Splash - Cultura - Latino - Lucrezio
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Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura De Rerum Natura Liber I Liber II Liber III Liber IV Liber V Liber VI http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/index.htm [07/08/2003 21.32.59] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I De Rerum Natura - Liber I Aeneadum genetrix, hominum divomque voluptas, alma Venus, caeli subter labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentis concelebras, per te quoniam genus omne animantum concipitur visitque exortum lumina solis: te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus summittit flores, tibi rident aequora ponti placatumque nitet diffuso lumine caelum. nam simul ac species patefactast verna diei et reserata viget genitabilis aura favoni, aëriae primum volucris te, diva, tuumque significant initum perculsae corda tua vi. inde ferae pecudes persultant pabula laeta et rapidos tranant amnis: ita capta lepore te sequitur cupide quo quamque inducere pergis. denique per maria ac montis fluviosque rapacis Genitrice degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dèi, Venere datrice di vita, che sotto i corsi celesti degli astri dovunque avvivi della tua presenza il mare percorso dalle navi, le terre fertili di messi, poiché grazie a te ogni specie di viventi è concepita e, sorta, vede la luce del sole te, o dea, te fuggono i venti, te le nuvole del cielo, e il tuo arrivare; a te soavi fiori sotto i piedi fa spuntare l'artefice terra, a te sorridono le distese del mare e placato splende di un diffuso lume il cielo. Ché appena è dischiuso l'aspetto primaverile del giorno e, disserrato, si ravviva il soffio del fecondo zefiro, prima gli aerei uccelli te, o dea, e il tuo giungere annunziano, colpiti nei cuori dalla tua potenza. Poi fiere e animali domestici bàlzano per i pascoli in rigoglio e attraversano a nuoto i rapidi fiumi; così preso dal fascino ognuno ti segue ardentemente dove intendi condurlo. Infine, per i mari e i monti e i fiumi rapinosi e le frondose dimore degli uccelli e le pianure verdeggianti, a tutti infondendo nei petti carezzevole http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (1 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I frondiferasque domos avium camposque virentis omnibus incutiens blandum per pectora amorem efficis ut cupide generatim saecla propagent. quae quoniam rerum naturam sola gubernas nec sine te quicquam dias in luminis oras exoritur neque fit laetum neque amabile quicquam, te sociam studeo scribendis versibus esse, quos ego de rerum natura pangere conor Memmiadae nostro, quem tu, dea, tempore in omni omnibus ornatum voluisti excellere rebus. quo magis aeternum da dictis, diva, leporem. effice ut interea fera moenera militiai per maria ac terras omnis sopita quiescant; nam tu sola potes tranquilla pace iuvare mortalis, quoniam belli fera moenera Mavors armipotens regit, in gremium qui saepe tuum se reiicit aeterno devictus vulnere amoris, atque ita suspiciens tereti cervice reposta pascit amore avidos inhians amore, fai sì che ardentemente propaghino le generazioni secondo le stirpi poiché tu sola governi la natura e senza di te niente sorge alle celesti plaghe della luce, niente si fa gioioso, niente amabile, te desidero compagna nello scrivere i versi ch'io tento di comporre sulla natura per il nostro Memmiade, che tu, o dea, in ogni tempo volesti eccellesse ornato di ogni dote. Tanto più dunque, o dea, da' ai miei detti fascino eterno. Fa' sì che frattanto i fieri travagli della guerra, per i mari e le terre tutte placati, restino quieti. Tu sola infatti puoi con tranquilla pace giovare ai mortali, poiché sui fieri travagli della guerra ha dominio Marte possente in armi, che spesso sul tuo grembo s'abbandona vinto da eterna ferita d'amore; e così, levando lo sguardo, col ben tornito collo arrovesciato, pasce d'amore gli avidi occhi anelando a te, o dea, e, mentre sta supino, il suo respiro pende dalle tue labbra. Quando egli sta adagiato sul tuo corpo santo, tu, o dea, avvolgendolo dall'alto, effondi dalla bocca soavi parole: http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (2 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I in te, dea, visus chiedi, o gloriosa, pei Romani placida eque tuo pendet resupini pace. spiritus ore. Ché in tempi avversi per la patria non hunc tu, diva, tuo possiamo noi compiere recubantem corpore sancto quest'opera con animo sereno, né l'illustre circum fusa super, suavis ex progenie di Memmio ore loquellas può in tali frangenti mancare alla comune funde petens placidam salvezza. Romanis, incluta, pacem; Infatti è necessario che ogni natura divina nam neque nos agere hoc goda patriai tempore iniquo di per sé vita immortale con somma pace, possumus aequo animo nec remota dalle nostre cose e Memmi clara propago immensamente distaccata. talibus in rebus communi Ché immune da ogni dolore, immune da desse saluti. pericoli, omnis enim per se divum in sé possente di proprie risorse, per nulla natura necessest bisognosa di noi, immortali aevo summa cum né dalle benemerenze è avvinta, né è pace fruatur toccata dall'ira. semota ab nostris rebus * seiunctaque longe; Quanto al resto, presta alla vera dottrina nam privata dolore omni, orecchie sgombre privata periclis, ‹ed animo sagace›, scevro d'affanni, ipsa suis pollens opibus, nihil affinché non abbandoni con disprezzo, indiga nostri, prima di averli intesi, nec bene promeritis capitur i miei doni disposti per te con cura fedele. nec tangitur ira. Ché mi accingo ad esporti la suprema Humana ante oculos dottrina foede cum vita iaceret del cielo e degli dèi, e ti rivelerò i primi in terris oppressa gravi sub principi delle cose, religione, da cui la natura produce tutte le cose, le quae caput a caeli regionibus accresce e alimenta, ostendebat e in cui la stessa natura di nuovo risolve horribili super aspectu le cose dissolte: mortalibus instans, questi nell'esporre la dottrina noi siamo primum Graius homo soliti chiamare mortalis tollere contra materia e corpi generatori delle cose, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (3 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I est oculos ausus primusque obsistere contra; quem neque fama deum nec fulmina nec minitanti murmure compressit caelum, sed eo magis acrem inritat animi virtutem, effringere ut arta naturae primus portarum claustra cupiret. ergo vivida vis animi pervicit et extra processit longe flammantia moenia mundi atque omne immensum peragravit mente animoque, unde refert nobis victor quid possit oriri, quid nequeat, finita potestas denique cuique qua nam sit ratione atque alte terminus haerens. quare religio pedibus subiecta vicissim opteritur, nos exaequat victoria caelo. Illud in his rebus vereor, ne forte rearis impia te rationis inire elementa viamque indugredi sceleris. quod contra saepius illa religio peperit scelerosa atque impia facta. Aulide quo pacto Triviai virginis aram Iphianassai turparunt e li denominiamo semi delle cose, e inoltre li designamo corpi primi, perché tutto da essi primamente ha esistenza. La vita umana giaceva sulla terra alla vista di tutti turpemente schiacciata dall'opprimente religione, che mostrava il capo dalle regioni celesti, con orribile faccia incombendo dall'alto sui mortali. Un uomo greco per la prima volta osò levare contro di lei gli occhi mortali, e per primo resistere contro di lei. Né le favole intorno agli dèi, né i fulmini, né il cielo col minaccioso rimbombo lo trattennero: anzi più gli accesero il fiero valore dell'animo, sì che volle, per primo, infrangere gli stretti serrami delle porte della natura. Così il vivido vigore dell'animo prevalse, ed egli s'inoltrò lontano, di là dalle fiammeggianti mura del mondo, e il tutto immenso percorse con la mente e col cuore. Di là, vittorioso, riporta a noi che cosa possa nascere, che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosa abbia un potere finito e un termine, profondamente confitto. Quindi la religione è a sua volta sottomessa e calpestata, mentre noi la vittoria uguaglia al cielo. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (4 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I sanguine foede Questo, a tale proposito, io temo: che per ductores Danaum delecti, caso tu creda prima virorum. d'essere iniziato ai fondamenti d'una cui simul infula virgineos dottrina empia e d'entrare circum data comptus nella via della scelleratezza. Mentre per ex utraque pari malarum contro assai spesso proprio parte profusast, essa, la religione, cagionò azioni et maestum simul ante aras scellerate ed empie. adstare parentem Così in Aulide l'altare della vergine Trivia sensit et hunc propter col sangue d'Ifianassa turpemente ferrum celare ministros macchiarono aspectuque suo lacrimas gli eletti condottieri dei Danai, il fiore degli effundere civis, eroi. muta metu terram genibus Appena la benda avvolta attorno alla bella summissa petebat. chioma virginea nec miserae prodesse in tali le scese lungo le guance in due liste tempore quibat, uguali, quod patrio princeps donarat appena si accorse che il padre stava nomine regem; mesto innanzi all'altare, nam sublata virum manibus e accanto a lui i sacerdoti celavano il tremibundaque ad aras ferro, deductast, non ut sollemni e il popolo effondeva lacrime alla sua more sacrorum vista, perfecto posset claro muta di terrore, piegate le ginocchia, comitari Hymenaeo, crollava a terra. sed casta inceste nubendi Né alla misera in tale frangente poteva tempore in ipso giovare hostia concideret mactatu l'aver dato per prima al re il nome di maesta parentis, padre. exitus ut classi felix Ché sollevata dalle mani dei guerrieri e faustusque daretur. tremante tantum religio potuit suadere fu portata all'altare, non già perché, malorum. compiuto il rito solenne, Tutemet a nobis iam potesse essere accompagnata al suono quovis tempore vatum dello splendido imeneo, terriloquis victus dictis ma perché pura impuramente, nel tempo desciscere quaeres. stesso delle nozze, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (5 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I quippe etenim quam multa tibi iam fingere possunt somnia, quae vitae rationes vertere possint fortunasque tuas omnis turbare timore! et merito; nam si certam finem esse viderent aerumnarum homines, aliqua ratione valerent religionibus atque minis obsistere vatum. nunc ratio nulla est restandi, nulla facultas, aeternas quoniam poenas in morte timendum. ignoratur enim quae sit natura animai, nata sit an contra nascentibus insinuetur et simul intereat nobiscum morte dirempta an tenebras Orci visat vastasque lacunas an pecudes alias divinitus insinuet se, Ennius ut noster cecinit, qui primus amoeno detulit ex Helicone perenni fronde coronam, per gentis Italas hominum quae clara clueret; etsi praeterea tamen esse Acherusia templa Ennius aeternis exponit versibus edens, quo neque permaneant cadesse vittima mesta immolata per mano del padre, e così fosse data alla flotta partenza felice e fausta. A tali misfatti poté indurre la religione.------Tu stesso, una volta o l'altra, vinto dai detti terrificanti dei vati, cercherai di staccarti da noi. Quanti sogni difatti essi possono ora inventarti, tali da poter sovvertire la condotta della vita e turbare col timore tutta la tua sorte! E a ragione. Ché, se gli uomini vedessero che esiste un termine fisso per le loro pene, in qualche modo potrebbero avere la forza di opporsi alle paure superstiziose e alle minacce dei vati. Ora non c'è nessun modo di resistere, nessuna facoltà, perché si devono temere nella morte pene eterne. S'ignora infatti quale sia la natura dell'anima, se sia nata o al contrario s'insinui nei nascenti, se perisca insieme con noi disgregata dalla morte o vada a vedere le tenebre di Orco e gli immani abissi, o per volere divino s'insinui in animali d'altra specie, come cantò il nostro Ennio, che primo portò giù dall'ameno Elicona una corona di fronda http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (6 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I animae neque corpora nostra, sed quaedam simulacra modis pallentia miris; unde sibi exortam semper florentis Homeri commemorat speciem lacrimas effundere salsas coepisse et rerum naturam expandere dictis. qua propter bene cum superis de rebus habenda nobis est ratio, solis lunaeque meatus qua fiant ratione, et qua vi quaeque gerantur in terris, tunc cum primis ratione sagaci unde anima atque animi constet natura videndum, et quae res nobis vigilantibus obvia mentes terrificet morbo adfectis somnoque sepultis, cernere uti videamur eos audireque coram, morte obita quorum tellus amplectitur ossa. Quod super est, vacuas auris animumque sagacem semotum a curis adhibe veram ad rationem, ne mea dona tibi studio disposta fideli, intellecta prius quam sint, contempta relinquas. nam tibi de summa caeli perenne, che doveva aver chiara fama tra le genti italiche; e tuttavia Ennio inoltre espone, dichiarandolo in versi immortali, che esistono le regioni acherontee, fin dove non permangono né le anime, né i corpi nostri, ma certi simulacri mirabilmente pallidi; di là racconta che sorse innanzi a lui l'immagine di Omero sempre fiorente e cominciò a versare lacrime amare e a rivelare con le sue parole la natura. Perciò, come dobbiamo esattamente renderci conto delle cose celesti, in qual modo avvengano i moti del sole e della luna, e per qual forza si svolga ogni cosa in terra, così e in primo luogo dobbiamo vedere con sagace ragionare di che sian fatte l'anima e la natura dell'animo, e quale cosa, venendo incontro a noi mentre siamo svegli e affetti da malattia oppure sepolti nel sonno, atterrisca le nostre menti, sì che ci pare di vedere e udire da presso i morti di cui la terra abbraccia le ossa. Né alla mia mente sfugge che è difficile illustrare in versi latini le oscure scoperte dei Greci, tanto più che di molte cose bisogna trattare con parole nuove, per la povertà della lingua e la novità http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (7 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I ratione deumque degli argomenti; disserere incipiam et rerum ma il tuo valore tuttavia e lo sperato primordia pandam, piacere unde omnis natura creet res, della soave amicizia mi persuadono a auctet alatque, sostenere qualsiasi fatica quove eadem rursum natura e m'inducono a vegliare durante le notti perempta resolvat, serene, quae nos materiem et cercando con quali detti e con quale canto genitalia corpora rebus alfine reddunda in ratione vocare io possa accendere innanzi alla tua mente et semina rerum una chiara luce, appellare suemus et haec per cui tu riesca a scrutare a fondo le cose eadem usurpare occulte. corpora prima, quod ex illis Questo terrore dell'animo, dunque, e sunt omnia primis. queste tenebre Nec me animi fallit non li devono dissolvere i raggi del sole, Graiorum obscura reperta né i lucidi dardi difficile inlustrare Latinis del giorno, ma l'aspetto e l'intima legge versibus esse, della natura. multa novis verbis Il cui principio prenderà per noi l'avvìo da praesertim cum sit agendum questo: propter egestatem linguae et che nessuna cosa mai si genera dal nulla rerum novitatem; per volere divino. sed tua me virtus tamen et Certo per ciò la paura domina tutti i sperata voluptas mortali: suavis amicitiae quemvis perché vedono prodursi in terra e in cielo efferre laborem molti fenomeni suadet et inducit noctes di cui in nessun modo possono scorgere le vigilare serenas cause, quaerentem dictis quibus et e credono che si producano per volere quo carmine demum divino. clara tuae possim Pertanto, quando avremo veduto che praepandere lumina menti, nulla si può creare res quibus occultas penitus dal nulla, allora di qui penetreremo più convisere possis. sicuramente hunc igitur terrorem animi ciò che cerchiamo, e donde si possa tenebrasque necessest creare ogni cosa http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (8 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I non radii solis neque lucida tela diei discutiant, sed naturae species ratioque. Principium cuius hinc nobis exordia sumet, nullam rem e nihilo gigni divinitus umquam. quippe ita formido mortalis continet omnis, quod multa in terris fieri caeloque tuentur, quorum operum causas nulla ratione videre possunt ac fieri divino numine rentur. quas ob res ubi viderimus nil posse creari de nihilo, tum quod sequimur iam rectius inde perspiciemus, et unde queat res quaeque creari et quo quaeque modo fiant opera sine divom. Nam si de nihilo fierent, ex omnibus rebus omne genus nasci posset, nil semine egeret. e mare primum homines, e terra posset oriri squamigerum genus et volucres erumpere caelo; armenta atque aliae pecudes, genus omne ferarum, incerto partu culta ac deserta tenerent. e in qual modo tutte le cose avvengano senza interventi di dèi. Infatti, se dal nulla si producessero, da tutte le cose potrebbe nascere ogni specie, nulla avrebbe bisogno di seme. E anzitutto dal mare gli uomini, dalla terra potrebbero sorgere le squamose specie dei pesci, e gli uccelli erompere dal cielo; gli armenti e le altre greggi, ogni specie di fiere, partoriti qua e là senza regola, occuperebbero luoghi coltivati e deserti. Né sugli alberi comunemente permarrebbero gli stessi frutti, ma si muterebbero, tutti gli alberi tutto potrebbero produrre. E in verità, se non esistessero corpi generatori per ciascuna specie, come potrebbero le cose avere costantemente una madre propria? Ma ora invece, poiché tutte le cose sono create da semi determinati, ciascuna nasce ed esce alle plaghe della luce dal luogo che ha in sé la materia e i corpi primi ad essa propri; ed è appunto per ciò che non possono da tutte le cose essere generate tutte le cose, perché ogni cosa determinata ha in sé una facoltà distinta. Inoltre, per qual motivo in primavera la rosa, d'estate il frumento, all'invito dell'autunno le viti vediamo in rigoglio, se non perché, quando determinati semi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (9 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I nec fructus idem arboribus constare solerent, sed mutarentur, ferre omnes omnia possent. quippe ubi non essent genitalia corpora cuique, qui posset mater rebus consistere certa? at nunc seminibus quia certis quaeque creantur, inde enascitur atque oras in luminis exit, materies ubi inest cuiusque et corpora prima; atque hac re nequeunt ex omnibus omnia gigni, quod certis in rebus inest secreta facultas. Praeterea cur vere rosam, frumenta calore, vites autumno fundi suadente videmus, si non, certa suo quia tempore semina rerum cum confluxerunt, patefit quod cumque creatur, dum tempestates adsunt et vivida tellus tuto res teneras effert in luminis oras? quod si de nihilo fierent, subito exorerentur incerto spatio atque alienis partibus anni, quippe ubi nulla forent primordia, quae genitali concilio possent arceri di cose confluirono nel tempo loro proprio, allora si schiude ogni cosa creata, mentre sono in corso stagioni favorevoli e la terra ricca di vita produce senza pericolo le tenere cose alle plaghe della luce? Ma, se dal nulla nascessero, improvvisamente sorgerebbero, con intervallo incerto e in parti dell'anno non proprie a loro, giacché allora non ci sarebbero primi principi che la stagione avversa potesse tener lontani dall'aggregazione generatrice. Né poi per la crescita delle cose ci sarebbe bisogno del tempo occorrente al confluire dei semi, se potessero crescere dal nulla. Ché da piccoli infanti diverrebbero sùbito giovani, e gli alberi, appena spuntati dalla terra, si leverebbero in alto d'improvviso. Ma è manifesto che nulla di ciò accade, giacché tutte le cose crescono a poco a poco, com'è naturale per quel che nasce da un seme certo, e crescendo conservano i caratteri della specie; sì che puoi riconoscere che ogni cosa ingrandisce e si alimenta di materia propria. A ciò si aggiunge che senza piogge in determinate stagioni la terra non può far crescere i frutti giocondi; e così la natura degli animali, se vien privata di cibo, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (10 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I tempore iniquo. non può propagare la specie e conservarsi Nec porro augendis rebus in vita; spatio foret usus quindi è meglio pensare che molti seminis ad coitum, si e nilo elementi son comuni a molte crescere possent; cose, come vediamo che le lettere sono nam fierent iuvenes subito comuni alle parole, ex infantibus parvis piuttosto che pensare che alcuna cosa e terraque exorta repente possa esistere senza primi principi. arbusta salirent. Per di più, perché la natura non poté quorum nil fieri manifestum formare uomini tanto grandi est, omnia quando da poter coi piedi passare a guado il mare paulatim crescunt, ut par est e con le mani divellere grandi monti semine certo, e vivendo superare molte generazioni di crescentesque genus viventi, servant; ut noscere possis se non perché al nascere delle cose è quicque sua de materia assegnata una materia grandescere alique. determinata, da cui resta fissato cosa Huc accedit uti sine certis possa sorgere alla vita? imbribus anni Bisogna dunque riconoscere che nulla può laetificos nequeat fetus esser prodotto dal nulla, submittere tellus poiché alle cose è necessario un seme, da nec porro secreta cibo cui creata natura animantum ciascuna possa protendersi ai leggeri soffi propagare genus possit dell'aria. vitamque tueri; Infine, poiché vediamo che i luoghi ut potius multis communia coltivati prevalgono corpora rebus sugli incolti e rendono alle mani frutti multa putes esse, ut verbis migliori, elementa videmus, è evidente che nella terra ci sono primi quam sine principiis ullam principi delle cose rem existere posse. che noi, rivoltando col vomere le glebe Denique cur homines feconde tantos natura parare e domando il suolo della terra, stimoliamo non potuit, pedibus qui alla germinazione. pontum per vada possent Se non ci fossero, vedresti ogni cosa transire et magnos manibus senza nostra fatica divellere montis spontaneamente diventare molto migliore. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (11 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I multaque vivendo vitalia A ciò si aggiunge che la natura dissolve vincere saecla, ogni corpo di nuovo si non, materies quia rebus nei suoi elementi e non distrugge le cose reddita certast fino ad annientarle. gignundis, e qua constat Ché se qualcosa fosse mortale in tutte le quid possit oriri? parti, nil igitur fieri de nilo posse ogni cosa perirebbe d'improvviso rapita ai fatendumst, nostri occhi. semine quando opus est Non ci sarebbe infatti bisogno di alcuna rebus, quo quaeque creatae forza capace di produrre aëris in teneras possint la disgregazione delle sue parti e di proferrier auras. scioglierne i legami. Postremo quoniam incultis Ma ora, poiché le cose constano tutte di praestare videmus semi eterni, culta loca et manibus fintantoché non sia andata contro di loro melioris reddere fetus, una forza che le spezzi esse videlicet in terris con l'urto o penetri addentro per i vuoti e primordia rerum le dissolva, quae nos fecundas vertentes di nessuna la natura lascia che si veda la vomere glebas fine. terraique solum subigentes Inoltre, quanto il tempo toglie via per cimus ad ortus; vecchiezza, quod si nulla forent, nostro se interamente lo annienta consumandone sine quaeque labore tutta la materia, sponte sua multo fieri donde Venere riconduce alla luce della meliora videres. vita le stirpi animali Huc accedit uti quicque in specie per specie, o donde, ricondotte, sua corpora rursum l'artefice terra dissoluat natura neque ad le alimenta e accresce, offrendo nihilum interemat res. nutrimenti specie per specie? nam siquid mortale e cunctis Donde riforniscono il mare fonti native e partibus esset, dall'esterno fiumi ex oculis res quaeque provenienti di lontano? Donde l'etere repente erepta periret; pasce gli astri? nulla vi foret usus enim, Infatti tutto ciò che ha un corpo mortale quae partibus eius dovrebbero discidium parere et nexus averlo già consumato il tempo infinito e i http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (12 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I exsolvere posset. giorni trascorsi. quod nunc, aeterno quia Che se per tutta la durata del tempo constant semine quaeque, trascorso esistettero donec vis obiit, quae res gli elementi di cui consiste, dopo essersi diverberet ictu rinnovato, questo aut intus penetret per inania universo, d'immortale natura sono certo dissoluatque, dotati: nullius exitium patitur natura non può dunque ogni cosa ridursi al nulla. videri. Per di più, una stessa forza e causa Praeterea quae cumque distruggerebbe comunemente vetustate amovet aetas, tutte le cose, se non le tenesse insieme si penitus peremit una materia eterna, consumens materiem meno o più ristretta nelle connessioni omnem, delle sue parti. unde animale genus Un contatto infatti sarebbe certo generatim in lumina vitae sufficiente causa di morte, redducit Venus, aut giacché non ci sarebbero elementi dotati redductum daedala tellus di corpo eterno, unde alit atque auget dei quali una forza appropriata dovesse generatim pabula praebens? dissolvere l'aggregazione. unde mare ingenuei fontes Ma ora, poiché connessioni dissimili externaque longe stringono tra loro flumina suppeditant? unde i principi, e la materia è eterna, aether sidera pascit? le cose conservano incolume il corpo, omnia enim debet, mortali finché non si presenti corpore quae sunt, una forza che sia abbastanza gagliarda in infinita aetas consumpse proporzione alla tessitura di ciascuna. ante acta diesque. Non ritorna dunque al nulla alcuna cosa, quod si in eo spatio atque ma tutte ante acta aetate fuere per disgregazione ritornano agli elementi e quibus haec rerum della materia. consistit summa refecta, Infine, scompaiono le piogge, quando il inmortali sunt natura padre etere praedita certe. le ha precipitate nel grembo della madre haud igitur possunt ad nilum terra; ma ne sorgono quaeque reverti. splendide messi, e i rami degli alberi Denique res omnis eadem rinverdiscono, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (13 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I vis causaque volgo conficeret, nisi materies aeterna teneret, inter se nexus minus aut magis indupedita; tactus enim leti satis esset causa profecto, quippe ubi nulla forent aeterno corpore, quorum contextum vis deberet dissolvere quaeque. at nunc, inter se quia nexus principiorum dissimiles constant aeternaque materies est, incolumi remanent res corpore, dum satis acris vis obeat pro textura cuiusque reperta. haud igitur redit ad nihilum res ulla, sed omnes discidio redeunt in corpora materiai. postremo pereunt imbres, ubi eos pater aether in gremium matris terrai praecipitavit; at nitidae surgunt fruges ramique virescunt arboribus, crescunt ipsae fetuque gravantur. hinc alitur porro nostrum genus atque ferarum, hinc laetas urbes pueris florere videmus frondiferasque novis avibus canere undique silvas, gli alberi stessi crescono e si caricano di frutti; di qui si alimentano poi la nostra specie e quella delle fiere, di qui gioconde città vediamo fiorire di fanciulli, e frondose selve d'ogni parte risuonare dei canti di nuovi uccelli; di qui le greggi s'impinguano e stanche distendono i corpi sui pascoli rigogliosi, e il candido umore del latte stilla dalle mammelle turgide; di qui una prole novella con membra malferme allegramente ruzza tra l'erba tenera, di latte puro inebriata la mente giovinetta. Non perisce dunque del tutto ogni cosa che pare perire, poiché la natura rinnova una cosa dall'altra e non comporta che alcuna si generi se non l'aiuta la morte di un'altra. E ora, poiché ho mostrato che le cose non si possono creare dal nulla e parimenti che, una volta generate, non possono ridursi al nulla, affinché tu non cominci per caso a diffidare tuttavia delle mie parole, perché i primi principi delle cose non possono essere scorti con gli occhi, ascolta quali altri corpi è necessario che tu stesso riconosca esistenti nella realtà eppure non visibili. Anzitutto la forza sfrenata del vento http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (14 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I hinc fessae pecudes pinguis per pabula laeta corpora deponunt et candens lacteus umor uberibus manat distentis, hinc nova proles artubus infirmis teneras lasciva per herbas ludit lacte mero mentes perculsa novellas. haud igitur penitus pereunt quaecumque videntur, quando alit ex alio reficit natura nec ullam rem gigni patitur nisi morte adiuta aliena. Nunc age, res quoniam docui non posse creari de nihilo neque item genitas ad nil revocari, ne qua forte tamen coeptes diffidere dictis, quod nequeunt oculis rerum primordia cerni, accipe praeterea quae corpora tute necessest confiteare esse in rebus nec posse videri. Principio venti vis verberat incita corpus ingentisque ruit navis et nubila differt, inter dum rapido percurrens turbine campos arboribus magnis sternit montisque supremos silvifragis vexat flabris: ita sferza il mare e travolge grosse navi e disperde le nuvole, e talvolta, percorrendo con rapinoso turbine i campi, grandi alberi vi abbatte e sparge, e contro le vette dei monti si avventa con raffiche che schiantano le selve: tanto infuria con fremito violento e imperversa con minaccioso rombo il vento. Esistono dunque, senza dubbio, invisibili corpi di vento, che spazzano il mare e le terre e alfine le nuvole in cielo e, con subitaneo turbine avventandosi, le trascinano via; e scorrono e spargono strage, non altrimenti che quando la molle natura dell'acqua si rovescia d'improvviso con corso straripante: per piogge dirotte la ingrossa un gran defluire d'acque giù dagli alti monti, che scaglia rottami di piante ed alberi interi; né solidi ponti possono reggere all'assalto subitaneo dell'acqua che incalza: tanto il fiume, torbido per grandi piogge, investe gli argini con forza possente; con grande fragore li abbatte, e travolge sotto le onde grossi macigni, rovescia ogni cosa che oppone ostacolo ai suoi flutti. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (15 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I perfurit acri cum fremitu saevitque minaci murmure pontus. sunt igitur venti ni mirum corpora caeca, quae mare, quae terras, quae denique nubila caeli verrunt ac subito vexantia turbine raptant, nec ratione fluunt alia stragemque propagant et cum mollis aquae fertur natura repente flumine abundanti, quam largis imbribus auget montibus ex altis magnus decursus aquai fragmina coniciens silvarum arbustaque tota, nec validi possunt pontes venientis aquai vim subitam tolerare: ita magno turbidus imbri molibus incurrit validis cum viribus amnis, dat sonitu magno stragem volvitque sub undis grandia saxa, ruit qua quidquid fluctibus obstat. sic igitur debent venti quoque flamina ferri, quae vel uti validum cum flumen procubuere quam libet in partem, trudunt res ante ruuntque impetibus crebris, inter dum vertice torto Così dunque devono infuriare anche i soffi del vento, che, quando come un fiume possente sono piombati verso una qualsiasi parte, cacciano le cose innanzi a sé e le abbattono con assalti frequenti, talvolta con vortice tortuoso le afferrano e rapinosi con roteante turbine le trasportano. Perciò, ancora e ancora, esistono invisibili corpi di vento, giacché nei fatti e nei caratteri si scoprono emuli dei grandi fiumi, che hanno corpo visibile. Inoltre noi sentiamo i vari odori delle cose e tuttavia non li discerniamo mai mentre vengono alle narici, né scorgiamo le emanazioni di calore, né possiamo cogliere con gli occhi il freddo, né ci avviene di vedere i suoni; e tuttavia tutte queste cose è necessario che constino di natura corporea, perché possono colpire i sensi. Nessuna cosa infatti può toccare ed essere toccata, se non è un corpo. Ancora, sospese sul lido contro cui s'infrangono i flutti, le vesti s'inumidiscono, sciorinate al sole s'asciugano. Ma non s'è veduto in che modo l'umore dell'acqua sia penetrato, né in che modo sia poi fuggito per effetto del calore. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (16 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I corripiunt rapidique rotanti turbine portant. quare etiam atque etiam sunt venti corpora caeca, quandoquidem factis et moribus aemula magnis amnibus inveniuntur, aperto corpore qui sunt. Tum porro varios rerum sentimus odores nec tamen ad naris venientis cernimus umquam nec calidos aestus tuimur nec frigora quimus usurpare oculis nec voces cernere suemus; quae tamen omnia corporea constare necessest natura, quoniam sensus inpellere possunt; tangere enim et tangi, nisi corpus, nulla potest res. Denique fluctifrago suspensae in litore vestis uvescunt, eaedem dispansae in sole serescunt. at neque quo pacto persederit umor aquai visumst nec rursum quo pacto fugerit aestu. in parvas igitur partis dispergitur umor, quas oculi nulla possunt ratione videre. quin etiam multis solis redeuntibus annis anulus in digito subter L'umore dunque si sparge qua e là in piccole parti, che gli occhi non possono vedere in alcun modo. Per di più, nel corso di molti anni solari l'anello, a forza d'essere portato, si assottiglia dalla parte che tocca il dito; lo stillicidio, cadendo sulla pietra, la incava; il ferreo vomere adunco dell'aratro occultamente si logora nei campi; e le strade lastricate con pietre, le vediamo consunte dai piedi della folla; e poi, presso le porte, le statue di bronzo mostrano che le loro mani destre si assottigliano al tocco di quelli che spesso salutano e passano oltre. Che queste cose dunque diminuiscano, noi lo vediamo, perché son consunte. Ma quali particelle si stacchino in ogni momento, l'invidiosa natura della vista ci precluse di vederlo. Infine tutto ciò che il tempo e la natura aggiungono alle cose a poco a poco, facendole crescere proporzionatamente, nessun acume di occhi, benché si sforzi, può scorgerlo; né d'altra parte potresti discernere tutto ciò che invecchia per l'età e la macilenza, né cosa perdano in ciascun momento gli scogli che sovrastano il mare, corrosi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (17 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I tenuatur habendo, dall'avido sale. stilicidi casus lapidem cavat, Mediante corpi invisibili, dunque, opera la uncus aratri natura. ferreus occulte decrescit Né tuttavia da ogni parte tutte le cose vomer in arvis, sono compatte, strataque iam volgi pedibus occupate dalla natura corporea: infatti detrita viarum esiste nelle cose il vuoto. saxea conspicimus; tum Sapere questo ti sarà utile in molti casi, portas propter aëna e non lascerà che errando dubiti e faccia signa manus dextras sempre ricerche ostendunt adtenuari sull'universo e diffidi delle nostre parole. saepe salutantum tactu Esiste dunque uno spazio che non si può praeterque meantum. toccare, ciò che è vuoto haec igitur minui, cum sint e libero. Se non esistesse, in nessun detrita, videmus. modo potrebbero le cose sed quae corpora decedant muoversi; infatti quella che è la funzione in tempore quoque, propria del corpo, invida praeclusit speciem opporsi e fare ostacolo, sarebbe presente natura videndi. in ogni momento Postremo quae cumque in tutte le cose; nulla dunque potrebbe dies naturaque rebus avanzare, paulatim tribuit moderatim perché nessuna cosa comincerebbe a crescere cogens, cedere il posto. nulla potest oculorum acies Ora, al contrario, per i mari e le terre e le contenta tueri, eccelse plaghe del cielo, nec porro quae cumque aevo molte cose in molti modi, per vari motivi, macieque senescunt, vediamo muoversi nec, mare quae impendent, innanzi ai nostri occhi, che, se non vesco sale saxa peresa esistesse il vuoto, quid quoque amittant in non tanto sarebbero del tutto prive tempore cernere possis. dell'inquieto movimento, corporibus caecis igitur quanto non sarebbero state natura gerit res. assolutamente, in alcun modo, generate, Nec tamen undique perché la materia da ogni parte compatta corporea stipata tenentur sarebbe rimasta quieta. omnia natura; namque est in Inoltre, per quanto solide si reputino le rebus inane. cose, da questo tuttavia http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (18 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I quod tibi cognosse in multis puoi vedere che sono di corpo in cui è erit utile rebus frammisto il vuoto. nec sinet errantem dubitare In rocce e spelonche s'infiltra il liquido et quaerere semper umore dell'acqua de summa rerum et nostris e dappertutto vi piangono abbondanti diffidere dictis. gocce. qua propter locus est In tutto il corpo degli esseri viventi il cibo intactus inane vacansque. si propaga. quod si non esset, nulla Crescono gli alberi e a tempo debito ratione moveri producono i frutti, res possent; namque perché il cibo ogni loro parte pervade, fin officium quod corporis dalle profonde exstat, radici diffondendosi per i tronchi e per i officere atque obstare, id in rami tutti. omni tempore adesset Passano le voci per le pareti e trasvolano omnibus; haud igitur il chiuso quicquam procedere posset, delle case, il rigido freddo penetra fin principium quoniam cedendi dentro le ossa. nulla daret res. Tutto ciò, non lo vedresti in alcun modo at nunc per maria ac terras avvenire, sublimaque caeli se non ci fossero vuoti per cui i vari corpi multa modis multis varia potessero passare. ratione moveri Infine, perché vediamo che alcune cose cernimus ante oculos, quae, sopravanzano altre si non esset inane, nel peso, pur non avendo affatto non tam sollicito motu dimensioni maggiori? privata carerent Infatti, se in un gomitolo di lana c'è tanta quam genita omnino nulla quantità di materia ratione fuissent, quanta ce n'è in un uguale pezzo di undique materies quoniam piombo, è naturale che pesi altrettanto, stipata quiesset. perché è proprietà della materia premere Praeterea quamvis solidae ogni cosa verso il basso, res esse putentur, mentre al contrario la natura del vuoto hinc tamen esse licet raro rimane senza peso. cum corpore cernas. Dunque, ciò che è grande ugualmente e si in saxis ac speluncis trova più leggero, permanat aquarum senza dubbio manifesta di contenere una http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (19 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I liquidus umor et uberibus flent omnia guttis. dissipat in corpus sese cibus omne animantum; crescunt arbusta et fetus in tempore fundunt, quod cibus in totas usque ab radicibus imis per truncos ac per ramos diffunditur omnis. inter saepta meant voces et clausa domorum transvolitant, rigidum permanat frigus ad ossa. quod nisi inania sint, qua possent corpora quaeque transire, haud ulla fieri ratione videres. Denique cur alias aliis praestare videmus pondere res rebus nihilo maiore figura? nam si tantundemst in lanae glomere quantum corporis in plumbo est, tantundem pendere par est, corporis officiumst quoniam premere omnia deorsum, contra autem natura manet sine pondere inanis. ergo quod magnumst aeque leviusque videtur, ni mirum plus esse sibi declarat inanis; at contra gravius plus in se corporis esse dedicat et multo vacui minus parte maggiore di vuoto; per contrario, ciò che è più pesante, indica di contenere una parte maggiore di materia e di aver dentro una molto minore parte di vuoto. Esiste dunque, senza dubbio, mescolato nelle cose quel che noi cerchiamo con ragionare sagace, quel che chiamiamo vuoto. A questo proposito, è necessario che io prevenga, perché non possa trarti lontano dal vero, ciò che alcuni vanno fantasticando. Dicono che le acque cedono alla spinta degli esseri squamosi e aprono liquide vie, perché i pesci lasciano dietro di sé luoghi dove le onde che cedono possono confluire: così anche altre cose possono muoversi e mutar luogo scambievolmente, quantunque il tutto sia pieno. Ma certo ciò è stato creduto per un ragionamento in tutto falso. Infatti, dove mai potranno gli esseri squamosi avanzare, se le acque non hanno lasciato spazio vuoto? E d'altra parte, dove potranno ritrarsi le onde, quando i pesci non potranno andare avanti? Dunque, bisogna o negare il movimento a ogni corpo o dire che alle cose è commisto il vuoto e che da questo ciascuna cosa prende l'inizio primo del movimento. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (20 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I intus habere. est igitur ni mirum id quod ratione sagaci quaerimus, admixtum rebus, quod inane vocamus. Illud in his rebus ne te deducere vero possit, quod quidam fingunt, praecurrere cogor. cedere squamigeris latices nitentibus aiunt et liquidas aperire vias, quia post loca pisces linquant, quo possint cedentes confluere undae; sic alias quoque res inter se posse moveri et mutare locum, quamvis sint omnia plena. scilicet id falsa totum ratione receptumst. nam quo squamigeri poterunt procedere tandem, ni spatium dederint latices? concedere porro quo poterunt undae, cum pisces ire nequibunt? aut igitur motu privandumst corpora quaeque aut esse admixtum dicundumst rebus inane, unde initum primum capiat res quaeque movendi. Postremo duo de concursu corpora lata si cita dissiliant, nempe aër omne necessest, Infine, se due corpi larghi e piatti, dopo essersi scontrati combaciando, con brusco rimbalzo si distaccano, certo è necessario che l'aria occupi tutto il vuoto che si produce tra i due corpi. Ma, per quanto essa confluisca tutt'intorno con celeri correnti, tuttavia non potrà lo spazio esserne riempito tutto in un solo istante: è necessario infatti che essa occupi il luogo che via via le sta più vicino, e poi prenda possesso dell'intera estensione. Che se per caso qualcuno pensa che ciò avvenga quando i corpi si sono distaccati, per il condensarsi dell'aria, erra; infatti allora si produce un vuoto che prima non c'era, e insieme si riempie ciò che prima era vuoto, né in tal modo può addensarsi l'aria, e, se pure potesse, non potrebbe, credo, senza il vuoto contrarsi in sé e raccogliere le sue parti in un punto solo. Perciò, per quanto tu indugi adducendo molti pretesti, è necessario tuttavia che ammetta che esiste nelle cose il vuoto. E io potrei, rammentandoti molti altri argomenti, riuscire a strappare il tuo assenso ai miei detti. Ma ad una mente sagace queste piccole orme sono http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (21 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I inter corpora quod fiat, possidat inane. is porro quamvis circum celerantibus auris confluat, haud poterit tamen uno tempore totum compleri spatium; nam primum quemque necessest occupet ille locum, deinde omnia possideantur. quod si forte aliquis, cum corpora dissiluere, tum putat id fieri quia se condenseat aër, errat; nam vacuum tum fit quod non fuit ante et repletur item vacuum quod constitit ante, nec tali ratione potest denserier aër nec, si iam posset, sine inani posset, opinor, ipse in se trahere et partis conducere in unum. Qua propter, quamvis causando multa moreris, esse in rebus inane tamen fateare necessest. multaque praeterea tibi possum commemorando argumenta fidem dictis conradere nostris. verum animo satis haec vestigia parva sagaci sunt, per quae possis cognoscere cetera tute. namque canes ut sufficienti: con esse tu stesso puoi conoscere il resto. E infatti come i cani spesso col fiuto scoprono il covile coperto di fronde di una fiera che vaga sui monti, una volta che si son messi sulle tracce d'una via sicura, così in tali questioni potrai tu stesso, da solo, passare da una conoscenza all'altra e addentrarti in tutte le cieche latebre e trarne fuori il vero. Ma se sei pigro o ti ritrai un poco dalla cosa, questo posso senz'altro prometterti, o Memmio: così larghi sorsi, attinti alle grandi fonti, la lingua soave verserà dal mio petto colmo, ch'io temo che la tarda vecchiezza serpeggi per le membra e sciolga in noi i vincoli della vita, prima che su una qualsiasi singola cosa tutta la quantità delle prove ti sia coi versi trasmessa per le orecchie. Ma ora, perché io riprenda a intessere con le parole il lavoro intrapreso, tutta la natura dunque, come è per sé stessa, consiste di due cose: ci sono infatti i corpi e il vuoto, in cui quelli son posti e attraverso cui si muovono per diverse vie. Infatti, che il corpo esista, lo indica di per http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (22 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I montivagae persaepe ferai naribus inveniunt intectas fronde quietes, cum semel institerunt vestigia certa viai, sic alid ex alio per te tute ipse videre talibus in rebus poteris caecasque latebras insinuare omnis et verum protrahere inde. quod si pigraris paulumve recesseris ab re, hoc tibi de plano possum promittere, Memmi: usque adeo largos haustus e fontibus magnis lingua meo suavis diti de pectore fundet, ut verear ne tarda prius per membra senectus serpat et in nobis vitai claustra resolvat, quam tibi de quavis una re versibus omnis argumentorum sit copia missa per auris. Sed nunc ut repetam coeptum pertexere dictis, omnis ut est igitur per se natura duabus constitit in rebus; nam corpora sunt et inane, haec in quo sita sunt et qua diversa moventur. corpus enim per se communis dedicat esse sé il senso di cui tutti siamo dotati; se non avrà anzitutto valore la fede in questo, ben fondata, non esisterà, quando tratteremo di cose occulte, nulla a cui riferendoci possiamo provare qualcosa col ragionare della mente. E poi, se non esistesse l'estensione e lo spazio, che chiamiamo vuoto, i corpi non potrebbero esser posti in alcun luogo, né assolutamente muoversi verso alcun punto, per diverse vie: ciò che già sopra, poc'anzi, ti abbiamo dimostrato. Oltre a questi, non c'è cosa che tu possa dire disgiunta da ogni corpo e separata dal vuoto, e che risulti costituente quasi una terza natura. Infatti, qualunque cosa esisterà, dovrà essere qualche cosa per sé stessa. E se essa sarà tangibile, per quanto in modo leggero ed esiguo, accrescerà, con un accrescimento grande o anche piccolo, purché esista, il numero dei corpi e si aggiungerà alla loro somma. Se invece sarà intangibile, perché da nessuna parte potrà impedire a una cosa, che cerca di passare per essa, di attraversarla, evidentemente questo sarà ciò che chiamiamo libero vuoto. Inoltre, qualunque cosa esisterà per sé stessa, o farà qualcosa o, agendo altri, dovrà essa stessa subire, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (23 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I sensus; cui nisi prima fides oppure sarà tale fundata valebit, che in essa le cose possano esistere e haut erit occultis de rebus svolgersi. quo referentes Ma fare e subire non può alcuna cosa confirmare animi quicquam senza corpo, né offrire ratione queamus. luogo può alcuna cosa, tranne lo spazio tum porro locus ac spatium, vuoto e libero. quod inane vocamus, Dunque, oltre il vuoto e i corpi, non si può si nullum foret, haut usquam lasciare nel novero sita corpora possent delle cose nessuna terza natura esistente esse neque omnino per sé stessa, quoquam diversa meare; né tale che cada in alcun tempo sotto i id quod iam supera tibi paulo nostri sensi, ostendimus ante. né tale che qualcuno possa giungervi col praeterea nihil est quod ragionare della mente. possis dicere ab omni Infatti tutte le cose che hanno un nome, o corpore seiunctum le troverai proprietà secretumque esse ab inani, di queste due cose o vedrai che sono loro quod quasi tertia sit numero accidenti. natura reperta. Proprietà è ciò che in nessun caso si può nam quod cumque erit, esse disgiungere aliquid debebit id ipsum e separare senza un distacco distruttore: augmine vel grandi vel parvo tale è la pesantezza denique, dum sit; per i sassi, il calore per il fuoco, la cui si tactus erit quamvis liquidità per l'acqua, levis exiguusque, la tangibilità per tutti i corpi, l'intangibilità corporis augebit numerum per il vuoto. summamque sequetur; Al contrario, servitù, povertà e ricchezza, sin intactile erit, nulla de libertà, guerra, concordia, e tutte le altre parte quod ullam cose di cui rem prohibere queat per se l'arrivo e la partenza lasciano incolume la transire meantem, natura della cosa, scilicet hoc id erit, vacuum siamo soliti chiamarle, come è naturale, quod inane vocamus. accidenti. Praeterea per se quod Anche il tempo non esiste per sé, ma dalle cumque erit, aut faciet quid cose stesse aut aliis fungi debebit deriva il senso di ciò che si è svolto nel http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (24 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I agentibus ipsum aut erit ut possint in eo res esse gerique. at facere et fungi sine corpore nulla potest res nec praebere locum porro nisi inane vacansque. ergo praeter inane et corpora tertia per se nulla potest rerum in numero natura relinqui, nec quae sub sensus cadat ullo tempore nostros nec ratione animi quam quisquam possit apisci. Nam quae cumque cluent, aut his coniuncta duabus rebus ea invenies aut horum eventa videbis. coniunctum est id quod nusquam sine permitiali discidio potis est seiungi seque gregari, pondus uti saxis, calor ignis, liquor aquai, tactus corporibus cunctis, intactus inani. servitium contra paupertas divitiaeque, libertas bellum concordia cetera quorum adventu manet incolumis natura abituque, haec soliti sumus, ut par est, eventa vocare. tempus item per se non est, sed rebus ab ipsis tempo, poi di ciò che è presente, infine di ciò che segue più tardi. E bisogna riconoscere che nessuno avverte il tempo per sé, separato dal movimento e dalla placida quiete delle cose. Ancora, quando dicono che "il ratto della Tindaride" e il "soggiogamento delle genti troiane in guerra" esistono, bisogna badare che per avventura non ci costringano a riconoscere che queste cose esistano per sé, poiché quelle generazioni di uomini, di cui queste furono accidenti, le tolse via, irrevocabile, l'età già passata. Giacché qualunque cosa si sarà compiuta, potrà essere detta accidente, in un caso † ...... †, in un altro delle regioni stesse. Infine, se non fosse esistita la materia delle cose, né il luogo e lo spazio in cui tutte le cose si svolgono, giammai il fuoco dell'amore, suscitato dalla bellezza della Tindaride, divampando profondo nel frigio petto di Alessandro, avrebbe acceso le famose battaglie della crudele guerra, né di nascosto ai Troiani il ligneo cavallo avrebbe incendiato Pergamo col notturno parto dei Greci; sì che tu puoi ben vedere che gli avvenimenti, tutti, senza http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (25 of 61) [07/08/2003 21.34.49] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I consequitur sensus, transactum quid sit in aevo, tum quae res instet, quid porro deinde sequatur; nec per se quemquam tempus sentire fatendumst semotum ab rerum motu placidaque quiete. denique Tyndaridem raptam belloque subactas Troiiugenas gentis cum dicunt esse, videndumst ne forte haec per se cogant nos esse fateri, quando ea saecla hominum, quorum haec eventa fuerunt, inrevocabilis abstulerit iam praeterita aetas; namque aliud terris, aliud regionibus ipsis eventum dici poterit quod cumque erit actum. denique materies si rerum nulla fuisset nec locus ac spatium, res in quo quaeque geruntur, numquam Tyndaridis forma conflatus amore ignis Alexandri Phrygio sub pectore gliscens clara accendisset saevi certamina belli nec clam durateus Troiianis Pergama partu inflammasset equos nocturno Graiiugenarum; eccezione, non sussistono per sé, né esistono così come i corpi, né si può dire che siano allo stesso modo in cui sussiste il vuoto; ma piuttosto son tali che giustamente puoi chiamarli accidenti dei corpi e del luogo in cui tutte le cose si svolgono. I corpi poi sono in parte i primi principi delle cose, in parte le cose costituite dall'aggregazione dei primi principi. Ma quelli che effettivamente sono primi principi delle cose, nessuna forza può estinguerli; infatti per la solidità del corpo son essi che vincono alla fine. Sebbene sembri difficile credere che tra le cose se ne possa trovare qualcuna di corpo solido. Passa infatti il fulmine del cielo attraverso i muri delle case, come il grido e le voci; nel fuoco il ferro diventa incandescente, e le pietre si spaccano a un calore che fiero ferva; come la rigidità dell'oro cede alla vampa e si scioglie, così il ghiaccio del bronzo, vinto dalla fiamma, si fonde; attraversano l'argento il calore e il freddo penetrante, poiché l'uno e l'altro comunemente sentiamo tenendo in mano, come s'usa, le coppe, quando dall'alto vi è stata versata l'acqua che le irrora. A tal segno sembra che nelle cose non ci http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (26 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I perspicere ut possis res gestas funditus omnis non ita uti corpus per se constare neque esse nec ratione cluere eadem qua constet inane, sed magis ut merito possis eventa vocare corporis atque loci, res in quo quaeque gerantur. Corpora sunt porro partim primordia rerum, partim concilio quae constant principiorum. sed quae sunt rerum primordia, nulla potest vis stinguere; nam solido vincunt ea corpore demum. etsi difficile esse videtur credere quicquam in rebus solido reperiri corpore posse. transit enim fulmen caeli per saepta domorum clamor ut ac voces, ferrum candescit in igni dissiliuntque fero ferventi saxa vapore; cum labefactatus rigor auri solvitur aestu, tum glacies aeris flamma devicta liquescit; permanat calor argentum penetraleque frigus, quando utrumque manu retinentes pocula rite sensimus infuso lympharum sia nulla di solido. Ma poiché, tuttavia, la verità e la natura delle cose lo impongono, presta attenzione, finché dimostriamo, in pochi versi, che esistono cose costituite di corpo solido ed eterno, che noi mostriamo essere i semi delle cose e i primi principi da cui fu creato tutto l'universo quale ora è costituito. Anzitutto, poiché abbiamo scoperto che sussiste una duplice natura, di gran lunga dissimile, di due cose, la materia e lo spazio, nel quale tutte le cose si svolgono, è necessario che ognuna delle due esista per sé e scevra di mescolanza. Difatti, dovunque si stende libero lo spazio, che chiamiamo vuoto, lì non v'è corpo; d'altra parte, dovunque sta un corpo, li non v'è assolutamente uno spazio sgombro, vuoto. Sono dunque solidi e senza vuoto i corpi primi. Inoltre, poiché nelle cose generate c'è il vuoto, è necessario che tutt'intorno stia materia solida; né si può con giusto ragionare provare che alcuna cosa nel proprio corpo celi vuoto e l'abbia nel proprio interno, se non ammetti che ciò che lo racchiude è solido. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (27 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I rore superne. D'altra parte, nient'altro può essere che usque adeo in rebus solidi aggregato di materia, nihil esse videtur. qualcosa che sia capace di racchiudere il sed quia vera tamen ratio vuoto delle cose. naturaque rerum La materia dunque, che consta di corpo cogit, ades, paucis dum solido, versibus expediamus può essere eterna, mentre tutto il resto si esse ea quae solido atque dissolve. aeterno corpore constent, E poi, se non esistesse nulla che fosse semina quae rerum sgombro e vuoto, primordiaque esse docemus, il tutto sarebbe solido; per contrario, se unde omnis rerum nunc non esistessero constet summa creata. determinati corpi per empire tutti i luoghi Principio quoniam duplex che occupano, natura duarum tutto quanto esiste sarebbe spazio dissimilis rerum longe sgombro, vuoto. constare repertast, Alternamente, dunque, senza dubbio il corporis atque loci, res in corpo è intramezzato quo quaeque geruntur, dal vuoto, poiché il tutto non è totalmente esse utramque sibi per se pieno, né, d'altronde, puramque necessest. è totalmente vuoto. Esistono dunque corpi nam qua cumque vacat determinati, spatium, quod inane tali da potere intramezzare col pieno lo vocamus, spazio vuoto. corpus ea non est; qua porro Questi né possono dissolversi percossi da cumque tenet se colpi corpus, ea vacuum dall'esterno, né inoltre, penetrati a fondo, nequaquam constat inane. disgregarsi, sunt igitur solida ac sine né possono in altro modo attaccati inani corpora prima. vacillare; Praeterea quoniam genitis ciò che già sopra, poc'anzi, ti abbiamo in rebus inanest, dimostrato. materiem circum solidam È infatti evidente che senza vuoto constare necessest; nessuna cosa può essere nec res ulla potest vera schiacciata, né infranta, né scissa in due ratione probari parti con un taglio; corpore inane suo celare né può ricevere in sé acqua e neppure il http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (28 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I atque intus habere, freddo che pervade, si non, quod cohibet, né il fuoco penetrante, che sono i fattori solidum constare relinquas. d'ogni distruzione. id porro nihil esse potest nisi E quanto più ogni cosa in sé racchiude materiai vuoto, concilium, quod inane queat tanto più da queste cose a fondo rerum cohibere. attaccata vacilla. materies igitur, solido quae Dunque, se i corpi primi sono solidi e corpore constat, senza vuoto, esse aeterna potest, cum così come ho dimostrato, è necessario che cetera dissoluantur. siano eterni. Tum porro si nil esset Inoltre, se la materia non fosse stata quod inane vocaret, eterna, prima d'ora omne foret solidum; nisi tutte le cose sarebbero tornate contra corpora certa interamente al nulla, essent quae loca complerent e dal nulla sarebbero rinate tutte quelle quae cumque tenerent cose che noi vediamo. omne quod est spatium, Ma poiché sopra ho dimostrato che nulla vacuum constaret inane. si può creare dal nulla alternis igitur ni mirum e ciò che fu generato non può essere corpus inani ridotto al nulla, distinctum, quoniam nec di corpo immortale devono essere i primi plenum naviter extat principi, nec porro vacuum; sunt ergo in cui tutte le cose possano risolversi nel corpora certa, momento supremo, quae spatium pleno possint sì che la materia sia bastante a ristorare distinguere inane. la perdita delle cose. haec neque dissolui plagis Sono dunque di solida semplicità i primi extrinsecus icta principi, possunt nec porro penitus né in altro modo possono essersi penetrata retexi conservati attraverso le età nec ratione queunt alia e ristorare le perdite delle cose, da tempo temptata labare; ormai infinito. id quod iam supra tibi paulo Ancora, se la natura non avesse fissato ostendimus ante. alcun limite nam neque conlidi sine inani allo spezzarsi delle cose, ormai i corpi posse videtur della materia, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (29 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I quicquam nec frangi nec findi in bina secando nec capere umorem neque item manabile frigus nec penetralem ignem, quibus omnia conficiuntur. et quo quaeque magis cohibet res intus inane, tam magis his rebus penitus temptata labascit. ergo si solida ac sine inani corpora prima sunt ita uti docui, sint haec aeterna necessest. Praeterea nisi materies aeterna fuisset, antehac ad nihilum penitus res quaeque redissent de nihiloque renata forent quae cumque videmus. at quoniam supra docui nil posse creari de nihilo neque quod genitumst ad nil revocari, esse inmortali primordia corpore debent, dissolui quo quaeque supremo tempore possint, materies ut subpeditet rebus reparandis. sunt igitur solida primordia simplicitate nec ratione queunt alia servata per aevom ex infinito iam tempore res reparare. denique si nullam finem spezzati dalle età passate, sarebbero ridotti a tal punto che da essi nulla potrebbe, entro un tempo determinato, esser concepito e raggiungere il sommo limite della vita. Infatti vediamo che qualunque cosa può più in fretta dissolversi che di nuovo rifarsi: pertanto ciò che la lunga durata dei giorni, l'infinita durata di tutto il tempo già trascorso, avrebbe fino ad ora spezzato, sconvolgendolo e dissolvendolo, non potrebbe mai essere rinnovato nel tempo che resta. Ma ora, senza dubbio, all'azione dello spezzare è fissato un limite determinato, immutabile, poiché vediamo che ogni cosa si rifà e, insieme, per le cose, secondo le specie, sono fissati tempi limitati in cui possano attingere il fiore dell'età. A ciò si aggiunge che, sebbene i primi corpi della materia siano solidissimi, tuttavia tutte le cose molli che si producono, l'aria l'acqua la terra i vapori, si può spiegare in che modo si producano e per qual forza tutte si svolgano, una volta che nelle cose è commisto il vuoto. Ma per contro, se supponiamo molli i primi principi delle cose, non si potrà spiegare donde possano http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (30 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I natura parasset frangendis rebus, iam corpora materiai usque redacta forent aevo frangente priore, ut nihil ex illis a certo tempore posset conceptum summum aetatis pervadere finem. nam quidvis citius dissolvi posse videmus quam rursus refici; qua propter longa diei infinita aetas ante acti temporis omnis quod fregisset adhuc disturbans dissoluensque, numquam relicuo reparari tempore posset. at nunc ni mirum frangendi reddita finis certa manet, quoniam refici rem quamque videmus et finita simul generatim tempora rebus stare, quibus possint aevi contingere florem. Huc accedit uti, solidissima materiai corpora cum constant, possint tamen omnia reddi, mollia quae fiunt, aër aqua terra vapores, quo pacto fiant et qua vi quaeque gerantur, admixtum quoniam semel est in rebus inane. crearsi le dure rocce e il ferro, giacché radicalmente tutta la natura sarà priva d'un principio che ne costituisca il fondamento. Esistono dunque corpi possenti di solida semplicità, ed è per il più compatto aggregarsi di essi che tutte le cose possono farsi più salde e dimostrare valide forze. Inoltre, se nessun limite è assegnato allo spezzarsi dei corpi, tuttavia è necessario che dall'eternità sopravanzino ancora, per ciascuna specie di cose, corpi che finora non siano stati assaliti da alcun pericolo. Ma, giacché sono dotati di natura fragile, con ciò non s'accorda che abbiano potuto continuare a sussistere in eterno, travagliati da innumerevoli colpi nel corso di tutte le età. Infine, poiché per le cose è secondo le specie fissato un termine di crescita e di conservazione della vita, e giacché risulta sancito da leggi di natura che cosa possa ognuna e che cosa non possa, né alcunché si muta, anzi tutto rimane così costante che i variopinti uccelli, di generazione in generazione, tutti mostrano presenti nel corpo i colori propri di http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (31 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I at contra si mollia sint primordia rerum, unde queant validi silices ferrumque creari, non poterit ratio reddi; nam funditus omnis principio fundamenti natura carebit. sunt igitur solida pollentia simplicitate, quorum condenso magis omnia conciliatu artari possunt validasque ostendere viris. porro si nullast frangendis reddita finis corporibus, tamen ex aeterno tempore quaeque nunc etiam superare necessest corpora rebus, quae non dum clueant ullo temptata periclo. at quoniam fragili natura praedita constant, discrepat aeternum tempus potuisse manere innumerabilibus plagis vexata per aevom. Denique iam quoniam generatim reddita finis crescendi rebus constat vitamque tenendi, et quid quaeque queant per foedera naturai, quid porro nequeant, sancitum quando quidem extat, ciascuna specie, evidentemente devono anche avere un corpo di materia immutabile. Infatti, se i primi principi potessero in qualche modo esser vinti e mutarsi, in tal caso sarebbe incerto anche che cosa possa nascere, che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosa abbia un potere finito e un termine, profondamente confitto; né tante volte potrebbero le generazioni secondo ciascuna specie riprodurre natura, costumi, modo di vivere e movimenti dei genitori. E ancora: poiché c'è una punta estrema, in ogni caso, di quel corpo che i nostri sensi non possono più discernere, essa evidentemente è senza parti e consta di natura minima, né esistette mai per sé separata, né tale potrà essere in futuro, poiché di un'altra cosa essa stessa è parte e prima e una; poi altre ed altre parti simili, susseguendo in ordine, in schiera compatta, completano la natura del corpo primo, e, poiché non possono esistere per sé, è necessario che aderiscano là donde non possono in alcun modo esser strappate via. Sono dunque di solida semplicità i primi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (32 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I nec commutatur quicquam, principi, quin omnia constant essi che compatti di parti minime hanno usque adeo, variae volucres stretta coesione, ut in ordine cunctae non aggregati per il concorso di quelle, ostendant maculas generalis ma piuttosto possenti di eterna corpore inesse, semplicità. inmutabilis materiae quoque Da essi la natura, riservando i semi alle corpus habere cose, non concede debent ni mirum; nam si che alcunché sia strappato via o venga primordia rerum ancora detratto. commutari aliqua possent D'altronde, se non ci sarà un minimo, tutti ratione revicta, i corpi incertum quoque iam più piccoli consteranno di parti infinite, constet quid possit oriri, giacché in tal caso la metà di una metà quid nequeat, finita potestas avrà sempre denique cuique una propria metà, né alcuna cosa porrà qua nam sit ratione atque un termine. alte terminus haerens, E allora, che differenza ci sarà tra la nec totiens possent somma delle cose e la cosa più piccola? generatim saecla referre Non sarà possibile alcun divario: infatti, naturam mores victum per quanto motusque parentum. l'universo in tutto il suo insieme sia Tum porro quoniam est infinito, tuttavia extremum quodque cacumen le cose più piccole consteranno corporis illius, quod nostri egualmente di parti infinite. cernere sensus Ma, poiché la verità protesta contro ciò e iam nequeunt, id ni mirum non ammette sine partibus extat che l'animo possa credervi, è necessario et minima constat natura che tu, vinto, riconosca nec fuit umquam che esistono quelle cose che non sono più per se secretum neque post costituite di parti hac esse valebit, e constano di natura minima. E poiché alterius quoniamst ipsum esse esistono, è necessario pars primaque et una, che tu riconosca che esistono anche inde aliae atque aliae similes quegli elementi, solidi ed eterni. ex ordine partes Infine, se la natura creatrice fosse solita agmine condenso naturam costringere http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (33 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I corporis explent; quae quoniam per se nequeunt constare, necessest haerere unde queant nulla ratione revelli. sunt igitur solida primordia simplicitate, quae minimis stipata cohaerent partibus arte. non ex illorum conventu conciliata, sed magis aeterna pollentia simplicitate, unde neque avelli quicquam neque deminui iam concedit natura reservans semina rebus. Praeterea nisi erit minimum, parvissima quaeque corpora constabunt ex partibus infinitis, quippe ubi dimidiae partis pars semper habebit dimidiam partem nec res praefiniet ulla. ergo rerum inter summam minimamque quod escit, nil erit ut distet; nam quamvis funditus omnis summa sit infinita, tamen, parvissima quae sunt, ex infinitis constabunt partibus aeque. quod quoniam ratio reclamat vera negatque tutte le cose a risolversi nelle parti minime, nulla più essa sarebbe in grado di ricomporre con queste, perché le cose che sono prive di parti non possono avere le qualità che deve avere la materia generatrice, le varie connessioni, i pesi, gli urti, gl'incontri, i movimenti, per cui tutte le cose si svolgono. Perciò coloro i quali pensarono che materia delle cose fosse il fuoco e che di solo fuoco fosse costituito l'universo, appare evidente che molto si allontanarono dalla verità. Loro duce, entra primo in battaglia Eraclito, illustre per l'oscura lingua più tra i fatui che tra i seri Greci ricercatori del vero. Gli sciocchi infatti più ammirano e amano tutte quelle cose che scorgono nascoste sotto parole stravolte, e tengono per vero ciò che può titillare gradevolmente le orecchie ed è colorato di una piacevole sonorità. Come potrebbero infatti le cose essere tanto varie, io domando, se si suppone che siano nate dal solo e puro fuoco? Nulla, in verità, gioverebbe che il caldo fuoco si condensasse o si rarefacesse, se le parti del fuoco avessero http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (34 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I credere posse animum, victus fateare necessest esse ea quae nullis iam praedita partibus extent et minima constent natura. quae quoniam sunt, illa quoque esse tibi solida atque aeterna fatendum. Denique si minimas in partis cuncta resolvi cogere consuesset rerum natura creatrix, iam nihil ex illis eadem reparare valeret propterea quia, quae nullis sunt partibus aucta, non possunt ea quae debet genitalis habere materies, varios conexus pondera plagas concursus motus, per quas res quaeque geruntur. Quapropter qui materiem rerum esse putarunt ignem atque ex igni summam consistere solo, magno opere a vera lapsi ratione videntur. Heraclitus init quorum dux proelia primus, clarus [ob] obscuram linguam magis inter inanis quamde gravis inter Graios, qui vera requirunt; omnia enim stolidi magis admirantur amantque, inversis quae sub verbis la medesima natura che ha anche il fuoco intero. Più violento sarebbe difatti l'ardore per la concentrazione delle parti, e, d'altro canto, più languido per la loro disgiunzione e dispersione Che con tali cause possa avvenire più di questo, non ti è dato credere; tanto meno, poi, tanta varietà di cose può provenire da fuochi densi e radi. E aggiungi questo: soltanto se ammettono che alle cose è misto il vuoto, i fuochi potranno condensarsi o rarefarsi. Ma, poiché † ...... † vedono molte cose opporsi a loro e rifuggono dall'ammettere nelle cose il vuoto puro, mentre temono la via ardua, smarriscono la via giusta; né d'altronde vedono che, tolto dalle cose il vuoto, tutto si condensa e di tutto si fa un corpo solo, tale che da sé non può emettere nulla istantaneamente, nel modo in cui il fuoco avvampante getta luce e calore, sì che vedi che non consta di parti compatte. Ma, se per caso credono che in altro modo possano i fuochi nell'addensamento estinguersi e mutar sostanza, è evidente che, se non si asterranno dal far ciò in nessuna parte, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (35 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I latitantia cernunt, veraque constituunt quae belle tangere possunt auris et lepido quae sunt fucata sonore. Nam cur tam variae res possent esse, requiro, ex uno si sunt igni puroque creatae? nil prodesset enim calidum denserier ignem nec rare fieri, si partes ignis eandem naturam quam totus habet super ignis haberent. acrior ardor enim conductis partibus esset, languidior porro disiectis [dis>que supatis. amplius hoc fieri nihil est quod posse rearis talibus in causis, ne dum variantia rerum tanta queat densis rarisque ex ignibus esse. Id quoque: si faciant admixtum rebus inane, denseri poterunt ignes rarique relinqui; sed quia multa sibi cernunt contraria quae sint et fugitant in rebus inane relinquere purum, ardua dum metuunt, amittunt vera viai nec rursum cernunt exempto rebus inane tutto l'ardore naturalmente cadrà appieno nel nulla, ‹e› dal nulla saranno prodotte tutte le creature. Infatti ogni volta che una cosa si muta ed esce dai propri termini, sùbito questo è la morte di ciò che era prima. Quindi è necessario che alle creature qualcosa sopravanzi incolume, perché tutte le cose non ti si riducano appieno al nulla, e dal nulla rinasca e prenda vigore l'insieme delle cose. Ora, dunque, poiché ci sono certi corpi ben determinati, che conservano una natura sempre uguale, e per il cui distaccarsi o accostarsi e mutare di ordine mutano natura le cose e si trasformano i corpi, si vede che questi corpi primi non sono di fuoco. Non farebbe infatti differenza che alcuni si disgiungessero e partissero, e altri si aggiungessero, e alcuni mutassero ordine, se tuttavia tutti quanti conservassero natura di fiamma: infatti, qualunque cosa creassero, sarebbe in ogni modo fuoco. Ma, a quel ch'io penso, la cosa sta così: esistono certi corpi, di cui gl'incontri, i movimenti, l'ordine, la disposizione, le forme producono i fuochi, e col mutare ordine http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (36 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I omnia denseri fierique ex mutano natura, omnibus unum né sono simili al fuoco, né ad alcun'altra corpus, nil ab se quod possit cosa mittere raptim, che possa emettere corpi ai sensi aestifer ignis uti lumen iacit e con l'accostarsi colpire il nostro tatto. atque vaporem, Dire, poi, che fuoco sono tutte le cose e ut videas non e stipatis che nel novero partibus esse. delle cose non esiste nulla che sia reale Quod si forte alia credunt tranne il fuoco, ratione potesse come fa questo medesimo Eraclito, pare ignis in coetu stingui essere mero delirio. mutareque corpus, Infatti contro i sensi, partendo dai sensi, scilicet ex nulla facere id si egli stesso combatte, parte reparcent, e infirma quelli da cui dipendono tutte le occidet ad nihilum ni mirum opinioni, funditus ardor da cui egli stesso apprese questo che omnis et [e] nihilo fient quae chiama fuoco. cumque creantur; Crede infatti che i sensi conoscano nam quod cumque suis realmente il fuoco, mutatum finibus exit, ma non tutte le altre cose, che per nulla continuo hoc mors est illius son meno chiare. quod fuit ante. E questo a me sembra falsità e delirio. proinde aliquid superare A che ci riferiremo infatti? Che mai può necesse est incolume ollis, essere per noi ne tibi res redeant ad nilum più sicuro degli stessi sensi per discernere funditus omnes il vero e il falso? de nihiloque renata vigescat E d'altronde, perché uno eliminerebbe copia rerum. tutte le altre cose Nunc igitur quoniam e vorrebbe lasciare la sola natura del certissima corpora quaedam fuoco, piuttosto che negare sunt, quae conservant l'esistenza del fuoco e lasciare tuttavia naturam semper eandem, sussistere un'altra natura? quorum abitu aut aditu Uguale demenza sembra, infatti, dire e mutatoque ordine mutant l'una e l'altra cosa. naturam res et convertunt Perciò coloro i quali pensarono che corpora sese, materia delle cose fosse scire licet non esse haec il fuoco e che di fuoco potesse essere http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (37 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I ignea corpora rerum. nil referret enim quaedam decedere, abire atque alia adtribui mutarique ordine quaedam, si tamen ardoris naturam cuncta tenerent; ignis enim foret omnimodis quod cumque crearet. verum, ut opinor, itast: sunt quaedam corpora, quorum concursus motus ordo positura figurae efficiunt ignis mutatoque ordine mutant naturam neque sunt igni simulata neque ulli praeterea rei quae corpora mittere possit sensibus et nostros adiectu tangere tactus. dicere porro ignem res omnis esse neque ullam rem veram in numero rerum constare nisi ignem, quod facit hic idem, perdelirum esse videtur. nam contra sensus ab sensibus ipse repugnat et labefactat eos, unde omnia credita pendent, unde hic cognitus est ipsi quem nominat ignem; credit enim sensus ignem cognoscere vere, cetera non credit, quae nilo clara minus sunt. costituito l'universo, e coloro che posero l'aria quale principio generatore delle cose, o quanti pensarono che l'acqua di per sé sola formasse le cose, o che la terra creasse tutto e si trasformasse in ogni natura di cose, sembrano essersi sperduti molto lontano dal vero. Aggiungi anche coloro che duplicano i primi principi delle cose, unendo l'aria al fuoco e la terra all'acqua, e coloro che credono che da quattro cose possa crescer tutto, dal fuoco, dalla terra e dall'aria e dall'acqua. Fra questi primeggia Empedocle di Agrigento, che entro le sue rive triangolari produsse l'isola intorno a cui fluttuando negli ampi anfratti il mare Ionio spruzza dalle onde glauche le salse spume, e per angusto stretto acque impetuose dividono con le onde le rive della terra Eolia dal suo territorio. Qui è la devastatrice Cariddi e qui i boati dell'Etna minacciano di raccogliere di nuovo le ire delle fiamme, sì che ancora la sua violenza vomiti fuochi prorompenti dalle fauci e al cielo lanci di nuovo folgori http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (38 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I quod mihi cum vanum tum di fiamma. delirum esse videtur; E se questa regione appare in molti modi quo referemus enim? quid grande, meravigliosa nobis certius ipsis alle genti umane, e si dice che sia degna sensibus esse potest, qui di essere veduta, vera ac falsa notemus? opima di cose buone, munita di molta Praeterea quare quisquam forza di uomini, magis omnia tollat pure sembra che in sé non abbia avuto et velit ardoris naturam nulla di più glorioso linquere solam, che quest'uomo, nulla di più santo e quam neget esse ignis, mirabile e caro. [aliam] tamen esse E invero i canti del suo petto divino relinquat? svelano a gran voce ed espongono aequa videtur enim gloriose scoperte, dementia dicere utrumque. sì che a stento sembra nato da stirpe Quapropter qui materiem umana. rerum esse putarunt Egli, tuttavia, e quelli che abbiamo ignem atque ex igni menzionati sopra, summam consistere posse, notevolmente inferiori sotto molti aspetti et qui principium gignundis e molto minori, aëra rebus benché scoprissero molte cose bene e in constituere aut umorem qui maniera divina, cumque putarunt e quasi dai penetrali del cuore dessero fingere res ipsum per se responsi terramve creare più santamente e con molto maggiore omnia et in rerum naturas certezza vertier omnis, che la Pizia, che parla dal tripode e dal magno opere a vero longe lauro di Febo, derrasse videntur. tuttavia nei primi principi delle cose adde etiam qui conduplicant rovinarono, primordia rerum e gravemente ivi caddero, grandi in aëra iungentes igni grande caduta; terramque liquori, prima perché, tolto dalle cose il vuoto, et qui quattuor ex rebus asseriscono posse omnia rentur il movimento, e lasciano cose morbide e ex igni terra atque anima porose, procrescere et imbri. l'aria l'acqua il fuoco la terra gli animali le http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (39 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I quorum Acragantinus cum messi, primis Empedocles est, e tuttavia non mescolano nel loro corpo il insula quem triquetris vuoto; terrarum gessit in oris, poi perché credono che non ci sia alcun quam fluitans circum magnis termine anfractibus aequor alla divisione dei corpi, né esista arresto Ionium glaucis aspargit virus al loro spezzarsi, ab undis né resti assolutamente alcun minimo nelle angustoque fretu rapidum cose; mare dividit undis mentre vediamo che di ciascuna cosa Aeoliae terrarum oras a esiste quel vertice estremo finibus eius. che si vede essere il minimo rispetto ai hic est vasta Charybdis et nostri sensi, hic Aetnaea minantur sì che puoi inferirne che il punto estremo murmura flammarum esistente nei corpi rursum se colligere iras, che non sei in grado di scorgere è in essi faucibus eruptos iterum vis la minima parte. ut vomat ignis E a ciò s'aggiunge ancora questo: poiché ad caelumque ferat flammai suppongono fulgura rursum. come primi principi cose molli, che noi quae cum magna modis vediamo soggette multis miranda videtur alla nascita e dotate di corpo mortale, gentibus humanis regio l'universo visendaque fertur dovrebbe in tal caso ritornare interamente rebus opima bonis, multa al nulla, munita virum vi, e dal nulla rinascere e prender vigore nil tamen hoc habuisse viro l'insieme delle cose; praeclarius in se ma tu già saprai quanto e questo e quello nec sanctum magis et mirum siano lontani dal vero. carumque videtur. Poi, quelle cose sono in molti modi carmina quin etiam divini nemiche ed hanno l'una pectoris eius per l'altra effetto di veleno: perciò o vociferantur et exponunt accozzatesi periranno praeclara reperta, o fuggiranno qua e là, così come, per ut vix humana videatur addensamento di tempesta, stirpe creatus. vediamo fuggire qua e là fulmini e piogge Hic tamen et supra quos e venti. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (40 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I diximus inferiores partibus egregie multis multoque minores, quamquam multa bene ac divinitus invenientes ex adyto tam quam cordis responsa dedere sanctius et multo certa ratione magis quam Pythia quae tripodi a Phoebi lauroque profatur, principiis tamen in rerum fecere ruinas et graviter magni magno cecidere ibi casu. Primum quod motus exempto rebus inani constituunt et res mollis rarasque relinquunt aëra solem ignem terras animalia frugis nec tamen admiscent in eorum corpus inane; deinde quod omnino finem non esse secandis corporibus facient neque pausam stare fragori nec prorsum in rebus minimum consistere qui[cquam], cum videamus id extremum cuiusque cacumen esse quod ad sensus nostros minimum esse videtur, conicere ut possis ex hoc, quae cernere non quis extremum quod habent, Infine, se da quattro cose tutto si crea e in esse cose tutto di nuovo si dissolve, come possono queste esser chiamate primi principi piuttosto che, al contrario e inversamente, le cose principi di queste? Alternamente infatti si generano e cambiano colore e l'intera loro natura reciprocamente, da sempre. Ma se per caso credi che il corpo del fuoco e quello della terra e i soffi dell'aria e il rorido umore si congiungano così che nell'unione per nulla muti la loro natura, da essi non ti si potrà formare nessun essere, né animato, né con corpo inanimato, come un albero. Difatti nella congiunzione del vario coacervo ciascuna cosa mostrerà la natura propria, e si vedrà l'aria mista insieme con la terra, e il fuoco permanere insieme con l'acqua. Ma nella generazione delle cose bisogna che i primi principi apportino una natura occulta e invisibile, perché non spicchi qualcosa che contrasti, e precluda a quanto vien creato la possibilità di un'esistenza propria. Anzi, risalgono sino al cielo e ai suoi fuochi, e suppongono che prima il fuoco si trasformi nei soffi dell'aria, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (41 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I minimum consistere [in illis]. di qui si generi la pioggia, e dalla pioggia Huc accedit item, si crei la terra, quoniam primordia rerum e dalla terra tutto ritorni indietro, mollia constituunt, quae nos prima l'acqua, poi l'aria, quindi il calore, nativa videmus e che queste cose non cessino di mutarsi esse et mortali cum corpore, tra loro, funditus ut qui di passare dal cielo alla terra, dalla terra debeat ad nihilum iam rerum agli astri del cielo. summa reverti Cosa che i primi principi non devono fare de nihiloque renata in alcun modo. vigescere copia rerum; È necessario, infatti, che qualcosa quorum utrumque quid a sopravanzi immutabile, vero iam distet habebis. perché tutte le cose non si riducano Deinde inimica modis appieno al nulla. multis sunt atque veneno Infatti ogni volta che una cosa si muta ed ipsa sibi inter se; quare aut esce dai propri congressa peribunt termini, sùbito questo è la morte di ciò aut ita diffugient, ut che era prima. tempestate coacta Perciò, poiché le cose che abbiamo dette fulmina diffugere atque poc'anzi imbris ventosque videmus. subiscono mutamento, è necessario che Denique quattuor ex esse constino rebus si cuncta creantur di altre che non possano assolutamente atque in eas rursum res cambiarsi, omnia dissoluuntur, se non vuoi che tutte le cose si riducano qui magis illa queunt rerum appieno al nulla. primordia dici Perché non supponi piuttosto certi corpi quam contra res illorum dotati retroque putari? di tale natura che, se per caso hanno alternis gignuntur enim creato il fuoco, mutantque colorem possano anche, tolti pochi di essi ed et totam inter se naturam aggiunti pochi altri, tempore ab omni. mutati ordine e moto, produrre i soffi [fulmina diffugere atque dell'aria, imbris ventosque videmus.] e che così tutte le cose si mutino le une sin ita forte putas ignis nelle altre? terraeque coire "Ma fatti manifesti", dici, "mostrano http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (42 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I corpus et aërias auras apertamente che tutte roremque liquoris, le cose nei soffi dell'aria crescono e nil in concilio naturam ut s'alimentano dalla terra; mutet eorum, e se la stagione non prodiga in tempo nulla tibi ex illis poterit res propizio le piogge, esse creata, sì che gli alberi vacillino per lo sciogliersi non animans, non exanimo dei nembi, cum corpore, ut arbos; e il sole per parte sua non li ristora e quippe suam quicque in dispensa il calore, coetu variantis acervi non possono crescere messi, alberi, esseri naturam ostendet mixtusque viventi". videbitur aër Naturalmente! E, se cibi secchi e teneri cum terra simul et quodam liquidi cum rore manere. non ci sostenessero, senz'altro, deperito il at primordia gignundis in corpo, rebus oportet anche tutta la vita da tutti i nervi e le naturam clandestinam ossa si scioglierebbe. caecamque adhibere, Infatti senza dubbio noi siamo sostentati e emineat ne quid, quod alimentati da cose contra pugnet et obstet determinate, come da cose determinate quo minus esse queat altri esseri e altri ancora. proprie quodcumque creatur. Certo perché molti principi primi, comuni Quin etiam repetunt a a molte cose caelo atque ignibus eius in molti modi, nelle cose son misti, et primum faciunt ignem se per questo cose diverse si alimentano di vertere in auras cose diverse. aëris, hinc imbrem gigni E spesso importa molto con quali altri i terramque creari medesimi primi ex imbri retroque a terra principi, e in quale disposizione, siano cuncta reverti, collegati, umorem primum, post aëra, e quali movimenti a vicenda imprimano e deinde calorem, ricevano; nec cessare haec inter se giacché gli stessi costituiscono il cielo, il mutare, meare mare, le terre, i fiumi, a caelo ad terram, de terra il sole, gli stessi le messi, gli alberi, gli ad sidera mundi. esseri viventi, quod facere haud ullo ma si muovono commisti ad altri e in altro http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (43 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I debent primordia pacto. immutabile enim quiddam superare necessest, ne res ad nihilum redigantur funditus omnes; nam quod cumque suis mutatum finibus exit, continuo hoc mors est illius quod fuit ante. quapropter quoniam quae paulo diximus ante in commutatum veniunt, constare necessest ex aliis ea, quae nequeant convertier usquam, ne tibi res redeant ad nilum funditus omnis; quin potius tali natura praedita quaedam corpora constituas, ignem si forte crearint, posse eadem demptis paucis paucisque tributis, ordine mutato et motu, facere aëris auras, sic alias aliis rebus mutarier omnis? 