subito sursumque elementi malefici li attornia.
ea conciliari.
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (49 of 75) [07/08/2003 21.46.56]
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Avviene anche talora che questa
quod genus endo marist Aradi
forza e le esalazioni d'Averno
fons, dulcis aquai
scaccino l'aria, quanta se ne trova
qui scatit et salsas circum se
fra gli uccelli e il suolo,
dimovet undas;
et multis aliis praebet regionibus sì che in quel tratto resta un luogo
quasi vuoto.
aequor
utilitatem opportunam sitientibus E, quando gli uccelli volando sono
giunti dritti su quel luogo,
nautis,
quod dulcis inter salsas intervomit sùbito barcolla il sostegno delle
penne reso vano
undas.
e tutto lo sforzo delle ali dall'un
sic igitur per eum possunt
lato e dall'altro è frustrato.
erumpere fontem
A quel punto, quando non possono
et scatere illa foras; in stuppam
poggiare e reggersi sulle ali,
semina quae cum
si capisce che la natura li costringa
conveniunt aut in taedai corpore
a cadere in terra per il peso
adhaerent,
e che essi, abbattendosi per lo
ardescunt facile extemplo, quia
spazio ormai quasi vuoto,
multa quoque in se
esalino le loro anime per tutti i
semina habent ignis stuppae
meati del corpo.
taedaeque tenentes.
Più fredda, inoltre, diventa l'acqua
nonne vides etiam, nocturna ad
nei pozzi d'estate,
lumina linum
perché la terra si fa porosa per il
nuper ubi extinctum admoveas,
calore e, se per caso
accendier ante
quam tetigit flammam, taedamque racchiude semi di caldo suoi
propri, li sprigiona nell'aria.
pari ratione?
Quanto più, dunque, la terra è
multaque praeterea prius ipso
esausta per il calore,
tacta vapore
eminus ardescunt quam comminus tanto più fredda diventa l'acqua
che è nascosta nella terra.
imbuat ignis.
hoc igitur fieri quoque in illo fonte Quando dal freddo poi tutta la
terra è premuta, e si contrae
putandumst.
Quod super est, agere incipiam e si rappiglia, naturalmente
avviene che nel contrarsi
quo foedere fiat
naturae, lapis hic ut ferrum ducere sprema nei pozzi ogni calore che
ha in sé stessa.
possit,
Presso il tempio di Ammone, così
http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (50 of 75) [07/08/2003 21.46.56]
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quem Magneta vocant patrio de
nomine Grai,
Magnetum quia sit patriis in
finibus ortus.
hunc homines lapidem mirantur;
quippe catenam
saepe ex anellis reddit
pendentibus ex se.
quinque etenim licet inter dum
pluresque videre
ordine demisso levibus iactarier
auris,
unus ubi ex uno dependet supter
adhaerens
ex alioque alius lapidis vim
vinclaque noscit;
usque adeo permananter vis
pervalet eius.
Hoc genus in rebus
firmandumst multa prius quam
ipsius rei rationem reddere possis,
et nimium longis ambagibus est
adeundum;
quo magis attentas auris
animumque reposco.
Principio omnibus ab rebus,
quas cumque videmus,
perpetuo fluere ac mitti spargique
necessest
corpora quae feriant oculos
visumque lacessant.
perpetuoque fluunt certis ab rebus
odores;
frigus ut [a] fluviis, calor a sole,
aestus ab undis
aequoris, exesor moerorum, litora
propter;
dicono, si trova una fonte
che è fredda nella luce del giorno
e calda durante la notte.
Di questa fonte gli uomini troppo
si stupiscono, e alcuni credono
che bolla per l'ardere violento del
sole al disotto della terra,
quando la notte ha ricoperto la
terra di oscurità spaventosa.
Ma questo è troppo remoto dalla
verità.
E difatti, se il sole, tastando il
nudo corpo dell'acqua,
non ha potuto renderlo caldo dalla
parte di sopra,
sebbene in cielo la sua luce goda
di tanto ardore,
come potrebbe esso da sotto la
terra, che ha corpo tanto fitto,
riscaldare l'acqua e di ardente
calore farla satura?
E questo quando a mala pena esso
può per i muri delle case
insinuare coi raggi ardenti le sue
vampe.
Qual è dunque la spiegazione?
Senza dubbio è questa: la terra
che sta intorno alla fonte si stende
più rada che il restante suolo,
e ci son molti semi di fuoco vicino
al corpo dell'acqua.
Perciò, quando la notte ha coperto
la terra d'onde stillanti rugiada,
sùbito nelle sue profondità si
raffredda la terra e si contrae.
Così avviene che essa, come se
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nec varii cessant sonitus manare
per auras;
denique in os salsi venit umor
saepe saporis,
cum mare versamur propter,
dilutaque contra
cum tuimur misceri absinthia,
tangit amaror.
usque adeo omnibus ab rebus res
quaeque fluenter
fertur et in cunctas dimittitur
undique partis
nec mora nec requies interdatur
ulla fluendi,
perpetuo quoniam sentimus et
omnia semper
cernere odorari licet et sentire
sonare.
Nunc omnis repetam quam raro
corpore sint res
commemorare; quod in primo
quoque carmine claret.
quippe etenim, quamquam multas
hoc pertinet ad res
noscere, cum primis hanc ad rem
protinus ipsam,
qua de disserere adgredior,
firmare necessest
nil esse in promptu nisi mixtum
corpus inani.
principio fit ut in speluncis saxa
superna
sudent umore et guttis
manantibus stillent.
manat item nobis e toto corpore
sudor,
fosse compressa da una mano,
sprema nella fonte tutti i semi di
fuoco che racchiude,
e questi fanno caldo il contatto
dell'acqua e il suo vapore.
Poi, quando il sole sorgendo ha
disserrato coi raggi la terra
e l'ha diradata mescendovi
ardente calore,
di nuovo ritornano nelle antiche
sedi gli elementi del fuoco,
e tutto il calore dell'acqua si ritrae
nella terra.
Per questo la fonte diventa fredda
nella luce del giorno.
Inoltre, l'acqua della fonte è
battuta dai raggi del sole
e, avanzando la luce, si fa rada
per effetto della tremula vampa;
per questo avviene che lasci
andare tutti i semi di fuoco
che racchiude; come spesso
emette il gelo che contiene in sé,
e scioglie il ghiaccio e ne allenta i
nodi.
C'è anche una fonte fredda, su cui
spesso la stoppa
tenuta sospesa prende fuoco d'un
tratto e fiammeggia,
e una fiaccola similmente
s'accende sopra le onde
e risplende, dovunque, mentre
nuota, è sospinta dai venti.
Indubbiamente perché ci sono
nell'acqua moltissimi semi
di fuoco, e dalle profondità della
terra stessa corpi
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crescit barba pilique per omnia
membra, per artus.
diditur in venas cibus omnis,
auget alitque
corporis extremas quoque partis
unguiculosque.
frigus item transire per aes
calidumque vaporem
sentimus, sentimus item transire
per aurum
atque per argentum, cum pocula
plena tenemus.
denique per dissaepta domorum
saxea voces
pervolitant, permanat odor
frigusque vaposque
ignis, qui ferri quoque vim
penetrare sueëvit,
denique qua circum caeli lorica
coeërcet,
morbida visque simul, cum
extrinsecus insinuatur;
et tempestate in terra caeloque
coorta
in caelum terrasque remotae iure
facessunt;
quandoquidem nihil est nisi raro
corpore nexum.
Huc accedit uti non omnia,
quae iaciuntur
corpora cumque ab rebus, eodem
praedita sensu
atque eodem pacto rebus sint
omnibus apta.
principio terram sol excoquit et
facit are,
at glaciem dissolvit et altis
di fuoco devono sorgere
attraversando tutta la fonte
e insieme spirar fuori ed uscire
all'aperto,
tuttavia non così numerosi che la
fonte si possa scaldare.
Inoltre, una forza li costringe a
erompere fuori d'un tratto
sparsi qua e là per l'acqua e ad
aggregarsi in alto.
Similmente, in mezzo al mare,
presso Arado, c'è una fonte
che scaturisce con acqua dolce e
intorno a sé scosta le onde salate;
e in molti altri luoghi il mare offre
un ausilio opportuno ai naviganti
assetati,
perché fra le onde salate fa
sgorgare acque dolci.
Così, dunque, per quella fonte
possono erompere
e scaturire fuori i semi di fuoco; e
quando vengono a unirsi
nella stoppa o aderiscono al corpo
della fiaccola,
facilmente ardono sùbito, perché
la stoppa e le fiaccole
anch'esse hanno in sé e
contengono molti semi di fuoco.
Non vedi anche, quando avvicini a
notturne lampade
un lucignolo allora allora spento,
come s'accenda prima
di toccare la fiamma, e come con
una fiaccola accada lo stesso?
E molte cose inoltre, toccate dal
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montibus altas
extructas[que] nives radiis
tabescere cogit;
denique cera lique fit in eius posta
vapore.
ignis item liquidum facit aes
aurumque resolvit,
at coria et carnem trahit et
conducit in unum.
umor aquae porro ferrum
condurat ab igni,
at coria et carnem mollit durata
calore.
barbigeras oleaster eo iuvat usque
capellas,
effluat ambrosias quasi vero et
nectare tinctus;
qua nihil est homini quod amarius
fronde ac[ida] extet.
denique amaracinum fugitat sus et
timet omne
unguentum; nam saetigeris subus
acre venenumst;
quod nos inter dum tam quam
recreare videtur.
at contra nobis caenum taeterrima
cum sit
spurcities, eadem subus haec
iucunda videtur,
insatiabiliter toti ut volvantur
ibidem.
Hoc etiam super est, ipsa
quam dicere de re
adgredior, quod dicendum prius
esse videtur.
multa foramina cum variis sint
solo calore, divampano
a distanza, prima che il fuoco da
presso le pervada.
Questo, dunque, si deve pensare
accada anche in quella fonte.
Proseguendo, prenderò a dire per
quale legge di natura
accada che il ferro possa essere
attirato da quella pietra
che i Greci chiamano magnete dal
nome della patria,
perché ha origine nel patrio
territorio dei Magneti.
Questa pietra è per gli uomini
oggetto di meraviglia,
perché spesso forma una catena di
anellini che pendon da essa.
Cinque infatti, e più, è possibile
talora vedere
in fila discendente oscillare ai lievi
soffi dell'aria,
dove ognuno pende da un altro
aderendo di sotto,
e l'uno conosce dall'altro il potere
avvincente della pietra:
in modo tanto penetrante il suo
potere si propaga.
In cose di questo genere molti
punti devono essere accertati
prima che tu possa spiegare la
cosa stessa,
e con lunghissimi giri ci si deve
appressare;
perciò più attente le orecchie e la
mente richiedo.
Anzitutto da tutte le cose, quante
ne vediamo,
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reddita rebus,
continuamente devono fluire ed
dissimili inter se natura praedita
essere emessi e diffusi
debent
corpi che feriscano gli occhi e
esse et habere suam naturam
provochino il vedere.
quaeque viasque.
E continuamente fluiscono da
quippe etenim varii sensus
certe cose gli odori;
animantibus insunt,
come il fresco ‹dai› fiumi, il calore
quorum quisque suam proprie rem dal sole, dalle onde
percipit in se;
del mare l'esalazione che corrode i
nam penetrare alio sonitus alioque muri presso le spiagge.
saporem
Né cessano vari suoni di trasvolare
cernimus e sucis, alio nidoris
per l'aria.
odores.
Ancora, spesso entra in bocca
[scilicet id fieri cogit natura viarum umidità di sapore salmastro,
multimodis varians, ut paulo
quando camminiamo lungo il
ostendimus ante.]
mare; e, d'altra parte,
praeterea manare aliud per saxa quando guardiamo mescere infusi
videtur,
d'assenzio, ci punge l'amaro.
atque aliud lignis, aliud transire
Tanto è vero che da tutte le cose
per aurum,
emanazioni d'ogni specie
argentoque foras aliud vitroque
fluendo si distaccano e da ogni
meare;
parte si diffondono in tutte
nam fluere hac species, illac calor le direzioni, né sosta, né requie è
ire videtur,
mai dato frapporre al fluire,
atque aliis aliud citius transmittere poiché di continuo i nostri sensi ne
eadem.
sono impressionati, e sempre
scilicet id fieri cogit natura viarum possiamo vedere ogni cosa,
multimodis varians, ut paulo
percepirne l'odore e sentirne il
ostendimus ante,
suono.
propter dissimilem naturam
Ora tornerò a ricordare come tutte
textaque rerum.
le cose abbiano corpo
Qua propter, bene ubi haec
poroso; ciò che anche al principio
confirmata atque locata
del mio canto appare chiaro.
omnia constiterint nobis praeposta E in verità, benché il conoscere
parata,
questo sia importante
quod super est, facile hinc ratio
per molte cose, in primo luogo per
reddetur et omnis
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causa pate fiet, quae ferri pelliciat
vim.