'At manifesta palam res indicat' inquis 'in auras aëris e terra res omnis crescere alique; et nisi tempestas indulget tempore fausto imbribus, ut tabe nimborum arbusta vacillent, solque sua pro parte fovet tribuitque calorem, modo. Anzi qua e là nei nostri stessi versi tu vedi molte lettere comuni a molte parole, mentre tuttavia devi ammettere che versi e parole distano tra loro, e per significato e per modulazione di suono. Tanto è il potere delle lettere, solo che se ne muti l'ordine. Ma i primi principi delle cose sono in grado di apportare più mezzi, perché se ne possano creare tutte le varie cose. Ora scrutiamo anche l'omeomeria di Anassagora, come i Greci la chiamano, mentre a noi la povertà del patrio linguaggio non concede di denominarla nella nostra lingua; ma tuttavia la cosa stessa è facile esporla con parole. Anzitutto - ciò che egli denomina omeomeria delle cose evidentemente crede che le ossa siano formate di ossa piccolissime e minute, e di piccolissime e minute carni la carne, e che il sangue si crei da molte gocce di sangue che si uniscano tra loro, e che l'oro possa esser costituito di briciole d'oro, e che la terra si componga per aggregarsi di particelle di terra, di particelle di fuoco sia fatto il fuoco, d'acqua l'acqua; e in simile maniera immagina e crede http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (44 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I crescere non possint fruges tutte le altre cose. arbusta animantis.' Né tuttavia in alcuna parte egli concede scilicet et nisi nos cibus che nelle cose ci sia aridus et tener umor il vuoto, né che esista un limite alla adiuvet, amisso iam corpore divisione dei corpi. vita quoque omnis Perciò in entrambe le dottrine mi sembra omnibus e nervis atque che egli erri ossibus exsoluatur; allo stesso modo di coloro di cui adiutamur enim dubio procul parlammo sopra. atque alimur nos Aggiungi che troppo deboli s'immagina i certis ab rebus, certis aliae primi principi; atque aliae res. se effettivamente sono primi principi, ni mirum quia multa modis quelli che son dotati communia multis di natura simile a quella che è propria multarum rerum in rebus delle cose stesse, e ugualmente primordia mixta soffrono fatica e morte, e nulla ne arresta sunt, ideo variis variae res il disfacimento. rebus aluntur. Quale di essi infatti sotto una pressione atque eadem magni refert violenta resisterà primordia saepe tanto da sfuggire alla distruzione, tra i cum quibus et quali positura denti stessi della morte? contineantur Il fuoco o l'acqua o l'aria? Quale di questi? et quos inter se dent motus Il sangue o le ossa? accipiantque; Nessuno, a parer mio; quando in egual namque eadem caelum mare modo ogni cosa, senza eccezione, terras flumina solem sarà mortale, tanto quanto i corpi che constituunt, eadem fruges manifestamente vediamo arbusta animantis, scomparire, vinti da qualche forza, sotto i verum aliis alioque modo nostri occhi. commixta moventur. Ma che le cose non possano ricadere nel quin etiam passim nostris in nulla, né, poi, versibus ipsis crescere dal nulla, chiamo a testimoniarlo multa elementa vides multis le cose già provate. communia verbis, Inoltre, poiché il cibo accresce il corpo e lo cum tamen inter se versus alimenta, ac verba necessest se ne può concludere che in noi le vene e confiteare et re et sonitu il sangue e le ossa http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (45 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I distare sonanti. tantum elementa queunt permutato ordine solo; at rerum quae sunt primordia, plura adhibere possunt unde queant variae res quaeque creari. Nunc et Anaxagorae scrutemur homoeomerian quam Grai memorant nec nostra dicere lingua concedit nobis patrii sermonis egestas, sed tamen ipsam rem facilest exponere verbis. principio, rerum quam dicit homoeomerian, ossa videlicet e pauxillis atque minutis ossibus hic et de pauxillis atque minutis visceribus viscus gigni sanguenque creari sanguinis inter se multis coeuntibus guttis ex aurique putat micis consistere posse aurum et de terris terram concrescere parvis, ignibus ex ignis, umorem umoribus esse, cetera consimili fingit ratione putatque. nec tamen esse ulla de parte in rebus inane concedit neque corporibus finem esse secandis. * o, se diranno che tutti i cibi sono di sostanza mista ed hanno in sé piccoli corpi di nervi e ossa e generalmente vene e parti di sangue, ne conseguirà che ogni cibo, sia secco sia liquido, si debba credere costituito esso stesso di cose d'altra natura, di ossa e di nervi e di siero e di sangue commisti. Inoltre, se tutti i corpi che crescon dalla terra son contenuti nelle particelle di terra, la terra deve essere composta delle cose d'altra natura che sorgono su dalla terra. Trasporta lo stesso ragionamento a un altro oggetto: potrai usare le stesse parole. Se nel legno stan nascosti fiamma e fumo e cenere, è necessario che il legno consti di cose d'altra natura. Inoltre, tutti quei corpi che la terra alimenta, accresce * delle cose d'altra natura che sorgono su dal legno. Resta qui una tenue scappatoia: è quella di cui s'avvale Anassagora, supponendo che in tutte le cose si celino commiste tutte le cose, ma appaia solo quella di cui nel miscuglio esistano più particelle, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (46 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I quare in utraque mihi pariter ratione videtur errare atque illi, supra quos diximus ante. Adde quod inbecilla nimis primordia fingit; si primordia sunt, simili quae praedita constant natura atque ipsae res sunt aequeque laborant et pereunt, neque ab exitio res ulla refrenat. nam quid in oppressu valido durabit eorum, ut mortem effugiat, leti sub dentibus ipsis? ignis an umor an aura? quid horum? sanguen an ossa? nil ut opinor, ubi ex aequo res funditus omnis tam mortalis erit quam quae manifesta videmus ex oculis nostris aliqua vi victa perire. at neque reccidere ad nihilum res posse neque autem crescere de nihilo testor res ante probatas. Praeterea quoniam cibus auget corpus alitque, scire licet nobis venas et sanguen et ossa *** sive cibos omnis commixto corpore dicent esse et habere in se e siano più in evidenza e collocate in prima linea. Ma questo si discosta molto dalla verità. Giacché in tal caso anche le messi dovrebbero spesso, quando son frantumate dalla minacciosa forza della pietra, emettere traccia di sangue o qualcuna di quelle cose che si alimentano nel nostro corpo; quando le stritoliamo con pietra su pietra, il sangue dovrebbe versarsi. Similmente dovrebbero anche spesso le erbe e le acque stillare gocce dolci e di sapore simile a quello che ha il grasso latte delle pecore lanute; e certo dovremmo anche, sminuzzate le zolle di terra, vedere spesso varie specie di erbe e messi e fronde disseminate tra la terra nascondersi in particelle minute; infine, nella legna spezzata si dovrebbero vedere cenere e fumo e minuti fuochi nascosti. Ma, poiché fatti manifesti mostrano che nessuna di tali cose accade, è chiaro che nelle cose non sono in quel modo mischiate le cose, ma semi comuni a molte cose devono celarsi nelle cose, commisti in molti modi. "Ma spesso", tu dici, "sui grandi monti avviene che le vicine cime degli alti alberi si sfreghino le une http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (47 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I nervorum corpora parva ossaque et omnino venas partisque cruoris, fiet uti cibus omnis et aridus et liquor ipse ex alienigenis rebus constare putetur, ossibus et nervis sanieque et sanguine mixto. Praeterea quae cumque e terra corpora crescunt, si sunt in terris, terram constare necessest ex alienigenis, quae terris exoriuntur. transfer item, totidem verbis utare licebit: in lignis si flamma latet fumusque cinisque, ex alienigenis consistant ligna necessest, [praeterea tellus quae corpora cumque alit auget] ex alienigenis, quae lignis [ex]oriuntur. Linquitur hic quaedam latitandi copia tenvis, id quod Anaxagoras sibi sumit, ut omnibus omnis res putet inmixtas rebus latitare, sed illud apparere unum, cuius sint plurima mixta et magis in promptu primaque in fronte locata. quod tamen a vera longe ratione repulsumst; contro le altre, quando a far ciò le costringono gli austri possenti, finché rifulgono d'uno sbocciato fiore di fiamma". Certo; eppure nel legno non si annida il fuoco, ma ci sono molti semi di calore, che, confluiti per lo strofinìo, producono incendi nelle selve. Che se la fiamma si nascondesse nelle selve già formata, non potrebbero per alcun tratto di tempo restar celati i fuochi, divorerebbero dappertutto le selve, brucerebbero gli alberi. E dunque non vedi ora che, come dicemmo poc'anzi, spesso importa moltissimo con quali altri i medesimi primi principi, e in quale disposizione, siano collegati, e quali movimenti a vicenda imprimano e ricevano, e che i medesimi, di poco mutati tra loro, producono i fuochi e il legno? Appunto come anche le parole stesse constano di lettere di poco mutate tra loro, mentre con distinti vocaboli significhiamo ligneo e igneo. E infine, se tutto quanto discerni nelle cose visibili credi che non possa avvenire senza che tu supponga dotati di natura consimile i corpi primi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (48 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I conveniebat enim fruges quoque saepe, minaci robore cum in saxi franguntur, mittere signum sanguinis aut aliquid, nostro quae corpore aluntur. cum lapidi in lapidem terimus, manare cruorem consimili ratione herbis quoque saepe decebat, et latices dulcis guttas similique sapore mittere, lanigerae quali sunt ubere lactis, scilicet et glebis terrarum saepe friatis herbarum genera et fruges frondesque videri dispertita inter terram latitare minute, postremo in lignis cinerem fumumque videri, cum praefracta forent, ignisque latere minutos. quorum nil fieri quoniam manifesta docet res, scire licet non esse in rebus res ita mixtas, verum semina multimodis inmixta latere multarum rerum in rebus communia debent. 'At saepe in magnis fit montibus' inquis 'ut altis arboribus vicina cacumina summa terantur inter se validis facere id della materia, con questo criterio i primi principi ti vanno in rovina: avverrà che sghignazzino, scossi da tremulo riso, e di lacrime salse inumidiscano i volti e le guance. E ora, suvvia, apprendi ciò che resta e ascolta più chiaro canto. Né sfugge al mio pensiero quanto queste cose siano oscure; ma una grande speranza di gloria ha trafitto il mio cuore con tirso penetrante e insieme mi ha infuso nel petto un dolce amore delle Muse, dal quale ora incitato con mente vivida percorro remote regioni delle Pieridi, ove nessuno prima impresse orma. Godo ad appressarmi alle fonti intatte e bere, e godo a cogliere nuovi fiori e comporre per il mio capo una corona gloriosa, di cui prima a nessuno le Muse abbiano velato le tempie; anzitutto perché grandi cose io insegno, e cerco di sciogliere l'animo dagli stretti nodi della superstizione; poi perché su oscura materia compongo versi tanto luminosi, tutto cospargendo col fascino delle Muse. Infatti anche questo appare non privo di ragione; ma, come i medici, quando cercano di dare ai fanciulli http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (49 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I cogentibus austris, donec flammai fulserunt flore coorto.' scilicet et non est lignis tamen insitus ignis, verum semina sunt ardoris multa, terendo quae cum confluxere, creant incendia silvis. quod si facta foret silvis abscondita flamma, non possent ullum tempus celarier ignes, conficerent volgo silvas, arbusta cremarent. iamne vides igitur, paulo quod diximus ante, permagni referre eadem primordia saepe cum quibus et quali positura contineantur et quos inter se dent motus accipiantque, atque eadem paulo inter se mutata creare ignes et lignum? quo pacto verba quoque ipsa inter se paulo mutatis sunt elementis, cum ligna atque ignes distincta voce notemus. Denique iam quae cumque in rebus cernis apertis si fieri non posse putas, quin materiai corpora consimili natura il ripugnante assenzio, prima gli orli, tutt'attorno al bicchiere, cospargono col dolce e biondo liquore del miele, perché nell'imprevidenza della loro età i fanciulli siano ingannati, non oltre le labbra, e intanto bevano interamente l'amara bevanda dell'assenzio e dall'inganno non ricevano danno, ma al contrario in tal modo risanati riacquistino vigore; così io ora, poiché questa dottrina per lo più pare troppo ostica a coloro che non l'hanno coltivata, e il volgo rifugge lontano da essa, ho voluto esporti la nostra dottrina col canto delle Pieridi che suona soave, e quasi cospargerla col dolce miele delle Muse, per provare se per caso potessi in tal modo tenere avvinto il tuo animo ai miei versi, finché penetri tutta la natura, in quale forma sia disposta e ornata. Ma, poiché ho insegnato che gli atomi sono solidissimi e in perpetuo volteggiano, invitti attraverso ogni tempo, ora investighiamo se la loro somma abbia o non abbia alcun limite; e parimenti, il vuoto di cui abbiamo scoperto l'esistenza, o luogo o spazio, in cui tutte le http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (50 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I praedita fingas, cose si svolgono, hac ratione tibi pereunt scrutiamo se sia tutto assolutamente primordia rerum: finito fiet uti risu tremulo concussa oppure si apra immenso e cachinnent smisuratamente profondo. et lacrimis salsis umectent Tutto quanto esiste, dunque, non è ora genasque. limitato in alcuna Nunc age, quod super est, direzione; altrimenti dovrebbe avere cognosce et clarius audi. un'estremità. nec me animi fallit quam sint È evidente, d'altra parte, che niente può obscura; sed acri avere un'estremità, percussit thyrso laudis spes se al di là non esiste qualche cosa che lo magna meum cor delimiti, sì che appaia et simul incussit suavem mi un punto oltre il quale questa natura di in pectus amorem senso non possa più seguirlo. Musarum, quo nunc Ora, poiché dobbiamo ammettere che instinctus mente vigenti niente c'è al di fuori del tutto, avia Pieridum peragro loca questo non ha un'estremità: manca, nullius ante dunque, di confine e di misura. trita solo. iuvat integros Né importa in quali sue regioni tu ti fermi; accedere fontis perché sempre, qualsiasi luogo uno abbia atque haurire iuvatque occupato, novos decerpere flores per ogni verso lascia altrettanto infinito il insignemque meo capiti tutto. petere inde coronam, E inoltre, supponiamo ora che tutto lo unde prius nulli velarint spazio esistente tempora Musae; sia limitato e che qualcuno corra avanti, primum quod magnis doceo all'estrema de rebus et artis riva, spingendosi fino all'ultimo punto, e religionum animum nodis scagli un dardo volante: exsolvere pergo, preferisci tu pensare che esso, lanciato deinde quod obscura de re con valide forze, tam lucida pango vada ove è stato vibrato e voli lontano, carmina musaeo contingens o credi che qualcosa possa arrestarlo e ad cuncta lepore. esso opporsi? id quoque enim non ab nulla O l'una o l'altra ipotesi occorre infatti che ratione videtur; tu ammetta e scelga. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (51 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I sed vel uti pueris absinthia Ma sia l'una che l'altra ti preclude ogni via taetra medentes di scampo cum dare conantur, prius e ti obbliga a riconoscere che il tutto si oras pocula circum estende senza confine. contingunt mellis dulci Infatti, sia che esista qualcosa che flavoque liquore, l'arresti e gl'impedisca ut puerorum aetas inprovida di giungere ove è stato vibrato e di ludificetur conficcarsi nel segno, labrorum tenus, interea sia che più oltre esso voli, il punto donde perpotet amarum è partito non è il confine estremo. absinthi laticem deceptaque In tal modo ti incalzerò e, dovunque non capiatur, porrai l'estrema sed potius tali facto recreata riva, chiederò: "che sarà poi del dardo?". valescat, Avverrà che in nessun luogo si potrà sic ego nunc, quoniam haec fissare il confine, ratio plerumque videtur e la possibilità della fuga sempre tristior esse quibus non est allontanerà la scappatoia. tractata, retroque Inoltre, se tutto lo spazio dell'intero volgus abhorret ab hac, volui universo tibi suaviloquenti fosse chiuso da ogni parte e stesse entro carmine Pierio rationem certi confini, exponere nostram se fosse limitato, già la massa della et quasi musaeo dulci materia per il peso contingere melle, dei suoi corpi solidi sarebbe confluita da si tibi forte animum tali ogni parte nel fondo, ratione tenere né alcuna cosa potrebbe svolgersi sotto la versibus in nostris possem, volta del cielo; dum perspicis omnem e assolutamente non ci sarebbe cielo, né naturam rerum, qua constet luce di sole, compta figura. ché in tal caso tutta la materia giacerebbe Sed quoniam docui accumulata, solidissima materiai già da tempo infinito depositandosi. corpora perpetuo volitare Ma ora, certamente, nessuna requie è invicta per aevom, data ai corpi nunc age, summai quaedam dei primi principi, perché non c'è un sit finis eorum ultimo fondo, nec[ne] sit, evolvamus; item ove possano quasi confluire e porre le loro http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (52 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I quod inane repertumst seu locus ac spatium, res in quo quaeque gerantur, pervideamus utrum finitum funditus omne constet an immensum pateat vasteque profundum. Omne quod est igitur nulla regione viarum finitumst; namque extremum debebat habere. extremum porro nullius posse videtur esse, nisi ultra sit quod finiat, ut videatur quo non longius haec sensus natura sequatur. nunc extra summam quoniam nihil esse fatendum, non habet extremum, caret ergo fine modoque. nec refert quibus adsistas regionibus eius; usque adeo, quem quisque locum possedit, in omnis tantundem partis infinitum omne relinquit. Praeterea si iam finitum constituatur omne quod est spatium, si quis procurrat ad oras ultimus extremas iaciatque volatile telum, id validis utrum contortum viribus ire quo fuerit missum mavis sedi. Sempre in continuo moto si svolgono tutte le cose, per ogni dove, e anche dal basso vengono forniti i corpi della materia che muovono dall'infinito. Infine, palesemente appare agli occhi che una cosa delimita un'altra cosa: l'aria fa da confine ai colli, e i monti all'aria; il mare confina con la terra e, a loro volta, tutte le terre col mare; ma il tutto, invero, non c'è nulla che lo delimiti dall'esterno. La natura dello spazio , dunque, e la distesa dell'abisso è tale che i fulgidi fulmini non potrebbero percorrerla nella loro corsa, volando per un tratto ininterrotto di tempo, né procedendo potrebbero affatto ottenere che resti meno cammino da fare: a tal segno s'apre dovunque alle cose un'immensa estensione, senza confini da ogni punto verso qualunque parte. Che poi tutto l'insieme delle cose possa porsi da sé stesso un limite, lo vieta la natura; la quale costringe la materia a essere limitata dal vuoto, e quanto è vuoto a essere limitato dalla materia, sì che con la loro alternanza rende infinito il tutto, o altrimenti l'uno o l'altro dei due, se non lo delimita http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (53 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I longeque volare, l'altro, con la semplice sua natura si an prohibere aliquid censes stende tuttavia illimitato. obstareque posse? * alterutrum fatearis enim né il mare, né la terra, né la volta sumasque necessest. luminosa del cielo, quorum utrumque tibi né la stirpe mortale, né i santi corpi degli effugium praecludit et omne dèi cogit ut exempta concedas potrebbero sussistere per l'esiguo tratto di fine patere. un'ora: nam sive est aliquid quod dispersa fuori dalla sua compagine la probeat efficiatque massa della materia quo minus quo missum est vagherebbe dissolta per il vuoto immenso, veniat finique locet se, o piuttosto non si sarebbe mai aggregata sive foras fertur, non est a per formare fine profectum. alcuna cosa, perché, sparpagliata, non hoc pacto sequar atque, oras avrebbe potuto adunarsi. ubi cumque locaris Ché certo non secondo un deliberato extremas, quaeram: quid proposito i primi principi telo denique fiet? delle cose si collocarono ciascuno al suo fiet uti nusquam possit posto con mente sagace, consistere finis né in verità pattuirono quali moti dovesse effugiumque fugae prolatet produrre ciascuno; copia semper. ma, poiché molti di essi, in molti modi Praeterea spatium trasmigrando per il tutto, summai totius omne da tempo infinito sono stimolati e undique si inclusum certis travagliati dagli urti, consisteret oris sperimentando ogni genere di movimenti finitumque foret, iam copia e aggregazioni materiai pervengono finalmente a tali disposizioni, undique ponderibus solidis quali son quelle per cui s'è formato e confluxet ad imum sussiste il nostro universo, nec res ulla geri sub caeli e, per molti lunghi anni conservatosi, tegmine posset una volta che si combinò in movimenti nec foret omnino caelum concordanti, neque lumina solis, fa che i fiumi con le onde abbondanti delle quippe ubi materies omnis loro correnti cumulata iaceret alimentino l'avido mare e, riscaldata dalle http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (54 of 61) [07/08/2003 21.34.50] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I ex infinito iam tempore vampe del sole, la terra subsidendo. rinnovi i parti e, sorte dal suo grembo, at nunc ni mirum requies fioriscano le generazioni data principiorum degli animali e vivano i fuochi che corporibus nullast, quia nil scivolano nell'etere. est funditus imum, Ciò che in nessun modo farebbero, se quo quasi confluere et sedes dall'infinito ubi ponere possint. non potesse affluire in abbondanza la semper in adsiduo motu res materia quaeque geruntur con cui sogliono riparare a tempo tutte le partibus [in] cunctis, perdite. infernaque suppeditantur Infatti, come, privati del cibo, gli esseri ex infinito cita corpora viventi materiai. si sfanno perdendo i corpi, così tutte le Postremo ante oculos res cose devono rem finire videtur; dissolversi appena ha cessato di rifornirle aër dissaepit collis atque la materia, aëra montes, deviata per qualche cagione dal giusto terra mare et contra mare cammino. terras terminat omnis; E gli urti dall'esterno, provenienti da ogni omne quidem vero nihil est parte, non hanno il potere quod finiat extra. di conservare tutto l'insieme di qualunque est igitur natura loci mondo si sia aggregato. spatiumque profundi, Possono bensì battere spesso e trattenere quod neque clara suo una parte, percurrere fulmina cursu fin quando ne vengano altri e l'insieme si perpetuo possint aevi possa completare; labentia tractu tuttavia talora sono costretti a rimbalzare nec prorsum facere ut restet e ad accordare minus ire meando; frattanto ai principi delle cose spazio e usque adeo passim patet tempo di fuga, ingens copia rebus sì che possano volar via, liberi finibus exemptis in cunctas dall'aggregazione. undique partis. Perciò, ancora e ancora, è necessario che Ipsa modum porro sibi molti atomi affluiscano; rerum summa parare e d'altronde, perché possano essere ne possit, natura tenet, quae sufficienti gli stessi urti, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (55 of 61) [07/08/2003 21.34.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I corpus inane et quod inane autem est finiri corpore cogit, ut sic alternis infinita omnia reddat, aut etiam alterutrum, nisi terminet alterum eorum, simplice natura pateat tamen inmoderatum, nec mare nec tellus neque caeli lucida templa nec mortale genus nec divum corpora sancta exiguum possent horai sistere tempus; nam dispulsa suo de coetu materiai copia ferretur magnum per inane soluta, sive adeo potius numquam concreta creasset ullam rem, quoniam cogi disiecta nequisset. nam certe neque consilio primordia rerum ordine se suo quaeque sagaci mente locarunt nec quos quaeque [darent motus pepigere profecto] sed quia multa modis multis mutata per omne ex infinito vexantur percita plagis, omne genus motus et coetus experiundo tandem deveniunt in talis disposituras, da ogni parte abbisogna infinita quantità di materia. A tale proposito, tieniti lontano dal credere, o Memmio, a quello che dicono: che tutte le cose convergono verso il centro dell'universo, e che la natura del mondo resta salda senza sostegno di colpi dall'esterno, e l'alto e il basso non possono dissolversi da nessuna parte, per questo: perché tutte le cose premono verso il centro (se a te pare possibile che qualcosa poggi su sé stessa); e che i corpi pesanti che sono sotto la terra, convergono tutti verso l'alto e riposano poggiati all'inverso sulla terra, come le immagini che adesso noi vediamo nell'acqua. E similmente sostengono che animali camminano supini e tuttavia non possono cader via dalla terra nelle regioni inferiori del cielo, più di quanto i corpi nostri possano di per sé stessi volare verso le plaghe del cielo; e che, quando quelli vedono il sole, noi scorgiamo gli astri della notte, e alternamente dividono con noi le stagioni del cielo e trascorrono notti corrispondenti ai nostri giorni. Ma un vano ‹errore ha fatto approvare› ad uomini sciocchi tali ‹assurdità› perché hanno abbracciato ‹una teoria con http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (56 of 61) [07/08/2003 21.34.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I qualibus haec rerum consistit summa creata, et multos etiam magnos servata per annos ut semel in motus coniectast convenientis, efficit ut largis avidum mare fluminis undis integrent amnes et solis terra vapore fota novet fetus summissaque gens animantum floreat et vivant labentis aetheris ignes. quod nullo facerent pacto, nisi materiai ex infinito suboriri copia posset, unde amissa solent reparare in tempore quaeque. nam vel uti privata cibo natura animantum diffluit amittens corpus, sic omnia debent dissolui simul ac defecit suppeditare materies aliqua ratione aversa viai. nec plagae possunt extrinsecus undique summam conservare omnem, quae cumque est conciliata. cudere enim crebro possunt partemque morari, dum veniant aliae ac falso ragionare›. Infatti non può esserci un centro, ‹perché l'universo è› infinito. Né assolutamente, se pure ‹ci fosse un centro›, alcuna cosa potrebbe ivi star fissa ‹per questo,› anziché ‹essere›, in qualsiasi altro modo, ‹respinta› lontano. Infatti tutta l'estensione e lo spazio, che ‹chiamiamo vuoto›, per il centro come fuori dal centro, ‹deve› ugualmente lasciare il passo ai corpi pesanti, dovunque tendano i loro movimenti. Non c'è alcun luogo, ove i corpi, quando siano giunti, possano, perduta la forza del peso, restar fermi nel vuoto; né, d'altra parte, ciò che è vuoto deve sussistere quale base sotto alcuna cosa senza continuare a cedere, come esige la sua natura. Dunque non possono le cose in tal modo esser tenute insieme in un'aggregazione, vinte dalla brama del centro. Inoltre, poiché s'immaginano che al centro tendano, non già tutti i corpi, ma solo quelli della terra e dell'acqua, i flutti del mare e le grandi onde che scendono giù dai monti, e quelle cose che sono contenute, per così dire, nel corpo terrestre, ma al contrario dicono che i tenui soffi dell'aria http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (57 of 61) [07/08/2003 21.34.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I suppleri summa queatur; inter dum resilire tamen coguntur et una principiis rerum spatium tempusque fugai largiri, ut possint a coetu libera ferri. quare etiam atque etiam suboriri multa necessest, et tamen ut plagae quoque possint suppetere ipsae, infinita opus est vis undique materiai. Illud in his rebus longe fuge credere, Memmi, in medium summae quod dicunt omnia niti atque ideo mundi naturam stare sine ullis ictibus externis neque quoquam posse resolvi summa atque ima, quod in medium sint omnia nixa, ipsum si quicquam posse in se sistere credis, et quae pondera sunt sub terris omnia sursum nitier in terraque retro requiescere posta, ut per aquas quae nunc rerum simulacra videmus; et simili ratione animalia suppa vagari contendunt neque posse e terris in loca caeli reccidere inferiora magis quam corpora nostra e i caldi fuochi insieme si irradiino dal centro, e che tutto l'etere all'intorno tremoli di stelle e la fiamma del sole pascoli attraverso i ceruli spazi del cielo perché, fuggendo dal centro, il calore si raccoglie tutto là, e che agli alberi le cime dei rami non potrebbero affatto frondeggiare, se dalla terra a poco a poco cibo a ciascuno ........................................................... che le mura del mondo, al modo delle fiamme volanti, fuggano via improvvisamente dissolte nel vuoto immenso, e tutte le altre cose tengano loro dietro in modo consimile, e crollino in alto le volte tonanti del cielo, e la terra si sottragga rapidamente ai nostri piedi, e tutta, fra le frammiste rovine delle cose terrene e del cielo dissolventi i corpi, si inabissi attraverso il vuoto profondo, sì che in un istante nessun avanzo resti, tranne lo spazio deserto e i primi principi invisibili. Infatti, da qualunque parte supporrai che prima vengano a mancare i corpi, questa parte sarà per le cose la porta della morte, per questa si riverserà fuori tutta la folla della materia. Queste cose così conoscerai, condottovi con poca fatica; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (58 of 61) [07/08/2003 21.34.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I sponte sua possint in caeli templa volare; illi cum videant solem, nos sidera noctis cernere et alternis nobiscum tempora caeli dividere et noctes parilis agitare diebus. sed vanus stolidis haec * * * amplexi quod habent perv * ** nam medium nihil esse potest * * * infinita; neque omnino, si iam [medium sit>, possit ibi quicquam consistere * * * quam quavis alia longe ratione * * * omnis enim locus ac spatium, quod in, per medium, per non medium, concedere [debet] aeque ponderibus, motus qua cumque feruntur. nec quisquam locus est, quo corpora cum venerunt, ponderis amissa vi possint stare [in] inani; nec quod inane autem est ulli subsistere debet, quin, sua quod natura petit, concedere pergat. haud igitur possunt tali ratione teneri res in concilium medii cuppedine victae. e infatti da una cosa un'altra cosa si chiarirà, né la cieca notte ti toglierà il cammino, sì che tu non giunga a vedere gli ultimi confini della natura: così le cose accenderanno la luce su altre cose. (Ll) http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (59 of 61) [07/08/2003 21.34.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I Praeterea quoniam non omnia corpora fingunt in medium niti, sed terrarum atque liquoris umorem ponti magnasque e montibus undas, et quasi terreno quae corpore contineantur, at contra tenuis exponunt aëris auras et calidos simul a medio differrier ignis, atque ideo totum circum tremere aethera signis et solis flammam per caeli caerula pasci, quod calor a medio fugiens se ibi conligat omnis, nec prorsum arboribus summos frondescere ramos posse, nisi a terris paulatim cuique cibatum * ** ne volucri ritu flammarum moenia mundi diffugiant subito magnum per inane soluta et ne cetera consimili ratione sequantur neve ruant caeli tonitralia templa superne terraque se pedibus raptim subducat et omnis inter permixtas rerum caelique ruinas corpora solventes abeat per http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (60 of 61) [07/08/2003 21.34.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber I inane profundum, temporis ut puncto nihil extet reliquiarum desertum praeter spatium et primordia caeca. nam qua cumque prius de parti corpora desse constitues, haec rebus erit pars ianua leti, hac se turba foras dabit omnis materiai. Haec sic pernosces parva perductus opella; namque alid ex alio clarescet nec tibi caeca nox iter eripiet, quin ultima naturai pervideas: ita res accendent lumina rebus. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/1.htm (61 of 61) [07/08/2003 21.34.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II De Rerum Natura - Liber II Suave, mari magno turbantibus È dolce, mentre nel grande mare i aequora ventis venti sconvolgono le acque, e terra magnum alterius spectare guardare dalla terra la grande laborem; fatica di un altro; non quia vexari quemquamst non perché il tormento di qualcuno iucunda voluptas, sia un giocondo piacere, sed quibus ipse malis careas quia ma perché è dolce vedere da quali cernere suavest. mali tu stesso sia immune. suave etiam belli certamina Dolce è anche contemplare grandi magna tueri contese di guerra per campos instructa tua sine apprestate nei campi senza che tu parte pericli; partecipi al pericolo. sed nihil dulcius est, bene quam Ma nulla è più piacevole che star munita tenere saldo sulle serene regioni edita doctrina sapientum templa elevate, ben fortificate dalla serena, dottrina dei sapienti, despicere unde queas alios donde tu possa volgere lo sguardo passimque videre laggiù, verso gli altri, errare atque viam palantis e vederli errare qua e là e cercare, quaerere vitae, andando alla ventura, certare ingenio, contendere la via della vita, gareggiare nobilitate, d'ingegno, rivaleggiare di nobiltà, noctes atque dies niti praestante adoprarsi notte e giorno con labore soverchiante fatica ad summas emergere opes per assurgere a somma ricchezza rerumque potiri. e impadronirsi del potere. o miseras hominum mentes, o O misere menti degli uomini, o pectora caeca! petti ciechi! qualibus in tenebris vitae In che tenebre di vita e tra quanto quantisque periclis grandi pericoli degitur hoc aevi quod cumquest! si consuma questa esistenza, nonne videre quale che sia! E come non vedere nihil aliud sibi naturam latrare, nisi che nient'altro la natura latrando ut qui reclama, se non che il dolore http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (1 of 67) [07/08/2003 21.36.40] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur iucundo sensu cura semota metuque? ergo corpoream ad naturam pauca videmus esse opus omnino: quae demant cumque dolorem, delicias quoque uti multas substernere possint gratius inter dum, neque natura ipsa requirit, si non aurea sunt iuvenum simulacra per aedes lampadas igniferas manibus retinentia dextris, lumina nocturnis epulis ut suppeditentur, nec domus argento fulget auroque renidet nec citharae reboant laqueata aurataque templa, cum tamen inter se prostrati in gramine molli propter aquae rivum sub ramis arboris altae non magnis opibus iucunde corpora curant, praesertim cum tempestas adridet et anni tempora conspergunt viridantis floribus herbas. nec calidae citius decedunt corpore febres, textilibus si in picturis ostroque rubenti iacteris, quam si in plebeia veste sia rimosso e sia assente dal corpo, e nella mente essa goda di un senso giocondo, libera da affanno e timore? E dunque vediamo che alla natura del corpo sono necessarie assolutamente poche cose, quelle che tolgono il dolore, e sono tali che possono anche procurare molte delizie; né la natura stessa talvolta richiede cosa più gradita se in casa non ci sono auree statue di giovani che tengano nelle mani destre torce fiammeggianti, sì che sia data luce ai notturni banchetti, né il palazzo rifulge d'argento e brilla d'oro, né alla cetra fanno eco i soffitti a riquadri e dorati quando tuttavia, familiarmente distesi sull'erba morbida, presso un ruscello, sotto i rami di un albero alto, con tenui mezzi ristorano giocondamente i corpi; soprattutto quando il tempo arride e la stagione cosparge di fiori le erbe verdeggianti. Né le ardenti febbri, se ti dibatti tra drappi ricamati e porpora rosseggiante, lasciano il corpo più presto che se devi giacere su un tappeto http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (2 of 67) [07/08/2003 21.36.40] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II cubandum est. plebeo. quapropter quoniam nihil nostro in Perciò, poiché nulla al nostro corpore gazae corpo giovano i tesori, proficiunt neque nobilitas nec né la nobiltà, né la gloria del gloria regni, regno, per il resto quod super est, animo quoque nil si deve pensare che anche prodesse putandum; all'animo nulla giovino; si non forte tuas legiones per loca salvo che, per avventura, quando campi vedi le tue legioni fervere cum videas belli simulacra ardentemente agitarsi per il cientis, campo suscitando simulacri di subsidiis magnis et opum vi guerra, constabilitas, appoggiate da potenti riserve e da ornatas armis stlattas pariterque forze di cavalleria, animatas, e le schieri fornite di armi e his tibi tum rebus timefactae parimenti animose, religiones ‹quando vedi la flotta effugiunt animo pavidae mortisque ardentemente agitarsi e vagare timores per largo spazio,› tum vacuum pectus lincunt allora, intimorite da queste cose, curaque solutum. le superstizioni quod si ridicula haec ludibriaque ti fuggano via dall'animo esse videmus, trepidanti, e i timori della morte re veraque metus hominum lascino allora sgombro il petto e curaeque sequaces sciolto dall'affanno. nec metuunt sonitus armorum nec Ma, se vediamo che questi fera tela pensieri son ridicoli e meritano audacterque inter reges rerumque scherno, potentis e in realtà i timori degli uomini e versantur neque fulgorem gli affanni incalzanti reverentur ab auro non temono i fragori delle armi, né nec clarum vestis splendorem i crudeli dardi, purpureai, e audacemente si aggirano tra i re quid dubitas quin omnis sit haec e i potenti del mondo, rationis potestas, né riveriscono il fulgore che si omnis cum in tenebris praesertim irraggia dall'oro, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (3 of 67) [07/08/2003 21.36.40] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II vita laboret? nam vel uti pueri trepidant atque omnia caecis in tenebris metuunt, sic nos in luce timemus inter dum, nihilo quae sunt metuenda magis quam quae pueri in tenebris pavitant finguntque futura. hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest non radii solis neque lucida tela diei discutiant, sed naturae species ratioque. Nunc age, quo motu genitalia materiai corpora res varias gignant genitasque resolvant et qua vi facere id cogantur quaeque sit ollis reddita mobilitas magnum per inane meandi, expediam: tu te dictis praebere memento. nam certe non inter se stipata cohaeret materies, quoniam minui rem quamque videmus et quasi longinquo fluere omnia cernimus aevo ex oculisque vetustatem subducere nostris, cum tamen incolumis videatur summa manere propterea quia, quae decedunt corpora cuique, né il luminoso splendore di un vestito di porpora, come puoi dubitare che questo potere sia tutto della ragione? Specie se pensi che tutta nelle tenebre la vita si travaglia. Difatti, come i fanciulli trepidano e tutto temono nelle cieche tenebre, così noi nella luce talora abbiamo paura di cose che per nulla son da temere più di quelle che i fanciulli nelle tenebre paventano e immaginano prossime ad avvenire. Questo terrore dell'animo, dunque, e queste tenebre non li devono dissolvere i raggi del sole, né i lucidi dardi del giorno, ma l'aspetto e l'intima legge della natura. Ora, bada, spiegherò con quale movimento i corpi generatori della materia generino le varie cose e dissolvano le cose generate, e da quale forza siano costretti a far questo, e quale velocità sia ad essi data per percorrere il vuoto immenso: tu ricorda di por mente alle mie parole. Ché certamente la materia non ha compattezza e coesione, giacché vediamo che ogni corpo diminuisce, e discerniamo che tutte le cose quasi fluiscono http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (4 of 67) [07/08/2003 21.36.40] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II unde abeunt minuunt, quo venere augmine donant. illa senescere, at haec contra florescere cogunt, nec remorantur ibi. sic rerum summa novatur semper, et inter se mortales mutua vivunt. augescunt aliae gentes, aliae minuuntur, inque brevi spatio mutantur saecla animantum et quasi cursores vitai lampada tradunt. Si cessare putas rerum primordia posse cessandoque novos rerum progignere motus, avius a vera longe ratione vagaris. nam quoniam per inane vagantur, cuncta necessest aut gravitate sua ferri primordia rerum aut ictu forte alterius. nam [cum] cita saepe obvia conflixere, fit ut diversa repente dissiliant; neque enim mirum, durissima quae sint ponderibus solidis neque quicquam a tergibus obstet. et quo iactari magis omnia materiai corpora pervideas, reminiscere totius imum nil esse in summa, neque habere nel lungo corso del tempo e la vecchiezza le sottrae ai nostri occhi; mentre l'insieme si vede permanere intatto, perché i corpi che si distaccano da ogni cosa, diminuiscono ciò da cui si allontanano, dove giunsero danno accrescimento, quelle cose fanno invecchiare, queste al contrario fiorire, né si arrestano là. Così l'insieme delle cose si rinnova sempre, e i mortali vivono di vicendevoli scambi. Si accrescono alcune specie, altre diminuiscono, e in breve tratto si mutano le generazioni degli esseri viventi e, simili a corridori, si trasmettono la fiaccola della vita. Se pensi che i primi principi delle cose possano star fermi e, stando fermi, generare nuovi moti delle cose, forviato vai errando lontano dalla verità. Infatti, poiché vagano per il vuoto, è necessario che i primi principi delle cose si muovano tutti, o per il loro peso o talora per l'urto di altro corpo. Infatti, quando nell'incalzante movimento spesso si sono incontrati e han cozzato, avviene che in opposte http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (5 of 67) [07/08/2003 21.36.40] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II ubi corpora prima consistant, quoniam spatium sine fine modoquest inmensumque patere in cunctas undique partis pluribus ostendi et certa ratione probatumst. quod quoniam constat, ni mirum nulla quies est reddita corporibus primis per inane profundum, sed magis adsiduo varioque exercita motu partim intervallis magnis confulta resultant, pars etiam brevibus spatiis vexantur ab ictu. et quae cumque magis condenso conciliatu exiguis intervallis convecta resultant, indupedita suis perplexis ipsa figuris, haec validas saxi radices et fera ferri corpora constituunt et cetera [de] genere horum. paucula quae porro magnum per inane vagantur, cetera dissiliunt longe longeque recursant in magnis intervallis; haec aëra rarum sufficiunt nobis et splendida lumina solis. multaque praeterea magnum per inane vagantur, direzioni d'un tratto rimbalzino; né, certo, ciò è strano, giacché sono durissimi nei loro solidi pesanti corpi, e nulla fa ad essi ostacolo da tergo. E, perché meglio tu discerna l'agitarsi di tutti i corpi della materia, ricòrdati che in tutto l'universo non c'è un fondo, né i corpi primi hanno un luogo ove possano posare, poiché lo spazio è senza fine e misura, e che immenso esso s'apra da ogni punto verso qualunque parte, con parecchie parole ho mostrato e con sicuro ragionare è stato provato. Poiché questo è certo, certamente nessuna requie è data ai corpi primi attraverso il vuoto profondo, ma piuttosto, travagliati da un movimento continuo e vario, parte, dopo essersi scontrati, rimbalzano per lunghi intervalli, parte anche per brevi tratti son travagliati dal colpo. E quanti, aggregati con maggiore compattezza, dopo essersi urtati rimbalzano entro intervalli esigui, impacciati come sono dalle loro stesse figure intrecciate, questi costituiscono le dure radici della pietra e le indomite http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (6 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II conciliis rerum quae sunt reiecta masse del ferro e le altre cose nec usquam dello stesso genere. consociare etiam motus potuere Degli altri, che anche vagano recepta. attraverso il vuoto immenso, Cuius, uti memoro, rei pochi bàlzano lontano, e lontano simulacrum et imago retrocedono ante oculos semper nobis versatur a grandi intervalli: questi l'aria et instat. sottile contemplator enim, cum solis ci forniscono e la splendida luce lumina cumque del sole; inserti fundunt radii per opaca ma per il vuoto immenso vagano domorum: molti altri, multa minuta modis multis per che furono esclusi dalle inane videbis aggregazioni, né in alcun'altra corpora misceri radiorum lumine sede in ipso poterono essere accolti e collegare et vel ut aeterno certamine proelia i movimenti. pugnas Di questo fatto, come lo descrivo, edere turmatim certantia nec dare un simulacro e un'immagine pausam, innanzi ai nostri occhi sempre si conciliis et discidiis exercita aggira e incalza. crebris; Osserva infatti, ogni volta che conicere ut possis ex hoc, raggi penetrati primordia rerum infondono la luce del sole quale sit in magno iactari semper nell'ombra delle case: inani. molti minuti corpi in molti modi, dum taxat, rerum magnarum attraverso il vuoto parva potest res vedrai mescolarsi nella luce stessa exemplare dare et vestigia notitiai. dei raggi, Hoc etiam magis haec animum e come in eterna contesa attaccar te advertere par est battaglie e zuffe, corpora quae in solis radiis turbare a torme contendendo, e non far videntur, sosta, quod tales turbae motus quoque da aggregazioni e disgregazioni materiai frequenti travagliati; significant clandestinos caecosque sì che da ciò puoi figurarti quale http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (7 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II subesse. multa videbis enim plagis ibi percita caecis commutare viam retroque repulsa reverti nunc huc nunc illuc in cunctas undique partis. scilicet hic a principiis est omnibus error. prima moventur enim per se primordia rerum, inde ea quae parvo sunt corpora conciliatu et quasi proxima sunt ad viris principiorum, ictibus illorum caecis inpulsa cientur, ipsaque porro paulo maiora lacessunt. sic a principiis ascendit motus et exit paulatim nostros ad sensus, ut moveantur illa quoque, in solis quae lumine cernere quimus nec quibus id faciant plagis apparet aperte. Nunc quae mobilitas sit reddita materiai corporibus, paucis licet hinc cognoscere, Memmi. primum aurora novo cum spargit lumine terras et variae volucres nemora avia pervolitantes aëra per tenerum liquidis loca vocibus opplent, sia l'eterno agitarsi dei primi principi delle cose nel vuoto immenso; almeno per quanto una piccola cosa può dare un modello di cose grandi e vestigi di loro conoscenza. E per questa ragione più conviene che tu ponga mente a questi corpi che vediamo agitarsi nei raggi del sole: perché tali agitazioni rivelano che ci sono movimenti di materia anche al di sotto, segreti ed invisibili. Molte particelle infatti ivi vedrai stimolate da urti ciechi cambiar cammino e indietro respinte ritornare, or qui or lì, da ogni punto verso qualunque parte. Certo questo errante movimento ha per tutti origine dagli atomi. Primi infatti si muovono da sé i primi principi delle cose; quindi quei corpi che constano d'una piccola aggregazione e son quasi prossimi alle forze dei primi principi, spinti dai ciechi colpi di quelli, si mettono in movimento, ed essi stessi a loro volta stimolano i corpi un poco più grandi. Così dai primi principi ascende il movimento e a poco a poco emerge ai nostri sensi, sì che si http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (8 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II quam subito soleat sol ortus muovono anche quelle cose tempore tali che possiamo discernere alla luce convestire sua perfundens omnia del sole; luce, e tuttavia, per quali urti lo omnibus in promptu facciano, non appare manifestumque esse videmus. apertamente. at vapor is, quem sol mittit, Ora, quale velocità sia data ai lumenque serenum corpi della materia, non per inane meat vacuum; quo di qui si può in breve conoscere, o tardius ire Memmio. cogitur, aërias quasi dum Anzitutto, quando l'aurora diverberat undas; cosparge le terre di nuova luce, nec singillatim corpuscula quaeque e i vari uccelli, volando attraverso vaporis i boschi inaccessi, sed complexa meant inter se per l'aria tenera empiono i luoghi conque globata; di limpide voci qua propter simul inter se come subitamente soglia il sole, retrahuntur et extra sorto in quel momento, officiuntur, uti cogantur tardius inondare e vestire della sua luce ire. tutte le cose, at quae sunt solida primordia vediamo che a tutti è prontamente simplicitate, percepibile e manifesto. cum per inane meant vacuum nec Eppure quel calore che il sole res remoratur emette e la luce serena ulla foris atque ipsa suis e partibus non per lo spazio vuoto si unum, diffondono; sì che son costretti unum, in quem coepere, locum ad andare più lenti, mentre conixa feruntur, fendono, per così dire, le onde debent ni mirum praecellere dell'aria. mobilitate Né separatamente si diffondono i et multo citius ferri quam lumina singoli corpuscoli solis di calore, ma intrecciati tra loro e multiplexque loci spatium conglobati; transcurrere eodem perciò ad un tempo si trattengono tempore quo solis pervolgant tra loro e sono ostacolati fulgura caelum. dall'esterno, sì che son costretti ad http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (9 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II *** nec persectari primordia singula quaeque, ut videant qua quicque geratur cum ratione. At quidam contra haec, ignari materiai, naturam non posse deum sine numine reddunt tanto opere humanis rationibus atmoderate tempora mutare annorum frugesque creare et iam cetera, mortalis quae suadet adire ipsaque deducit dux vitae dia voluptas et res per Veneris blanditur saecla propagent, ne genus occidat humanum. quorum omnia causa constituisse deos cum fingunt, omnibus rebus magno opere a vera lapsi ratione videntur. nam quamvis rerum ignorem primordia quae sint, hoc tamen ex ipsis caeli rationibus ausim confirmare aliisque ex rebus reddere multis, nequaquam nobis divinitus esse creatam naturam mundi: tanta stat praedita culpa. quae tibi posterius, Memmi, faciemus aperta; andare più lentamente. Ma i primi principi, che sono di solida semplicità quando traversano lo spazio vuoto, e nessuna cosa li rallenta dal di fuori, ed essi stessi, costituendo ciascuno, con le sue parti, un tutto unico, nell'unico verso in cui cominciarono ad andare, procedono con lo stesso slancio devono evidentemente primeggiare per velocità, e muoversi molto più rapidamente che la luce del sole, e correre per una distesa di spazio molto più grande, nello stesso tempo in cui le folgoranti luci del sole si diffondono per il cielo. * né tener dietro ad ogni singolo primo principio, per vedere in che modo si svolga ogni cosa. Ma contro queste cose alcuni, ignari della materia, credono che la natura non possa senza l'intervento degli dèi, tanto armoniosamente accordandosi ai bisogni degli uomini, mutare le stagioni e produrre le messi e inoltre tutte le altre cose cui la guida della vita, il divino piacere, induce i mortali a volgersi, ed esso stesso li conduce http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (10 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II nunc id quod super est de motibus expediemus. Nunc locus est, ut opinor, in his illud quoque rebus confirmare tibi, nullam rem posse sua vi corpoream sursum ferri sursumque meare. ne tibi dent in eo flammarum corpora frudem; sursus enim versus gignuntur et augmina sumunt et sursum nitidae fruges arbustaque crescunt, pondera, quantum in se est, cum deorsum cuncta ferantur. nec cum subsiliunt ignes ad tecta domorum et celeri flamma degustant tigna trabesque, sponte sua facere id sine vi subiecta putandum est. quod genus e nostro com missus corpore sanguis emicat exultans alte spargitque cruorem. nonne vides etiam quanta vi tigna trabesque respuat umor aquae? nam quo magis ursimus altum derecta et magna vi multi pressimus aegre, tam cupide sursum removet magis atque remittit, plus ut parte foras emergant exiliantque. e con gli atti di Venere li alletta a propagare le stirpi, perché il genere umano non perisca. Ma, quando immaginano che gli dèi abbiano disposto tutte le cose per causa degli uomini, sotto ogni aspetto si vede che molto s'allontanano dalla verità. E infatti quand'anche ignorassi quali siano i primi elementi delle cose, questo tuttavia oserei affermare in base agli stessi fenomeni del cielo e comprovare in forza di molte altre cose: che la natura del mondo non è stata per nulla creata dal volere divino per noi: di così grande difetto essa è dotata. Ma queste cose di poi, o Memmio, ti faremo manifeste. Ora esporremo quanto resta da dire sui movimenti. Ora è il luogo, credo, di dimostrarti in tale riguardo anche ciò: che nessuna cosa corporea può di sua propria forza muoversi verso l'alto e procedere verso l'alto; in questo non ti traggano in inganno i corpi delle fiamme. Sì, verso l'alto sono prodotti e prendono sviluppo e verso l'alto crescono le splendide messi e gli alberi, mentre i corpi pesanti, per quanto http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (11 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II nec tamen haec, quantum est in se, dubitamus, opinor, quin vacuum per inane deorsum cuncta ferantur. sic igitur debent flammae quoque posse per auras aëris expressae sursum succedere, quamquam pondera, quantum in est, deorsum ducere pugnent. nocturnasque faces caeli sublime volantis nonne vides longos flammarum ducere tractus in quas cumque dedit partis natura meatum? non cadere in terras stellas et sidera cernis? sol etiam de vertice dissipat omnis ardorem in partis et lumine conserit arva; in terras igitur quoque solis vergitur ardor. transversosque volare per imbris fulmina cernis, nunc hinc nunc illinc abrupti nubibus ignes concursant; cadit in terras vis flammea volgo. Illud in his quoque te rebus cognoscere avemus, corpora cum deorsum rectum per inane feruntur ponderibus propriis, incerto tempore ferme incertisque locis spatio depellere paulum, è in loro, tutti si muovono verso il basso. Né, quando i fuochi bàlzano su fino ai tetti delle case e con celere fiamma van lambendo assi e travi, bisogna credere che lo facciano spontaneamente, senza una forza che spinga dal basso. Come quando il sangue emesso dal nostro corpo spiccia in alto d'un tratto e spande il suo getto. E non vedi anche con quanta violenza il liquido dell'acqua risputi fuori assi e travi? E infatti, quanto più a fondo le abbiamo spinte in senso perpendicolare e con gran forza in molti le abbiamo premute a fatica, con tanto maggiore impulso le rivomita in su e le rigetta, sì che emergono e bàlzano fuori più che per metà. E tuttavia non dubitiamo, mi pare, che queste cose, per quanto è in loro, cadano tutte attraverso lo spazio vuoto verso il basso. Così, dunque, anche le fiamme devono potere, una volta che per pressione siano sprizzate attraverso i soffi dell'aria, montare verso l'alto, benché il peso, per quanto è in http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (12 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II tantum quod momen mutatum esso, lotti per trarle verso il basso. dicere possis. E le notturne fiaccole del cielo che quod nisi declinare solerent, volano nell'alto, omnia deorsum non vedi come traggono lunghe imbris uti guttae caderent per scie di fiamme inane profundum in qualunque parte la natura diede nec foret offensus natus nec plaga loro un passaggio? creata Non vedi cader sulla terra stelle e principiis; ita nihil umquam natura costellazioni? creasset. Anche il sole dal culmine del cielo Quod si forte aliquis credit diffonde il suo calore graviora potesse in tutte le direzioni e dissemina la corpora, quo citius rectum per sua luce per i campi: inane feruntur, dunque anche verso le terre si incidere ex supero levioribus atque volge il calore del sole. ita plagas E attraverso le piogge vedi volare i gignere, quae possint genitalis fulmini; reddere motus, or di qui or di lì erompendo dalle avius a vera longe ratione recedit. nubi i fuochi corrono; nam per aquas quae cumque comunemente la forza della cadunt atque aëra rarum, fiamma cade sulla terra. haec pro ponderibus casus A tale proposito desideriamo che celerare necessest tu conosca anche questo: propterea quia corpus aquae che i corpi primi, quando in linea naturaque tenvis retta per il vuoto son tratti aëris haud possunt aeque rem in basso dal proprio peso, in un quamque morari, momento affatto indeterminato sed citius cedunt gravioribus e in un luogo indeterminato, exsuperata; deviano un po' dal loro cammino: at contra nulli de nulla parte giusto quel tanto che puoi neque ullo chiamare modifica del movimento. tempore inane potest vacuum Ma, se non solessero declinare, subsistere rei, tutti cadrebbero verso il basso, quin, sua quod natura petit, come gocce di pioggia, per il vuoto concedere pergat; profondo, omnia qua propter debent per né sarebbe nata collisione, né urto http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (13 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II inane quietum si sarebbe prodotto aeque ponderibus non aequis tra i primi principi: così la natura concita ferri. non avrebbe creato mai nulla. haud igitur poterunt levioribus Ma, se per caso qualcuno crede incidere umquam che i corpi più pesanti, ex supero graviora neque ictus più celermente movendosi in linea gignere per se, retta per il vuoto, qui varient motus, per quos natura cadano dall'alto sui più leggeri e gerat res. così producano urti quare etiam atque etiam paulum capaci di provocare movimenti inclinare necessest generatori, corpora; nec plus quam minimum, forviato si discosta lontano dalla ne fingere motus verità. obliquos videamur et id res vera Difatti tutte le cose che cadono refutet. per le acque e l'aria sottile, namque hoc in promptu esse, sì, bisogna che accelerino le manifestumque esse videmus, cadute in proporzione dei pesi, pondera, quantum in est, non perché il corpo dell'acqua e la posse obliqua meare, tenue natura dell'aria ex supero cum praecipitant, quod non possono egualmente ritardare cernere possis; ogni cosa, sed nihil omnino regione viai ma più celermente cedono se son declinare quis est qui possit vinti da cose più pesanti. cernere sese? Per contrario, da nessuna parte e Denique si semper motu in nessun tempo conectitur omnis lo spazio vuoto può sussistere et vetere exoritur novus ordine quale base sotto alcuna cosa, certo senza continuare a cedere, come nec declinando faciunt primordia esige la sua natura: motus perciò attraverso l'inerte vuoto principium quoddam, quod fati tutte le cose devono muoversi foedera rumpat, con eguale velocità, quantunque ex infinito ne causam causa siano di pesi non eguali. sequatur, Giammai, dunque, le più pesanti libera per terras unde haec potranno cadere dall'alto animantibus exstat, sulle più leggere, né potranno per unde est haec, inquam, fatis sé stesse generare urti http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (14 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II avolsa voluntas, per quam progredimur quo ducit quemque voluptas, declinamus item motus nec tempore certo nec regione loci certa, sed ubi ipsa tulit mens? nam dubio procul his rebus sua cuique voluntas principium dat et hinc motus per membra rigantur. nonne vides etiam patefactis tempore puncto carceribus non posse tamen prorumpere equorum vim cupidam tam de subito quam mens avet ipsa? omnis enim totum per corpus materiai copia conciri debet, concita per artus omnis ut studium mentis conixa sequatur; ut videas initum motus a corde creari ex animique voluntate id procedere primum, inde dari porro per totum corpus et artus. nec similest ut cum inpulsi procedimus ictu viribus alterius magnis magnoque coactu; nam tum materiem totius corporis omnem perspicuumst nobis invitis ire che mutino i movimenti con cui la natura compie le sue operazioni. Perciò, ancora e ancora, occorre che i corpi primi declinino un poco; ma non più del minimo possibile, perché non sembri che immaginiamo movimenti obliqui: cosa che la realtà confuterebbe. Infatti ciò vediamo che è alla portata di tutti e manifesto: che i corpi pesanti, per quanto è in loro, non possono muoversi obliquamente, quando precipitano dall'alto, almeno fin dove è dato scorgere. Ma, che essi non declinino assolutamente dalla linea retta nella loro caduta, chi c'è che possa scorgerlo? Infine, se sempre ogni movimento è concatenato e sempre il nuovo nasce dal precedente con ordine certo, né i primi principi deviando producono qualche inizio di movimento che rompa i decreti del fato, sì che causa non segua causa da tempo infinito, donde proviene ai viventi sulla terra questa libera volontà, donde deriva, dico, questa volontà strappata ai fati, per cui procediamo dove il piacere guida ognuno di noi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (15 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II rapique, donec eam refrenavit per membra voluntas. iamne vides igitur, quamquam vis extera multos pellat et invitos cogat procedere saepe praecipitesque rapi, tamen esse in pectore nostro quiddam quod contra pugnare obstareque possit? cuius ad arbitrium quoque copia materiai cogitur inter dum flecti per membra per artus et proiecta refrenatur retroque residit. quare in seminibus quoque idem fateare necessest, esse aliam praeter plagas et pondera causam motibus, unde haec est nobis innata potestas, de nihilo quoniam fieri nihil posse videmus. pondus enim prohibet ne plagis omnia fiant externa quasi vi; sed ne res ipsa necessum intestinum habeat cunctis in rebus agendis et devicta quasi cogatur ferre patique, id facit exiguum clinamen principiorum nec regione loci certa nec tempore certo. e parimenti deviamo i nostri movimenti, non in un tempo determinato, né in un determinato punto dello spazio, ma quando la mente di per sé ci ha spinti? Difatti senza dubbio in ognuno dà principio a tali azioni la sua propria volontà, e di qui i movimenti si diramano per le membra. Non vedi anche come, nell'attimo in cui i cancelli del circo sono aperti, non possa tuttavia la bramosa forza dei cavalli prorompere così di colpo come la mente stessa desidera? Tutta infatti, per l'intero corpo, la massa della materia deve animarsi, sì che, una volta animata, per tutte le membra segua con unanime sforzo il desiderio della mente. Quindi puoi vedere che l'inizio del movimento si crea dal cuore, e dalla volontà dell'animo esso procede primamente, e di là si propaga poi per tutto il corpo e gli arti. Né ciò è simile a quel che accade quando procediamo spinti da un urto, per la forza possente e la possente costrizione di un altro. Infatti allora è evidente che tutta la materia dell'intero corpo si muove ed è trascinata contro il http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (16 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II Nec stipata magis fuit umquam nostro volere, materiai finché non l'abbia raffrenata per le copia nec porro maioribus membra la volontà. intervallis; Non vedi dunque ora che, sebbene nam neque adaugescit quicquam spesso una forza esterna neque deperit inde. molti spinga e costringa a qua propter quo nunc in motu procedere senza che lo vogliano, principiorum e a lasciarsi trascinare a corpora sunt, in eodem ante acta precipizio, tuttavia c'è nel nostro aetate fuere petto et post haec semper simili ratione qualcosa che può lottar contro ed ferentur, opporsi? et quae consuerint gigni gignentur È pure a suo arbitrio che la massa eadem della materia condicione et erunt et crescent è costretta talora a piegarsi per le vique valebunt, membra, per gli arti, quantum cuique datum est per e nel suo slancio è raffrenata, e foedera naturai. torna indietro a star ferma. nec rerum summam commutare Perciò anche negli atomi occorre ulla potest vis; che tu ammetta la stessa cosa, nam neque quo possit genus cioè che, oltre agli urti e ai pesi, ullum materiai c'è un'altra causa effugere ex omni quicquam est , dei movimenti, donde proviene a neque in omne noi questo innato potere, unde coorta queat nova vis giacché vediamo che nulla può inrumpere et omnem nascere dal nulla. naturam rerum mutare et vertere Il peso infatti impedisce che tutte motus. le cose avvengano per gli urti, Illud in his rebus non est quasi per una forza esterna. Ma, mirabile, quare, che la mente stessa omnia cum rerum primordia sint in non abbia una necessità interiore motu, nel fare ogni cosa, summa tamen summa videatur né, come debellata, sia costretta a stare quiete, sopportare e a patire, praeter quam siquid proprio dat ciò lo consegue un'esigua corpore motus. declinazione dei primi principi, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (17 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II omnis enim longe nostris ab sensibus infra primorum natura iacet; qua propter, ubi ipsa cernere iam nequeas, motus quoque surpere debent; praesertim cum, quae possimus cernere, celent saepe tamen motus spatio diducta locorum. nam saepe in colli tondentes pabula laeta lanigerae reptant pecudes, quo quamque vocantes invitant herbae gemmantes rore recenti, et satiati agni ludunt blandeque coruscant; omnia quae nobis longe confusa videntur et velut in viridi candor consistere colli. praeterea magnae legiones cum loca cursu camporum complent belli simulacra cientes, fulgor ubi ad caelum se tollit totaque circum aere renidescit tellus supterque virum vi excitur pedibus sonitus clamoreque montes icti reiectant voces ad sidera mundi et circum volitant equites mediosque repente tramittunt valido quatientes in un punto non determinato dello spazio e in un tempo non determinato. Né la massa della materia fu mai più compatta, né, d'altra parte, ebbe mai intervalli maggiori; giacché nulla s'aggiunge ad accrescerla, niente se ne perde. Perciò il movimento che agita ora i corpi dei primi principi, è il medesimo da cui essi furono agitati in passato, e d'ora in poi sempre si moveranno ugualmente; e quelle cose che di solito sono nate, nasceranno allo stesso modo ed esisteranno e cresceranno e varranno per vigore, quanto a ciascuna fu accordato dalle leggi di natura. Né alcuna forza può mutare la somma delle cose; e infatti non c'è ‹di fuori› alcunché, in cui alcun genere di materia possa fuggir via dal tutto, o da cui una nuova forza possa sorgere e irrompere nel tutto e mutare tutta la natura e sovvertirne i movimenti. Di questo non c'è, a tale proposito, da stupire: che, mentre tutti i primi principi delle cose sono in movimento, la loro somma tuttavia sembra http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (18 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II impete campos; et tamen est quidam locus altis montibus, stare videntur et in campis consistere fulgor. Nunc age, iam deinceps cunctarum exordia rerum qualia sint et quam longe distantia formis, percipe, multigenis quam sint variata figuris; non quo multa parum simili sint praedita forma, sed quia non volgo paria omnibus omnia constant. nec mirum; nam cum sit eorum copia tanta, ut neque finis, uti docui, neque summa sit ulla, debent ni mirum non omnibus omnia prorsum esse pari filo similique adfecta figura. Praeterea genus humanum mutaeque natantes squamigerum pecudes et laeta armenta feraeque et variae volucres, laetantia quae loca aquarum concelebrant circum ripas fontisque lacusque, et quae pervolgant nemora avia pervolitantes, quorum unum quidvis generatim sumere perge; invenies tamen inter se differre starsene in somma quiete, salvoché qualcosa si muova col proprio corpo. Infatti la natura dei corpi primi sta tutta molto lontano dai nostri sensi, al di sotto della loro portata: perciò poiché essi non si posson discernere, anche i loro movimenti devon sottrarci; tanto più che le cose che possiamo discernere, tuttavia spesso, separate da noi per distanza di luoghi, celano i loro movimenti. E certo spesso su un colle, brucando i pascoli in rigoglio, lente si muovono le lanute pecore, ognuna dove la chiama l'invito delle erbe ingemmate di fresca rugiada, e sazi gli agnelli giocano e gaiamente cozzano; ma tutto ciò a noi di lontano appare confuso e come un biancore poggiato sul verde colle. Inoltre, quando possenti legioni in corsa riempiono le distese dei campi suscitando simulacri di guerra, quando un fulgore s'innalza al cielo, e tutta, dintorno, risplende di bronzo la terra, e di sotto solleva col calpestìo un rimbombo la forza degli uomini, e i monti percossi dal clamore rimandano le voci agli http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (19 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II figuris. nec ratione alia proles cognoscere matrem nec mater posset prolem; quod posse videmus nec minus atque homines inter se nota cluere. nam saepe ante deum vitulus delubra decora turicremas propter mactatus concidit aras sanguinis expirans calidum de pectore flumen; at mater viridis saltus orbata peragrans novit humi pedibus vestigia pressa bisulcis, omnia convisens oculis loca, si queat usquam conspicere amissum fetum, completque querellis frondiferum nemus adsistens et crebra revisit ad stabulum desiderio perfixa iuvenci, nec tenerae salices atque herbae rore vigentes fluminaque ulla queunt summis labentia ripis oblectare animum subitamque avertere curam, nec vitulorum aliae species per pabula laeta derivare queunt animum curaque levare; usque adeo quiddam proprium notumque requirit. astri del cielo, e dintorno volteggiano i cavalieri e d'improvviso attraversano il centro dei campi scotendoli con impeto poderoso pure c'è un luogo sugli alti monti ‹di dove› sembrano star fermi e sui campi star poggiati come un fulgore. E ora, continuando, apprendi quali siano i principi di tutte le cose, e quanto siano differenti nelle forme, quanto siano variati per figure di molti generi; non perché pochi siano dotati di forma simile, ma perché non sono tutti generalmente uguali a tutti. Né c'è da meravigliarsene; e infatti, essendo la loro massa tanto grande che, come ho mostrato, non ha fine, né totale, senza dubbio non devono avere assolutamente tutti dei tratti uguali a quelli di tutti gli altri, né essere improntati della stessa figura. Inoltre, il genere umano e i muti, nuotanti branchi dei pesci squamosi e gli opimi armenti e le fiere e i vari uccelli, che popolano le amene dimore delle acque intorno a spiagge e fonti e laghi, e che percorrono i boschi inaccessi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (20 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II praeterea teneri tremulis cum volandovi attraverso vocibus haedi prendine uno qualunque in cornigeras norunt matres agnique rapporto agli altri della stessa petulci specie: balantum pecudes; ita, quod troverai tuttavia che differiscono natura resposcit, tra loro nelle figure. ad sua quisque fere decurrunt Né altrimenti la prole potrebbe ubera lactis. conoscere la madre, Postremo quodvis frumentum né la madre la prole; mentre non tamen omne vediamo che lo possono, quidque suo genere inter se simile e che non meno degli uomini si esse videbis, conoscono tra loro. quin intercurrat quaedam distantia Così, spesso davanti agli splendidi formis. templi degli dèi un vitello concharumque genus parili ratione cade immolato presso gli altari su videmus cui brucia l'incenso, pingere telluris gremium, qua esalando dal petto un caldo fiume mollibus undis di sangue. litoris incurvi bibulam pavit aequor E la madre orbata, vagando per harenam. verdi pascoli, quare etiam atque etiam simili cerca sul terreno le orme impresse ratione necessest, dai piedi bisulchi, natura quoniam constant neque fruga con gli occhi ogni luogo, per facta manu sunt vedere se possa unius ad certam formam primordia in qualche parte scorgere la rerum, creatura che ha perduta; e dissimili inter se quaedam volitare riempie figura. di lamenti il bosco frondoso, Perfacile est animi ratione sostando; e sovente ritorna exsolvere nobis alla stalla, trafitta dal rimpianto quare fulmineus multo penetralior del giovenco; ignis e i teneri salici e le erbe rinverdite quam noster fluat e taedis dalla rugiada terrestribus ortus; e quelle sue acque, scorrenti a fior dicere enim possis caelestem delle rive, non possono fulminis ignem dar diletto al suo animo e sviare http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (21 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II subtilem magis e parvis constare figuris atque ideo transire foramina quae nequit ignis noster hic e lignis ortus taedaque creatus. praeterea lumen per cornum transit, at imber respuitur. quare, nisi luminis illa minora corpora sunt quam de quibus est liquor almus aquarum? et quamvis subito per colum vina videmus perfluere, at contra tardum cunctatur olivom, aut quia ni mirum maioribus est elementis aut magis hamatis inter se perque plicatis, atque ideo fit uti non tam diducta repente inter se possint primordia singula quaeque singula per cuiusque foramina permanare. Huc accedit uti mellis lactisque liquores iucundo sensu linguae tractentur in ore; at contra taetra absinthi natura ferique centauri foedo pertorquent ora sapore; ut facile agnoscas e levibus atque rutundis esse ea quae sensus iucunde l'affanno che l'ha presa, né la vista di altri vitelli per i pascoli in rigoglio può distrarre il suo animo e alleviarne l'affanno: tanto essa ricerca qualcosa che è sua propria e che le è nota. Inoltre, i teneri capretti che han tremule voci riconoscono le madri dalle fronti cornute, e i cozzanti agnelli le pecore che belano: così, come esige la natura, ciascuno generalmente accorre alle mammelle del suo latte. Infine, in qualunque specie di frumento vedrai che i grani, ciascuno nel suo genere, non sono tuttavia tutti simili fra loro, sì che non corra una certa differenza tra le forme. E con simile differenza vediamo la specie delle conchiglie dipingere il grembo della terra, là dove con molli onde l'acqua del mare batte la sabbia assetata del lido incurvato. Pertanto, ancora e ancora: poiché i primi principi delle cose esistono per natura, e non sono foggiati da una mano secondo la forma determinata di uno solo, similmente occorre che certe loro specie volteggino con figure tra loro dissimili. È molto facile per noi spiegare col ragionamento http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (22 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II tangere possunt, at contra quae amara atque aspera cumque videntur, haec magis hamatis inter se nexa teneri proptereaque solere vias rescindere nostris sensibus introituque suo perrumpere corpus. omnia postremo bona sensibus et mala tactu dissimili inter se pugnant perfecta figura; ne tu forte putes serrae stridentis acerbum horrorem constare elementis levibus aeque ac musaea mele, per chordas organici quae mobilibus digitis expergefacta figurant; neu simili penetrare putes primordia forma in nares hominum, cum taetra cadavera torrent, et cum scena croco Cilici perfusa recens est araque Panchaeos exhalat propter odores; neve bonos rerum simili constare colores semine constituas, oculos qui pascere possunt, et qui conpungunt aciem lacrimareque cogunt aut foeda specie foedi turpesque perché il fuoco del fulmine abbia un flusso molto più penetrante di questo nostro, sorto da fiaccole terrestri. Puoi dire infatti che il celeste fuoco del fulmine è più sottile per la piccolezza dei suoi elementi, e perciò passa attraverso forami per cui non può passare questo nostro fuoco sorto dalle legna e prodotto dalla fiaccola. Inoltre la luce passa attraverso il corno, ma la pioggia è respinta. Per quale causa, se non perché quei corpi di luce sono più piccoli di quelli di cui consta il liquido dell'acqua che dà vita? E vediamo che il vino fluisce attraverso il colatoio con tutta l'istantaneità che vuoi; ma, al contrario, l'olio indugia tardo: evidentemente perché è composto di elementi più grandi oppure più uncinati e più intrecciati tra loro, e perciò accade che i primi principi non possano staccarsi in modo abbastanza repentino per passare ciascuno isolatamente dagli altri attraverso i singoli forami di ogni cosa. A ciò s'aggiunge che i liquidi del miele e del latte s'assaporano in bocca con piacevole sensazione della lingua; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (23 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II videntur. ma al contrario la ripugnante omnis enim, sensus quae mulcet natura dell'assenzio e la selvaggia cumque, centaurea fanno storcere la bocca haut sine principiali aliquo levore col sapore repellente; creatast; sì che puoi facilmente riconoscere at contra quae cumque molesta che di atomi lisci e rotondi atque aspera constat, son fatte quelle cose che possono non aliquo sine materiae squalore piacevolmente toccare i sensi, repertast. mentre al contrario tutte quelle Sunt etiam quae iam nec levia che si trovano amare e aspre, iure putantur son tenute intrecciate tra loro da esse neque omnino flexis atomi più uncinati mucronibus unca, e perciò sogliono lacerare le vie sed magis angellis paulum dei nostri prostantibus, sensi ed entrando far violenza al titillare magis sensus quam corpo. laedere possint, Tutte le cose, infine, che per i fecula iam quo de genere est sensi son buone o cattive a inulaeque sapores. toccarsi, Denique iam calidos ignis contrastano tra loro perché son gelidamque pruinam composte di atomi di forme dissimili dentata modo conpungere differenti. sensus Non devi, dunque, credere, per corporis, indicio nobis est tactus caso, che l'acerbo raccapriccio uterque. prodotto dalla sega stridente tactus enim, tactus, pro divum consti di atomi tanto lisci numina sancta, quanto le musicali melodie, cui corporis est sensus, vel cum res sulle corde i suonatori extera sese dan forma suscitandole con agili insinuat, vel cum laedit quae in dita; corpore natast né devi credere che atomi di aut iuvat egrediens genitalis per forma simile penetrino Veneris res, nelle nari degli uomini, quando si aut ex offensu cum turbant bruciano deformi cadaveri corpore in ipso, e quando la scena è stata di semina confundunt inter se recente aspersa con croco di concita sensum; Cilicia http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (24 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II ut si forte manu quamvis iam corporis ipse tute tibi partem ferias atque experiare. qua propter longe formas distare necessest principiis, varios quae possint edere sensus. Denique quae nobis durata ac spissa videntur, haec magis hamatis inter sese esse necessest et quasi ramosis alte compacta teneri. in quo iam genere in primis adamantina saxa prima acie constant ictus contemnere sueta et validi silices ac duri robora ferri aeraque quae claustris restantia vociferantur. illa quidem debent e levibus atque rutundis esse magis, fluvido quae corpore liquida constant. namque papaveris haustus itemst facilis quod aquarum; nec retinentur enim inter se glomeramina quaeque et perculsus item proclive volubilis exstat. omnia postremo quae puncto tempore cernis diffugere ut fumum nebulas flammasque, necessest, si minus omnia sunt e levibus e un altare dappresso esala profumi d'incenso della Pancaia; né devi supporre che i buoni colori delle cose, che possono pascere gli occhi, constino di atomi simili a quelli dei colori che pungono la pupilla e costringono a lacrimare o per l'odioso aspetto appaiono funesti e ripugnanti. Infatti ogni ‹forma› che accarezza i sensi, non è stata prodotta senza qualche levigatezza di primi principi; e, al contrario, ogni forma che è molesta ed aspra, non è stata formata senza qualche ruvidezza di materia. Ci sono poi altri atomi che non si possono giustamente credere levigati, né del tutto uncinati con punte ritorte, ma hanno piuttosto angoletti un po' sporgenti, ‹sì che› possono titillare i sensi piuttosto che offenderli: di tal genere appunto son gli atomi che fanno la feccia del vino e il sapore dell'enula. E infine, che caldi fuochi e gelida brina pungano i sensi del corpo con atomi dentati in modi differenti, ce lo rivela il contatto dell'uno e dell'altro. Il tatto infatti, il tatto, per la santa potenza degli dèi, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (25 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II atque rotundis, at non esse tamen perplexis indupedita, pungere uti possint corpus penetrareque saxa, nec tamen haerere inter se; quod cumque videmus sensibus dentatum, facile ut cognoscere possis non e perplexis, sed acutis esse elementis. sed quod amara vides eadem quae fluvida constant, sudor uti maris est, minime mirabile debet *** nam quod fluvidus est, e levibus atque rotundis est, sed levibus admixta doloris corpora. nec tamen haec retineri hamata necessust: scilicet esse globosa tamen, cum squalida constent, provolvi simul ut possint et laedere sensus. et quo mixta putes magis aspera levibus esse principiis, unde est Neptuni corpus acerbum, est ratio secernendi seorsumque videndi, umor dulcis ubi per terras crebrius idem percolatur, ut in foveam fluat ac mansuescat; linquit enim supera taetri primordia viri, è il senso del corpo, sia quando una cosa esterna s'insinua, sia quando una che è nata dentro il corpo ci molesta oppure ci dà piacere uscendo nei generatori atti di Venere, o quando per un urto s'agitano nel corpo stesso gli atomi ‹e› tra loro scontrandosi confondono il senso; come puoi sperimentare tu stesso se per caso con la mano ti colpisci una qualunque parte del corpo. Pertanto i primi principi devono avere forme di gran lunga differenti, che possano produrre sensazioni diverse. Infine quelle cose che ci appaiono dure e spesse, occorre che siano più conteste di atomi uncinati e tenute strette in profonda compattezza come da particelle ramificate. In tale genere, stanno anzitutto in prima linea le pietre di diamante, avvezze a sfidare i colpi, e le selci possenti e la robustezza del duro ferro e il bronzo che stride resistendo ai catenacci. Devono invero esser fatte maggiormente di atomi lisci e rotondi quelle cose che sono liquide, che constano di un corpo fluido; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (26 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II aspera quo magis in terris haerescere possint. Quod quoniam docui, pergam conectere rem quae ex hoc apta fidem ducat, primordia rerum finita variare figurarum ratione. quod si non ita sit, rursum iam semina quaedam esse infinito debebunt corporis auctu. namque in eadem una cuiusvis iam brevitate corporis inter se multum variare figurae non possunt. fac enim minimis e partibus esse corpora prima tribus, vel paulo pluribus auge; nempe ubi eas partis unius corporis omnis, summa atque ima locans, transmutans dextera laevis, omnimodis expertus eris, quam quisque det ordo formai speciem totius corporis eius, quod super est, si forte voles variare figuras, addendum partis alias erit. inde sequetur, adsimili ratione alias ut postulet ordo, si tu forte voles etiam variare figuras. ergo formarum novitatem corporis e infatti un sorso di semi di papavero s'inghiotte facilmente al pari d'un sorso d'acqua; ché le singole particelle rotonde non si trattengono a vicenda, e un colpo le fa sùbito scorrere verso il basso come l'acqua. Tutte le cose infine che vedi dileguarsi in un attimo, come il fumo le nuvole e le fiamme, è necessario che, se pure non sono tutte fatte di atomi lisci e rotondi, tuttavia non siano impedite da elementi intrecciati, sì che possano pungere il corpo e penetrare i sassi, senza tuttavia aderire tra loro: puoi quindi facilmente conoscere che qualunque cosa vediamo lenita dai sensi, non è fatta di elementi intrecciati, bensì di acuti. Ma, quando vedi che alcune cose amare sono anche fluide, com'è l'acqua del mare, non devi in alcun modo stupirti. * Infatti, poiché è fluida, è fatta di atomi lisci e rotondi, e ‹a quelli sono› misti corpi ‹scabri› che causano dolore; né tuttavia occorre che questi siano uncinati e si tengano http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (27 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II augmen subsequitur. quare non est ut credere possis esse infinitis distantia semina formis, ne quaedam cogas inmani maximitate esse, supra quod iam docui non posse probari. iam tibi barbaricae vestes Meliboeaque fulgens purpura Thessalico concharum tacta colore, aurea pavonum ridenti imbuta lepore saecla novo rerum superata colore iacerent et contemptus odor smyrnae mellisque sapores, et cycnea mele Phoebeaque daedala chordis carmina consimili ratione oppressa silerent; namque aliis aliud praestantius exoreretur. cedere item retro possent in deteriores omnia sic partis, ut diximus in melioris; namque aliis aliud retro quoque taetrius esset naribus auribus atque oculis orisque sapori. quae quoniam non sunt, rebus reddita certa finis utrimque tenet summam, fateare necessest insieme; non c'è dubbio che sono tuttavia sferici, pur essendo scabri, sì che possono insieme e rotolare e ledere i sensi. E, perché meglio ti persuada che agli atomi lisci sono misti atomi aspri, per cui è amaro il corpo di Nettuno, c'è modo di dividere gli uni dagli altri e vederli separatamente: l'acqua, quando filtra spesso attraverso la terra, fluisce dolce in una buca e si mitiga: lascia infatti di sopra i principi della ripugnante salsedine, perché, aspri come sono, meglio possono aderire alla terra. E, poiché ho insegnato ciò, proseguirò connettendo una cosa che da ciò dipende e deriva evidenza: i primi principi delle cose variano per un limitato numero di forme. Che se così non fosse, allora di nuovo alcuni atomi dovrebbero avere corpo di grandezza infinita. Infatti, entro la stessa piccolezza di un qualsiasi corpo, non possono le forme variar molto fra loro: supponi, in effetti, che i corpi primi siano costituiti di tre parti minime, o aumentane http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (28 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II materiem quoque finitis differe di poche altre il numero; figuris. certo - quando avrai sperimentato denique ab ignibus ad gelidas in ogni modo tutte hiemum usque pruinas quelle parti di un unico corpo, finitumst retroque pari ratione collocandole in alto e in basso, remensumst. trasmutandole da destra a omnis enim calor ac frigus sinistra, per vedere quale forma mediique tepores di figura dia a tutto quel corpo interutrasque iacent explentes ciascun ordinamento ordine summam. se, procedendo oltre, vorrai per ergo finita distant ratione creata, caso produrre figure diverse, ancipiti quoniam mucroni utrimque bisognerà aggiungere altre parti; notantur, poi seguirà hinc flammis illinc rigidis infesta che in simile modo l'ordinamento pruinis. richieda altre parti, Quod quoniam docui, pergam se tu per caso vorrai variare conectere rem quae ancora le figure: ex hoc apta fidem ducat, dunque, alla novità delle forme primordia rerum, sussegue l'aumento del corpo. inter se simili quae sunt perfecta Perciò non puoi in alcun modo figura, credere infinita cluere. etenim distantia che gli atomi differiscano per cum sit infinite forme, formarum finita, necesse est quae tranne che tu non costringa alcuni similes sint di essi a essere di immane esse infinitas aut summam grandezza: cosa che di sopra ho materiai già mostrata inammissibile. finitam constare, id quod non esse Allora vedresti le barbariche vesti probavi. e la fulgente porpora *** di Melibea, tinta col colore delle versibus ostendam corpuscula conchiglie tessaliche, materiai e le auree generazioni dei pavoni, ex infinito summam rerum usque cosparse di grazia ridente, tenere giacere vinte da nuovi colori; e undique protelo plagarum disprezzati continuato. sarebbero l'odore della mirra e il http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (29 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II nam quod rara vides magis esse animalia quaedam fecundamque magis naturam cernis in illis, at regione locoque alio terrisque remotis multa licet genere esse in eo numerumque repleri; sicut quadripedum cum primis esse videmus in genere anguimanus elephantos, India quorum milibus e multis vallo munitur eburno, ut penitus nequeat penetrari: tanta ferarum vis est, quarum nos perpauca exempla videmus. sed tamen id quoque uti concedam, quam lubet esto unica res quaedem nativo corpore sola, cui similis toto terrarum non sit, in orbi; infinita tamen nisi erit vis materiai, unde ea progigni possit concepta, creari non poterit neque, quod super est, procrescere alique. quippe etenim sumant alii finita per omne corpora iactari unius genitalia rei, unde ubi qua vi et quo pacto congressa coibunt materiae tanto in pelago turbaque aliena? sapore del miele; e le melodie dei cigni e i canti di Febo, con arte modulati sulle corde, similmente soverchiati tacerebbero; ché sempre sorgerebbe qualcosa superiore ad ogni altra. Parimenti, tutte le cose potrebbero all'inverso passare a condizioni peggiori, come, lo abbiamo detto, a migliori potrebbero sorgere; infatti, anche procedendo all'inverso, ci sarebbe sempre qualcosa più delle altre ripugnante a nari, orecchie e occhi e gusto. Poiché ciò non accade, ‹ma› un limite certo assegnato alle cose ne racchiude la somma dall'una parte e dall'altra, devi ammettere che anche la materia varia per numero limitato di forme. Infine, dal fuoco alle gelide brine invernali c'è un tratto limitato, e ugualmente si misura la distanza in senso inverso. Infatti tutti i gradi di calore e di freddo e di temperati tepori sono nel mezzo di questi estremi, compiendo la somma nell'ordine dovuto. Dunque sono stati creati diversi in una gradazione limitata, poiché con duplice punta son segnati all'uno e all'altro estremo, infestati di qui dalle fiamme, di lì dalle rigide brine. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (30 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II non, ut opinor, habent rationem conciliandi: sed quasi naufragiis magnis multisque coortis disiactare solet magnum mare transtra cavernas antemnas prorem malos tonsasque natantis, per terrarum omnis oras fluitantia aplustra ut videantur et indicium mortalibus edant, infidi maris insidias virisque dolumque ut vitare velint, neve ullo tempore credant, subdola cum ridet placidi pellacia ponti, sic tibi si finita semel primordia quaedam constitues, aevom debebunt sparsa per omnem disiectare aestus diversi materiai, numquam in concilium ut possint compulsa coire nec remorari in concilio nec crescere adaucta; quorum utrumque palam fieri manifesta docet res, et res progigni et genitas procrescere posse. esse igitur genere in quovis primordia rerum infinita palam est, unde omnia suppeditantur. Nec superare queunt motus E, poiché ho insegnato ciò, proseguirò connettendo una cosa che da ciò dipende e deriva evidenza: i primi principi delle cose che hanno figure simili tra loro, sono infiniti. Infatti, essendo finita la differenza delle forme, è necessario che quelle che sono simili siano infinite oppure che la somma della materia sia finita, cosa che ho dimostrato non essere, mostrando nei miei versi che i corpuscoli della materia provenienti dall'infinito mantengono sempre la somma delle cose, da ogni parte susseguendosi gli urti in successione continua. In effetti, se vedi che sono più rari alcuni animali, e meno feconda osservi in essi la natura, tuttavia in regione e luogo diversi e in terre remote può darsi ne esistano molti altri di quella specie e il numero si compia; così, tra i quadrupedi in primo luogo vediamo gli elefanti dalla proboscide serpentina: da molte migliaia di loro è formato il vallo d'avorio di cui l'India è cinta, sì che non si può penetrare http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (31 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II itaque exitiales perpetuo neque in aeternum sepelire salutem, nec porro rerum genitales auctificique motus perpetuo possunt servare creata. sic aequo geritur certamine principiorum ex infinito contractum tempore bellum. nunc hic nunc illic superant vitalia rerum et superantur item. miscetur funere vagor, quem pueri tollunt visentis luminis oras; nec nox ulla diem neque noctem aurora secutast, quae non audierit mixtos vagitibus aegris ploratus, mortis comites et funeris atri. Illud in his obsignatum quoque rebus habere convenit et memori mandatum mente tenere, nil esse, in promptu quorum natura videtur, quod genere ex uno consistat principiorum, nec quicquam quod non permixto semine constet. et quod cumque magis vis multas possidet in se atque potestates, ita plurima principiorum dentro: così grande è il numero di queste fiere, di cui noi vediamo pochissimi esemplari. Ma tuttavia, per concederti anche questo: ci sia pure qualche cosa, quanto si voglia unica, sola col corpo con cui è nata, che ‹non› abbia un'altra che le somigli ‹su› tutta la terra; se tuttavia non ci sarà un'infinita quantità di materia da cui possa essere concepita e generata, essa non potrà essere creata, né, di poi, crescere e nutrirsi. E infatti - quand'anche io supponga questo, che in numero finito siano sbattuti qua e là per il tutto gli atomi generatori di un'unica cosa donde, dove, per che forza e in che modo s'incontreranno e s'uniranno in sì vasto mare di materia e confusione d'atomi estranei? Non hanno, io penso, modo di aggregarsi; ma - come, quando sono avvenuti molti e grandi naufragi, il vasto mare suole gettare qua e là banchi, costole di nave, antenne, prore, alberi e remi galleggianti, sì che lungo tutte le spiagge si vedono fluttuare aplustri e dare ai mortali http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (32 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II in sese genera ac varias docet esse figuras. Principio tellus habet in se corpora prima, unde mare inmensum volventes frigora fontes adsidue renovent, habet ignes unde oriantur; nam multis succensa locis ardent sola terrae, ex imis vero furit ignibus impetus Aetnae. tum porro nitidas fruges arbustaque laeta gentibus humanis habet unde extollere possit, unde etiam fluvios frondes et pabula laeta montivago generi possit praebere ferarum. quare magna deum mater materque ferarum et nostri genetrix haec dicta est corporis una. Hanc veteres Graium docti cecinere poëtae sedibus in curru biiugos agitare leones, aëris in spatio magnam pendere docentes tellurem neque posse in terra sistere terram. adiunxere feras, quia quamvis effera proles officiis debet molliri victa parentum. ammonimento a volere evitare le insidie del mare infido e le violenze e il suo inganno, e a non credergli mai, quando l'allettamento della bonaccia subdolo ride così, bada, una volta che t'immaginerai in numero finito i primi principi d'una certa specie, sparsi per il tempo infinito, essi dovranno essere gettati qua e là dai flutti della materia che vanno in sensi opposti, sì che non potranno mai essere sospinti insieme e unirsi in aggregazione, né restare aggregati, né, aumentati, svilupparsi; ma fatti manifesti mostrano che palesemente accadono e l'una e l'altra cosa: e che le cose nascono, e che, nate, possono crescere. È dunque palese che esistono per qualunque specie infiniti primi principi, da cui tutte le cose vengono rifornite. Pertanto non possono i movimenti distruttori vincere in perpetuo e seppellire in eterno la vita; né, d'altronde, i movimenti che generano e accrescono le cose possono in perpetuo conservare quanto è stato creato. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (33 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II muralique caput summum cinxere corona, eximiis munita locis quia sustinet urbes. quo nunc insigni per magnas praedita terras horrifice fertur divinae matris imago. hanc variae gentes antiquo more sacrorum Idaeam vocitant matrem Phrygiasque catervas dant comites, quia primum ex illis finibus edunt per terrarum orbes fruges coepisse creari. Gallos attribuunt, quia, numen qui violarint Matris et ingrati genitoribus inventi sint, significare volunt indignos esse putandos, vivam progeniem qui in oras luminis edant. tympana tenta tonant palmis et cymbala circum concava, raucisonoque minantur cornua cantu, et Phrygio stimulat numero cava tibia mentis, telaque praeportant, violenti signa furoris, ingratos animos atque impia pectora volgi conterrere metu quae possint numine divae. ergo cum primum magnas invecta Così con uguale esito prosegue la guerra dei primi principi, che arde da tempo infinito. Ora qui, ora lì, vincono le forze vitali e parimenti son vinte. Al pianto funebre si mescola il vagito che levano i bimbi venendo a vedere le rive della luce; né mai notte è seguìta a giorno, né aurora a notte, senza che abbia udito misti a lamentosi vagiti i pianti compagni della morte e del nero funerale. Questo, a tale proposito, conviene aver suggellato e tenere ben fermo nella memore mente: che tra le cose la cui natura è immediatamente visibile non c'è nulla che consista di un unico genere di primi principi, non c'è cosa che non consti di mescolanza di semi diversi; e più una cosa qualsiasi possiede in sé varie forze e proprietà, più essa mostra con ciò di avere in sé parecchi generi e varie forme di primi principi. Anzitutto la terra ha in sé i corpi primi dai quali le fonti, che diffondono frescura, rinnovano assiduamente il mare immenso; ha quelli dai http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (34 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II per urbis quali nascono i fuochi. munificat tacita mortalis muta Infatti in molti luoghi, acceso sotto salute, i nostri piedi, arde il suolo aere atque argento sternunt iter della terra, mentre di fuochi omne viarum profondi infuria l'impeto dell'Etna. largifica stipe ditantes ninguntque E poi essa ha quegli altri corpi da rosarum cui splendide messi floribus umbrantes matrem ed alberi rigogliosi può fare comitumque catervam. sorgere per le genti umane; hic armata manus, Curetas ha quelli da cui anche fiumi, nomine Grai fronde e pascoli rigogliosi quos memorant, Phrygias inter si può offrire alla stirpe delle fiere forte catervas che vaga sui monti. ludunt in numerumque exultant Perciò Gran Madre degli dèi e sanguine laeti madre delle fiere terrificas capitum quatientes e genitrice del nostro corpo fu numine cristas, detta essa sola. Dictaeos referunt Curetas, qui Di lei cantarono gli antichi dotti Iovis illum poeti di Grecia vagitum in Creta quondam che assisa in trono su un carro occultasse feruntur, guidava due leoni aggiogati, cum pueri circum puerum pernice insegnando così che la vasta terra chorea è sospesa nello spazio [armat et in numerum pernice aereo, né può sulla terra stare chorea] poggiata la terra. armati in numerum pulsarent Aggiogarono al carro le fiere, aeribus aera, perché la prole, quantunque ne Saturnus eum malis mandaret selvaggia, deve ammansirsi, vinta adeptus dalle cure dei genitori. aeternumque daret matri sub E le cinsero la sommità del capo pectore volnus. d'una corona murale, propterea magnam armati matrem perché munita di alture sostiene comitantur, città; aut quia significant divam di tale diadema adorna, ora praedicere ut armis destando sacro orrore incede ac virtute velint patriam defendere attraverso le vaste terre http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (35 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II terram l'immagine della madre divina. praesidioque parent decorique Lei varie genti, secondo l'antico parentibus esse. rito, quae bene et eximie quamvis chiamano Madre Idea, e le danno disposta ferantur, corteggio di turbe di Frigi, longe sunt tamen a vera ratione perché primamente da quella repulsa. regione dicono che le messi omnis enim per se divom natura abbiano cominciato a propagarsi necessest per tutta la terra. inmortali aevo summa cum pace Le assegnano i Galli, perché fruatur vogliono significare che coloro semota ab nostris rebus che hanno offeso il nume della seiunctaque longe; Madre e si son mostrati nam privata dolore omni, privata ingrati verso i genitori, devono periclis, essere giudicati indegni ipsa suis pollens opibus, nihil di generare viva progenie alle rive indiga nostri, della luce. nec bene promeritis capitur neque Timpani tesi tuonano sotto le tangitur ira. palme e concavi cembali terra quidem vero caret omni tutt'intorno, e col rauco canto i tempore sensu, corni minacciano, et quia multarum potitur primordia e col frigio ritmo il cavo flauto rerum, esalta le menti; multa modis multis effert in ed essi protendono armi, segni del lumina solis. violento furore, hic siquis mare Neptunum per potere atterrire gli animi Cereremque vocare ingrati e gli empi petti constituet fruges et Bacchi nomine del volgo col timore della maestà abuti della dea. mavolt quam laticis proprium E così, appena, entrata e tratta proferre vocamen, attraverso le grandi città, concedamus ut hic terrarum muta fa dono ai mortali di una dictitet orbem tacita salute, esse deum matrem, dum vera re di bronzo e argento ne cospargono tamen ipse il percorso su ogni strada, religione animum turpi contingere arricchendola di larghe offerte, e parcat. fanno nevicare fiori di rosa, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (36 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II Saepe itaque ex uno tondentes gramina campo lanigerae pecudes et equorum duellica proles buceriaeque greges eodem sub tegmine caeli ex unoque sitim sedantes flumine aquai dissimili vivont specie retinentque parentum naturam et mores generatim quaeque imitantur. tanta est in quovis genere herbae materiai dissimilis ratio, tanta est in flumine quoque. Hinc porro quamvis animantem ex omnibus unam ossa cruor venae calor umor viscera nervi constituunt, quae sunt porro distantia longe, dissimili perfecta figura principiorum. Tum porro quae cumque igni flammata cremantur. si nil praeterea, tamen haec in corpore tradunt, unde ignem iacere et lumen submittere possint scintillasque agere ac late differre favillam. cetera consimili mentis ratione peragrans invenies igitur multarum semina rerum ombreggiando la Madre e le turbe che le fan corteggio. Qui un manipolo di armati, che i Greci chiamano Cureti, se tra le turbe frigie danza e in ritmo tripudia, lieto alla vista del sangue, col movimento delle teste scotendo i terribili pennacchi, rappresenta i Cureti del Ditte, dei quali si racconta che in Creta un giorno occultarono quel favoloso vagito di Giove; quando, bambini intorno a un bambino, con rapida danza, armati percotevano in ritmo bronzo con bronzo, perché Saturno non lo scoprisse e maciullasse tra le mascelle, producendo un'eterna ferita nel petto della Madre. È per questo che armati accompagnano la Grande Madre, o perché significano che la dea comanda che con le armi e il valore siano risoluti a difendere la terra dei padri e siano pronti a essere presidio e vanto dei loro genitori. Ma queste cose, pur bene ed egregiamente disposte e tramandate, tuttavia si discostano molto dalla verità. Infatti è necessario che ogni natura divina goda http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (37 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II corpore celare et varias cohibere figuras. Denique multa vides, quibus et color et sapor una reddita sunt cum odore in primis pleraque poma. haec igitur variis debent constare figuris; nidor enim penetrat qua fucus non it in artus, fucus item sorsum, sapor insinuatur sensibus; ut noscas primis differre figuris. dissimiles igitur formae glomeramen in unum conveniunt et res permixto semine constant. Quin etiam passim nostris in versibus ipsis multa elementa vides multis communia verbis, cum tamen inter se versus ac verba necesse est confiteare alia ex aliis constare elementis; non quo multa parum communis littera currat aut nulla inter se duo sint ex omnibus isdem, sed quia non volgo paria omnibus omnia constant. sic aliis in rebus item communia multa multarum rerum cum sint, primordia rerum dissimili tamen inter se consistere di per sé vita immortale con somma pace, remota dalle nostre cose e immensamente distaccata. Ché immune da ogni dolore, immune da pericoli, in sé possente di proprie risorse, per nulla bisognosa di noi, né dalle benemerenze è avvinta, né è toccata dall'ira. E la terra stessa, in verità, è in ogni tempo priva di senso; e, poiché di molte cose possiede in sé i primi principi, molti prodotti in molti modi fa sorgere alla luce del sole. Ora, se qualcuno deciderà di chiamare Nettuno il mare e Cerere le messi, e preferisce impiegare abusivamente il nome di Bacco, anziché pronunziare il nome che è proprio del vino, concediamogli pure di andar dicendo che la terra è la madre degli dèi, purché in effetti egli tuttavia si astenga dal contaminare l'animo suo con turpe superstizione. E così le lanute pecore e la guerriera prole dei cavalli e le cornute mandrie dei buoi, pur sovente brucando l'erba da un unico prato, sotto la stessa volta del cielo, e da un unico corso d'acqua placando la sete, tuttavia con dissimile aspetto vivono, e http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (38 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II summa possunt; ut merito ex aliis constare feratur humanum genus et fruges arbustaque laeta. Nec tamen omnimodis conecti posse putandum est omnia; nam volgo fieri portenta videres, semiferas hominum species existere et altos inter dum ramos egigni corpore vivo multaque conecti terrestria membra marinis, tum flammam taetro spirantis ore Chimaeras pascere naturam per terras omniparentis. quorum nil fieri manifestum est, omnia quando seminibus certis certa genetrice creata conservare genus crescentia posse videmus. scilicet id certa fieri ratione necessust. nam sua cuique cibis ex omnibus intus in artus corpora discedunt conexaque convenientis efficiunt motus; at contra aliena videmus reicere in terras naturam, multaque caecis corporibus fugiunt e corpore conservano la natura dei genitori e ne ripetono le abitudini, ciascuno secondo la specie. Tanto è grande la diversità della materia in qualunque genere d'erba, tanto essa è grande in ogni corso d'acqua. E poi, qualsiasi essere vivente, nel complesso delle sue parti, è composto di ossa, sangue, vene, calore, umore, visceri, nervi; che sono anch'essi di gran lunga differenti, costituiti di primi principi di forma dissimile. E ancora, tutte le cose che infiammate dal fuoco bruciano, se nient'altro, nascondono almeno nel proprio corpo gli elementi da cui possano far sorgere il fuoco ed emettere la luce e sprizzare scintille e lontano disperdere la cenere. Con ragionare consimile passando in rassegna tutte le altre cose, troverai allora che nascondono nel corpo semi di molte cose e racchiudono varie figure. Infine, vedi molte cose a cui e il colore e il sapore son dati insieme all'odore; in primo luogo la maggior parte dei frutti. Questi devono dunque constare di atomi di varie forme: http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (39 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II percita plagis, quae neque conecti quoquam potuere neque intus vitalis motus consentire atque imitari. sed ne forte putes animalia sola teneri legibus his, quaedam ratio res terminat omnis nam vel uti tota natura dissimiles sunt inter se genitae res quaeque, ita quamque necessest dissimili constare figura principiorum; non quo multa parum simili sint praedita forma, sed quia non volgo paria omnibus omnia constant. semina cum porro distent, differre necessust intervalla vias conexus pondera plagas concursus motus; quae non animalia solum corpora seiungunt, sed terras ac mare totum secernunt caelumque a terris omne retentant. Nunc age dicta meo dulci quaesita labore percipe, ne forte haec albis ex alba rearis principiis esse, ante oculos quae candida cernis, aut ea quae nigrant nigro de semine nata; l'odore, infatti, penetra per dove il colore non entra nelle membra, il colore ha del pari una propria via, ‹una propria via› ha il sapore per insinuarsi nei sensi; sì che puoi conoscere che differiscono nelle figure dei primi principi. Dissimili forme, dunque, concorrono a comporre un unico agglomeramento, e le cose constano di mescolanza di semi diversi. Anzi, qua e là nei nostri stessi versi tu vedi molte lettere comuni a molte parole, mentre tuttavia devi ammettere che versi e parole differiscono tra loro, che ognuno consta di lettere diverse; non perché soltanto poche lettere comuni vi ricorrano o perché mai due parole siano composte di lettere tutte uguali tra loro, ma perché non son tutte generalmente uguali a tutte. Così nelle altre cose parimenti, benché molti siano i primi principi comuni a molte cose, tuttavia esse possono sussistere costituite da complessi diversi tra loro; sì che giustamente si dice che di atomi differenti son composti il genere umano e le messi e gli alberi rigogliosi. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (40 of 67) [07/08/2003 21.36.41] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II nive alium quemvis quae sunt inbuta colorem, propterea gerere hunc credas, quod materiai corpora consimili sint eius tincta colore; nullus enim color est omnino materiai corporibus, neque par rebus neque denique dispar. in quae corpora si nullus tibi forte videtur posse animi iniectus fieri, procul avius erras. nam cum caecigeni, solis qui lumina numquam dispexere, tamen cognoscant corpora tactu ex ineunte aevo nullo coniuncta colore, scire licet nostrae quoque menti corpora posse vorti in notitiam nullo circum lita fuco. denique nos ipsi caecis quaecumque tenebris tangimus, haud ullo sentimus tincta colore. Quod quoniam vinco fieri, nunc esse docebo. omnis enim color omnino mutatur in omnis; quod facere haud ullo debent primordia pacto; immutabile enim quiddam superare necessest, Né tuttavia si deve credere che possano in ogni modo aggregarsi tutti gli atomi. Altrimenti vedresti dovunque prodursi portenti, sorgere semiferine forme d'uomini, e talora alti rami spuntare da un corpo vivente, e molte membra di animali terrestri connettersi a parti di animali marini, e per le terre, che ogni cosa generano, la natura pascere Chimere spiranti fiamma dall'orrida bocca. Ma è manifesto che nulla di ciò accade, giacché vediamo che tutte le cose, da semi determinati, da determinata genitrice procreate, possono conservare crescendo la loro specie. Certo ciò deve prodursi secondo una legge determinata. Infatti da tutti i cibi si diffondono, dentro, nelle parti del corpo, gli atomi propri a ognuna, e connessi producono movimenti concordanti. Ma al contrario vediamo che la natura rigetta alla terra gli elementi estranei; e molti con invisibili corpi fuggono dal corpo spinti dagli urti, perché non hanno potuto connettersi in alcuna parte, né, dentro, accordarsi coi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (41 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II ne res ad nihilum redigantur funditus omnes; nam quod cumque suis mutatum finibus exit, continuo hoc mors est illius quod fuit ante. proinde colore cave contingas semina rerum, ne tibi res redeant ad nihilum funditus omnes. Praeterea si nulla coloris principiis est reddita natura et variis sunt praedita formis, e quibus omnigenus gignunt variantque colores, propterea magni quod refert, semina quaeque cum quibus et quali positura contineantur et quos inter se dent motus accipiantque, perfacile extemplo rationem reddere possis, cur ea quae nigro fuerint paulo ante colore, marmoreo fieri possint candore repente, ut mare, cum magni commorunt aequora venti, vertitur in canos candenti marmore fluctus; dicere enim possis, nigrum quod saepe videmus, materies ubi permixta est illius et ordo principiis mutatus et addita movimenti vitali e imitarli. Ma, perché tu non creda per caso che solo gli esseri viventi siano astretti da queste leggi, la stessa regola delimita tutte le cose. Infatti, come tutte le cose generate sono dissimili tra loro nel complesso della loro natura, così è necessario che ciascuna consti di primi principi di figura dissimile; non perché pochi siano dotati di forma simile, ma perché non sono tutti generalmente uguali a tutti. E poiché sono differenti i semi, è necessario differiscano gl'intervalli, le vie, le connessioni, i pesi, gli urti, gl'incontri, i movimenti, che non solo distinguono i corpi degli esseri viventi, ma dividono la terra e l'intero mare e tengono separato dalla terra tutto il cielo. Ora ascolta le parole che io con dolce fatica ho cercate, affinché tu per caso non creda composte di primi principi bianchi queste bianche cose che ai tuoi occhi mostrano il loro candore, o nate da nero seme le cose che sono nere; o quelle cose che sono imbevute di un altro qualsiasi colore, per ciò tu creda che lo portino, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (42 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II demptaque quaedam, perché i corpi della materia continuo id fieri ut candens siano tinti di un colore consimile a videatur et album. quello. quod si caeruleis constarent Infatti i corpi della materia non aequora ponti hanno assolutamente colore, seminibus, nullo possent albescere né uguale a quello delle cose, né, pacto; d'altronde, diverso. nam quo cumque modo perturbes E se per caso ti pare che non c'è caerula quae sint, slancio dell'animo che possa numquam in marmoreum possunt giungere a concepire questi corpi, migrare colorem. forviato tu erri lontano. sin alio atque alio sunt semina Difatti, se è vero che i ciechi nati, tincta colore, che non hanno mai scorto quae maris efficiunt unum la luce del sole, tuttavia purumque nitorem, conoscono al tatto corpi ut saepe ex aliis formis variisque che dal principio della vita sono figuris stati per essi privi di colore, efficitur quiddam quadratum si può concludere che anche la unaque figura, nostra mente può pervenire conveniebat, ut in quadrato alla conoscenza di corpi non cernimus esse ricoperti di alcuna tinta. dissimiles formas, ita cernere in Infine, noi stessi, tutte le cose che aequore ponti tocchiamo aut alio in quovis uno puroque nelle cieche tenebre, non le nitore sentiamo tinte di alcun colore. dissimiles longe inter se variosque E poiché ho provato che questo colores. avviene, ora mostrerò praeterea nihil officiunt che ‹i primi principi› sono ‹privi di obstantque figurae qualsiasi colore›. dissimiles, quo quadratum minus Infatti ogni colore, assolutamente, omne sit extra; si muta e ogni at varii rerum inpediunt ‹cosa che cambia colore, cambia prohibentque colores, sé stessa›; quo minus esse uno possit res tota ciò che i primi principi non devono nitore. fare in alcun modo. Tum porro quae ducit et inlicit È necessario, in effetti, che http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (43 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II ut tribuamus principiis rerum non numquam causa colores, occidit, ex albis quoniam non alba creantur, nec quae nigra cluent de nigris, sed variis ex. quippe etenim multo proclivius exorientur candida de nullo quam nigro nata colore aut alio quovis, qui contra pugnet et obstet. Praeterea quoniam nequeunt sine luce colores esse neque in lucem existunt primordia rerum, scire licet quam sint nullo velata colore; qualis enim caecis poterit color esse tenebris? lumine quin ipso mutatur propterea quod recta aut obliqua percussus luce refulget; pluma columbarum quo pacto in sole videtur, quae sita cervices circum collumque coronat; namque alias fit uti claro sit rubra pyropo, inter dum quodam sensu fit uti videatur inter caeruleum viridis miscere zmaragdos. caudaque pavonis, larga cum luce repleta est, qualcosa sopravanzi immutabile, perché tutte le cose non si riducano appieno al nulla. Infatti ogni volta che una cosa si muta ed esce dai propri termini, sùbito questo è la morte di ciò che era prima. Perciò guàrdati dal cospargere di colore i semi delle cose, perché tutte le cose non ti si riducano appieno al nulla. Inoltre, se nessuna natura di colore è stata assegnata ai primi principi, ed essi sono dotati di varie forme, con le quali generano e variano ogni genere di colori, in quanto che importa molto con quali altri i primi principi di ciascuna specie, e in quale disposizione, siano collegati, e quali movimenti a vicenda imprimano e ricevano, tu puoi sùbito spiegare molto facilmente perché quelle cose che poco prima erano di color nero, possano diventare d'un tratto di un candore marmoreo: così il mare, quando forti venti ne hanno sconvolto la superficie, si muta in flutti che biancheggiano come un candido marmo. Puoi, infatti, dire che ciò che di solito noi vediamo nero, quando la sua materia è stata rimescolata e l'ordine dei primi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (44 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II consimili mutat ratione obversa colores; qui quoniam quodam gignuntur luminis ictu, scire licet, sine eo fieri non posse putandum est. Et quoniam plagae quoddam genus excipit in se pupula, cum sentire colorem dicitur album, atque aliud porro, nigrum cum et cetera sentit, nec refert ea quae tangas quo forte colore praedita sint, verum quali magis apta figura, scire licet nihil principiis opus esse colore, sed variis formis variantes edere tactus. Praeterea quoniam non certis certa figuris est natura coloris et omnia principiorum formamenta queunt in quovis esse nitore, cur ea quae constant ex illis non pariter sunt omnigenus perfusa coloribus in genere omni? conveniebat enim corvos quoque saepe volantis ex albis album pinnis iactare colorem et nigros fieri nigro de semine cycnos principi è stato mutato e certe cose sono state aggiunte e certe tolte, sùbito avviene che appaia di una luminosa bianchezza. Che se le acque del mare fossero composte di semi cerulei, non potrebbero in alcun modo biancheggiare. Infatti, in qualunque modo tu sconvolga semi che siano cerulei, giammai possono passare al colore del marmo. Se poi sono tinti parte di un colore e parte di un altro i semi che fanno l'unico e puro colore del mare, come spesso da diverse forme e da varie figure è prodotta qualche cosa quadrata e di un'unica figura, in tal caso, come nel quadrato scorgiamo che ci sono forme dissimili, così si dovrebbero scorgere nelle acque del mare o in qualsiasi altro colore unico e puro colori vari e di gran lunga dissimili tra loro. Inoltre, le figure dissimili non si oppongono per nulla e non precludono che il tutto sia quadrato nel contorno esterno; mentre i diversi colori nelle cose impediscono e proibiscono che l'intera cosa possa essere di http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (45 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II aut alio quovis uno varioque un unico colore. colore. E poi, la ragione, che talvolta ci Quin etiam quanto in partes res induce e alletta quaeque minutas ad attribuire colori ai primi principi distrahitur magis, hoc magis est ut delle cose, cade, cernere possis se le cose bianche non si creano evanescere paulatim stinguique da primi principi bianchi, colorem; né quelle che appaiono nere, da ut fit ubi in parvas partis neri, ma di colori diversi. discerpitur austrum: E in effetti cose candide purpura poeniceusque color nasceranno e sorgeranno clarissimus multo, molto più agevolmente da nessun filatim cum distractum est, colore, che dal nero disperditur omnis; o da qualsiasi altro che contrasti e noscere ut hinc possis prius si opponga. omnem efflare colorem Inoltre, poiché senza luce non particulas, quam discedant ad possono esserci colori, semina rerum. né i primi principi delle cose Postremo quoniam non omnia emergono alla luce, corpora vocem si può conoscere come questi non mittere concedis neque odorem, siano rivestiti di colore. propterea fit E infatti, quale colore potrà esserci ut non omnibus adtribuas sonitus nelle cieche tenebre? et odores: Che anzi nella luce stessa il colore sic oculis quoniam non omnia si muta, secondo cernere quimus, che rifulge percosso da raggi di scire licet quaedam tam constare luce diretti o obliqui; orba colore come si vedono nel sole le piume quam sine odore ullo quaedam delle colombe, sonituque remota, che si trovano intorno alla nuca e nec minus haec animum incoronano il collo; cognoscere posse sagacem e infatti talora accade che abbiano quam quae sunt aliis rebus privata il rosso del lucido piropo; notare. altre volte, per un certo modo di Sed ne forte putes solo spoliata percepire, accade colore che sembrino mescolare tra il corpora prima manere, etiam ceruleo verdi smeraldi. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (46 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II secreta teporis E la coda del pavone, quando è sunt ac frigoris omnino calidique riempita di copiosa luce, vaporis, similmente muta, secondo che si è et sonitu sterila et suco ieiuna voltata, i colori; feruntur, e, poiché questi son prodotti da un nec iaciunt ullum proprium de certo colpire della luce, corpore odorem. chiaramente si deve credere che sicut amaracini blandum non possono nascere senza quella. stactaeque liquorem E, poiché la pupilla riceve in sé un et nardi florem, nectar qui naribus certo genere d'impressione halat, quando si dice che percepisce il cum facere instituas, cum primis colore bianco, quaerere par est, e un altro genere, d'altronde, quod licet ac possis reperire, quando percepisce il nero inolentis olivi e i restanti colori, né importa di naturam, nullam quae mittat quale colore siano per caso naribus auram, dotate le cose che tocchi, ma quam minime ut possit mixtos in piuttosto di che figura sian fornite, corpore odores ne risulta che i primi principi non concoctosque suo contractans hanno bisogno di colori, perdere viro, ma secondo le varie forme propter eandem debent primordia suscitano diverse sensazioni di rerum tatto. non adhibere suum gignundis Inoltre, poiché a determinate rebus odorem forme di atomi non appartiene nec sonitum, quoniam nihil ab se una determinata natura di colore, mittere possunt, e tutte le conformazioni nec simili ratione saporem denique dei primi principi possono esistere quemquam in qualsiasi colore, nec frigus neque item calidum perché mai le cose che ne tepidumque vaporem, risultano non sono ugualmente cetera, quae cum ita sunt tamen cosparse d'ogni genere di colori in ut mortalia constent, ogni loro genere? molli lenta, fragosa putri, cava Dovrebbero infatti anche i corvi corpore raro, spesso, volando, omnia sint a principiis seiuncta da bianche penne spandere bianco http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (47 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II necessest, inmortalia si volumus subiungere rebus fundamenta, quibus nitatur summa salutis; ne tibi res redeant ad nihilum funditus omnes. Nunc ea quae sentire videmus cumque necessest ex insensilibus tamen omnia confiteare principiis constare. neque id manufesta refutant nec contra pugnant, in promptu cognita quae sunt, sed magis ipsa manu ducunt et credere cogunt ex insensilibus, quod dico, animalia gigni. quippe videre licet vivos existere vermes stercore de taetro, putorem cum sibi nacta est intempestivis ex imbribus umida tellus. Praeterea cunctas itidem res vertere sese. vertunt se fluvii in frondes et pabula laeta in pecudes, vertunt pecudes in corpora nostra naturam, et nostro de corpore saepe ferarum augescunt vires et corpora pennipotentum. ergo omnes natura cibos in corpora viva colore, e neri prodursi da nero seme i cigni, o da qualsiasi altro colore, unico o vario. Che anzi, quanto più ogni cosa viene sminuzzolata in parti minute, tanto più puoi vedere il colore svanire a poco a poco ed estinguersi; come avviene quando in piccole parti si lacera la porpora: il colore purpureo e lo scarlatto, di gran lunga il più lucente, quando è stato sminuzzolato a filo a filo, tutto si distrugge; sì che di qui puoi conoscere che le particelle perdono tutto il colore prima di ridursi allo stato di atomi. Infine, poiché ammetti che non tutti i corpi emettono un suono o un odore, ne deriva la conseguenza che non a tutti attribuisci suoni e odori. Parimenti, poiché non tutte le cose possiamo discernere con gli occhi, è chiaro che esistono alcune cose prive di colore, come ne esistono alcune senza odore e scevre di suono, e tuttavia la mente sagace può conoscerle, non meno di quanto può distinguere quelle cose che sono prive di altre qualità. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (48 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II vertit et hinc sensus animantum procreat omnes, non alia longe ratione atque arida ligna explicat in flammas et ignis omnia versat. iamne vides igitur magni primordia rerum referre in quali sint ordine quaeque locata et commixta quibus dent motus accipiantque? Tum porro, quid id est, animum quod percutit, ipsum, quod movet et varios sensus expromere cogit, ex insensilibus ne credas sensile gigni? ni mirum lapides et ligna et terra quod una mixta tamen nequeunt vitalem reddere sensum. illud in his igitur rebus meminisse decebit, non ex omnibus omnino, quaecumque creant res sensilia, extemplo me gigni dicere sensus, sed magni referre ea primum quantula constent, sensile quae faciunt, et qua sint praedita forma, motibus ordinibus posituris denique quae sint. quarum nil rerum in lignis glaebisque videmus; Ma, perché tu non creda per caso che del solo colore siano spogli i corpi primi, essi sono anche del tutto mancanti di tepore e di freddo e di fervido calore, e si aggirano sterili di suono e digiuni di sapore, né spandono dal corpo alcun proprio odore. Come - quando prepari il soave liquido della maggiorana o della mirra o l'essenza del nardo, che alle narici esala profumo di nettare, bisogna in primo luogo cercare, per quanto è possibile e ti riesca di trovarne, una specie di olio inodoro, che non mandi alle narici alcuna esalazione, sì che il meno possibile rovini, col contatto del suo acre effluvio, gli odori mescolati e assimilati al suo corpo dalla cottura per la stessa ‹ragione› occorre che i primi principi delle cose non apportino nella generazione delle cose un loro odore, né un suono, poiché nulla possono da sé emettere, né, similmente, alcuna specie di sapore, né freddo, né, del pari, calore o tepore, né altra delle cose simili; le quali - poiché sono in ogni caso tali da risultare mortali, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (49 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II et tamen haec, cum sunt quasi di corpo molle le flessibili, di putrefacta per imbres, friabile le fragili, di rado le porose vermiculos pariunt, quia corpora tutte è necessario che siano materiai disgiunte dai primi principi, antiquis ex ordinibus permota se vogliamo porre sotto le cose nova re fondamenti immortali, conciliantur ita ut debent animalia su cui poggi la salvezza del tutto. gigni. Altrimenti tutte le cose ti si Deinde ex sensilibus qui sensile ridurranno appieno al nulla. posse creari Ora, le cose, quali che siano, che constituunt, porro ex aliis sentire vediamo dotate di senso, suëti è necessario tu ammetta che *** tuttavia sono tutte composte mollia cum faciunt; nam sensus di primi principi insensibili. Né ciò iungitur omnis confutano, né oppugnano visceribus nervis venis, quae fatti manifesti, che son noti come cumque videmus evidenti; ma piuttosto mollia mortali consistere corpore essi stessi ci conducono per mano creta. e ci costringono a credere sed tamen esto iam posse haec che da cose insensibili, come dico, aeterna manere; sono generati gli esseri animati. nempe tamen debent aut sensum In effetti è possibile vedere che partis habere vivi vermi spuntano fuori aut similis totis animalibus esse dallo sterco nauseabondo, quando putari. si è putrefatta at nequeant per se partes sentire per effetto di piogge eccessive necesse est: l'umida terra; namque animus sensus peraltro, che tutte le cose si membrorum respuit omnis, mutano ugualmente: nec manus a nobis potis est i fiumi, le fronde e i pascoli secreta neque ulla rigogliosi si mutano corporis omnino sensum pars sola in greggi, le greggi mutano la tenere. propria natura nei corpi nostri, linquitur ut totis animantibus e del nostro corpo spesso si adsimulentur, accrescono le forze vitali ut possint consentire undique delle fiere e i corpi degli uccelli sensu. dalle penne possenti. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (50 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II qui poterunt igitur rerum Dunque la natura muta in corpi primordia dici vivi tutti i cibi et leti vitare vias, animalia cum e da questi produce tutti i sensi sint, degli esseri animati, atque animalia mortalibus una in modo non molto diverso da eademque? come sprigiona le fiamme quod tamen ut possint, at coetu dalle aride legna e trasmuta tutte concilioque le cose ‹in› fuoco. nil facient praeter volgum E dunque non vedi ora che molto turbamque animantum, importa in quale ordine scilicet ut nequeant homines tutti i primi principi siano collocati armenta feraeque e con quali altri inter sese ullam rem gignere siano commisti quando imprimono conveniundo. e ricevono movimenti? sic itidem quae sentimus sentire E poi, che cosa è che percuote la necessest. mente stessa, quod si forte suum dimittunt che la muove e costringe a corpore sensum esprimere diversi pensieri, atque alium capiunt, quid opus fuit impedendoti di credere che il adtribui id quod sensibile si generi dall'insensibile? detrahitur? tum praeterea, quod Certo è questo: che le pietre e le fudimus ante, legna e la terra, insieme quatinus in pullos animalis vertier mescolate, non possono tuttavia ova produrre il senso vitale. cernimus alituum vermisque Questo, a tale proposito, converrà effervere terra, dunque ricordare: intempestivos quam putor cepit ob ch'io non dico che, quali che siano imbris, le cose che creano scire licet gigni posse ex non le cose sensibili, da tutte in ogni sensibus sensus. caso nascono senz'altro i sensi, Quod si forte aliquis dicet, dum ma che molto importa, in primo taxat oriri luogo, quanto piccoli siano posse ex non sensu sensus gli elementi che producono il mutabilitate, sensibile, e di che forma sian aut aliquo tamquam partu quod dotati, proditur extra, infine quali siano quanto a http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (51 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II huic satis illud erit planum facere atque probare, non fieri partum nisi concilio ante coacto, nec quicquam commutari sine conciliatu. Principio nequeunt ullius corporis esse sensus ante ipsam genitam naturam animantis, ni mirum quia materies disiecta tenetur aëre fluminibus terris terraque creatis, nec congressa modo vitalis convenientes contulit inter se motus, quibus omnituentes accensi sensus animantem quamque tuentur. Praeterea quamvis animantem grandior ictus, quam patitur natura, repente adfligit et omnis corporis atque animi pergit confundere sensus. dissoluuntur enim positurae principiorum et penitus motus vitales inpediuntur, donec materies omnis concussa per artus vitalis animae nodos a corpore solvit dispersamque foras per caulas eiecit omnis; nam quid praeterea facere ictum movimenti, ordini, disposizioni. Ma niente di ciò vediamo nelle legna e nelle zolle; e tuttavia queste, quando sono come putrefatte per le piogge, generano vermiciattoli, perché i corpi di materia, spostati dagli ordini antichi per il nuovo stato di cose, si aggregano nel modo per cui devono nascere esseri animati. Quelli poi che suppongono che il sensibile possa crearsi da elementi sensibili, soliti a sentire a loro volta grazie ad altri ‹elementi sensibili, fanno mortali i primi principi,› poiché li fanno molli. Infatti ogni sensazione è legata alle viscere, ai nervi, alle vene: cose che generalmente vediamo esser molli e dotate di corpo mortale. Ma tuttavia sia ora ammesso che tali elementi possano durare eterni: certo devono tuttavia o avere la sensibilità d'una parte o essere stimati simili a interi esseri animati. Ma necessariamente è impossibile che le parti di per sé abbiano senso; giacché ogni sensazione delle membra è in rapporto con qualche altra cosa, né può una mano staccata da noi, né generalmente alcuna parte del corpo da sola http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (52 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II posse reamur oblatum, nisi discutere ac dissolvere quaeque? fit quoque uti soleant minus oblato acriter ictu reliqui motus vitalis vincere saepe, vincere et ingentis plagae sedare tumultus inque suos quicquid rursus revocare meatus et quasi iam leti dominantem in corpore motum discutere ac paene amissos accendere sensus; nam qua re potius leti iam limine ab ipso ad vitam possint conlecta mente reverti, quam quo decursum prope iam siet ire et abire? Praeterea, quoniam dolor est, ubi materiai corpora vi quadam per viscera viva per artus sollicitata suis trepidant in sedibus intus, inque locum quando remigrant, fit blanda voluptas, scire licet nullo primordia posse dolore temptari nullamque voluptatem capere ex se; quandoquidem non sunt ex ullis principiorum corporibus, quorum motus novitate laborent conservare la sensibilità. Resta che essi siano assomigliati a interi esseri animati. Così è necessario che sentano ugualmente ciò che noi sentiamo, sì che possano da ogni parte consentire col senso vitale. Come potranno, dunque, esser detti primi principi delle cose ed evitare le vie della morte, quando sono esseri animati, ed esseri animati e mortali non ‹sono› che un'unica e identica cosa? E, ammesso pure che possano, con l'incontro e l'unione non faranno altro che una folla e una turba di esseri animati, come, evidentemente, uomini, armenti e fiere non potrebbero, congregandosi tra loro, generare alcunché. Che se per caso nel corpo perdono la sensibilità e ne assumono un'altra, che bisogno c'era che fosse loro attribuito ciò che vien tolto? E poi, c'è ancora l'argomento a cui siamo ricorsi prima: poiché vediamo che le uova degli uccelli si mutano in viventi pulcini, e vermi brulicano quando per piogge eccessive putredine ha invaso la terra, è dato concludere http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (53 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II aut aliquem fructum capiant dulcedinis almae. haut igitur debent esse ullo praedita sensu. Denique uti possint sentire animalia quaeque, principiis si iam est sensus tribuendus eorum, quid, genus humanum propritim de quibus auctumst? scilicet et risu tremulo concussa cachinnant et lacrimis spargunt rorantibus ora genasque multaque de rerum mixtura dicere callent et sibi proporro quae sint primordia quaerunt; quando quidem totis mortalibus adsimulata ipsa quoque ex aliis debent constare elementis, inde alia ex aliis, nusquam consistere ut ausis; quippe sequar, quod cumque loqui ridereque dices et sapere, ex aliis eadem haec facientibus ut sit. quod si delira haec furiosaque cernimus esse et ridere potest non ex ridentibus auctus, et sapere et doctis rationem reddere dictis non ex seminibus sapientibus atque disertis, qui minus esse queant ea quae che la sensibilità può nascere dai non sensibili. Che se per caso qualcuno dirà che, ad ogni modo, il senso può sorgere dal non-senso per mutamento o quasi per una specie di parto, per cui vien prodotto e tratto fuori, basterà spiegare a costui e provare questo: che non avviene parto se non si è prima compiuta un'unione, e che niente si muta, se non dopo essersi aggregato. Anzitutto, nessun corpo può aver sensi prima che sia nata la stessa natura dell'essere animato, certo perché la sua materia si trova sparpagliata nell'aria, nei fiumi, nella terra e nei prodotti della terra, né ancora si è raccolta, né ha combinato tra loro i moti vitali, concordanti, per i quali i sensi onniveggenti sono accesi e proteggono ogni essere vivente. Inoltre, un colpo abbatte d'un tratto qualunque vivente quando è più violento di quel che sopporta la sua natura, e procede a scompigliare tutti i sensi del corpo e dell'animo. Sono dissolte infatti le disposizioni dei primi principi e nel profondo i moti vitali sono http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (54 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II sentire videmus seminibus permixta carentibus undique sensu? Denique caelesti sumus omnes semine oriundi; omnibus ille idem pater est, unde alma liquentis umoris guttas mater cum terra recepit, feta parit nitidas fruges arbustaque laeta et genus humanum, parit omnia saecla ferarum, pabula cum praebet, quibus omnes corpora pascunt et dulcem ducunt vitam prolemque propagant; qua propter merito maternum nomen adepta est. cedit item retro, de terra quod fuit ante, in terras, et quod missumst ex aetheris oris, id rursum caeli rellatum templa receptant. nec sic interemit mors res ut materiai corpora conficiat, sed coetum dissupat ollis; inde aliis aliud coniungit et efficit, omnis res ut convertant formas mutentque colores et capiant sensus et puncto tempore reddant; ut noscas referre earum primordia intralciati, finché la materia, scossa per tutte le membra, scioglie dal corpo i nodi vitali dell'anima e la caccia fuori dispersa per tutte le aperture. E in effetti, che altro dobbiamo credere che possa fare un colpo inferto, se non rompere e dissolvere ogni cosa? Avviene pure che, dopo un colpo inferto meno duramente, i rimanenti moti vitali sogliano spesso vincere, vincere, e sedare gli ingenti tumulti del colpo, e richiamare ciascuna parte di nuovo nei suoi meati, e spezzare il moto della morte, che già quasi domina nel corpo, e riaccendere i sensi quasi perduti. E in effetti, con che altro mezzo potrebbero, pur giunti ormai al limitare della morte, raccogliere gli spiriti e tornare alla vita, piuttosto che andare là dove si è già quasi giunti, e svanire? Inoltre, poiché c'è dolore quando i corpi della materia, scossi da qualche forza per le viscere vive, per le membra, si agitano disordinatamente nel profondo delle proprie sedi, e, quando tornano a posto, nasce http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (55 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II rerum cum quibus et quali positura contineantur et quos inter se dent motus accipiantque, neve putes aeterna penes residere potesse corpora prima quod in summis fluitare videmus rebus et interdum nasci subitoque perire. quin etiam refert nostris in versibus ipsis cum quibus et quali sint ordine quaeque locata; namque eadem caelum mare terras flumina solem significant, eadem fruges arbusta animantis; si non omnia sunt, at multo maxima pars est consimilis; verum positura discrepitant res. sic ipsis in rebus item iam materiai [intervalla vias conexus pondera plagas] concursus motus ordo positura figurae cum permutantur, mutari res quoque debent. Nunc animum nobis adhibe veram ad rationem. nam tibi vehementer nova res molitur ad auris accedere et nova se species ostendere rerum. sed neque tam facilis res ulla est, un carezzevole piacere, è evidente che i primi principi non possono essere travagliati da alcun dolore, né sentire in sé stessi alcun piacere; giacché non sono composti di corpi di primi principi dalla novità del cui moto possano essere travagliati o prendere qualche frutto di dolcezza vivificatrice. Devono dunque essere privi di qualsiasi senso. E se, perché possano tutti gli esseri viventi sentire, bisogna in fin dei conti che il senso sia attribuito ai loro primi principi, come saranno quelli di cui il genere umano è specificamente formato? Senza dubbio essi sghignazzano, scossi da tremulo riso, e di stillanti lagrime spargono i volti e le guance, e sanno dire molte cose intorno alla mescolanza dei corpi e, per di più, ricercano quali siano i loro primi principi; giacché, simili a interi uomini mortali, devono anch'essi constare di altri elementi, e poi questi di altri, sì che mai tu osi fermarti: infatti ti incalzerò, sì che, a qualunque cosa assegnerai il parlare e il ridere http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (56 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II quin ea primum e il ragionare, essa dovrà essere difficilis magis ad credendum costituita di elementi che constet, itemque compiono nil adeo magnum neque tam questi stessi atti. Ma se scorgiamo mirabile quicquam, che ciò è delirio e follia, quod non paulatim minuant e ridere può uno che non sia mirarier omnes, costituito di atomi ridenti, principio caeli clarum purumque e ragionare e con dotti detti colorem spiegare le cose può uno quaeque in se cohibet, palantia che non sia costituito di atomi sidera passim, sapienti ed eloquenti, lunamque et solis praeclara luce perché mai quegli esseri che nitorem; vediamo dotati di senso non omnia quae nunc si primum potrebbero mortalibus essent esser costituiti di mescolanze di ex improviso si sint obiecta atomi del tutto privi di senso? repente, Infine noi siamo tutti nati da seme quid magis his rebus poterat celeste; a tutti è padre mirabile dici, quello stesso, da cui la terra, la aut minus ante quod auderent fore madre che ci alimenta, credere gentes? quando ha ricevuto le limpide nil, ut opinor; ita haec species gocce di pioggia, miranda fuisset. concepisce e genera le splendide quam tibi iam nemo fessus satiate messi e gli alberi rigogliosi videndi, e il genere umano, genera tutte le suspicere in caeli dignatur lucida stirpi delle fiere, templa. offrendo i cibi con cui tutti nutrono desine qua propter novitate i corpi exterritus ipsa e conducono una piacevole vita e expuere ex animo rationem, sed propagano la progenie; magis acri perciò a ragione essa ha ricevuto il iudicio perpende, et si tibi vera nome di madre. videntur, Del pari ritorna alla terra ciò che dede manus, aut, si falsum est, un tempo uscì dalla terra, accingere contra. e quel che fu mandato giù dalle quaerit enim rationem animus, plaghe dell'etere, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (57 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II cum summa loci sit infinita foris haec extra moenia mundi, quid sit ibi porro, quo prospicere usque velit mens atque animi iactus liber quo pervolet ipse. Principio nobis in cunctas undique partis et latere ex utroque supterque per omne nulla est finis; uti docui, res ipsaque per se vociferatur, et elucet natura profundi. nullo iam pacto veri simile esse putandumst, undique cum vorsum spatium vacet infinitum seminaque innumero numero summaque profunda multimodis volitent aeterno percita motu, hunc unum terrarum orbem caelumque creatum, nil agere illa foris tot corpora materiai; cum praesertim hic sit natura factus et ipsa sponte sua forte offensando semina rerum multimodis temere in cassum frustraque coacta tandem coluerunt ea quae coniecta repente magnarum rerum fierent exordia semper, ritorna alle volte del cielo che nuovamente lo accolgono. Né la morte distrugge le cose sì da annientare i corpi della materia, ma di questi dissolve l'aggregazione; poi congiunge altri atomi con altri e fa che tutte le cose così modifichino le loro forme e mutino i loro colori e acquistino i sensi e in un attimo li perdano, sì che puoi conoscere come importi con quali altri i medesimi primi principi, e in quale disposizione, siano collegati, e quali movimenti a vicenda imprimano e ricevano, e non devi credere che negli eterni corpi primi possa aver sede ciò che vediamo fluire alla superficie delle cose e talora nascere e sùbito perire. Anzi, nei nostri stessi versi è importante con quali altre e in quale ordine ogni lettera sia collocata; giacché le stesse lettere significano il cielo, il mare, le terre, i fiumi, il sole, le stesse le messi, gli alberi, gli esseri viventi; se non tutte, almeno per la parte di gran lunga maggiore sono consimili; ma è per la posizione che differiscono i significati. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (58 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II terrai maris et caeli generisque animantum. quare etiam atque etiam talis fateare necesse est esse alios alibi congressus materiai, qualis hic est, avido complexu quem tenet aether. Praeterea cum materies est multa parata, cum locus est praesto nec res nec causa moratur ulla, geri debent ni mirum et confieri res. nunc et seminibus si tanta est copia, quantam enumerare aetas animantum non queat omnis, quis eadem natura manet, quae semina rerum conicere in loca quaeque queat simili ratione atque huc sunt coniecta, necesse est confiteare esse alios aliis terrarum in partibus orbis et varias hominum gentis et saecla ferarum. Huc accedit ut in summa res nulla sit una, unica quae gignatur et unica solaque crescat, quin aliquoius siet saecli permultaque eodem sint genere. in primis animalibus indice mente Così nelle cose stesse parimenti, quando nella materia mutano gl'incontri, i movimenti, l'ordine, la disposizione, le figure, anche le cose devono mutare. Ora applica la mente alla mia vera dottrina. Una cosa fortemente nuova sta per giungerti alle orecchie, un nuovo aspetto della realtà sta per manifestarsi. Ma non c'è cosa tanto facile che a prima giunta non sia più difficile a credersi, e parimenti nulla è tanto grande, nulla tanto mirabile che a poco a poco lo stupirsene non diminuisca in tutti. In primo luogo il luminoso e puro colore del cielo e quanto esso contiene in sé, gli astri vaganti in ogni parte, e la luna e il sole con lo splendore della luce chiarissima se tutte queste cose ora per la prima volta fossero vedute dai mortali, se d'improvviso si presentassero loro, d'un tratto, che mai si potrebbe dire meraviglia più grande di esse o che prima le genti meno osassero credere possibile? Nulla, io penso: tanto questa vista sarebbe parsa mirabile. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (59 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II invenies sic montivagum genus esse ferarum, sic hominum geminam prolem, sic denique mutas squamigerum pecudes et corpora cuncta volantum. qua propter caelum simili ratione fatendumst terramque et solem, lunam mare cetera quae sunt, non esse unica, sed numero magis innumerali; quando quidem vitae depactus terminus alte tam manet haec et tam nativo corpore constant quam genus omne, quod his generatimst rebus abundans. Quae bene cognita si teneas, natura videtur libera continuo, dominis privata superbis, ipsa sua per se sponte omnia dis agere expers. nam pro sancta deum tranquilla pectora pace quae placidum degunt aevom vitamque serenam, quis regere immensi summam, quis habere profundi indu manu validas potis est moderanter habenas, quis pariter caelos omnis convertere et omnis ignibus aetheriis terras suffire feracis, omnibus inve locis esse omni E ora osserva: per la stanchezza di vederlo a sazietà, nessuno ormai si degna di levare lo sguardo alle volte lucenti del cielo. Cessa, dunque, di rigettare dall'animo questa dottrina, spaurito dalla novità per sé stessa, ma piuttosto pondera tutto con acuto giudizio; e, se ti sembra vera, arrenditi; se è falsa, accingiti a contrastarla. E in verità, dato che l'intero spazio è infinito fuori dalle mura di questo mondo, l'animo cerca di comprendere cosa ci sia più oltre, fin dove la mente voglia protendere il suo sguardo, fin dove il libero slancio dell'animo da sé si avanzi a volo. In primo luogo, per noi da ogni punto verso qualunque parte, da entrambi i lati, ‹sopra› e sotto, per il tutto non c'è confine: come ho mostrato, e la cosa stessa di per sé a gran voce lo proclama, e la natura dello spazio senza fondo riluce. In nessun modo quindi si deve credere verosimile che, mentre per ogni verso si schiude vuoto lo spazio infinito e gli atomi volteggiano in numero innumerevole e in somma sterminata, in molti modi, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (60 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II tempore praesto, stimolati da moto eterno, nubibus ut tenebras faciat caelique soltanto questa terra e questo serena cielo siano stati creati, concutiat sonitu, tum fulmina e niente facciano là fuori quei tanti mittat et aedis corpi di materia; saepe suas disturbet et in deserta tanto più che questo mondo è recedens stato fatto dalla natura, e, da sé saeviat exercens telum, quod spontaneamente a caso urtandosi saepe nocentes tra loro i semi della materia, praeterit exanimatque indignos dopo essersi accozzati in molti inque merentes? modi alla cieca, a vuoto, invano, Multaque post mundi tempus alfine si unirono quelli che, genitale diemque combinati insieme d'un tratto, primigenum maris et terrae dovevano essere per sempre gli solisque coortum inizi di grandi cose, addita corpora sunt extrinsecus, della terra, del mare e del cielo e addita circum delle specie viventi. semina, quae magnum iaculando Perciò, ancora e ancora, è contulit omne, necessario che tu ammetta unde mare et terrae possent che esistono in altri luoghi altri augescere et unde aggregati di materia, appareret spatium caeli domus quale è questo che l'etere cinge di altaque tecta un avido abbraccio. tolleret a terris procul et Inoltre, quando molta materia è consurgeret aër. pronta, nam sua cuique, locis ex omnibus, quando è disponibile lo spazio, né omnia plagis cosa, né causa si oppone, corpora distribuuntur et ad sua senza dubbio le cose devono saecla recedunt, svolgersi e prodursi. umor ad umorem, terreno corpore Ora, se c'è una quantità di atomi terra tanto grande, quanta crescit et ignem ignes procudunt l'intera vita degli esseri viventi aetheraque , non basterebbe a contare, donique ad extremum crescendi ‹e› se permane la stessa forza ‹e› perfica finem natura per combinare omnia perduxit rerum natura i semi delle cose nei vari luoghi in http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (61 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II creatrix; ut fit ubi nihilo iam plus est quod datur intra vitalis venas quam quod fluit atque recedit. omnibus hic aetas debet consistere rebus, hic natura suis refrenat viribus auctum. nam quae cumque vides hilaro grandescere adauctu paulatimque gradus aetatis scandere adultae, plura sibi adsumunt quam de se corpora mittunt, dum facile in venas cibus omnis inditur et dum non ita sunt late dispessa, ut multa remittant et plus dispendi faciant quam vescitur aetas. nam certe fluere atque recedere corpora rebus multa manus dandum est; sed plura accedere debent, donec alescendi summum tetigere cacumen. inde minutatim vires et robur adultum frangit et in partem peiorem liquitur aetas. quippe etenim quanto est res amplior, augmine adempto, et quo latior est, in cunctas undique partis plura modo dispargit et a se corpora mittit, modo somigliante a quello in cui furono combinati qui, è necessario che tu ammetta che in altre parti dello spazio esistono altre terre e diverse razze di uomini e specie di fiere. A ciò si aggiunge che nella somma delle cose non ce n'è alcuna che sia isolata, che sia generata unica e cresca unica e sola, senza far parte di qualche stirpe che includa molte altre cose dello stesso genere. Anzitutto poni mente agli esseri animati: così vedrai generata la stirpe delle fiere che vagano sui monti, così la progenie degli uomini, così infine i muti branchi dei pesci squamosi e tutti i corpi dei volatili. Allo stesso modo bisogna quindi ammettere che il cielo e la terra e il sole, la luna, il mare e tutte le altre cose esistenti, non sono unici, ma piuttosto in numero innumerabile; poiché un termine di vita profondamente fissato li attende, ed essi constano di un corpo che è nato, tanto quanto ogni sorta di cose che qui abbonda di individui della stessa specie. Se bene apprendi e tieni in mente questo, sùbito appare che la natura, libera, affrancata da padroni superbi, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (62 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II nec facile in venas cibus omnis diditur ei nec satis est, pro quam largos exaestuat aestus, unde queat tantum suboriri ac subpeditare. iure igitur pereunt, cum rarefacta fluendo sunt et cum externis succumbunt omnia plagis, quando quidem grandi cibus aevo denique defit, nec tuditantia rem cessant extrinsecus ullam corpora conficere et plagis infesta domare. Sic igitur magni quoque circum moenia mundi expugnata dabunt labem putrisque ruinas; omnia debet enim cibus integrare novando et fulcire cibus, omnia sustentare, ne quiquam, quoniam nec venae perpetiuntur quod satis est, neque quantum opus est natura ministrat. Iamque adeo fracta est aetas effetaque tellus vix animalia parva creat, quae cuncta creavit saecla deditque ferarum ingentia corpora partu. haud, ut opinor, enim mortalia saecla superne aurea de caelo demisit funis in di per sé stessa spontaneamente compie tutto senza gli dèi. E in verità, per i santi petti degli dèi che in tranquilla pace trascorrono placido tempo e vita serena, chi potrebbe reggere la somma dell'immensità, chi tenere nella mano e padroneggiare le forti redini dell'infinito, chi insieme volgere intorno tutti i cieli, e coi fuochi dell'etere riscaldare tutte le terre feraci, e in tutti i luoghi e in ogni momento esser pronto ad addensare con le nuvole le tenebre e a scuotere col tuono i sereni spazi del cielo, poi scagliare i fulmini e spesso demolire i propri templi e, ritirandosi ‹nei› deserti, imperversare, agitando l'arma, che spesso risparmia i colpevoli e agli innocenti ingiustamente infligge morte? E dopo il tempo della nascita del mondo, e il giorno primigenio del mare e della terra, e il sorgere del sole, molti corpi si aggiunsero dall'esterno, d'ogni intorno s'aggiunsero atomi, che il gran tutto scagliando conglomerò: per essi il mare e le terre poterono crescere, per essi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (63 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II arva l'edifizio del cielo poté acquistare nec mare nec fluctus plangentis nuovo spazio e adergere saxa crearunt, gli alti suoi tetti, lontano dalle sed genuit tellus eadem quae nunc terre, e l'aria sollevarsi. alit ex se. Infatti, da qualunque luogo praeterea nitidas fruges vinetaque vengano, tutti i corpi son laeta distribuiti sponte sua primum mortalibus dagli urti ciascuno al gruppo cui ipsa creavit, appartiene, e si ritraggono ipsa dedit dulcis fetus et pabula nelle proprie specie: l'acqua va laeta; all'acqua; la terra si accresce quae nunc vix nostro grandescunt di materia terrena; e i fuochi aucta labore, foggiano il fuoco; ‹l'etere›, l'etere; conterimusque boves et viris finché la natura, che genera le agricolarum, cose e le porta a compimento, conficimus ferrum vix arvis non abbia condotto tutto suppeditati: all'estremo confine del crescere; usque adeo parcunt fetus come avviene quando ciò che si augentque laborem. introduce nelle vene vitali iamque caput quassans grandis non supera per niente ciò che ne suspirat arator fluisce via e se ne stacca. crebrius, in cassum magnos Qui per tutte le cose lo sviluppo cecidisse labores, vitale deve fermarsi, et cum tempora temporibus qui la natura con le sue forze praesentia confert raffrena la crescita. praeteritis, laudat fortunas saepe Infatti tutte le cose che vedi parentis. ingrandirsi con crescita gioconda tristis item vetulae vitis sator e a poco a poco ascendere su per i atque gradini dell'età adulta, temporis incusat momen assorbono in sé più elementi di saeclumque fatigat, quanti ne mandino fuori, et crepat, antiquum genus ut finché il cibo facilmente penetra in pietate repletum tutte le vene e finché i loro perfacile angustis tolerarit finibus tessuti non si sono dilatati e aevom, rilassati tanto da lasciare uscire cum minor esset agri multo modus molte sostanze e perdere più di ante viritim; quanto all'età loro dà alimento. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (64 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II nec tenet omnia paulatim Ché certo bisogna arrendersi al tabescere et ire fatto che molti corpi fluiscono ad capulum spatio aetatis defessa e si staccano dalle cose; ma più se vetusto. ne devono aggiungere finché non sia toccato il più alto culmine dell'accrescimento. Quindi, un poco per volta, l'età spezza le forze e il vigore adulto, e scivola verso il decadimento. E in effetti, quanto più grande, quanto più larga è una cosa, una volta che la sua crescita si sia arrestata, tanti più corpi ora essa sparge qua e là ed emette da sé, da ogni punto verso qualunque parte, né il cibo si distribuisce facilmente in tutte le sue vene, né basta perché possa sorgerne ed esserne fornito ciò che valga a compensare le larghe emanazioni che essa promana. È naturale, dunque, che le cose periscano, quando si sono rarefatte per l'efflusso, e tutte soccombono agli urti esterni, perché alla tarda età il cibo alfine vien meno, e i corpi, picchiando dall'esterno, non cessano di sfinire alcuna cosa e di abbatterla ostili con gli urti. Così dunque anche le mura del vasto mondo, dintorno, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (65 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II espugnate crolleranno frantumandosi in putride macerie. Il cibo infatti tutte le cose deve integrare e rinnovare, il cibo deve sostenerle, ‹il cibo› tutte le cose deve sostentare; ma è inutile, dal momento che le vene non tollerano quanto è sufficiente, né la natura fornisce quanto è necessario. E ormai appunto la nostra età è spossata, e la terra, sfinita dal partorire, a stento genera piccoli animali, essa che tutte le stirpi generò, e dette alla luce immani corpi di fiere. Infatti, a quel che penso, non già una fune d'oro calò le stirpi mortali dalle altezze del cielo nei campi, né le procrearono il mare, né i flutti che battono gli scogli, ma le generò la stessa terra che ora le alimenta di sé. Inoltre, le splendide messi e i floridi vigneti spontaneamente dapprima ai mortali essa produsse, essa donò i dolci frutti e i pascoli floridi; che ora a stento crescono alimentati dalla nostra fatica, e struggiamo i buoi e le forze dei contadini, logoriamo il ferro, a stento provveduti del necessario dai campi: a tal punto sono avari di frutti e http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (66 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber II richiedono più aspra fatica. E ormai, scotendo il capo, più sovente il vecchio aratore sospira che le proprie grandi fatiche sono riuscite vane, e, quando i tempi presenti confronta coi tempi passati, spesso esalta la buona sorte del padre. Triste anche il coltivatore della vigna vecchia e ‹avvizzita› accusa il corso del tempo e maledice la propria epoca, e brontola che gli uomini d'una volta, pieni di pietà, molto facilmente durarono in vita entro angusti confini, benché per ciascuno allora la parte di terra fosse molto minore. E non afferra che tutte le cose a poco a poco si consumano e, fiaccate dal lungo corso dell'età, vanno alla tomba. (Ll) http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/2.htm (67 of 67) [07/08/2003 21.36.42] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III De Rerum Natura - Liber III E tenebris tantis tam clarum extollere lumen qui primus potuisti inlustrans commoda vitae, te sequor, o Graiae gentis decus, inque tuis nunc ficta pedum pono pressis vestigia signis, non ita certandi cupidus quam propter amorem quod te imitari aveo; quid enim contendat hirundo cycnis, aut quid nam tremulis facere artubus haedi consimile in cursu possint et fortis equi vis? tu, pater, es rerum inventor, tu patria nobis suppeditas praecepta, tuisque ex, inclute, chartis, floriferis ut apes in saltibus omnia libant, omnia nos itidem depascimur aurea dicta, aurea, perpetua semper dignissima vita. nam simul ac ratio tua coepit vociferari naturam rerum divina mente coorta diffugiunt animi terrores, moenia mundi discedunt. totum video per inane geri res. O tu, che in mezzo a così grandi tenebre primo potesti levare una luce tanto chiara, illuminando le gioie della vita, io seguo te, o onore della gente greca, e nelle orme da te impresse pongo ora ferme le piante dei miei piedi, non tanto perché io voglia gareggiare con te, quanto perché anelo a imitarti per amore. Come potrebbe infatti contendere la rondine coi cigni? O come potrebbero mai i capretti dalle tremule membra emulare nella corsa l'impeto di un forte cavallo? Tu padre sei, scopritore del vero; tu paterni precetti ci prodighi, e, come le api nei pascoli fioriti suggono per ogni dove, così noi nei tuoi scritti, o glorioso, ci pasciamo di tutti gli aurei detti, aurei, sempre degnissimi di vita perpetua. Infatti, appena la tua dottrina comincia a svelare a gran voce la natura quale è sorta dalla tua mente divina, fuggon via i terrori dell'animo, le mura del mondo http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (1 of 62) [07/08/2003 21.38.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III apparet divum numen sedesque si disserrano, vedo le cose quietae, svolgersi attraverso tutto il vuoto. quas neque concutiunt venti nec Appaiono la potenza degli dèi e le nubila nimbis sedi quiete, aspergunt neque nix acri concreta che né venti scuotono, né nuvole pruina cospargono cana cadens violat semper[que] di piogge, né neve vìola, innubilus aether condensata da gelo acuto, integit et large diffuso lumine candida cadendo; ‹ma› un etere ridet: sempre senza nubi omnia suppeditat porro natura le ricopre, e ride di luce neque ulla largamente diffusa. res animi pacem delibat tempore E tutto fornisce la natura, né in ullo. alcuna at contra nusquam apparent cosa in alcun tempo intacca la Acherusia templa, pace dell'animo. nec tellus obstat quin omnia Ma per contro in nessun luogo dispiciantur, appaiono le regioni acherontee, sub pedibus quae cumque infra né la terra impedisce che si per inane geruntur. discerna tutto quanto his ibi me rebus quaedam divina si svolge sotto i miei piedi, laggiù, voluptas attraverso il vuoto. percipit atque horror, quod sic Per queste cose mi prende allora natura tua vi un certo divino piacere tam manifesta patens ex omni e un brivido, perché così per la parte retecta est. potenza della tua mente la natura, Et quoniam docui, cunctarum tanto manifestamente exordia rerum dischiudendosi, in ogni parte è qualia sint et quam variis distantia stata rivelata. formis E poiché ho insegnato quali siano i sponte sua volitent aeterno percita principi motu, di tutte le cose e quanto differenti quove modo possint res ex his per varietà di forme quaeque creari, spontaneamente volteggino, hasce secundum res animi natura stimolati da moto eterno, videtur e in che modo da questi si possa atque animae claranda meis iam produrre ogni cosa, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (2 of 62) [07/08/2003 21.38.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III versibus esse et metus ille foras praeceps Acheruntis agendus, funditus humanam qui vitam turbat ab imo omnia suffundens mortis nigrore neque ullam esse voluptatem liquidam puramque relinquit. nam quod saepe homines morbos magis esse timendos infamemque ferunt vitam quam Tartara leti et se scire animi naturam sanguinis esse, aut etiam venti, si fert ita forte voluntas, nec prosum quicquam nostrae rationis egere, hinc licet advertas animum magis omnia laudis iactari causa quam quod res ipsa probetur. extorres idem patria longeque fugati conspectu ex hominum, foedati crimine turpi, omnibus aerumnis adfecti denique vivunt, et quo cumque tamen miseri venere parentant et nigras mactant pecudes et manibus divis inferias mittunt multoque in rebus acerbis acrius advertunt animos ad dopo ciò mi sembra che nei miei versi debba essere ormai illustrata la natura dell'animo e dell'anima, e che si debba scacciar via a precipizio quel timore dell'Acheronte, che dal profondo sconvolge appieno la vita umana, tutto inondando del nero della morte, né lascia esistere alcun piacere limpido e puro. Sì, spesso gli uomini dichiarano che malattie e vita infame sono più temibili che il Tartaro, dimora della morte; dicono di sapere che la natura dell'animo è fatta di sangue, o anche di vento, se a ciò per caso li spinge il capriccio, e di non avere affatto bisogno della nostra dottrina; ma di qui puoi intendere che tutto è ostentato per vanagloria piuttosto che espresso per convinzione della cosa stessa. Questi medesimi, cacciati dalla patria ed esiliati lontano dal cospetto degli uomini, disonorati da un'accusa vergognosa, afflitti da tutte le pene, in fin dei conti vivono, e, dovunque sono giunti nella loro miseria, offrono tuttavia sacrifici ai loro morti, e immolano http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (3 of 62) [07/08/2003 21.38.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III religionem. quo magis in dubiis hominem spectare periclis convenit adversisque in rebus noscere qui sit; nam verae voces tum demum pectore ab imo eliciuntur [et] eripitur persona Ämanare. denique avarities et honorum caeca cupido, quae miseros homines cogunt transcendere fines iuris et inter dum socios scelerum atque ministros noctes atque dies niti praestante labore ad summas emergere opes, haec vulnera vitae non minimam partem mortis formidine aluntur. turpis enim ferme contemptus et acris egestas semota ab dulci vita stabilique videtur et quasi iam leti portas cunctarier ante; unde homines dum se falso terrore coacti effugisse volunt longe longeque remosse, sanguine civili rem conflant divitiasque conduplicant avidi, caedem caede accumulantes, crudeles gaudent in tristi funere fratris nere vittime, e agli dèi Mani consacrano funebri onori, e negli acerbi frangenti con ansia molto più acuta rivolgono gli animi alla religione. Più conviene, quindi, provare l'uomo nei dubbiosi cimenti, e nelle avversità conoscere quale sia; giacché allora alfine parole veraci gli si cavano dal profondo del petto ‹e› vien strappata la maschera, rimane la realtà. Infine l'avidità e la cieca brama di onori, che forzano i miseri uomini a oltrepassare i confini del giusto, e talora, come compagni e ministri di delitti, adoprarsi notte e giorno con soverchiante fatica per assorgere a somma potenza queste piaghe della vita, in gran parte è il timore della morte che le nutre. Infatti comunemente il vergognoso disprezzo e l'amara povertà paiono remoti da una vita dolce e stabile, e quasi già sostare davanti alle porte della morte; e gli uomini, mentre costretti da fallace terrore vorrebbero essere già fuggiti lontano da essi e lontano averli scacciati, col sangue dei concittadini ingrossano le proprie sostanze http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (4 of 62) [07/08/2003 21.38.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III et consanguineum mensas odere timentque. consimili ratione ab eodem saepe timore macerat invidia ante oculos illum esse potentem, illum aspectari, claro qui incedit honore, ipsi se in tenebris volvi caenoque queruntur. intereunt partim statuarum et nominis ergo. et saepe usque adeo, mortis formidine, vitae percipit humanos odium lucisque videndae, ut sibi consciscant maerenti pectore letum obliti fontem curarum hunc esse timorem: hunc vexare pudorem, hunc vincula amicitiai rumpere et in summa pietate evertere suadet: nam iam saepe homines patriam carosque parentis prodiderunt vitare Acherusia templa petentes. nam vel uti pueri trepidant atque omnia caecis in tenebris metuunt, sic nos in luce timemus inter dum, nihilo quae sunt metuenda magis quam quae pueri in tenebris pavitant finguntque futura. e avidi raddoppiano le ricchezze, accumulando strage su strage; crudeli si rallegrano del triste funerale di un fratello e per le mense dei consanguinei provano odio e terrore. In simile maniera, nascendo dallo stesso timore, spesso li macera l'invidia che alla vista di tutti colui sia potente, attragga gli sguardi colui che incede con splendido onore, mentre essi si lamentano di voltolarsi nelle tenebre e nel fango. Alcuni periscono per brama di statue e di rinomanza; e spesso a tal segno per paura della morte prende gli uomini odio della vita e della vista della luce, che si danno con petto angosciato la morte, dimenticando che la fonte degli affanni è questo timore, questo fa strazio del senso d'onore, questo rompe i vincoli dell'amicizia - e insomma induce a sovvertire la pietà. Già spesso infatti gli uomini tradirono la patria e i cari genitori, cercando di evitare le regioni acherontee. Difatti, come i fanciulli trepidano e tutto temono nelle cieche tenebre, così noi nella http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (5 of 62) [07/08/2003 21.38.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest non radii solis neque lucida tela diei discutiant, sed naturae species ratioque. Primum animum dico, mentem quem saepe vocamus, in quo consilium vitae regimenque locatum est, esse hominis partem nihilo minus ac manus et pes atque oculei partes animantis totius extant. *** sensum animi certa non esse in parte locatum, verum habitum quendam vitalem corporis esse, harmoniam Grai quam dicunt, quod faciat nos vivere cum sensu, nulla cum in parte siet mens; ut bona saepe valetudo cum dicitur esse corporis, et non est tamen haec pars ulla valentis, sic animi sensum non certa parte reponunt; magno opere in quo mi diversi errare videntur. Saepe itaque, in promptu corpus quod cernitur, aegret, cum tamen ex alia laetamur parte latenti; et retro fit ubi contra sit saepe vicissim, luce talora abbiamo paura di cose che per nulla son da temere più di quelle che i fanciulli nelle tenebre paventano e immaginano prossime ad avvenire. Questo terrore dell'animo, dunque, e queste tenebre non li devono dissolvere i raggi del sole, né i lucidi dardi del giorno, ma l'aspetto e l'intima legge della natura. Anzitutto dico che l'animo, che spesso chiamiamo mente, in cui han sede il senno e il governo della vita, è una parte dell'uomo, non meno che una mano e un piede e gli occhi sono parti dell'intero essere animato. ‹Tuttavia taluni hanno asserito› che la sensibilità dell'animo non ha sede in una parte determinata, ma è una certa disposizione vitale del corpo, che i Greci chiamano armonia, perché per essa noi vivremmo dotati di sensibilità, sebbene in nessuna parte esista la mente; come spesso si dice che il corpo gode di buona salute, e tuttavia questa non è alcuna parte di colui che sta bene. Così la sensibilità dell'animo non la pongono in una parte determinata; e in ciò mi sembra che errino http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (6 of 62) [07/08/2003 21.38.