Principio fluere e lapide hoc
permulta necessest
semina sive aestum, qui discutit
aeëra plagis,
inter qui lapidem ferrumque est
cumque locatus.
hoc ubi inanitur spatium
multusque vace fit
in medio locus, extemplo
primordia ferri
in vacuum prolapsa cadunt
coniuncta, fit utque
anulus ipse sequatur eatque ita
corpore toto.
nec res ulla magis primoribus ex
elementis
indupedita suis arte conexa
cohaeret
quam validi ferri natura et frigidus
horror.
quo minus est mirum, quod dicitur
esse alienum,
corpora si nequeunt e ferro plura
coorta
in vacuum ferri, quin anulus ipse
sequatur;
quod facit et sequitur, donec
pervenit ad ipsum
iam lapidem caecisque in eo
compagibus haesit.
hoc fit idem cunctas in partis;
unde vace fit
cumque locus, sive e transverso
sive superne,
questa cosa stessa,
di cui m'appresto a discorrere, è
necessario senz'altro accertare
che nulla è percepibile che non sia
materia mista col vuoto.
Anzitutto, avviene che nelle
spelonche le rocce di sopra
trasudino umidità e stillino gocce
trapelanti.
Similmente da tutto il nostro corpo
traspira il sudore,
crescono la barba e i peli per tutte
le membra, per gli arti.
Il cibo si spande in tutte le vene,
accresce e alimenta
anche le estreme parti del corpo e
le unghie.
Così sentiamo il freddo e l'ardente
calore passare
attraverso il bronzo, così li
sentiamo passare attraverso l'oro
e attraverso l'argento, quando
teniamo nelle mani coppe piene.
Ancora, le voci attraversano a volo
le pareti di pietra
delle case, passano per esse
l'odore e il freddo e il calore
del fuoco, che suole penetrare
anche il robusto ferro.
Ancora, dove la corazza del cielo
cinge dintorno
*
e insieme la forza della malattia,
quando s'insinua dall'esterno;
e le tempeste sorte dalla terra e
dal cielo, naturalmente,
quando si sono allontanate, si
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corpora continuo in vacuum vicina
feruntur;
quippe agitantur enim plagis
aliunde nec ipsa
sponte sua sursum possunt
consurgere in auras.
huc accedit item, quare queat id
magis esse,
haec quoque res adiumento
motuque iuvatur,
quod, simul a fronte est anelli
rarior aeër
factus inanitusque locus magis ac
vacuatus,
continuo fit uti qui post est
cumque locatus
aeër a tergo quasi provehat atque
propellat.
semper enim circum positus res
verberat aeër;
sed tali fit uti propellat tempore
ferrum,
parte quod ex una spatium vacat
et capit in se.
hic, tibi quem memoro, per crebra
foramina ferri
parvas ad partis subtiliter
insinuatus
trudit et inpellit, quasi navem
velaque ventus.
denique res omnes debent in
corpore habere
aeëra, quandoquidem raro sunt
corpore et aeër
omnibus est rebus circum datus
adpositusque.
hic igitur, penitus qui in ferrost
ritirano nel cielo e nella terra;
giacché non c'è composto che non
abbia poroso il corpo.
A ciò s'aggiunge che i corpi che
sono comunque emessi
dalle cose, non hanno tutti il
medesimo effetto,
né nel medesimo modo sono
adatti a tutte le cose.
Anzitutto, il sole brucia e dissecca
la terra,
ma scioglie il ghiaccio e sopra gli
alti monti coi raggi
fa che si squaglino le nevi
accumulate in alti mucchi.
Ancora, la cera si liquefà, se viene
esposta al suo calore.
Similmente il fuoco rende liquido il
bronzo e fonde l'oro,
ma contrae e restringe il cuoio e la
carne.
Inoltre, l'acqua indurisce il ferro
uscito dal fuoco,
ma ammorbidisce il cuoio e la
carne induriti dal calore.
Alle barbute caprette piace tanto
l'oleastro, come se proprio
spirasse ambrosia e fosse
impregnato di nettare; mentre
per l'uomo non c'è nulla che sia
più amaro di questa fronda.
Ancora, il maiale fugge la
maggiorana e teme ogni
unguento: difatti per i setolosi
maiali sono violenti veleni,
mentre pare che a noi talora quasi
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rinnovino la vita.
abditus aeër,
Ma all'opposto, mentre per noi il
sollicito motu semper iactatur
fango è ripugnantissimo
eoque
verberat anellum dubio procul et lordume, questo stesso sembra
gradevole ai maiali,
ciet intus,
sì che insaziabilmente da capo a
scilicet illo eodem fertur, quo
piedi si voltolano lì dentro.
praecipitavit
Un'altra cosa ancora rimane, che
iam semel et partem in vacuam
pare da dirsi
conamina sumpsit.
Fit quoque ut a lapide hoc ferri prima che io prenda a dire del
fatto in questione.
natura recedat
Poiché le varie cose sono dotate di
inter dum, fugere atque sequi
molti pori,
consueta vicissim.
exultare etiam Samothracia ferrea questi devono possedere nature
dissimili fra loro
vidi
et ramenta simul ferri furere intus ed avere ciascuno una propria
forma e propri condotti.
ahenis
in scaphiis, lapis hic Magnes cum Difatti negli esseri viventi ci sono
vari sensi, ognuno dei quali
subditus esset;
usque adeo fugere a saxo gestire accoglie in sé il proprio oggetto in
un modo suo proprio.
videtur.
Invero vediamo che in una parte
aere interposito discordia tanta
penetrano i suoni e in un'altra
creatur
il sapore dei succhi, in un'altra gli
propterea quia ni mirum prius
odori esalanti dai cibi cucinati.
aestus ubi aeris
Inoltre si vede che una cosa
praecepit ferrique vias possedit
attraversa le pietre
apertas,
e un'altra il legno, un'altra passa
posterior lapidis venit aestus et
per l'oro
omnia plena
e un'altra esce per i meati
invenit in ferro neque habet qua
dell'argento e del vetro.
tranet ut ante;
cogitur offensare igitur pulsareque Si vede infatti fluire di qua
l'immagine, di là passare il calore,
fluctu
ferrea texta suo; quo pacto respuit e una cosa più celermente delle
altre traversare lo stesso luogo.
ab se
atque per aes agitat, sine eo quod È chiaro che ciò avviene per
effetto della natura dei condotti,
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saepe resorbet.
che, come ho mostrato poc'anzi,
Illud in his rebus mirari mitte, varia in molti modi,
quod aestus
a causa della dissimile natura e
non valet e lapide hoc alias
struttura delle cose.
impellere item res.
Dunque, quando questi principi,
pondere enim fretae partim stant, ben confermati e stabiliti,
quod genus aurum;
ci staranno tutti davanti alla
at partim raro quia sunt cum
mente, pronti,
corpore, ut aestus
per il resto facilmente da essi sarà
pervolet intactus, nequeunt
tratta la spiegazione
inpellier usquam,
e così sarà palesata intera la
lignea materies in quo genere esse causa che attira la forza del ferro.
videtur.
Anzitutto, da questa pietra devono
interutrasque igitur ferri natura
fluire moltissimi semi
locata
o una corrente, che con gli urti
aeris ubi accepit quaedam
disperde
corpuscula, tum fit,
tutta l'aria che è posta fra la pietra
inpellant ut eo Magnesia flumine
e il ferro.
saxa.
Quando questo spazio si svuota ed
nec tamen haec ita sunt aliarum
in mezzo si sgombra
rerum aliena,
un'ampia zona, sùbito gli atomi
ut mihi multa parum genere ex
del ferro
hoc suppeditentur,
corrono in avanti e cadono nel
quae memorare queam inter se
vuoto, congiunti, e avviene
singlariter apta.
che l'anello stesso li segua ed
saxa vides primum sola colescere avanzi così con tutto il corpo.
calce.
Né c'è alcuna cosa che sia più
glutine materies taurino iungitur
intrecciata
una,
nei suoi primi elementi e per
ut vitio venae tabularum saepius stretta coesione più compatta
hiscant
che la natura del robusto ferro e la
quam laxare queant compages
sua fredda ruvidezza.
taurea vincla.
Perciò non fa meraviglia † ...... †
vitigeni latices aquai fontibus
se i corpi, che in gran numero
audent
sono insieme usciti dal ferro,
misceri, cum pix nequeat gravis et non possono correre nel vuoto
leve olivom.
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purpureusque colos conchyli
iungitur uno
corpore cum lanae, dirimi qui non
queat usquam,
non si Neptuni fluctu renovare
operam des,
non mare si totum velit eluere
omnibus undis.
denique res auro non aurum
copulat una,
aerique [aes] plumbo fit uti
iungatur ab albo?
cetera iam quam multa licet
reperire! quid ergo?
nec tibi tam longis opus est
ambagibus usquam
nec me tam multam hic operam
consumere par est,
sed breviter paucis praestat
comprendere multa.
quorum ita texturae ceciderunt
mutua contra,
ut cava conveniant plenis haec
illius illa
huiusque inter se, iunctura haec
optima constat.
est etiam, quasi ut anellis
hamisque plicata
inter se quaedam possint coplata
teneri;
quod magis in lapide hoc fieri
ferroque videtur.
Nunc ratio quae sit morbis aut
unde repente
mortiferam possit cladem conflare
coorta
senza che l'anello stesso li segua;
e questo esso fa, e li segue, finché
raggiunge alfine
la pietra stessa e aderisce ad essa
con legami invisibili.
La stessa cosa avviene in tutte le
direzioni: da qualunque lato
lo spazio si vuoti, sia di traverso
sia di sopra,
sùbito i corpi vicini si precipitano
nel vuoto;
giacché li muovono gli urti dal lato
opposto, né essi
possono da sé, spontaneamente,
levarsi in alto, nell'aria.
Inoltre vi s'aggiunge, perché ciò
possa meglio avvenire,
anche un'altra cosa, che aiuta, e il
moto ne è avvantaggiato:
appena di fronte all'anello l'aria è
diventata più rada
e il luogo è più libero e vuoto,
sùbito avviene che tutta l'aria che
è posta dietro l'anello
quasi lo cacci da tergo e lo spinga
innanzi.
Sempre infatti l'aria sferza le cose
che circonda;
ma in tale circostanza avviene che
spinga il ferro innanzi,
perché da un solo lato lo spazio è
vuoto e lo accoglie in sé.
Quest'aria di cui parlo, per i fitti
pori del ferro
sottilmente insinuandosi fino alle
parti minute,
lo batte e lo spinge, come vento
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morbida vis hominum generi
pecudumque catervis,
expediam, primum multarum
semina rerum
esse supra docui quae sint vitalia
nobis,
et contra quae sint morbo
mortique necessest
multa volare; ea cum casu sunt
forte coorta
et perturbarunt caelum, fit
morbidus aeër.
atque ea vis omnis morborum
pestilitasque
aut extrinsecus ut nubes
nebulaeque superne
per caelum veniunt aut ipsa saepe
coorta
de terra surgunt, ubi putorem
umida nactast
intempestivis pluviisque et solibus
icta.
nonne vides etiam caeli novitate
et aquarum
temptari procul a patria qui
cumque domoque
adveniunt ideo quia longe
discrepitant res?
nam quid Brittannis caelum
differre putamus,
et quod in Aegypto est, qua mundi
claudicat axis,
quidve quod in Ponto est differre
et Gadibus atque
usque ad nigra virum percocto
saecla colore?
quae cum quattuor inter se
che spinga nave e vele.
Infine, tutte le cose devono nel
corpo racchiudere
aria, perché sono di corpo poroso,
e l'aria
a tutte le cose sta intorno ed
accosto.