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III cum miser ex animo laetatur corpore toto; non alio pacto quam si, pes cum dolet aegri, in nullo caput interea sit forte dolore. Praeterea molli cum somno dedita membra effusumque iacet sine sensu corpus honustum, est aliud tamen in nobis quod tempore in illo multimodis agitatur et omnis accipit in se laetitiae motus et curas cordis inanis. Nunc animam quoque ut in membris cognoscere possis esse neque harmonia corpus sentire solere, principio fit uti detracto corpore multo saepe tamen nobis in membris vita moretur. Atque eadem rursum, cum corpora pauca caloris diffugere forasque per os est editus aër, deserit extemplo venas atque ossa relinquit; noscere ut hinc possis non aequas omnia partis corpora habere neque ex aequo fulcire salutem, sed magis haec, venti quae sunt calidique vaporis molto lontano dalla giusta via. Spesso, infatti, il corpo in una parte palese è malato, mentre tuttavia gioiamo in un'altra parte che è occulta; e all'inverso accade spesso che s'avveri il contrario, a sua volta, quando chi soffre nell'animo gioisce in tutto il corpo; non altrimenti che se, mentre a un malato duole un piede, nessun dolore intanto abbia, per avventura, la testa. Inoltre, quando le membra sono in preda a molle sonno e abbandonato giace senza senso il corpo appesantito, tuttavia c'è in noi qualche altra cosa che in quel mentre si agita in molti modi e tutti in sé riceve i moti della letizia e le vane inquietudini del cuore. Ora, perché tu possa conoscere che anche l'anima è nelle membra e che non per un'armonia suole il corpo sentire, anzitutto accade spesso che, pur detratta gran parte del corpo, tuttavia ci rimanga nelle membra la vita; e d'altra parte, quando poche particelle di calore son fuggite via e aria è stata esalata fuori attraverso la bocca, la stessa vita sùbito abbandona le http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (7 of 62) [07/08/2003 21.38.51] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III semina, curare in membris ut vita moretur. est igitur calor ac ventus vitalis in ipso corpore, qui nobis moribundos deserit artus. quapropter quoniam est animi natura reperta atque animae quasi pars hominis, redde harmoniai nomen, ad organicos alto delatum Heliconi, sive aliunde ipsi porro traxere et in illam transtulerunt, proprio quae tum res nomine egebat. quidquid [id] est, habeant: tu cetera percipe dicta. Nunc animum atque animam dico coniuncta teneri inter se atque unam naturam conficere ex se, sed caput esse quasi et dominari in corpore toto consilium, quod nos animum mentemque vocamus. idque situm media regione in pectoris haeret. hic exultat enim pavor ac metus, haec loca circum laetitiae mulcent: hic ergo mens animusquest. cetera pars animae per totum dissita corpus paret et ad numen mentis momenque movetur. idque sibi solum per se sapit et vene e lascia le ossa; sì che da ciò puoi conoscere che non tutti i corpi primi hanno funzioni uguali, né in ugual modo sostengono la salvezza, ma più questi, che sono i semi del vento e dell'ardente calore, fanno sì che rimanga nelle membra la vita. V'è dunque nello stesso corpo un calore e un vento vitale, che abbandona le nostre membra al momento della morte. Pertanto, poiché la natura dell'animo e dell'anima è stata svelata come una parte dell'uomo, lascia il nome di armonia, che per i musicisti fu portato giù dall'alto Elicona; o forse questi stessi, a loro volta, lo trassero d'altrove e lo trasportarono a quella cosa che allora non aveva un proprio nome. Comunque ‹ciò› sia, se lo tengano: tu ascolta i restanti miei detti. Ora io dico che l'animo e l'anima si tengono congiunti tra loro e costituiscono di sé una sola natura; ma ciò che è il capo, per così dire, e domina in tutto il corpo, è il senno, che noi chiamiamo animo e mente. Ed esso è posto e fissato nella regione centrale del petto. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (8 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III sibi gaudet, Qui infatti si agitano l'ansia e la cum neque res animam neque paura, intorno a queste parti corpus commovet una. le gioie ci accarezzano; qui et quasi, cum caput aut oculus dunque è la mente e l'animo. temptante dolore Tutto il resto dell'anima, laeditur in nobis, non omni disseminato per tutto il corpo, concruciamur obbedisce e si muove al cenno e al corpore, sic animus nonnumquam movimento della mente. laeditur ipse Questa ragiona da sé per sé sola, laetitiaque viget, cum cetera pars ‹questa› da sé gode, animai quando nessuna cosa commuove per membra atque artus nulla l'anima, né il corpo. novitate cietur; E come, quando la testa o un verum ubi vementi magis est occhio è leso in noi commota metu mens, dall'assalto del dolore, non siamo consentire animam totam per afflitti nello stesso tempo membra videmus in tutto il corpo, così l'animo talora sudoresque ita palloremque di per sé stesso è leso existere toto o di gioia esulta, mentre tutto il corpore et infringi linguam resto dell'anima vocemque aboriri, per le membra e le articolazioni da caligare oculos, sonere auris, nessuna novità viene eccitato. succidere artus, Ma, quando la mente è commossa denique concidere ex animi terrore da timore più veemente, videmus tutta l'anima vediamo consentire saepe homines; facile ut quivis attraverso le membra, hinc noscere possit e quindi sudori e pallore effondersi esse animam cum animo per tutto il corpo coniunctam, quae cum animi [vi] e balbettare la lingua e spegnersi percussa est, exim corpus propellit la voce, annebbiarsi et icit. gli occhi, fischiar le orecchie, venir Haec eadem ratio naturam meno le articolazioni; animi atque animai alfine per il terrore dell'animo corpoream docet esse; ubi enim vediamo spesso gli uomini propellere membra, crollare; sì che facilmente ognuno corripere ex somno corpus può da questo conoscere http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (9 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III mutareque vultum atque hominem totum regere ac versare videtur, quorum nil fieri sine tactu posse videmus nec tactum porro sine corpore, nonne fatendumst corporea natura animum constare animamque? praeterea pariter fungi cum corpore et una consentire animum nobis in corpore cernis. si minus offendit vitam vis horrida teli ossibus ac nervis disclusis intus adacta, at tamen insequitur languor terraeque petitus suavis et in terra mentis qui gignitur aestus inter dumque quasi exsurgendi incerta voluntas. ergo corpoream naturam animi esse necessest, corporeis quoniam telis ictuque laborat. Is tibi nunc animus quali sit corpore et unde constiterit pergam rationem reddere dictis. principio esse aio persuptilem atque minutis perquam corporibus factum constare. id ita esse hinc licet advertas animum, ut pernoscere possis. che l'anima è congiunta con l'animo e, quando ‹dalla potenza› dell'animo è stata percossa, sùbito urta e sospinge il corpo. Questo stesso ragionamento prova che la natura dell'animo e dell'anima è corporea. Quando infatti si vede che sospinge le membra, strappa dal sonno il corpo e cangia il volto, e tutto l'uomo regge e volge di qua e di là e di queste cose vediamo che nessuna può prodursi senza contatto, né il contatto, a sua volta, senza corpo - non si deve forse ammettere che l'animo e l'anima sono di natura corporea? Inoltre tu vedi che col corpo patisce parimenti l'animo e insieme partecipa del sentire nel nostro corpo. Se non offende la vita la violenza orrida di un dardo penetrata addentro squarciando ossa e nervi, nondimeno ne segue un languore e un dolce cadere per terra, e in terra una confusione che nasce nella mente, e talora come un'incerta volontà di rialzarsi. Dunque, non può essere che corporea la natura dell'animo, poiché dall'urto di dardi corporei è http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (10 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III Nil adeo fieri celeri ratione videtur, quam si mens fieri proponit et inchoat ipsa; ocius ergo animus quam res se perciet ulla, ante oculos quorum in promptu natura videtur. at quod mobile tanto operest, constare rutundis perquam seminibus debet perquamque minutis, momine uti parvo possint inpulsa moveri. namque movetur aqua et tantillo momine flutat, quippe volubilibus parvisque creata figuris. at contra mellis constantior est natura et pigri latices magis et cunctantior actus: haeret enim inter se magis omnis materiai copia, ni mirum quia non tam levibus extat corporibus neque tam suptilibus atque rutundis. namque papaveris aura potest suspensa levisque cogere ut ab summo tibi diffluat altus acervus, at contra lapidum coniectum spicarumque noenu potest. igitur parvissima corpora pro quam travagliata. Ora, di quale specie di materia sia quest'animo e come sia costituito, proseguendo ti spiegherò con le mie parole. In primo luogo dico che è molto sottile e risulta costituito di corpuscoli estremamente minuti. Che sia così, puoi intendere, se presti attenzione, da questo. Nessuna cosa si vede avvenire con la celerità con la quale la mente si raffigura che avvenga e le dà inizio essa stessa. L'animo, dunque, si muove più velocemente di tutte le cose la cui natura appare manifesta innanzi ai nostri occhi. Ma ciò che è tanto mobile, deve constare di semi estremamente rotondi ed estremamente minuti, sicché possano muoversi spinti da un piccolo impulso. Infatti si muove l'acqua e per un minimo impulso fluttua, perché è composta di atomi girevoli e piccoli. Al contrario, la natura del miele è più consistente, e più pigro il suo liquore, e più indugiante il suo movimento; infatti tutta la massa della sua materia ha maggiore coesione, evidentemente perché non consta http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (11 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III et levissima sunt, ita mobilitate di corpi tanto lisci, fruuntur; né tanto sottili e rotondi. Giacché at contra quae cumque magis cum un soffio sospeso pondere magno e leggero può costringere un alto asperaque inveniuntur, eo stabilita mucchio di semi magis sunt. di papavero a sparpagliarsi innanzi nunc igitur quoniamst animi a te giù dalla cima: natura reperta al contrario, su un mucchio di mobilis egregie, perquam constare pietre o di spighe necessest non può nulla. Dunque, quanto più corporibus parvis et levibus atque i corpi sono piccoli rutundis. e lisci, tanto più sono dotati di quae tibi cognita res in multis, o mobilità. bone, rebus Al contrario, tutti quelli che si utilis invenietur et opportuna trovano di peso maggiore cluebit. ed aspri, tanto più sono stabili. Haec quoque res etiam Ora, dunque, poiché ‹si è› trovato naturam dedicat eius, che la natura dell'animo quam tenui constet textura è particolarmente mobile, essa quamque loco se deve constare di corpi contineat parvo, si possit estremamente piccoli e lisci e conglomerari, rotondi. quod simul atque hominem leti E questa verità, da te conosciuta, secura quies est in molte cose, o caro, indepta atque animi natura si dimostrerà utile e sarà animaeque recessit, riconosciuta opportuna. nil ibi libatum de toto corpore Anche questo fatto indica del pari cernas la natura dell'animo, ad speciem, nihil ad pondus: mors di quanto tenue tessitura esso sia omnia praestat, costituito, e in quanto vitalem praeter sensum piccolo luogo sarebbe contenuto, calidumque vaporem. se potesse conglomerarsi: ergo animam totam perparvis esse appena l'imperturbata quiete della necessest morte si è impadronita seminibus nexam per venas dell'uomo, e la natura dell'animo e viscera nervos, dell'anima se n'è staccata, qua tenus, omnis ubi e toto iam nulla potresti ivi discernere http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (12 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III corpore cessit, detratto da tutto il corpo, extima membrorum circumcaesura né alla vista, né al peso: la morte tamen se lascia ogni cosa incolumem praestat nec defit al suo posto, tranne il senso vitale ponderis hilum. e il fervido calore. quod genus est, Bacchi cum flos Dunque tutta l'anima dev'essere evanuit aut cum composta di semi spiritus unguenti suavis diffugit in piccolissimi, intrecciata per vene, auras viscere, nervi; aut aliquo cum iam sucus de dato che, quando tutta è ormai corpore cessit; andata via dall'intero corpo, nil oculis tamen esse minor res l'esterno contorno delle membra si ipsa videtur conserva tuttavia propterea neque detractum de incolume, né al peso manca nulla. pondere quicquam, Simile cosa avviene quando ni mirum quia multa minutaque l'aroma di Bacco è svanito semina sucos o quando un soave profumo efficiunt et odorem in toto corpore d'unguento s'è disperso per l'aria rerum. o quando da qualche corpo s'è quare etiam atque etiam mentis ormai dileguato il sapore; naturam animaeque in nulla tuttavia agli occhi la cosa scire licet perquam pauxillis esse stessa sembra divenuta creatam più piccola perciò, né alcunché seminibus, quoniam fugiens nil sembra detratto dal suo peso; ponderis aufert. evidentemente perché molti e Nec tamen haec simplex nobis minuti semi fanno natura putanda est. i sapori e l'odore nell'interno corpo tenvis enim quaedam moribundos delle cose. deserit aura Perciò, ancora e ancora, si può mixta vapore, vapor porro trahit concludere che la natura aëra secum; della mente e dell'anima è nec calor est quisquam, cui non sit composta di semi estremamente mixtus et aër; piccolini, perché fuggendo non rara quod eius enim constat porta via alcuna parte del peso. natura, necessest Tuttavia non dobbiamo supporre aëris inter eum primordia multa semplice questa natura. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (13 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III moveri. iam triplex animi est igitur natura reperta; nec tamen haec sat sunt ad sensum cuncta creandum, nil horum quoniam recipit mens posse creare sensiferos motus, quae denique mente volutat. quarta quoque his igitur quaedam natura necessest adtribuatur; east omnino nominis expers; qua neque mobilius quicquam neque tenvius extat nec magis e parvis et levibus ex elementis; sensiferos motus quae didit prima per artus. prima cietur enim, parvis perfecta figuris, inde calor motus et venti caeca potestas accipit, inde aër, inde omnia mobilitantur: concutitur sanguis, tum viscera persentiscunt omnia, postremis datur ossibus atque medullis sive voluptas est sive est contrarius ardor. nec temere huc dolor usque potest penetrare neque acre permanare malum, quin omnia perturbentur usque adeo [ut] vitae desit locus atque animai I moribondi infatti abbandona un certo soffio tenue, misto a calore, e il calore trae aria con sé. Né c'è alcun calore, a cui non sia mista anche aria; poiché la sua natura è infatti rada, molti primi principi d'aria devono muoversi entro di esso. Già triplice, quindi, è apparsa la natura dell'animo; e tuttavia questi elementi tutti insieme non bastano a creare il senso, poiché la mente non ammette che alcuno di questi possa creare i moti sensiferi e i pensieri che la mente rivolge. È dunque necessario che a questi s'aggiunga anche una quarta natura. Essa è del tutto priva di nome; e non esiste alcuna cosa che sia più mobile o più tenue di lei, né fatta di elementi più piccoli e più lisci; lei per prima diffonde i movimenti sensiferi per le membra. È infatti prima ad essere eccitata, composta com'è di piccoli atomi; poi i movimenti s'estendono al calore e alla cieca forza del vento, poi all'aria; poi è messa in movimento ogni cosa: s'agita il sangue, in séguito la sensazione penetra in tutte le carni, per ultime la ricevono le http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (14 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III diffugiant partes per caulas corporis omnis. sed plerumque fit in summo quasi corpore finis motibus: hanc ob rem vitam retinere valemus. Nunc ea quo pacto inter sese mixta quibusque compta modis vigeant rationem reddere aventem abstrahit invitum patrii sermonis egestas; sed tamen, ut potero summatim attingere, tangam. inter enim cursant primordia principiorum motibus inter se, nihil ut secernier unum possit nec spatio fieri divisa potestas, sed quasi multae vis unius corporis extant. quod genus in quovis animantum viscere volgo est odor et quidam color et sapor, et tamen ex his omnibus est unum perfectum corporis augmen, sic calor atque aër et venti caeca potestas mixta creant unam naturam et mobilis illa vis, initum motus ab se quae dividit ollis, sensifer unde oritur primum per viscera motus. ossa e le midolla, si tratti di un piacere o di un ardore contrario. Né facilmente il dolore può penetrare fin qui, né un acuto male introdursi, senza che tutto sia perturbato, a tal segno ‹che› non c'è più luogo per la vita, e le parti dell'anima fuggono via per tutte le aperture del corpo. Ma per lo più i movimenti hanno termine quasi alla superficie del corpo: perciò siamo in grado di trattenere la vita. Ora, sebbene io desideri spiegare come misti tra loro, e in quali modi combinati, questi elementi compiano le loro operazioni, me ne rattiene, mio malgrado, la povertà della patria lingua; ma tuttavia, come potrò sommariamente occuparmene, toccherò questo argomento. S'intrecciano infatti tra loro correndo qua e là i primi principi coi movimenti che sono propri degli atomi, sì che non si può staccare un solo elemento, né il suo potere può sussistere diviso dagli altri nello spazio, ma sono come le molte forze di un unico corpo. Allo stesso modo che qualunque viscere di essere vivente ha in genere un odore e un certo calore http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (15 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III nam penitus prorsum latet haec natura subestque nec magis hac infra quicquam est in corpore nostro atque anima est animae proporro totius ipsa. quod genus in nostris membris et corpore toto mixta latens animi vis est animaeque potestas, corporibus quia de parvis paucisque creatast, sic tibi nominis haec expers vis, facta minutis corporibus, latet atque animae quasi totius ipsa proporrost anima et dominatur corpore toto. consimili ratione necessest ventus et aër et calor inter se vigeant commixta per artus atque aliis aliud subsit magis emineatque, ut quiddam fieri videatur ab omnibus unum, ni calor ac ventus seorsum seorsumque potestas aëris interemant sensum diductaque solvant. est etiam calor ille animo, quem sumit, in ira cum fervescit et ex oculis micat acrius ardor; est et frigida multa, comes formidinis, aura, quae ciet horrorem membris et e un sapore, e tuttavia di tutti questi è composta la complessione di un unico corpo; così il calore e l'aria e la cieca forza del vento misti creano un'unica natura, insieme con quella mobile forza, che da sé distribuisce ad essi l'inizio del movimento, donde prima sorge attraverso la carne il movimento sensifero. Giacché affatto nel profondo è nascosta questa natura, e sta laggiù, né c'è cosa nel nostro corpo più interna di questa, ed essa è a sua volta l'anima di tutta l'anima. Allo stesso modo che nelle nostre membra e in tutto il corpo la forza dell'animo e il potere dell'anima sono misti e nascosti, perché son composti di corpi piccoli e radi, così, vedi, questa forza priva di nome, fatta di corpi minuti, sta nascosta, e di tutta l'anima è essa stessa, a sua volta, per così dire, l'anima, e domina su tutto il corpo. In simile maniera è necessario che il vento e l'aria e il calore compiano le loro operazioni commisti tra loro per le membra, e uno stia più sotto di altri o sormonti, perché si veda risultare da tutti un'unica cosa: altrimenti il calore e il vento separatamente, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (16 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III concitat artus; e separatamente la potenza est etiam quoque pacati status dell'aria, aëris ille, distruggerebbero il senso e, divisi, pectore tranquillo fit qui voltuque lo dissolverebbero. sereno. L'animo ha anche quel calore da sed calidi plus est illis quibus acria cui è preso corda quando ferve d'ira e un ardore iracundaque mens facile sfavilla dagli occhi più vivamente. effervescit in ira, C'è anche molta aria fredda, che è quo genere in primis vis est compagna della paura violenta leonum, e suscita un brivido nel corpo ed pectora qui fremitu rumpunt agita le membra. plerumque gementes E c'è anche quello stato d'aria nec capere irarum fluctus in pacata, che si produce pectore possunt. quando il petto è tranquillo e il at ventosa magis cervorum frigida volto è sereno. mens est Ma più calore hanno quelli cui i et gelidas citius per viscera cuori fieri concitat auras, e l'animo iracondo facilmente quae tremulum faciunt membris ribollono nell'ira. existere motum. Di tale genere è in primo luogo la at natura boum placido magis aëre forza violenta dei leoni, vivit che spesso ruggendo rompono i nec nimis irai fax umquam subdita petti coi fremiti, percit né possono contenere nel petto i fumida, suffundens caecae flutti delle ire. caliginis umbra, Ma più vento ha la fredda mente nec gelidis torpet telis perfixa dei cervi pavoris; e più presto suscita per le viscere interutrasque sitast cervos gelidi soffi, saevosque leones. che fanno sì che nelle membra si sic hominum genus est: quamvis levi un tremulo moto. doctrina politos Ma la natura dei buoi vive constituat pariter quosdam, tamen piuttosto di un'aria placida, illa relinquit né mai troppo la fumida face naturae cuiusque animi vestigia dell'ira vi s'insinua e l'accende, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (17 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III prima. soffondendo l'ombra di una nec radicitus evelli mala posse caligine cieca, putandumst, né intorpidisce trafitta dai dardi quin proclivius hic iras decurrat ad gelidi dello spavento: acris, tiene il posto di mezzo, tra i cervi ille metu citius paulo temptetur, at e i selvaggi leoni. ille Così è del genere umano. Sebbene tertius accipiat quaedam l'educazione raffini clementius aequo. alcuni e li formi in pari grado, inque aliis rebus multis differre tuttavia essa lascia necessest in ciascuno le prime vestigia del naturas hominum varias moresque carattere naturale. sequacis; Né si deve credere che i difetti quorum ego nunc nequeo caecas possano essere strappati dalle exponere causas radici, nec reperire figurarum tot nomina sì che costui non trascorra troppo quot sunt corrivamente a ire violente, principiis, unde haec oritur colui non sia un po' più presto variantia rerum. assalito da paura, e un terzo illud in his rebus video firmare non accetti certe cose più potesse, placidamente del giusto. usque adeo naturarum vestigia E in molte altre cose è necessario linqui che differiscano parvola, quae nequeat ratio le varie nature degli uomini e i depellere nobis, costumi che ne conseguono; ut nihil inpediat dignam dis degere ma io ora non posso chiarirne le vitam. cause oscure, Haec igitur natura tenetur né trovare nomi per tante figure, corpore ab omni quante ne hanno ipsaque corporis est custos et i primi principi da cui sorge questa causa salutis; varietà delle cose. nam communibus inter se Questo, a tale proposito, vedo di radicibus haerent potere affermare: nec sine pernicie divelli posse di quelle nature restano tracce che videntur. la ragione quod genus e thuris glaebis non può scacciare da noi talmente evellere odorem esigue http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (18 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III haud facile est, quin intereat natura quoque eius, sic animi atque animae naturam corpore toto extrahere haut facile est, quin omnia dissoluantur. inplexis ita principiis ab origine prima inter se fiunt consorti praedita vita, nec sibi quaeque sine alterius vi posse videtur corporis atque animi seorsum sentire potestas, sed communibus inter eas conflatur utrimque motibus accensus nobis per viscera sensus. Praeterea corpus per se nec gignitur umquam nec crescit neque post mortem durare videtur. non enim, ut umor aquae dimittit saepe vaporem, qui datus est, neque ea causa convellitur ipse, sed manet incolumis, non, inquam, sic animai discidium possunt artus perferre relicti, sed penitus pereunt convulsi conque putrescunt. ex ineunte aevo sic corporis atque animai mutua vitalis discunt contagia motus, che nulla impedisce di trascorrere una vita degna degli dèi. Questa natura dell'anima è dunque tenuta insieme da tutto il corpo, e al corpo è essa stessa custode e causa di conservazione; giacché mediante comuni radici aderiscono tra loro e si vede che non possono essere distaccati senza rovina. Come dai grani d'incenso non è possibile staccare l'odore senza che se ne distrugga anche la natura, così non è possibile trarre fuori da tutto il corpo la natura della mente e dell'anima senza che tutto si dissolva. Con primi principi così intrecciati tra loro fin dalla prima origine si sviluppano, dotati di vita con sorte comune, ed è evidente che le potenze del corpo e dell'animo non possono sentire separatamente, ciascuna per sé, senza la forza dell'altra, ma per movimenti comuni tra loro è suscitato, da entrambe le parti, il senso acceso in noi attraverso la carne. Inoltre, il corpo da sé né mai si genera, né cresce, né dopo la morte si vede durare. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (19 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III maternis etiam membris alvoque reposta, discidium [ut] nequeat fieri sine peste maloque; ut videas, quoniam coniunctast causa salutis, coniunctam quoque naturam consistere eorum. Quod super est, siquis corpus sentire refutat atque animam credit permixtam corpore toto suscipere hunc motum quem sensum nominitamus, vel manifestas res contra verasque repugnat. quid sit enim corpus sentire quis adferet umquam, si non ipsa palam quod res dedit ac docuit nos? 'at dimissa anima corpus caret undique sensu.' perdit enim quod non proprium fuit eius in aevo multaque praeterea perdit quom expellitur aevo. Dicere porro oculos nullam rem cernere posse, sed per eos animum ut foribus spectare reclusis, difficilest, contra cum sensus ducat eorum; sensus enim trahit atque acies detrudit ad ipsas, fulgida praesertim cum cernere saepe nequimus, lumina luminibus quia nobis Non come l'acqua, infatti, che spesso lascia andar via il calore che le fu comunicato, né per ciò è sconvolta essa stessa, ma rimane intatta, non così, dico, le membra abbandonate possono sopportare la separazione dell'anima, ma a fondo sconvolte periscono e cadono in putrefazione. Così fin dall'inizio della vita il corpo e l'anima nei mutui contatti apprendono i movimenti vitali, quando sono ancora nascosti nelle membra e nel grembo della madre, ‹sì che› la separazione non può avvenire senza danno e rovina; puoi quindi vedere che, siccome è congiunta la causa della conservazione, anche la loro natura risulta congiunta. Del resto, se qualcuno nega che il corpo senta e crede che sia l'anima che, commista a tutto il corpo, concepisca questo moto a cui diamo il nome di senso, egli combatte contro fatti pur veri e manifesti. Infatti chi mai chiarirà cosa sia il sentire del corpo, se non ciò che ci ha manifestato e insegnato la realtà stessa? "Ma, quando l'anima se n'è staccata, il corpo è del tutto privo http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (20 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III praepediuntur. quod foribus non fit; neque enim, qua cernimus ipsi, ostia suscipiunt ullum reclusa laborem. praeterea si pro foribus sunt lumina nostra, iam magis exemptis oculis debere videtur cernere res animus sublatis postibus ipsis. Illud in his rebus nequaquam sumere possis, Democriti quod sancta viri sententia ponit, corporis atque animi primordia singula primis adposita alternis, variare ac nectere membra. nam cum multo sunt animae elementa minora quam quibus e corpus nobis et viscera constant, tum numero quoque concedunt et rara per artus dissita sunt, dum taxat ut hoc promittere possis, quantula prima queant nobis iniecta ciere corpora sensiferos motus in corpore, tanta intervalla tenere exordia prima animai. nam neque pulveris inter dum sentimus adhaesum corpore nec membris incussam di senso": esso perde, infatti, ciò che non fu suo proprio nella vita, e molte altre cose perde quando è cacciato fuori della vita. Dire poi che gli occhi non possono discernere alcuna cosa, ma che per essi l'animo guarda come per porte aperte, è difficile, giacché il senso loro guida in parte contraria; il senso infatti ci tira e spinge ad attribuire la vista alle pupille stesse, tanto più che spesso non possiamo discernere cose lucenti, perché la vista è in noi impedita dalla luce. Il che non accade alle porte; giacché gli usci, per cui noi guardiamo, non subiscono alcun travaglio per il fatto che sono aperti. D'altronde, se i nostri occhi sono come porte, allora, è evidente, l'animo, tolti gli occhi, dovrebbe discernere meglio le cose, giacché sarebbero stati rimossi gli stipiti stessi. A questo proposito non potresti in alcun modo accogliere ciò che afferma l'opinione di Democrito, uomo venerabile, secondo cui i primi principi del corpo e dell'animo, giustapposti a uno a uno, si susseguono alternandosi e intrecciano le http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (21 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III sidere cretam, membra. nec nebulam noctu neque arani Giacché, come gli elementi tenvia fila dell'anima sono molto minori obvia sentimus, quando obretimur di quelli dei quali constano il euntes, nostro corpo e le viscere, nec supera caput eiusdem così anche nel numero cedono, e cecidisse vietam radi sono disseminati vestem nec plumas avium per le membra, sì che per lo meno papposque volantis, puoi garantire questo: qui nimia levitate cadunt quanto son grandi i minimi corpi plerumque gravatim, che colpendoci nec repentis itum cuiusvis cumque possono suscitare nel corpo i moti animantis sensiferi, tanto sentimus nec priva pedum vestigia sono grandi gl'intervalli che quaeque, separano gli atomi dell'anima. corpore quae in nostro culices et Infatti talora non sentiamo cetera ponunt. l'aderire della polvere al corpo, usque adeo prius est in nobis né il posarsi della creta scossa multa ciendum sulle membra, quam primordia sentiscant né sentiamo la nebbia, né i tenui concussa animai, fili del ragno semina corporibus nostris inmixta che ci incontrano, quando, per artus, camminando, ne siamo irretiti, et quam in his intervallis tuditantia né che sul capo esso ci ha lasciato possint cadere la sua vizza concursare coire et dissultare spoglia, né le piume degli uccelli o vicissim. i pappi volanti Et magis est animus vitai che per troppa levità cadono per lo claustra coërcens più tardamente, et dominantior ad vitam quam vis né sentiamo l'andare di qualsiasi animai. animaletto strisciante, nam sine mente animoque nequit né una per una le orme delle residere per artus zampe temporis exiguam partem pars che sul nostro corpo posano le ulla animai, zanzare e gli altri insetti. sed comes insequitur facile et A tal punto è vero che bisogna in discedit in auras noi stimolare molta materia http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (22 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III et gelidos artus in leti frigore linquit. at manet in vita cui mens animusque remansit, quamvis est circum caesis lacer undique membris; truncus adempta anima circum membrisque remota vivit et aetherias vitalis suscipit auras; si non omnimodis, at magna parte animai privatus, tamen in vita cunctatur et haeret; ut, lacerato oculo circum si pupula mansit incolumis, stat cernundi vivata potestas, dum modo ne totum corrumpas luminis orbem et circum caedas aciem solamque relinquas; id quoque enim sine pernicie non fiet eorum. at si tantula pars oculi media illa peresa est, occidit extemplo lumen tenebraeque secuntur, incolumis quamvis alioqui splendidus orbis. hoc anima atque animus vincti sunt foedere semper. Nunc age, nativos animantibus et mortalis esse animos animasque levis ut noscere possis, prima che gli atomi dell'anima, frammischiati ai nostri corpi per le membra, comincino a sentire che gli atomi del corpo sono stati scossi, e prima che, urtandosi in questi intervalli, essi possano scontrarsi, unirsi e rimbalzare a vicenda. E l'animo è quello che più tiene stretti i vincoli della vita, e per la vita vale più che la forza dell'anima. Giacché senza la mente e l'animo non può restare nelle membra neppure per esiguo tratto di tempo alcuna parte dell'anima, ma compagna tien dietro senza ritardo e si dilegua nell'aria e lascia le gelide membra nel freddo della morte. Ma rimane in vita colui a cui la mente e l'animo è rimasto. Sebbene sia un tronco lacero, con le membra tutt'intorno mutilate, tolta l'anima d'intorno e staccata dal corpo, egli vive e respira i vitali soffi del cielo. Privato, se non totalmente, di gran parte dell'anima, tuttavia indugia nella vita e vi resta attaccato; come se, lacerato l'occhio d'intorno, la pupilla è rimasta intatta, permane la vitale facoltà della vista, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (23 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III conquisita diu dulcique reperta labore digna tua pergam disponere carmina vita. tu fac utrumque uno subiungas nomine eorum atque animam verbi causa cum dicere pergam, mortalem esse docens, animum quoque dicere credas, qua tenus est unum inter se coniunctaque res est. Principio quoniam tenuem constare minutis corporibus docui multoque minoribus esse principiis factam quam liquidus umor aquai aut nebula aut fumus;Ænam longe mobilitate praestat et a tenui causa magis icta movetur, quippe ubi imaginibus fumi nebulaeque movetur; quod genus in somnis sopiti ubi cernimus alte exhalare vaporem altaria ferreque fumum; nam procul haec dubio nobis simulacra gerunturÆ nunc igitur quoniam quassatis undique vasis diffluere umorem et laticem discedere cernis, et nebula ac fumus quoniam discedit in auras, crede animam quoque diffundi purché tu non rovini tutto il globo dell'occhio e non recida la pupilla d'intorno e la lasci isolata; giacché anche ciò non potrà avvenire senza rovina d'ambedue. Ma se quella minuscola parte nel mezzo dell'occhio è lesa, tramonta sùbito la luce e susseguono le tenebre, benché sia incolume in tutto il resto lo splendido globo. Da tale patto anima ed animo sono avvinti per sempre. E ora, perché tu possa conoscere che negli esseri viventi gli animi e le anime lievi sono soggetti a nascita e a morte, proseguirò ad esporre versi cercati a lungo e trovati con dolce fatica, degni che ad essi si consacri la tua vita. Tu procura di comprendere entrambi sotto un unico nome e se, per esempio, io proseguo a parlare dell'anima, insegnando che è mortale, pensa che parlo anche dell'animo, giacché sono, insieme, un'unità e in una cosa sola son congiunti. Anzitutto, poiché ho insegnato che l'anima sottile consta di corpi minuti ed è fatta di primi principi molto più piccoli che il liquido umore dell'acqua o la nebbia o il fumo - infatti li http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (24 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III multoque perire ocius et citius dissolvi in corpora prima, cum semel ex hominis membris ablata recessit; quippe etenim corpus, quod vas quasi constitit eius, cum cohibere nequit conquassatum ex aliqua re ac rarefactum detracto sanguine venis, aëre qui credas posse hanc cohiberier ullo, corpore qui nostro rarus magis incohibens sit? Praeterea gigni pariter cum corpore et una crescere sentimus pariterque senescere mentem. nam vel ut infirmo pueri teneroque vagantur corpore, sic animi sequitur sententia tenvis. inde ubi robustis adolevit viribus aetas, consilium quoque maius et auctior est animi vis. post ubi iam validis quassatum est viribus aevi corpus et obtusis ceciderunt viribus artus, claudicat ingenium, delirat lingua [labat] mens, omnia deficiunt atque uno tempore desunt. ergo dissolui quoque convenit supera di gran lunga in mobilità e da più tenue causa spinta si muove; giacché per immagini di fumo e di nebbia si commuove: come quando, assopiti nel sonno, vediamo gli altari in alto esalare vapore e diffondere fumo; infatti senza dubbio questi sono simulacri che giungono a noi ora dunque, poiché da vasi fracassati vedi l'acqua fluir via d'ogni parte e il liquido dileguarsi, e poiché nebbia e fumo si dileguano nell'aria, devi credere che anche l'anima si diffonde e molto più velocemente perisce e più rapidamente si dissolve ‹nei› corpi primi, una volta che, strappata dalle membra dell'uomo, s'è allontanata. In effetti, se il corpo, che per essa è come un vaso, non può contenerla, quando per qualche causa è sconvolto o è divenuto rado, perché fu tolto sangue alle vene, come puoi credere che questa possa mai essere contenuta dall'aria, che, più rada del nostro corpo, è ancor più incapace di contenerla? Inoltre sentiamo che la mente http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (25 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III omnem animai naturam, ceu fumus, in altas aëris auras; quando quidem gigni pariter pariterque videmus crescere et, [ut] docui, simul aevo fessa fatisci. Huc accedit uti videamus, corpus ut ipsum suscipere inmanis morbos durumque dolorem, sic animum curas acris luctumque metumque; quare participem leti quoque convenit esse. quin etiam morbis in corporis avius errat saepe animus; dementit enim deliraque fatur, inter dumque gravi lethargo fertur in altum aeternumque soporem oculis nutuque cadenti; unde neque exaudit voces nec noscere voltus illorum potis est, ad vitam qui revocantes circum stant lacrimis rorantes ora genasque. quare animum quoque dissolui fateare necessest, quandoquidem penetrant in eum contagia morbi; nam dolor ac morbus leti fabricator uterquest, multorum exitio perdocti quod sumus ante. nasce unitamente col corpo e insieme cresce e unitamente invecchia. Infatti, come i bimbi camminano vacillando col corpo malfermo e tenero, così a questo s'accompagna un debole giudizio della mente. Poi, quando si sono irrobustite le forze e l'età si è fatta adulta, maggiore è anche il senno e aumentato il vigore dell'animo. Più tardi, quando il corpo è stato ormai scosso dalle valide forze del tempo e con le forze spente sono crollate le membra, zoppica l'intelligenza, sproposita la lingua, ‹barcolla› la mente, tutto viene meno e ad un tempo svanisce. Dunque ne consegue che anche la natura dell'anima si dissolve tutta, come fumo, per l'aria che spira nell'alto; giacché vediamo che nascono insieme e insieme crescono e, ‹come› ho spiegato, fiaccati dal tempo, simultaneamente si sfasciano. A ciò si aggiunge che, come vediamo che il corpo stesso subisce orribili malattie e duro dolore, così vediamo che l'animo soffre affanni acuti e lutto e paura; perciò è naturale che sia partecipe anche della morte. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (26 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III [et quoniam mentem sanari Anzi, nelle malattie del corpo corpus ut aegrum l'animo spesso sviato et pariter mentem sanari corpus va errando; sragiona infatti il inani] malato e parla in delirio, denique cor, hominem cum vini vis e talvolta per grave letargo cade, penetravit con gli occhi e la testa acris et in venas discessit diditus cascanti, in sopore profondo e ardor, senza fine, consequitur gravitas membrorum, da cui non ode le voci, né può praepediuntur riconoscere i volti crura vacillanti, tardescit lingua, di quelli che, cercando di madet mens, richiamarlo alla vita, nant oculi, clamor singultus iurgia gli stanno attorno e di lacrime gliscunt, bagnano i volti e le guance. et iam cetera de genere hoc quae Perciò occorre che tu ammetta che cumque secuntur, anche l'animo si dissolve, cur ea sunt, nisi quod vehemens giacché penetrano in esso contagi violentia vini di malattia. conturbare animam consuevit Infatti dolore e malattia sono corpore in ipso? entrambi artefici di morte, at quae cumque queunt conturbari come ci ha già insegnato la fine di inque pediri, molti. significant, paulo si durior E poi, perché mai, quando la forza insinuarit sconvolgente del vino causa, fore ut pereant aevo ha penetrato l'uomo e nelle vene privata futuro. s'è sparso e distribuito l'ardore, Quin etiam subito vi morbi segue gravezza di membra, le saepe coactus gambe gli s'inceppano ante oculos aliquis nostros, ut ed egli vacilla, la lingua è torpida, fulminis ictu, la mente s'offusca, concidit et spumas agit, ingemit et gli occhi sono smarriti, clamore tremit artus, singulti oltraggi crescono, desipit, extentat nervos, e infine tutte le altre cose della torquetur, anhelat stessa specie che a queste inconstanter, et in iactando s'accompagnano - perché ciò membra fatigat, avviene, se non perché la http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (27 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III ni mirum quia vis morbi distracta per artus turbat agens animam, spumans [ut] in aequore salso ventorum validis fervescunt viribus undae. exprimitur porro gemitus, quia membra dolore adficiuntur et omnino quod semina vocis eliciuntur et ore foras glomerata feruntur qua quasi consuerunt et sunt munita viai. desipientia fit, quia vis animi atque animai conturbatur et, ut docui, divisa seorsum disiectatur eodem illo distracta veneno. inde ubi iam morbi reflexit causa, reditque in latebras acer corrupti corporis umor, tum quasi vaccillans primum consurgit et omnis paulatim redit in sensus animamque receptat. haec igitur tantis ubi morbis corpore in ipso iactentur miserisque modis distracta laborent, cur eadem credis sine corpore in aëre aperto cum validis ventis aetatem degere posse? Et quoniam mentem sanari veemente violenza del vino suole perturbare l'anima nel corpo stesso? Ma, qualunque cosa può essere perturbata e inceppata, mostra che, se una forza un po' più dura vi s'insinua, perirà, privata di vita ulteriore. Anzi, spesso qualcuno, subitamente astretto dalla violenza della malattia, innanzi ai nostri occhi, come colpito da un fulmine, stramazza e sbava, geme e trema nelle membra, farnetica, tende fortemente i muscoli, si contorce, anela irregolarmente e dibattendosi affatica le membra. Certamente perché, dilaniata dalla violenza della malattia per le membra, l'anima è in tumulto e sbava, ‹come› nel salso mare le onde ribollono per la veemente violenza dei venti. E gli si strappano gemiti, perché le membra dal dolore sono afflitte e in generale perché i semi della voce vengono cacciati all'esterno ed escon fuori della bocca agglomerati, per dove, per così dire, sogliono, e trovano fatta la strada. Il delirio si produce, perché la forza dell'animo e dell'anima si conturba e, come ho mostrato, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (28 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III corpus ut aegrum cernimus et flecti medicina posse videmus, id quoque praesagit mortalem vivere mentem. addere enim partis aut ordine traiecere aecumst aut aliquid prosum de summa detrahere hilum, commutare animum qui cumque adoritur et infit aut aliam quamvis naturam flectere quaerit. at neque transferri sibi partis nec tribui vult inmortale quod est quicquam neque defluere hilum; nam quod cumque suis mutatum finibus exit, continuo hoc mors est illius quod fuit ante. ergo animus sive aegrescit, mortalia signa mittit, uti docui, seu flectitur a medicina. usque adeo falsae rationi vera videtur res occurrere et effugium praecludere eunti ancipitique refutatu convincere falsum. Denique saepe hominem paulatim cernimus ire et membratim vitalem deperdere sensum; in pedibus primum digitos divisa in parti separate è sbattuta qua e là, dilaniata da quello stesso veleno. Poi, quando ormai la causa della malattia ha regredito e l'acre umore del corpo corrotto è ritornato nelle sue latebre, allora il malato, quasi vacillando, comincia a levarsi e ritorna, a poco a poco, alla pienezza dei sensi e riprende animo. Se la mente e l'anima, dunque, da malattie sì gravi sono agitate nel corpo stesso, e dilaniate soffrono in miseri modi, come puoi credere che senza corpo, all'aria aperta, tra i venti violenti le medesime possano proseguire la loro vita? E poiché vediamo che la mente vien guarita, come il corpo infermo, e può essere mutata dalla medicina, anche questo preannunzia che la mente ha vita mortale. Infatti è necessario che aggiunga parti o ne muti l'ordine o detragga dall'insieme qualcosa, sia pure in misura affatto minima, chiunque tenta e comincia a mutare lo stato dell'animo o cerca di modificare qualunque altra natura. Ma ciò che è immortale non consente che parti gli siano trasposte, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (29 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III livescere et unguis, o qualcosa sia aggiunta o inde pedes et crura mori, post staccata, benché minima. inde per artus Infatti ogni volta che una cosa si ire alios tractim gelidi vestigia leti. muta ed esce dai propri scinditur atque animae haec termini, sùbito questo è la morte quoniam natura nec uno di ciò che era prima. tempore sincera existit, mortalis L'animo, dunque, sia che habendast. s'ammali, sia che venga mutato quod si forte putas ipsam se posse da medicina, manifesta, come ho per artus insegnato, la sua mortalità. introsum trahere et partis A tal punto è evidente che la conducere in unum realtà s'oppone atque ideo cunctis sensum alla falsa dottrina e le preclude diducere membris, ogni via di scampo at locus ille tamen, quo copia e con duplice confutazione ne tanta animai dimostra la falsità. cogitur, in sensu debet maiore Ancora, spesso vediamo che un videri; uomo se ne va a poco a poco, qui quoniam nusquamst, ni e a membro a membro perde il mirum, ut diximus [ante>, senso vitale; dilaniata foras dispargitur, interit prima nei piedi illividiscono le dita ergo. e le unghie, quin etiam si iam libeat concedere poi muoiono i piedi e le gambe, in falsum séguito di lì per le altre et dare posse animam glomerari in membra procedono via via le orme corpore eorum, della gelida morte. lumina qui lincunt moribundi Poiché, dunque, si scinde la natura particulatim, ‹dell'anima› e non viene mortalem tamen esse animam fuori intera in un solo istante, fateare necesse dev'esser creduta mortale. nec refert utrum pereat dispersa E se per caso supponi che da sé per auras stessa essa possa ritrarsi, an contracta suis e partibus attraverso le membra, nell' obbrutescat, interno, e adunare le sue parti quando hominem totum magis ac in un sol punto e in tal modo magis undique sensus togliere la sensibilità da tutte deficit et vitae minus et minus le membra, tuttavia quel luogo, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (30 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III undique restat. ove tanta abbondanza d'anima Et quoniam mens est hominis si raccoglie, dovrebbe mostrarsi pars una locoque dotato di sensibilità maggiore; fixa manet certo, vel ut aures ma poiché tale luogo non esiste, atque oculi sunt certo, come abbiamo detto atque alii sensus qui vitam ‹prima›, cumque gubernant, l'anima dilaniata si sparge fuori, et vel uti manus atque oculus qua e là: dunque muore. naresve seorsum Anzi, quand'anche piaccia secreta ab nobis nequeunt sentire concedere il falso neque esse, e ammettere che l'anima possa sed tamen in parvo lincuntur agglomerarsi nel corpo tempore tali, di quelli che moribondi lasciano la sic animus per se non quit sine luce a parte a parte, corpore et ipso è tuttavia necessario che tu esse homine, illius quasi quod vas riconosca che l'anima è mortale, esse videtur, né importa se perisca dispersa per sive aliud quid vis potius l'aria coniunctius ei o se, contrattasi ritraendosi dalle fingere, quandoquidem conexu sue varie parti, istupidisca, corpus adhaeret. giacché a tutto l'uomo, più e più, Denique corporis atque animi da ogni parte il senso vivata potestas manca, e in ogni parte resta meno inter se coniuncta valent vitaque e meno di vita. fruuntur; E poiché la mente è una delle parti nec sine corpore enim vitalis edere dell'uomo, che resta motus fissa in un luogo determinato, sola potest animi per se natura come sono orecchie e occhi nec autem e tutti gli altri sensi che governano cassum anima corpus durare et la vita: sensibus uti. se una mano e un occhio o il naso, scilicet avolsus radicibus ut nequit una volta staccati ullam da noi e separati, non possono dispicere ipse oculus rem seorsum sentire, né esistere, corpore toto, ma per contro in breve tempo si sic anima atque animus per se nil dissolvono in putrefazione, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (31 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III posse videtur. ni mirum quia [per] venas et viscera mixtim, per nervos atque ossa tenentur corpore ab omni nec magnis intervallis primordia possunt libera dissultare, ideo conclusa moventur sensiferos motus, quos extra corpus in auras aëris haut possunt post mortem eiecta moveri propterea quia non simili ratione tenentur; corpus enim atque animans erit aër, si cohibere sese anima atque in eos poterit concludere motus, quos ante in nervis et in ipso corpore agebat. quare etiam atque etiam resoluto corporis omni tegmine et eiectis extra vitalibus auris dissolui sensus animi fateare necessest atque animam, quoniam coniunctast causa duobus. Denique cum corpus nequeat perferre animai discidium, quin in taetro tabescat odore, quid dubitas quin ex imo penitusque coorta emanarit uti fumus diffusa animae vis, parimenti l'animo non può esistere di per sé, senza il corpo e l'uomo stesso, che appare essere come un vaso dell'animo o qualsiasi altra cosa tu preferisca immaginare più congiunta con esso, giacché ad esso con stretto legame il corpo aderisce. Ancora, le facoltà vitali del corpo e dell'anima per vicendevole connessione hanno vigore e godono della vita; né senza il corpo, infatti, da sola la natura dell'animo può di per sé produrre i moti della vita, né dal canto suo il corpo privo d'anima può durare e servirsi dei sensi. È evidente: come, avulso dalle radici, non può l'occhio scorgere alcuna cosa da solo, staccato da tutto il resto del corpo, così si vede che l'anima e l'animo di per sé non possono nulla. Senza dubbio, poiché, mescolati ‹per› vene e visceri, per nervi ed ossa, i loro primi principi sono trattenuti da tutto il corpo, né possono balzar qua e là, liberi, a grandi distanze - per questo rinchiusi si muovono con moti sensiferi, che essi, fuori del corpo, scacciati tra i venti, dopo la morte non possono produrre, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (32 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III atque ideo tanta mutatum putre ruina conciderit corpus, penitus quia mota loco sunt fundamenta foras manant animaeque per artus perque viarum omnis flexus, in corpore qui sunt, atque foramina? multimodis ut noscere possis dispertitam animae naturam exisse per artus et prius esse sibi distractam corpore in ipso, quam prolapsa foras enaret in aëris auras. Quin etiam finis dum vitae vertitur intra, saepe aliqua tamen e causa labefacta videtur ire anima ac toto solui de corpore [tota] et quasi supremo languescere tempore voltus molliaque exsangui cadere omnia [corpore] membra. quod genus est, animo male factum cum perhibetur aut animam liquisse; ubi iam trepidatur et omnes extremum cupiunt vitae reprehendere vinclum; conquassatur enim tum mens animaeque potestas omnis. et haec ipso cum corpore conlabefiunt, perché non sono trattenuti nello stesso modo. Corpo infatti, e per di più essere animato, sarà l'aria, se l'anima potrà mantenervisi unita e chiudersi in quei movimenti che prima compiva nei nervi e dentro il corpo stesso. Perciò, ancora e ancora, una volta che sia dissolto tutto il riparo del corpo e scacciato fuori il soffio della vita, è necessario, devi ammetterlo, che il senso dell'animo e l'anima si dissolvano, giacché per questi e il corpo la causa è congiunta. Ancora, poiché il corpo non può sopportare la separazione dell'anima senza putrefarsi in un odore ripugnante, come puoi dubitare che, levatasi dal profondo e dall'intimo, la forza dell'anima sia esalata e si sia dispersa come fumo, e che il corpo, mutato da tanta rovina, sia caduto in sfacelo per ciò, perché nel profondo sono state smosse dalla sede le fondamenta, con l'esalare dell'anima fuori, per le membra e per tutte le tortuosità dei meati, che sono nel corpo, e attraverso i pori? Sicché in molti modi puoi conoscere che divisa in parti la natura dell'anima è uscita per le membra, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (33 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III ut gravior paulo possit dissolvere causa. Quid dubitas tandem quin extra prodita corpus inbecilla foras in aperto, tegmine dempto, non modo non omnem possit durare per aevom, sed minimum quodvis nequeat consistere tempus? nec sibi enim quisquam moriens sentire videtur ire foras animam incolumem de corpore toto, nec prius ad iugulum et supera succedere fauces, verum deficere in certa regione locatam; ut sensus alios in parti quemque sua scit dissolui. quod si inmortalis nostra foret mens, non tam se moriens dissolvi conquereretur, sed magis ire foras vestemque relinquere, ut anguis. Denique cur animi numquam mens consiliumque gignitur in capite aut pedibus manibusve, sed unis sedibus et certis regionibus omnibus haeret, si non certa loca ad nascendum reddita cuique sunt, et ubi quicquid possit durare creatum atque ita multimodis partitis e dentro il corpo stesso s'era già da sé dilaniata prima che, scivolando via, andasse a volare tra i venti. Anzi, mentre ancora si volge dentro i confini della vita, l'anima tuttavia sovente, scossa da qualche causa, sembra andarsene e ‹volere› sciogliersi da tutto il corpo, e il volto sembra invaso dal languore dell'ora estrema, e molli dal corpo esangue cadere tutte le membra. In tale stato è colui di cui si dice che s'è sentito male o che è caduto in deliquio; e già si trepida e tutti agognano riallacciare l'estremo vincolo della vita. Sono scossi, infatti, allora la mente e il potere dell'anima interamente, e col corpo stesso essi stanno per sfasciarsi; sì che una causa un po' più grave può dissolverli. E puoi ancora dubitare che l'anima, cacciata via dal corpo, debole com'è, fuori, all'aperto, priva del suo riparo, non solo non possa durare in perpetuo, ma sia anche incapace di sussistere per un qualsiasi minimo tempo? E infatti non si vede alcuno che morendo senta l'anima sua andar fuori dal corpo http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (34 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III artubus esse, membrorum ut numquam existat praeposterus ordo? usque adeo sequitur res rem, neque flamma creari fluminibus solitast neque in igni gignier algor. Praeterea si inmortalis natura animaist et sentire potest secreta a corpore nostro, quinque, ut opinor, eam faciundum est sensibus auctam. nec ratione alia nosmet proponere nobis possumus infernas animas Acherunte vagare. pictores itaque et scriptorum saecla priora sic animas intro duxerunt sensibus auctas. at neque sorsum oculi neque nares nec manus ipsa esse potest animae neque sorsum lingua neque aures; haud igitur per se possunt sentire neque esse. Et quoniam toto sentimus corpore inesse vitalem sensum et totum esse animale videmus, si subito medium celeri praeciderit ictu vis aliqua, ut sorsum partem secernat utramque, dispertita procul dubio quoque vis intero intatta, o salirgli prima alla gola e più sopra, alle fauci; sente invece che essa vien meno lì dov'è collocata, in una sede determinata; così come sa che gli altri sensi si dissolvono ognuno nella propria parte. Ma, se la nostra mente fosse immortale, non tanto, morendo, si lamenterebbe di dissolversi: piuttosto ‹si rallegrerebbe› d'andar fuori e lasciare la spoglia, come una serpe. Ancora, perché la mente e il senno dell'animo non nascono mai nel capo o nei piedi o nelle mani, ma sono per tutti gli uomini fissati in un'unica sede e in una determinata regione, se non perché determinati luoghi sono assegnati a ogni cosa per la nascita, e dove ognuna, una volta che sia creata, possa durare ed avere le varie parti così ripartite che l'ordine delle membra non appaia mai sovvertito? Tanto è vero che una cosa segue a un'altra cosa, né suole la fiamma esser prodotta dai fiumi, né il gelo nascere nel fuoco. Inoltre, se la natura dell'anima è immortale e può sentire dopo essere stata http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (35 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III animai disgiunta dal nostro corpo, et discissa simul cum corpore di cinque sensi, a quel ch'io credo, dissicietur. bisogna supporla dotata. at quod scinditur et partis discedit Né in altro modo noi possiamo in ullas, rappresentarci scilicet aeternam sibi naturam le anime d'inferno vaganti lungo abnuit esse. l'Acheronte. falciferos memorant currus Pertanto i pittori e le precedenti abscidere membra generazioni di scrittori saepe ita de subito permixta presentarono le anime così, dotate caede calentis, di sensi. ut tremere in terra videatur ab Ma né occhi, né nari e neppure artubus id quod mani può aver l'anima separata decidit abscisum, cum mens dal corpo, né può aver lingua, né tamen atque hominis vis orecchie separata dal corpo; mobilitate mali non quit sentire dunque, non possono le anime per dolorem; sé sole sentire, né esistere. et simul in pugnae studio quod E, poiché sentiamo che il senso dedita mens est, vitale è presente corpore relicuo pugnam caedesque in tutto il corpo e vediamo che petessit, questo è tutto animato, nec tenet amissam laevam cum se subitamente a mezzo lo recide tegmine saepe con celere colpo inter equos abstraxe rotas qualche forza, sì da disgiungere falcesque rapaces, del tutto l'una e l'altra parte, nec cecidisse alius dextram, cum fuor di dubbio anche la forza scandit et instat. dell'anima spartita inde alius conatur adempto e scissa insieme col corpo sarà surgere crure, disunita. cum digitos agitat propter Ma ciò che viene scisso e si divide moribundus humi pes. in parti, et caput abscisum calido evidentemente nega di avere una viventeque trunco natura eterna. servat humi voltum vitalem Si narra che carri armati di falci, oculosque patentis, caldi di confusa strage, donec reliquias animai reddidit spesso recidano le membra così omnes. subitamente http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (36 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III quin etiam tibi si, lingua vibrante, che tremare in terra si vede ciò minanti che dagli arti è caduto serpentis cauda, procero corpore, reciso, mentre tuttavia la mente e utrumque la forza dell'uomo sit libitum in multas partis non possono sentire il dolore per discidere ferro, la subitaneità del colpo omnia iam sorsum cernes ancisa e insieme perché la mente è presa recenti dalla passione della battaglia: volnere tortari et terram col resto del corpo egli tende alla conspargere tabo, battaglia e alle stragi, ipsam seque retro partem petere e spesso non s'accorge d'aver ore priorem, perduto la mano sinistra con lo volneris ardenti ut morsu premat scudo icta dolore. e che tra i cavalli l'han travolta le omnibus esse igitur totas dicemus ruote e le falci rapaci; in illis un altro non s'accorge che gli è particulis animas? at ea ratione caduta la destra, mentre sequetur s'arrampica e incalza. unam animantem animas habuisse D'altra parte un altro tenta di in corpore multas. drizzarsi sulla gamba mozzata, ergo divisast ea quae fuit una mentre lì presso, sul suolo, il piede simul cum moribondo agita le dita. corpore; quapropter mortale E una testa recisa da un tronco utrumque putandumst, caldo e vivente in multas quoniam partis disciditur conserva sul suolo il volto della aeque. vita e gli occhi aperti, Praeterea si inmortalis natura finché non ha esalato del tutto i animai resti dell'anima. constat et in corpus nascentibus Anzi, se d'un serpente che ha insinuatur, lingua vibrante, cur super ante actam aetatem minacciosa coda, lungo corpo, ti meminisse nequimus piace fendere col ferro [interisse et quae nunc est nunc le due parti in molti pezzi, vedrai esse creatam] poi tutti i brani nec vestigia gestarum rerum ulla tagliati contorcersi per la fresca tenemus? ferita http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (37 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III nam si tanto operest animi mutata potestas, omnis ut actarum exciderit retinentia rerum, non, ut opinor, id ab leto iam longius errat; qua propter fateare necessest quae fuit ante interiisse, et quae nunc est nunc esse creatam. Praeterea si iam perfecto corpore nobis inferri solitast animi vivata potestas tum cum gignimur et vitae cum limen inimus, haud ita conveniebat uti cum corpore et una cum membris videatur in ipso sanguine cresse, sed vel ut in cavea per se sibi vivere solam convenit, ut sensu corpus tamen affluat omne. quare etiam atque etiam neque originis esse putandumst expertis animas nec leti lege solutas; nam neque tanto opere adnecti potuisse putandumst corporibus nostris extrinsecus insinuatas, quod fieri totum contra manifesta docet res Ænamque ita conexa est per venas viscera nervos ossaque, uti dentes quoque sensu ciascuno separatamente e cospargere di putredine la terra, e la parte anteriore voltarsi e avventarsi con la bocca su sé stessa per stringersi col morso, trafitta dall'ardente dolore della ferita. Diremo dunque che in tutti quei pezzetti vi sono anime intere? Ma, ragionando così, seguirà che un unico essere vivente aveva nel corpo molte anime. Dunque, quell'anima, che fu una, è stata divisa insieme col corpo; perciò bisogna credere che entrambi sono mortali, poiché ugualmente si scindono in molte parti. Inoltre, se la natura dell'anima è immortale e s'insinua nel corpo al momento della nascita, perché non possiamo ricordare anche la vita trascorsa prima, né serbiamo alcuna traccia delle azioni in essa compiute? Giacché, se la facoltà dell'animo è mutata a tal punto che ogni ricordo delle cose passate è svanito, tale stato, io credo, non si scosta ormai molto dalla morte. Perciò bisogna che tu ammetta che l'anima di prima è perita e quella che c'è in quest'età, in quest'età è stata creata. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (38 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III participentur; morbus ut indicat et gelidai stringor aquai et lapis oppressus subitis e frugibus asperÆ nec, tam contextae cum sint, exire videntur incolumes posse et salvas exsolvere sese omnibus e nervis atque ossibus articulisque, quod si forte putas extrinsecus insinuatam permanare animam nobis per membra solere, tanto quique magis cum corpore fusa peribit; quod permanat enim, dissolvitur, interit ergo; dispertitur enim per caulas corporis omnis. ut cibus, in membra atque artus cum diditur omnis, disperit atque aliam naturam sufficit ex se, sic anima atque animus quamvis [est] integra recens [in] corpus eunt, tamen in manando dissoluuntur, dum quasi per caulas omnis diduntur in artus particulae quibus haec animi natura creatur, quae nunc in nostro dominatur corpore nata ex illa quae tunc periit partita per Inoltre, se la facoltà vitale dell'animo suole introdursi in noi dopo che il nostro corpo è già formato, nello stesso punto in cui nasciamo e passiamo la soglia della vita, non dovremmo, in tal caso, vederla crescere insieme col corpo e unitamente con le membra nello stesso sangue, ma dovrebbe vivere come in una gabbia, per sé, da sé sola, lasciando tuttavia abbondare di sensibilità tutto il corpo. Quindi, ancora e ancora, non bisogna credere che le anime siano esenti dal nascere, né sciolte dalla legge di morte. Infatti non si può credere che abbiano potuto a tal punto connettersi coi nostri corpi insinuandovisi dall'esterno. La realtà manifesta insegna che avviene tutto il contrario; giacché l'anima è così connessa per vene, carni, nervi ed ossa che anche i denti son partecipi del senso; come dimostrano il mal di denti e la loro fitta per acqua gelata e l'urto d'un aspro sassolino che si nasconda in un pezzo di pane. D'altronde, essendo le anime così intrecciate, non si vede come possano uscire incolumi e disciogliersi sane e salve http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (39 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III artus. quapropter neque natali privata videtur esse die natura animae nec funeris expers. Semina praeterea linquontur necne animai corpore in exanimo? quod si lincuntur et insunt, haut erit ut merito inmortalis possit haberi, partibus amissis quoniam libata recessit. sin ita sinceris membris ablata profugit, ut nullas partis in corpore liquerit ex se, unde cadavera rancenti iam viscere vermes expirant atque unde animantum copia tanta exos et exanguis tumidos perfluctuat artus? quod si forte animas extrinsecus insinuari? vermibus et privas in corpora posse venire credis nec reputas cur milia multa animarum conveniant unde una recesserit, hoc tamen est ut quaerendum videatur et in discrimen agendum, utrum tandem animae venentur semina quaeque vermiculorum ipsaeque sibi fabricentur ubi sint, da tutti i nervi e le ossa e le articolazioni. Ma, se per caso credi che, insinuatasi dall'esterno, l'anima soglia spandersi per le nostre membra, tanto più essa perirà, essendo sparsa attraverso il corpo. Giacché ciò che si spande, si dissolve: dunque muore. Infatti, come il cibo, ripartito per tutti i meati del corpo, quando si propaga nelle membra e in tutti gli arti, perisce e da sé fornisce una nuova sostanza, così l'anima e l'animo, seppure entrano intatti ‹nel› corpo appena nato, tuttavia nello spandervisi si dissolvono, mentre per tutti i meati, per così dire, si spargono negli arti le particelle da cui si crea questa natura dell'animo, che ora domina nel nostro corpo, nata da quella che allora perì ripartita tra gli arti. Quindi si vede che la natura dell'anima non è priva del giorno natale, né è esente dalla morte. Inoltre, restano semi dell'anima nel corpo esanime, o no? Che se restano e stanno lì dentro, non si potrà a ragione crederla http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (40 of 62) [07/08/2003 21.38.52] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III an quasi corporibus perfectis insinuentur. at neque cur faciant ipsae quareve laborent dicere suppeditat. neque enim, sine corpore cum sunt, sollicitae volitant morbis alguque fameque; corpus enim magis his vitiis adfine laborat, et mala multa animus contage fungitur eius. sed tamen his esto quamvis facere utile corpus, cum subeant; at qua possint via nulla videtur. haut igitur faciunt animae sibi corpora et artus. nec tamen est ut qui [cum] perfectis insinuentur corporibus; neque enim poterunt suptiliter esse conexae neque consensu contagia fient. Denique cur acris violentia triste leonum seminium sequitur, volpes dolus, et fuga cervos? a patribus datur et [a] patrius pavor incitat artus, et iam cetera de genere hoc cur omnia membris ex ineunte aevo generascunt ingenioque, si non, certa suo quia semine seminioque immortale, poiché sminuita dalla perdita di parti s'è dipartita. Ma se con integre membra s'è staccata ed è fuggita via, sì da non lasciare alcuna parte di sé nel corpo, donde mai i cadaveri, quando la carne è già putrida, danno vita a vermi, e come mai una sì grande folla di esseri viventi, senza ossa e senza sangue, brulica su per gli arti tumefatti? Che se per caso credi che dall'esterno le anime s'insinuino nei vermi e ad una ad una possano introdursi nei corpi, e non consideri perché mai molte migliaia di anime s'adunino là donde è partita una sola, tuttavia c'è questo che sembra debba essere investigato e messo in discussione: se finalmente le anime vadano in caccia di ogni seme di vermiciattolo, e da sé si fabbrichino sedi per starvi dentro, oppure s'insinuino, per così dire, in corpi già formati. Ma perché esse lo facciano o perché s'affatichino, non è possibile dire. E infatti, quando sono senza corpo, non svolazzano assillate da malattie e da gelo e da fame. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (41 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III vis animi pariter crescit cum Giacché il corpo, più soggetto a corpore quoque? tali afflizioni, più ne soffre, quod si inmortalis foret et mutare e molti mali l'animo subisce per il soleret contatto con esso. corpora, permixtis animantes Ma tuttavia ammettiamo che per moribus essent, queste sia quanto si voglia utile effugeret canis Hyrcano de semine farsi un corpo in cui entrare; non saepe si vede però alcuna via cornigeri incursum cervi per cui lo possano. Dunque le tremeretque per auras anime non fanno per sé corpi e aëris accipiter fugiens veniente arti. columba, Né tuttavia può essere che desiperent homines, saperent fera s'insinuino in corpi già formati; saecla ferarum. giacché non potranno essere illud enim falsa fertur ratione, intimamente connesse con quelli, quod aiunt né si produrrà l'armonia per inmortalem animam mutato corrispondenza di sensi. corpore flecti; E ancora, perché la feroce violenza quod mutatur enim, dissolvitur, s'accompagna alla funesta interit ergo; stirpe dei leoni, l'astuzia alle volpi, traiciuntur enim partes atque e l'inclinazione alla fuga ordine migrant; viene ai cervi trasmessa dai padri quare dissolui quoque debent e la paterna paura ne stimola le posse per artus, membra? denique ut intereant una cum E in breve, perché tutte le altre corpore cunctae. qualità di questo genere sin animas hominum dicent in si generano nelle membra e corpora semper nell'indole dal principio della vita, ire humana, tamen quaeram cur e se non perché insieme con ogni sapienti corpo cresce un potere stulta queat fieri, nec prudens sit dell'animo determinato secondo il puer ullus, suo seme e la stirpe? [si non, certa suo quia semine Ma, se l'anima fosse immortale e seminioque] solesse passare da un corpo nec tam doctus equae pullus quam in un altro, gli esseri viventi fortis equi vis. avrebbero caratteri confusi, scilicet in tenero tenerascere spesso il cane di razza ircana http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (42 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III corpore mentem confugient. quod si iam fit, fateare necessest mortalem esse animam, quoniam mutata per artus tanto opere amittit vitam sensumque priorem. quove modo poterit pariter cum corpore quoque confirmata cupitum aetatis tangere florem vis animi, nisi erit consors in origine prima? quidve foras sibi vult membris exire senectis? an metuit conclusa manere in corpore putri et domus aetatis spatio ne fessa vetusto obruat? at non sunt immortali ulla pericla. Denique conubia ad Veneris partusque ferarum esse animas praesto deridiculum esse videtur, expectare immortalis mortalia membra innumero numero certareque praeproperanter inter se quae prima potissimaque insinuetur; si non forte ita sunt animarum foedera pacta, ut quae prima volans advenerit insinuetur prima neque inter se contendant fuggirebbe l'assalto d'un cornuto cervo, e tra i venti dell'aria lo sparviero, fuggendo all'arrivo della colomba, tremerebbe, sarebbero privi di ragione gli uomini, ragionerebbero le selvagge stirpi delle fiere. Giacché con falso ragionare si procede, quando s'afferma che l'anima immortale mutando corpo si modifica. Ciò che si muta, infatti, si dissolve: dunque muore. Si traspongono infatti le parti ed escono dal loro ordine; perciò devono anche potersi dissolvere nelle membra, per morire alfine tutte insieme col corpo. Se poi diranno che le anime degli uomini trasmigrano sempre in corpi umani, domanderò tuttavia perché di sapiente l'anima possa diventare stolta, e nessun bimbo sia avveduto, né il puledro sia addestrato come il cavallo nel pieno del vigore. Certo ricorreranno a questo espediente: che in tenero corpo si fa tenera la mente. Ma, se ciò davvero avviene, bisogna che tu ammetta che l'anima è mortale, poiché, mutata per le membra a tal punto, perde la vita e il senso di prima. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (43 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III viribus hilum. Denique in aethere non arbor, non aequore in alto nubes esse queunt nec pisces vivere in arvis nec cruor in lignis neque saxis sucus inesse. certum ac dispositumst ubi quicquid crescat et insit. sic animi natura nequit sine corpore oriri sola neque a nervis et sanguine longius esse. quod si posset enim, multo prius ipsa animi vis in capite aut umeris aut imis calcibus esse posset et innasci quavis in parte soleret, tandem in eodem homine atque in eodem vase manere. quod quoniam nostro quoque constat corpore certum dispositumque videtur ubi esse et crescere possit sorsum anima atque animus, tanto magis infitiandum totum posse extra corpus durare genique. quare, corpus ubi interiit, periisse necessest confiteare animam distractam in corpore toto. quippe etenim mortale aeterno iungere et una consentire putare et fungi mutua posse E in qual modo il vigore dell'animo potrà, rinsaldandosi insieme con ogni corpo, attingere il desiderato fiore della vita, se non sarà partecipe della stessa sorte nell'origine prima? E perché se ne vuole uscire fuori dalle membra invecchiate? Forse teme di rimanere rinchiuso in un corpo putrido e che la casa, rovinata dal lungo tratto di tempo, gli crolli addosso? Ma per ciò che è immortale non esistono pericoli. Ancora, sembra cosa ridicola immaginare che le anime facciano la posta ai connubi di Venere e ai parti delle fiere; che anime immortali aspettino mortali membra in numero innumerevole e gareggino con straordinaria fretta tra loro a chi prima e prevalendo sulle altre s'insinui; salvo che, per caso, siano stabiliti tra le anime patti per cui quella che prima sia a volo arrivata per prima s'insinui e quindi non contendano affatto tra loro con la violenza. Ancora, non può esistere nel cielo un albero, né nel mare profondo nuvole, non possono i pesci vivere nei campi, né esserci sangue nel legno, né succo nei sassi. È determinato e disposto dove http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (44 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III desiperest; quid enim diversius ogni cosa cresca e abbia sede. esse putandumst Così la natura dell'animo non può aut magis inter se disiunctum nascere sola, discrepitansque, senza il corpo, né esistere lontano quam mortale quod est inmortali dai nervi e dal sangue. atque perenni Se lo potesse, infatti, molto prima iunctum in concilio saevas tolerare la stessa forza dell'animo procellas? potrebbe essere nel capo o negli praeterea quaecumque manent òmeri o in fondo ai talloni aeterna necessest e sarebbe solita nascere in aut quia sunt solido cum corpore qualsiasi parte, ma in fin dei conti respuere ictus rimanere nello stesso uomo e nello nec penetrare pati sibi quicquam stesso vaso. quod queat artas Ora, poiché anche nel nostro dissociare intus partis, ut materiai corpo è fermamente determinato corpora sunt, quorum naturam e si vede disposto dove possano ostendimus ante, esistere e crescere aut ideo durare aetatem posse per separatamente l'anima e l'animo, omnem, tanto più si deve negare plagarum quia sunt expertia sicut che fuori da tutto il corpo possano inanest, nascere o durare. quod manet intactum neque ab Perciò, quando il corpo è morto, ictu fungitur hilum, devi ammettere aut etiam quia nulla loci sit copia che anche l'anima è perita, circum, dilaniata in tutto il corpo. quo quasi res possint discedere Giacché congiungere il mortale dissoluique, all'eterno e credere sicut summarum summast che possano sentire in comune e aeterna, neque extra avere reazioni reciproche, quis locus est quo diffugiant neque è follia. Infatti cosa mai si può corpora sunt quae credere più contrastante possint incidere et valida o più sconnesso e discordante dissolvere plaga. nelle sue relazioni Quod si forte ideo magis che l'unione di ciò che è mortale inmortalis habendast, con ciò che è immortale quod vitalibus ab rebus munita e perenne in un aggregato che http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (45 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III tenetur, aut quia non veniunt omnino aliena salutis, aut quia quae veniunt aliqua ratione recedunt pulsa prius quam quid noceant sentire queamus, *** praeter enim quam quod morbis cum corporis aegret, advenit id quod eam de rebus saepe futuris macerat inque metu male habet curisque fatigat, praeteritisque male admissis peccata remordent. adde furorem animi proprium atque oblivia rerum, adde quod in nigras lethargi mergitur undas. Nil igitur mors est ad nos neque pertinet hilum, quandoquidem natura animi mortalis habetur. et vel ut ante acto nihil tempore sensimus aegri, ad confligendum venientibus undique Poenis, omnia cum belli trepido concussa tumultu horrida contremuere sub altis aetheris auris, in dubioque fuere utrorum ad regna cadendum omnibus humanis esset terraque marique, sic, ubi non erimus, cum corporis sopporti furiose tempeste? Inoltre, tutte le cose che permangono eterne è necessario o che respingano gli urti perché hanno corpo solido e non si lascino penetrare da qualcosa che possa dissociare nell'interno le parti strettamente unite, quali sono i corpi della materia, di cui prima abbiamo rivelato la natura; oppure che possano durare per ogni tempo per questo, perché sono esenti da colpi, come è il vuoto, che rimane intatto e non subisce il minimo urto, o anche perché intorno non si trova tratto di spazio ove, in qualche modo, le cose possano sperdersi e dissolversi; così è eterna la somma delle somme, fuori della quale non c'è luogo ove le cose si dileguino, né ci son corpi che possano cadere su di esse e con forte colpo dissolverle. Ma se per caso l'anima dev'esser creduta immortale piuttosto per questo, perché è munita e protetta da forze vitali o perché non l'attingono affatto cose avverse alla sua salvezza o perché quelle che l'attingono in qualche modo si ritirano respinte prima che possiamo sentire quanto ci nocciono, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (46 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III atque animai discidium fuerit, quibus e sumus uniter apti, scilicet haud nobis quicquam, qui non erimus tum, accidere omnino poterit sensumque movere, non si terra mari miscebitur et mare caelo. et si iam nostro sentit de corpore postquam distractast animi natura animaeque potestas, nil tamen est ad nos, qui comptu coniugioque corporis atque animae consistimus uniter apti. nec, si materiem nostram collegerit aetas post obitum rursumque redegerit ut sita nunc est, atque iterum nobis fuerint data lumina vitae, pertineat quicquam tamen ad nos id quoque factum, interrupta semel cum sit repetentia nostri. et nunc nil ad nos de nobis attinet, ante qui fuimus, [neque] iam de illis nos adficit angor. nam cum respicias inmensi temporis omne praeteritum spatium, tum motus materiai multimodi quam sint, facile hoc ‹fatti manifesti mostrano che la verità è un'altra›. Giacché, a parte il fatto che s'ammala delle malattie del corpo, sovente sopravviene ciò che, riguardo al futuro, la tormenta e nel timore la fa star male e con affanni la travaglia; e per le colpe passate i rimorsi la straziano. Aggiungi la follia propria della mente e l'oblio delle cose, aggiungi che è sommersa nelle nere onde del letargo. Nulla dunque la morte è per noi, né ci riguarda punto, dal momento che la natura dell'animo è conosciuta mortale. E come nel tempo passato non sentimmo alcuna afflizione, mentre i Cartaginesi da ogni parte venivano a combattere, quando il mondo, scosso dal trepido tumulto della guerra, tremò tutto d'orrore sotto le alte volte dell'etere, e fu dubbio sotto il regno di quale dei due popoli dovessero cadere tutti gli uomini sulla terra e sul mare, così quando noi non saremo più, quando sarà avvenuto il distacco del corpo e dell'anima, che uniti compongono il nostro essere, certo a noi, che allora non saremo più, non potrà affatto http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (47 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III adcredere possis, semina saepe in eodem, ut nunc sunt, ordine posta haec eadem, quibus e nunc nos sumus, ante fuisse. nec memori tamen id quimus reprehendere mente; inter enim iectast vitai pausa vageque deerrarunt passim motus ab sensibus omnes. debet enim, misere si forte aegreque futurumst; ipse quoque esse in eo tum tempore, cui male possit accidere. id quoniam mors eximit, esseque prohibet illum cui possint incommoda conciliari, scire licet nobis nihil esse in morte timendum nec miserum fieri qui non est posse, neque hilum differre an nullo fuerit iam tempore natus, mortalem vitam mors cum inmortalis ademit. Proinde ubi se videas hominem indignarier ipsum, post mortem fore ut aut putescat corpore posto aut flammis interfiat malisve ferarum, scire licet non sincerum sonere atque subesse caecum aliquem cordi stimulum, quamvis neget ipse accadere alcunché, nulla potrà colpire i nostri sensi, neppure se la terra si confonderà col mare e il mare col cielo. E anche se supponiamo che, dopo il distacco dal nostro corpo, la natura dell'animo e il potere dell'anima serbano il senso, questo tuttavia non importa a noi, che dall'unione e dal connubio del corpo e dell'anima siamo costituiti e unitamente composti. E quand'anche il tempo raccogliesse la nostra materia dopo la morte e di nuovo la disponesse nell'assetto in cui si trova ora e a noi fosse ridata la luce della vita, tuttavia neppure questo evento ci riguarderebbe minimamente, una volta che fosse interrotta la continuità della nostra coscienza. Così ora a noi non importa nulla di noi, quali fummo in precedenza, ‹né› ormai per quel nostro essere ci affligge angoscia. E invero, se volgi lo sguardo verso tutto lo spazio trascorso del tempo illimitato, e consideri quanto siano molteplici i movimenti della materia, facilmente puoi indurti a credere che questi stessi atomi, di cui siamo composti ora, già prima siano stati spesso disposti nel medesimo ordine in cui sono ora. Eppure non possiamo riafferrare http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (48 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III credere se quemquam sibi sensum in morte futurum; non, ut opinor, enim dat quod promittit et unde nec radicitus e vita se tollit et eicit, sed facit esse sui quiddam super inscius ipse. vivus enim sibi cum proponit quisque futurum, corpus uti volucres lacerent in morte feraeque, ipse sui miseret; neque enim se dividit illim nec removet satis a proiecto corpore et illum se fingit sensuque suo contaminat astans. hinc indignatur se mortalem esse creatum nec videt in vera nullum fore morte alium se, qui possit vivus sibi se lugere peremptum stansque iacentem [se] lacerari urive dolere. nam si in morte malumst malis morsuque ferarum tractari, non invenio qui non sit acerbum ignibus inpositum calidis torrescere flammis aut in melle situm suffocari atque rigere frigore, cum summo gelidi cubat aequore saxi, con la memoria quell'esistenza; s'è interposta infatti una pausa della vita e sparsamente tutti i moti si sviarono per ogni dove, lontano dai sensi. Infatti, se sventura e affanno devono colpire qualcuno, occorre che allora, in quel medesimo tempo, esista quella stessa persona cui possa incoglier male. Ma, poiché la morte toglie ciò e impedisce che esista colui a cui le disgrazie possano attaccarsi, è chiaro che niente noi dobbiamo temere nella morte, e che non può divenire infelice chi non esiste, né fa punto differenza se egli sia nato o non sia nato in alcun tempo, quando la vita mortale gli è stata tolta dalla morte immortale. Quindi, se vedi un uomo dolersi della propria sorte, perché dopo la morte dovrà, sepolto il corpo, putrefarsi o essere distrutto dalle fiamme o dalle mascelle delle fiere, puoi intendere che le sue parole non suonano sincere e che sotto il suo cuore c'è qualche stimolo cieco, benché egli asserisca di non credere che morto avrà qualche senso. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (49 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III urgerive superne obrutum pondere terrae. 'Iam iam non domus accipiet te laeta neque uxor optima, nec dulces occurrent oscula nati praeripere et tacita pectus dulcedine tangent. non poteris factis florentibus esse tuisque praesidium. misero misere' aiunt 'omnia ademit una dies infesta tibi tot praemia vitae.' illud in his rebus non addunt 'nec tibi earum iam desiderium rerum super insidet una.' quod bene si videant animo dictisque sequantur, dissoluant animi magno se angore metuque. 