Quest'aria, dunque, che addentro
sta nascosta nel ferro,
sempre è agitata da moto senza
tregua, e così
sferza, senza dubbio, l'anellino e
lo spinge dall'interno;
e questo certo va nella stessa
direzione in cui già una volta
s'è precipitato e nella zona vuota
verso cui ha preso lo slancio.
Avviene pure che da questa pietra
talvolta la natura del ferro
si discosti, usando fuggirla e
seguirla a vicenda.
Ho visto inoltre saltar su ferrei
anelli di Samotracia
ed insieme infuriare limatura di
ferro dentro bacini
di bronzo, sotto cui era stata
messa questa pietra di Magnesia:
tanto il ferro appare smanioso di
fuggir via dalla pietra.
Se il bronzo è interposto, si crea
una discordia tanto grande
perché, evidentemente, quando
l'emanazione del bronzo
ha prima raggiunto e occupato gli
aperti condotti del ferro,
l'emanazione della pietra arriva
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diversa videmus
quattuor a ventis et caeli partibus
esse,
tum color et facies hominum
distare videntur
largiter et morbi generatim saecla
tenere.
est elephas morbus qui propter
flumina Nili
gignitur Aegypto in media neque
praeterea usquam.
Atthide temptantur gressus
oculique in Achaeis
finibus. inde aliis alius locus est
inimicus
partibus ac membris; varius
concinnat id aeër.
proinde ubi se caelum, quod nobis
forte alienum,
commovet atque aeër inimicus
serpere coepit,
ut nebula ac nubes paulatim repit
et omne
qua graditur conturbat et
immutare coactat,
fit quoque ut, in nostrum cum
venit denique caelum,
corrumpat reddatque sui simile
atque alienum.
haec igitur subito clades nova
pestilitasque
aut in aquas cadit aut fruges
persidit in ipsas
aut alios hominum pastus
pecudumque cibatus,
aut etiam suspensa manet vis
seconda, e tutto trova pieno
nel ferro, e non ha luogo per cui
possa passare come prima;
è quindi costretta a urtare e
battere con la sua onda
gl'intrecci del ferro; così respinge
da sé e agita
attraverso il bronzo quel che,
senza questo, di solito attira.
A questo proposito, cessa di
stupirti di ciò: che la corrente
di questa pietra non ha la forza di
muover parimenti altre cose.
Giacché alcune stan ferme in virtù
del proprio peso: tale è l'oro;
altre invece, poiché hanno corpo
poroso, sì che la corrente
vi passa a volo intatta, non
possono esser spinte in alcun
luogo:
di questa specie è evidentemente
la materia del legno.
La natura del ferro, dunque, è
intermedia e, quando
ha accolto in sé certi corpuscoli di
bronzo, allora avviene
che le pietre di Magnesia la
muovano con la loro corrente.
Né tuttavia questi fenomeni son
tanto estranei ad altre cose
che solo ben poche cose di questa
specie io trovi tali
da poterle menzionare come
connesse esclusivamente fra loro.
In primo luogo, vedi che le pietre
si legano soltanto con la calce.
Dalla colla di toro il legname è
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aeëre in ipso
et, cum spirantes mixtas hinc
ducimus auras,
illa quoque in corpus pariter
sorbere necessest.
consimili ratione venit bubus
quoque saepe
pestilitas et iam pigris balantibus
aegror.
nec refert utrum nos in loca
deveniamus
nobis adversa et caeli mutemus
amictum,
an caelum nobis ultro natura
corumptum
deferat aut aliquid quo non
consuevimus uti,
quod nos adventu possit temptare
recenti.
Haec ratio quondam morborum
et mortifer aestus
finibus in Cecropis funestos
reddidit agros
vastavitque vias, exhausit civibus
urbem.
nam penitus veniens Aegypti
finibus ortus,
aeëra permensus multum
camposque natantis,
incubuit tandem populo Pandionis
omni.
inde catervatim morbo mortique
dabantur.
principio caput incensum fervore
gerebant
et duplicis oculos suffusa luce
rubentes.
congiunto insieme in tal modo
che spesso le venature delle
tavole si schiantano per un difetto
prima che i legami della colla
taurina possano allentare la
stretta.
Il succo nato dalla vite è pronto a
mischiarsi con fonti d'acqua,
mentre non possono far questo la
greve pece e l'olio lieve.
E il purpureo colore della
conchiglia si congiunge insieme
col corpo della lana, sì che non
può esser diviso in alcun modo,
neppure se col flutto di Nettuno
t'adopri a ripristinarla,
neppure se l'intero mare voglia
detergerla con tutte le onde.
Infine, non è una sola la cosa che
unisce l'oro all'oro,
e non è vero che al bronzo ‹il
bronzo› è unito solo dallo stagno?
Quanti altri casi ancora potremmo
trovare! Ma a che pro?
Né tu hai alcun bisogno di tanto
lunghe ambagi,
né a me conviene spendere qui
tanta fatica, ma è meglio
brevemente abbracciare molte
cose con poche parole:
quei corpi i cui intrecci son capitati
in reciproco riscontro,
sì che i vuoti di questo
corrispondono ai pieni di quello,
e i vuoti di quello ai pieni di
questo, fanno l'unione migliore.
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sudabant etiam fauces intrinsecus
atrae
sanguine et ulceribus vocis via
saepta coibat
atque animi interpres manabat
lingua cruore
debilitata malis, motu gravis,
aspera tactu.
inde ubi per fauces pectus
complerat et ipsum
morbida vis in cor maestum
confluxerat aegris,
omnia tum vero vitai claustra
lababant.
spiritus ore foras taetrum volvebat
odorem,
rancida quo perolent proiecta
cadavera ritu.
atque animi prorsum [tum] vires
totius, omne
languebat corpus leti iam limine in
ipso.
intolerabilibusque malis erat
anxius angor
adsidue comes et gemitu
commixta querella,
singultusque frequens noctem per
saepe diemque
corripere adsidue nervos et
membra coactans
dissoluebat eos, defessos ante,
fatigans.
nec nimio cuiquam posses ardore
tueri
corporis in summo summam
fervescere partem,
Accade pure che certi corpi
possano tenersi congiunti fra loro
come se fossero intrecciati per
mezzo di anellini e di uncini:
tale appare piuttosto il caso di
questa pietra e del ferro.
Ora spiegherò quale sia la causa
delle malattie e donde
la forza maligna possa sorgere
d'un tratto e arrecare esiziale
strage alla stirpe degli uomini e
alle torme degli animali.
Anzitutto, sopra ho insegnato che
esistono semi
di molte cose che per noi sono
vitali,
e per contro è necessario che ne
volino molti altri che causano
malattia e morte. Quand'essi per
casuale incontro
si son raccolti e han perturbato il
cielo, l'aria si fa malsana.
E tutta quella forza di malattie e la
pestilenza,
o vengono dall'esterno,
attraversando nell'alto il cielo
come le nuvole e le nebbie, o
spesso si raccolgono e sorgono
dalla terra stessa, quando essa,
pregna di umidità,
è diventata putrida sotto i colpi di
piogge e di soli eccessivi.
Non vedi pure che dalla novità del
cielo e delle acque
sono provati quanti giungono in un
luogo lontano dalla patria
e dalla casa, perché grande è la
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sed potius tepidum manibus
proponere tactum
et simul ulceribus quasi inustis
omne rubere
corpus, ut est per membra sacer
dum diditur ignis.
intima pars hominum vero
flagrabat ad ossa,
flagrabat stomacho flamma ut
fornacibus intus.
nil adeo posses cuiquam leve
tenveque membris
vertere in utilitatem, at ventum et
frigora semper.
in fluvios partim gelidos ardentia
morbo
membra dabant nudum iacientes
corpus in undas.
multi praecipites nymphis
putealibus alte
inciderunt ipso venientes ore
patente:
insedabiliter sitis arida corpora
mersans
aequabat multum parvis umoribus
imbrem.
nec requies erat ulla mali: defessa
iacebant
corpora. mussabat tacito medicina
timore,
quippe patentia cum totiens
ardentia morbis
lumina versarent oculorum
expertia somno.
multaque praeterea mortis tum
signa dabantur:
perturbata animi mens in maerore
discrepanza delle cose?
Infatti, che differenza pensiamo ci
sia fra il clima dei Britanni
e quello che c'è in Egitto, dove
l'asse del mondo s'abbassa?
O che differenza fra il clima che
c'è nel Ponto e quello
che va da Cadice fino alle nere
stirpi d'uomini dal colore bruciato?
E come vediamo che questi
quattro climi dalle parti
dei quattro venti e delle regioni
del cielo son diversi fra loro,
così si vede che il colore e la faccia
degli uomini differiscono
largamente e le malattie
s'attaccano ai viventi secondo le
razze.
C'è l'elefantiasi, che nasce presso
il corso del Nilo,
nel cuore dell'Egitto, e in nessun
altro luogo.
Nell'Attica sono colpiti i piedi, e nel
territorio acheo
gli occhi. Altri luoghi poi sono
nemici ad altre
parti e membra: di ciò è causa il
variare dell'aria.
Perciò quando una zona di cielo,
che per caso ci sia avversa,
si mette in agitazione e un'aria
malefica comincia a spargersi,
come una nebbia e una nuvola a
poco a poco s'insinua
e, dovunque s'avanzi, tutto
perturba e forza a trasformarsi;
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avviene pure che, quando arriva
metuque,
triste supercilium, furiosus voltus alfine al nostro cielo,
lo corrompa e lo renda a sé simile
et acer,
e a noi avverso.
sollicitae porro plenaeque
E così, sùbito questa nuova specie
sonoribus aures,
creber spiritus aut ingens raroque di rovina e di pestilenza
o si abbatte sulle acque o penetra
coortus,
persino nelle messi
sudorisque madens per collum
o in altri cibi degli uomini e nelle
splendidus umor,
pasture del bestiame,
tenvia sputa minuta, croci
o anche rimane sospesa nell'aria
contacta colore
stessa la sua forza,
salsaque per fauces rauca vix
e, quando respirando ne
edita tussi.
immettiamo in noi gli aliti
in manibus vero nervi trahere et
contaminati,
tremere artus
a pedibusque minutatim succedere dobbiamo insieme assorbire nel
corpo quegli elementi maligni.
frigus
non dubitabat. item ad supremum In simile modo la pestilenza
raggiunge spesso anche i buoi,
denique tempus
e la malattia si estende ai tardi
conpressae nares, nasi primoris
greggi belanti.
acumen
tenve, cavati oculi, cava tempora, Né importa se noi stessi andiamo
in luoghi a noi avversi
frigida pellis
duraque in ore, iacens rictu, frons e passiamo sotto il mantello di un
altro cielo,
tenta manebat.
nec nimio rigida post artus morte o la natura spontaneamente porta
a noi un cielo corrotto
iacebant.
o qualcosa con cui non siamo
octavoque fere candenti lumine
avvezzi ad aver contatto,
solis
che può colpirci con l'arrivare
aut etiam nona reddebant
improvviso.
lampade vitam.
Tale causa di malattie e mortifera
quorum siquis, ut est, vitarat
emanazione, un tempo,
funera leti,
ulceribus taetris et nigra proluvie nel paese di Cecrope, rese funerei
i campi
alvi
e spopolò le strade, svuotò di
posterius tamen hunc tabes
cittadini la città.
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letumque manebat,
aut etiam multus capitis cum
saepe dolore
corruptus sanguis expletis naribus
ibat.
huc hominis totae vires corpusque
fluebat.
profluvium porro qui taetri
sanguinis acre
exierat, tamen in nervos huic
morbus et artus
ibat et in partis genitalis corporis
ipsas.
et graviter partim metuentes
limina leti
vivebant ferro privati parte virili,
et manibus sine non nulli
pedibusque manebant
in vita tamen et perdebant lumina
partim.
usque adeo mortis metus iis
incesserat acer.
atque etiam quosdam cepere
oblivia rerum
cunctarum, neque se possent
cognoscere ut ipsi.
multaque humi cum inhumata
iacerent corpora supra
corporibus, tamen alituum genus
atque ferarum
aut procul absiliebat, ut acrem
exiret odorem,
aut, ubi gustarat, languebat morte
propinqua.
nec tamen omnino temere illis
solibus ulla
comparebat avis, nec tristia saecla
Venendo infatti dal fondo della
terra d'Egitto, ove era nato,
dopo aver percorso molta aria e
distese fluttuanti,
piombò alfine su tutto il popolo di
Pandione.
Allora, a torme eran preda della
malattia e della morte.
Dapprima avevano il capo in
fiamme per il calore
e soffusi di un luccichìo rossastro
ambedue gli occhi.
La gola, inoltre, nell'interno nera,
sudava sangue,
e occluso dalle ulcere il passaggio
della voce si serrava,
e l'interprete dell'animo, la lingua,
stillava gocce di sangue,
infiacchita dal male, pesante al
movimento, scabra al tatto.
Poi, quando attraverso la gola la
forza della malattia
aveva invaso il petto ed era
affluita fin dentro il cuore afflitto
dei malati, allora davvero
vacillavano tutte le barriere della
vita.
Il fiato che usciva dalla bocca
spargeva un puzzo ributtante,
simile al fetore che mandano i
putridi cadaveri abbandonati.
Poi le forze dell'animo intero ‹e›
tutto il corpo
languivano, già sul limitare stesso
della morte.
E agli intollerabili mali erano
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ferarum
exibant silvis. languebant pleraque
morbo
et moriebantur. cum primis fida
canum vis
strata viis animam ponebat in
omnibus aegre;
extorquebat enim vitam vis
morbida membris.
incomitata rapi certabant funera
vasta
nec ratio remedii communis certa
dabatur;
nam quod ali dederat vitalis aeëris
auras
volvere in ore licere et caeli
templa tueri,
hoc aliis erat exitio letumque
parabat.
Illud in his rebus miserandum
magnopere unum
aerumnabile erat, quod ubi se
quisque videbat
implicitum morbo, morti damnatus
ut esset,
deficiens animo maesto cum corde
iacebat,
funera respectans animam
amittebat ibidem.
quippe etenim nullo cessabant
tempore apisci
ex aliis alios avidi contagia morbi,
lanigeras tam quam pecudes et
bucera saecla,
idque vel in primis cumulabat
funere funus
assidui compagni
un'ansiosa angoscia e un
lamentarsi commisto con sospiri.
E un singhiozzo frequente, che
spesso li costringeva notte e
giorno
a contrarre assiduamente i nervi e
le membra, li struggeva
aggiungendo travaglio a quello che
già prima li aveva spossati.
Né avresti notato che per troppo
ardore in alcuno
bruciasse alla superficie del corpo
la parte più esterna,
ma questa piuttosto offriva alle
mani un tiepido contatto,
e insieme tutto il corpo era rosso
d'ulcere quasi impresse a fuoco,
come accade quando per le
membra si diffonde il fuoco sacro.
Ma la parte più interna in quegli
uomini ardeva fino alle ossa,
nello stomaco ardeva una fiamma,
come dentro fornaci.
Sicché non c'era cosa, benché
lieve e tenue, con cui potessi
giovare
alle membra di alcuno, ma vento e
frescura cercavano sempre.
Alcuni immergevano nei gelidi
fiumi le membra ardenti
per la malattia, gettando dentro le
onde il corpo nudo.
Molti caddero a capofitto nelle
acque di pozzi profondi,
mentre accorrevano protendendo
la bocca spalancata.
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nam qui cumque suos fugitabant
visere ad aegros,
vitai nimium cupidos mortisque
timentis
poenibat paulo post turpi morte
malaque,
desertos, opis expertis, incuria
mactans.
qui fuerant autem praesto,
contagibus ibant
atque labore, pudor quem tum
cogebat obire
blandaque lassorum vox mixta
voce querellae.
optimus hoc leti genus ergo
quisque subibat.
Praeterea iam pastor et
armentarius omnis
et robustus item curvi moderator
aratri
languebat, penitusque casa
contrusa iacebant
corpora paupertate et morbo
dedita morti.
exanimis pueris super exanimata
parentum
corpora non numquam posses
retroque videre
matribus et patribus natos super
edere vitam.
nec minimam partem ex agris
maeror is in urbem
confluxit, languens quem contulit
agricolarum
copia conveniens ex omni morbida
parte.
omnia conplebant loca tectaque
La sete che li riardeva
inestinguibilmente e faceva
immergere
i corpi, rendeva pari a poche
gocce molta acqua.
E il male non dava requie: i corpi
giacevano
stremati. La medicina balbettava
in un muto sgomento,
mentre quelli tante volte rotavano
gli occhi spalancati,
ardenti per la malattia, privi di
sonno.
E molti altri segni di morte si
manifestavano allora:
la mente sconvolta, immersa nella
tristezza e nel timore,
le ciglia aggrondate, il viso
stravolto e truce,
le orecchie, inoltre, tormentate e
piene di ronzii,
il respiro frequente o grosso e
tratto a lunghi intervalli,
e stille di sudore lustre lungo il
madido collo,
sottili sputi minuti, cosparsi di
color di croco
e salsi, a stento cavati attraverso
le fauci da una rauca tosse.
Non cessavano, poi, di contrarsi i
nervi nelle mani e di tremare
gli arti, e di montare su dai piedi a
poco a poco il freddo.
Così, quando alfine si appressava
il momento supremo,
erano affilate le narici,
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assottigliata e acuta la punta
quo magis aestu,
del naso, incavati gli occhi, cave le
confertos ita acervatim mors
tempie, gelida e dura
accumulabat.
la pelle nel volto, cascante la
multa siti prostrata viam per
bocca aperta; la fronte rimaneva
proque voluta
corpora silanos ad aquarum strata tesa.
E non molto dopo le membra
iacebant
giacevano irrigidite dalla morte.
interclusa anima nimia ab
E generalmente quando raggiava il
dulcedine aquarum,
sole dell'ottavo giorno,
multaque per populi passim loca
o anche sotto la luce del nono,
prompta viasque
languida semanimo cum corpore esalavano la vita.
E se taluno d'essi, come accade,
membra videres
era sfuggito a morte e funerali,
horrida paedore et pannis
per ulcere orrende e nero flusso di
cooperta perire,
corporis inluvie, pelli super ossibus ventre
più tardi tuttavia lo attendevano
una,
consunzione e morte;
ulceribus taetris prope iam
o anche molto sangue corrotto,
sordeque sepulta.
spesso con dolore di testa,
omnia denique sancta deum
gli colava dalle narici intasate: qui
delubra replerat
affluivano
corporibus mors exanimis
tutte le forze dell'uomo e la
onerataque passim
sostanza del suo corpo.
cuncta cadaveribus caelestum
Se poi qualcuno era scampato al
templa manebant,
terribile profluvio di sangue
hospitibus loca quae complerant
ributtante, ciò nonostante la
aedituentes.
nec iam religio divom nec numina malattia gli penetrava nei nervi
e negli arti e fin dentro gli organi
magni
pendebantur enim: praesens dolor genitali.
E alcuni, gravemente temendo il
exsuperabat.
nec mos ille sepulturae remanebat limitare della morte,
vivevano dopo essersi mutilati del
in urbe,
membro virile col ferro;
quo prius hic populus semper
e taluni, pur senza mani e senza
consuerat humari;
perturbatus enim totus trepidabat piedi, rimanevano
tuttavia in vita, come altri
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et unus
quisque suum pro re [cognatum]
maestus humabat.
multaque [res] subita et
paupertas horrida suasit;
namque suos consanguineos
aliena rogorum
insuper extructa ingenti clamore
locabant
subdebantque faces, multo cum
sanguine saepe
rixantes, potius quam corpora
desererentur,
inque aliis alium populum sepelire
suorum
certantes; lacrimis lassi luctuque
redibant;
inde bonam partem in lectum
maerore dabantur;
nec poterat quisquam reperiri,
quem neque morbus
nec mors nec luctus temptaret
tempore tali.
perdevano gli occhi:
tanto si era impadronito di loro un
acuto timore della morte.
E inoltre un oblio di tutte le cose
invase certuni,
sicché non potevano riconoscere
neppure sé stessi.
E benché sulla terra giacessero
insepolti mucchi di corpi
su corpi, tuttavia gli uccelli e le
fiere o fuggivano
balzando lontano, per evitare
l'acre puzzo,
oppure, se li assaggiavano,
languivano per morte imminente.
E d'altronde in quei giorni non era
affatto facile che qualche
uccello comparisse, e le stirpi delle
fiere, abbattute,
non uscivano dalle selve. La
maggior parte languiva
per la malattia e moriva.
Soprattutto la fedele forza dei
cani,
stesa per tutte le strade, spirava
penosamente;
ché la forza della malattia
strappava la vita dalle membra.
Funerali senza corteo, desolati,
gareggiavano nell'esser affrettati.
Né c'era specie di rimedio che
valesse sicuramente per tutti;
infatti ciò che ad uno aveva dato
la possibilità di continuare
a respirare i vitali aliti dell'aria e a
contemplare gli spazi
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del cielo, ad altri era esiziale e
cagionava la morte.
Una cosa, in tali frangenti, era
miseranda, e molto,
sopra ogni altra, penosa: ognuno,
quando si vedeva
assalito dalla malattia, come se
fosse condannato a morte,
perdendosi d'animo giaceva col
cuore addolorato
e, rivolto a visioni funeree,
esalava l'anima in quel punto
stesso.
E infatti il contagio dell'avida
malattia non cessava
in alcun momento d'attaccarsi
dagli uni agli altri,
come se fossero lanute pecore e
torme di cornuti bovi.
E questo soprattutto accumulava
morti su morti.
Giacché tutti quelli che evitavano
di visitare i congiunti malati,
mentre troppo bramavano la vita
e temevano la morte,
li puniva poco dopo con morte
turpe e trista,
derelitti, privi di soccorso, la
micidiale mancanza di cure.
Ma quelli che davano aiuto, se ne
andavano per il contagio e la
fatica,
cui allora li costringevano a
sobbarcarsi il senso dell'onore
e la carezzevole voce dei languenti
con mista una voce di pianto.
Questo genere di morte
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affrontavano, dunque, tutti i
migliori
*
e l'uno sugli altri, gareggiando nel
seppellire la folla
dei congiunti; tornavano spossati
dal pianto e dal cordoglio;
poi, in gran parte
s'abbandonavano sui letti per
l'angoscia.
Né si poteva trovare alcuno che la
malattia
o la morte o il lutto non colpissero
in tale frangente.
Inoltre languiva ormai ogni
pastore e custode di armenti
e insieme il robusto guidatore
dell'aratro ricurvo;
e ammucchiati in fondo ai tuguri
giacevano i corpi
che povertà e malattia avevano
dati in balìa della morte.
Su esanimi fanciulli corpi inanimati
di genitori
avresti potuto talora vedere, e
viceversa figli
esalare la vita su madri e padri.
E in non minima parte dai campi
quell'afflizione confluì
nella città: la portò la languente
folla dei campagnoli,
che colpita dalla malattia
conveniva da ogni parte.
Riempivano tutti i luoghi e le case:
tanto più, quindi,
nell'arsura così ammassati la
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morte a caterve li accatastava.
Molti corpi prostrati dalla sete per
via e stramazzati
presso le fontane giacevano
distesi,
col respiro strozzato dal troppo
deliziarsi d'acqua;
e in gran numero avresti potuto
vedere, per i luoghi aperti
al popolo, qua e là, e per le vie,
membra languide nel corpo
mezzo morto, orride per lo
squallore e coperte di stracci,
perire nella sozzura del corpo, con
sulle ossa la sola pelle,
ormai quasi sepolta sotto ulcere
spaventose e lordura.
Tutti i santuari degli dèi la morte
aveva infine riempiti
di corpi esanimi; e tutti i templi
dei celesti
rimanevano ingombri di cadaveri
dovunque,
perché i custodi avevano gremito
di ospiti quei luoghi.
E infatti ormai né la religione, né
la maestà degli dèi
contavano molto: il dolore
presente aveva il sopravvento.
Né si serbava nella città quel rito
di sepoltura
con cui prima quel popolo sempre
aveva usato farsi inumare;
infatti, sconvolto, era tutto preso
dal panico; e ognuno, mesto,
inumava il proprio morto
‹composto› secondo la
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circostanza.
E a molti orrori li indussero ‹gli
eventi› repentini e la povertà.
Così con grande clamore
ponevano i propri consanguinei
sopra roghi eretti per altri, e di
sotto accostavano
le fiaccole, spesso rissando con
molto sangue
piuttosto che lasciare i corpi in
abbandono.
(Ll)
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