'tu quidem ut es leto sopitus, sic eris aevi quod super est cunctis privatus doloribus aegris; at nos horrifico cinefactum te prope busto insatiabiliter deflevimus, aeternumque nulla dies nobis maerorem e pectore demet.' illud ab hoc igitur quaerendum est, quid sit amari tanto opere, ad somnum si res redit atque quietem, cur quisquam aeterno possit Infatti, io credo, non mantiene ciò che promette e i principi su cui poggia, né radicalmente si svelle e si scaccia fuori della vita, ma inconsciamente fa sopravvivere qualcosa di sé. Ognuno infatti che da vivo si rappresenta che dopo la morte uccelli e fiere sbraneranno il suo corpo, commisera sé stesso; e infatti non riesce a separarsi di lì, né si stacca abbastanza dal cadavere gettato via e confonde sé stesso con quello e, stando dritto lì accanto, gli trasfonde il proprio senso. Per questo si duole d'esser nato mortale e non vede che nella vera morte non ci sarà un altro sé stesso che possa, vivo, piangere la perdita di sé per sé stesso e, stando in piedi, lamentarsi di giacere a terra e d'essere sbranato o bruciato. E invero, se nella morte è un male essere straziato dalle mascelle e dai morsi delle fiere, non intendo come non sia acerbo esser posto sul rogo per esservi arrostito dalle calde fiamme o soffocare immerso nel miele o intirizzire di freddo, disteso sopra la liscia superficie d'una gelida pietra, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (50 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III tabescere luctu. Hoc etiam faciunt ubi discubuere tenentque pocula saepe homines et inumbrant ora coronis, ex animo ut dicant: 'brevis hic est fructus homullis; iam fuerit neque post umquam revocare licebit.' tam quam in morte mali cum primis hoc sit eorum, quod sitis exurat miseros atque arida torrat, aut aliae cuius desiderium insideat rei. nec sibi enim quisquam tum se vitamque requiret, cum pariter mens et corpus sopita quiescunt; nam licet aeternum per nos sic esse soporem, nec desiderium nostri nos adficit ullum, et tamen haud quaquam nostros tunc illa per artus longe ab sensiferis primordia motibus errant, cum correptus homo ex somno se colligit ipse. multo igitur mortem minus ad nos esse putandumst, si minus esse potest quam quod nihil esse videmus; maior enim turbae disiectus materiai consequitur leto nec quisquam o esser premuto dall'alto, schiacciato sotto il peso della terra. "Ora, ora mai più la casa ti accoglierà in letizia, né la sposa ottima, né i dolci figli ti correranno incontro a contendersi i primi baci, né invaderanno il tuo cuore di tacita dolcezza. Non potrai essere uomo di prospere imprese, né sostegno ai tuoi. A te misero miseramente" dicono "un solo giorno avverso tutti ha tolti i molti doni della vita". Ma questo, a tale proposito, non aggiungono: "né più il rimpianto di quelle cose ti accompagna e resta in te". Se ciò vedessero chiaro con la mente e vi s'attenessero con le parole, si scioglierebbero da grande angoscia e timore dell'animo. "Tu certamente, come ti sei assopito nella morte, così sarai per tutto il tempo che resta, esente da tutti i dolori penosi. Ma noi insaziabilmente abbiamo pianto te ridotto in cenere sull'orribile rogo lì vicino, e nessun giorno ci leverà dal petto l'eterna tristezza". Questo dunque a costui bisogna chiedere: che mai ci sia http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (51 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III expergitus extat, frigida quem semel est vitai pausa secuta. Denique si vocem rerum natura repente. mittat et hoc alicui nostrum sic increpet ipsa: 'quid tibi tanto operest, mortalis, quod nimis aegris luctibus indulges? quid mortem congemis ac fles? nam [si] grata fuit tibi vita ante acta priorque et non omnia pertusum congesta quasi in vas commoda perfluxere atque ingrata interiere; cur non ut plenus vitae conviva recedis aequo animoque capis securam, stulte, quietem? sin ea quae fructus cumque es periere profusa vitaque in offensost, cur amplius addere quaeris, rursum quod pereat male et ingratum occidat omne, non potius vitae finem facis atque laboris? nam tibi praeterea quod machiner inveniamque, quod placeat, nihil est; eadem sunt omnia semper. si tibi non annis corpus iam marcet et artus confecti languent, eadem tamen omnia restant, di tanto amaro, se la cosa si riduce al sonno e alla quiete, perché uno possa consumarsi in eterno lutto. Anche ciò gli uomini fanno quando si son messi a tavola e tengono in mano le coppe e velano la fronte con le corone: dicono, dal profondo dell'animo: "Breve è questo godere per i poveri uomini; presto sarà passato, né dopo sarà mai possibile farlo tornare". Come se nella morte questo dovesse essere il peggiore dei loro mali: essere arsi e disseccati, gli infelici, da un'arida sete o essere oppressi dal rimpianto di qualche altra cosa. In realtà nessuno sente la mancanza di sé stesso e della vita quando la mente e il corpo riposano insieme assopiti. Per quanto riguarda noi, infatti, quel sonno può durare in perpetuo, né alcun rimpianto di noi stessi ci affligge. E tuttavia, attraverso le nostre membra quei primi principi non vagano affatto lontano dai moti sensiferi quando un uomo, strappatosi al sonno, raccoglie sé stesso. Molto meno, dunque, si deve credere che sia per noi la morte, se può esserci meno rispetto a ciò http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (52 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III omnia si perges vivendo vincere saecla, atque etiam potius, si numquam sis moriturus', quid respondemus, nisi iustam intendere litem naturam et veram verbis exponere causam? grandior hic vero si iam seniorque queratur atque obitum lamentetur miser amplius aequo, non merito inclamet magis et voce increpet acri: 'aufer abhinc lacrimas, baratre, et compesce querellas. omnia perfunctus vitai praemia marces; sed quia semper aves quod abest, praesentia temnis, inperfecta tibi elapsast ingrataque vita, et nec opinanti mors ad caput adstitit ante quam satur ac plenus possis discedere rerum. nunc aliena tua tamen aetate omnia mitte aequo animoque, age dum, magnis concede necessis?' iure, ut opinor, agat, iure increpet inciletque; cedit enim rerum novitate extrusa vetustas semper, et ex aliis aliud reparare necessest. che vediamo esser nulla; giacché maggiore dispersione della materia perturbata segue alla morte, né alcuno si risveglia e si leva, una volta che l'abbia colto la fredda pausa della vita. Ancora, se la natura d'un tratto parlasse e a qualcuno di noi così facesse, in persona, questo rimprovero: "Che cosa, o mortale, ti preme tanto che indulgi oltremisura a penosi lamenti? Perché per la morte ti affliggi e piangi? Infatti, se ti è stata gradita la vita che hai trascorsa prima, né tutti i suoi beni, come accumulati in un vaso bucato, sono fluiti via e si sono dileguati senza che ne godessi, perché non ti ritiri, come un convitato sazio della vita, e non prendi, o stolto, di buon animo, un riposo sicuro? Ma se tutti i godimenti che ti sono stati offerti, sono stati dissipati e perduti, e la vita ti è in odio, perché cerchi di aggiungere ancora quello che di nuovo andrà malamente perduto e tutto svanirà senza profitto? Perché non poni piuttosto fine alla vita e al travaglio? Infatti non c'è più nulla che io http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (53 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III Nec quisquam in baratrum nec possa escogitare e scoprire Tartara deditur atra; per te, che ti piaccia: tutte le cose materies opus est, ut crescant sono sempre uguali. postera saecla; Se il tuo corpo non è ancora sfatto quae tamen omnia te vita dagli anni, né le membra perfuncta sequentur; stremate languiscono, tuttavia nec minus ergo ante haec quam tu tutte le cose restano uguali, cecidere cadentque. anche se tu dovessi vincere, sic alid ex alio numquam desistet continuando a vivere, oriri tutte le età, anzi perfino se tu non vitaque mancipio nulli datur, dovessi morire mai"; omnibus usu. che cosa risponderemmo, se non respice item quam nil ad nos ante che la natura intenta acta vetustas un giusto processo e con le sue temporis aeterni fuerit, quam parole espone una causa vera? nascimur ante. E se ora un vecchio cadente si hoc igitur speculum nobis natura lagnasse e lamentasse futuri l'incombere della morte temporis exponit post mortem rattristandosi più del giusto, denique nostram. non avrebbe essa ragione d'alzare numquid ibi horribile apparet, num la voce e rimbrottarlo con voce triste videtur aspra? quicquam, non omni somno "Via di qui con le tue lacrime, o securius exstat? uomo da baratro, e rattieni i Atque ea ni mirum quae lamenti. cumque Acherunte profundo Tutti i doni della vita hai già goduti prodita sunt esse, in vita sunt e sei marcio. omnia nobis. Ma, perché sempre aneli a ciò che nec miser inpendens magnum è lontano e disprezzi quanto è timet aëre saxum presente, Tantalus, ut famast, cassa incompiuta ti è scivolata via, e formidine torpens; senza profitto, la vita, sed magis in vita divom metus e inaspettatamente la morte sta urget inanis dritta accosto al tuo capo mortalis casumque timent quem prima che tu possa andartene cuique ferat fors. sazio e contento d'ogni cosa. nec Tityon volucres ineunt Ora, comunque, lascia tutte http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (54 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III Acherunte iacentem queste cose che non si confanno nec quod sub magno scrutentur più alla tua età pectore quicquam e di buon animo, suvvia, cedi il perpetuam aetatem possunt posto ‹ad altri›: è necessario". reperire profecto. Giusta, penso, sarebbe l'accusa, quam libet immani proiectu giusti i rimbrotti e gl'improperi. corporis exstet, Sempre infatti, scacciate dalle qui non sola novem dispessis cose nuove, cedono il posto iugera membris le vecchie, ed è necessario che optineat, sed qui terrai totius una cosa da altre si rinnovi; orbem, né alcuno nel baratro del non tamen aeternum poterit tenebroso Tartaro sprofonda. perferre dolorem Di materia c'è bisogno perché nec praebere cibum proprio de crescano le generazioni future; corpore semper. che tutte, tuttavia, compiuta la sed Tityos nobis hic est, in amore loro vita, ti seguiranno; iacentem e dunque non meno di te le quem volucres lacerant atque generazioni son cadute prima, e exest anxius angor cadranno. aut alia quavis scindunt cuppedine Così le cose non cesseranno mai di curae. nascere le une dalle altre, Sisyphus in vita quoque nobis ante e la vita a nessuno è data in oculos est, proprietà, a tutti in usufrutto. qui petere a populo fasces Volgiti a considerare parimenti saevasque secures come nulla siano state per noi imbibit et semper victus tristisque le età dell'eterno tempo trascorse recedit. prima che noi nascessimo. nam petere imperium, quod Questo è dunque lo specchio in cui inanest nec datur umquam, la natura ci presenta atque in eo semper durum il tempo che alfine seguirà la sufferre laborem, nostra morte. hoc est adverso nixantem trudere Forse in esso appare qualcosa di monte orribile, forse si vede qualcosa saxum, quod tamen [e] summo di triste? Non è uno stato più iam vertice rusum tranquillo di ogni sonno? volvitur et plani raptim petit E senza dubbio tutte quelle cose http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (55 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III aequora campi. che secondo la tradizione deinde animi ingratam naturam sono nell'Acheronte profondo, pascere semper sono tutte nella nostra vita. atque explere bonis rebus Né Tantalo misero teme il gran satiareque numquam, masso che nell'aria quod faciunt nobis annorum sovrasta, da vana paura, come è tempora, circum fama, paralizzato; cum redeunt fetusque ferunt ma piuttosto nella vita un fallace variosque lepores, timore degli dèi opprime nec tamen explemur vitai fructibus i mortali, e temono il colpo che a umquam, ognuno può menare la sorte. hoc, ut opinor, id est, aevo Né gli uccelli si cacciano dentro florente puellas Tizio giacente quod memorant laticem pertusum nell'Acheronte, né dentro l'ampio congerere in vas, petto possono certo quod tamen expleri nulla ratione trovare qualcosa in cui frugare in potestur. perpetuo. Cerberus et Furiae iam vero et Si stenda pure con una massa di lucis egestas, corpo quanto si voglia Tartarus horriferos eructans immane, che copra con le membra faucibus aestus! dispiegate, qui neque sunt usquam nec non solo nove iugeri, ma tutto possunt esse profecto; l'orbe della terra: sed metus in vita poenarum pro non potrà tuttavia continuare a male factis sopportare un eterno dolore, est insignibus insignis scelerisque né fornire cibo dal proprio corpo luela, per sempre. carcer et horribilis de saxo iactus Ma Tizio è per noi qui: è colui che deorsum, giacente nell'amore verbera carnifices robur pix uccelli straziano, cioè lo divora lammina taedae; un'ansiosa angoscia quae tamen etsi absunt, at mens o per qualsiasi altra passione lo sibi conscia factis dilaniano affanni. praemetuens adhibet stimulos Anche Sisifo è nella vita nostra, torretque flagellis, alla vista di tutti: nec videt interea qui terminus è colui che aspira ad ottenere dal esse malorum popolo i fasci http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (56 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III possit nec quae sit poenarum e le crudeli scuri, e sempre vinto e denique finis, triste si ritira. atque eadem metuit magis haec Giacché cercare un potere che è ne in morte gravescant. vano, né vien dato mai, hic Acherusia fit stultorum denique e in quella ricerca sostenere vita. sempre un duro travaglio, Hoc etiam tibi tute interdum questo è sospingere con grande dicere possis. sforzo su per l'erta d'un monte 'lumina sis oculis etiam bonus un masso, che tuttavia ‹dalla› Ancus reliquit, somma vetta sùbito rotola qui melior multis quam tu fuit, di nuovo giù, e ratto corre verso la improbe, rebus. distesa della piana campagna. inde alii multi reges rerumque Ancora: pascer sempre potentes l'insaziabile natura dell'animo occiderunt, magnis qui gentibus e tuttavia non colmarla mai di imperitarunt. beni, né mai saziarla, ille quoque ipse, viam qui come a noi fanno le stagioni quondam per mare magnum dell'anno, quando, in giro stravit iterque dedit legionibus ire volgendosi, ritornano e ci recano i per altum frutti e le varie delizie, ac pedibus salsas docuit super ire senza che tuttavia noi siamo mai lucunas paghi delle gioie della vita, et contempsit equis insultans questa, io penso, è la favola delle murmura ponti, fanciulle nel fiore dell'età, lumine adempto animam le quali raccolgono l'acqua in un moribundo corpore fudit. vaso perforato, Scipiadas, belli fulmen, che tuttavia non si può in alcun Carthaginis horror, modo riempire. ossa dedit terrae proinde ac famul Cerbero e le Furie, per soprappiù, infimus esset. e la mancanza di luce, adde repertores doctrinarum il Tartaro eruttante dalle fauci atque leporum, vampe orribili, adde Heliconiadum comites; che non esistono in alcun luogo, quorum unus Homerus né invero possono esistere! sceptra potitus eadem aliis sopitus Ma c'è nella vita il timore delle quietest. pene, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (57 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III denique Democritum post quam grave per i crimini gravi, e matura vetustas l'espiazione della colpa, admonuit memores motus il carcere e l'orribile precipitare giù languescere mentis, dalla rupe, sponte sua leto caput obvius staffilate, carnefici, cavalletto, optulit ipse. pece, lamine, fiaccole; ipse Epicurus obit decurso lumine e anche se son lontani, pure la vitae, mente, conscia dei propri misfatti, qui genus humanum ingenio in ansia infligge assilli a sé stessa superavit et omnis e si brucia con staffili, restinxit stellas exortus ut né vede intanto quale possa aetherius sol. essere il termine dei mali, tu vero dubitabis et indignabere né quale sia alfine la fine delle obire? pene, e anzi teme mortua cui vita est prope iam vivo che queste stesse afflizioni nella atque videnti, morte diventino più gravi. qui somno partem maiorem Alfine, è qui che la vita degli stolti conteris aevi, diventa un inferno. et viligans stertis nec somnia Anche questo talora tu potresti cernere cessas dire a te stesso: sollicitamque geris cassa formidine "Chiuse i suoi occhi alla luce anche mentem il buon Anco, nec reperire potes tibi quid sit che in molte cose fu migliore di te, saepe mali, cum o briccone. ebrius urgeris multis miser Caddero poi molti altri re e undique curis dominatori del mondo, atque animo incerto fluitans errore che su grandi nazioni esercitarono vagaris.' il comando. Si possent homines, proinde ac Quegli stesso che un giorno aprì sentire videntur una via per il grande mare pondus inesse animo, quod se e offerse alle legioni un cammino gravitate fatiget, perché andassero sopra e quibus id fiat causis quoque le profondità marine, e insegnò a noscere et unde varcare a piedi i salati abissi, tanta mali tam quam moles in e disprezzò i fragori dei flutti pectore constet, calpestandoli coi cavalli, haut ita vitam agerent, ut nunc anch'egli fu privato della luce ed http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (58 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III plerumque videmus quid sibi quisque velit nescire et quaerere semper, commutare locum, quasi onus deponere possit. exit saepe foras magnis ex aedibus ille, esse domi quem pertaesumst, subitoque [revertit>, quippe foris nihilo melius qui sentiat esse. currit agens mannos ad villam praecipitanter auxilium tectis quasi ferre ardentibus instans; oscitat extemplo, tetigit cum limina villae, aut abit in somnum gravis atque oblivia quaerit, aut etiam properans urbem petit atque revisit. hoc se quisque modo fugit, at quem scilicet, ut fit, effugere haut potis est: ingratius haeret et odit propterea, morbi quia causam non tenet aeger; quam bene si videat, iam rebus quisque relictis naturam primum studeat cognoscere rerum, temporis aeterni quoniam, non unius horae, ambigitur status, in quo sit mortalibus omnis aetas, post mortem quae restat esalò l'anima dal corpo morente. Scipione, fulmine di guerra, terrore di Cartagine, rese le ossa alla terra come se fosse un infimo schiavo. Aggiungi gli scopritori delle scienze e delle arti, aggiungi i compagni delle Muse, tra i quali Omero, l'unico, dopo aver conquistato lo scettro, s'addormentò dello stesso sonno degli altri. E ancora: dopoché matura vecchiezza fece sentire a Democrito che i memori movimenti della mente languivano, spontaneamente alla morte andò incontro e offrì il proprio capo. Lo stesso Epicuro morì, dopo aver percorso il luminoso tratto della vita, egli che per ingegno superò il genere umano, e tutti offuscò, come il sole sorto nell'etere offusca le stelle. E tu esiterai e t'indignerai di morire? Tu cui la vita è quasi morta, mentre sei ancora vivo e vedi; tu che nel sonno consumi la parte maggiore del tempo e sveglio russi, né cessi di vedere sogni ed hai la mente assillata da vana paura, e spesso non sei capace di http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (59 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III cumque manendo. Denique tanto opere in dubiis trepidare periclis quae mala nos subigit vitai tanta cupido? certe equidem finis vitae mortalibus adstat nec devitari letum pote, quin obeamus. praeterea versamur ibidem atque insumus usque nec nova vivendo procuditur ulla voluptas; sed dum abest quod avemus, id exsuperare videtur cetera; post aliud, cum contigit illud, avemus et sitis aequa tenet vitai semper hiantis. posteraque in dubiost fortunam quam vehat aetas, quidve ferat nobis casus quive exitus instet. nec prorsum vitam ducendo demimus hilum tempore de mortis nec delibare valemus, quo minus esse diu possimus forte perempti. proinde licet quod vis vivendo condere saecla, mors aeterna tamen nihilo minus illa manebit, nec minus ille diu iam non erit, ex hodierno lumine qui finem vitai fecit, et ille, mensibus atque annis qui multis scoprire che male tu abbia, mentre ebbro sei oppresso da molti affanni, infelice, da ogni parte, e vaghi ondeggiando in preda al confuso errore dell'animo". Se gli uomini, come si vede che sentono di avere in fondo all'animo un peso che con la sua gravezza li affatica, potessero anche conoscere da che cause ciò provenga e perché una sì grande mole, per così dire, di male nel petto persista, non così passerebbero la vita, come ora per lo più li vediamo: ognuno non sa quel che si voglia e cerca sempre di mutar luogo, quasi potesse deporre il suo peso. Esce spesso fuori del grande palazzo colui che lo stare in casa ha tediato, e sùbito ‹ritorna›, giacché sente che fuori non si sta per niente meglio. Corre alla villa, sferzando i puledri, precipitosamente, come se si affrettasse a recar soccorso alla casa in fiamme; sbadiglia immediatamente, appena ha toccato la soglia della villa, o greve si sprofonda nel sonno e cerca l'oblio, o anche parte in fretta e furia per la città e torna a vederla. Così ciascuno fugge sé stesso, ma, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (60 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III occidit ante. a quel suo 'io', naturalmente, come accade, non potendo sfuggire, malvolentieri gli resta attaccato, e lo odia, perché è malato e non comprende la causa del male; se la scorgesse bene, ciascuno, lasciata ormai ogni altra cosa, mirerebbe prima di tutto a conoscere la natura delle cose, giacché è in questione non la condizione di un'ora sola, ma quella del tempo senza fine, in cui i mortali devono aspettarsi che si trovi tutta l'età, qualunque essa sia, che resta dopo la morte. Infine, a trepidare tanto nei dubbiosi cimenti quale trista brama di vita con tanta forza ci costringe? Senza dubbio un termine certo della vita incombe ai mortali, né la morte si può evitare, dobbiamo incontrarla. Inoltre, ci moviamo nello stesso giro e vi rimaniamo sempre, né col continuare a vivere si produce alcun nuovo piacere; ma, finché ciò che bramiamo è lontano, sembra che esso superi ogni altra cosa; poi, quando abbiamo ottenuto quello, altro bramiamo e un'uguale sete di vita sempre in noi avidi riarde. Ed è dubbio qual sorte apporti il tempo futuro, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (61 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber III che cosa ci rechi il caso, quale fine sovrasti. Né, protraendo la vita, sottraiamo mai nulla dal tempo della morte, in nulla siamo in grado d'intaccarlo, sì da potere, forse, per un tempo più breve essere morti. Puoi, quindi, vivendo finire quante generazioni vuoi: ti aspetterà pur sempre quella morte eterna; né per colui che ha finito la vita con la luce di questo giorno il non esistere più sarà più breve che per colui che già da molti mesi ed anni scomparve. (Ll) http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/3.htm (62 of 62) [07/08/2003 21.38.53] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV De Rerum Natura - Liber IV Avia Pieridum peragro loca nullius ante trita solo. iuvat integros accedere fontis atque haurire, iuvatque novos decerpere flores insignemque meo capiti petere inde coronam, unde prius nulli velarint tempora musae; primum quod magnis doceo de rebus et artis religionum animum nodis exsolvere pergo, deinde quod obscura de re tam lucida pango carmina musaeo contingens cuncta lepore. id quoque enim non ab nulla ratione videtur; nam vel uti pueris absinthia taetra medentes cum dare conantur, prius oras pocula circum contingunt mellis dulci flavoque liquore, ut puerorum aetas inprovida ludificetur labrorum tenus, interea perpotet amarum absinthi laticem deceptaque non capiatur, sed potius tali facto recreata valescat, Percorro remote regioni delle Pieridi, ove nessuno prima impresse orma. Godo ad appressarmi alle fonti intatte e bere, e godo a cogliere nuovi fiori e comporre per il mio capo una corona gloriosa, di cui prima a nessuno le Muse abbiano velato le tempie; anzitutto perché grandi cose io insegno, e cerco di sciogliere l'animo dagli stretti nodi della superstizione; poi perché su oscura materia compongo versi tanto luminosi, tutto cospargendo col fascino delle Muse. Infatti anche questo appare non privo di ragione; ma, come i medici, quando cercano di dare ai fanciulli il ripugnante assenzio, prima gli orli, tutt'attorno al bicchiere, cospargono col dolce e biondo liquore del miele, perché nell'imprevidenza della loro età i fanciulli siano ingannati, non oltre le labbra, e intanto bevano interamente l'amara bevanda dell'assenzio e dall'inganno non ricevano danno, ma al contrario in tal modo risanati riacquistino vigore; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (1 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV sic ego nunc, quoniam haec ratio così io ora, poiché questa dottrina plerumque videtur per lo più pare tristior esse quibus non est troppo ostica a coloro che non tractata, retroque l'hanno coltivata, volgus abhorret ab hac, volui tibi e il volgo rifugge lontano da essa, suaviloquenti ho voluto esporti carmine Pierio rationem exponere la nostra dottrina col canto delle nostram Pieridi che suona soave, et quasi musaeo dulci contingere e quasi cospargerla col dolce miele melle; delle Muse, si tibi forte animum tali ratione per provare se per caso potessi in tenere tal modo tenere versibus in nostris possem, dum avvinto il tuo animo ai miei versi, percipis omnem finché comprendi tutta naturam rerum ac persentis la natura e senti a fondo il utilitatem. vantaggio. Sed quoniam docui cunctarum E, poiché ho insegnato quale sia la exordia rerum natura dell'animo qualia sint et quam variis distantia e di quali elementi costituita viva formis in unione col corpo sponte sua volitent aeterno percita e in che modo, una volta divisa, motu torni ai primi principi, quoque modo possit res ex his ora comincerò a dirti ciò che con quaeque creari, queste cose è connesso [nunc agere incipiam tibi quod strettamente: esistono quelli che vehementer ad has res chiamiamo simulacri delle cose; attinet esse ea quae rerum i quali, come membrane strappate simulacra vocamus, dalla superficie delle cose, quae quasi membranae vel cortex volteggiano qua e là per l'aria; e nominitandast,] sono essi stessi atque animi quoniam docui natura che atterriscono gli animi, quid esset presentandosi a noi, et quibus e rebus cum corpore sia mentre vegliamo, sia nel compta vigeret sonno, quando spesso osserviamo quove modo distracta rediret in figure strane e spettri di gente che ordia prima, ha perduto la luce della vita, nunc agere incipiam tibi, quod i quali spesso, mentre languivamo http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (2 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV vehementer ad has res addormentati, paurosamente attinet esse ea quae rerum ci svegliarono: perché non simulacra vocamus, crediamo, per caso, che le anime quod speciem ac formam similem fuggano dall'Acheronte o che le gerit eius imago, ombre volteggino tra i viventi cuius cumque cluet de corpore o che qualcosa di noi possa durare fusa vagari; dopo la morte, quae quasi membranae summo de quando il corpo e la natura corpore rerum dell'animo insieme disfatti dereptae volitant ultroque citroque si sono disgregati nei loro diversi per auras, principi primi. atque eadem nobis vigilantibus Dico dunque che immagini delle obvia mentes cose e tenui figure terrificant atque in somnis, cum sono emesse dalle cose e si saepe figuras staccano dalla loro superficie. contuimur miras simulacraque Ciò si può conoscere di qui, anche luce carentum, con mente ottusa. quae nos horrifice languentis [Ma, poiché ho insegnato quali saepe sopore siano i principi excierunt ne forte animas di tutte le cose e quanto differenti Acherunte reamur per varietà di forme effugere aut umbras inter vivos spontaneamente volteggino, volitare stimolati da moto eterno, neve aliquid nostri post mortem e in che modo da questi si possa posse relinqui, produrre ogni cosa, cum corpus simul atque animi ora comincerò a dirti ciò che con natura perempta queste cose è connesso in sua discessum dederint strettamente: esistono quelli che primordia quaeque. chiamiamo simulacri delle cose, dico igitur rerum effigias tenuisque cui si può dare quasi il nome di figuras membrane o di corteccia, mittier ab rebus summo de cortice poiché l'immagine presenta eorum; aspetto e forma simile all'oggetto, id licet hinc quamvis hebeti qualunque sia, dal cui corpo essa cognoscere corde. appare emanata per vagare.] Principio quoniam mittunt in Anzitutto, poiché molte tra le cose http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (3 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV rebus apertis visibili emettono corpora res multae, partim diffusa corpi, in parte liberamente diffusi, solute, come la legna emette fumo e il robora ceu fumum mittunt fuoco calore, ignesque vaporem, e in parte più strettamente et partim contexta magis contesti e densi, come si vede condensaque, ut olim talora, quando le cicale in estate cum teretis ponunt tunicas aestate depongono le fini tuniche, cicadae, e quando i vitelli nascendo et vituli cum membranas de lasciano cadere membrane corpore summo dalla superficie del corpo, e nascentes mittunt, et item cum similmente quando la lubrica lubrica serpens serpe lascia tra i pruni la veste: exuit in spinis vestem; nam saepe infatti spesso vediamo videmus i pruneti coperti di svolazzanti illorum spoliis vepres volitantibus spoglie di serpi auctas. poiché tali cose accadono, una quae quoniam fiunt, tenuis quoque tenue immagine deve pure debet imago dalle cose essere emessa, ab rebus mitti summo de corpore staccarsi dalla superficie delle rerum. cose. nam cur illa cadant magis ab Infatti, perché cadano e si scostino rebusque recedant dalle cose quegli oggetti quam quae tenvia sunt, hiscendist piuttosto che altri più sottili, non è nulla potestas; possibile dire; praesertim cum sint in summis tanto più che le cose hanno in corpora rebus superficie molti corpi multa minuta, iaci quae possint minuti, tali che possono volarne ordine eodem via nello stesso ordine quo fuerint et formai servare in cui erano, conservando la forma figuram, esteriore, et multo citius, quanto minus tanto più velocemente, quanto indupediri meno possono essere impediti, pauca queunt et [quae] sunt pochi come sono, e collocati in prima fronte locata. prima linea. nam certe iacere ac largiri multa Giacché certo vediamo molte cose videmus, emettere particelle e spanderle in http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (4 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV non solum ex alto penitusque, ut diximus ante, verum de summis ipsum quoque saepe colorem. et volgo faciunt id lutea russaque vela et ferrugina, cum magnis intenta theatris per malos volgata trabesque trementia flutant; namque ibi consessum caveai supter et omnem scaenai speciem patrum matrumque deorsum inficiunt coguntque suo fluitare colore. et quanto circum mage sunt inclusa theatri moenia, tam magis haec intus perfusa lepore omnia conrident correpta luce diei. ergo lintea de summo cum corpore fucum mittunt, effigias quoque debent mittere tenvis res quaeque, ex summo quoniam iaculantur utraque. sunt igitur iam formarum vestigia certa, quae volgo volitant subtili praedita filo nec singillatim possunt secreta videri. Praeterea omnis odor fumus vapor atque aliae res consimiles ideo diffusae rebus abbondanza, non solo dal profondo e dall'intimo, come abbiamo detto prima, ma anche dalla superficie: e ciò avviene spesso per il loro stesso colore. E generalmente fanno questo i velari gialli e rossi e color di ruggine, quando, tesi su grandi teatri, oscillano e fluttuano, spiegati ovunque tra pali e travi: ivi infatti colorano sotto di sé il pubblico delle gradinate e tutto lo sfoggio della scena ‹e la splendida folla dei senatori›, e li costringono a fluttuare nei loro colori. E quanto più sono chiuse, tutt'intorno, le pareti del teatro, tanto più ciò che è dentro, soffuso di grazia, ride tutto nella raccolta luce del giorno. Dunque, se le tele emettono dalla superficie il colore, ogni oggetto deve anche emettere immagini tenui, poiché in ambo i casi è dalla superficie che avviene il lancio. Ci sono dunque, senz'altro, sicure tracce di forme, che dovunque volteggiano fornite di un sottile tessuto, né si possono vedere separate ad http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (5 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV abundant, ex alto quia dum veniunt extrinsecus ortae scinduntur per iter flexum, nec recta viarum ostia sunt, qua contendant exire coortae. at contra tenuis summi membrana coloris cum iacitur, nihil est quod eam discerpere possit, in promptu quoniam est in prima fronte locata. Postremo speculis in aqua splendoreque in omni quae cumque apparent nobis simulacra, necessest, quandoquidem simili specie sunt praedita rerum, exin imaginibus missis consistere eorum. [nam cur illa cadant magis ab rebusque recedant quam quae tenuia sunt, hiscendist nulla potestas.] sunt igitur tenues formarum illis similesque effigiae, singillatim quas cernere nemo cum possit, tamen adsiduo crebroque repulsu reiectae reddunt speculorum ex aequore visum, nec ratione alia servari posse videntur, tanto opere ut similes reddantur cuique figurae. una ad una. Inoltre, ogni odore, fumo, calore e altre cose consimili, perciò traboccano dalle cose, disperdendosi, perché, venendo dalle profondità, al cui interno son sorti, si scindono nel cammino sinuoso, né le vie hanno varchi diretti per cui possano affrettarsi a uscire insieme, dopo esser insieme sorti. Per contro, quando vien lanciata la tenue membrana d'un colore che si trova alla superficie, non c'è nulla che possa lacerarla, perché, collocata in prima linea, ha sgombro il cammino. Infine, tutti i simulacri che ci appaiono negli specchi, nell'acqua e in ogni superficie risplendente, giacché sono dotati di aspetto simile alle cose, devono consistere di immagini emesse da queste. Ci sono dunque tenui immagini delle forme, simili ad esse, che, sebbene nessuno le possa discernere ad una ad una, tuttavia, rinviate indietro con assiduo e frequente riflesso, rimandano dal piano degli specchi la visione, e si vede che non possono altrimenti conservarsi, in modo che sian riflesse figure tanto simili a ciascun oggetto. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (6 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV Nunc age, quam tenui natura constet imago percipe. et in primis, quoniam primordia tantum sunt infra nostros sensus tantoque minora quam quae primum oculi coeptant non posse tueri, nunc tamen id quoque uti confirmem, exordia rerum cunctarum quam sint subtilia percipe paucis. primum animalia sunt iam partim tantula, corum tertia pars nulla possit ratione videri. horum intestinum quodvis quale esse putandumst! quid cordis globus aut oculi? quid membra? quid artus? quantula sunt! quid praeterea primordia quaeque, unde anima atque animi constet natura necessumst, nonne vides quam sint subtilia quamque minuta? praeterea quaecumque suo de corpore odorem expirant acrem, panaces absinthia taetra habrotonique graves et tristia centaurea, quorum unum quidvis leviter si forte duobus *** quin potius noscas rerum E ora apprendi di che tenue natura consti l'immagine. E in primo luogo, considera quanto i primi principi sono al di sotto dei nostri sensi e quanto più piccoli delle cose che gli occhi primamente cominciano a non potere più scorgere. Ora, tuttavia, affinché io ti confermi anche questo, apprendi in poche parole quanto siano sottili i principi di tutte le cose. Anzitutto, già ci sono alcuni animali talmente piccoli che una terza parte di loro non si può in alcun modo vedere. Un viscere qualunque di questi, come si deve credere che sia? E il globo del cuore o dell'occhio? E le membra? E gli arti? Quanto son piccini? Che dire poi di ciascuno dei primi principi di cui deve constare la loro anima e la natura dell'animo? Non vedi forse quanto siano sottili e quanto minuti? Inoltre, tutte le cose che emanano dal proprio corpo un odore acre, la panacea, il ripugnante assenzio e l'abrotono greve e l'amara centaurea: se per caso ‹premi› un poco tra due ‹dita› una qualunque di queste, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (7 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV simulacra vagari ‹un forte odore aderirà alle tue multa modis multis, nulla vi dita...› ... cassaque sensu? e non riconoscere piuttosto che Sed ne forte putes ea demum molti simulacri di cose vagano sola vagari, in molti modi, non dotati di forza quae cumque ab rebus rerum propria e privi di sensibilità? simulacra recedunt, Ma, affinché tu non creda, per sunt etiam quae sponte sua caso, che vadano vagando solo gignuntur et ipsa quei simulacri che si distaccano constituuntur in hoc caelo, qui dalle cose, e non altri, dicitur aer, esistono anche quelli che si quae multis formata modis generano spontaneamente sublime feruntur, e si formano da soli in questa ut nubes facile inter dum regione del cielo concrescere in alto che si chiama aria, e foggiati in cernimus et mundi speciem violare molti modi volano in alto, serenam come talora vediamo le nuvole aëra mulcentes motu; nam saepe facilmente formarsi nell'alto Gigantum del cielo e oscurare il sereno ora volare videntur et umbram aspetto del firmamento, ducere late, accarezzando l'aria col moto: ché inter dum magni montes spesso si vedono volare avolsaque saxa volti di Giganti e spander l'ombra montibus ante ire et solem per ampio spazio, succedere praeter, talora grandi monti e macigni inde alios trahere atque inducere divelti belua nimbos. dai monti avanzare e passar nec speciem mutare suam davanti al sole, liquentia cessant poi una belva tirarsi dietro altri et cuiusque modi formarum nembi e guidarli. vertere in oras. E fondendosi non cessano di Nunc ea quam facili et celeri mutare il proprio aspetto ratione genantur e assumere contorni di forme perpetuoque fluant ab rebus d'ogni specie. lapsaque cedant Ora, in che facile e celere modo si *** generino quei simulacri, semper enim summum quicquid e di continuo fluiscano dalle cose e http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (8 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV de rebus abundat, quod iaculentur. et hoc alias cum pervenit in res, transit, ut in primis vestem; sed ubi aspera saxa aut in materiam ligni pervenit, ibi iam scinditur, ut nullum simulacrum reddere possit. at cum splendida quae constant opposta fuerunt densaque, ut in primis speculum est, nihil accidit horum; nam neque, uti vestem, possunt transire, neque autem scindi; quam meminit levor praestare salutem. qua propter fit ut hinc nobis simulacra redundent. et quamvis subito quovis in tempore quamque rem contra speculum ponas, apparet imago; perpetuo fluere ut noscas e corpore summo texturas rerum tenuis tenuisque figuras. ergo multa brevi spatio simulacra genuntur, ut merito celer his rebus dicatur origo. et quasi multa brevi spatio summittere debet lumina sol, ut perpetuo sint omnia plena, sic ab rebus item simili ratione staccatisi s'allontanino, ‹io esporrò...› ... sempre infatti ciò che è all'estrema superficie trabocca dalle cose, sì che esse possono emetterlo. E quando ciò raggiunge altre cose, le attraversa, come fa soprattutto con la stoffa. Ma, quando ha raggiunto aspre rocce o legname, lì sùbito si lacera, sì che non può rimandare alcun simulacro. Ma, quando fanno ostacolo oggetti risplendenti e densi, qual è soprattutto lo specchio, niente di simile accade. Infatti non può attraversarli, come la stoffa, né d'altra parte può lacerarsi: a conservarlo così illeso provvede la levigatezza. Perciò avviene che di lì tornino a noi riflessi i simulacri. E per quanto subitamente, in qualsiasi momento, tu ponga una cosa qualunque contro uno specchio, appare l'immagine; sì che puoi conoscere che sempre fluiscono dalla superficie dei corpi tessuti tenui e tenui figure delle cose. Dunque, molti simulacri in breve tempo si generano, sì che a ragione può dirsi che per tali cose sia celere il nascere. E come il sole deve spandere in breve tempo molti http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (9 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV necessest temporis in puncto rerum simulacra ferantur multa modis multis in cunctas undique partis; quandoquidem speculum quo cumque obvertimus oris, res ibi respondent simili forma atque colore. Praeterea modo cum fuerit liquidissima caeli tempestas, perquam subito fit turbida foede, undique uti tenebras omnis Acherunta rearis liquisse et magnas caeli complesse cavernas. usque adeo taetra nimborum nocte coorta inpendent atrae Formidinis ora superne; quorum quantula pars sit imago dicere nemost qui possit neque eam rationem reddere dictis. Nunc age, quam celeri motu simulacra ferantur, et quae mobilitas ollis tranantibus auras reddita sit, longo spatio ut brevis hora teratur, in quem quaeque locum diverso numine tendunt, suavidicis potius quam multis versibus edam; parvus ut est cycni melior canor, ille gruum quam raggi perché continuamente tutto ne sia pieno, così dalle cose, parimenti e per simile ragione, devono in un istante effondersi molti simulacri di cose, in molti modi, da ogni parte, in tutte le direzioni; giacché, ovunque volgiamo alle superfici delle cose lo specchio, le cose vi si riflettono con simile forma e colore. Inoltre, il cielo, anche se fu or ora in uno stato di estrema limpidezza, con la massima celerità diventa orridamente torbido, sì che potresti credere che da ogni parte le tenebre abbiano tutte lasciato l'Acheronte e abbiano riempito le grandi caverne del cielo: a tal punto, sorta la tetra notte dei nembi, incombono dall'alto volti di cupa paura; e tuttavia, di questi quanto piccola parte sia l'immagine, non c'è alcuno che possa dirlo, né a parole renderne conto. E ora, con che celere moto procedano i simulacri e quale mobilità nell'attraversare a nuoto l'aria sia ad essi data, sì che in lungo tragitto si consuma breve tempo, quale che sia il luogo a cui http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (10 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV clamor in aetheriis dispersus nubibus austri. Principio persaepe levis res atque minutis corporibus factas celeris licet esse videre. in quo iam genere est solis lux et vapor eius, propterea quia sunt e primis facta minutis, quae quasi cuduntur perque aëris intervallum non dubitant transire sequenti concita plaga; suppeditatur enim confestim lumine lumen et quasi protelo stimulatur fulgere fulgur. qua propter simulacra pari ratione necessest inmemorabile per spatium transcurrere posse temporis in puncto, primum quod parvola causa est procul a tergo quae provehat atque propellat, quod super est, ubi tam volucri levitate ferantur, deinde quod usque adeo textura praedita rara mittuntur, facile ut quasvis penetrare queant res et quasi permanare per aëris intervallum. Praeterea si quae penitus corpuscula rerum ciascuno con diverso impulso tende, esporrò in versi soavi piuttosto che numerosi; così il breve canto del cigno è migliore di quel clamore delle gru disperso tra le eteree nubi dell'Austro. Anzitutto, molto spesso si può vedere che le cose leggere e fatte di corpi minuti sono celeri. Di tale specie sono, certo, la luce del sole e il suo calore perché sono fatti di elementi minuti, che vengono quasi battuti e non esitano ad attraversare l'aria interposta, incalzati dal colpo susseguente. Sùbito infatti luce succede a luce e, come in serie ininterrotta, splendore è stimolato da splendore. Perciò bisogna che i simulacri parimenti possano trascorrere in un istante attraverso uno spazio inimmaginabile, anzitutto perché c'è una piccola causa lontano, da tergo, che li sospinge e li caccia innanzi, quando, del resto, essi procedono con tanto alata levità; poi perché vengono emessi dotati di un tessuto così rado che posson penetrare facilmente http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (11 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV ex altoque foras mittuntur, solis uti lux ac vapor, haec puncto cernuntur lapsa diei per totum caeli spatium diffundere sese perque volare mare ac terras caelumque rigare. quid quae sunt igitur iam prima fronte parata, cum iaciuntur et emissum res nulla moratur? quone vides citius debere et longius ire multiplexque loci spatium transcurrere eodem tempore quo solis pervolgant lumina caelum? Hoc etiam in primis specimen verum esse videtur, quam celeri motu rerum simulacra ferantur, quod simul ac primum sub diu splendor aquai ponitur, extemplo caelo stellante serena sidera respondent in aqua radiantia mundi. iamne vides igitur quam puncto tempore imago aetheris ex oris in terrarum accidat oras? quare etiam atque etiam mitti fateare necessest corpora quae feriant oculos visumque lacessant. perpetuoque fluunt certis ab rebus in cose di qualunque tipo e, per così dire, infiltrarsi attraverso l'aria interposta. Inoltre, se quelle particelle che son mandate fuori dalle intime profondità delle cose, come la luce e il calore del sole, in un momento si vedono staccarsi e diffondersi per tutto lo spazio del cielo e volare su per il mare e le terre e inondare il cielo, che avverrà allora di quelle che son già pronte in prima linea, quando vengono lanciate via e nulla ne ritarda il dipartirsi? Non vedi quanto più presto e più lontano debbono andare, e correre attraverso una distesa di spazio molto più grande, nel tempo stesso in cui i raggi del sole si spandono per il cielo? Anche questa sembra essere una prova sopra tutte vera del celere moto con cui procedono i simulacri delle cose: appena si pone sotto il cielo sereno un'acqua limpida, sùbito, se il cielo è stellato, puri rispondono nell'acqua i raggianti astri del firmamento. Non vedi, dunque, ormai come in un istante l'immagine cada dalle plaghe dell'etere nelle plaghe terrene? Perciò, ancora e ancora, devi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (12 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV odores, frigus ut a fluviis, calor ab sole, aestus ab undis aequoris, exesor moerorum litora circum, nec variae cessant voces volitare per auras. denique in os salsi venit umor saepe saporis, cum mare versamur propter, dilutaque contra cum tuimur misceri absinthia, tangit amaror. usque adeo omnibus ab rebus res quaeque fluenter fertur et in cunctas dimittitur undique partis nec mora nec requies interdatur ulla fluendi, perpetuo quoniam sentimus et omnia semper cernere odorari licet et sentire sonare. Praeterea quoniam manibus tractata figura in tenebris quaedam cognoscitur esse eadem quae cernitur in luce et claro candore, necessest consimili causa tactum visumque moveri. nunc igitur si quadratum temptamus et id nos commovet in tenebris, in luci quae poterit res accidere ad speciem quadrata, nisi riconoscere che con mirabile ‹rapidità sono emessi dalle cose› corpi che feriscono gli occhi e provocano il vedere. E continuamente fluiscono da certe cose gli odori; come il fresco dai fiumi, il calore dal sole, dalle onde del mare l'esalazione che corrode i muri intorno alle spiagge. Né cessano varie voci di volteggiare per l'aria. Ancora, spesso entra nella bocca un'umidità di sapore salmastro quando camminiamo lungo il mare; e d'altra parte, quando guardiamo mescolare un infuso d'assenzio, ci punge l'amaro. A tal punto è vero che da tutte le cose emanazioni d'ogni tipo fluendo si staccano e da ogni parte si diffondono in tutte le direzioni, né sosta né requie è mai dato frapporre al fluire, giacché di continuo i nostri sensi ne sono impressionati, e sempre possiamo vedere ogni cosa, percepirne odori e suoni. Inoltre, giacché una forma palpata con le mani nelle tenebre si riconosce in certo modo uguale a quella che si discerne alla luce e nel luminoso fulgore, da una simile causa devono essere mossi il tatto e la vista. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (13 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV eius imago? esse in imaginibus qua propter causa videtur cernundi neque posse sine his res ulla videri. Nunc ea quae dico rerum simulacra feruntur undique et in cunctas iaciuntur didita partis; verum nos oculis quia solis cernere quimus, propterea fit uti, speciem quo vertimus, omnes res ibi eam contra feriant forma atque colore. et quantum quaeque ab nobis res absit, imago efficit ut videamus et internoscere curat; nam cum mittitur, extemplo protrudit agitque aëra qui inter se cumque est oculosque locatus, isque ita per nostras acies perlabitur omnis et quasi perterget pupillas atque ita transit. propterea fit uti videamus quam procul absit res quaeque. et quanto plus aëris ante agitatur et nostros oculos perterget longior aura, tam procul esse magis res quaeque remota videtur. scilicet haec summe celeri ratione geruntur, Ora, dunque, se tastiamo un oggetto quadrato e di questo riceviamo l'impressione nelle tenebre, nella luce che cosa potrà offrirsi quadrata allo sguardo, se non la sua immagine? È quindi evidente che la causa del vedere sta nelle immagini e che senza di queste non può essere veduta cosa alcuna. Ora, quei simulacri di cui parlo, procedono da ogni parte e si lanciano e diffondono in ogni direzione. Ma, poiché noi possiamo vedere soltanto con gli occhi, perciò accade che, ove volgiamo lo sguardo, ivi tutte le cose gli si fanno incontro e lo colpiscono con la forma e il colore. E quanto ogni cosa sia da noi distante, è l'immagine che ce lo fa vedere e procura che lo determiniamo. Infatti, quando viene emessa, sùbito caccia innanzi e spinge l'aria, quale che sia, che si trova interposta fra essa e gli occhi, e così questa scorre tutta nel nostro sguardo e quasi asterge le pupille, e così passa. Perciò accade che vediamo quanto ogni cosa sia lontana. E quanta più aria è agitata innanzi a noi e quanto più lungo è il soffio che http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (14 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV quale sit ut videamus, et una quam procul absit. Illud in his rebus minime mirabile habendumst, cur, ea quae feriant oculos simulacra videri singula cum nequeant, res ipsae perspiciantur. ventus enim quoque paulatim cum verberat et cum acre fluit frigus, non privam quamque solemus particulam venti sentire et frigoris eius, sed magis unorsum, fierique perinde videmus corpore tum plagas in nostro tam quam aliquae res verberet atque sui det sensum corporis extra. praeterea lapidem digito cum tundimus, ipsum tangimus extremum saxi summumque colorem nec sentimus eum tactu, verum magis ipsam duritiem penitus saxi sentimus in alto. Nunc age, cur ultra speculum videatur imago percipe: nam certe penitus remmota videtur. quod genus illa foris quae vere transpiciuntur, ianua cum per se transpectum praebet apertum, asterge i nostri occhi, tanto più ogni cosa si vede remota nella lontananza. Queste cose si svolgono, ben inteso, con celerità somma, sì che vediamo insieme quale sia ogni cosa e quanto disti. In tale riguardo non dobbiamo affatto meravigliarci perché i simulacri che colpiscono gli occhi non possano essere veduti a uno a uno e invece le cose stesse sono scorte. Giacché, anche quando il vento ci sferza a poco a poco e quando il freddo aspro s'insinua, non soliamo sentire ogni singola particella di quel vento e di quel freddo, bensì l'insieme, e vediamo allora che il nostro corpo subisce colpi proprio come se qualche cosa ci sferzasse e ci desse la sensazione del suo corpo dall'esterno. Inoltre, quando picchiamo una pietra con un dito, tocchiamo solo la superficie del sasso e il colore esteriore, eppure non sentiamo questo col tatto, bensì sentiamo la durezza stessa del sasso nell'intima profondità. Ora, suvvia, apprendi perché l'immagine si veda http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (15 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV multa facitque foris ex aedibus ut al di là dello specchio: giacché videantur; certo appare discosta nel fondo. is quoque enim duplici geminoque Così è delle cose che son vedute fit aëre visus. realmente fuori, attraverso primus enim citra postes tum una porta, quand'essa offre cernitur aër, attraverso a sé una vista aperta, inde fores ipsae dextra laevaque e molte cose fa sì che dalla casa secuntur, siano vedute fuori. post extraria lux oculos perterget Giacché anche questa visione si et aër produce per una duplice aria. alter, et illa foris quae vere Prima infatti si scorge in tal caso transpiciuntur. l'aria al di qua degli stipiti, sic ubi se primum speculi proiecit seguono poi gli stessi battenti a imago, destra e a sinistra, dum venit ad nostras acies, successivamente asterge gli occhi protrudit agitque la luce di fuori, aëra qui inter se cumquest poi l'altra aria e quelle cose che oculosque locatus, sono vedute realmente fuori. et facit, ut prius hunc omnem Così, appena l'immagine dello sentire queamus specchio si è lanciata avanti, quam speculum; sed ubi [in] mentre viene alle nostre pupille, speculum quoque sensimus ipsum, caccia innanzi e spinge continuo a nobis in eum quae l'aria, quale che sia, che si trova fertur imago interposta fra essa e gli occhi, pervenit, et nostros oculos reiecta e fa sì che possiamo sentire tutta revisit questa prima che lo specchio. atque alium prae se propellens Ma, quando abbiamo percepito aëra volvit, anche lo specchio stesso, et facit ut prius hunc quam se sùbito l'immagine che da noi videamus, eoque procede perviene distare ab speculo tantum semota a questo, e riflessa ritorna verso i videtur. nostri occhi, quare etiam atque etiam minime e sospinge e fa scorrere innanzi a mirarier est par sé altra aria, *** e fa sì che vediamo questa prima illis quae reddunt speculorum ex di lei stessa, aequore visum, e per ciò sembra distare dallo http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (16 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV aëribus binis quoniam res confit utraque. Nunc ea quae nobis membrorum dextera pars est, in speculis fit ut in laeva videatur eo quod planitiem ad speculi veniens cum offendit imago, non convertitur incolumis, sed recta retrorsum sic eliditur, ut siquis, prius arida quam sit cretea persona, adlidat pilaeve trabive, atque ea continuo rectam si fronte figuram servet et elisam retro sese exprimat ipsa. fiet ut, ante oculus fuerit qui dexter, ut idem nunc sit laevus et e laevo sit mutua dexter. Fit quoque de speculo in speculum ut tradatur imago, quinque etiam [aut] sex ut fieri simulacra suërint. nam quae cumque retro parte interiore latebunt, inde tamen, quamvis torte penitusque remota, omnia per flexos aditus educta licebit pluribus haec speculis videantur in aedibus esse. usque adeo speculo in speculum translucet imago, specchio tanto discosta. Quindi, ancora e ancora, non è giusto che ci si meravigli ‹che il medesimo fenomeno dell'apparire al di là, avvenga sia per le cose che si vedono attraverso la porta, sia› per quelle che rimandano dal piano degli specchi la visione, giacché da duplice aria è prodotta la cosa in ambo i casi. Ora, quella che per noi è la parte destra delle membra, negli specchi accade che appaia a sinistra, perché l'immagine, quando arriva e urta contro il piano dello specchio, non si volta girando su sé stessa e restando inalterata, ma è rovesciata dritta, come se uno sbatta una maschera di creta, prima che sia asciutta, contro un pilastro o una trave, ed essa conservi immediatamente dritta di fronte la propria figura e riproduca sé stessa rovesciata indietro. Accadrà che quell'occhio che prima era destro, ora sia sinistro, e reciprocamente il sinistro diventi destro. Anche accade che da specchio a specchio si trasmetta l'immagine, sì che sogliono prodursi anche cinque ‹o› sei simulacri. Infatti quanti oggetti saranno http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (17 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV et cum laeva data est, fit rusum ut nascosti là dietro, in una parte più dextera fiat, interna, inde retro rursum redit et di lì, benché remoti in fondo ad un convertit eodem. tortuoso andirivieni, Quin etiam quae cumque sarà possibile tirarli fuori tutti per latuscula sunt speculorum serpeggianti passaggi adsimili lateris flexura praedita mediante più specchi e vedere che nostri, sono dentro la casa. dextera ea propter nobis simulacra Tanto è vero che di specchio in remittunt, specchio si riflette l'immagine aut quia de speculo in speculum e, quando è stata porta la sinistra, transfertur imago, accade poi che si muti in destra, inde ad nos elisa bis advolat, aut quindi ritorna di nuovo indietro e etiam quod riprende la stessa posizione. circum agitur, cum venit, imago Anzi, tutti gli specchi che hanno propterea quod facce laterali flexa figura docet speculi dotate di una curvatura simile a convertier ad nos. quella dei nostri fianchi, Indugredi porro pariter per questo ci rimandano i simulacra pedemque simulacri senza rivoltarli, ponere nobiscum credas o perché l'immagine è trasmessa gestumque imitari da una parte all'altra dello propterea quia, de speculi qua specchio parte recedas, e di lì vola verso di noi rovesciata continuo nequeunt illinc simulacra due volte, o anche perché reverti; l'immagine, quando è arrivata, fa omnia quandoquidem cogit natura un giro su sé stessa per questa referri cagione, che la curva forma dello ac resilire ab rebus ad aequos specchio le insegna di volgersi reddita flexus. in giro verso di noi. Può sembrarti, Splendida porro oculi fugitant per di più, che i simulacri vitantque tueri. camminino di pari passo e posino sol etiam caecat, contra si tendere il piede insieme con noi e imitino pergas, i nostri gesti, perché da quella propterea quia vis magnast ipsius parte dello specchio da cui ti ritiri, et alte sùbito di lì non possono riflettersi i aëra per purum simulacra feruntur simulacri; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (18 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV et feriunt oculos turbantia composituras. Praeterea splendor qui cumque est acer adurit saepe oculos ideo quod semina possidet ignis multa, dolorem oculis quae gignunt insinuando. lurida praeterea fiunt quae cumque tuentur arquati, quia luroris de corpore eorum semina multa fluunt simulacris obvia rerum, multaque sunt oculis in eorum denique mixta, quae contage sua palloribus omnia pingunt. E tenebris autem quae sunt in luce tuemur propterea quia, cum propior caliginis aër ater init oculos prior et possedit apertos, insequitur candens confestim lucidus aër, qui quasi purgat eos ac nigras discutit umbras aëris illius; nam multis partibus hic est mobilior multisque minutior et mage pollens. qui simul atque vias oculorum luce replevit atque pate fecit, quas ante obsederat aër giacché la natura costringe tutte le cose a riflettersi e rimbalzare dalle cose, rimandate indietro con angoli eguali. Gli occhi, poi, rifuggono le cose splendenti e evitano di fissarle. Il sole finanche acceca, se continui a tendere lo sguardo contro di esso, perché grande è la sua forza, e dall'alto attraverso l'aria pura pesantemente i simulacri piombano e feriscono gli occhi perturbandone le compagini. Inoltre ogni splendore che è penetrante, sovente brucia gli occhi perché contiene molti semi di fuoco, che negli occhi producono dolore insinuandosi. Giallastre inoltre diventano tutte le cose che fissano gli itterici, perché dal corpo di questi fluiscono molti semi di color giallastro e vanno a incontrare i simulacri delle cose, e molti sono per di più mescolati nei loro occhi e con il loro contatto dipingono ogni oggetto di pallore. E dall'oscurità vediamo le cose che sono nella luce perché, quando la nera aria della caligine, che è più vicina, è entrata per prima negli occhi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (19 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV , continuo rerum simulacra secuntur, quae sita sunt in luce, lacessuntque ut videamus. quod contra facere in tenebris e luce nequimus propterea quia posterior caliginis aër crassior insequitur, qui cuncta foramina complet obsiditque vias oculorum, ne simulacra possint ullarum rerum coniecta moveri. Quadratasque procul turris cum cernimus urbis, propterea fit uti videantur saepe rutundae, angulus optusus quia longe cernitur omnis sive etiam potius non cernitur ac perit eius plaga nec ad nostras acies perlabitur ictus, aëra per multum quia dum simulacra feruntur, cogit hebescere eum crebris offensibus aër. hoc ubi suffugit sensum simul angulus omnis. fit quasi ut ad turnum saxorum structa tuantur; non tamen ut coram quae sunt vereque rutunda, sed quasi adumbratim paulum simulata videntur. Umbra videtur item nobis in aperti e li ha occupati, la segue sùbito una raggiante aria luminosa che, per così dire, li purga e spazza via le nere ombre dell'altra aria; infatti quest'aria è molte volte più mobile e molte più minuta e più possente. Appena essa ha riempito di luce le vie degli occhi e ha dischiuso quelle che prima aveva invase l'aria ‹nera›, senza indugio seguono i simulacri delle cose che si trovano nella luce e ci stimolano a vedere. Per contro non possiamo far ciò dalla luce nell'oscurità perché l'aria della caligine, che è più spessa, segue seconda ed empie tutti i canali e invade le vie degli occhi, sì che nessun simulacro delle cose può lanciarsi in essi e stimolarli. E quando vediamo da lungi le quadrate torri d'una città, per ciò spesso avviene che sembrino rotonde, perché di lontano ogni angolo si vede ottuso o piuttosto non si vede affatto e se ne perde il colpo, né la percossa perviene alle nostre pupille, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (20 of 73) [07/08/2003 21.41.33] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV sole moveri perché, mentre i simulacri et vestigia nostra sequi viaggiano per molta aria, gestumque imitari, coi frequenti scontri l'aria la aëra si credis privatum lumine costringe ad ottundersi. posse Quando perciò tutti gli angoli sono indugredi, motus hominum insieme sfuggiti al senso, gestumque sequentem; accade che le strutture di pietra nam nihil esse potest aliud nisi appaiano come lavorate al tornio, lumine cassus non tuttavia come quelle che son aër id quod nos umbram perhibere davanti a noi e davvero rotonde, suëmus. ma paiono un po' somiglianti come ni mirum, quia terra locis ex per vago adombramento. ordine certis Similmente l'ombra sembra a noi lumine privatur solis qua cumque che nel sole si muova meantes e che segua i nostri passi ed imiti i officimus, repletur item quod gesti: liquimus eius, se tu credi possibile che aria propterea fit uti videatur, quae fuit privata di luce umbra cammini, seguendo i movimenti e corporis, e regione eadem nos i gesti degli uomini; usque secuta. in effetti non può essere altro che semper enim nova se radiorum aria priva di luce lumina fundunt ciò che noi siamo soliti chiamare primaque dispereunt, quasi in ombra. ignem lana trahatur. Certo perché il suolo vien privato propterea facile et spoliatur della luce del sole lumine terra in certi luoghi successivamente, et repletur item nigrasque sibi dovunque noi movendoci abluit umbras. la intercettiamo, e similmente se Nec tamen hic oculos falli ne riempie quella sua parte concedimus hilum. che abbiamo lasciata, perciò nam quo cumque loco sit lux accade che quella che fu poc'anzi atque umbra tueri l'ombra del nostro corpo, sembri illorum est; eadem vero sint averci sempre seguiti identica, lumina necne, in linea dritta con noi. Sempre umbraque quae fuit hic eadem infatti nuovi raggi luminosi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (21 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV nunc transeat illuc, an potius fiat paulo quod diximus ante, hoc animi demum ratio discernere debet, nec possunt oculi naturam noscere rerum. proinde animi vitium hoc oculis adfingere noli. Qua vehimur navi, fertur, cum stare videtur; quae manet in statione, ea praeter creditur ire. et fugere ad puppim colles campique videntur, quos agimus praeter navem velisque volamus. Sidera cessare aetheriis adfixa cavernis cuncta videntur, et adsiduo sunt omnia motu, quandoquidem longos obitus exorta revisunt, cum permensa suo sunt caelum corpore claro. solque pari ratione manere et luna videtur in statione, ea quae ferri res indicat ipsa. Exstantisque procul medio de gurgite montis classibus inter quos liber patet exitus ingens, insula coniunctis tamen ex his una videtur. atria versari et circum cursare columnae si spandono e i precedenti svaniscono, come se si fili lana entro una fiamma. Perciò facilmente la terra e si spoglia di luce e ugualmente se ne riempie e si deterge le nere ombre. Né tuttavia concediamo che qui gli occhi s'ingannino in nulla. Giacché vedere in quale luogo sia la luce e in quale l'ombra, è loro proprietà; ma se sia o non sia la stessa luce, e se la stessa ombra che fu qui, passi ora là, o piuttosto accada ciò che abbiamo detto poc'anzi, questo deve discernerlo soltanto il ragionare della mente, né possono gli occhi conoscere la natura delle cose. Dunque non attribuire falsamente agli occhi questo errore della mente. La nave da cui siamo trasportati, si muove, mentre sembra star ferma; quella che rimane immobile all'ormeggio, si crede che proceda oltre. E sembra che a poppa fuggano colline e pianure oltre le quali conduciamo la nave e con le vele voliamo. Gli astri sembrano tutti restare immobili, fissi alle eteree cavità, e tuttavia son http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (22 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV usque adeo fit uti pueris tutti in assiduo movimento, videantur, ubi ipsi giacché, dopo esser sorti, rivedono desierunt verti, vix ut iam credere i lontani tramonti, possint quando hanno percorso il cielo col non supra sese ruere omnia tecta loro corpo lucente. minari. E il sole e la luna parimenti Iamque rubrum tremulis iubar sembra che rimangano ignibus erigere alte immobili, essi che il fatto stesso cum coeptat natura supraque mostra in movimento. extollere montes, E monti che s'innalzano lontano in quos tibi tum supra sol montis mezzo alle onde, esse videtur tra i quali si apre libero un vasto comminus ipse suo contingens passaggio alle flotte, fervidus igni, sembrano tuttavia fare, congiunti vix absunt nobis missus bis mille tra loro, un'unica isola. sagittae, Ai fanciulli, quando hanno smesso vix etiam cursus quingentos saepe di fare il girotondo veruti; essi stessi, paiono gli atri girare e inter eos solemque iacent immania rigirare, e le colonne ponti correre intorno, a tal punto che a aequora substrata aetheriis stento allora essi possono ingentibus oris, credere che non minacci la casa interiectaque sunt terrarum milia tutta di crollare sopra di loro. multa, E ancora, quando la natura quae variae retinent gentes et comincia a levare in alto il rosso saecla ferarum. fulgore At coniectus aquae digitum non del sole coi suoi tremuli fuochi e a altior unum, innalzarlo sopra i monti, qui lapides inter sistit per strata quei monti, sopra i quali a te viarum, allora sembra stia il sole, despectum praebet sub terras toccandoli esso stesso da vicino, inpete tanto, ardente, col suo fuoco, a terris quantum caeli patet altus distano da noi appena duemila tiri hiatus, di freccia, nubila despicere et caelum ut anzi spesso appena cinquecento videare videre, lanci di giavellotto: http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (23 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV corpora mirande sub terras abdita caelo. Denique ubi in medio nobis ecus acer obhaesit flumine et in rapidas amnis despeximus undas, stantis equi corpus transversum ferre videtur vis et in adversum flumen contrudere raptim, et quo cumque oculos traiecimus omnia ferri et fluere adsimili nobis ratione videntur. Porticus aequali quamvis est denique ductu stansque in perpetuum paribus suffulta columnis, longa tamen parte ab summa cum tota videtur, paulatim trahit angusti fastigia coni, tecta solo iungens atque omnia dextera laevis donec in obscurum coni conduxit acumen. In pelago nautis ex undis ortus in undis sol fit uti videatur obire et condere lumen; quippe ubi nil aliud nisi aquam caelumque tuentur; ne leviter credas labefactari undique sensus. at maris ignaris in portu clauda videntur navigia aplustris fractis obnitier tra essi e il sole giacciono le smisurate distese del mare, che si estendono sotto le immense plaghe eteree, e sono interposte molte migliaia di terre, in cui dimorano varie genti e razze di fiere. Ma una pozzanghera d'acqua non più profonda d'un dito, che tra le pietre stagna per le vie lastricate, offre una vista che tanto a fondo sotterra s'inabissa quanto la profonda voragine del cielo si stende su dalla terra; sì che ti pare di vedere laggiù le nuvole e scorgere il cielo, corpi mirabilmente immersi sotterra nel cielo. Ancora, quando l'ardente cavallo ci si è impuntato in mezzo a un fiume e guardiamo laggiù, nelle rapide onde della corrente, sembra che una forza trascini di traverso il corpo del cavallo immoto e rapidamente lo sospinga contro corrente e, ovunque volgiamo gli occhi, ogni cosa sembra essere trascinata e fluire come noi. Un portico, ancora, benché sia di tracciato uniforme e stia da un capo all'altro sorretto su colonne uguali, tuttavia, se vien guardato da http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (24 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV undis. nam quae cumque supra rorem salis edita pars est remorum, recta est, et recta superne guberna; quae demersa liquore obeunt, refracta videntur omnia converti sursumque supina reverti et reflexa prope in summo fluitare liquore. Raraque per caelum cum venti nubila portant tempore nocturno, tum splendida signa videntur labier adversum nimbos atque ire superne longe aliam in partem ac vera ratione feruntur At si forte oculo manus uni subdita supter pressit eum, quodam sensu fit uti videantur omnia quae tuimur fieri tum bina tuendo, bina lucernarum florentia lumina flammis binaque per totas aedis geminare supellex et duplicis hominum facies et corpora bina. Denique cum suavi devinxit membra sopore somnus et in summa corpus iacet omne quiete, tum vigilare tamen nobis et un'estremità per tutta la lunghezza, a poco a poco si contrae nel vertice di un cono angusto, congiungendo il tetto al suolo e tutto il lato destro al sinistro, finché li unisce nell'oscura punta di un cono. In mare accade che ai naviganti il sole sembri sorgere dalle onde e nelle onde scomparire e nascondere la luce; ed è naturale, giacché nient'altro che acqua e cielo vedono; perché tu non creda alla leggera che i sensi cadano in fallo da ogni lato. E a coloro che non conoscono il mare, nel porto i navigli sembrano storpiati, con gli aplustri infranti, resistere agli urti delle onde. Giacché tutta la parte dei remi che sovrasta ai salsi flutti è diritta, e diritti sono di sopra i timoni. Le parti, invece, che immerse s'affondano nell'acqua, sembrano, infrante, tutte rivolgersi e, rovesciate all'indietro, ritornare in su e ritorte quasi fluttuare alla superficie dell'acqua. E quando per il cielo i venti trasportano rade nuvole nottetempo, allora gli spendidi astri sembrano http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (25 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV membra movere nostra videmur, et in noctis caligine caeca cernere censemus solem lumenque diurnum, conclusoque loco caelum mare flumina montis mutare et campos pedibus transire videmur, et sonitus audire, severa silentia noctis undique cum constent, et reddere dicta tacentes. Cetera de genere hoc mirande multa videmus, quae violare fidem quasi sensibus omnia quaerunt, ne quiquam, quoniam pars horum maxima fallit propter opinatus animi, quos addimus ipsi, pro visis ut sint quae non sunt sensibus visa; nam nihil aegrius est quam res secernere apertas ab dubiis, animus quas ab se protinus addit. Denique nil sciri siquis putat, id quoque nescit an sciri possit, quoniam nil scire fatetur. hunc igitur contra minuam contendere causam, qui capite ipse suo in statuit vestigia sese. et tamen hoc quoque uti concedam scire, at id ipsum scorrere contro i nembi e andare nell'alto in una direzione di gran lunga diversa da quella in cui procedono veramente. E se per caso una mano, posta sotto un occhio, di sotto lo preme, per una certa sensazione accade che tutte le cose che guardiamo sembrino farsi allora doppie al guardarle, doppie le luci delle lucerne che fioriscono di fiamme e doppia per tutta la casa farsi la suppellettile e duplici le facce degli uomini e doppi i corpi. Ancora, quando il sonno ha avvinto le membra con soave sopore, e il corpo giace tutto in somma quiete, allora ci sembra tuttavia di vegliare e di muovere le membra, e nella cieca caligine della notte crediamo di vedere il sole e la luce del giorno, e nella chiusa camera ci sembra di mutare cielo, mare, fiumi, monti, e attraversare a piedi pianure, e udire suoni mentre i severi silenzi della notte perdurano ovunque, e scambiare parole, mentre taciamo. Altre cose di questa specie, mirabilmente numerose, vediamo, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (26 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV quaeram, cum in rebus veri nil viderit ante, unde sciat quid sit scire et nescire vicissim, notitiam veri quae res falsique crearit et dubium certo quae res differre probarit. invenies primis ab sensibus esse creatam notitiem veri neque sensus posse refelli. nam maiore fide debet reperirier illud, sponte sua veris quod possit vincere falsa. quid maiore fide porro quam sensus haberi debet? an ab sensu falso ratio orta valebit dicere eos contra, quae tota ab sensibus orta est? qui nisi sunt veri, ratio quoque falsa fit omnis. An poterunt oculos aures reprehendere, an aures tactus? an hunc porro tactum sapor arguet oris, an confutabunt nares oculive revincent? non, ut opinor, ita est. nam seorsum cuique potestas divisast, sua vis cuiquest, ideoque necesse est et quod molle sit et gelidum fervensve videre e tutte tendono quasi a fare scempio della fede nei sensi; invano: perché la maggior parte di esse inganna per le opinioni della mente che aggiungiamo noi stessi, sì che cose non vedute dai sensi contano come vedute. Infatti nulla è più malagevole che distinguere le cose manifeste dalle cose incerte, che l'animo da sé senz'altro aggiunge. Infine, se taluno crede che non si sappia nulla, anche questo non sa se si possa sapere, giacché ammette di non sapere nulla. Contro di lui dunque tralascerò di discutere, perché da sé stesso si mette col capo al posto dei propri piedi. E tuttavia voglio pure concedergli che sappia anche ciò; ma gli domanderò soltanto: se nel mondo egli non ha prima veduto mai nulla di vero, donde sa cosa sia sapere e, viceversa, non sapere? Quale cosa ha prodotto il concetto di vero e di falso, e quale cosa ha provato che l'incerto differisce dal certo? Troverai che il concetto di vero è stato prodotto primamente dai sensi e che i sensi non possono essere contraddetti. Giacché maggiore credibilità http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (27 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV et seorsum varios rerum sentire dev'essere riconosciuta colores a ciò che di per sé col vero possa et quae cumque coloribus sint confutare il falso. coniuncta necessest. Ma che cosa si deve giudicare seorsus item sapor oris habet vim, maggiormente credibile seorsus odores che il senso? Forse, nata da un nascuntur, seorsum sonitus. senso fallace, la ragione ideoque necesse est varrà ad oppugnare i sensi, essa non possint alios alii convincere che tutta da loro è nata? sensus. Se quelli non son veritieri, anche nec porro poterunt ipsi la ragione diventa tutta falsa. reprehendere sese, O potranno le orecchie correggere aequa fides quoniam debebit gli occhi, o il tatto semper haberi. le orecchie? O, d'altronde, questo proinde quod in quoquest his tatto sarà convinto d'errore visum tempore, verumst. dal gusto della bocca, o lo Et si non poterit ratio dissolvere confuteranno le nari, o gli occhi causam, lo smentiranno? Non è così, io cur ea quae fuerint iuxtim penso. Giacché ogni senso quadrata, procul sint ha un potere specialmente visa rutunda, tamen praestat distinto, ciascuno ha una facoltà rationis egentem propria, e perciò è necessario reddere mendose causas utriusque percepire con un senso speciale figurae, ciò che è molle e gelido o infocato, quam manibus manifesta suis e con un senso speciale emittere quoquam i vari colori delle cose, e vedere et violare fidem primam et quanto ai colori è congiunto. convellere tota Una speciale facoltà ha pure il fundamenta quibus nixatur vita gusto della bocca, per una via salusque. speciale sorgono gli odori, per non modo enim ratio ruat omnis, un'altra speciale i suoni. Si deve vita quoque ipsa perciò concludere che i sensi non concidat extemplo, nisi credere possono confutarsi a vicenda. sensibus ausis E neanche potranno correggersi da praecipitisque locos vitare et sé, cetera quae sint poiché uguale fiducia si dovrà in genere hoc fugienda, sequi sempre ad essi accordare. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (28 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV contraria quae sint. illa tibi est igitur verborum copia cassa omnis, quae contra sensus instructa paratast. Denique ut in fabrica, si pravast regula prima, normaque si fallax rectis regionibus exit, et libella aliqua si ex parti claudicat hilum, omnia mendose fieri atque obstipa necessu est prava cubantia prona supina atque absona tecta, iam ruere ut quaedam videantur velle, ruantque prodita iudiciis fallacibus omnia primis, sic igitur ratio tibi rerum prava necessest falsaque sit, falsis quae cumque ab sensibus ortast. Nunc alii sensus quo pacto quisque suam rem sentiat, haud quaquam ratio scruposa relicta est. Principio auditur sonus et vox omnis, in auris insinuata suo pepulere ubi corpore sensum. corpoream quoque enim [vocem] constare fatendumst et sonitum, quoniam possunt inpellere sensus. Praeterea radit vox fauces Quindi ciò che in ogni momento è a questi apparso, è vero. E se non potrà la ragione discernere la causa per la quale le cose che da presso erano quadrate, da lontano sembrano rotonde, tuttavia è preferibile per difetto di ragionamento spiegare erroneamente le cause dell'una e dell'altra figura, anziché lasciarsi sfuggir via dalle mani cose manifeste e far violenza alla fede prima e sconvolgere gl'interi fondamenti su cui poggiano la vita e la salvezza. Non solo, infatti, la ragione rovinerebbe tutta: anche la stessa vita crollerebbe all'istante, se tu non osassi fidarti dei sensi ed evitare i precipizi e tutte le altre cose di questa specie che si devon fuggire, e seguire le cose che sono contrarie. Concludi dunque che è un vano mucchio di parole tutto quello che contro i sensi è stato messo insieme e approntato. Ancora: come in una costruzione, se il regolo al principio è storto, e se la squadra è fallace ed esce dalle linee dritte, e la livella da qualche parte zoppica un pochino, inevitabilmente tutto l'edificio riesce difettoso e piegato, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (29 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV saepe facitque storto, cascante, inclinato in asperiora foras gradiens arteria avanti, inclinato all'indietro clamor, e disarmonico, sì che alcune parti quippe per angustum turba maiore sembra vogliano coorta già precipitare, e tutto precipita, ire foras ubi coeperunt primordia tradito dalle prime misure vocum. fallaci, così, dunque, il ragionare scilicet expletis quoque ianua sulle cose deve riuscirti raditur oris. storto e falso, qualora da falsi haud igitur dubiumst quin voces sensi sia nato. verbaque constent Ora resta da spiegare in che modo corporeis e principiis, ut laedere gli altri sensi percepiscano possint. ciascuno il proprio oggetto, nec te fallit item quid corporis spiegazione per nulla difficile. auferat et quid Anzitutto, suoni e voci d'ogni detrahat ex hominum nervis ac specie si odono quando, viribus ipsis insinuandosi nelle orecchie, hanno perpetuus sermo nigrai noctis ad colpito il senso col loro corpo. umbram Bisogna infatti riconoscere che aurorae perductus ab exoriente anche la voce e il suono nitore, hanno natura ‹corporea›, giacché praesertim si cum summost possono urtare i sensi. clamore profusus. D'altronde, la voce raschia spesso ergo corpoream vocem constare la gola necessest, e il grido prorompendo inasprisce multa loquens quoniam amittit de la trachea. corpore partem. Giacché, quando gli elementi delle Asperitas autem vocis fit ab voci, lanciati in folla soverchia asperitate per l'angusto passaggio, hanno principiorum et item levor levore cominciato a uscire, naturalmente, creatur; riempita la gola, vien raschiata nec simili penetrant auris anche l'entrata della bocca. primordia forma, Non è dubbio, dunque, che le voci cum tuba depresso graviter sub e le parole constano murmure mugit di elementi corporei, sì che et reboat raucum retro cita barbita possono produrre lesioni. bombum, E parimenti non ti sfugge quanta http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (30 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV et [iam] Dauliades natae hortis ex Heliconis cum liquidam tollunt lugubri voce querellam. Hasce igitur penitus voces cum corpore nostro exprimimus rectoque foras emittimus ore, mobilis articulat nervorum daedala lingua, formaturaque labrorum pro parte figurat. hoc ubi non longum spatiumst unde illa profecta perveniat vox quaeque, necessest verba quoque ipsa plane exaudiri discernique articulatim; servat enim formaturam servatque figuram. at si inter positum spatium sit longius aequo, aëra per multum confundi verba necessest et conturbari vocem, dum transvolat auras. ergo fit, sonitum ut possis sentire neque illam internoscere, verborum sententia quae sit; usque adeo confusa venit vox inque pedita. Praeterea verbum saepe unum perciet auris omnibus in populo missum praeconis ab ore. parte di corpo porti via e quanta parte tolga ai nervi e alle forze stesse degli uomini un discorso continuo, fino all'ombra della nera notte protratto dal sorgente splendore dell'aurora, soprattutto se viene emesso con altissimo gridare. Dunque la voce deve constare di elementi corporei, giacché chi molto parla perde parte del corpo. E l'asprezza della voce è prodotta dall'asprezza dei primi elementi, e così la levigatezza viene dalla levigatezza. Né primi elementi di forma simile penetrano le orecchie, quando una tromba con basso murmure gravemente mugge e col riecheggiare del suono produce barbara un rauco rimbombo, e quando † ...... † dell'Elicona levano con lugubre voce un limpido lamento. Queste voci, dunque, quando dal profondo del nostro corpo le tiriamo e direttamente per la bocca le mandiamo fuori, le articola la mobile lingua, artefice di parole, e le foggia per parte sua la conformazione delle labbra. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (31 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV in multas igitur voces vox una repente diffugit, in privas quoniam se dividit auris obsignans formam verbis clarumque sonorem. at quae pars vocum non auris incidit ipsas, praeter lata perit frustra diffusa per auras. pars solidis adlisa locis reiecta sonorem reddit et inter dum frustratur imagine verbi. Quae bene cum videas, rationem reddere possis tute tibi atque aliis, quo pacto per loca sola saxa paris formas verborum ex ordine reddant. palantis comites com montis inter opacos quaerimus et magna dispersos voce ciemus. sex etiam aut septem loca vidi reddere vocis, unam cum iaceres: ita colles collibus ipsi verba repulsantes iterabant dicta referri. haec loca capripedes Satyros Nymphasque tenere finitimi fingunt et Faunos esse locuntur, quorum noctivago strepitu ludoque iocanti adfirmant volgo taciturna silentia Per questo, se non è lunga la distanza da cui ognuna di quelle voci parte e arriva a noi, anche le stesse parole si devono chiaramente udire e distinguere secondo le articolazioni: ogni voce infatti conserva la disposizione e conserva la forma. Ma, se lo spazio frapposto è troppo ampio, di necessità le parole, attraversando molta aria, si confondono e la voce si perturba nel volare attraverso i venti. Così accade che tu possa sentire il suono, senza tuttavia distinguere quale sia il senso di quelle parole: a tal punto la voce arriva confusa e intralciata. Inoltre, un'unica parola, emessa dalla bocca di un banditore, spesso in un'assemblea percuote le orecchie di tutti i presenti. In molte voci, dunque, un'unica voce d'un tratto si spande, se è vero che arriva separata a tutte le singole orecchie, imprimendo alle parole il suggello della forma e del chiaro suono. Ma quella parte di voci che non cade nelle orecchie stesse, passando oltre si perde, diffusa invano per l'aria. Un'altra parte, urtando contro luoghi occupati da cose compatte, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (32 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV rumpi chordarumque sonos fieri dulcisque querellas, tibia quas fundit digitis pulsata canentum, et genus agricolum late sentiscere, quom Pan pinea semiferi capitis velamina quassans unco saepe labro calamos percurrit hiantis, fistula silvestrem ne cesset fundere musam. cetera de genere hoc monstra ac portenta loquontur, ne loca deserta ab divis quoque forte putentur sola tenere. ideo iactant miracula dictis aut aliqua ratione alia ducuntur, ut omne humanum genus est avidum nimis auricularum. Quod super est, non est mirandum qua ratione, per loca quae nequeunt oculi res cernere apertas, haec loca per voces veniant aurisque lacessant, conloquium clausis foribus quoque saepe videmus; ni mirum quia vox per flexa foramina rerum incolumis transire potest, simulacra renutant; perscinduntur enim, nisi recta è rimandata indietro e ci riporta il suono, e talora c'inganna con l'eco d'una parola. Se discerni bene ciò, puoi spiegare a te stesso e agli altri in che modo per luoghi solitari le rocce rimandino uguali le forme delle parole, in ordine, quando cerchiamo i compagni vaganti tra i monti ombrosi, e li chiamiamo a gran voce, mentre sono sparsi qua e là. Ho veduto luoghi rimandare anche sei o sette voci, quando ne gettavi solo una: così i colli stessi, ai colli rinviando le parole, rinnovavano l'eco di ciò che era stato detto. In questi luoghi gli abitanti delle vicinanze s'immaginano che risiedano i capripedi Satiri e le Ninfe, e dicono che ci sono i Fauni, e affermano che dal loro strepito vagante nella notte e dai loro giochi buffi son rotti spesso i taciturni silenzi, e suoni di corde si levano, e dolci lamenti, che effonde il flauto toccato dalle dita dei sonatori, e la gente delle campagne per ampia distesa l'ode, quando Pan, scotendo le fronde di pino che gli velano il capo semiferino, con il labbro adunco spesso percorre le cave canne, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (33 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV foramina tranant, perché la zampogna non cessi qualia sunt vitrei, species qua d'effondere la silvestre armonia. travolat omnis. Ogni altro prodigio e portento di praeterea partis in cunctas tale specie raccontano, dividitur vox, perché non si creda che risiedano ex aliis aliae quoniam gignuntur, in luoghi solitari, abbandonati ubi una anche dagli dèi. Perciò vantano dissuluit semel in multas exorta, miracoli nei loro discorsi quasi ignis o da qualche altra ragione vi sono saepe solet scintilla suos se indotti, dal momento spargere in ignis. che tutto il genere umano è troppo ergo replentur loca vocibus abdita avido di orecchie intente. retro, Quanto al resto, non c'è da stupire omnia quae circum fervunt se per quegli stessi sonituque cientur. luoghi attraverso cui gli occhi non at simulacra viis derectis omnia possono vedere cose palesi, tendunt, le voci passano e giungono a ut sunt missa semel; qua propter colpire le orecchie. cernere nemo Spesso vediamo svolgersi un saepe supra potis est, at voces colloquio anche attraverso accipere extra. porte chiuse, senza dubbio perché et tamen ipsa quoque haec, dum la voce può passare incolume transit clausa [domorum> per i sinuosi meati dei corpi, vox optunditur atque auris confusa mentre i simulacri vi si rifiutano. penetrat Infatti si lacerano, se non et sonitum potius quam verba traversano meati diritti, audire videmur. quali son quelli del vetro, per cui Hoc, qui sentimus sucum, ogni immagine passa a volo. lingua atque palatum Inoltre la voce si propaga in tutte plusculum habent in se rationis, le direzioni plus operai. perché le voci nascono le une dalle principio sucum sentimus in ore, altre una volta che una, cibum cum levatasi, si è suddivisa in molte, mandendo exprimimus, ceu come spesso una scintilla plenam spongiam aquai di fuoco suole spandersi nelle sue siquis forte manu premere ac particelle di fuoco. siccare coëpit. Dunque s'empiono di voci luoghi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (34 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV inde quod exprimimus per caulas omne palati diditur et rarae per flexa foramina linguae, hoc ubi levia sunt manantis corpora suci, suaviter attingunt et suaviter omnia tractant umida linguai circum sudantia templa; at contra pungunt sensum lacerantque coorta, quanto quaeque magis sunt asperitate repleta. deinde voluptas est e suco fine palati; cum vero deorsum per fauces praecipitavit, nulla voluptas est, dum diditur omnis in artus; nec refert quicquam quo victu corpus alatur, dum modo quod capias concoctum didere possis artubus et stomachi tumidum servare tenorem. Nunc aliis alius qui sit cibus ut videamus, expediam, quareve, aliis quod triste et amarumst, hoc tamen esse aliis possit perdulce videri, tantaque [in] his rebus distantia differitasque est, ut quod aliis cibus est aliis fuat acre venenum; nascosti allo sguardo e appartati, che tutti intorno fervono e sono agitati dal suono. Ma i simulacri procedono tutti per vie diritte, una volta che sono stati emessi; perciò nessuno può vedere oltre un recinto, mentre si possono percepire le voci di fuori. E tuttavia questa voce, anch'essa, mentre passa per i muri ‹delle case›, s'affievolisce e nelle orecchie penetra confusa, e a noi sembra di udire un suono piuttosto che parole. Né la lingua e il palato, con cui sentiamo i sapori, richiedono un po' più di ragionamento o maggiore fatica. Anzitutto, sentiamo il sapore in bocca, quando spremiamo il cibo masticando, come se uno cominci a comprimere con la mano e a svuotare una spugna piena d'acqua. Poi ciò che spremiamo fuori, si spande tutto per i condotti del palato e per i sinuosi meati della lingua porosa. Perciò, quando sono lisci gli atomi del succo che cola, soavemente toccano e soavemente titillano tutte le umide volte che s'inarcano sulla lingua, dintorno trasudanti. Ma per contro, tanto più gli atomi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (35 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV est itaque ut serpens, hominis pungono il senso quae tacta salivis e con l'assalto lo lacerano, quanto disperit ac sese mandendo conficit più son pieni d'asperità. ipsa. E poi, piacere nasce dal succo praeterea nobis veratrum est acre entro i confini del palato; venenum, ma, quando giù per le fauci è at capris adipes et cocturnicibus precipitato, auget. non v'è alcun piacere, mentre si id quibus ut fiat rebus cognoscere spande tutto nelle membra. possis, Né importa alcunché con quale principio meminisse decet quae vitto il corpo sia nutrito, diximus ante, purché ciò che ingerisci tu possa semina multimodis in rebus mixta digerirlo e spanderlo teneri. nelle membra e conservare nello porro omnes quae cumque cibum stomaco un'umidità costante. capiunt animantes, |[continua]| ut sunt dissimiles extrinsecus et |[LIBRO IV, 2]| generatim extima membrorum circumcaesura Ora darò una spiegazione che ci faccia capire perché il cibo coërcet, sia diverso per diversi esseri, e per proinde et seminibus constant che ragione ciò che per gli uni variantque figura. semina cum porro distent, differre è disgustoso e amaro, possa tuttavia parere dolcissimo ad altri. necessest intervalla viasque, foramina quae E così grandi sono ‹in› tale riguardo la distanza e la perhibemus, discordanza omnibus in membris et in ore che ciò che per uno è cibo, per ipsoque palato. altri è violento veleno. esse minora igitur quaedam ‹C'è, per esempio,› un serpente maioraque debent, esse triquetra aliis, aliis quadrata che, toccato da saliva d'uomo, perisce, distruggendosi da sé, coi necessest, propri morsi. multa rutunda, modis multis Inoltre, per noi l'elleboro è multangula quaedam. violento veleno, namque figurarum ratio ut ma alle capre e alle quaglie motusque reposcunt, proinde foraminibus debent differe accresce l'adipe. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (36 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV Perché tu possa conoscere per figurae et variare viae proinde ac textura quali cause avvenga questo, anzitutto conviene ricordare ciò coërcet. hoc ubi quod suave est aliis aliis fit che abbiamo detto prima, cioè che i semi contenuti nelle amarum, cose sono misti in vari modi. illi, cui suave est, levissima D'altro canto, tutti gli esseri corpora debent animati che ingeriscono cibo, contractabiliter caulas intrare come sono dissimili esternamente palati, e come, secondo le specie, at contra quibus est eadem res è diverso l'esterno contorno delle intus acerba, membra che li racchiude, aspera ni mirum penetrant così sono anche composti di semi hamataque fauces. con forme differenti. nunc facile est ex his rebus E poiché sono differenti i semi, cognoscere quaeque. quippe ubi cui febris bili superante devono differire gl'intervalli e i canali, che coorta est aut alia ratione aliquast vis excita chiamiamo meati, in tutte le membra e nella bocca e morbi, perturbatur ibi iam totum corpus nello stesso palato. Più piccoli devono dunque essere et omnes alcuni, più grandi altri; commutantur ibi positurae per alcune specie devono essere principiorum; triangolari, per altre quadrati, fit prius ad sensum [ut] quae molti rotondi, alcuni con molti corpora conveniebant angoli disposti in molti modi. nunc non conveniant, et cetera Infatti, come esigono la sint magis apta, combinazione delle forme quae penetrata queunt sensum e i movimenti, così devono progignere acerbum; differire le forme dei meati utraque enim sunt in mellis e variare i canali secondo il commixta sapore; tessuto che li racchiude. id quod iam supera tibi saepe Per questo, quando ciò che è dolce ostendimus ante. per gli uni, agli altri Nunc age, quo pacto naris diventa amaro, a quello per cui è adiectus odoris tangat agam. primum res multas dolce atomi sommamente lisci devono carezzevolmente http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (37 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV esse necessest unde fluens volvat varius se fluctus odorum, et fluere et mitti volgo spargique putandumst; verum aliis alius magis est animantibus aptus, dissimilis propter formas. ideoque per auras mellis apes quamvis longe ducuntur odore, volturiique cadaveribus; tum fissa ferarum ungula quo tulerit gressum promissa canum vis ducit, et humanum longe praesentit odorem Romulidarum arcis servator, candidus anser. sic aliis alius nidor datus ad sua quemque pabula ducit et a taetro resilire veneno cogit, eoque modo servantur saecla ferarum. Hic odor ipse igitur, naris qui cumque lacessit, est alio ut possit permitti longius alter; sed tamen haud quisquam tam longe fertur eorum quam sonitus, quam vox, mitto iam dicere quam res quae feriunt oculorum acies visumque lacessunt. errabundus enim tarde venit ac perit ante entrare nei condotti del palato, mentre, d'altronde, a quelli cui la stessa cosa è dentro acerba, certo atomi ruvidi e uncinati penetrano le fauci. Ora è facile in base a questi fatti intendere ogni cosa. Così, quando qualcuno è stato assalito dalla febbre per eccesso di bile, o da un'altra causa è stata suscitata qualche violenza di malattia, allora l'intero corpo è turbato, allora tutte sono alterate le positure degli atomi; avviene che corpi che prima si confacevano al senso, ora non si confacciano, e siano più congrui altri, che posson penetrare e produrre una sensazione acerba. Ambedue le specie sono infatti commiste nel sapore del miele; ciò che già sopra ti abbiamo dimostrato spesso prima d'ora. E ora dirò come l'odore s'accosti e tocchi le nari. Anzitutto, devono esserci molte cose da cui fluendo si svolge il vario flutto degli odori, e bisogna credere che ovunque fluisca e si lanci e si sparga; ma ad alcuni esseri viventi è più congruo un odore, ad altri un altro, per la diversità delle http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (38 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV paulatim facilis distractus in aëris auras; ex alto primum quia vix emittitur ex re; nam penitus fluere atque recedere rebus odores significat quod fracta magis redolere videntur omnia, quod contrita, quod igni conlabefacta. deinde videre licet maioribus esse creatum principiis quam vox, quoniam per saxea saepta non penetrat, qua vox volgo sonitusque feruntur. quare etiam quod olet non tam facile esse videbis investigare in qua sit regione locatum; refrigescit enim cunctando plaga per auras nec calida ad sensum decurrunt nuntia rerum. errant saepe canes itaque et vestigia quaerunt. Nec tamen hoc solis in odoribus atque saporum in generest, sed item species rerum atque colores non ita conveniunt ad sensus omnibus omnes, ut non sint aliis quaedam magis acria visu. quin etiam gallum noctem explaudentibus alis forme. E così attraverso l'aria le api sono attirate dall'odore del miele, benché sia lontano, e gli avvoltoi dai cadaveri. E ovunque il biforcuto zoccolo delle bestie selvagge abbia volto il passo, l'impeto dei cani sguinzagliati ci conduce; e di lontano l'odore dell'uomo è colto col fiuto dalla candida oca, salvatrice della rocca dei figli di Romolo. Così i vari odori assegnati ai vari corpi conducono ognuno al proprio cibo e lo costringono a tirarsi indietro per fuggire il repellente veleno, e in tal modo si conservano le specie delle fiere. Di questi stessi odori, dunque, che stimolano le nostre nari, taluno può propagarsi più lontano di un altro; ma tuttavia nessun odore va tanto lontano quanto il suono, quanto la voce, e tralascio di dire: quanto i corpi che feriscono le pupille e provocano il vedere. Vagando, infatti, l'odore viene lentamente e svanisce troppo presto, inconsistente dissolvendosi a poco a poco tra i venti; prima, perché, venendo dal profondo, è emesso a stento dalla cosa: infatti, che gli odori fluiscano e si http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (39 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV auroram clara consuetum voce stacchino dall'interno delle cose, vocare, lo dimostra il fatto che da tutte le noenu queunt rapidi contra cose il profumo ci giunge constare leones più forte quando esse sono inque tueri: ita continuo meminere spezzate, quando sono triturate, fugai. quando sono sciolte dal fuoco; e ni mirum quia sunt gallorum in poi, si può vedere che l'odore corpore quaedam è composto di elementi più grandi semina, quae cum sunt oculis che quelli della voce, poiché non inmissa leonum, penetra pupillas interfodiunt acremque attraverso le pareti di pietra, per dolorem cui la voce e il suono praebent, ut nequeant contra comunemente passano. durare feroces, Per questo anche vedrai che non è cum tamen haec nostras acies nil tanto facile scoprire laedere possint, in quale luogo sia posto l'oggetto aut quia non penetrant aut quod che manda odore. penetrantibus illis Si raffredda infatti l'impulso exitus ex oculis liber datur, in indugiando per l'aria, remorando né al senso accorrono caldi i laedere ne possint ex ulla lumina messaggi dei corpi. parte. Perciò i cani spesso errano e Nunc age, quae moveant vanno in cerca delle tracce. animum res accipe, et unde Né tuttavia ciò avviene soltanto quae veniunt veniant in mentem per gli odori percipe paucis. e i sapori, ma ugualmente gli principio hoc dico, rerum aspetti e i colori delle cose simulacra vagari non si confanno tutti ai sensi di multa modis multis in cunctas tutti, undique partis sì che alcuni non siano troppo tenvia, quae facile inter se aspri alla vista di certuni. iunguntur in auris, Anzi, al gallo, che suole, sbattendo obvia cum veniunt, ut aranea le ali per cacciar via bratteaque auri. la notte, chiamare l'aurora con quippe etenim multo magis haec voce squillante, sunt tenvia textu i rabbiosi leoni non possono stare quam quae percipiunt oculos http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (40 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV visumque lacessunt, corporis haec quoniam penetrant per rara cientque tenvem animi naturam intus sensumque lacessunt. Centauros itaque et Scyllarum membra videmus Cerbereasque canum facies simulacraque eorum quorum morte obita tellus amplectitur ossa; omnigenus quoniam passim simulacra feruntur, partim sponte sua quae fiunt aëre in ipso, partim quae variis ab rebus cumque recedunt et quae confiunt ex horum facta figuris. nam certe ex vivo Centauri non fit imago, nulla fuit quoniam talis natura animata; verum ubi equi atque hominis casu convenit imago, haerescit facile extemplo, quod diximus ante, propter subtilem naturam et tenvia texta. cetera de genere hoc eadem ratione creantur. quae cum mobiliter summa levitate feruntur, ut prius ostendi, facile uno commovet ictu quae libet una animum nobis di fronte e fissarlo: tanto pensano immediatamente a fuggire, senza dubbio perché nel corpo dei galli ci sono certi semi, che, quando sono spinti dentro gli occhi dei leoni, trafiggono le pupille e provocano un dolore acuto, sì che questi, malgrado la ferocia, non possono resistervi; mentre tuttavia tali semi non possono ledere in nulla le nostre pupille, o perché non vi penetrano o perché, pur penetrandovi, è data ad essi una libera uscita dagli occhi, sì che non possono, nel trattenervisi, ledere in alcuna parte la vista. Ora ascolta, suvvia, quali cose muovano l'animo e apprendi in poche parole donde vengano le cose che vengono nella mente. Anzitutto questo io dico, che molti simulacri di cose in molti modi vagano da ogni parte in tutte le direzioni, e son sottili, e facilmente si congiungono tra loro nell'aria, quando s'incontrano, come ragnatele e foglie d'oro. E infatti questi simulacri sono di tessuto molto più sottile, in confronto a quelli che occupano gli occhi e provocano il vedere, poiché questi penetrano per i pori del corpo e dentro destano http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (41 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV subtilis imago; tenvis enim mens est et mire mobilis ipsa. haec fieri ut memoro, facile hinc cognoscere possis. quatinus hoc simile est illi, quod mente videmus atque oculis, simili fieri ratione necessest. Nunc igitur docui quoniam me forte leonum cernere per simulacra, oculos quae cumque lacessunt, scire licet mentem simili ratione moveri per simulacra leonum [et] cetera quae videt aeque nec minus atque oculi, nisi quod mage tenvia cernit. nec ratione alia, cum somnus membra profudit, mens animi vigilat, nisi quod simulacra lacessunt haec eadem nostros animos quae cum vigilamus, usque adeo, certe ut videamur cernere eum quem rellicta vita iam mors et terra potitast. hoc ideo fieri cogit natura, quod omnes corporis offecti sensus per membra quiescunt nec possunt falsum veris convincere rebus. praeterea meminisse iacet languetque sopore, la sottile natura dell'animo e ne provocano la sensibilità. E così vediamo Centauri e membra di Scille e canine facce di Cerberi e i simulacri di coloro che sono morti e di cui la terra abbraccia le ossa; poiché simulacri d'ogni genere si muovono in ogni dove, e parte nascono spontaneamente nell'aria stessa, parte son quelli che in qualche modo si staccano dalle varie cose e quelli che son fatti dal comporsi delle figure di questi. Ché certo non viene da cosa viva l'immagine del Centauro, poiché non è mai esistita la natura d'un tale essere vivente, ma, quando le immagini d'un cavallo e d'un uomo per caso s'incontrano, sùbito facilmente aderiscono, come abbiamo detto prima, per la loro sottile natura e il tenue tessuto. Tutte le altre cose di questo genere si producono allo stesso modo. E quando si muovono rapidamente con somma levità, come prima ho mostrato, facilmente con un solo colpo una qualsiasi sottile immagine commuove l'animo nostro; tenue infatti è la mente e http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (42 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV nec dissentit eum mortis letique potitum iam pridem, quem mens vivom se cernere credit. quod super est, non est mirum simulacra moveri bracchiaque in numerum iactare et cetera membra; nam fit ut in somnis facere hoc videatur imago. quippe, ubi prima perit alioque est altera nata inde statu, prior hic gestum mutasse videtur. scilicet id fieri celeri ratione putandumst: tanta est mobilitas et rerum copia tanta tantaque sensibili quovis est tempore in uno copia particularum, ut possit suppeditare. Multaque in his rebus quaeruntur multaque nobis clarandumst, plane si res exponere avemus. quaeritur in primis quare, quod cuique libido venerit, extemplo mens cogitet eius id ipsum. anne voluntatem nostram simulacra tuentur et simul ac volumus nobis occurrit imago, si mare, si terram cordist, si denique caelum? mirabilmente mobile anch'essa. Che queste cose avvengano come dico, facilmente puoi conoscere da questo: dal momento che l'uno è simile all'altro, ciò che vediamo con la mente e ciò che vediamo con gli occhi, in simile modo devono avvenire. Ora, dunque, poiché ho chiarito che io vedo, ad esempio, un leone mediante simulacri, quelli che colpiscono gli occhi, si può intendere che la mente in modo simile è mossa mediante simulacri di leoni ‹e› di tutte le altre cose che vede, né più, né meno che gli occhi, ma distingue simulacri più tenui. E, quando il sonno ha rilassato le membra, la facoltà intellettiva dell'animo resta sveglia solo perché ci colpiscono l'animo questi medesimi simulacri della veglia, a tal grado che effettivamente crediamo di vedere colui che, lasciata la vita, è ormai preda della morte e della terra. Perciò la natura fa avvenire questo, perché tutti i sensi del corpo ottusi riposano nelle membra, né possono confutare il falso col vero. Inoltre la memoria è inattiva e langue in sopore, né discorda obiettando che è morto e trapassato http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (43 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV conventus hominum, pompam, convivia, pugnas, omnia sub verbone creat natura paratque? cum praesertim aliis eadem in regione locoque longe dissimilis animus res cogitet omnis. quid porro, in numerum procedere cum simulacra cernimus in somnis et mollia membra movere, mollia mobiliter cum alternis bracchia mittunt et repetunt oculis gestum pede convenienti? scilicet arte madent simulacra et docta vagantur, nocturno facere ut possint in tempore ludos. an magis illud erit verum? quia tempore in uno, cum sentimus, id est cum vox emittitur una, tempora multa latent, ratio quae comperit esse, propterea fit uti quovis in tempore quaeque praesto sint simulacra locis in quisque parata. tanta est mobilitas et rerum copia tanta. hoc ubi prima perit alioque est altera nata inde statu, prior hic gestum mutasse videtur. et quia tenvia sunt, nisi quae già da tempo colui che la mente crede di veder vivo. Quanto al resto, non è sorprendente che i simulacri si muovano e in cadenza agitino le braccia e le altre membra. Infatti accade che nei sogni l'immagine sembri far questo, giacché, quando la prima è sparita e quindi un'altra è nata in altra positura, sembra allora che la prima abbia mutato gesto. Senza dubbio si deve pensare che ciò avvenga in modo celere: tanta è la mobilità, tanta la moltitudine delle immagini, e tanta è l'abbondanza delle particelle in un qualunque minimo tempo percettibile, che può bastare all'effetto. E a questo proposito molte domande si pongono e molti fatti dobbiamo chiarire, se vogliamo esporre appieno le cose. Si chiede anzitutto perché, quando a chiunque sia venuto il capriccio di pensar qualcosa, sùbito la mente pensi proprio quella. Forse i simulacri sono attenti al nostro volere e, appena noi vogliamo, accorre a noi l'immagine, se il mare, se la terra ci sta a cuore, o infine il cielo? http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (44 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV contendit, acute cernere non potis est animus; proinde omnia quae sunt praeterea pereunt, nisi quae ex se[se] ipse paravit. ipse parat sese porro speratque futurum ut videat quod consequitur rem quamque: fit ergo. nonne vides oculos etiam, cum tenvia quae sunt [praeterea pereunt, nisi quae ex se ipse paravit] cernere coeperunt, contendere se atque parare, nec sine eo fieri posse ut cernamus acute? et tamen in rebus quoque apertis noscere possis, si non advertas animum, proinde esse quasi omni tempore semotum fuerit longeque remotum. cur igitur mirumst, animus si cetera perdit praeter quam quibus est in rebus deditus ipse? deinde adopinamur de signis maxima parvis ac nos in fraudem induimus frustraminis ipsi. Fit quoque ut inter dum non suppeditetur imago eiusdem generis, sed femina quae fuit ante, in manibus vir uti factus videatur Radunanze d'uomini, una processione, conviti, battaglie, ogni cosa la natura crea e appronta a una nostra parola? E questo benché, nella stessa regione e nello stesso luogo, la mente d'altri pensi ogni sorta di cose molto dissimili. Che dire poi, quando in sogno vediamo simulacri avanzare ritmicamente e muovere le flessibili membra, quando alternamente slanciano celeri le flessibili braccia e ripetono il gesto col piede che s'accorda agli occhi? Certo sono imbevuti d'arte i simulacri e addestrati vagano, sì che possono offrire rappresentazioni nelle ore notturne. O non sarà piuttosto vero ciò? Poiché in un singolo momento in cui sentiamo, cioè in cui viene emessa una singola voce, si celano molti momenti, che la ragione scopre esistenti, perciò accade che in qualsiasi momento simulacri d'ogni tipo siano a disposizione e pronti in tutti i vari luoghi: tanta è la mobilità, tanta la moltitudine delle immagini. Perciò, quando la prima è morta e quindi un'altra è nata in altra positura, pare allora che la prima abbia mutato gesto. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (45 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV adesse, E poiché sono sottili, l'animo non aut alia ex alia facies aetasque può discernere distinte sequatur. se non quelle che cerca di quod ne miremur sopor atque cogliere; quindi tutte quelle che ci oblivia curant. sono Illud in his rebus vitium oltre ad esse, vanno perdute, vehementer Äinesse tranne quelle cui l'animo s'è effugere errorem vitareque preparato. praemetuenter, Esso, d'altra parte, si prepara e lumina ne facias oculorum clara s'aspetta che gli accada di vedere creata, ciò che segue a ogni positura prospicere ut possimus, et ut dell'immagine; quindi ciò avviene. proferre queamus Non vedi che anche gli occhi, proceros passus, ideo fastigia quando s'accingono a scorgere posse cose che sono sottili, si tendono surarum ac feminum pedibus con sforzo e si preparano, fundata plicari, né senza ciò può accadere che bracchia tum porro validis ex apta discerniamo distintamente? lacertis E tuttavia, anche nel caso di cose esse manusque datas utraque [ex] manifeste, puoi osservare parte ministras, che, se non volgi ad esse la ut facere ad vitam possemus quae mente, è come se tutto foret usus. il tempo la cosa fosse distante e di cetera de genere hoc inter quae gran lunga remota. cumque pretantur, Perché, dunque, meravigliarsi, se omnia perversa praepostera sunt l'animo perde tutte ratione, le altre cose, tranne quelle alle nil ideo quoniam natumst in quali esso è intento? corpore ut uti E poi da piccoli segni procediamo possemus, sed quod natumst id alle congetture più vaste procreat usum. e ci irretiamo noi stessi nec fuit ante videre oculorum nell'inganno che ci illude. lumina nata, Accade anche talora che non nec dictis orare prius quam lingua sussegua un'immagine creatast, dello stesso genere, ma quella che sed potius longe linguae prima era una donna, praecessit origo http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (46 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV sermonem multoque creatae sunt sembri starci accanto divenuta uomo sotto i nostri occhi, prius aures quam sonus est auditus, et omnia oppure si seguano facce ed età differenti. denique membra ante fuere, ut opinor, eorum quam Ma il sonno e l'oblio fanno sì che non ce ne stupiamo. foret usus; A tale proposito desideriamo haud igitur potuere utendi vivamente che tu fugga crescere causa. at contra conferre manu certamina un vizioso ragionamento, e con grande cautela eviti l'errore pugnae di credere che il chiaro lume degli et lacerare artus foedareque occhi sia stato creato membra cruore affinché possiamo vedere, e che le ante fuit multo quam lucida tela estremità delle gambe volarent, e delle cosce fondate sui piedi et volnus vitare prius natura possano piegarsi per questo, coëgit affinché siamo in grado di quam daret obiectum parmai avanzare a lunghi passi, laeva per artem. scilicet et fessum corpus mandare e ancora, che gli avambracci siano attaccati alle forti braccia quieti e ci siano state date le mani per multo antiquius est quam lecti servirci ‹dall'›una e l'altra parte, mollia strata, affinché possiamo fare ciò che et sedare sitim prius est quam abbisogna per la vita. pocula natum. haec igitur possunt utendi cognita Tutte le interpretazioni di questo genere causa credier, ex usu quae sunt vitaque mettono il prima al posto del dopo con ragionare stravolto, reperta. illa quidem seorsum sunt omnia, poiché nessuna cosa è nata nel corpo per questo, quae prius ipsa affinché potessimo usarne, ma ciò nata dedere suae post notitiam che è nato crea esso l'uso. utilitatis. Né esistette la vista prima che quo genere in primis sensus et nascessero gli occhi, membra videmus; né il dire con parole prima che la quare etiam atque etiam procul lingua fosse creata, est ut credere possis ma piuttosto la nascita della lingua http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (47 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV utilitatis ob officium potuisse creari. Illud item non est mirandum, corporis ipsa quod natura cibum quaerit cuiusque animantis. quippe etenim fluere atque recedere corpora rebus multa modis multis docui, sed plurima debent ex animalibus; [quae] quia sunt exercita motu, multa per os exhalantur, cum languida anhelant, multaque per sudorem ex alto pressa feruntur. his igitur rebus rarescit corpus et omnis subruitur natura, dolor quam consequitur rem. propterea capitur cibus, ut suffulciat artus et recreet vires inter datus, atque patentem per membra ac venas ut amorem opturet edendi. umor item discedit in omnia quae loca cumque poscunt umorem; glomerataque multa vaporis corpora, quae stomacho praebent incendia nostro, dissupat adveniens liquor ac restinguit ut ignem, urere ne possit calor amplius aridus artus. sic igitur tibi anhela sitis de precedette di molto la favella, e le orecchie furono create molto prima che si udisse il suono, e, in breve, tutte le membra esistettero, io credo, prima che esistesse il loro uso. Non poterono quindi crescere per il fine dell'uso. Ma, al contrario, venire alle mani nella zuffa della battaglia e lacerar membra e insozzare di sangue il corpo furono molto prima che volassero i lucidi dardi, e la natura costrinse a evitare la ferita prima che il braccio sinistro opponesse la difesa dello scudo foggiato dall'arte. E senza dubbio l'abbandonare al riposo il corpo stanco è molto più antico che il letto dai morbidi materassi, e il placare la sete nacque prima delle coppe. Si può dunque credere che siano state inventate per l'uso queste cose che sono state scoperte secondo i bisogni della vita. Ma stanno a parte tutte quelle cose che, nate prima esse stesse, dettero poi la nozione della loro utilità. Di tale genere vediamo anzitutto i sensi e le membra; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (48 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV corpore nostro abluitur, sic expletur ieiuna cupido. Nunc qui fiat uti passus proferre queamus, cum volumus, quareque datum sit membra movere et quae res tantum hoc oneris protrudere nostri corporis insuerit, dicam: tu percipe dicta. dico animo nostro primum simulacra meandi accidere atque animum pulsare, ut diximus ante. inde voluntas fit; neque enim facere incipit ullam rem quisquam, [quam] mens providit quid velit ante. id quod providet, illius rei constat imago, ergo animus cum sese ita commovet ut velit ire inque gredi, ferit extemplo quae in corpore toto per membra atque artus animai dissita vis est; et facilest factu, quoniam coniuncta tenetur. inde ea proporro corpus ferit, atque ita tota paulatim moles protruditur atque movetur. praeterea tum rarescit quoque corpus et aër, scilicet ut debet qui semper quindi, ancora e ancora, non ti è possibile credere che abbiano potuto esser creati per adempiere l'utile funzione. Di questo, ugualmente, non ci si deve stupire, che il corpo d'ogni vivente cerca il cibo per impulso della propria natura. E infatti ho insegnato che molti corpi fluiscono via e si staccano dalle cose in molti modi, ma più numerosi se ne devono staccare dagli animali. Poiché ‹questi› sono travagliati dal movimento, e molti corpi vanno via col sudore, spremuti dal profondo, molti sono esalati per la bocca, quando essi infiacchiti anelano, per tali motivi, dunque, si dirada il corpo e si strema tutta la loro natura; e a ciò segue il dolore. Perciò si prende il cibo, affinché sorregga le membra e distribuito ricrei le forze, e per membra e per vene sazi l'avido desiderio di nutrimento. Ugualmente l'umore si spande in tutte quelle parti che richiedono umore; e i molti corpi di calore raccolti, che nel nostro stomaco producono un incendio, li dissipa al suo arrivo il liquido e li spegne come fuoco, affinché l'arido calore non possa http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (49 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV mobilis extat, per patefacta venit penetratque foramina largus, et dispargitur ad partis ita quasque minutas corporis. hic igitur rebus fit utrimque duabus, corpus ut ac navis velis ventoque feratur. nec tamen illud in his rebus mirabile constat, tantula quod tantum corpus corpuscula possunt contorquere et onus totum convertere nostrum; quippe etenim ventus subtili corpore tenvis trudit agens magnam magno molimine navem et manus una regit quanto vis impete euntem atque gubernaclum contorquet quo libet unum, multaque per trocleas et tympana pondere magno commovet atque levi sustollit machina nisu. Nunc quibus ille modis somnus per membra quietem inriget atque animi curas e pectore solvat, suavidicis potius quom multis versibus edam, parvus ut est cycni melior canor, ille gruum quam clamor in aetheriis dispersus nubibus austri. più ardere le membra. Così dunque, vedi, la sete anelante si deterge dal nostro corpo, così si appaga l'affamata brama. Ora dirò come avviene che possiamo avanzare coi nostri passi quando vogliamo, e che ci sia dato muover le membra in vari modi, e quale forza sia solita spingere innanzi questo gran peso del nostro corpo: tu ascolta attentamente le mie parole. Dico che dapprima simulacri di movimento giungono al nostro animo e lo impressionano, come abbiamo già detto. Quindi nasce il volere; e infatti nessuno comincia a fare qualcosa prima ‹che› la mente preveda quello che vuole fare. E di quello che essa prevede, esiste un'immagine. Dunque, quando l'animo si muove sì che vuole andare e procedere, sùbito sprona la forza dell'anima che è disseminata in tutto il corpo per membra e giunture; e ciò è facile a farsi, poiché all'animo è strettamente congiunta. Poi essa sprona a sua volta il corpo, e così tutta la massa a poco a poco è spinta http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (50 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV tu mihi da tenuis auris animumque innanzi e si muove. Inoltre, allora si dirada anche il sagacem, ne fieri negites quae dicam posse corpo, e l'aria (come naturalmente deve, giacché retroque sempre è di mobile natura) vera repulsanti discedas pectore arriva attraverso le aperture e dicta, penetra nei fori in abbondanza, tutemet in culpa cum sis neque e così si sparge qua e là, fino a cernere possis. tutte le parti minute Principio somnus fit ubi est del corpo. Allora, dunque, avviene distracta per artus vis animae partimque foras eiecta che il corpo sia mosso da due cause, operanti da una recessit et partim contrusa magis concessit parte e dall'altra, come una nave spinta dai remi e dal vento. Né in altum; tuttavia in ciò fa meraviglia dissoluuntur enim tum demum che corpuscoli tanto piccoli membra fluuntque. nam dubium non est, animai quin possano dirigere un corpo tanto grande e voltare attorno opera sit tutto il nostro peso. sensus hic in nobis, quem cum E infatti il vento, tenue per la sopor inpedit esse, sottile sua materia, tum nobis animam perturbatam muove e spinge una grande nave esse putandumst di grande massa, eiectamque foras, non omnem; e un'unica mano la guida, con namque iaceret qualunque rapidità proceda, aeterno corpus perfusum frigore e un unico timone la dirige leti. quippe ubi nulla latens animai pars ovunque piaccia; e per mezzo di carrucole e di ruote remaneret in membris, cinere ut multa latet una macchina sposta e solleva molte cose di grande obrutus ignis, peso con uno sforzo lieve. unde reconflari sensus per In quali modi il sonno diffonda la membra repente possit, ut ex igni caeco consurgere quiete per le membra e sciolga dal petto le inquietudini flamma? Sed quibus haec rebus novitas dell'animo, ora esporrò in versi soavi piuttosto confiat et unde che numerosi; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (51 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV perturbari anima et corpus languescere possit, expediam: tu fac ne ventis verba profundam. Principio externa corpus de parte necessum est, aëriis quoniam vicinum tangitur auris, tundier atque eius crebro pulsarier ictu, proptereaque fere res omnes aut corio sunt aut etiam conchis aut callo aut cortice tectae. interiorem etiam partem spirantibus aër verberat hic idem, cum ducitur atque reflatur. quare utrimque secus cum corpus vapulet et cum perveniant plagae per parva foramina nobis corporis ad primas partis elementaque prima, fit quasi paulatim nobis per membra ruina. conturbantur enim positurae principiorum corporis atque animi. fit uti pars inde animai eliciatur et introrsum pars abdita cedat, pars etiam distracta per artus non queat esse coniuncta inter se neque motu mutua fungi; inter enim saepit coetus natura così il breve canto del cigno è migliore di quel clamore delle gru disperso tra le eteree nubi dell'austro. Tu prestami fini orecchie e animo sagace, affinché non neghi che possa avvenire ciò che dico e non ti scosti da me con petto che respinge e scaccia le parole veritiere, mentre proprio tu sei in errore e non riesci a discernere. Anzitutto, il sonno si produce quando la forza dell'anima è dispersa per le membra, e una parte, scacciata fuori, è andata via, un'altra, stipata dentro, si è ritratta più nel profondo. Infatti, proprio allora le membra si rilassano e sono cascanti. Giacché non v'è dubbio che per opera dell'anima esiste in noi questo senso; quando il sonno gl'impedisce di esistere, dobbiamo credere che allora l'anima sia stata perturbata e scacciata fuori; tuttavia, non tutta: altrimenti il corpo giacerebbe penetrato dall'eterno freddo della morte. E infatti, se nessuna parte dell'anima rimanesse celata nelle membra, come si cela il fuoco sepolto sotto molta cenere, donde potrebbe il senso http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (52 of 73) [07/08/2003 21.41.34] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV viasque. ergo sensus abit mutatis motibus alte. et quoniam non est quasi quod suffulciat artus, debile fit corpus languescuntque omnia membra, bracchia palpebraeque cadunt poplitesque cubanti saepe tamen summittuntur virisque resolvunt. Deinde cibum sequitur somnus, quia, quae facit aër, haec eadem cibus, in venas dum diditur omnis, efficit. et multo sopor ille gravissimus exstat, quem satur aut lassus capias, quia plurima tum se corpora conturbant magno contusa labore. fit ratione eadem coniectus parte animai altior atque foras eiectus largior eius, et divisior inter se ac distractior intus. Et quo quisque fere studio devinctus adhaeret aut quibus in rebus multum sumus ante morati atque in ea ratione fuit contenta magis mens, in somnis eadem plerumque videmur obire: causidici causas agere et riaccendersi d'un tratto nelle membra, come da fuoco invisibile può risorgere la fiamma? Ma spiegherò per quali fattori si produca questo nuovo stato e per quale causa possa perturbarsi l'anima e languire il corpo: tu fa' che io non disperda ai venti le parole. Anzitutto, è inevitabile che dalla parte esterna il corpo, poiché da vicino è toccato dai soffi dell'aria, venga urtato e picchiato dai frequenti colpi di questa; e perciò quasi tutti i corpi sono coperti o di cuoio o anche di conchiglie o di callo o di scorza. Anche la parte interna degli esseri che respirano è sferzata da questa stessa aria, quando viene inspirata ed espirata. Perciò, essendo il corpo battuto da entrambi i lati ed arrivando i colpi, attraverso i piccoli pori, fino alle prime parti e agli elementi primi del nostro corpo, avviene a poco a poco in noi per le membra quasi un crollo. Si sconvolgono infatti le positure degli atomi del corpo e dell'animo. Avviene quindi che una parte dell'anima http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (53 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV componere leges, sia scacciata fuori e una parte si induperatores pugnare ac proelia ritragga e si celi nell'interno, obire, un'altra parte, dispersa per le nautae contractum cum ventis membra, non possa restare degere bellum, in sé connessa, né scambiare nos agere hoc autem et naturam movimenti; quaerere rerum la natura infatti impedisce gli semper et inventam patriis incontri e sbarra le vie; exponere chartis. così, mutati i movimenti, il senso cetera sic studia atque artes si ritira nel profondo. plerumque videntur E poiché non v'è nulla che quasi in somnis animos hominum sorregga le giunture, frustrata tenere. diventa debole il corpo e et qui cumque dies multos ex languiscono tutte le membra, ordine ludis cadono le braccia e le palpebre, e i adsiduas dederunt operas, ginocchi, plerumque videmus, anche se si è coricati, spesso si cum iam destiterunt ea sensibus piegano e rilassano le loro forze. usurpare, Ancora, il sonno segue al pasto, relicuas tamen esse vias in mente perché i medesimi effetti patentis, dell'aria li produce anche il cibo, qua possint eadem rerum mentre in tutte le vene simulacra venire; si diffonde. E molto più di ogni per multos itaque illa dies eadem altro è pesante quel sopore obversantur che ti prende se sei sazio o ante oculos, etiam vigilantes ut stanco, perché più numerosi videantur elementi allora si sconvolgono, cernere saltantis et mollia membra travagliati dal grande sforzo. moventis Parimenti avvengono un più et citharae liquidum carmen profondo stiparsi di parte chordasque loquentis dell'anima auribus accipere et consessum e una più larga espulsione di cernere eundem un'altra parte all'esterno, scenaique simul varios splendere mentre all'interno essa è in sé decores. stessa più divisa e dispersa. usque adeo magni refert studium E l'attività alla quale ognuno di atque voluntas, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (54 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV et quibus in rebus consuerint esse operati non homines solum sed vero animalia cuncta. quippe videbis equos fortis, cum membra iacebunt, in somnis sudare tamen spirareque semper et quasi de palma summas contendere viris aut quasi carceribus patefactis [edere voces> venantumque canes in molli saepe quiete iactant crura tamen subito vocisque repente mittunt et crebro redducunt naribus auras. ut vestigia si teneant inventa ferarum, expergefactique secuntur inania saepe cervorum simulacra, fugae quasi dedita cernant, donec discussis redeant erroribus ad se. at consueta domi catulorum blanda propago discutere et corpus de terra corripere instant, [iactant crura tamen subito vocisque repente mittunt et crebro redducunt naribus auras ut vestigia si teneant inventa ferarum solito è attaccato e attende, o gli oggetti sui quali molto ci siamo prima intrattenuti e nell'occuparsi dei quali è stata più intenta la mente, in questi stessi per lo più nei sogni ci pare d'essere impegnati: gli avvocati credono di perorare cause e confrontare leggi, i generali di combattere e di impegnarsi nella battaglia, i naviganti di sostenere la lotta ingaggiata coi venti, e noi di compiere quest'opera e d'investigare sempre la natura e scoprirla ed esporla in pagine scritte nella lingua dei padri. Così tutte le altre attività e arti per lo più paiono nei sogni tenere prigionieri di fallaci immagini gli animi degli uomini. E chiunque per molti giorni continuamente fu presente e attento agli spettacoli, per lo più vediamo che, quando ha ormai cessato di percepirli coi sensi, conserva tuttavia aperte nella sua mente altre vie, per le quali possono entrare i medesimi simulacri. E così per molti giorni quelle stesse immagini si presentano davanti ai suoi occhi, sì che anche da sveglio crede di veder persone che danzano e muovono le flessibili membra, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (55 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV expergefactique secuntur inania e di percepire con le orecchie il saepe] limpido canto della cetra proinde quasi ignotas facies atque e la voce delle corde, e di vedere ora tuantur. gli stessi spettatori et quo quaeque magis sunt aspera e, insieme, lo splendere dei vari seminiorum, ornamenti della scena. tam magis in somnis eadem Tanto grande è l'importanza della saevire necessust. passione e del piacere at variae fugiunt volucres e delle occupazioni consuete, pinnisque repente non solo per gli uomini, ma anche sollicitant divom nocturno tempore per tutti gli animali. lucos, Vedrai infatti forti cavalli, le cui accipitres somno in leni si proelia membra giaceranno distese, pugnas tuttavia irrorarsi di sudore nel edere sunt persectantes visaeque sonno e ansar senza posa volantes. e tender le forze all'estremo, quasi porro hominum mentes, magnis fossero in gara per la vittoria, quae motibus edunt o le sbarre fossero state aperte † magna, itidem saepe in somnis ...... † faciuntque geruntque, E spesso i cani dei cacciatori, pur reges expugnant, capiuntur, mollemente addormentati, proelia miscent, tuttavia dimenano d'improvviso le tollunt clamorem, quasi si zampe e emettono d'un tratto iugulentur ibidem. latrati e aspirano frequentemente multi depugnant gemitusque con le nari l'aria, doloribus edunt come se avessero scoperto tracce et quasi pantherae morsu saevive di fiere e le seguissero; leonis e spesso, essendosi svegliati, mandantur, magnis clamoribus inseguono vane omnia complent. immagini di cervi, quasiché li multi de magnis per somnum vedessero lanciati nella fuga, rebus loquuntur finché, dissipati gli errori, indicioque sui facti persaepe fuere. ritornano in sé. multi mortem obeunt. multi, de Ma la carezzevole prole dei montibus altis cuccioli, avvezza a vita domestica, ut quasi praecipitent ad terram in fretta scuote via e solleva da corpore toto, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (56 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV exterruntur et ex somno quasi mentibus capti vix ad se redeunt permoti corporis aestu. flumen item sitiens aut fontem propter amoenum adsidet et totum prope faucibus occupat amnem. puri saepe lacum propter si ac dolia curta somno devincti credunt se extollere vestem, totius umorem saccatum corporis fundunt, cum Babylonica magnifico splendore rigantur. tum quibus aetatis freta primitus insinuatur semen, ubi ipsa dies membris matura creavit, conveniunt simulacra foris e corpore quoque, nuntia praeclari voltus pulchrique coloris, qui ciet inritans loca turgida semine multo, ut quasi transactis saepe omnibus rebus profundant fluminis ingentis fluctus vestemque cruentent. Sollicitatur id [in] nobis, quod diximus ante, semen, adulta aetas cum primum roborat artus. namque alias aliud res commovet atque lacessit; terra il corpo, quasiché vedesse figure e facce ignote. E quanto più una razza è feroce, tanto più nel sonno essa deve infuriare. Ma i variopinti uccelli fuggon via e, sbattendo le ali, d'un tratto turbano durante la notte i boschi sacri, se nel dolce sonno sembrò loro di vedere sparvieri dare battaglia e far zuffa perseguitandoli a volo. Inoltre le menti degli uomini, che con grandi movimenti producono grandi cose, spesso nei sogni le fanno e le svolgono parimenti: i re espugnano, son fatti prigionieri, si gettano nella mischia, emettono grida come se fossero scannati in quel punto stesso. Molti lottano all'ultimo sangue e mandano gemiti di dolore e, come se fossero dilaniati dai morsi d'una pantera o d'un feroce leone, riempiono tutto di grandi grida. Molti nel sonno parlano di cose gravi, e così parecchi denunziarono proprie colpe. Molti affrontano la morte. Molti, come se da alti monti precipitassero a terra con tutto il peso del corpo, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (57 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV ex homine humanum semen ciet una hominis vis. quod simul atque suis eiectum sedibus exit, per membra atque artus decedit corpore toto, in loca conveniens nervorum certa cietque continuo partis genitalis corporis ipsas. inritata tument loca semine fitque voluntas eicere id quo se contendit dira lubido, [incitat inritans loca turgida semine multo] idque petit corpus, mens unde est saucia amore; namque omnes plerumque cadunt in vulnus et illam emicat in partem sanguis, unde icimur ictu, et si comminus est, hostem ruber occupat umor. sic igitur Veneris qui telis accipit ictus, sive puer membris muliebribus hunc iaculatur seu mulier toto iactans e corpore amorem, unde feritur, eo tendit gestitque coire t iacere umorem in corpus de corpore ductum; namque voluptatem praesagit muta cupido. Haec Venus est nobis; hinc sono sconvolti dalla paura e, destandosi, come mentecatti a stento tornano in sé, perturbati dal rimescolìo del corpo. Similmente, un assetato si siede presso un corso d'acqua o un'amena sorgente e con le fauci ingoia quasi tutto il fiume. Spesso persone pudiche, se avvinte dal sonno credono di sollevare la veste davanti a una latrina o a un vaso da notte, spandono il liquido filtrato attraverso tutto il corpo, e le coperte babilonesi, dal magnifico splendore, ne sono bagnate. E a quelli cui pei canali adolescenti la prima volta s'insinua il seme, quel giorno stesso della maturazione che l'ha prodotto nelle membra, arrivano di fuori simulacri emessi da vari corpi, nunzi di uno splendido volto e di un bel colorito, che stimola ed eccita le parti turgide di molto seme, sì che spesso, come se tutto avessero compiuto, spandono larghi fiotti di liquido e imbrattano la veste. Si agita ‹in› noi questo seme, di cui ho parlato prima, appena l'adolescenza rafforza le membra. Giacché diverse cause eccitano e http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (58 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV autemst nomen Amoris, hinc illaec primum Veneris dulcedinis in cor stillavit gutta et successit frigida cura; nam si abest quod ames, praesto simulacra tamen sunt illius et nomen dulce obversatur ad auris. sed fugitare decet simulacra et pabula amoris absterrere sibi atque alio convertere mentem et iacere umorem coniectum in corpora quaeque nec retinere semel conversum unius amore et servare sibi curam certumque dolorem; ulcus enim vivescit et inveterascit alendo inque dies gliscit furor atque aerumna gravescit, si non prima novis conturbes volnera plagis volgivagaque vagus Venere ante recentia cures aut alio possis animi traducere motus. Nec Veneris fructu caret is qui vitat amorem, sed potius quae sunt sine poena commoda sumit; nam certe purast sanis magis inde voluptas quam miseris; etenim potiundi provocano diversi oggetti: dall'uomo, solo l'attrattiva dell'uomo fa scaturire il seme umano. E appena questo, emesso dalle sue sedi, esce, attraverso le membra e le giunture si ritira da tutto il corpo, raccogliendosi in determinate regioni nervose, e immediatamente eccita proprio gli organi genitali. Le parti stimolate inturgidiscono di seme e nasce la voglia di emetterlo là verso dove è protesa la furente brama, e il corpo cerca quello da cui la mente è ferita d'amore. Giacché tutti solitamente cadono sulla ferita, e il sangue spiccia in quella direzione da cui è giunto il colpo e, se il nemico è vicino, il rosso liquido lo copre. Così, dunque, chi riceve i colpi dai dardi di Venere, lo trafigga un fanciullo di membra femminee o una donna che da tutto il corpo irraggi amore, tende verso là donde è ferito, e anela a congiungersi, e in quel corpo spandere l'umore tratto dal corpo. Ché il muto desiderio presagisce il piacere. Questa è Venere per noi; e di qui http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (59 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV tempore in ipso fluctuat incertis erroribus ardor amantum nec constat quid primum oculis manibusque fruantur. quod petiere, premunt arte faciuntque dolorem corporis et dentes inlidunt saepe labellis osculaque adfigunt, quia non est pura voluptas et stimuli subsunt, qui instigant laedere id ipsum, quod cumque est, rabies unde illaec germina surgunt. sed leviter poenas frangit Venus inter amorem blandaque refrenat morsus admixta voluptas. namque in eo spes est, unde est ardoris origo, restingui quoque posse ab eodem corpore flammam. quod fieri contra totum natura repugnat; unaque res haec est, cuius quam plurima habemus, tam magis ardescit dira cuppedine pectus. nam cibus atque umor membris adsumitur intus; quae quoniam certas possunt obsidere partis, hoc facile expletur laticum frugumque cupido. ex hominis vero facie pulchroque colore viene il nome di amore, di qui quella goccia della dolcezza di Venere stillò prima nel cuore, e le susseguì il gelido affanno. Infatti, se è assente l'oggetto del tuo amore, son tuttavia presenti le sue immagini, e il dolce nome non abbandona le tue orecchie. Ma conviene fuggire quelle immagini e respingere via da sé ciò che alimenta l'amore e volgere la mente ad altro oggetto e spandere in altri corpi, quali che siano, l'umore raccolto, e non trattenerlo essendo rivolto una volta per sempre all'amore d'una persona sola, e così riservare a sé stesso affanno e sicuro dolore. Giacché la piaga s'inacerbisce e incancrenisce, a nutrirla, e di giorno in giorno la follia aumenta e la sofferenza s'aggrava, se non scacci con nuove piaghe le prime ferite, e non le curi vagando con Venere vagabonda mentre sono ancora fresche, o trovi modo di rivolgere altrove i moti dell'animo. Né dei frutti di Venere è privo colui che evita l'amore, ma piuttosto coglie le gioie che sono senza pena. Giacché certo agli assennati ne http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (60 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV nil datur in corpus praeter simulacra fruendum tenvia; quae vento spes raptast saepe misella. ut bibere in somnis sitiens quom quaerit et umor non datur, ardorem qui membris stinguere possit, sed laticum simulacra petit frustraque laborat in medioque sitit torrenti flumine potans, sic in amore Venus simulacris ludit amantis, nec satiare queunt spectando corpora coram nec manibus quicquam teneris abradere membris possunt errantes incerti corpore toto. denique cum membris conlatis flore fruuntur aetatis, iam cum praesagit gaudia corpus atque in eost Venus ut muliebria conserat arva, adfigunt avide corpus iunguntque salivas oris et inspirant pressantes dentibus ora, ne quiquam, quoniam nihil inde abradere possunt nec penetrare et abire in corpus corpore toto; nam facere inter dum velle et certare videntur. viene un piacere più puro che ai malati d'amore. Infatti nel momento stesso del possedere fluttua ed erra incerto l'ardore degli amanti, né sanno che cosa debbano prima godere con gli occhi e le mani. Quel che hanno desiderato, lo premono strettamente, e fanno male al corpo, e spesso infiggono i denti nelle labbra, e urtano bocca con bocca nei baci, perché non è puro il piacere e assilli occulti li stimolano a ferire l'oggetto stesso, quale che sia, da cui sorgono quei germi di furore. Ma lievemente attenua le pene Venere nell'atto di amore e il carezzevole piacere, commisto, raffrena i morsi. Giacché in ciò è la speranza: che dallo stesso corpo da cui è nato l'ardore, possa anche essere estinta la fiamma. Ma la natura oppone che ciò avviene tutto al contrario; e questa è l'unica cosa per cui, quanto più ne possediamo, tanto più il petto riarde d'una crudele brama. Difatti cibo e bevanda sono assorbiti dentro le membra; e poiché possono occupare determinate parti, perciò la sete e la fame si saziano facilmente. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (61 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV usque adeo cupide in Veneris compagibus haerent, membra voluptatis dum vi labefacta liquescunt. tandem ubi se erupit nervis coniecta cupido, parva fit ardoris violenti pausa parumper. inde redit rabies eadem et furor ille revisit, cum sibi quod cupiant ipsi contingere quaerunt, nec reperire malum id possunt quae machina vincat. usque adeo incerti tabescunt volnere caeco. Adde quod absumunt viris pereuntque labore, adde quod alterius sub nutu degitur aetas, languent officia atque aegrotat fama vacillans. labitur interea res et Babylonia fiunt unguenta et pulchra in pedibus Sicyonia rident, scilicet et grandes viridi cum luce zmaragdi auro includuntur teriturque thalassina vestis adsidue et Veneris sudorem exercita potat. et bene parta patrum fiunt anademata, mitrae, inter dum in pallam atque Alidensia Ciaque vertunt. eximia veste et victu convivia, Ma di una faccia umana e di un bel colorito nulla, di cui si possa godere, penetra nel corpo, tranne tenui simulacri, che spesso trascinano la mente con una misera speranza. Come quando in sogno un assetato cerca di bere e non gli è data bevanda che nelle membra possa estinguere l'arsura, ma a simulacri di acque aspira e invano si travaglia e in mezzo a un fiume impetuoso bevendo patisce la sete, così in amore Venere con simulacri illude gli amanti, né possono saziare i propri corpi contemplando corpi pur vicini, né sono in grado di strappar via qualcosa dalle tenere membra con le mani errando incerti su per tutto il corpo. E quando, alfine, congiunte le membra, si godono il fiore di giovinezza, quando il corpo già presagisce il piacere, e Venere è sul punto di effondere il seme nel femmineo campo, s'avvinghiano avidamente al corpo e mischiano le salive bocca a bocca, e ansano, premendo coi denti le labbra; ma invano; perché non possono strapparne nulla, né penetrare e perdersi nell'altro http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (62 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV corpo con tutto il corpo; ludi, pocula crebra, unguenta, coronae, infatti sembra talora che vogliano farlo e che per questo lottino: serta parantur, tanto ardentemente si tengono ne quiquam, quoniam medio de avvinti nelle strette di Venere, fonte leporum surgit amari aliquid, quod in ipsis finché le membra si sciolgono, sfinite dalla forza del piacere. floribus angat, aut cum conscius ipse animus se Infine, quando il desiderio costretto nei nervi ha trovato forte remordet desidiose agere aetatem lustrisque sfogo, segue una piccola pausa perire, dell'ardore violento, per poco. aut quod in ambiguo verbum Quindi torna la stessa rabbia, e di iaculata reliquit, quod cupido adfixum cordi vivescit nuovo li invade quel furore, quando essi stessi non sanno ciò ut ignis, aut nimium iactare oculos aliumve che bramano ottenere, né sono in grado di trovare che tueri mezzo possa vincere quel male: quod putat in voltuque videt in tanta incertezza si consumano vestigia risus. per una piaga nascosta. Atque in amore mala haec Aggiungi che sciupano le forze e si proprio summeque secundo inveniuntur; in adverso vero atque struggono nel travaglio; aggiungi che si trascorre la vita al inopi sunt, cenno di un'altra persona. prendere quae possis oculorum Son trascurati i doveri, e ne soffre lumine operto. il buon nome e vacilla. innumerabilia; ut melius vigilare Frattanto il patrimonio si dilegua, sit ante, qua docui ratione, cavereque, ne e si converte in profumi babilonesi, e bei sandali di Sicione inliciaris. ai piedi ridono, nam vitare, plagas in amoris ne s'intende, e grandi smeraldi con la iaciamur, non ita difficile est quam captum verde luce sono incastonati nell'oro, e la retibus ipsis veste color di mare è consunta exire et validos Veneris assiduamente, e maltrattata beve perrumpere nodos. et tamen implicitus quoque possis il sudore di Venere; e i beni ben guadagnati dai padri http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (63 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV inque peditus effugere infestum, nisi tute tibi obvius obstes et praetermittas animi vitia omnia primum aut quae corporis sunt eius, quam praepetis ac vis. nam faciunt homines plerumque cupidine caeci et tribuunt ea quae non sunt his commoda vere. multimodis igitur pravas turpisque videmus esse in deliciis summoque in honore vigere. atque alios alii inrident Veneremque suadent ut placent, quoniam foedo adflictentur amore, nec sua respiciunt miseri mala maxima saepe. nigra melichrus est, inmunda et fetida acosmos, caesia Palladium, nervosa et lignea dorcas, parvula, pumilio, chariton mia, tota merum sal, magna atque inmanis cataplexis plenaque honoris. balba loqui non quit, traulizi, muta pudens est; at flagrans, odiosa, loquacula Lampadium fit. ischnon eromenion tum fit, cum vivere non quit prae macie; rhadine verost iam mortua tussi. diventano bende, diademi, talora si cangiano in un mantello femminile e in tessuti di Alinda e di Ceo. S'apparecchiano conviti con splendide tovaglie e vivande, giochi, coppe senza risparmio, unguenti, corone, serti, ma invano, perché di mezzo alla fonte delle delizie sorge qualcosa di amaro che pur tra i fiori angoscia, o quando per caso l'animo conscio s'angustia per il rimorso d'una vita trascorsa nell'inerzia e perduta nelle orge, o perché lei ha lanciato, lasciandone in dubbio il senso, una parola, che confitta nel cuore appassionato divampa come fuoco, o perché gli sembra che troppo lei occhieggi o che il suo sguardo sia attratto da un altro, e nel suo volto vede le tracce d'un sorriso. E questi mali si trovano in un amore che dura ed è felice al più alto grado; ma, se è infelice e senza speranza, ci sono mali che puoi cogliere anche ad occhi chiusi, innumerevoli; sì che è meglio stare prima all'erta, come ho insegnato, e guardarsi dall'essere adescati. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (64 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV at nimia et mammosa Ceres est ipsa ab Iaccho, simula Silena ac Saturast, labeosa philema. cetera de genere hoc longum est si dicere coner. sed tamen esto iam quantovis oris honore, cui Veneris membris vis omnibus exoriatur; nempe aliae quoque sunt; nempe hac sine viximus ante; nempe eadem facit et scimus facere omnia turpi et miseram taetris se suffit odoribus ipsa, quam famulae longe fugitant furtimque cachinnant. at lacrimans exclusus amator limina saepe floribus et sertis operit postisque superbos unguit amaracino et foribus miser oscula figit; quem si iam ammissum venientem offenderit aura una modo, causas abeundi quaerat honestas et meditata diu cadat alte sumpta querella stultitiaque ibi se damnet, tribuisse quod illi plus videat quam mortali concedere par est. nec Veneres nostras hoc fallit; quo magis ipsae Difatti evitare di cadere nei lacci d'amore non è così difficile come districarsi, una volta presi in mezzo alle reti, e forzare i possenti nodi di Venere. E tuttavia, anche avviluppato e inceppato, potresti sfuggire all'insidia, se proprio tu non opponessi ostacoli a te stesso, e non ti celassi in primo luogo tutti i difetti dell'animo o quelli del corpo di colei che prediligi e desideri. Questo infatti fanno per lo più gli uomini ciechi di passione, e attribuiscono alle amate pregi ch'esse non posseggono davvero. Così vediamo che donne in molti modi deformi e laide sono adorate e godono del più alto onore. E poi s'irridono a vicenda, e l'uno invita l'altro a placare Venere, perché lo affligge un brutto amore, e spesso non scorge, l'infelice, i propri mali, che sono i più grandi. La nera "ha il colore del miele", la sudicia e fetida è "disadorna", se ha occhi verdastri è "l'immagine di Pallade", se è nervosa e secca è "una gazzella", la piccoletta, la nanerottola, è "una delle Grazie", è "tutta puro sale", la corpulenta e smisurata è "un http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (65 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV omnia summo opere hos vitae poscaenia celant, quos retinere volunt adstrictosque esse in amore, ne quiquam, quoniam tu animo tamen omnia possis protrahere in lucem atque omnis inquirere risus et, si bello animost et non odiosa, vicissim praetermittere [et] humanis concedere rebus. Nec mulier semper ficto suspirat amore, quae conplexa viri corpus cum corpore iungit et tenet adsuctis umectans oscula labris; nam facit ex animo saepe et communia quaerens gaudia sollicitat spatium decurrere amoris. nec ratione alia volucres armenta feraeque et pecudes et equae maribus subsidere possent, si non, ipsa quod illarum subat, ardet abundans natura et Venerem salientum laeta retractat. nonne vides etiam quos mutua saepe voluptas vinxit, ut in vinclis communibus excrucientur, in triviis cum saepe canes discedere aventis divorsi cupide summis ex viribus prodigio" ed è "piena di maestà". La balbuziente, che non può parlare, "cinguetta", la muta è "pudica"; e l'irruente, odiosa, linguacciuta è "tutta fuoco". Diventa "un sottile amorino", quando non può vivere per la consunzione; se poi è già morta di tosse, è "delicata". E la turgida e popputa è "Cerere stessa dopo aver partorito Bacco", la camusa è "una Silena" e "una Satira", la labbrona è "un bacio". Troppo mi dilungherei, se tentassi di dire tutte le altre cose di questa specie. Ma tuttavia sia pure bella in volto quanto vuoi, sia tale che da tutte le sue membra promani il potere di Venere: certo ce ne sono anche altre; certo senza di lei siamo vissuti per l'addietro, certo ella fa in tutto, e noi sappiamo che le fa, le stesse cose che fa la brutta, e da sé stessa, misera, s'appesta di odori nauseanti: fuggono allora le ancelle lontano da lei e furtivamente sghignazzano. Ma l'amante escluso, piangendo, spesso copre di fiori e ghirlande la soglia, e profuma di maggiorana http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (66 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV tendunt, quom interea validis Veneris compagibus haerent? quod facerent numquam, nisi mutua gaudia nossent, quae iacere in fraudem possent vinctosque tenere. quare etiam atque etiam, ut dico, est communis voluptas. Et commiscendo quom semine forte virilem femina vim vicit subita vi corripuitque, tum similes matrum materno semine fiunt, ut patribus patrio. sed quos utriusque figurae esse vides, iuxtim miscentes vulta parentum, corpore de patrio et materno sanguine crescunt, semina cum Veneris stimulis excita per artus obvia conflixit conspirans mutuus ardor, et neque utrum superavit eorum nec superatumst. fit quoque ut inter dum similes existere avorum possint et referant proavorum saepe figuras, propterea quia multa modis primordia multis mixta suo celant in corpore saepe parentis, quae patribus patres tradunt a la porta superba, e addolorato imprime baci sui battenti; ma se, alfine ricevuto, lo investisse nell'entrare una sola di quelle esalazioni, cercherebbe speciosi pretesti per andar via, e cadrebbe il lamento, a lungo meditato, ripreso da lontano, e in quel punto egli si taccerebbe di stoltezza, perché vedrebbe d'avere attribuito a lei più di quanto conviene concedere a una mortale. Né questo sfugge alle nostre Veneri; perciò tanto più esse celano con la massima cura tutti i retroscena della vita a costoro che vogliono tenere saldamente avvinti nei vincoli d'amore, ma invano, perché tu con la mente hai pur sempre il potere di trarli tutti alla luce e di scrutare tutto ciò che può essere oggetto di riso, e, se lei è di animo amabile e non è odiosa, a tua volta puoi lasciar correre ‹e› perdonare all'umana limitatezza. Né sempre di finto amore sospira la donna, quando, abbracciando il corpo dell'amante, col proprio corpo lo congiunge, e lo tiene avvinto, dando umidi baci sulle labbra che sugge. Difatti spesso lo fa di cuore e, cercando condivisi piaceri, lo stimola a raggiungere la http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (67 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV stirpe profecta. inde Venus varia producit sorte figuras, maiorumque refert voltus vocesque comasque; quandoquidem nihilo magis haec [de] semine certo fiunt quam facies et corpora membraque nobis. et muliebre oritur patrio de semine saeclum maternoque mares existunt corpore creti; semper enim partus duplici de semine constat, atque utri similest magis id quod cumque creatur, eius habet plus parte aequa; quod cernere possis, sive virum suboles sivest muliebris origo. Nec divina satum genitalem numina cuiquam absterrent, pater a gnatis ne dulcibus umquam appelletur et ut sterili Venere exigat aevom; quod plerumque putant et multo sanguine maesti conspergunt aras adolentque altaria donis, ut gravidas reddant uxores semine largo; ne quiquam divom numen sortisque fatigant; nam steriles nimium crasso sunt semine partim, meta dell'amore. Non potrebbero altrimenti gli uccelli, gli armenti e le fiere e le greggi e le cavalle sottomettersi ai maschi, se la stessa natura loro non entrasse in calore, non ardesse traboccando e non rispondesse con gioia alla Venere di quelli che dan loro l'assalto. Non vedi anche come quelli che vicendevole piacere ha avvinti, spesso nei legami comuni si travagliano? Quanto spesso nei trivi i cani, anelando a distaccarsi, bramosamente tirano con tutte le forze in direzioni opposte, mentre restano tuttavia stretti nei possenti lacci di Venere! Questo non lo farebbero mai, se non conoscessero mutui piaceri, capaci di farli cadere nella rete e tenerli avvinti. Dunque, ancora e ancora, come dico, il piacere è condiviso. E quando, nel frammischiarsi dei semi, per avventura la femmina con sùbita forza ha vinto e travolto la forza del maschio, allora i figli nascono simili alle madri per effetto del seme materno, come ai padri per il seme paterno. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (68 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV et liquido praeter iustum tenuique Ma quelli che vedi partecipi d'ambedue gli aspetti, vicissim. mescolare, l'uno accosto all'altro, tenve locis quia non potis est i volti dei genitori, crescono dal adfigere adhaesum, corpo paterno e dal sangue liquitur extemplo et revocatum materno, cedit abortu. quando il concorde, mutuo ardore crassius hinc porro quoniam ha spinto a incontrarsi concretius aequo i semi eccitati per le membra dagli mittitur, aut non tam prolixo stimoli di Venere, provolat ictu aut penetrare locos aeque nequit e nessuno dei due ha vinto, né è stato vinto. aut penetratum aegre admiscetur muliebri semine Avviene anche talora che possano nascere figli simili agli avi, semen. e spesso riproducano gli aspetti nam multum harmoniae Veneris dei bisavoli, differre videntur. atque alias alii complent magis ex perché spesso i genitori celano nel proprio corpo aliisque molti principi mescolati in molti succipiunt aliae pondus magis modi, che, provenienti inque gravescunt. et multae steriles Hymenaeis ante dal ceppo originario, son trasmessi da padri ad altri padri: fuerunt pluribus et nactae post sunt tamen così Venere con varia sorte forma gli aspetti unde puellos e riproduce i volti e le voci e i suscipere et partu possent capelli degli antenati; ditescere dulci. giacché questi sono creati in noi et quibus ante domi fecundae ‹da› semi determinati, saepe nequissent non meno che le facce e i corpi e uxoris parere, inventast illis le membra. quoque compar natura, ut possent gnatis munire E figlie femmine sorgono dal seme paterno senectam. e maschi nascono plasmati dal usque adeo magni refert, ut corpo materno. semina possint seminibus commisceri genitaliter Sempre infatti il parto è prodotto da duplice seme, apta e quello dei due cui più http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (69 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV crassaque conveniant liquidis et liquida crassis. atque in eo refert quo victu vita colatur; namque aliis rebus concrescunt semina membris atque aliis extenvantur tabentque vicissim. et quibus ipsa modis tractetur blanda voluptas. id quoque permagni refert; nam more ferarum quadrupedumque magis ritu plerumque putantur concipere uxores, quia sic loca sumere possunt pectoribus positis sublatis semina lumbis. nec molles opus sunt motus uxoribus hilum. nam mulier prohibet se concipere atque repugnat, clunibus ipsa viri Venerem si laeta retractat atque exossato ciet omni pectore fluctus; eicit enim sulcum recta regione viaque vomeris atque locis avertit seminis ictum. idque sua causa consuerunt scorta moveri, ne complerentur crebro gravidaeque iacerent, et simul ipsa viris Venus ut concinnior esset; coniugibus quod nil nostris opus rassomiglia chi vien procreato, è lui che ha dato la parte più grande; come puoi scorgere, si tratti di maschio rampollo o di prole femminile. Né divine potenze rifiutano ad alcuno il seme generativo, perché non venga mai chiamato padre dai dolci nati e in sterili amori trascorra l'esistenza; come credono sovente gli uomini, e mesti cospargono di molto sangue le are e bruciano offerte sugli altari, perché possano far gravide le mogli con seme abbondante. Invano affaticano la potenza degli dèi e gli oracoli. Giacché sterili sono, parte a causa di seme troppo denso, altri, per contro, perché il seme è liquido e sottile più del giusto. Il sottile, poiché non può fissare la sua aderenza alle parti, sùbito scorre via e torna indietro senza fecondare. Il seme troppo denso, inoltre, poiché per quegli altri nell'emissione è più tenace del giusto, o non vola via con lancio abbastanza lungo, o non può penetrare egualmente nelle parti, o, sebbene sia penetrato, si mescola a stento col seme femminile. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (70 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV esse videtur. Nec divinitus inter dum Venerisque sagittis deteriore fit ut forma muliercula ametur; nam facit ipsa suis inter dum femina factis morigerisque modis et munde corpore culto, ut facile insuescat secum [te] degere vitam. quod super est, consuetudo concinnat amorem; nam leviter quamvis quod crebro tunditur ictu, vincitur in longo spatio tamen atque labascit. nonne vides etiam guttas in saxa cadentis umoris longo in spatio pertundere saxa? Si vede infatti che molto differiscono le armonie di Venere. E alcuni più fan pregne alcune donne, e da altri meglio altre accolgono il peso e diventano gravide. E molte furono per l'addietro sterili in più matrimoni e tuttavia alfine trovarono l'uomo dal quale poterono generare fanciullini e arricchirsi di dolce parto. E spesso anche per uomini, cui prima nella casa le mogli, benché feconde, non avevano potuto partorire, fu trovata la natura confacente, sì che poterono munire di figli la vecchiaia. A tal punto importa che i semi possano mischiarsi coi semi in un modo atto alla generazione, e che i densi s'uniscano coi liquidi e i liquidi coi densi. E in ciò ha importanza con quale vitto la vita si sostenti; e infatti per alcuni cibi s'ingrossano i semi nelle membra e per altri, al contrario, si assottigliano e si struggono. E in quali modi si goda lo stesso carezzevole piacere, è anche cosa di grande importanza; difatti si crede per lo più che nella positura delle fiere e alla http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (71 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV maniera dei quadrupedi le mogli concepiscano meglio, perché così i semi possono raggiungere le proprie sedi, quando il petto è chinato e son sollevati i fianchi. Né le mogli han punto bisogno di movimenti voluttuosi. Giacché la donna s'impedisce di concepire e contrasta, se godendo risponde essa stessa con le anche alla Venere dell'uomo e con tutto il petto che s'agita flessuoso provoca il fiotto: infatti scosta il solco dal retto percorso del vomere e svia dalle sue sedi il getto del seme. E così son solite agitarsi le meretrici per propria utilità, per non essere fatte pregne sovente e giacer gravide, e insieme perché l'atto stesso di Venere sia agli uomini più grato; ma di ciò è evidente che le nostre spose non hanno bisogno. E non avviene per volere divino talora o per le saette di Venere che una donnetta di aspetto meno leggiadro sia amata. Giacché la donna stessa talvolta, col suo fare e coi modi compiacenti e col corpo finemente curato, riesce ad avvezzar‹ti› facilmente a trascorrere la vita con lei. Del resto, la consuetudine fa http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (72 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber IV nascere l'amore; giacché ciò che è percosso da colpi continui, benché lievi, tuttavia in lungo tratto di tempo è vinto e cede. Non vedi come anche le gocce d'acqua che cadono sopra le rocce, in lungo tratto di tempo bucano le rocce? (Ll) http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/4.htm (73 of 73) [07/08/2003 21.41.35] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V De Rerum Natura - Liber V Quis potis est dignum pollenti pectore carmen condere pro rerum maiestate hisque repertis? quisve valet verbis tantum, qui fingere laudes pro meritis eius possit, qui talia nobis pectore parta suo quaesitaque praemia liquit? nemo, ut opinor, erit mortali corpore cretus. nam si, ut ipsa petit maiestas cognita rerum, dicendum est, deus ille fuit, deus, inclyte Memmi, qui princeps vitae rationem invenit eam quae nunc appellatur sapientia, quique per artem fluctibus et tantis vitam tantisque tenebris in tam tranquillo et tam clara luce locavit. confer enim divina aliorum antiqua reperta. namque Ceres fertur fruges Liberque liquoris vitigeni laticem mortalibus instituisse; cum tamen his posset sine rebus vita manere, ut fama est aliquas etiam nunc vivere gentis. Chi può con mente possente comporre un canto degno della maestà delle cose e di queste scoperte? O chi vale con la parola tanto da poter foggiare lodi che siano all'altezza dei meriti di colui che ci lasciò tali doni, cercati ‹e› trovati dalla sua mente? Nessuno, io credo, fra i nati da corpo mortale. Infatti, se si deve parlare come richiede la conosciuta maestà delle cose, un dio fu, un dio, o nobile Memmio, colui che primo scoperse quella regola di vita che ora è chiamata sapienza, e con la scienza portò la vita da flutti così grandi e da così grandi tenebre in tanta tranquillità e in tanto chiara luce. Confronta, infatti, le divine scoperte che altri fecero in antico. E in effetti si narra che Cerere le messi e Libero la bevanda prodotta col succo della vite abbian fatto conoscere ai mortali; eppure la vita avrebbe potuto durare senza queste cose, come è fama che alcune genti vivano tuttora. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (1 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V at bene non poterat sine puro pectore vivi; quo magis hic merito nobis deus esse videtur, ex quo nunc etiam per magnas didita gentis dulcia permulcent animos solacia vitae. Herculis antistare autem si facta putabis, longius a vera multo ratione ferere. quid Nemeaeus enim nobis nunc magnus hiatus ille leonis obesset et horrens Arcadius sus, tanto opere officerent nobis Stymphala colentes? denique quid Cretae taurus Lernaeaque pestis hydra venenatis posset vallata colubris? quidve tripectora tergemini vis Geryonai et Diomedis equi spirantes naribus ignem Thracia Bistoniasque plagas atque Ismara propter aureaque Hesperidum servans fulgentia mala, asper, acerba tuens, immani corpore serpens arboris amplexus stirpes? quid denique obesset propter Atlanteum litus pelagique severa, quo neque noster adit quisquam Ma vivere bene non si poteva senza mente pura; quindi a maggior ragione ci appare un dio questi per opera del quale anche ora, diffuse tra le grandi nazioni, le dolci consolazioni della vita placano gli animi. E se crederai che le gesta di Ercole siano superiori, andrai molto più lontano dalla verità. Quale danno, infatti, a noi ora potrebbero recare le grandi fauci del leone nemeo e l'ispido cinghiale d'Arcadia? E ancora, che potrebbero fare il toro di Creta e il flagello di Lerna, l'idra cinta di un baluardo di velenosi serpenti? Che mai, coi suoi tre petti, la forza del triplice Gerione * tanto danno farebbero a noi ‹gli uccelli› abitatori ‹del lago› di Stinfalo e i cavalli del tracio Diomede che dalle froge spiravano fuoco, presso le contrade bistonie e l'Ismaro? E il guardiano delle auree fulgide mele delle Esperidi, il feroce serpente, che torvo guatava, con l'immane corpo avvolto intorno al tronco dell'albero, che danno alfine farebbe, lì, presso il lido di Atlante e le http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (2 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V nec barbarus audet? severe distese del mare, cetera de genere hoc quae sunt dove nessuno di noi si spinge, né portenta perempta, alcun barbaro s'avventura? si non victa forent, quid tandem E tutti gli altri mostri di questo viva nocerent? genere che furono sterminati, nil, ut opinor: ita ad satiatem terra se non fossero stati vinti, in che, ferarum di grazia, nocerebbero vivi? nunc etiam scatit et trepido In nulla, io credo: a tal punto la terrore repleta est terra tuttora per nemora ac montes magnos pullula di fiere a sazietà, ed è silvasque profundas; piena di trepido terrore, quae loca vitandi plerumque est per boschi e monti grandi e selve nostra potestas. profonde; at nisi purgatumst pectus, quae luoghi che per lo più è in nostro proelia nobis potere evitare. atque pericula tumst ingratis Ma, se non è purificato l'animo, in insinuandum! quali battaglie quantae tum scindunt hominem e pericoli dobbiamo allora a cuppedinis acres malincuore inoltrarci! sollicitum curae quantique perinde Che acuti assilli di desiderio allora timores! dilaniano quidve superbia spurcitia ac l'uomo angosciato e, insieme, che petulantia? quantas timori! efficiunt clades! quid luxus E la superbia, la sordida avarizia e desidiaeque? l'insolenza? haec igitur qui cuncta subegerit ex Quali rovine producono! E il lusso animoque e la pigrizia? expulerit dictis, non armis, nonne L'uomo, dunque, che ha decebit soggiogato tutti questi mali hunc hominem numero divom e li ha scacciati dall'animo coi dignarier esse? detti, non con le armi, cum bene praesertim multa ac non converrà stimarlo degno divinitus ipsis d'essere annoverato fra gli dèi? iam mortalibus e divis dare dicta Tanto più che bene e divinamente suerit egli fu solito proferire atque omnem rerum naturam molti detti sugli stessi dèi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (3 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V pandere dictis. immortali Cuius ego ingressus vestigia e coi suoi detti rivelare tutta la dum rationes natura. persequor ac doceo dictis, quo Sull'orme sue io cammino e, quaeque creata mentre seguo foedere sint, in eo quam sit durare i suoi ragionamenti e con le mie necessum parole insegno con che norma nec validas valeant aevi rescindere tutte le cose siano state create, leges, come debbano in essa permanere quo genere in primis animi natura e non possano spezzare le reperta est possenti leggi del tempo nativo primum consistere corpore e così anzitutto si è trovato che la creta, natura dell'animo nec posse incolumem magnum è in primo luogo generata e durare per aevum, costituita di corpo che nasce, sed simulacra solere in somnis ed è incapace di durare incolume fallere mentem, per gran tratto di tempo, cernere cum videamur eum quem e sono solo simulacri quelli che nei vita reliquit, sogni sogliono ingannare quod super est, nunc huc rationis la mente, quando ci pare di vedere detulit ordo, colui che la vita ha lasciato ut mihi mortali consistere corpore per quel che resta, ora l'ordine mundum della dottrina mi ha condotto nativomque simul ratio reddunda a questo punto, che io devo sit esse; spiegare come il mondo consista et quibus ille modis congressus di un corpo mortale e insieme ha materiai avuto una nascita; fundarit terram caelum mare e in quali modi quel concorso di sidera solem materia abbia costituito lunaique globum; tum quae tellure le fondamenta di terra, cielo, animantes mare, astri, sole extiterint, et quae nullo sint e del globo lunare; poi quali esseri tempore natae; viventi siano sorti quove modo genus humanum dalla terra, e quali non siano nati variante loquella in alcun tempo; coeperit inter se vesci per nomina e in che modo il genere umano rerum; abbia cominciato a usare http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (4 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V et quibus ille modis divom metus insinuarit pectora, terrarum qui in orbi sancta tuetur fana lacus lucos aras simulacraque divom. praeterea solis cursus lunaeque meatus expediam qua vi flectat natura gubernans; ne forte haec inter caelum terramque reamur libera sponte sua cursus lustrare perennis, morigera ad fruges augendas atque animantis, neve aliqua divom volvi ratione putemus. nam bene qui didicere deos securum agere aevom, si tamen interea mirantur qua ratione quaeque geri possint, praesertim rebus in illis quae supera caput aetheriis cernuntur in oris, rursus in antiquas referuntur religiones et dominos acris adsciscunt, omnia posse quos miseri credunt, ignari quid queat esse, quid nequeat, finita potestas denique cuique qua nam sit ratione atque alte terminus haerens. nei reciproci rapporti il vario linguaggio mediante i nomi attribuiti alle cose; e in quali modi si sia insinuato negli animi quel timore degli dèi, che su tutta la terra consacra e conserva templi, laghi, boschi, altari e simulacri di dèi. Inoltre spiegherò con quale forza la natura, che li governa, volga i corsi del sole e i movimenti della luna; perché non ci avvenga di credere che tra cielo e terra questi percorrano liberi, spontaneamente, i corsi perenni per favorire la crescita delle messi e degli esseri viventi, né crediamo che girino secondo qualche disegno divino. Difatti chi bene ha appreso che gli dèi conducono una vita serena, se tuttavia frattanto si chiede stupito in che modo ogni cosa possa svolgersi, specialmente fra quelle cose che sopra il nostro capo si vedono nelle plaghe eteree, nuovamente ricade nelle antiche superstizioni e accetta padroni dispotici, e nella sua miseria li crede onnipotenti, ignorando che cosa possa essere, che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosa http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (5 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V Quod super est, ne te in promissis plura moremur, principio maria ac terras caelumque tuere; quorum naturam triplicem, tria corpora, Memmi, tris species tam dissimilis, tria talia texta, una dies dabit exitio, multosque per annos sustentata ruet moles et machina mundi. nec me animi fallit quam res nova miraque menti accidat exitium caeli terraeque futurum, et quam difficile id mihi sit pervincere dictis; ut fit ubi insolitam rem adportes auribus ante nec tamen hanc possis oculorum subdere visu nec iacere indu manus, via qua munita fidei proxima fert humanum in pectus templaque mentis. sed tamen effabor. dictis dabit ipsa fidem res forsitan et graviter terrarum motibus ortis omnia conquassari in parvo tempore cernes. quod procul a nobis flectat fortuna gubernans, et ratio potius quam res persuadeat ipsa succidere horrisono posse omnia abbia un potere finito e un termine, profondamente confitto. Del resto, perché non ti tratteniamo più a lungo con promesse, contempla anzitutto i mari e le terre e il cielo: la loro triplice natura, i loro tre corpi, o Memmio, i tre aspetti tanto dissimili, le tre compagini così connesse, li darà in preda alla rovina un solo giorno e, dopo essersi sostenuta per molti anni, precipiterà l'immane macchina del mondo. Né al mio pensiero sfugge quanto alla mente giunga nuova e mirabile cosa la futura rovina del cielo e della terra, e quanto sia per me difficile dimostrar questo con parole; come accade se rechi alle orecchie una cosa prima inaudita, ma non puoi sottoporla all'accertamento degli occhi, né metterla fra le mani, per dove la via sicura della persuasione più dritta porta al cuore umano e alla dimora della mente. Ma tuttavia parlerò. Alle parole darà forse conferma il fatto stesso, e per violento insorgere di terremoti tutte le cose in poco tempo vedrai sconvolte. Ma lontano da noi volga questo la fortuna reggitrice, e la ragione piuttosto che il fatto stesso ci http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (6 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V victa fragore. Qua prius adgrediar quam de re fundere fata sanctius et multo certa ratione magis quam Pythia quae tripode a Phoebi lauroque profatur, multa tibi expediam doctis solacia dictis; religione refrenatus ne forte rearis terras et solem et caelum, mare sidera lunam, corpore divino debere aeterna manere, proptereaque putes ritu par esse Gigantum pendere eos poenas inmani pro scelere omnis, qui ratione sua disturbent moenia mundi praeclarumque velint caeli restinguere solem inmortalia mortali sermone notantes; quae procul usque adeo divino a numine distent inque deum numero quae sint indigna videri, notitiam potius praebere ut posse putentur quid sit vitali motu sensuque remotum. quippe etenim non est, cum quovis corpore ut esse posse animi natura putetur consiliumque. persuada che l'universo può inabissarsi vinto, in un fragore di suono orrendo. Ma, prima che m'accinga a proferire su questo tema fatidiche parole, più santamente e con molto maggiore certezza che la Pizia, la quale parla dal tripode e dal lauro di Febo, molte consolazioni ti appresterò con dotte parole; perché tu, inceppato dalla religione, non abbia per caso a credere che le terre e il sole e il cielo, il mare, gli astri, la luna, debbano durare eterni in virtù di un corpo divino, e non giudichi perciò giusto che come i Giganti paghino il fio per un immane delitto tutti quelli che con la loro dottrina sconvolgono le mura del mondo e vogliono estinguere in cielo il sole splendente, marchiando con discorso mortale cose immortali; mentre si tratta di cose che tanto distano dal nume divino, tanto sono indegne d'essere annoverate fra gli dèi, che le crederemmo piuttosto in grado di dare la nozione di ciò che è remoto da moto e da senso vitale. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (7 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V sicut in aethere non arbor, non aequore salso nubes esse queunt neque pisces vivere in arvis nec cruor in lignis neque saxis sucus inesse, certum ac dispositumst ubi quicquid crescat et insit, sic animi natura nequit sine corpore oriri sola neque a nervis et sanguine longius esse. quod si posset enim, multo prius ipsa animi vis in capite aut umeris aut imis calcibus esse posset et innasci quavis in parte soleret, tandem in eodem homine atque in eodem vase manere. quod quoniam nostro quoque constat corpore certum dispositumque videtur ubi esse et crescere possit seorsum anima atque animus, tanto magis infitiandum totum posse extra corpus formamque animalem putribus in glebis terrarum aut solis in igni aut in aqua durare aut altis aetheris oris. haud igitur constant divino praedita sensu, quandoquidem nequeunt vitaliter esse animata. Illud item non est ut possis E infatti non si può credere che la natura dell'animo e il senno si possano congiungere con un corpo qualsiasi; come non può esistere nel cielo un albero, né nel mare salato nuvole, né possono i pesci vivere nei campi, né esserci sangue nel legno, né succo nei sassi. È determinato e disposto dove ogni cosa cresca e abbia sede. Così la natura dell'animo non può nascere sola, senza il corpo, né esistere lontano dai nervi e dal sangue. Se lo potesse, infatti, molto prima la stessa forza dell'animo potrebbe essere nel capo o negli òmeri o in fondo ai talloni e sarebbe solita nascere in qualsiasi parte, ma in fin dei conti rimanere nello stesso uomo e nello stesso vaso. Ora, poiché anche nel nostro corpo è fermamente determinato e si vede disposto dove possano esistere e crescere separatamente l'anima e l'animo, tanto più si deve negare che possano durare fuori da tutto il corpo e dalla forma vivente, nelle friabili zolle della terra o ‹nel› fuoco del sole o nell'acqua o nelle alte plaghe dell'etere. Questi dunque non sono dotati di http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (8 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V credere, sedes senso divino, esse deum sanctas in mundi giacché non possono essere partibus ullis. vivificati da un'anima. tenvis enim natura deum longeque Questo parimenti non ti è possibile remota credere, che le sedi sensibus ab nostris animi vix sante degli dèi siano in alcuna mente videtur; parte del mondo. quae quoniam manuum tactum Sottile, infatti, e di gran lunga suffugit et ictum, remota dai nostri sensi, la natura tactile nil nobis quod sit contingere degli dèi è veduta appena dalla debet; facoltà intellettiva dell'animo; tangere enim non quit quod tangi e poiché sfugge al contatto e non licet ipsum. all'urto delle mani, quare etiam sedes quoque nostris non deve toccare niente che sia sedibus esse tangibile per noi. dissimiles debent, tenues de Toccare infatti non può, ciò che corpore eorum; non può essere esso stesso quae tibi posterius largo sermone toccato. probabo. Pertanto anche le loro sedi devono Dicere porro hominum causa dalle nostre sedi voluisse parare esser dissimili, sottili secondo i praeclaram mundi naturam loro corpi. proptereaque Te lo proverò più tardi, con adlaudabile opus divom laudare copioso discorso. decere Dire, d'altro canto, che per amor aeternumque putare atque degli uomini gli dèi inmortale futurum, vollero apprestare la magnifica nec fas esse, deum quod sit natura del mondo ratione vetusta e che perciò conviene lodare la gentibus humanis fundatum loro opera lodevole perpetuo aevo, e crederla eterna e destinata a sollicitare suis ulla vi ex sedibus durare immortale; umquam e che non è giusto scuotere con nec verbis vexare et ab imo alcuna violenza dalle fondamenta evertere summa, ciò che da antico disegno degli dèi cetera de genere hoc adfingere et fu costruito per le genti umane http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (9 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V addere, Memmi, desiperest. quid enim inmortalibus atque beatis gratia nostra queat largirier emolumenti, ut nostra quicquam causa gerere adgrediantur? quidve novi potuit tanto post ante quietos inlicere ut cuperent vitam mutare priorem? nam gaudere novis rebus debere videtur cui veteres obsunt; sed cui nihil accidit aegri tempore in ante acto, cum pulchre degeret aevom, quid potuit novitatis amorem accendere tali? quidve mali fuerat nobis non esse creatis? an, credo, in tenebris vita ac maerore iacebat, donec diluxit rerum genitalis origo? natus enim debet qui cumque est velle manere in vita, donec retinebit blanda voluptas; qui numquam vero vitae gustavit amorem nec fuit in numero, quid obest non esse creatum? exemplum porro gignundis rebus et ipsa notities hominum divis unde insita primum est, perché esistesse in perpetuo, o a parole oltraggiarlo e sovvertirlo dal fondo alla sommità: immaginare queste cose e aggiungerne altre di questo genere, o Memmio, è follia. Che vantaggio infatti la nostra gratitudine potrebbe arrecare ad esseri immortali e beati, sì che intraprendano a fare qualcosa per cagion nostra? O che novità poté dopo tanto allettare esseri che prima se n'erano stati quieti, sì che volessero mutare la vita anteriore? Difatti è evidente che di cose nuove deve godere chi ha danno dalle antiche; ma in colui cui nulla di doloroso accadde nel tempo andato, quando beatamente egli passava la vita, in un tale essere che cosa poté accendere amore di novità? O che male sarebbe stato per noi non essere creati? Forse - ciò dovrei credere - la vita giaceva in tenebre e tristezza, finché non albeggiò l'origine primigenia delle cose? Infatti, chiunque è nato, è necessario che voglia restare in vita, finché lo tratterrà il carezzevole piacere; ma a colui che non gustò mai l'amore della vita, né visse mai, che nuoce il non http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (10 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V quid vellent facere ut scirent animoque viderent, quove modost umquam vis cognita principiorum quidque inter sese permutato ordine possent. si non ipsa dedit speciem natura creandi? namque ita multa modis multis primordia rerum ex infinito iam tempore percita plagis ponderibusque suis consuerunt concita ferri omnimodisque coire atque omnia pertemptare, quae cumque inter se possint congressa creare, ut non sit mirum, si in talis disposituras deciderunt quoque et in talis venere meatus, qualibus haec rerum geritur nunc summa novando. Quod [si] iam rerum ignorem primordia quae sint, hoc tamen ex ipsis caeli rationibus ausim confirmare aliisque ex rebus reddere multis, nequaquam nobis divinitus esse paratam naturam rerum: tanta stat praedita culpa. principio quantum caeli tegit impetus ingens, essere stato creato? E poi, l'esemplare per la generazione delle cose e lo stesso concetto dell'uomo donde furono primamente impressi negli dèi, sì che sapessero e vedessero nella loro mente ciò che volevano fare? O in che modo mai si conobbe il potere dei primi elementi e che cosa questi potessero fare cambiando tra loro le disposizioni, se la natura stessa non dette l'esempio della creazione? E in verità tanto numerosi primi elementi delle cose, in molti modi, da tempo infinito fino ad ora stimolati dagli urti e tratti dal proprio peso, sono soliti muoversi e vagare e in ogni modo congiungersi e provare tutto quanto possano produrre aggregandosi tra loro, che non meraviglia se caddero anche in tali disposizioni e giunsero a tali movimenti quali son quelli per cui ora il nostro universo rinnovandosi vive. E quand'anche ignorassi quali siano i primi elementi delle cose, questo tuttavia oserei affermare in base agli stessi fenomeni del cielo e comprovare in forza di molte altre cose: che la natura del mondo non è http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (11 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V inde avidam partem montes silvaeque ferarum possedere, tenent rupes vastaeque paludes et mare, quod late terrarum distinet oras. inde duas porro prope partis fervidus ardor adsiduusque geli casus mortalibus aufert. quod super est arvi, tamen id natura sua vi sentibus obducat, ni vis humana resistat vitai causa valido consueta bidenti ingemere et terram pressis proscindere aratris. si non fecundas vertentes vomere glebas terraique solum subigentes cimus ad ortus. sponte sua nequeant liquidas existere in auras. et tamen inter dum magno quaesita labore cum iam per terras frondent atque omnia florent, aut nimiis torret fervoribus aetherius sol aut subiti peremunt imbris gelidaeque pruinae flabraque ventorum violento turbine vexant. praeterea genus horriferum natura ferarum humanae genti infestum terraque marique stata per nulla disposta dal volere divino per noi: di così grande difetto essa è dotata. In primo luogo, di quanto copre l'ampia distesa del cielo, una grande parte è occupata da monti e selve dominio di belve, la posseggono rupi e deserte paludi e il mare che vastamente disgiunge le rive delle terre. Inoltre, quasi due terzi il bruciante calore e l'assiduo cadere del gelo li tolgono ai mortali. Ciò che resta di terra coltivabile, la natura con la propria forza lo coprirebbe tuttavia di rovi, se non le resistesse la forza dell'uomo, per i bisogni della vita avvezzo a gemere sul robusto bidente e a solcare la terra cacciandovi a fondo l'aratro. Se, rivoltando col vomere le glebe feconde e domando il suolo della terra, non le stimolassimo al nascere, spontaneamente le piante non potrebbero sorgere nell'aria pura; e nondimeno, talora, procurate con grande fatica, quando già per i campi frondeggiano e tutte fioriscono, o le brucia con eccessivi calori l'etereo sole o le distruggono improvvise http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (12 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V cur alit atque auget? cur anni tempora morbos adportant? quare mors inmatura vagatur? tum porro puer, ut saevis proiectus ab undis navita, nudus humi iacet infans indigus omni vitali auxilio, cum primum in luminis oras nixibus ex alvo matris natura profudit, vagituque locum lugubri complet, ut aequumst cui tantum in vita restet transire malorum. at variae crescunt pecudes armenta feraeque nec crepitacillis opus est nec cuiquam adhibendast almae nutricis blanda atque infracta loquella nec varias quaerunt vestes pro tempore caeli, denique non armis opus est, non moenibus altis, qui sua tutentur, quando omnibus omnia large tellus ipsa parit naturaque daedala rerum. Principio quoniam terrai corpus et umor aurarumque leves animae calidique vapores, e quibus haec rerum consistere summa videtur, piogge e gelide brine, e le devasta con violento turbine il soffiare dei venti. E poi, la razza orrenda delle fiere, nemica del genere umano, perché la natura in terra e in mare la alimenta e la accresce? Perché le stagioni apportano malattie? Perché la morte prematura s'aggira qua e là? E inoltre, il bimbo, come un navigante gettato sulla riva da onde furiose, giace a terra nudo, incapace di parlare, bisognoso d'ogni aiuto per vivere, appena la natura lo fa uscire con sforzi fuori dal ventre della madre alle rive della luce, e riempie il luogo di un lugubre vagito, come è giusto per uno che nella vita dovrà passare per tanti mali. Ma crescono i vari animali domestici, gli armenti e le fiere, né c'è bisogno di sonaglini, per nessuno occorre la carezzevole e balbettante voce dell'amorevole nutrice, né essi richiedono vesti diverse secondo le stagioni; infine, non hanno bisogno di armi, né di alte mura, per proteggere i propri averi, giacché per tutti tutto largamente producono la terra http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (13 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V omnia nativo ac mortali corpore constant, debet eodem omnis mundi natura putari. quippe etenim, quorum partis et membra videmus corpore nativo mortalibus esse figuris, haec eadem ferme mortalia cernimus esse et nativa simul. qua propter maxima mundi cum videam membra ac partis consumpta regigni, scire licet caeli quoque item terraeque fuisse principiale aliquod tempus clademque futuram. Illud in his rebus ne corripuisse rearis me mihi, quod terram atque ignem mortalia sumpsi esse neque umorem dubitavi aurasque perire atque eadem gigni rursusque augescere dixi. principio pars terrai non nulla, perusta solibus adsiduis, multa pulsata pedum vi, pulveris exhalat nebulam nubesque volantis, quas validi toto dispergunt aëre venti. pars etiam glebarum ad diluviem revocatur imbribus et ripas radentia flumina stessa e la natura artefice. Innanzitutto, poiché il corpo della terra e l'acqua e i lievi soffi dei venti e i caldi vapori, dei quali si vede consistere questo universo, tutti constano d'un corpo che nasce e che muore, d'uguale corpo si deve credere consti tutta la natura del mondo. E infatti le cose, le cui parti e membra vediamo essere di corpo che nasce e di forme mortali, ci appaiono esse stesse costantemente mortali e insieme soggette alla nascita. Perciò, quando vedo le membra grandissime e parti del mondo consumarsi e rinascere, concludo che anche il cielo e la terra ebbero parimenti qualche tempo primordiale e subiranno distruzione. A tale proposito, perché tu non creda che io abbia a mio pro carpito l'ammissione di quel punto, quando ho asserito che la terra e il fuoco sono mortali, e non ho esitato ad affermare che l'acqua e l'aria periscono, e dissi che questi stessi nascono e crescono di nuovo, in primo luogo, alquanta parte della terra, bruciata http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (14 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V rodunt. praeterea pro parte sua, quod cumque alit auget, redditur; et quoniam dubio procul esse videtur omniparens eadem rerum commune sepulcrum. ergo terra tibi libatur et aucta recrescit. Quod super est, umore novo mare flumina fontes semper abundare et latices manare perennis nil opus est verbis: magnus decursus aquarum undique declarat. sed primum quicquid aquai tollitur in summaque fit ut nihil umor abundet, partim quod validi verrentes aequora venti deminuunt radiisque retexens aetherius sol, partim quod supter per terras diditur omnis; percolatur enim virus retroque remanat materies umoris et ad caput amnibus omnis convenit, inde super terras fluit agmine dulci qua via secta semel liquido pede detulit undas. Aëra nunc igitur dicam, qui corpore toto innumerabiliter privas mutatur in continuamente dal sole, battuta dagli urti di molti piedi, esala una nuvola di polvere e nubi volanti, che i venti possenti sparpagliano per tutta l'aria. E ancora, una parte delle zolle è trascinata dalle piogge nell'inondazione, e i fiumi, radendo le rive, le corrodono. Inoltre, ogni corpo che la terra alimenta e accresce, le è restituito per la parte che esso ha ricevuta; e poiché certo essa appare madre di tutto e insieme comune sepolcro delle cose, vedi dunque che la terra subisce riduzione e, aumentata, ricresce. Per il resto, che di nuovo liquido il mare, i fiumi, le fonti sempre abbondino e che le acque scaturiscano perenni, non c'è bisogno di dirlo: il loro grande scorrere da ogni parte lo manifesta. Ma l'acqua che di volta in volta è prima, si perde, e così avviene che nell'insieme il liquido non trabocchi mai, in parte perché lo diminuiscono i venti possenti spazzando il mare, e l'etereo sole dissolvendolo coi raggi, in parte perché nelle profondità terrestri si spande ovunque: vien filtrata infatti la salsedine, e l'elemento liquido http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (15 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V horas. rifluisce indietro e s'aduna tutto semper enim, quod cumque fluit alla sorgente dei fiumi de rebus, id omne e di lì sgorga sulle terre con dolce aëris in magnum fertur mare; qui corrente, là dove la via nisi contra una volta aperta ha fatto corpora retribuat rebus recreetque discendere le onde con liquido fluentis, piede. omnia iam resoluta forent et in Ora dunque parlerò dell'aria, che aëra versa. in tutto il suo corpo haut igitur cessat gigni de rebus et si muta innumerabilmente d'ora in in res ora. reccidere, adsidue quoniam fluere Sempre infatti ciò che fluisce dalle omnia constat. cose, è trasportato tutto Largus item liquidi fons luminis, nel gran mare dell'aria; e, se aetherius sol, questa a sua volta non restituisse inrigat adsidue caelum candore elementi alle cose e non le recenti reintegrasse di ciò che ne fluisce, suppeditatque novo confestim tutto sarebbe ormai dissolto e lumine lumen. convertito in aria. nam primum quicquid fulgoris Dunque non cessa questa d'esser disperit ei, generata dalle cose e di risolversi quo cumque accidit. id licet hinc nelle cose, poiché è certo che cognoscere possis, tutto continuamente fluisce. quod simul ac primum nubes Così l'abbondante fonte di limpida succedere soli luce, l'etereo sole, coepere et radios inter quasi perennemente inonda il cielo di rumpere lucis, fulgore sempre nuovo extemplo inferior pars horum e sùbito rifornisce la luce con luce disperit omnis nuova. terraque inumbratur qua nimbi Ché ogni sua prima emanazione di cumque feruntur; fulgore perisce, ut noscas splendore novo res dovunque cada. E ciò puoi semper egere apprenderlo da questo, et primum iactum fulgoris che appena le nubi cominciano a quemque perire passare sotto il sole nec ratione alia res posse in sole e a troncare, per così dire, a videri, mezzo i raggi della luce, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (16 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V perpetuo ni suppeditet lucis caput ipsum. quin etiam nocturna tibi, terrestria quae sunt, lumina, pendentes lychni claraeque coruscis fulguribus pingues multa caligine taedae consimili properant ratione, ardore ministro, suppeditare novom lumen, tremere ignibus instant, instant, nec loca lux inter quasi rupta relinquit: usque adeo properanter ab omnibus ignibus ei exitium celeri celeratur origine flammae. sic igitur solem lunam stellasque putandum ex alio atque alio lucem iactare subortu et primum quicquid flammarum perdere semper, inviolabilia haec ne credas forte vigere. Denique non lapides quoque vinci cernis ab aevo, non altas turris ruere et putrescere saxa, non delubra deum simulacraque fessa fatisci nec sanctum numen fati protollere finis posse neque adversus naturae foedera niti? d'un tratto la parte inferiore di questi perisce tutta e la terra si vela d'ombra dovunque si portano i nembi; sì che puoi conoscere che di nuovo splendore sempre le cose han bisogno e che le emanazioni di fulgore periscono man mano che si producono, né altrimenti le cose potrebbero essere vedute nella luce del sole, se la stessa sorgente della luce non la fornisse perpetuamente. E inoltre, vedi, i lumi notturni che sono sulla terra, lampade appese e torce splendenti di lampeggianti baleni, grasse di molta caligine, in simile modo s'affrettano a fornire, mediante la loro fiamma, nuova luce, e insistono nel tremolare dei fuochi, insistono, né la luce, troncata, per così dire, a mezzo, lascia i luoghi d'intorno. Tanto in fretta il suo estinguersi è celato col celere scaturire di nuova fiamma da tutti i fuochi. Così, dunque, il sole, la luna e le stelle è da credere che spandano la luce con successive emanazioni e che perdano sempre ogni fiamma che via via spunta; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (17 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V denique non monimenta virum dilapsa videmus, [quaerere proporro, sibi cumque senescere credas,] non ruere avolsos silices a montibus altis nec validas aevi vires perferre patique finiti? neque enim caderent avolsa repente, ex infinito quae tempore pertolerassent omnia tormenta aetatis, privata fragore. Denique iam tuere hoc, circum supraque quod omne continet amplexu terram: si procreat ex se omnia, quod quidam memorant, recipitque perempta, totum nativum mortali corpore constat. nam quod cumque alias ex se res auget alitque, deminui debet, recreari, cum recipit res. Praeterea si nulla fuit genitalis origo terrarum et caeli semperque aeterna fuere, cur supera bellum Thebanum et funera Troiae non alias alii quoque res cecinere poëtae? quo tot facta virum totiens cecidere neque usquam aeternis famae monimentis insita che non ti avvenga di supporli dotati d'inviolabile vigore. Ancora, non vedi che anche le pietre sono vinte dal tempo, che le alte torri cadono in rovina e le rocce si sgretolano, che i templi e le statue degli dèi rovinati si fendono, e il santo nume non può differire i termini del fato, né lottare contro le leggi della natura? E ancora, non vediamo i monumenti degli eroi crollati chiedere se tu credi che essi a loro volta invecchiano? Non vediamo precipitare rupi divelte dagli alti monti, incapaci di resistere e di sopportare le possenti forze di un tempo sia pure limitato? Né infatti cadrebbero divelte d'un tratto, se da tempo infinito avessero continuato a sopportare tutti gli attacchi dell'età senza esserne spezzate. Inoltre, contempla ora questo cielo che d'intorno e di sopra cinge col suo abbraccio tutta la terra: se procrea da sé tutte le cose, come alcuni dicono, e le accoglie dissolte, tutto di corpo soggetto a nascita e a morte esso consta. Infatti tutto ciò che di sé accresce e alimenta altre cose, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (18 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V florent? verum, ut opinor, habet novitatem summa recensque naturast mundi neque pridem exordia cepit. quare etiam quaedam nunc artes expoliuntur, nunc etiam augescunt; nunc addita navigiis sunt multa, modo organici melicos peperere sonores, denique natura haec rerum ratioque repertast nuper, et hanc primus cum primis ipse repertus nunc ego sum in patrias qui possim vertere voces. Quod si forte fuisse ante hac eadem omnia credis, sed periise hominum torrenti saecla vapore, aut cecidisse urbis magno vexamine mundi, aut ex imbribus adsiduis exisse rapaces per terras amnes atque oppida coperuisse. tanto quique magis victus fateare necessest exitium quoque terrarum caelique futurum; nam cum res tantis morbis tantisque periclis temptarentur, ibi si tristior incubuisset causa, darent late cladem deve decrescere, e reintegrarsi quando riprende ciò che ha dato. Oltre a ciò, se non ci fu un'origine primigenia della terra e del cielo, e sempre essi esistettero eterni, perché di là dalla guerra tebana e dalle rovine di Troia non cantarono altri poeti anche altri eventi? Dove mai tante gesta di eroi tante volte svanirono e perché non fioriscono in alcun luogo, impresse negli eterni monumenti della fama? Vero è, a parer mio, che tutto il nostro mondo è nella sua giovinezza, e recente è la natura del cielo, né da molto tempo ebbe inizio. Perciò alcune arti ancor oggi si raffinano, oggi ancora progrediscono; oggi sono stati aggiunti alle navi molti attrezzi; poc'anzi i musicisti hanno creato melodiosi suoni. Infine, questo sistema della natura è stato scoperto di recente, e primo fra tutti io stesso mi trovo ora in grado di tradurlo nella lingua dei padri. E se per caso credi che tutte le cose siano esistite identiche già in passato, ma le generazioni degli uomini http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (19 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V magnasque ruinas. nec ratione alia mortales esse videmur, inter nos nisi quod morbis aegrescimus isdem atque illi quos a vita natura removit. Praeterea quae cumque manent aeterna necessust aut, quia sunt solido cum corpore, respuere ictus nec penetrare pati sibi quicquam quod queat artas dissociare intus partis, ut materiai corpora sunt, quorum naturam ostendimus ante, aut ideo durare aetatem posse per omnem, plagarum quia sunt expertia, sicut inane est, quod manet intactum neque ab ictu fungitur hilum, aut etiam quia nulla loci sit copia circum, quo quasi res possint discedere dissoluique, sicut summarum summa est aeterna, neque extra qui locus est quo dissiliant neque corpora sunt quae possint incidere et valida dissolvere plaga. at neque, uti docui, solido cum corpore mundi naturast, quoniam admixtumst in rebus inane, nec tamen est ut inane, neque siano perite in avvampante fuoco, o le città sian crollate in un grande sconvolgimento del mondo, o a causa di piogge assidue fiumi rapinosi siano straripati su per le terre e abbiano sommerso le città, tanto più è inevitabile che tu, vinto, ammetta che alla rovina soccomberanno anche la terra e il cielo: infatti, quando le cose subivano l'assalto di tali flagelli e di tali pericoli, se una forza più nociva si fosse in quel punto abbattuta su di loro, per vasto spazio sarebbero precipitate in disastro e grandi rovine. Né in altra maniera noi ci accorgiamo di essere mortali, se non perché a vicenda siamo preda delle stesse malattie di cui soffrirono coloro che la natura allontanò dalla vita. Inoltre, tutte le cose che permangono eterne è necessario o che respingano gli urti perché hanno corpo solido e non si lascino penetrare da qualcosa che possa dissociare nell'interno le parti strettamente unite, quali sono i corpi della materia, di cui prima abbiamo rivelato la natura, oppure che possano durare per ogni tempo per questo, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (20 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V autem corpora desunt, ex infinito quae possint forte coorta corruere hanc rerum violento turbine summam aut aliam quamvis cladem inportare pericli, nec porro natura loci spatiumque profundi deficit, exspargi quo possint moenia mundi, aut alia quavis possunt vi pulsa perire. haut igitur leti praeclusa est ianua caelo nec soli terraeque neque altis aequoris undis, sed patet immani et vasto respectat hiatu. quare etiam nativa necessumst confiteare haec eadem; neque enim, mortali corpore quae sunt, ex infinito iam tempore adhuc potuissent inmensi validas aevi contemnere vires. Denique tantopere inter se cum maxima mundi pugnent membra, pio nequaquam concita bello, nonne vides aliquam longi certaminis ollis posse dari finem, vel cum sol et vapor omnis omnibus epotis umoribus perché sono esenti da colpi, come è il vuoto, che rimane intatto e non subisce il minimo urto, o anche perché intorno non si trova tratto di spazio ove, in qualche modo, le cose possano sperdersi e dissolversi: così è eterna la somma delle somme, fuori della quale non c'è luogo ove le cose saltino in pezzi, né ci son corpi che possano cadere su di esse e con forte colpo dissolverle. Ma, come ho insegnato, la natura del mondo non è dotata di corpo solido, poiché dentro le cose è misto il vuoto, né tuttavia esso è come il vuoto, né d'altronde mancano corpi che, dall'infinito per caso irrompendo in folla, possano far precipitare questo insieme di cose con violento turbine o introdurvi qualche altro disastroso pericolo, e inoltre non difettano il vuoto e le profondità dello spazio, dove le mura del mondo possano disperdersi, oppure possono perire colpite da qualsiasi altra forza. Dunque la porta della morte non è chiusa al cielo, né al sole, né alla terra, né alle acque profonde del mare, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (21 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V exsuperarint? ma sta spalancata e li aspetta con quod facere intendunt, neque immane e vasta voragine. adhuc conata patrantur; Perciò devi anche ammettere che tantum suppeditant amnes queste stesse cose hanno avuto ultraque minantur una nascita; e infatti cose che omnia diluviare ex alto gurgite sono di corpo mortale ponti: non avrebbero potuto da tempo ne quiquam, quoniam verrentes infinito fino ad ora aequora venti disprezzare le possenti forze di deminuunt radiisque retexens un'età immensa. aetherius sol, Infine, poiché tanto lottano tra et siccare prius confidunt omnia loro le grandissime posse membra del mondo, sfrenate in quam liquor incepti possit empia guerra, contingere finem. non vedi che alla loro lunga tantum spirantes aequo certamine contesa può essere posto bellum qualche termine? Così, quando il magnis [inter se] de rebus cernere sole e ogni fuoco, certant, assorbiti tutti gli umori, avranno cum semel interea fuerit preso il sopravvento: superantior ignis a far ciò tendono, ma finora i et semel, ut fama est, umor tentativi non hanno avuto effetto: regnarit in arvis. tanto rifornimento danno i fiumi, e ignis enim superavit et ambiens per di più minacciano multa perussit, d'inondare ogni cosa riversandosi avia cum Phaethonta rapax vis dai profondi gorghi del mare, solis equorum ma invano: poiché i venti, aethere raptavit toto terrasque per spazzando le acque, e l'etereo omnis. sole, at pater omnipotens ira tum dissolvendole coi raggi, ne percitus acri diminuiscono il volume, magnanimum Phaethonta repenti e confidano di poter prosciugare fulminis ictu ogni cosa prima che le onde deturbavit equis in terram, Solque possano raggiungere il termine cadenti della loro impresa. obvius aeternam succepit lampada Da tanto spirito guerresco mundi infiammati, con uguale esito http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (22 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V disiectosque redegit equos iunxitque trementis, inde suum per iter recreavit cuncta gubernans, scilicet ut veteres Graium cecinere poëtae. quod procul a vera nimis est ratione repulsum. ignis enim superare potest ubi materiai ex infinito sunt corpora plura coorta; inde cadunt vires aliqua ratione revictae, aut pereunt res exustae torrentibus auris. umor item quondam coepit superare coortus, ut fama est, hominum vitas quando obruit undis; inde ubi vis aliqua ratione aversa recessit, ex infinito fuerat quae cumque coorta, constiterunt imbres et flumina vim minuerunt. Sed quibus ille modis coniectus materiai fundarit terram et caelum pontique profunda, solis lunai cursus, ex ordine ponam. nam certe neque consilio primordia rerum ordine se suo quaeque sagaci mente locarunt lottano per decidere di grandi cose ‹fra loro›, e intanto il fuoco ebbe una volta il sopravvento, e una volta, come si racconta, l'acqua regnò sui campi. Il fuoco infatti sormontò e, raggiungendo molte cose, le bruciò, quando la rapace forza dei cavalli del sole, uscendo di strada, trascinò Fetonte attraverso tutto l'etere e su tutte le terre. Ma il padre onnipotente, stimolato allora da un'ira violenta, con un repentino colpo di fulmine gettò l'animoso Fetonte giù dai cavalli sulla terra, e il Sole, andandogli incontro mentre cadeva, raccolse l'eterna lampada del mondo e ritrasse i cavalli sbandati e li aggiogò che ancora tremavano; poi, guidandoli per la loro strada, ristorò tutte le cose. Così invero cantarono gli antichi poeti di Grecia. Ma questo si discosta troppo dalla verità. Il fuoco infatti può sormontare quando più numerosi corpi della sua materia hanno fatto in folla irruzione dall'infinito; poi cadono le sue forze, sopraffatte da qualche causa, oppure le cose periscono bruciate http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (23 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V nec quos quaeque darent motus pepigere profecto; sed quia multa modis multis primordia rerum ex infinito iam tempore percita plagis ponderibusque suis consuerunt concita ferri omnimodisque coire atque omnia pertemptare, quae cumque inter se possent congressa creare, propterea fit uti magnum volgata per aevom omnigenus coetus et motus experiundo tandem conveniant ea quae coniecta repente magnarum rerum fiunt exordia saepe, terrai maris et caeli generisque animantum. Hic neque tum solis rota cerni lumine largo altivolans poterat nec magni sidera mundi nec mare nec caelum nec denique terra neque aër nec similis nostris rebus res ulla videri, sed nova tempestas quaedam molesque coorta. diffugere inde loci partes coepere paresque cum paribus iungi res et discludere mundum membraque dividere et magnas dai soffi cocenti. Anche l'acqua un tempo, insorta, cominciò a sormontare, come è fama, quando sommerse molti uomini sotto le onde. Poi, quando venne meno, respinta da qualche causa, la sua forza, quanta dall'infinito aveva fatto irruzione, si fermarono le piogge e i fiumi scemarono la loro violenza. Ma ora esporrò con ordine in quali modi quell'ammasso di materia abbia costituito le fondamenta della terra e del cielo e delle profondità marine, i corsi del sole e della luna. Ché certo non secondo un deliberato proposito i primi elementi delle cose si collocarono ciascuno al suo posto con mente sagace, né in verità pattuirono quali moti dovesse produrre ciascuno, ma, poiché molti primi elementi delle cose, in molti modi, da tempo infinito fino ad ora stimolati dagli urti e tratti dal proprio peso, sono soliti muoversi e vagare e in ogni modo congiungersi e provare tutto quanto possano produrre aggregandosi tra loro, per questo avviene che, dopo aver vagato per gran tempo, sperimentando ogni genere di http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (24 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V disponere partes aggregazioni e di moti, omnigenis e principiis, discordia alfine si incontrano quelli che, quorum messi insieme d'un tratto, intervalla vias conexus pondera diventano spesso inizi di grandi plagas cose, concursus motus turbabat proelia della terra, del mare e del cielo e miscens delle specie viventi. propter dissimilis formas variasque In tale situazione, non si poteva figuras, allora vedere il disco quod non omnia sic poterant del sole, volante nell'alto con la coniuncta manere sua luce copiosa, né gli astri nec motus inter sese dare del vasto firmamento, né mare, né convenientis, cielo, e neppure terra, né aria, hoc est, a terris altum secernere né alcuna cosa simile alle nostre caelum, cose si poteva scorgere, et sorsum mare, uti secreto umore ma una specie di tempesta sorta pateret, di recente e un ammasso seorsus item puri secretique composto di atomi d'ogni genere, aetheris ignes. la cui discordia perturbava Quippe etenim primum terrai gl'intervalli, le vie, le connessioni, corpora quaeque, i pesi, gli urti, propterea quod erant gravia et gl'incontri, i movimenti, in un perplexa, coibant arder di battaglie, in medio atque imas capiebant perché, per le forme dissimili e le omnia sedes; varie figure, quae quanto magis inter se non potevano tutti così rimanere perplexa coibant, congiunti, tam magis expressere ea quae né produrre tra loro movimenti mare sidera solem concordanti. lunamque efficerent et magni Indi parti diverse cominciarono a moenia mundi; fuggire in varie direzioni, omnia enim magis haec e levibus e le cose simili a congiungersi con atque rutundis le simili, e segnare seminibus multoque minoribus i confini del mondo e dividerne le sunt elementis membra e disporre quam tellus. ideo per rara le grandi parti, cioè distinguere http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (25 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V foramina terrae partibus erumpens primus se sustulit aether ignifer et multos secum levis abstulit ignis, non alia longe ratione ac saepe videmus, aurea cum primum gemmantis rore per herbas matutina rubent radiati lumina solis exhalantque lacus nebulam fluviique perennes ipsaque ut inter dum tellus fumare videtur; omnia quae sursum cum conciliantur, in alto corpore concreto subtexunt nubila caelum. sic igitur tum se levis ac diffusilis aether corpore concreto circum datus undique saepsit et late diffusus in omnis undique partis omnia sic avido complexu cetera saepsit. hunc exordia sunt solis lunaeque secuta, interutrasque globi quorum vertuntur in auris; quae neque terra sibi adscivit nec maximus aether, quod neque tam fuerunt gravia ut depressa sederent, nec levia ut possent per summas labier oras, dalle terre l'alto cielo, e far sì che in disparte con distinte acque si stendesse il mare, in disparte anche i fuochi dell'etere puri e distinti. E, invero, dapprincipio i vari corpi di terra, poiché erano pesanti e aggrovigliati, s'adunavano nel mezzo e occupavano tutti le regioni più basse; e, quanto più aggrovigliati tra loro s'adunavano, tanto più spremevano fuori i corpi che dovevano produrre il mare, gli astri, il sole e la luna e le mura del vasto mondo. Tutti questi in effetti sono di semi più lisci e più rotondi e di elementi molto più piccoli che la terra. Così, erompendo, per i fori della terra porosa, dalle parti di questa, primo si levò in alto l'etere infuocato e, leggero, trasse su con sé molti fuochi, non molto diversamente da quel che spesso vediamo, quando l'aurea luce mattutina del sole raggiante comincia a rosseggiare fra le erbe ingemmate di rugiada ed esalano nebbia i laghi e i fiumi perenni, e anche come la terra stessa si vede talora fumare; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (26 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V et tamen interutrasque ita sunt, ut corpora viva versent et partes ut mundi totius extent; quod genus in nobis quaedam licet in statione membra manere, tamen cum sint ea quae moveantur. his igitur rebus retractis terra repente, maxuma qua nunc se ponti plaga caerula tendit, succidit et salso suffudit gurgite fossas. inque dies quanto circum magis aetheris aestus et radii solis cogebant undique terram verberibus crebris extrema ad limina fartam in medio ut propulsa suo condensa coiret, tam magis expressus salsus de corpore sudor augebat mare manando camposque natantis, et tanto magis illa foras elapsa volabant corpora multa vaporis et aëris altaque caeli densabant procul a terris fulgentia templa. sidebant campi, crescebant montibus altis ascensus; neque enim poterant subsidere saxa e, quando tutte queste esalazioni, movendo verso l'alto, si aggregano, lassù condensatesi diventano nuvole che col loro intreccio oscurano il cielo. Così, dunque, allora l'etere leggero ed espansibile, condensatosi e avvoltosi intorno, s'incurvò da ogni parte e, ampiamente espanso da ogni parte in tutte le direzioni, così circondò tutte le altre cose con avido abbraccio. A questo tennero dietro gl'inizi del sole e della luna, i cui globi si volgono nell'aria fra etere e terra: né la terra li accolse in sé, né l'etere grandissimo, poiché non erano tanto pesanti da cadere in basso e posarsi sul fondo, né leggeri sì da potere scivolare per le plaghe più alte; e tuttavia sono fra l'una e l'altro in tal modo che fanno girare i loro corpi vivi ed esistono come parti di tutto il mondo: come in noi certe membra possono restare immobili, mentre ve ne sono altre che frattanto si muovono. Ritiratesi, quindi, queste cose, d'un tratto la terra, là dove ora la zona cerula del http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (27 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V nec pariter tantundem omnes mare si stende amplissima, succumbere partis. sprofondò, e inondò di salati Sic igitur terrae concreto gorghi gli avvallamenti. corpore pondus E di giorno in giorno, quanto più le constitit atque omnis mundi quasi vampe dell'etere limus in imum d'intorno e i raggi del sole confluxit gravis et subsedit serravano da ogni parte la terra funditus ut faex; in spazio ristretto con colpi inde mare, inde aër, inde aether frequenti sugli estremi bordi, ignifer ipse sì che, compressa, si condensava corporibus liquidis sunt omnia e s'adunava al centro, pura relicta tanto più il salso sudore, spremuto et leviora aliis alia, et liquidissimus fuori dal suo corpo, aether scorrendo accresceva il mare e le atque levissimus aërias super distese fluttuanti, influit auras e tanto più, guizzando fuori, nec liquidum corpus turbantibus volavano quei numerosi aëris auris corpi di calore e d'aria e commiscet; sinit haec violentis addensavano lontano omnia verti dalla terra le alte e fulgide regioni turbinibus, sinit incertis turbare del cielo. procellis, Si abbassavano le pianure, ai ipse suos ignis certo fert impete monti elevati cresceva labens. l'altezza; e infatti le rocce non nam modice fluere atque uno potevano abbassarsi, posse aethera nisu né tutte le parti insieme significat Pontos, mare certo quod ugualmente cader giù. fluit aestu Così, dunque, il peso della terra unum labendi conservans usque col corpo condensato tenorem. si fissò, e tutto il limo, per così Motibus astrorum nunc quae sit dire, del mondo confluì causa canamus. pesante verso il basso e si posò principio magnus caeli si vortitur nel fondo come feccia; orbis, poi il mare, poi l'aria, poi lo stesso ex utraque polum parti premere etere infuocato aëra nobis coi loro corpi liquidi, tutti dicendum est extraque tenere et restarono puri, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (28 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V claudere utrimque; inde alium supra fluere atque intendere eodem quo volvenda micant aeterni sidera mundi; aut alium supter, contra qui subvehat orbem, ut fluvios versare rotas atque austra videmus. est etiam quoque uti possit caelum omne manere in statione, tamen cum lucida signa ferantur, sive quod inclusi rapidi sunt aetheris aestus quaerentesque viam circum versantur et ignes passim per caeli volvunt summania templa, sive aliunde fluens alicunde extrinsecus aër versat agens ignis, sive ipsi serpere possunt, quo cuiusque cibus vocat atque invitat euntis, flammea per caelum pascentis corpora passim. nam quid in hoc mundo sit eorum ponere certum difficilest; sed quid possit fiatque per omne in variis mundis varia ratione creatis, id doceo plurisque sequor disponere causas, motibus astrorum quae possint e l'uno più leggero dell'altro; e l'etere, il più liquido e il più leggero, scorre sopra i soffi dell'aria, né mischia il suo liquido corpo con gli sconvolgenti soffi dell'aria; lascia che tutte le cose quaggiù siano sossopra per violenti turbini, lascia che s'agitino per mutevoli procelle, mentre trasporta i suoi fuochi scorrendo con slancio immutato. Infatti, che l'etere possa fluire con calma e con moto uniforme, lo mostra il Ponto, il mare che fluisce con corrente immutata, conservando sempre uguale l'andamento del suo scorrere. Ora cantiamo quale sia la causa dei movimenti degli astri. Anzitutto, se la grande sfera del cielo gira intorno, dobbiamo dire che l'aria preme sui poli alle due estremità dell'asse e la tiene a posto dall'esterno e la chiude da ambo i lati; altra aria, poi, fluisce al di sopra e tende alla stessa meta verso cui girano brillando gli astri dell'eterno mondo; o altra aria fluisce di sotto e trascina la sfera in senso opposto, come vediamo i fiumi far girare ruote e secchie. Può anche darsi che tutto il cielo resti immoto, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (29 of 82) [07/08/2003 21.43.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V esse per omne; e quibus una tamen sit et haec quoque causa necessest, quae vegeat motum signis; sed quae sit earum praecipere haud quaquamst pedetemptim progredientis. Terraque ut in media mundi regione quiescat, evanescere paulatim et decrescere pondus convenit atque aliam naturam supter habere ex ineunte aevo coniunctam atque uniter aptam partibus aëriis mundi, quibus insita vivit. propterea non est oneri neque deprimit auras, ut sua cuique homini nullo sunt pondere membra nec caput est oneri collo nec denique totum corporis in pedibus pondus sentimus inesse; at quae cumque foris veniunt inpostaque nobis pondera sunt laedunt, permulto saepe minora. usque adeo magni refert quid quaeque queat res. sic igitur tellus non est aliena repente allata atque auris aliunde obiecta alienis, sed pariter prima concepta ab origine mundi mentre frattanto i lucidi astri sono in movimento, o perché vi sono rinchiuse le rapide correnti dell'etere e, cercando una via, s'aggirano tutt'intorno e così volgono i fuochi qua e là per le notturne volte del cielo; o un'aria, che fluisce da un altro luogo qualsiasi al di fuori, trascina e fa girare i fuochi; o possono essi stessi scivolare dove il cibo d'ognuno li chiama e invita mentre procedono, pascendo qua e là per il cielo i loro corpi di fuoco. Infatti è difficile dare per certo quale di tali cause operi in questo mondo; ma che cosa possa avvenire e avvenga per tutto l'universo nei vari mondi in vario modo creati, questo io insegno, e proseguo a esporre diverse cause che possono produrre i movimenti degli astri per l'universo; fra esse tuttavia una sola dev'essere anche in questo mondo la causa che dà vita al movimento delle stelle; ma spiegare quale di esse sia, non è affatto proprio di chi avanza passo passo. E perché la terra resti ferma nel mezzo del mondo, bisogna che il peso svanisca a poco a poco e decresca, e che di sotto essa abbia un'altra http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (30 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V certaque pars eius, quasi nobis membra videntur. Praeterea grandi tonitru concussa repente terra supra quae se sunt concutit omnia motu; quod facere haut ulla posset ratione, nisi esset partibus aëriis mundi caeloque revincta; nam communibus inter se radicibus haerent ex ineunte aevo coniuncta atque uniter aucta. Nonne vides etiam quam magno pondere nobis sustineat corpus tenuissima vis animai, propterea quia tam coniuncta atque uniter apta est? Denique iam saltu pernici tollere corpus quid potis est nisi vis animae, quae membra gubernat? iamne vides quantum tenuis natura valere possit, ubi est coniuncta gravi cum corpore, ut aër coniunctus terris et nobis est animi vis? Nec nimio solis maior rota nec minor ardor esse potest, nostris quam sensibus esse videtur. nam quibus e spatiis cumque ignes lumina possunt natura, dall'inizio dell'esistenza congiunta e strettamente unita con le parti aeree del mondo in cui è incorporata e vive. Perciò non è di peso all'aria, né la preme giù; come su ogni uomo non gravano le sue membra, né la testa è di peso al collo, e, infine, non sentiamo che tutto il peso del corpo poggia sui piedi; mentre tutti i pesi che vengono dall'esterno e ci sono imposti, ci molestano, quantunque sovente di gran lunga minori. Di così grande importanza è quale potere abbia ciascuna cosa. Così dunque la terra non s'aggiunse d'improvviso come estranea, né da un altro luogo fu gettata su aria estranea, ma insieme fu concepita sin dalla prima origine del mondo e come parte determinata d'esso, quali si vedono in noi le membra. Inoltre, scossa d'un tratto da un gran tuono, la terra col suo moto scuote tutto quanto le sta sopra; ciò non potrebbe essa fare in alcun modo, se non fosse connessa con le parti aeree del mondo e col cielo. In effetti mediante comuni radici http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (31 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V adiicere et calidum membris aderiscono tra loro, adflare vaporem, dall'inizio dell'esistenza congiunti e nil magnis intervallis de corpore strettamente uniti. libant Non vedi anche come il nostro flammarum, nihil ad speciem est corpo è sostenuto, contractior ignis. benché molto pesante, dalla proinde, calor quoniam solis sottilissima forza dell'anima, lumenque profusum perché essa gli è tanto congiunta perveniunt nostros ad sensus et e strettamente unita? loca fulgent, E infine, che cosa può sollevare il forma quoque hinc solis debet corpo con agile balzo, filumque videri, se non la forza dell'anima che nil adeo ut possis plus aut minus governa le membra? addere vere. Non vedi oramai quanto possa [perveniunt nostros ad sensus et essere grande la forza loca fulgent] d'una natura sottile, quando è lunaque sive notho fertur loca unita a un corpo pesante, lumine lustrans, come l'aria è unita alla terra e la sive suam proprio iactat de forza dell'animo a noi? corpore lucem, Né la ruota del sole può essere quidquid id est, nihilo fertur molto maggiore, maiore figura né il suo calore molto minore di quam, nostris oculis qua cernimus, quel che appare ai nostri sensi. esse videtur. Giacché, da qualsiasi distanza nam prius omnia, quae longe possano i fuochi lanciarci semota tuemur la luce e soffiare sulle membra aëra per multum, specie confusa l'ardente calore, videntur nulla la distanza toglie al corpo quam minui filum. quapropter luna delle fiamme necesse est, per il suo intervallo, per nulla il quandoquidem claram speciem fuoco è ristretto alla vista. certamque figuram Quindi, poiché il calore del sole e praebet, ut est oris extremis la luce ch'esso spande cumque notata, arrivano ai nostri sensi e i luoghi quanta quoquest, tanta hinc nobis ne rifulgono, anche la forma videatur in alto. e la grandezza del sole devono postremo quos cumque vides hinc esser viste di qui http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (32 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V aetheris ignes, scire licet perquam pauxillo posse minores esse vel exigua maioris parte brevique. quandoquidem quos cumque in terris cernimus [ignes], dum tremor [et] clarus dum cernitur ardor eorum, perparvom quiddam inter dum mutare videntur alteram utram in partem filum, quo longius absunt. Illud item non est mirandum, qua ratione tantulus ille queat tantum sol mittere lumen, quod maria ac terras omnis caelumque rigando compleat et calido perfundat cuncta vapore. [quanta quoquest tanta hinc nobis videatur in alto] nam licet hinc mundi patefactum totius unum largifluum fontem scatere atque erumpere lumen, ex omni mundo quia sic elementa vaporis undique conveniunt et sic coniectus eorum confluit, ex uno capite hic ut profluat ardor. nonne vides etiam quam late parvus aquai prata riget fons inter dum quali sono davvero, sì che nulla puoi aggiungervi o toglierne. E la luna, sia che viaggi illuminando i luoghi con luce estranea, sia che emetta sua luce dal proprio corpo, viaggia comunque con una forma per nulla maggiore di quella con cui ci appare quando la vedono i nostri occhi. Infatti tutte le cose che scorgiamo a grande distanza, attraverso molta aria, si vedon confuse all'aspetto prima che ne sembri diminuita la grandezza. Pertanto la luna, giacché presenta chiaro aspetto e netta forma, dev'esser vista da noi, di quaggiù, nell'alto così come essa è delineata dagli estremi contorni e grande quanto lo è davvero. Infine tutti i fuochi del cielo che vedi di quaggiù: poiché tutti ‹i fuochi› che scorgiamo sulla terra, finché il loro scintillìo ‹è› chiaro, finché la loro fiamma è scorta, solo un tantino si vedono talora mutare in più o in meno la loro grandezza, a seconda della distanza, si può concludere che di pochissimo possono essere minori di come ci appaiono o d'un'esigua http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (33 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V campisque redundet? est etiam quoque uti non magno solis ab igni aëra percipiat calidis fervoribus ardor, opportunus ita est si forte et idoneus aër, ut queat accendi parvis ardoribus ictus; quod genus inter dum segetes stipulamque videmus accidere ex una scintilla incendia passim. forsitan et rosea sol alte lampade lucens possideat multum caecis fervoribus ignem circum se, nullo qui sit fulgore notatus, aestifer ut tantum radiorum exaugeat ictum. Nec ratio solis simplex [et] recta patescit, quo pacto aestivis e partibus aegocerotis brumalis adeat flexus atque inde revertens canceris ut vertat metas ad solstitialis, lunaque mensibus id spatium videatur obire, annua sol in quo consumit tempora cursu. non, inquam, simplex his rebus reddita causast. nam fieri vel cum primis id posse videtur, e breve parte maggiori. Neppure di questo ci si deve stupire, come il sole, pur così piccolo, possa emettere tanta luce da riempire dei suoi raggi i mari e tutte le terre e il cielo, e inondare del suo ardente calore tutte le cose. Può darsi infatti che in tutto il mondo s'apra di qui l'unica fonte che faccia scaturire con flusso abbondante e prorompere la luce, perché da ogni parte del mondo in tal modo gli elementi ignei si raccolgono e in tal modo il loro ammasso confluisce che l'ardore sgorga qui da un'unica sorgente. Non vedi anche quanto ampiamente una piccola fonte d'acqua talora inondi i prati e trabocchi sulla pianura? Può anche essere che dal fuoco del sole, benché non grande, una vampa invada l'aria col suo fervere ardente, se per caso l'aria è così convenientemente acconcia da potersi accendere colpita da vampe leggere; come talora da una sola scintilla vediamo piombare su messi e stoppie un incendio diffuso. O forse il sole, che con rosea fiaccola splende nell'alto, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (34 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V Democriti quod sancta viri sententia ponit, quanto quaeque magis sint terram sidera propter, tanto posse minus cum caeli turbine ferri; evanescere enim rapidas illius et acris imminui supter viris, ideoque relinqui paulatim solem cum posterioribus signis, inferior multo quod sit quam fervida signa. et magis hoc lunam: quanto demissior eius cursus abest procul a caelo terrisque propinquat, tanto posse minus cum signis tendere cursum. flaccidiore etiam quanto iam turbine fertur inferior quam sol, tanto magis omnia signa hanc adipiscuntur circum praeterque feruntur. propterea fit ut haec ad signum quodque reverti mobilius videatur, ad hanc quia signa revisunt. fit quoque ut e mundi transversis partibus aër alternis certo fluere alter tempore possit, qui queat aestivis solem detrudere signis ha intorno a sé molto fuoco che ferve invisibile, che non è indicato da alcun fulgore, sì che, carico di calore, accresce solo la violenza dei raggi. Né si dà un'unica e immediata possibilità di spiegare in che modo il sole s'avvicini dalle regioni estive al tropico invernale del Capricorno, e come, ritornando di là, si volga alla meta solstiziale del Cancro, e come si veda la luna percorrere tutti i mesi lo spazio in cui il sole correndo consuma il tempo di un anno. Non c'è, dico, un'unica causa assegnata a queste cose. Prima di tutto, infatti, sembra che possa avvenire ciò che afferma l'opinione di Democrito, uomo venerabile: quanto più i vari astri sono vicini alla terra, tanto meno essi possono esser tratti col turbine del cielo; giacché la sua rapida e veemente forza diminuisce e si perde in basso; e il sole è a poco a poco lasciato indietro con le costellazioni posteriori per questo: perché è molto meno alto delle costellazioni ardenti. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (35 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V brumalis usque ad flexus gelidumque rigorem, et qui reiciat gelidis a frigoris umbris aestiferas usque in partis et fervida signa. et ratione pari lunam stellasque putandumst, quae volvunt magnos in magnis orbibus annos, aëribus posse alternis e partibus ire. nonne vides etiam diversis nubila ventis diversas ire in partis inferna supernis? qui minus illa queant per magnos aetheris orbis aestibus inter se diversis sidera ferri? At nox obruit ingenti caligine terras, aut ubi de longo cursu sol ultima caeli impulit atque suos efflavit languidus ignis concussos itere et labefactos aëre multo, aut quia sub terras cursum convortere cogit vis eadem, supra quae terras pertulit orbem. Tempore item certo roseam Matuta per oras aetheris auroram differt et lumina pandit, aut quia sol idem, sub terras ille E ancor più di questo la luna: quanto più basso è il suo corso, quanto più s'allontana dal cielo e s'appressa alla terra, tanto meno essa può dirigere il corso gareggiando con gli astri. Anzi, quanto più lento è il turbine da cui essa è tratta trovandosi al disotto del sole, tanto più tutti gli astri la raggiungono girandole intorno e la sorpassano. E perciò avviene ch'essa sembri tornare a ogni astro più celermente: perché sono gli astri che di nuovo la raggiungono. Può anche avvenire che da regioni del mondo che attraversano il corso del sole fluiscano a turno due correnti d'aria, ciascuna in una stagione determinata: una che possa cacciare il sole dalle costellazioni estive al tropico invernale e al rigido gelo; l'altra che dalle gelide ombre del freddo lo ricacci fino alle regioni cariche di calore e alle costellazioni ardenti. E similmente si deve credere che la luna e le stelle, che volgono in grandi orbite i grandi anni, possano muoversi per correnti d'aria da opposte regioni alternamente. Non vedi anche le nuvole più basse andare, per forza di venti opposti, in direzione opposta a http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (36 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V revertens, anticipat caelum radiis accendere temptans, aut quia conveniunt ignes et semina multa confluere ardoris consuerunt tempore certo, quae faciunt solis nova semper lumina gigni; quod genus Idaeis fama est e montibus altis dispersos ignis orienti lumine cerni, inde coire globum quasi in unum et conficere orbem. nec tamen illud in his rebus mirabile debet esse, quod haec ignis tam certo tempore possint semina confluere et solis reparare nitorem. multa videmus enim, certo quae tempore fiunt omnibus in rebus. florescunt tempore certo arbusta et certo dimittunt tempore florem. nec minus in certo dentes cadere imperat aetas tempore et inpubem molli pubescere veste et pariter mollem malis demittere barbam. fulmina postremo nix imbres nubila venti non nimis incertis fiunt in partibus quella delle più alte? Perché non potrebbero quegli astri, per le grandi orbite dell'etere, volgersi per forza di correnti opposte fra loro? Ma la notte ricopre d'enorme tenebra la terra, o quando, al termine del lungo corso, il sole ha battuto alle estreme regioni del cielo e, fiaccato, ha spirato i suoi fuochi scossi dal viaggio e indeboliti dalla molta aria attraversata, o perché lo costringe a volgere il corso sotto la terra la stessa forza che ha portato il suo giro sopra la terra. Parimenti a un'ora fissa Matuta diffonde la rosea aurora per le plaghe dell'etere e propaga la luce, o perché lo stesso sole, che ritorna di sotto la terra, occupa prima il cielo coi raggi tentando di accenderlo, o perché fuochi si raccolgono e molti semi di calore son soliti confluire a un'ora fissa e fanno che ogni giorno nasca la luce di un nuovo sole; così è fama che dalle alte cime dell'Ida fuochi sparsi si vedano al sorgere della luce, poi s'uniscano come in un globo e http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (37 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V anni. namque ubi sic fuerunt causarum exordia prima atque ita res mundi cecidere ab origine prima, conseque quoque iam redeunt ex ordine certo. Crescere itemque dies licet et tabescere noctes, et minui luces, cum sumant augmina noctis, aut quia sol idem sub terras atque superne imparibus currens amfractibus aetheris oras partit et in partis non aequas dividit orbem, et quod ab alterutra detraxit parte, reponit eius in adversa tanto plus parte relatus, donec ad id signum caeli pervenit, ubi anni nodus nocturnas exaequat lucibus umbras; nam medio cursu flatus aquilonis et austri distinet aequato caelum discrimine metas propter signiferi posituram totius orbis, annua sol in quo concludit tempora serpens, obliquo terras et caelum lumine lustrans, ut ratio declarat eorum qui loca caeli formino il disco del sole. Né tuttavia in queste cose dovrebbe suscitar meraviglia che a un'ora così fissa questi semi di fuoco possano confluire e rinnovare lo splendore del sole. Giacché vediamo molti fenomeni che avvengono a data fissa in tutte le cose. Fioriscono a data fissa gli alberi e a data fissa fanno cadere il fiore. A data non meno fissa il tempo ingiunge che cadano i denti, e che l'impubere entri nella pubertà rivestendosi di molle lanugine, e faccia scendere da entrambe le guance morbida barba. Infine i fulmini, la neve, le piogge, le nuvole, i venti si producono in periodi dell'anno non troppo incerti. Infatti, poiché tali furono i primi principi delle cause e così le cose si svolsero fin dall'origine prima del mondo, anche oggi ritornano l'uno dopo l'altro in ordine fisso. E del pari può darsi che s'allunghino i giorni e scemino le notti, e poi s'accorcino i giorni e nel contempo crescano le notti, perché lo stesso sole, sotto la terra e al disopra http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (38 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V omnia dispositis signis ornata notarunt. aut quia crassior est certis in partibus aër, sub terris ideo tremulum iubar haesitat ignis nec penetrare potest facile atque emergere ad ortus; propterea noctes hiberno tempore longae cessant, dum veniat radiatum insigne diei. aut etiam, quia sic alternis partibus anni tardius et citius consuerunt confluere ignes, qui faciunt solem certa de surgere parte, propterea fit uti videantur dicere verum. Luna potest solis radiis percussa nitere inque dies magis [id] lumen convertere nobis ad speciem, quantum solis secedit ab orbi, donique eum contra pleno bene lumine fulsit atque oriens obitus eius super edita vidit; inde minutatim retro quasi condere lumen debet item, quanto propius iam solis ad ignem labitur ex alia signorum parte per orbem; descrivendo curve di lunghezza differente, spartisce le plaghe dell'etere e divide la sua orbita in parti ineguali, e ciò che da una parte ha tolto, lo aggiunge nell'opposta parte dell'orbita, facendovi una corsa tanto più lunga, finché non arriva a quel segno celeste, dove il nodo dell'anno uguaglia ai giorni le ombre della notte. Difatti a mezzo cammino fra i soffi dell'aquilone e dell'austro, il cielo tiene separate ad uguale distanza le due mete per la positura di tutto il cerchio delle costellazioni in cui il sole scivolando conchiude il periodo di un anno, illuminando di obliqua luce la terra e il cielo, come spiega la dottrina di coloro che disegnarono tutte le regioni del cielo, ornate delle costellazioni poste nell'ordine loro. Può anche darsi che in certe parti l'aria sia più densa, e perciò sotto la terra esiti il tremulo splendore del fuoco e non possa penetrarla facilmente ed emergere a oriente; perciò le notti nel tempo invernale lunghe indugiano, finché non giunga il radioso ornamento del giorno. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (39 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V ut faciunt, lunam qui fingunt esse pilai consimilem cursusque viam sub sole tenere. est etiam quare proprio cum lumine possit volvier et varias splendoris reddere formas; corpus enim licet esse aliud, quod fertur et una labitur omnimodis occursans officiensque, nec potis est cerni, quia cassum lumine fertur. versarique potest, globus ut, si forte, pilai dimidia ex parti candenti lumine tinctus, versandoque globum variantis edere formas, donique eam partem, quae cumque est ignibus aucta, ad speciem vertit nobis oculosque patentis; inde minutatim retro contorquet et aufert luciferam partem glomeraminis atque pilai; ut Babylonica Chaldaeum doctrina refutans astrologorum artem contra convincere tendit, proinde quasi id fieri nequeat quod pugnat uterque aut minus hoc illo sit cur amplectier ausis. denique cur nequeat semper nova Può ancora darsi che allo stesso modo in alterne stagioni dell'anno siano soliti confluire, ora più lentamente, ora più rapidamente, i fuochi che fanno sorgere il sole da una parte determinata. Per questo avviene che sembrino dire il vero * Può darsi che la luna splenda perché percossa dai raggi del sole, e che di giorno in giorno maggiormente volga ‹quella› luce verso il nostro sguardo, quanto più s'allontana dal disco del sole, finché di contro ad esso rifulge di pienissima luce e sorgendo, alta sopra l'orizzonte, ne vede il tramonto; poi, a poco a poco, essa deve parimenti ritrarsi e nascondere, per così dire, la luce, quanto più vicino al fuoco del sole ormai scivola dall'altra parte per il cerchio delle costellazioni; tale è la teoria di coloro i quali immaginano che la luna sia simile a una sfera e percorra la sua orbita al disotto del sole. È dato anche supporre ch'essa possa ruotare con propria luce e pur presentare differenti aspetti del suo splendore. Può esserci infatti un altro corpo, che si muove e scivola insieme con essa, in tutti i modi opponendosi ed eclissandola, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (40 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V luna creari ordine formarum certo certisque figuris inque dies privos aborisci quaeque creata atque alia illius reparari in parte locoque, difficilest ratione docere et vincere verbis, ordine cum [videas] tam certo multa creari. it Ver et Venus et Veneris praenuntius ante pennatus graditur, Zephyri vestigia propter Flora quibus mater praespargens ante viai cuncta coloribus egregiis et odoribus opplet. inde loci sequitur Calor aridus et comes una pulverulenta Ceres [et] etesia flabra aquilonum. inde Autumnus adit, graditur simul Euhius Euan. inde aliae tempestates ventique secuntur, altitonans Volturnus et Auster fulmine pollens. tandem Bruma nives adfert pigrumque rigorem reddit. Hiemps sequitur crepitans hanc dentibus algu. quo minus est mirum, si certo tempore luna gignitur et certo deletur tempore senza che sia possibile discernerlo, perché privo di luce si muove. Ed essa può girare su sé stessa, come farebbe la sfera d'una palla cosparsa per metà di candida luce e, facendo girare la sua sfera, produrre varie fasi, finché volge al nostro sguardo e agli occhi aperti quella parte, qualunque sia, che è cinta di fuoco; poi a poco a poco torce indietro e sottrae ai nostri occhi la parte luminosa della sua massa sferica: questo è ciò che la babilonica dottrina dei Caldei, confutando la scienza degli astronomi, cerca di provare contro costoro, quasiché non possa avverarsi ciò per cui lottano gli uni e gli altri o ci sia un motivo per cui osi abbracciare meno questa che quella. Infine, perché non possa ogni giorno una nuova luna crearsi con ordine fisso di fasi e con forme fisse, e ciascun giorno sparire quella che si era creata e un'altra sostituirsi ad essa nella sua regione e posizione, è difficile mostrare col ragionamento e provare con le parole, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (41 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V rusus, cum fieri possint tam certo tempore multa. Solis item quoque defectus lunaeque latebras pluribus e causis fieri tibi posse putandumst. nam cur luna queat terram secludere solis lumine et a terris altum caput obstruere ei, obiciens caecum radiis ardentibus orbem, tempore eodem aliut facere id non posse putetur corpus, quod cassum labatur lumine semper? solque suos etiam dimittere languidus ignis tempore cur certo nequeat recreareque lumen, cum loca praeteriit flammis infesta per auras, quae faciunt ignis interstingui atque perire? et cur terra queat lunam spoliare vicissim lumine et oppressum solem super ipsa tenere, menstrua dum rigidas coni perlabitur umbras, tempore eodem aliud nequeat succurrere lunae corpus vel supra solis perlabier orbem, quod radios inter rumpat lumenque profusum? quando ‹vedi› che tante cose si creano con ordine fisso. Viene primavera e Venere, e l'alato nunzio di Venere innanzi cammina, e sulle orme di Zefiro la madre Flora davanti a loro tutta la via cosparge di squisiti colori e odori. Poi segue il calore arido e insieme la sua compagna, la polverosa Cerere, ‹e› gli etesii soffi degli aquiloni. Poi giunge l'autunno, e con esso cammina l'Evio Bacco. Poi altre stagioni e i loro venti seguono, l'altitonante Volturno e l'Austro possente col fulmine. Infine la bruma porta le nevi e rinnova il pigro gelo; la segue l'inverno che batte i denti per il freddo. Perciò non c'è da meravigliarsi se a tempo fisso la luna nasce e di nuovo a tempo fisso si dissolve, quando tante cose possono a tempo fisso avvenire. Parimenti devi credere che anche le eclissi del sole e il celarsi della luna possano avvenire per diverse cause. Infatti, perché la luna potrebbe escludere la terra dalla luce del sole e a questo opporre il proprio capo alto dalla terra, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (42 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V et tamen ipsa suo si fulget luna ponendo l'opaco disco davanti ai nitore, raggi ardenti, cur nequeat certa mundi e nello stesso tempo si dovrebbe languescere parte, credere che non possa dum loca luminibus propriis far ciò un altro corpo che scivoli inimica per exit? sempre privo di luce? [menstrua dum rigidas coni E il sole stesso perché non perlabitur umbras]. potrebbe illanguidito Quod superest, quoniam magni perdere i suoi fuochi a tempo fisso per caerula mundi e poi rinnovare la luce, qua fieri quicquid posset ratione quando, traversando l'aria, è resolvi, passato per luoghi ostili alle solis uti varios cursus lunaeque fiamme, meatus i quali producono l'estinguersi e il noscere possemus quae vis et perire dei fuochi? causa cieret, E perché la terra potrebbe a sua quove modo [possent] offecto volta spogliar di luce la luna lumine obire e tener nascosto il sole standogli et neque opinantis tenebris sopra essa stessa, mentre la luna obducere terras, nel suo mensile viaggio scivola per cum quasi conivent et aperto le rigide ombre del cono, lumine rursum e nello stesso tempo non potrebbe omnia convisunt clara loca candida un altro corpo luce, passar sotto la luna o scivolare nunc redeo ad mundi novitatem et sopra il disco del sole, mollia terrae così da interromperne i raggi e la arva, novo fetu quid primum in luce che esso spande? luminis oras E d'altronde, se la stessa luna tollere et incertis crerint rifulge di proprio splendore, committere ventis. perché non potrebbe illanguidirsi Principio genus herbarum in una determinata parte viridemque nitorem del mondo, mentre attraversa terra dedit circum collis luoghi nemici alla sua luce? camposque per omnis, Quanto al resto, poiché ho florida fulserunt viridanti prata spiegato come ogni cosa colore, possa avvenire per i ceruli spazi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (43 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V arboribusque datumst variis exinde per auras crescendi magnum inmissis certamen habenis. ut pluma atque pili primum saetaeque creantur quadripedum membris et corpore pennipotentum, sic nova tum tellus herbas virgultaque primum sustulit, inde loci mortalia saecla creavit multa modis multis varia ratione coorta. nam neque de caelo cecidisse animalia possunt, nec terrestria de salsis exisse lacunis. linquitur ut merito maternum nomen adepta terra sit, e terra quoniam sunt cuncta creata. multaque nunc etiam existunt animalia terris imbribus et calido solis concreta vapore; quo minus est mirum, si tum sunt plura coorta et maiora, nova tellure atque aethere adulta. principio genus alituum variaeque volucres ova relinquebant exclusae tempore verno, folliculos ut nunc teretis aestate cicadae lincunt sponte sua victum del vasto mondo, sì che potessimo conoscere quale forza e causa produca i vari corsi del sole e i movimenti della luna, e in che modo quegli astri, oscurata la luce, ‹possano› eclissarsi e coprire di tenebre la terra che non le aspettava, quando pare che chiudano gli occhi e poi, apertili di nuovo, frugano ogni luogo che si imbianca di chiara luce, ora torno alla giovinezza del mondo e ai molli campi della terra, e dirò che cosa dapprima essi s'indussero a levare, con nuova procreazione, alle plaghe della luce e affidare ai volubili venti. Da principio la terra produsse la famiglia delle erbe e il verde splendore intorno ai colli e per tutti i piani, i floridi prati rifulsero di verdeggiante colore, e ai vari alberi in séguito fu dato di gareggiare grandemente nel crescere per l'aria a briglie sciolte. Come sulle membra dei quadrupedi e sul corpo dei pennuti spuntano dapprima piume e peli e setole, così allora la giovane terra generò dapprima erbe e virgulti, in séguito creò le stirpi mortali, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (44 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V vitamque petentes. tum tibi terra dedit primum mortalia saecla. multus enim calor atque umor superabat in arvis. hoc ubi quaeque loci regio opportuna dabatur, crescebant uteri terram radicibus apti; quos ubi tempore maturo pate fecerat aetas infantum, fugiens umorem aurasque petessens, convertebat ibi natura foramina terrae et sucum venis cogebat fundere apertis consimilem lactis, sicut nunc femina quaeque cum peperit, dulci repletur lacte, quod omnis impetus in mammas convertitur ille alimenti. terra cibum pueris, vestem vapor, herba cubile praebebat multa et molli lanugine abundans. at novitas mundi nec frigora dura ciebat nec nimios aestus nec magnis viribus auras. omnia enim pariter crescunt et robora sumunt. Quare etiam atque etiam maternum nomen adepta terra tenet merito, quoniam genus che nacquero in gran numero, in molti modi, con varie forme. Infatti non possono esser caduti dal cielo gli animali, né le specie terrestri essere uscite dai salati abissi. Resta che a ragione la terra ha ricevuto il nome di madre poiché dalla terra traggono origine tutte le creature. Ed anche ora molti animali sorgono dalla terra, generati dalle piogge e dall'ardente calore del sole; perciò non c'è da stupire se più numerosi ne nacquero allora, e più grandi, essendo cresciuti quando terra e cielo eran giovani. Da principio la specie degli alati e i vari uccelli lasciavano le uova, uscendo dai gusci in primavera, come ora d'estate le cicale spontaneamente abbandonano i tondeggianti involucri per cercare il cibo e la vita. Allora, vedi, la terra cominciò a produrre le stirpi mortali. Molto calore, infatti, e umidità sovrabbondavano nei campi. Perciò, ovunque si offriva idonea disposizione di luogo, crescevano uteri attaccati alla terra con radici; e quando, maturato il tempo, li aveva aperti l'età http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (45 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V ipsa creavit humanum atque animal prope certo tempore fudit omne quod in magnis bacchatur montibus passim, aëriasque simul volucres variantibus formis. sed quia finem aliquam pariendi debet habere, destitit, ut mulier spatio defessa vetusto. mutat enim mundi naturam totius aetas ex alioque alius status excipere omnia debet nec manet ulla sui similis res: omnia migrant, omnia commutat natura et vertere cogit. namque aliud putrescit et aevo debile languet, porro aliud [suc]crescit et [e] contemptibus exit. sic igitur mundi naturam totius aetas mutat, et ex alio terram status excipit alter, quod potuit nequeat, possit quod non tulit ante. Multaque tum tellus etiam portenta creare conatast mira facie membrisque coorta, androgynem, interutras necutrumque utrimque remotum, orba pedum partim, manuum viduata vicissim, degli infanti, fuggendo l'umidità e cercando l'aria, lì la natura rivolgeva i canali della terra e li costringeva a versare dalle vene aperte un succo simile al latte, come ora ogni femmina, quando ha partorito, s'empie di dolce latte, perché tutto alle mammelle converge l'impeto del suo alimento. La terra offriva ai bimbi il cibo, il calore una veste, l'erba un giaciglio riboccante di molta e morbida lanugine. Ma la giovinezza del mondo non produceva rigidi freddi, né eccessivi calori, né venti di forze possenti. Tutte le cose infatti di pari passo crescono e prendono vigore. Perciò, ancora e ancora, la terra a ragione ha ricevuto e conserva il nome di madre, poiché da sé essa creò il genere umano e, quasi a un momento stabilito, partorì ogni animale che sui grandi monti scorrazza selvaggio e insieme gli uccelli dell'aria nelle varie forme. Ma, poiché il suo partorire deve avere un termine, essa cessò, come donna fiaccata da vecchiezza. Il tempo infatti muta la natura di http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (46 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V muta sine ore etiam, sine voltu caeca reperta, vinctaque membrorum per totum corpus adhaesu, nec facere ut possent quicquam nec cedere quoquam nec vitare malum nec sumere quod volet usus. cetera de genere hoc monstra ac portenta creabat, ne quiquam, quoniam natura absterruit auctum nec potuere cupitum aetatis tangere florem nec reperire cibum nec iungi per Veneris res. multa videmus enim rebus concurrere debere, ut propagando possint procudere saecla; pabula primum ut sint, genitalia deinde per artus semina qua possint membris manare remissis, feminaque ut maribus coniungi possit, habere, mutua qui mutent inter se gaudia uterque. Multaque tum interiisse animantum saecla necessest nec potuisse propagando procudere prolem. nam quae cumque vides vesci vitalibus auris, aut dolus aut virtus aut denique mobilitas est tutto il mondo, e in tutte le cose a uno stato deve subentrarne un altro, né alcunché resta simile a sé stesso: tutte le cose passano, tutte la natura le trasmuta e le costringe a trasformarsi. Giacché una imputridisce e fiaccata dal tempo langue, poi un'altra cresce ed esce ‹dalle› condizioni di disprezzo. Così dunque il tempo muta la natura di tutto il mondo, e nella terra a uno stato ne subentra un altro, sicché non può produrre ciò che poté, ma può ciò che non poté in passato. E anche molti portenti allora la terra tentò di creare, nati con facce e membra strane: l'androgino, che sta tra i due sessi, e non è né l'uno, né l'altro, ma è lontano da ambedue; alcune creature prive di piedi, altre mancanti, a loro volta, di mani, o anche mute senza la bocca, o ch'erano cieche senza gli occhi, o avviluppate in tutto il corpo per l'aderire delle membra, sì che non potevano fare alcunché, né muoversi verso alcun luogo, né evitare un danno, né prendere ciò che era necessario. Ogni altro mostro e portento di questa specie essa creava, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (47 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V ex ineunte aevo genus id tuta ma invano, perché la natura ne reservans. impedì la crescita, multaque sunt, nobis ex utilitate né poterono attingere il bramato sua quae fiore dell'età, commendata manent, tutelae né trovare cibo, né congiungersi tradita nostrae. con gli atti di Venere. principio genus acre leonum Molte cose vediamo infatti che saevaque saecla devono concorrere negli esseri tutatast virtus, volpes dolus et perché possano generare e fuga cervos. propagare le stirpi; at levisomna canum fido cum bisogna anzitutto che abbiano di pectore corda, che nutrirsi, poi passaggi per cui et genus omne quod est veterino i semi genitali possano scorrere semine partum attraverso i corpi ed emanare lanigeraeque simul pecudes et dalle membra rilassate; e, affinché bucera saecla la femmina possa congiungersi col omnia sunt hominum tutelae maschio, tradita, Memmi; devono avere ambedue ciò che nam cupide fugere feras occorre per scambiarsi vicendevoli pacemque secuta piaceri. sunt et larga suo sine pabula parta E molte stirpi di esseri viventi labore, dovettero allora soccombere quae damus utilitatis eorum e non poterono generare e praemia causa. propagare la prole. at quis nil horum tribuit natura, Giacché tutte quelle che vedi nec ipsa respirare le aure vitali, sponte sua possent ut vivere nec o l'astuzia o la forza o almeno la dare nobis velocità le protesse utilitatem aliquam, quare dal principio dell'esistenza e ne pateremur eorum conservò le generazioni. praesidio nostro pasci genus E molte ce ne sono che, esseque tutum, raccomandate a noi scilicet haec aliis praedae lucroque dalla loro utilità, furono affidate iacebant alla nostra tutela. indupedita suis fatalibus omnia In primo luogo alla fiera progenie vinclis, dei leoni e alle stirpi selvagge donec ad interitum genus id fornì difesa la forza, alle volpi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (48 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V natura redegit. Sed neque Centauri fuerunt nec tempore in ullo esse queunt duplici natura et corpore bino ex alienigenis membris compacta, potestas hinc illinc partis ut sat par esse potissit. id licet hinc quamvis hebeti cognoscere corde. principio circum tribus actis impiger annis floret equus, puer haut quaquam; nam saepe etiam nunc ubera mammarum in somnis lactantia quaeret. post ubi equum validae vires aetate senecta membraque deficiunt fugienti languida vita, tum demum puerili aevo florenta iuventas officit et molli vestit lanugine malas; ne forte ex homine et veterino semine equorum confieri credas Centauros posse neque esse, aut rapidis canibus succinctas semimarinis corporibus Scyllas et cetera de genere horum, inter se quorum discordia membra videmus; quae neque florescunt pariter nec l'astuzia e ai cervi la fuga. Ma i cani dal sonno leggero, che nei petti hanno cuori fedeli, e ogni progenie nata dal seme delle bestie da soma e insieme le greggi lanose e le cornute stirpi dei buoi, tutti furono affidati alla tutela degli uomini, o Memmio. Ardentemente infatti fuggirono le fiere e cercarono pace e copiose pasture ottenute senza loro fatica, cose che noi diamo loro in ricompensa della loro utilità. Ma quelli cui la natura non diede nulla di ciò, né di vivere da sé stessi liberamente, né di rendere a noi qualche servigio per cui consentissimo alla loro progenie di nutrirsi e di vivere sicura sotto la nostra protezione, questi certo soggiacevano ad altri come preda e bottino, inceppati come erano tutti dalle loro catene fatali, finché la natura ne portò la progenie ad estinzione. Ma non ci furono Centauri, né in alcun tempo possono esistere esseri di duplice natura e di corpo doppio, messi insieme con membra eterogenee, così che le facoltà di creature http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (49 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V robora sumunt corporibus neque proiciunt aetate senecta nec simili Venere ardescunt nec moribus unis conveniunt neque sunt eadem iucunda per artus. quippe videre licet pinguescere saepe cicuta barbigeras pecudes, homini quae est acre venenum. flamma quidem [vero] cum corpora fulva leonum tam soleat torrere atque urere quam genus omne visceris in terris quod cumque et sanguinis extet, qui fieri potuit, triplici cum corpore ut una, prima leo, postrema draco, media ipsa, Chimaera ore foras acrem flaret de corpore flammam? quare etiam tellure nova caeloque recenti talia qui fingit potuisse animalia gigni, nixus in hoc uno novitatis nomine inani, multa licet simili ratione effutiat ore, aurea tum dicat per terras flumina vulgo fluxisse et gemmis florere arbusta suësse aut hominem tanto membrorum esse impete natum, nate da questa specie e da quella possano corrispondere abbastanza. Ciò si può conoscere di qui, anche con mente ottusa. Anzitutto, nel giro di tre anni il focoso cavallo è nel suo fiore, ma il bambino per niente; ché spesso ancora cercherà nel sonno i capezzoli del seno materno colmi di latte. Poi, quando al cavallo per vecchiaia vengon meno le forze poderose e languiscono le membra per il fuggire della vita, solo allora il fanciullo raggiunge il fiore dell'età e comincia per lui la gioventù, che gli veste di morbida lanugine le guance. Non ti avvenga, dunque, di credere che dall'uomo e dal seme di bestie da soma, dei cavalli, possan formarsi Centauri, ed esistere, o Scille coi corpi semimarini, cinte di rabbiosi cani, e tutti gli altri esseri di questa fatta, le cui membra vediamo discordanti fra loro; che nello stesso tempo né fioriscono, né prendono il vigore del corpo, né lo perdono a causa della vecchiaia, né di simile amore ardono, né armonizzano per abitudini uniformi, né identiche sono le cose che giovano alle loro membra. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (50 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V trans maria alta pedum nisus ut ponere posset et manibus totum circum se vertere caelum. nam quod multa fuere in terris semina rerum, tempore quo primum tellus animalia fudit, nil tamen est signi mixtas potuisse creari inter se pecudes compactaque membra animantum, propterea quia quae de terris nunc quoque abundant herbarum genera ac fruges arbustaque laeta non tamen inter se possunt complexa creari, sed res quaeque suo ritu procedit et omnes foedere naturae certo discrimina servant. Et genus humanum multo fuit illud in arvis durius, ut decuit, tellus quod dura creasset, et maioribus et solidis magis ossibus intus fundatum, validis aptum per viscera nervis, nec facile ex aestu nec frigore quod caperetur nec novitate cibi nec labi corporis ulla. multaque per caelum solis volventia lustra Spesso infatti si può vedere che le barbute capre ingrassano con la cicuta, mentre questa per l'uomo è violento veleno. Poiché, ‹d'altra parte,› la fiamma suole cuocere e bruciare i corpi fulvi dei leoni, tanto quanto qualunque altra specie di carne e sangue che esiste sulla terra, come sarebbe potuto avvenire che un unico essere con triplice corpo, nella parte anteriore leone, nella posteriore drago, nella mediana lei, la Chimera, spirasse per la bocca una fiamma violenta uscita dal corpo? Così, dunque, chi immagina che tali animali potessero nascere quando la terra era giovane e il cielo da poco formato, fondandosi soltanto su questo vano nome di gioventù, molte cose similmente può dire a vanvera; può dire che allora fiumi d'oro scorrevano sulla terra ovunque e che gli alberi comunemente fiorivano di pietre preziose o che nacque un uomo con membra tanto gigantesche da poter con un passo poggiare il piede di là da mari profondi e con le mani rotare intorno a sé tutto il cielo. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (51 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V volgivago vitam tractabant more Ché, se la terra contenne molti ferarum. semi di cose nec robustus erat curvi moderator nel tempo in cui il suolo cominciò aratri a produrre gli animali, quisquam, nec scibat ferro molirier questo tuttavia non è segno che si arva siano potute creare nec nova defodere in terram bestie miste fra loro e membra virgulta neque altis accozzate di esseri viventi, arboribus veteres decidere falcibus poiché le specie delle erbe e le ramos. messi e gli alberi rigogliosi, quod sol atque imbres dederant, che tuttora pullulano in quod terra crearat abbondanza dalla terra, sponte sua, satis id placabat non posson tuttavia nascere pectora donum. intrecciati fra loro, glandiferas inter curabant corpora ma ognuna di queste cose procede quercus secondo un proprio modo plerumque; et quae nunc hiberno e tutte per salda legge di natura tempore cernis conservano le differenze. arbita puniceo fieri matura colore, Ma la stirpe umana che visse plurima tum tellus etiam maiora allora nei campi fu molto ferebat. più dura, com'era naturale, ché la multaque praeterea novitas tum dura terra l'aveva creata; florida mundi e nell'interno del corpo fu piantata pabula dura tulit, miseris su ossa più grandi mortalibus ampla. e più salde, connessa attraverso le at sedare sitim fluvii fontesque carni da nervi poderosi, vocabant, tale che non poteva facilmente ut nunc montibus e magnis esser vinta dal caldo, né dal decursus aquai freddo, claricitat late sitientia saecla né da cibo inconsueto, né da alcun ferarum. difetto del corpo. denique nota vagis silvestria E, durante il corso di molti lustri templa tenebant del sole per il cielo, nympharum, quibus e scibant conducevano la vita a guisa di umore fluenta fiere vagabonde. lubrica proluvie larga lavere umida Non c'era nessuno che robusto saxa, reggesse l'aratro ricurvo, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (52 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V umida saxa, super viridi stillantia nessuno sapeva lavorare i campi musco, col ferro, et partim plano scatere atque né piantare nella terra i virgulti erumpere campo. novelli, né dagli alti necdum res igni scibant tractare alberi tagliar via coi falcetti i rami neque uti vecchi. pellibus et spoliis corpus vestire Ciò che donavano il sole e le ferarum, piogge, ciò che produceva sed nemora atque cavos montis di per sé la terra, era un dono silvasque colebant bastevole a placare quei petti. et frutices inter condebant Tra le querce cariche di ghiande squalida membra per lo più ristoravano i corpi; verbera ventorum vitare imbrisque e le corbezzole, che ora nella coacti. stagione invernale vedi nec commune bonum poterant farsi mature, di colore purpureo, spectare neque ullis allora la terra moribus inter se scibant nec le produceva in grandissimo legibus uti. numero e anche più grosse. quod cuique obtulerat praedae E la fiorente gioventù del mondo fortuna, ferebat produsse allora sponte sua sibi quisque valere et molti altri rudi alimenti, vivere doctus. abbondanza per i miseri mortali. et Venus in silvis iungebat corpora Ma a sedare la sete li chiamavano amantum; i fiumi e le fonti, conciliabat enim vel mutua come ora il torrente, che precipita quamque cupido giù dai grandi monti, vel violenta viri vis atque inpensa chiama per ampio spazio col libido chiaro suono sitibonde famiglie di vel pretium, glandes atque arbita fiere. vel pira lecta. Occupavano infine i silvestri et manuum mira freti virtute recessi delle ninfe, scoperti pedumque nel loro vagare, dai quali consectabantur silvestria saecla sapevano che rivoli d'acqua ferarum fluivano con larga corrente missilibus saxis et magno pondere lavando le umide rocce, clavae. le umide rocce, stillanti sopra il http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (53 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V multaque vincebant, vitabant pauca latebris; saetigerisque pares subus silvestria membra nuda dabant terrae nocturno tempore capti, circum se foliis ac frondibus involventes. nec plangore diem magno solemque per agros quaerebant pavidi palantes noctis in umbris, sed taciti respectabant somnoque sepulti, dum rosea face sol inferret lumina caelo. a parvis quod enim consuerant cernere semper alterno tenebras et lucem tempore gigni, non erat ut fieri posset mirarier umquam nec diffidere, ne terras aeterna teneret nox in perpetuum detracto lumine solis. sed magis illud erat curae, quod saecla ferarum infestam miseris faciebant saepe quietem. eiectique domo fugiebant saxea tecta spumigeri suis adventu validique leonis atque intempesta cedebant nocte paventes hospitibus saevis instrata cubilia verde muschio, mentre altri scaturivano ed erompevano per la piana campagna. E non sapevano ancora trattare le cose col fuoco, né servirsi di pelli e vestire il corpo con spoglie di fiere, ma abitavano boschi e caverne montane e selve e nascondevano le scabre membra tra le macchie, quando eran costretti a evitare sferzate di venti e piogge. Né erano capaci di mirare al bene comune, né sapevano valersi di costumi e di leggi nei loro rapporti. Ciò che a ciascuno la fortuna aveva offerto come preda, ciascuno se lo prendeva, avvezzo a usare la forza e a vivere da sé, per sé stesso. E Venere nelle selve congiungeva i corpi degli amanti; conquistava infatti la donna o un reciproco desiderio o la violenta forza dell'uomo e la sua brama intensa o una mercede: ghiande e corbezzole o pere scelte. E, confidando nella meravigliosa forza delle mani e dei piedi, davano la caccia alle silvestri stirpi delle fiere con lancio di sassi e con clave http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (54 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V fronde. Nec nimio tum plus quam nunc mortalia saecla dulcia linquebant lamentis lumina vitae. unus enim tum quisque magis deprensus eorum pabula viva feris praebebat, dentibus haustus, et nemora ac montis gemitu silvasque replebat viva videns vivo sepeliri viscera busto. at quos effugium servarat corpore adeso, posterius tremulas super ulcera tetra tenentes palmas horriferis accibant vocibus Orcum, donique eos vita privarant vermina saeva expertis opis, ignaros quid volnera vellent. at non multa virum sub signis milia ducta una dies dabat exitio nec turbida ponti aequora lidebant navis ad saxa virosque. nam temere in cassum frustra mare saepe coortum saevibat leviterque minas ponebat inanis, nec poterat quemquam placidi pellacia ponti subdola pellicere in fraudem pesanti; e molte ne vincevano, poche ne evitavano nascondendosi; e, come setolosi cinghiali, abbandonavano sulla terra nude le membra silvestri, quando li sorprendeva la notte, avvolgendosi, tutt'intorno, di foglie e di fronde. Né con grande lamento cercavano il giorno e il sole per i campi vagando paurosi tra le ombre della notte, ma taciti e sepolti nel sonno aspettavano che con la rosea fiaccola il sole portasse la luce nel cielo. E infatti, poiché dalla fanciullezza s'erano abituati a vedere sempre le tenebre e la luce prodursi in tempi alterni, non poteva avvenire mai che li colpisse meraviglia o il timore che una notte senza fine occupasse la terra e il lume del sole fosse stato rapito per sempre. Ma più angoscioso era questo, che le stirpi ferine spesso a quei miseri facevano tribolato il riposo. E, scacciati dalla loro dimora, fuggivano i rocciosi ripari all'arrivo d'un cinghiale schiumante o d'un possente leone, e a notte fonda atterriti cedevano http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (55 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V ridentibus undis. improba navigii ratio tum caeca iacebat. tum penuria deinde cibi languentia leto membra dabat, contra nunc rerum copia mersat. illi inprudentes ipsi sibi saepe venenum vergebant, nunc dant [aliis] sollertius ipsi. Inde casas postquam ac pellis ignemque pararunt et mulier coniuncta viro concessit in unum *** cognita sunt, prolemque ex se videre creatam, tum genus humanum primum mollescere coepit. ignis enim curavit, ut alsia corpora frigus non ita iam possent caeli sub tegmine ferre, et Venus inminuit viris puerique parentum blanditiis facile ingenium fregere superbum. tunc et amicitiem coeperunt iungere aventes finitimi inter se nec laedere nec violari, et pueros commendarunt muliebreque saeclum, vocibus et gestu cum balbe significarent imbecillorum esse aequum agli ospiti feroci i covili coperti di fronde. Né allora molto più che ora le stirpi mortali lasciavano con lamenti la dolce luce della vita. Certo, allora più spesso qualcuno di loro, sorpreso, offriva pasto vivente alle fiere, dilaniato dalle zanne, e riempiva di lamenti boschi e monti e selve, vedendo le proprie vive carni seppellite in un vivo sepolcro. E quelli che si erano salvati fuggendo col corpo lacerato, poi, tenendo le mani tremanti sopra le orribili piaghe, invocavano con grida spaventose Orco, finché spasimi crudeli li privavano della vita, senza aiuto, ignari delle cure che le ferite reclamavano. Tuttavia molte migliaia di uomini adunate sotto le insegne non dava a morte un solo giorno, né le procellose acque del mare gettavano navi e uomini a infrangersi contro gli scogli; ma alla cieca, a vuoto, invano il mare spesso si sollevava imperversando, e facilmente deponeva le inutili minacce, né la lusinga della bonaccia poteva subdola trarre in inganno qualcuno col http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (56 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V misererier omnis. sorridere delle onde. nec tamen omnimodis poterat La rovinosa arte del navigare concordia gigni, giaceva allora ignorata. sed bona magnaque pars servabat Allora la penuria di cibo dava alla foedera caste; morte le membra aut genus humanum iam tum languenti, ora al contrario le foret omne peremptum sommerge l'abbondanza. nec potuisset adhuc perducere Per ignoranza gli uomini d'allora saecla propago. spesso versavano il veleno At varios linguae sonitus natura a sé stessi, quelli d'ora più subegit scaltramente lo danno essi ‹agli mittere et utilitas expressit altri.› nomina rerum, Poi, quando si provvidero di non alia longe ratione atque ipsa capanne e di pelli e di fuoco, videtur e la donna congiunta con l'uomo protrahere ad gestum pueros passò ad un solo infantia linguae, * cum facit ut digito quae sint furono conosciuti, ed essi videro la praesentia monstrent. prole nata da loro, sentit enim vim quisque suam allora primamente il genere quod possit abuti. umano cominciò a dirozzarsi. cornua nata prius vitulo quam Il fuoco infatti fece sì che i corpi frontibus extent, freddolosi non potessero più illis iratus petit atque infestus sopportare bene il freddo sotto la inurget. volta del cielo, at catuli pantherarum scymnique e Venere diminuì le forze, e i leonum bambini con le carezze unguibus ac pedibus iam tum facilmente vinsero l'indole fiera dei morsuque repugnant, genitori. vix etiam cum sunt dentes Allora cominciarono anche a unguesque creati. stringere amicizia fra loro alituum porro genus alis omne i vicini, desiderando non nuocere e videmus non subire violenza, fidere et a pennis tremulum petere e si affidarono l'un l'altro i fanciulli auxiliatum. e le donne, proinde putare aliquem tum con balbettanti voci e col gesto http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (57 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V nomina distribuisse rebus et inde homines didicisse vocabula prima, desiperest. nam cur hic posset cuncta notare vocibus et varios sonitus emittere linguae, tempore eodem alii facere id non quisse putentur? praeterea si non alii quoque vocibus usi inter se fuerant, unde insita notities est utilitatis et unde data est huic prima potestas, quid vellet facere ut sciret animoque videret? cogere item pluris unus victosque domare non poterat, rerum ut perdiscere nomina vellent. nec ratione docere ulla suadereque surdis, quid sit opus facto, facilest; neque enim paterentur nec ratione ulla sibi ferrent amplius auris vocis inauditos sonitus obtundere frustra. postremo quid in hac mirabile tantoperest re, si genus humanum, cui vox et lingua vigeret, pro vario sensu varia res voce notaret? cum pecudes mutae, cum denique saecla ferarum significando che era giusto che tutti avessero pietà per i deboli. Né tuttavia poteva la concordia nascere sempre, ma una buona, una gran parte degli uomini osservava i patti fedelmente; altrimenti il genere umano già allora sarebbe perito tutto, né il suo propagarsi avrebbe potuto far durare fino ad ora le stirpi. I vari suoni della lingua, poi, fu la natura che costrinse ad emetterli, e l'utilità foggiò i nomi delle cose, in modo non molto diverso da quello in cui si vede che la stessa incapacità della lingua a esprimere parole induce i bimbi a gestire, quando fa che mostrino a dito le cose che sono presenti. Difatti ognuno sente per qual uso possa valersi delle proprie facoltà. Il vitello, prima che le corna gli siano spuntate e sporgano dalla fronte, con esse irato assale e ostile incalza. Dal canto loro, i cuccioli delle pantere e i leoncini si difendono con unghie e zampe e morsi già quando denti e unghie non sono ancora ben formati. Vediamo poi ogni specie di uccelli affidarsi alle ali e chiedere alle penne un aiuto che http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (58 of 82) [07/08/2003 21.43.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V dissimilis soleant voces variasque ciere, cum metus aut dolor est et cum iam gaudia gliscunt. quippe [et]enim licet id rebus cognoscere apertis. inritata canum cum primum magna Molossum mollia ricta fremunt duros nudantia dentes, longe alio sonitu rabies [re]stricta minatur, et cum iam latrant et vocibus omnia complent; at catulos blande cum lingua lambere temptant aut ubi eos lactant, pedibus morsuque potentes suspensis teneros imitantur dentibus haustus, longe alio pacto gannitu vocis adulant, et cum deserti baubantur in aedibus, aut cum plorantis fugiunt summisso corpore plagas. denique non hinnitus item differre videtur, inter equas ubi equus florenti aetate iuvencus pinnigeri saevit calcaribus ictus Amoris et fremitum patulis sub naribus edit ad arma, et cum sic alias concussis artibus hinnit? ancora è tremolante. Perciò pensare che qualcuno allora abbia assegnato i nomi alle cose e che da lui gli uomini abbiano imparato i primi vocaboli, è follia. Infatti, perché colui avrebbe potuto designare con parole ogni cosa ed emettere i vari suoni della lingua, ma si dovrebbe credere che nello stesso tempo altri non abbiano potuto farlo? Inoltre, se delle parole non avevano fatto uso fra loro anche altri, donde fu impressa in quello la nozione della loro utilità e donde fu data a lui per primo la facoltà di sapere e di vedere nella mente che cosa volesse fare? Parimenti, non poteva uno solo costringer molti e vincerli e domarli, sì che acconsentissero a imparare i nomi delle cose. Né in alcun modo è facile insegnare a sordi e persuaderli di ciò che bisogna fare; difatti non lo sopporterebbero, né in alcun modo tollererebbero che inauditi suoni di voce più volte assordassero le loro orecchie invano. Infine, che c'è di tanto sorprendente in questo, se il genere umano, che aveva voce e lingua vigorose, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (59 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V postremo genus alituum variaeque volucres, accipitres atque ossifragae mergique marinis fluctibus in salso victum vitamque petentes, longe alias alio iaciunt in tempore voces, et quom de victu certant praedaque repugnant. et partim mutant cum tempestatibus una raucisonos cantus, cornicum ut saecla vetusta corvorumque gregis ubi aquam dicuntur et imbris poscere et inter dum ventos aurasque vocare. ergo si varii sensus animalia cogunt, muta tamen cum sint, varias emittere voces, quanto mortalis magis aequumst tum potuisse dissimilis alia atque alia res voce notare! Illud in his rebus tacitus ne forte requiras, fulmen detulit in terram mortalibus ignem primitus, inde omnis flammarum diditur ardor; multa videmus enim caelestibus insita flammis fulgere, cum caeli donavit plaga vaporis. et ramosa tamen cum ventis pulsa secondo le diverse impressioni designava le cose con suoni diversi? Quando le greggi prive di parola, quando perfino le stirpi delle fiere son solite formare voci dissimili e varie, secondo che sentano timore o dolore o cresca in esse la gioia. E infatti è possibile conoscer questo in base a fatti palesi. Quando le larghe morbide labbra dei cani molossi incominciano a fremere irritate, scoprendo i duri denti, tirate indietro per la rabbia, minacciano con suono molto diverso da quando poi latrano ed empiono tutti i luoghi delle loro voci. Ma, quando prendono a lambire con la lingua carezzevolmente i cuccioli o li sballottano con le zampe e, minacciando di morderli, senza stringere i denti fingono di volerli divorare teneramente, li vezzeggiano col mugolìo in modo molto diverso da quando lasciati soli in casa abbaiano, o quando uggiolando scansano col corpo schiacciato a terra le percosse. E ancora, non si vede che parimenti differisce il nitrito, quando un polledro nel fiore dell'età infuria fra le cavalle, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (60 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V vacillans aestuat in ramos incumbens arboris arbor, exprimitur validis extritus viribus ignis, emicat inter dum flammai fervidus ardor, mutua dum inter se rami stirpesque teruntur. quorum utrumque dedisse potest mortalibus ignem. inde cibum quoquere ac flammae mollire vapore sol docuit, quoniam mitescere multa videbant verberibus radiorum atque aestu victa per agros. Inque dies magis hi victum vitamque priorem commutare novis monstrabant rebus et igni, ingenio qui praestabant et corde vigebant. condere coeperunt urbis arcemque locare praesidium reges ipsi sibi perfugiumque, et pecudes et agros divisere atque dedere pro facie cuiusque et viribus ingenioque; nam facies multum valuit viresque vigebant. posterius res inventast aurumque repertum, quod facile et validis et pulchris colpito dagli sproni di amore alato, e con le froge dilatate freme movendo all'assalto, e quando, in altri casi, nitrisce con membra tremanti? Infine, le specie degli alati e i vari uccelli, gli sparvieri e le aquile marine e gli smerghi che cercano il nutrimento e la vita nei salati flutti del mare, in un tempo diverso gettano gridi di gran lunga diversi da quando contendono per il cibo e le prede fanno resistenza. E alcuni mutano col mutare del tempo i rauchi canti, come le longeve stirpi delle cornacchie e le frotte dei corvi, di cui si dice che a volte invochino l'acqua e la pioggia, altre volte chiamino i venti e le brezze. Dunque, se sensi diversi costringono gli animali, benché siano privi di parola, a emettere voci diverse, quanto è più naturale che gli uomini allora abbian potuto designare cose dissimili con suoni differenti fra loro! Perché a tale proposito non ti ponga per caso, tacito, questa domanda, fu il fulmine che portò giù in terra ai mortali il fuoco dapprincipio; di là si diffonde ogni http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (61 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V dempsit honorem; ardore di fiamme. divitioris enim sectam plerumque Molte cose infatti vediamo secuntur accendersi penetrate dai semi quam lubet et fortes et pulchro delle fiamme corpore creti. celesti, quando un colpo dal cielo quod siquis vera vitam ratione ha dato ad esse il suo calore. gubernet, E d'altronde, quando un albero divitiae grandes homini sunt ramoso, battuto dai venti, vivere parce vacillando fluttua e si getta sui aequo animo; neque enim est rami di un altro albero, umquam penuria parvi. si sprigiona il fuoco, cavato fuori at claros homines voluerunt se dal possente attrito, atque potentes, prorompe talora il fervido ardore ut fundamento stabili fortuna della fiamma, maneret mentre tra loro i rami e i tronchi si et placidam possent opulenti sfregano a vicenda. degere vitam, E l'una e l'altra di queste cause ne quiquam, quoniam ad summum può aver dato ai mortali il fuoco. succedere honorem Poi il sole insegnò loro a cuocere il certantes iter infestum fecere viai, cibo e ad ammollirlo et tamen e summo, quasi fulmen, col calore della fiamma, poiché deicit ictos vedevano molte cose maturare invidia inter dum contemptim in vinte dalle sferzate dei raggi e Tartara taetra; dalla calura per i campi. invidia quoniam ceu fulmine E di giorno in giorno sempre più a summa vaporant mutare il cibo e la vita plerumque et quae sunt aliis anteriore con nuove scoperte e col magis edita cumque; fuoco insegnavano loro ut satius multo iam sit parere quelli che eccellevano per ingegno quietum e vigore d'animo. quam regere imperio res velle et I re incominciarono a fondare città regna tenere. e a costruire rocche, proinde sine in cassum defessi per trovarvi essi stessi difesa e sanguine sudent, rifugio, angustum per iter luctantes e divisero il bestiame e i campi, e ambitionis; li donarono quandoquidem sapiunt alieno ex secondo la bellezza e la forza e http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (62 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V ore petuntque res ex auditis potius quam sensibus ipsis, nec magis id nunc est neque erit mox quam fuit ante. Ergo regibus occisis subversa iacebat pristina maiestas soliorum et sceptra superba, et capitis summi praeclarum insigne cruentum sub pedibus vulgi magnum lugebat honorem; nam cupide conculcatur nimis ante metutum. res itaque ad summam faecem turbasque redibat, imperium sibi cum ac summatum quisque petebat. inde magistratum partim docuere creare iuraque constituere, ut vellent legibus uti. nam genus humanum, defessum vi colere aevom, ex inimicitiis languebat; quo magis ipsum sponte sua cecidit sub leges artaque iura. acrius ex ira quod enim se quisque parabat ulcisci quam nunc concessumst legibus aequis, hanc ob rem est homines pertaesum vi colere aevom. inde metus maculat poenarum l'ingegno di ciascuno; perché la bellezza ebbe molto valore e la forza gran pregio. Più tardi fu scoperta la ricchezza e fu trovato l'oro, che facilmente tolse onore sia ai belli che ai forti; al séguito del più ricco difatti gli uomini per lo più s'accodano, quantunque siano e forti e dotati di bei corpi. Ma, se si vuol governare la vita secondo la verità, ricchezza grande è per l'uomo il vivere parcamente con animo sereno; giacché del poco non c'è mai penuria. Ma gli uomini vollero essere illustri e potenti, perché su fondamento stabile perdurasse la loro fortuna e opulenti potessero condurre una placida vita; invano, perché, lottando per ascendere al vertice degli onori, si fecero pieno di insidie il cammino, e, quand'anche vi giungano, dal vertice l'invidia, come un fulmine, colpendoli talvolta li precipita con disprezzo nel Tartaro tetro; perché per l'invidia, come per il fulmine, per lo più ardono i vertici e tutte le cose che si elevano al disopra di altre; sì che è molto meglio obbedire http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (63 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V praemia vitae. circumretit enim vis atque iniuria quemque atque unde exortast, ad eum plerumque revertit, nec facilest placidam ac pacatam degere vitam qui violat factis communia foedera pacis. etsi fallit enim divom genus humanumque, perpetuo tamen id fore clam diffidere debet; quippe ubi se multi per somnia saepe loquentes aut morbo delirantes protraxe ferantur et celata [mala] in medium et peccata dedisse. Nunc quae causa deum per magnas numina gentis pervulgarit et ararum compleverit urbis suscipiendaque curarit sollemnia sacra, quae nunc in magnis florent sacra rebus locisque, unde etiam nunc est mortalibus insitus horror, qui delubra deum nova toto suscitat orbi terrarum et festis cogit celebrare diebus, non ita difficilest rationem reddere verbis. quippe etenim iam tum divom mortalia saecla quieto che aspirare al potere supremo e al possesso di regni. Lascia dunque che invano spossati sudino sangue, lottando per l'angusto cammino dell'ambizione; giacché il loro sapere dipende dalla bocca altrui, e mirano alle cose seguendo ciò che hanno udito dire piuttosto che i propri sensi, né ciò è ora, né sarà in avvenire più di quanto fu per l'innanzi. Dunque, uccisi i re, giacevano abbattuti l'antica maestà dei troni e gli scettri superbi; e lo splendido ornamento della testa regale, insanguinato, sotto i piedi del volgo piangeva il grande onore; con ardore infatti si calpesta ciò che troppo fu prima temuto. Così le cose eran ridotte a estrema confusione e turbamento, mentre ognuno cercava per sé il potere e la sovranità. Poi una parte di essi insegnò a creare magistrati e fondò il diritto, perché volessero osservare le leggi. Infatti il genere umano, spossato dal vivere una vita di violenza, languiva per le inimicizie; perciò tanto più spontaneamente si sottomise da sé stesso alle leggi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (64 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V egregias animo facies vigilante videbant et magis in somnis mirando corporis auctu. his igitur sensum tribuebant propterea quod membra movere videbantur vocesque superbas mittere pro facie praeclara et viribus amplis. aeternamque dabant vitam, quia semper eorum subpeditabatur facies et forma manebat, et tamen omnino quod tantis viribus auctos non temere ulla vi convinci posse putabant. fortunisque ideo longe praestare putabant, quod mortis timor haut quemquam vexaret eorum, et simul in somnis quia multa et mira videbant efficere et nullum capere ipsos inde laborem. praeterea caeli rationes ordine certo et varia annorum cernebant tempora verti nec poterant quibus id fieret cognoscere causis. ergo perfugium sibi habebant omnia divis tradere et illorum nutu facere omnia flecti. e alla stretta giustizia. Poiché ognuno, difatti, nell'ira s'apprestava a vendetta più crudele di quella che ora concedono le giuste leggi, per questo agli uomini venne a tedio il vivere una vita di violenza. Da allora il timore delle pene guasta i doni della vita. Giacché violenza e ingiustizia irretiscono ognuno e per lo più ricadono su colui da cui nacquero, né trascorrere una vita placida e pacata è facile per chi vìola coi propri atti i comuni patti di pace. Infatti, benché sfugga alla stirpe divina e all'umana, tuttavia non può esser sicuro che il misfatto resterà sempre occulto; e invero si dice che molti, spesso parlando nel sonno o delirando per malattia, si tradirono e manifestarono colpe ‹a lungo› celate. Ora, quale causa abbia diffuso per le grandi nazioni la potenza degli dèi e abbia riempito le città di altari e abbia fatto istituire solenni riti, quei riti che oggi fioriscono in grandi occasioni e in grandi sedi, donde ancor oggi è piantato http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (65 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V in caeloque deum sedes et templa locarunt, per caelum volvi quia nox et luna videtur, luna dies et nox et noctis signa severa noctivagaeque faces caeli flammaeque volantes, nubila sol imbres nix venti fulmina grando et rapidi fremitus et murmura magna minarum. O genus infelix humanum, talia divis cum tribuit facta atque iras adiunxit acerbas! quantos tum gemitus ipsi sibi, quantaque nobis volnera, quas lacrimas peperere minoribus nostris! nec pietas ullast velatum saepe videri vertier ad lapidem atque omnis accedere ad aras nec procumbere humi prostratum et pandere palmas ante deum delubra nec aras sanguine multo spargere quadrupedum nec votis nectere vota, sed mage pacata posse omnia mente tueri. nam cum suspicimus magni caelestia mundi templa super stellisque micantibus aethera fixum, et venit in mentem solis lunaeque dentro i mortali l'orrore che innalza nuovi templi di dèi su tutta la terra e costringe a frequentarli nei giorni festivi, non è tanto difficile spiegare con parole. E difatti già allora le stirpi dei mortali vedevano nelle menti durante la veglia eccellenti immagini di dèi, e queste in sogno apparivano di ancor più mirabile corporatura. A queste, dunque, attribuivano il senso perché pareva che movessero le membra e proferissero parole superbe, confacenti allo splendido aspetto e alle forze imponenti. E attribuivano loro vita eterna, perché sempre la loro immagine si rinnovava e la forma rimaneva inalterata e, d'altronde, soprattutto perché pensavano che esseri dotati di forze così grandi non potessero facilmente esser vinti da alcuna forza. E pensavano che per sorte molto eccellessero, perché il timore della morte non ne tormentava alcuno, e insieme perché in sogno li vedevano compiere molte e mirabili azioni senza risentirne essi stessi alcuna fatica. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (66 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V viarum, tunc aliis oppressa malis in pectora cura illa quoque expergefactum caput erigere infit, ne quae forte deum nobis inmensa potestas sit, vario motu quae candida sidera verset; temptat enim dubiam mentem rationis egestas, ecquae nam fuerit mundi genitalis origo, et simul ecquae sit finis, quoad moenia mundi et taciti motus hunc possint ferre laborem, an divinitus aeterna donata salute perpetuo possint aevi labentia tractu inmensi validas aevi contemnere viris. praeterea cui non animus formidine divum contrahitur, cui non correpunt membra pavore, fulminis horribili cum plaga torrida tellus contremit et magnum percurrunt murmura caelum? non populi gentesque tremunt, regesque superbi corripiunt divum percussi membra timore, ne quod ob admissum foede dictumve superbe Scorgevano inoltre i fenomeni celesti e le varie stagioni dell'anno rotare secondo un ordine costante, né potevano conoscere per quali cause questo avvenisse. Dunque avevano per sé via d'uscita l'assegnare ogni cosa agli dèi e supporre che al cenno di quelli ogni cosa obbedisse. E nel cielo collocarono le sedi e le regioni degli dèi, perché nel cielo si vedono girare la notte e la luna, la luna, il giorno e la notte, e le severe stelle della notte, e le faci del cielo che vagano di notte, e le fiamme volanti, le nubi, il sole, le piogge, la neve, i venti, i fulmini, la grandine, e i rapidi fremiti e i grandi minacciosi fragori. O infelice genere umano, quando agli dèi attribuì tali azioni ed aggiunse ire acerbe! Che gemiti allora a sé stessi, che piaghe a noi, che lacrime cagionarono ai nostri discendenti! Né è punto vera pietà farsi spesso vedere nell'atto di volgersi velato a un sasso e accostarsi a tutti gli altari, né gettarsi a terra prosternato e protendere le palme http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (67 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V poenarum grave sit solvendi tempus adauctum? summa etiam cum vis violenti per mare venti induperatorem classis super aequora verrit cum validis pariter legionibus atque elephantis, non divom pacem votis adit ac prece quaesit ventorum pavidus paces animasque secundas? ne quiquam, quoniam violento turbine saepe correptus nihilo fertur minus ad vada leti. usque adeo res humanas vis abdita quaedam opterit et pulchros fascis saevasque secures proculcare ac ludibrio sibi habere videtur. denique sub pedibus tellus cum tota vacillat concussaeque cadunt urbes dubiaeque minantur, quid mirum si se temnunt mortalia saecla atque potestatis magnas mirasque relinquunt in rebus viris divum, quae cuncta gubernent? Quod super est, ae[s at]que aurum ferrumque repertumst et simul argenti pondus plumbique potestas, ignis ubi ingentis silvas ardore innanzi ai templi degli dèi, né cospargere gli altari con molto sangue di quadrupedi, né intrecciar voti a voti, ma piuttosto il poter contemplare ogni cosa con mente tranquilla. Difatti, quando leviamo lo sguardo alle celesti plaghe del vasto mondo, lassù, e all'etere trapunto di stelle fulgenti, e il pensiero si volge ai corsi del sole e della luna, allora, contro i petti oppressi da altri mali comincia a ergere il capo ridesto anche quell'angoscioso pensiero, che non ci sia per caso su di noi un immenso potere di dèi, che con vario movimento volga gli astri splendenti. Ignorando le cause, infatti, la mente è assillata dal dubbio se mai ci sia stata un'origine primigenia del mondo e, insieme, se ci sia un termine fino al quale le mura del mondo possano sopportare questo travaglio di moto affannoso, oppure, dotate di eterna esistenza dal volere divino, possano, volando per un tratto ininterrotto di tempo, disprezzare le possenti forze di un'età immensa. Oltre a ciò, a chi non si stringe il cuore per timore degli dèi, a chi non si raggricciano le http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (68 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V cremarat montibus in magnis, seu caelo fulmine misso, sive quod inter se bellum silvestre gerentes hostibus intulerant ignem formidinis ergo, sive quod inducti terrae bonitate volebant pandere agros pinguis et pascua reddere rura, sive feras interficere et ditescere praeda; nam fovea atque igni prius est venarier ortum quam saepire plagis saltum canibusque ciere. quicquid id est, qua cumque e causa flammeus ardor horribili sonitu silvas exederat altis a radicibus et terram percoxerat igni, manabat venis ferventibus in loca terrae concava conveniens argenti rivus et auri, aeris item et plumbi. quae cum concreta videbant posterius claro in terra splendere colore, tollebant nitido capti levique lepore, et simili formata videbant esse figura atque lacunarum fuerant vestigia cuique. membra per paura, quando sotto l'orribile colpo del fulmine la terra arsa trema tutta e fragori percorrono il vasto cielo? Non tremano popoli e genti, e i re superbi non contraggono le membra percossi dal timore degli dèi, immaginando che per qualche azione turpe o parola superba sia giunto il penoso tempo di pagare il fio? E, quando l'enorme forza del vento che imperversa per il mare spazza via su per l'onde il comandante d'una flotta insieme con le possenti legioni e gli elefanti, non cerca egli con voti la pace degli dèi, non invoca pregando pavido il placarsi dei venti e brezze favorevoli, ma invano, giacché spesso, afferrato da turbine violento, vien tuttavia trasportato nelle secche della morte? A tal punto una forza nascosta schiaccia le cose umane e sembra calpestare e avere a scherno gli splendidi fasci e le scuri spietate. Infine, quando sotto i piedi la terra tutta vacilla e scosse cadono le città o http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (69 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V tum penetrabat eos posse haec liquefacta calore quamlibet in formam et faciem decurrere rerum, et prorsum quamvis in acuta ac tenvia posse mucronum duci fastigia procudendo, ut sibi tela parent silvasque ut caedere possint materiemque dolare et levia radere tigna et terebrare etiam ac pertundere perque forare. nec minus argento facere haec auroque parabant quam validi primum violentis viribus aeris, ne quiquam, quoniam cedebat victa potestas nec poterant pariter durum sufferre laborem. nam fuit in pretio magis aes aurumque iacebat propter inutilitatem hebeti mucrone retusum; nunc iacet aes, aurum in summum successit honorem. sic volvenda aetas commutat tempora rerum. quod fuit in pretio, fit nullo denique honore; porro aliud succedit et [e] contemptibus exit inque dies magis adpetitur floretque repertum laudibus et miro est mortalis inter minacciano di cadere, che meraviglia se le stirpi mortali disprezzano sé stesse e ammettono nel mondo vasti poteri e mirabili forze di dèi che governino tutte le cose? Quanto al resto, il rame e l'oro e il ferro e, insieme ad essi, il peso dell'argento e il potere del piombo furono scoperti quando il fuoco avvampante aveva arso immense selve su grandi monti, o per un fulmine piombato dal cielo, o perché gli uomini, guerreggiando tra loro nelle selve, avevano scagliato il fuoco tra i nemici per atterrirli, o perché, allettati dalla bontà del terreno, volevano aprire pingui campi e a pascoli ridurre le campagne, o far massacro di belve e arricchirsi di preda. Difatti il cacciare con la fossa e col fuoco sorse prima che il cingere il bosco con reti e lo scovare la selvaggina coi cani. Comunque sia, quale che fosse la causa per cui l'ardore delle fiamme aveva divorato con orrendo fragore le selve dalle profonde radici e aveva cotto a fondo col fuoco la terra, colavano dalle vene bollenti confluendo nelle cavità della terra rivoli d'argento e d'oro e anche di http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (70 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V honore. rame e di piombo. Nunc tibi quo pacto ferri natura E quando gli uomini li vedevano reperta poi rappresi sit facilest ipsi per te cognoscere, risplendere sul suolo di lucido Memmi. colore, arma antiqua manus ungues li raccoglievano, avvinti dalla dentesque fuerunt nitida e levigata bellezza, et lapides et item silvarum e vedevano che erano foggiati in fragmina rami forma simile a quella et flamma atque ignes, post quam che aveva l'impronta dell'incavo di sunt cognita primum. ognuno. posterius ferri vis est aerisque Allora in essi entrava il pensiero reperta. che questi, liquefatti al calore, et prior aeris erat quam ferri potessero colando plasmarsi in cognitus usus, qualsiasi forma e aspetto di quo facilis magis est natura et oggetti, copia maior. e che martellandoli si potesse aere solum terrae tractabant, forgiarli in punte di pugnali aereque belli quanto mai si volesse acute e miscebant fluctus et vulnera vasta sottili, serebant sì da procurarsi armi e poter et pecus atque agros adimebant; tagliare selve nam facile ollis ed asciare il legname e piallare e omnia cedebant armatis nuda et levigare travi inerma. ed anche trapanare e trafiggere e inde minutatim processit ferreus perforare. ensis E dapprima s'apprestavano a far versaque in obprobrium species queste cose con l'argento e l'oro est falcis ahenae, non meno che con la forza et ferro coepere solum proscindere violenta del possente rame, terrae ma invano, poiché la tempra di exaequataque sunt creperi quelli vinta cedeva, certamina belli. né potevano sopportare et prius est armatum in equi ugualmente il duro sforzo. conscendere costas Difatti ‹il rame› era più pregiato e et moderarier hunc frenis l'oro era trascurato http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (71 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V dextraque vigere quam biiugo curru belli temptare pericla. et biiugo prius est quam bis coniungere binos et quam falciferos armatum escendere currus. inde boves Lucas turrito corpore, tetras, anguimanus, belli docuerunt volnera Poeni sufferre et magnas Martis turbare catervas. sic alid ex alio peperit discordia tristis, horribile humanis quod gentibus esset in armis, inque dies belli terroribus addidit augmen. Temptarunt etiam tauros in moenere belli expertique sues saevos sunt mittere in hostis. et validos partim prae se misere leones cum doctoribus armatis saevisque magistris, qui moderarier his possent vinclisque tenere, ne quiquam, quoniam permixta caede calentes turbabant saevi nullo discrimine turmas, terrificas capitum quatientis undique cristas, nec poterant equites fremitu perterrita equorum per l'inutilità, perché si smussava con la punta rintuzzata. Ora è trascurato il rame, l'oro è asceso al più alto onore. Così il volgere del tempo tramuta le stagioni delle cose: ciò che era in pregio, diventa alfine di nessun valore; quindi subentra un'altra cosa ed esce ‹dal› disprezzo e sempre più, di giorno in giorno, è desiderata, e una volta scoperta fiorisce di lodi e gode tra i mortali di mirabile onore. Ora in qual modo sia stata scoperta la natura del ferro, ti è facile conoscere da te stesso, o Memmio. Armi furono in antico le mani, le unghie e i denti e i sassi, e inoltre i rami spezzati nelle selve, poi fiamme e fuoco, da quando se n'ebbe la prima conoscenza. In séguito fu scoperta la forza del ferro e del bronzo. E l'uso del bronzo fu conosciuto prima di quello del ferro, in quanto la sua natura è più malleabile e di più esso abbonda. Col bronzo lavoravano il terreno, e col bronzo agitavano flutti di guerra e spargevano ferite devastatrici e depredavano greggi e campi. Infatti tutto quel ch'era nudo e inerme cedeva facilmente a http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (72 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V pectora mulcere et frenis convertere in hostis. inritata leae iaciebant corpora saltu undique et adversum venientibus ora patebant et nec opinantis a tergo deripiebant deplexaeque dabant in terram volnere victos, morsibus adfixae validis atque unguibus uncis. iactabantque suos tauri pedibusque terebant et latera ac ventres hauribant supter equorum cornibus et terram minitanti mente ruebant. et validis socios caedebant dentibus apri tela infracta suo tinguentes sanguine saevi [in se fracta suo tinguentes sanguine tela,] permixtasque dabant equitum peditumque ruinas. nam transversa feros exibant dentis adactus iumenta aut pedibus ventos erecta petebant, ne quiquam, quoniam ab nervis succisa videres concidere atque gravi terram consternere casu. si quos ante domi domitos satis esse putabant, quelli ch'erano armati. Poi a poco a poco si fece strada la spada di ferro e divenne obbrobriosa la foggia della falce di bronzo, e col ferro incominciarono a solcare il suolo della terra e furono uguagliati i cimenti della guerra dall'esito incerto. E montare armato sui fianchi del cavallo e guidarlo col morso e combattere con la destra, è uso più antico che tentare i rischi della guerra su un carro a due cavalli. E due cavalli si usò aggiogare prima che quattro e prima che salire armati sui carri muniti di falci. Poi ai bovi lucani dal corpo turrito, spaventosi, con la proboscide serpentina, i Punici insegnarono a sopportare in guerra le ferite e a scompigliare le grandi schiere di Marte. Così la triste discordia produsse, l'una dopo l'altra, cose fatte per incutere orrore alle genti umane in armi, e di giorno in giorno fece crescere i terrori della guerra. Sperimentarono anche tori nelle imprese di guerra e tentarono d'avventare contro i nemici cinghiali feroci. E alcuni lanciarono innanzi a sé http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (73 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V effervescere cernebant in rebus agundis volneribus clamore fuga terrore tumultu, nec poterant ullam partem redducere eorum; diffugiebat enim varium genus omne ferarum, ut nunc saepe boves Lucae ferro male mactae diffugiunt, fera facta suis cum multa dedere. Sed facere id non tam vincendi spe voluerunt; quam dare quod gemerent hostes, ipsique perire, qui numero diffidebant armisque vacabant, si fuit ut facerent. sed vix adducor ut ante non quierint animo praesentire atque videre, quam commune malum fieret foedumque, futurum. et magis id possis factum contendere in omni in variis mundis varia ratione creatis, quam certo atque uno terrarum quolibet orbi. Nexilis ante fuit vestis quam textile tegmen. textile post ferrumst, quia ferro tela paratur, nec ratione alia possunt tam levia gigni insilia ac fusi, radii, scapique vigorosi leoni con domatori armati e spietati maestri, che potessero guidarli e tenerli in catene, ma invano, perché, caldi della confusa strage, inferociti, i leoni scompigliavano le torme senza alcuna distinzione, squassando dappertutto le criniere terrificanti, né i cavalieri potevano placare i petti dei cavalli spauriti al ruggito, né rivolgerli coi freni contro i nemici. Le leonesse slanciavano d'un balzo, da ogni lato, i corpi concitati, e s'avventavano ai volti di quelli che andavano incontro ad esse, e strappavano giù quelli che sorprendevano da tergo e, avvinghiandosi intorno, li gettavano a terra vinti dalle ferite, attaccate a loro con i morsi poderosi e gli artigli adunchi. E i tori sbalzavan via gli uomini della propria schiera e con le zampe li schiacciavano, e ai cavalli fianchi e ventri trafiggevano di sotto con le corna, e sconvolgevano il terreno con impeto minaccioso. E i cinghiali con le zanne poderose massacravano gli alleati, cospargendo furibondi col proprio sangue i dardi in loro infranti, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (74 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V sonantes. et facere ante viros lanam natura coëgit quam muliebre genus; nam longe praestat in arte et sollertius est multo genus omne virile; agricolae donec vitio vertere severi, ut muliebribus id manibus concedere vellent atque ipsi pariter durum sufferre laborem atque opere in duro durarent membra manusque. At specimen sationis et insitionis origo ipsa fuit rerum primum natura creatrix, arboribus quoniam bacae glandesque caducae tempestiva dabant pullorum examina supter; unde etiam libitumst stirpis committere ramis et nova defodere in terram virgulta per agros. inde aliam atque aliam culturam dulcis agelli temptabant fructusque feros mansuescere terra cernebant indulgendo blandeque colendo. inque dies magis in montem succedere silvas cogebant infraque locum [cospargendo col proprio sangue i dardi infranti nei propri corpi] e atterravano cavalieri e fanti in confusa rovina. I cavalli infatti cercavano di schivare le feroci zannate gettandosi di traverso, o impennandosi percotevano l'aria con gli zoccoli, ma invano, ché si potevano vedere coi garretti troncati crollare e coprire il terreno con pesante caduta. Se alcune belve prima gli uomini credevano abbastanza domate e addomesticate, nel fervere della mischia le vedevano infiammarsi per le ferite, il clamore, la fuga, il terrore, il tumulto, né potevano ricondurne indietro alcuna parte; infatti tutte le varie specie delle fiere fuggivano qua e là; come ora i bovi lucani, malamente colpiti dal ferro, sovente fuggono qua e là, dopo aver fatto stragi di amici. Se avvenne che facessero questo. Ma a stento posso indurmi a credere che non abbiano potuto presentire e vedere con la mente, prima che avvenisse, l'atroce male che li avrebbe colpiti tutti; e meglio potresti asserire che ciò sia avvenuto entro l'universo, nei vari mondi in varia maniera http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (75 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V concedere cultis, prata lacus rivos segetes vinetaque laeta collibus et campis ut haberent, atque olearum caerula distinguens inter plaga currere posset per tumulos et convallis camposque profusa; ut nunc esse vides vario distincta lepore omnia, quae pomis intersita dulcibus ornant arbustisque tenent felicibus opsita circum. At liquidas avium voces imitarier ore ante fuit multo quam levia carmina cantu concelebrare homines possent aurisque iuvare. et zephyri cava per calamorum sibila primum agrestis docuere cavas inflare cicutas. inde minutatim dulcis didicere querellas, tibia quas fundit digitis pulsata canentum, avia per nemora ac silvas saltusque reperta, per loca pastorum deserta atque otia dia. [sic unum quicquid paulatim protrahit aetas in medium ratioque in luminis eruit oras.] creati, anziché su una qualunque determinata ed unica terra. Ma vollero far questo, non tanto per la speranza di vincere, quanto per dar motivo di pianto ai nemici, e perire essi stessi, giacché non confidavano nel numero ed erano privi di armi. La veste intrecciata precedette l'abito tessuto. Il tessuto viene dopo il ferro, perché col ferro s'appresta il telaio, né in altro modo si posson produrre strumenti così levigati, spole e fusi, navette e rulli sonori. E a lavorare la lana la natura costrinse gli uomini prima che la stirpe delle donne (giacché molto eccelle nell'arte e molto più industriosa è in genere la stirpe virile), finché i severi contadini fecero di ciò una colpa, sì che quelli vollero lasciarne la cura a mani femminili e sopportare essi stessi ugualmente dura fatica e indurire in duro lavoro le membra e le mani. Ma esempio per la semina e origine dell'innesto fu dapprima la stessa natura creatrice delle cose, perché le bacche e le ghiande cadute dagli alberi facevano http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (76 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V haec animos ollis mulcebant atque iuvabant cum satiate cibi; nam tum sunt omnia cordi. saepe itaque inter se prostrati in gramine molli propter aquae rivom sub ramis arboris altae. non magnis opibus iucunde corpora habebant, praesertim cum tempestas ridebat et anni tempora pingebant viridantis floribus herbas. tum ioca, tum sermo, tum dulces esse cachinni consuerant; agrestis enim tum musa vigebat. tum caput atque umeros plexis redimire coronis floribus et foliis lascivia laeta movebat, atque extra numerum procedere membra moventes duriter et duro terram pede pellere matrem; unde oriebantur risus dulcesque cachinni, omnia quod nova tum magis haec et mira vigebant. et vigilantibus hinc aderant solacia somno ducere multimodis voces et flectere cantus et supera calamos unco percurrere labro; a piè di questi pullulare nella giusta stagione sciami di polloni; di là venne anche l'idea di inserire germogli nei rami e di piantare nella terra novelli virgulti per i campi. Poi tentavano altre e altre colture del caro campicello e vedevano che i frutti selvatici si ammansivano nel terreno per effetto di premurosa attenzione e amorevole cura. E ogni giorno di più costringevano le selve a ritrarsi in su, sopra i monti, e a far posto in basso alle colture, per aver prati, stagni, ruscelli, messi e floridi vigneti sui colli e nelle pianure, e perché la cerula zona degli ulivi col suo risalto potesse correre in mezzo, sparsa per poggi e convalli e pianure; come ora vedi per varia bellezza risaltare tutta la campagna, che gli uomini ornano piantandovi in mezzo dolci frutteti e cingono piantando intorno alberi feraci. Ma l'imitare con la bocca le limpide voci degli uccelli fu molto prima che gli uomini fossero capaci di praticare il canto di versi armoniosi e dilettare gli orecchi. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (77 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V unde etiam vigiles nunc haec accepta tuentur. et numerum servare genus didicere, neque hilo maiore interea capiunt dulcedine fructum quam silvestre genus capiebat terrigenarum. nam quod adest praesto, nisi quid cognovimus ante suavius, in primis placet et pollere videtur, posteriorque fere melior res illa reperta perdit et immutat sensus ad pristina quaeque. sic odium coepit glandis, sic illa relicta strata cubilia sunt herbis et frondibus aucta. pellis item cecidit vestis contempta ferina; quam reor invidia tali tunc esse repertam, ut letum insidiis qui gessit primus obiret, et tamen inter eos distractam sanguine multo disperiise neque in fructum convertere quisse. tunc igitur pelles, nunc aurum et purpura curis exercent hominum vitam belloque fatigant; quo magis in nobis, ut opinor, culpa resedit. frigus enim nudos sine pellibus E i sibili dello zefiro per le cavità delle canne dapprima insegnarono ai campagnoli a soffiare entro cave zampogne. Poi a poco a poco appresero i dolci lamenti che effonde il flauto toccato dalle dita dei sonatori, scoperto fra remoti boschi e selve e pascoli, nei solinghi luoghi dei pastori e negli ozi divini. [Così gradatamente il tempo rivela ogni cosa, e la ragione la innalza alle plaghe della luce.] Questi suoni carezzavano loro gli animi e davano diletto, quando erano sazi di cibo; allora infatti tutto è caro al cuore. Spesso, dunque, familiarmente distesi sull'erba morbida, presso un ruscello, sotto i rami di un albero alto, con tenui mezzi davano giocondità ai corpi, soprattutto quando il tempo arrideva e la stagione dipingeva di fiori le erbe verdeggianti. Allora solevano esserci gli scherzi, allora i conversari, allora i dolci scoppi di gaiezza; allora infatti la musa agreste era in rigoglio; allora una libera allegria li spingeva a ornare il capo e le spalle con corone intrecciate http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (78 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V excruciabat terrigenas; at nos nil laedit veste carere purpurea atque auro signisque ingentibus apta, dum plebeia tamen sit, quae defendere possit. Ergo hominum genus in cassum frustraque laborat semper et [in] curis consumit inanibus aevom, ni mirum quia non cognovit quae sit habendi finis et omnino quoad crescat vera voluptas; idque minutatim vitam provexit in altum et belli magnos commovit funditus aestus. at vigiles mundi magnum versatile templum sol et luna suo lustrantes lumine circum perdocuere homines annorum tempora verti et certa ratione geri rem atque ordine certo. Iam validis saepti degebant turribus aevom, et divisa colebatur discretaque tellus, tum mare velivolis florebat navibus ponti, auxilia ac socios iam pacto foedere habebant, carminibus cum res gestas di fiori e di foglie, e ad avanzare in danza senza ritmo, duramente movendo le membra, e a battere con duro piede la madre terra; di lì nascevano risa e dolci scoppi di gaiezza, perché allora tutte queste cose, più nuove e meravigliose, erano pregiate. E se vegliavano, di qui avevano sollievo per il sonno perduto: far passare la voce per molti toni e modulare il canto, e correre col labbro incurvato su per le canne del flauto; donde venne questa usanza che anche ora conservano le scolte, e hanno imparato a osservare i tipi dei ritmi, ma intanto non colgono affatto un frutto di dolcezza maggiore di quello che coglieva la stirpe silvestre dei figli della terra. Difatti ciò che è a disposizione, se non abbiamo conosciuto prima qualche cosa di più dolce, ci piace sopra tutto e sembra prevalere, ma per lo più una scoperta posteriore lo annienta e muta il nostro sentire riguardo a ogni cosa passata. Così nacque l'avversione per le ghiande, così furono abbandonati quei giacigli cosparsi di erbe e guarniti di fronde. Cadde anche nel disprezzo la http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (79 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V coepere poëtae tradere; nec multo prius sunt elementa reperta. propterea quid sit prius actum respicere aetas nostra nequit, nisi qua ratio vestigia monstrat. Navigia atque agri culturas moenia leges arma vias vestes [et] cetera de genere horum, praemia, delicias quoque vitae funditus omnis, carmina, picturas et daedala signa polita usus et impigrae simul experientia mentis paulatim docuit pedetemptim progredientis. sic unum quicquid paulatim protrahit aetas in medium ratioque in luminis erigit oras; namque alid ex alio clarescere corde videbant, artibus ad summum donec venere cacumen. veste di pelle ferina; che, quando fu scoperta, suscitò, io credo, tale invidia da cagionare insidie e morte a chi la indossò per primo; e tuttavia, lacerata da coloro che se la strappavan di mano, fra molto sangue fu distrutta senza poter giovare. Allora, dunque, le pelli, ora l'oro e la porpora tormentano con affannosi desideri la vita degli uomini e l'affaticano in guerra; e perciò, come credo, la colpa maggiore sta in noi. Infatti, nudi, senza pelli, i figli della terra erano martoriati dal freddo; ma a noi non nuoce affatto l'esser privi d'una veste di porpora e adorna d'oro e di grandi figure, purché abbiamo una veste plebea che possa proteggerci. Dunque il genere umano a vuoto e invano si travaglia sempre e consuma ‹in› affanni inutili la vita, certo perché non conosce quale sia il limite del possesso e generalmente fino a qual punto cresca il vero piacere. E questo a poco a poco ha sospinto la vita in alto mare e ha suscitato dal profondo grandi tempeste di guerra. Ma quelle scolte, il sole e la luna, con la loro luce http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (80 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V percorrendo tutt'intorno la grande, rotante volta del cielo, insegnarono agli uomini che le stagioni ruotano e che la cosa si svolge secondo un costante piano e un ordine costante. Già protetti da torri possenti passavano la vita e divisa e distinta da confini era coltivata la terra, e inoltre il mare fioriva di navi volanti con le vele, già per patti fissati avevano ausiliari e alleati, quando i poeti cominciarono a tramandare coi canti le gesta compiute; né molto prima furono scoperte le lettere dell'alfabeto. Perciò la nostra età non può discernere quel che è avvenuto prima, tranne che il ragionamento in qualche modo non le mostri le tracce. Navi e colture dei campi, mura, leggi, armi, vie, vesti ‹e› le altre cose siffatte, i doni e anche le delizie della vita, tutte quante, canti, pitture e statue lavorate con arte, levigate, gradatamente li insegnarono la pratica e, insieme, lo sperimentare della mente alacre agli uomini avanzanti passo passo. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (81 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber V Così gradatamente il tempo rivela ogni cosa e la ragione la innalza alle plaghe della luce. Difatti con la mente vedevano chiarirsi una cosa dall'altra, finché con le arti giunsero al culmine più alto. (Ll) http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/5.htm (82 of 82) [07/08/2003 21.43.58] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI De Rerum Natura - Liber VI Primae frugiparos fetus mortalibus aegris dididerunt quondam praeclaro nomine Athenae et recreaverunt vitam legesque rogarunt et primae dederunt solacia dulcia vitae, cum genuere virum tali cum corde repertum, omnia veridico qui quondam ex ore profudit; cuius et extincti propter divina reperta divolgata vetus iam ad caelum gloria fertur. nam cum vidit hic ad victum quae flagitat usus omnia iam ferme mortalibus esse parata et, pro quam possent, vitam consistere tutam, divitiis homines et honore et laude potentis affluere atque bona gnatorum excellere fama, nec minus esse domi cuiquam tamen anxia cordi, atque animi ingratis vitam vexare sine ulla pausa atque infestis cogi saevire querellis, intellegit ibi vitium vas efficere ipsum Quanto al resto, poiché ho spiegato come ogni cosa possa avvenire per i ceruli spazi del vasto mondo, sì che potessimo conoscere quale forza e causa produca i vari corsi del sole e i movimenti della luna, e in che modo quegli astri, oscurata la luce, ‹possano› eclissarsi e coprire di tenebre la terra che non le aspettava, quando pare che chiudano gli occhi e poi, apertili di nuovo, frugano ogni luogo che si imbianca di chiara luce, ora torno alla giovinezza del mondo e ai molli campi della terra, e dirò che cosa dapprima essi s'indussero a levare, con nuova procreazione, alle plaghe della luce e affidare ai volubili venti. Da principio la terra produsse la famiglia delle erbe e il verde splendore intorno ai colli e per tutti i piani, i floridi prati rifulsero di verdeggiante colore, e ai vari alberi in séguito fu dato di gareggiare grandemente nel crescere per l'aria a briglie sciolte. Come sulle membra dei http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (1 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI omniaque illius vitio corrumpier intus, quae conlata foris et commoda cumque venirent; partim quod fluxum pertusumque esse videbat, ut nulla posset ratione explerier umquam, partim quod taetro quasi conspurcare sapore omnia cernebat, quae cumque receperat, intus. veridicis igitur purgavit pectora dictis et finem statuit cuppedinis atque timoris exposuitque bonum summum, quo tendimus omnes, quid foret, atque viam monstravit, tramite parvo qua possemus ad id recto contendere cursu, quidve mali foret in rebus mortalibus passim, quod fieret naturali varieque volaret seu casu seu vi, quod sic natura parasset, et quibus e portis occurri cuique deceret, et genus humanum frustra plerumque probavit volvere curarum tristis in pectore fluctus. nam vel uti pueri trepidant atque omnia caecis in tenebris metuunt, sic nos in quadrupedi e sul corpo dei pennuti spuntano dapprima piume e peli e setole, così allora la giovane terra generò dapprima erbe e virgulti, in séguito creò le stirpi mortali, che nacquero in gran numero, in molti modi, con varie forme. Infatti non possono esser caduti dal cielo gli animali, né le specie terrestri essere uscite dai salati abissi. Resta che a ragione la terra ha ricevuto il nome di madre poiché dalla terra traggono origine tutte le creature. Ed anche ora molti animali sorgono dalla terra, generati dalle piogge e dall'ardente calore del sole; perciò non c'è da stupire se più numerosi ne nacquero allora, e più grandi, essendo cresciuti quando terra e cielo eran giovani. Da principio la specie degli alati e i vari uccelli lasciavano le uova, uscendo dai gusci in primavera, come ora d'estate le cicale spontaneamente abbandonano i tondeggianti involucri per cercare il cibo e la vita. Allora, vedi, la terra cominciò a produrre le stirpi mortali. Molto calore, infatti, e umidità sovrabbondavano nei campi. Perciò, ovunque si offriva idonea http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (2 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI luce timemus inter dum, nihilo quae sunt metuenda magis quam quae pueri in tenebris pavitant finguntque futura. hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest non radii solis nec lucida tela diei discutiant, sed naturae species ratioque. quo magis inceptum pergam pertexere dictis. Et quoniam docui mundi mortalia templa esse [et] nativo consistere corpore caelum, et quae cumque in eo fiunt fierique necessest pleraque dissolui, qui restant percipe porro, quandoquidem semel insignem conscendere currum *** tu mihi supremae praescripta ad candida callis currenti spatium praemonstra, callida musa Calliope, requies hominum divomque voluptas, te duce ut insigni capiam cum laude coronam. *** ventorum existant, placentur [ut] omnia rursum *** quae fuerint, sint placato conversa disposizione di luogo, crescevano uteri attaccati alla terra con radici; e quando, maturato il tempo, li aveva aperti l'età degli infanti, fuggendo l'umidità e cercando l'aria, lì la natura rivolgeva i canali della terra e li costringeva a versare dalle vene aperte un succo simile al latte, come ora ogni femmina, quando ha partorito, s'empie di dolce latte, perché tutto alle mammelle converge l'impeto del suo alimento. La terra offriva ai bimbi il cibo, il calore una veste, l'erba un giaciglio riboccante di molta e morbida lanugine. Ma la giovinezza del mondo non produceva rigidi freddi, né eccessivi calori, né venti di forze possenti. Tutte le cose infatti di pari passo crescono e prendono vigore. Perciò, ancora e ancora, la terra a ragione ha ricevuto e conserva il nome di madre, poiché da sé essa creò il genere umano e, quasi a un momento stabilito, partorì ogni animale che sui grandi monti scorrazza selvaggio e insieme gli uccelli dell'aria nelle http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (3 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI furore. cetera quae fieri in terris caeloque tuentur mortales, pavidis cum pendent mentibus saepe et faciunt animos humilis formidine divom depressosque premunt ad terram propterea quod ignorantia causarum conferre deorum cogit ad imperium res et concedere regnum. [quorum operum causas nulla ratione videre possunt ac fieri divino numine rentur.] nam bene qui didicere deos securum agere aevom, si tamen interea mirantur qua ratione quaeque geri possint, praesertim rebus in illis quae supera caput aetheriis cernuntur in oris, rursus in antiquas referuntur religionis et dominos acris adsciscunt, omnia posse quos miseri credunt, ignari quid queat esse, quid nequeat, finita potestas denique cuique qua nam sit ratione atque alte terminus haerens; quo magis errantes caeca ratione feruntur. varie forme. Ma, poiché il suo partorire deve avere un termine, essa cessò, come donna fiaccata da vecchiezza. Il tempo infatti muta la natura di tutto il mondo, e in tutte le cose a uno stato deve subentrarne un altro, né alcunché resta simile a sé stesso: tutte le cose passano, tutte la natura le trasmuta e le costringe a trasformarsi. Giacché una imputridisce e fiaccata dal tempo langue, poi un'altra cresce ed esce ‹dalle› condizioni di disprezzo. Così dunque il tempo muta la natura di tutto il mondo, e nella terra a uno stato ne subentra un altro, sicché non può produrre ciò che poté, ma può ciò che non poté in passato. E anche molti portenti allora la terra tentò di creare, nati con facce e membra strane: l'androgino, che sta tra i due sessi, e non è né l'uno, né l'altro, ma è lontano da ambedue; alcune creature prive di piedi, altre mancanti, a loro volta, di mani, o anche mute senza la bocca, o ch'erano cieche senza gli occhi, o avviluppate in tutto il corpo per l'aderire delle membra, sì che non potevano fare alcunché, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (4 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI quae nisi respuis ex animo longeque remittis dis indigna putare alienaque pacis eorum, delibata deum per te tibi numina sancta saepe oberunt; non quo violari summa deum vis possit, ut ex ira poenas petere inbibat acris, sed quia tute tibi placida cum pace quietos constitues magnos irarum volvere fluctus, nec delubra deum placido cum pectore adibis, nec de corpore quae sancto simulacra feruntur in mentes hominum divinae nuntia formae, suscipere haec animi tranquilla pace valebis. inde videre licet qualis iam vita sequatur. quam quidem ut a nobis ratio verissima longe reiciat, quamquam sunt a me multa profecta, multa tamen restant et sunt ornanda politis versibus; est ratio caelisque tenenda, sunt tempestates et fulmina clara canenda, quid faciant et qua de causa cumque ferantur; né muoversi verso alcun luogo, né evitare un danno, né prendere ciò che era necessario. Ogni altro mostro e portento di questa specie essa creava, ma invano, perché la natura ne impedì la crescita, né poterono attingere il bramato fiore dell'età, né trovare cibo, né congiungersi con gli atti di Venere. Molte cose vediamo infatti che devono concorrere negli esseri perché possano generare e propagare le stirpi; bisogna anzitutto che abbiano di che nutrirsi, poi passaggi per cui i semi genitali possano scorrere attraverso i corpi ed emanare dalle membra rilassate; e, affinché la femmina possa congiungersi col maschio, devono avere ambedue ciò che occorre per scambiarsi vicendevoli piaceri. E molte stirpi di esseri viventi dovettero allora soccombere e non poterono generare e propagare la prole. Giacché tutte quelle che vedi respirare le aure vitali, o l'astuzia o la forza o almeno la velocità le protesse dal principio dell'esistenza e ne conservò le generazioni. E molte ce ne sono che, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (5 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI ne trepides caeli divisis partibus amens, unde volans ignis pervenerit aut in utram se verterit hinc partim, quo pacto per loca saepta insinuarit, et hinc dominatus ut extulerit se. [quorum operum causas nulla ratione videre possunt ac fieri divino numine rentur.] Principio tonitru quatiuntur caerula caeli propterea quia concurrunt sublime volantes aetheriae nubes contra pugnantibus ventis. nec fit enim sonitus caeli de parte serena, verum ubi cumque magis denso sunt agmine nubes, tam magis hinc magno fremitus fit murmure saepe. praeterea neque tam condenso corpore nubes esse queunt quam sunt lapides ac ligna, neque autem tam tenues quam sunt nebulae fumique volantes; nam cadere aut bruto deberent pondere pressae ut lapides, aut ut fumus constare nequirent nec cohibere nives gelidas et grandinis imbris. Dant etiam sonitum patuli raccomandate a noi dalla loro utilità, furono affidate alla nostra tutela. In primo luogo alla fiera progenie dei leoni e alle stirpi selvagge fornì difesa la forza, alle volpi l'astuzia e ai cervi la fuga. Ma i cani dal sonno leggero, che nei petti hanno cuori fedeli, e ogni progenie nata dal seme delle bestie da soma e insieme le greggi lanose e le cornute stirpi dei buoi, tutti furono affidati alla tutela degli uomini, o Memmio. Ardentemente infatti fuggirono le fiere e cercarono pace e copiose pasture ottenute senza loro fatica, cose che noi diamo loro in ricompensa della loro utilità. Ma quelli cui la natura non diede nulla di ciò, né di vivere da sé stessi liberamente, né di rendere a noi qualche servigio per cui consentissimo alla loro progenie di nutrirsi e di vivere sicura sotto la nostra protezione, questi certo soggiacevano ad altri come preda e bottino, inceppati come erano tutti dalle loro catene fatali, finché la natura ne portò la progenie ad estinzione. Ma non ci furono Centauri, né in alcun tempo http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (6 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI super aequora mundi, carbasus ut quondam magnis intenta theatris dat crepitum malos inter iactata trabesque, inter dum perscissa furit petulantibus auris et fragilis [sonitus] chartarum commeditatur; id quoque enim genus in tonitru cognoscere possis, aut ubi suspensam vestem chartasque volantis verberibus venti versant planguntque per auras. fit quoque enim inter dum [ut] non tam concurrere nubes frontibus adversis possint quam de latere ire diverso motu radentes corpora tractim, aridus unde auris terget sonus ille diuque ducitur, exierunt donec regionibus artis. Hoc etiam pacto tonitru concussa videntur omnia saepe gravi tremere et divolsa repente maxima dissiluisse capacis moenia mundi, cum subito validi venti conlecta procella nubibus intorsit sese conclusaque ibidem turbine versanti magis ac magis possono esistere esseri di duplice natura e di corpo doppio, messi insieme con membra eterogenee, così che le facoltà di creature nate da questa specie e da quella possano corrispondere abbastanza. Ciò si può conoscere di qui, anche con mente ottusa. Anzitutto, nel giro di tre anni il focoso cavallo è nel suo fiore, ma il bambino per niente; ché spesso ancora cercherà nel sonno i capezzoli del seno materno colmi di latte. Poi, quando al cavallo per vecchiaia vengon meno le forze poderose e languiscono le membra per il fuggire della vita, solo allora il fanciullo raggiunge il fiore dell'età e comincia per lui la gioventù, che gli veste di morbida lanugine le guance. Non ti avvenga, dunque, di credere che dall'uomo e dal seme di bestie da soma, dei cavalli, possan formarsi Centauri, ed esistere, o Scille coi corpi semimarini, cinte di rabbiosi cani, e tutti gli altri esseri di questa fatta, le cui membra vediamo discordanti fra loro; che nello stesso tempo né fioriscono, né prendono il vigore http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (7 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI undique nubem del corpo, né lo perdono a causa cogit uti fiat spisso cava corpore della vecchiaia, circum, né di simile amore ardono, né post ubi conminuit vis eius et armonizzano per abitudini impetus acer, uniformi, né identiche sono le cose tum perterricrepo sonitu dat scissa che giovano alle loro membra. fragorem. Spesso infatti si può vedere che le nec mirum, cum plena animae barbute capre ingrassano vensicula parva con la cicuta, mentre questa per saepe haud dat parvum sonitum l'uomo è violento veleno. displosa repente. Poiché, ‹d'altra parte,› la fiamma Est etiam ratio, cum venti suole cuocere e bruciare nubila perflant, i corpi fulvi dei leoni, tanto quanto ut sonitus faciant; etenim ramosa qualunque altra specie videmus di carne e sangue che esiste sulla nubila saepe modis multis atque terra, aspera ferri; come sarebbe potuto avvenire che scilicet ut, crebram silvam cum un unico essere con triplice corpo, flamina cauri nella parte anteriore leone, nella perflant, dant sonitum frondes posteriore drago, nella mediana ramique fragorem. lei, Fit quoque ut inter dum validi la Chimera, spirasse per la bocca vis incita venti una fiamma violenta uscita dal perscindat nubem perfringens corpo? impete recto; Così, dunque, chi immagina che nam quid possit ibi flatus tali animali potessero nascere manifesta docet res, quando la terra era giovane e il hic, ubi lenior est, in terra cum cielo da poco formato, tamen alta fondandosi soltanto su questo arbusta evolvens radicibus haurit vano nome di gioventù, ab imis. molte cose similmente può dire a sunt etiam fluctus per nubila, qui vanvera; quasi murmur può dire che allora fiumi d'oro dant in frangendo graviter; quod scorrevano sulla terra ovunque item fit in altis e che gli alberi comunemente fluminibus magnoque mari, cum fiorivano di pietre preziose frangitur aestus. o che nacque un uomo con http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (8 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI Fit quoque, ubi e nubi in nubem vis incidit ardens fulminis; haec multo si forte umore recepit ignem, continuo magno clamore trucidat; ut calidis candens ferrum e fornacibus olim stridit, ubi in gelidum propter demersimus imbrem. Aridior porro si nubes accipit ignem, uritur ingenti sonitu succensa repente, lauricomos ut si per montis flamma vagetur turbine ventorum comburens impete magno; nec res ulla magis quam Phoebi Delphica laurus terribili sonitu flamma crepitante crematur. Denique saepe geli multus fragor atque ruina grandinis in magnis sonitum dat nubibus alte; ventus enim cum confercit, franguntur in artum concreti montes nimborum et grandine mixti. Fulgit item, nubes ignis cum semina multa excussere suo concursu, ceu lapidem si percutiat lapis aut ferrum; nam tum quoque lumen membra tanto gigantesche da poter con un passo poggiare il piede di là da mari profondi e con le mani rotare intorno a sé tutto il cielo. Ché, se la terra contenne molti semi di cose nel tempo in cui il suolo cominciò a produrre gli animali, questo tuttavia non è segno che si siano potute creare bestie miste fra loro e membra accozzate di esseri viventi, poiché le specie delle erbe e le messi e gli alberi rigogliosi, che tuttora pullulano in abbondanza dalla terra, non posson tuttavia nascere intrecciati fra loro, ma ognuna di queste cose procede secondo un proprio modo e tutte per salda legge di natura conservano le differenze. Ma la stirpe umana che visse allora nei campi fu molto più dura, com'era naturale, ché la dura terra l'aveva creata; e nell'interno del corpo fu piantata su ossa più grandi e più salde, connessa attraverso le carni da nervi poderosi, tale che non poteva facilmente esser vinta dal caldo, né dal freddo, né da cibo inconsueto, né da alcun difetto del corpo. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (9 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI exilit et claras scintillas dissipat ignis. sed tonitrum fit uti post auribus accipiamus, fulgere quam cernant oculi, quia semper ad auris tardius adveniunt quam visum quae moveant res. id licet hinc etiam cognoscere: caedere si quem ancipiti videas ferro procul arboris auctum, ante fit ut cernas ictum quam plaga per auris det sonitum; sic fulgorem quoque cernimus ante quam tonitrum accipimus, pariter qui mittitur igni e simili causa, concursu natus eodem. Hoc etiam pacto volucri loca lumine tingunt nubes et tremulo tempestas impete fulgit. ventus ubi invasit nubem et versatus ibidem fecit ut ante cavam docui spissescere nubem, mobilitate sua fervescit; ut omnia motu percalefacta vides ardescere, plumbea vero glans etiam longo cursu volvenda liquescit. ergo fervidus hic nubem cum perscidit atram, dissipat ardoris quasi per vim E, durante il corso di molti lustri del sole per il cielo, conducevano la vita a guisa di fiere vagabonde. Non c'era nessuno che robusto reggesse l'aratro ricurvo, nessuno sapeva lavorare i campi col ferro, né piantare nella terra i virgulti novelli, né dagli alti alberi tagliar via coi falcetti i rami vecchi. Ciò che donavano il sole e le piogge, ciò che produceva di per sé la terra, era un dono bastevole a placare quei petti. Tra le querce cariche di ghiande per lo più ristoravano i corpi; e le corbezzole, che ora nella stagione invernale vedi farsi mature, di colore purpureo, allora la terra le produceva in grandissimo numero e anche più grosse. E la fiorente gioventù del mondo produsse allora molti altri rudi alimenti, abbondanza per i miseri mortali. Ma a sedare la sete li chiamavano i fiumi e le fonti, come ora il torrente, che precipita giù dai grandi monti, chiama per ampio spazio col chiaro suono sitibonde famiglie di fiere. Occupavano infine i silvestri recessi delle ninfe, scoperti http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (10 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI expressa repente semina, quae faciunt nictantia fulgura flammae; inde sonus sequitur, qui tardius adlicit auris quam quae perveniunt oculorum ad lumina nostra. scilicet hoc densis fit nubibus et simul alte extructis aliis alias super impete miro. ne tibi sit frudi quod nos inferne videmus quam sint lata magis quam sursum extructa quid extent. contemplator enim, cum montibus adsimulata nubila portabunt venti transversa per auras, aut ubi per magnos montis cumulata videbis insuper esse aliis alia atque urguere superna in statione locata sepultis undique ventis; tum poteris magnas moles cognoscere eorum speluncasque vel ut saxis pendentibus structas cernere, quas venti cum tempestate coorta conplerunt, magno indignantur murmure clausi nubibus in caveisque ferarum more minantur, nunc hinc nunc illinc fremitus per nel loro vagare, dai quali sapevano che rivoli d'acqua fluivano con larga corrente lavando le umide rocce, le umide rocce, stillanti sopra il verde muschio, mentre altri scaturivano ed erompevano per la piana campagna. E non sapevano ancora trattare le cose col fuoco, né servirsi di pelli e vestire il corpo con spoglie di fiere, ma abitavano boschi e caverne montane e selve e nascondevano le scabre membra tra le macchie, quando eran costretti a evitare sferzate di venti e piogge. Né erano capaci di mirare al bene comune, né sapevano valersi di costumi e di leggi nei loro rapporti. Ciò che a ciascuno la fortuna aveva offerto come preda, ciascuno se lo prendeva, avvezzo a usare la forza e a vivere da sé, per sé stesso. E Venere nelle selve congiungeva i corpi degli amanti; conquistava infatti la donna o un reciproco desiderio o la violenta forza dell'uomo e la sua brama intensa o una mercede: ghiande e http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (11 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI nubila mittunt, quaerentesque viam circum versantur et ignis semina convolvunt [e] nubibus atque ita cogunt multa rotantque cavis flammam fornacibus intus, donec divolsa fulserunt nube corusci. Hac etiam fit uti de causa mobilis ille devolet in terram liquidi color aureus ignis, semina quod nubes ipsas permulta necessust ignis habere; etenim cum sunt umore sine ullo, flammeus [est] plerumque colos et splendidus ollis. quippe etenim solis de lumine multa necessest concipere, ut merito rubeant ignesque profundant. hasce igitur cum ventus agens contrusit in unum compressitque locum cogens, expressa profundunt semina, quae faciunt flammae fulgere colores. Fulgit item, cum rarescunt quoque nubila caeli; nam cum ventus eas leviter diducit euntis dissoluitque, cadant ingratius illa necessest semina quae faciunt fulgorem. tum sine taetro corbezzole o pere scelte. E, confidando nella meravigliosa forza delle mani e dei piedi, davano la caccia alle silvestri stirpi delle fiere con lancio di sassi e con clave pesanti; e molte ne vincevano, poche ne evitavano nascondendosi; e, come setolosi cinghiali, abbandonavano sulla terra nude le membra silvestri, quando li sorprendeva la notte, avvolgendosi, tutt'intorno, di foglie e di fronde. Né con grande lamento cercavano il giorno e il sole per i campi vagando paurosi tra le ombre della notte, ma taciti e sepolti nel sonno aspettavano che con la rosea fiaccola il sole portasse la luce nel cielo. E infatti, poiché dalla fanciullezza s'erano abituati a vedere sempre le tenebre e la luce prodursi in tempi alterni, non poteva avvenire mai che li colpisse meraviglia o il timore che una notte senza fine occupasse la terra e il lume del sole fosse stato rapito per sempre. Ma più angoscioso era questo, che le stirpi ferine spesso a quei miseri facevano tribolato il riposo. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (12 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI terrore atque sonis fulgit nulloque tumultu. Quod superest, [quali] natura praedita constent fulmina, declarant ictus et inusta vaporis signa notaeque gravis halantis sulpuris auras; ignis enim sunt haec non venti signa neque imbris. praeterea saepe accendunt quoque tecta domorum et celeri flamma dominantur in aedibus ipsis. hunc tibi subtilem cum primis ignibus ignem constituit natura minutis mobilibusque corporibus, cui nil omnino obsistere possit. transit enim validum fulmen per saepta domorum clamor ut ac voces, transit per saxa, per aera et liquidum puncto facit aes in tempore et aurum. curat item vasis integris vina repente diffugiant, quia ni mirum facile omnia circum conlaxat rareque facit lateramina vasis adveniens calor eius et insinuatus in ipsum mobiliter soluens differt primordia vini. E, scacciati dalla loro dimora, fuggivano i rocciosi ripari all'arrivo d'un cinghiale schiumante o d'un possente leone, e a notte fonda atterriti cedevano agli ospiti feroci i covili coperti di fronde. Né allora molto più che ora le stirpi mortali lasciavano con lamenti la dolce luce della vita. Certo, allora più spesso qualcuno di loro, sorpreso, offriva pasto vivente alle fiere, dilaniato dalle zanne, e riempiva di lamenti boschi e monti e selve, vedendo le proprie vive carni seppellite in un vivo sepolcro. E quelli che si erano salvati fuggendo col corpo lacerato, poi, tenendo le mani tremanti sopra le orribili piaghe, invocavano con grida spaventose Orco, finché spasimi crudeli li privavano della vita, senza aiuto, ignari delle cure che le ferite reclamavano. Tuttavia molte migliaia di uomini adunate sotto le insegne non dava a morte un solo giorno, né le procellose acque del mare gettavano navi e uomini a infrangersi contro gli scogli; ma alla cieca, a vuoto, invano il http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (13 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI quod solis vapor aetatem non posse videtur efficere usque adeo pollens fervore corusco. tanto mobilior vis et dominantior haec est. Nunc ea quo pacto gignantur et impete tanto fiant ut possint ictu discludere turris, disturbare domos, avellere tigna trabesque et monimenta virum commoliri atque ciere, exanimare homines, pecudes prosternere passim, cetera de genere hoc qua vi facere omnia possint, expediam neque [te] in promissis plura morabor. Fulmina gignier e crassis alteque putandumst nubibus extructis; nam caelo nulla sereno nec leviter densis mittuntur nubibus umquam. nam dubio procul hoc fieri manifesta docet res; quod tunc per totum concrescunt aeëra nubes, undique uti tenebras omnis Acherunta reamur liquisse et magnas caeli complesse cavernas, Æusque adeo tetra nimborum nocte coorta inpendent atrae formidinis ora mare spesso si sollevava imperversando, e facilmente deponeva le inutili minacce, né la lusinga della bonaccia poteva subdola trarre in inganno qualcuno col sorridere delle onde. La rovinosa arte del navigare giaceva allora ignorata. Allora la penuria di cibo dava alla morte le membra languenti, ora al contrario le sommerge l'abbondanza. Per ignoranza gli uomini d'allora spesso versavano il veleno a sé stessi, quelli d'ora più scaltramente lo danno essi ‹agli altri.› Poi, quando si provvidero di capanne e di pelli e di fuoco, e la donna congiunta con l'uomo passò ad un solo * furono conosciuti, ed essi videro la prole nata da loro, allora primamente il genere umano cominciò a dirozzarsi. Il fuoco infatti fece sì che i corpi freddolosi non potessero più sopportare bene il freddo sotto la volta del cielo, e Venere diminuì le forze, e i bambini con le carezze facilmente vinsero l'indole fiera dei genitori. Allora cominciarono anche a stringere amicizia fra loro http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (14 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI superne,Æ cum commoliri tempestas fulmina coeptat. praeterea persaepe niger quoque per mare nimbus, ut picis e caelo demissum flumen, in undas sic cadit effertus tenebris procul et trahit atram fulminibus gravidam tempestatem atque procellis, ignibus ac ventis cum primis ipse repletus, in terra quoque ut horrescant ac tecta requirant. sic igitur supera nostrum caput esse putandumst tempestatem altam; neque enim caligine tanta obruerent terras, nisi inaedificata superne multa forent multis exempto nubila sole; nec tanto possent venientes opprimere imbri, flumina abundare ut facerent camposque natare, si non extructis foret alte nubibus aether. hic igitur ventis atque ignibus omnia plena sunt; ideo passim fremitus et fulgura fiunt. quippe etenim supra docui permulta vaporis semina habere cavas nubes et i vicini, desiderando non nuocere e non subire violenza, e si affidarono l'un l'altro i fanciulli e le donne, con balbettanti voci e col gesto significando che era giusto che tutti avessero pietà per i deboli. Né tuttavia poteva la concordia nascere sempre, ma una buona, una gran parte degli uomini osservava i patti fedelmente; altrimenti il genere umano già allora sarebbe perito tutto, né il suo propagarsi avrebbe potuto far durare fino ad ora le stirpi. I vari suoni della lingua, poi, fu la natura che costrinse ad emetterli, e l'utilità foggiò i nomi delle cose, in modo non molto diverso da quello in cui si vede che la stessa incapacità della lingua a esprimere parole induce i bimbi a gestire, quando fa che mostrino a dito le cose che sono presenti. Difatti ognuno sente per qual uso possa valersi delle proprie facoltà. Il vitello, prima che le corna gli siano spuntate e sporgano dalla fronte, con esse irato assale e ostile incalza. Dal canto loro, i cuccioli delle pantere e i leoncini si difendono con unghie e zampe e http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (15 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI multa necessest concipere ex solis radiis ardoreque eorum. hoc ubi ventus eas idem qui cogit in unum forte locum quemvis, expressit multa vaporis semina seque simul cum eo commiscuit igni, insinuatus ibi vortex versatur in arto et calidis acuit fulmen fornacibus intus; nam duplici ratione accenditur: ipse sua cum mobilitate calescit et e contagibus ignis. inde ubi percaluit venti vis [et] gravis ignis impetus incessit, maturum tum quasi fulmen perscindit subito nubem ferturque coruscis omnia luminibus lustrans loca percitus ardor. quem gravis insequitur sonitus, displosa repente opprimere ut caeli videantur templa superne. inde tremor terras graviter pertemptat et altum murmura percurrunt caelum; nam tota fere tum tempestas concussa tremit fremitusque moventur. quo de concussu sequitur gravis imber et uber, morsi già quando denti e unghie non sono ancora ben formati. Vediamo poi ogni specie di uccelli affidarsi alle ali e chiedere alle penne un aiuto che ancora è tremolante. Perciò pensare che qualcuno allora abbia assegnato i nomi alle cose e che da lui gli uomini abbiano imparato i primi vocaboli, è follia. Infatti, perché colui avrebbe potuto designare con parole ogni cosa ed emettere i vari suoni della lingua, ma si dovrebbe credere che nello stesso tempo altri non abbiano potuto farlo? Inoltre, se delle parole non avevano fatto uso fra loro anche altri, donde fu impressa in quello la nozione della loro utilità e donde fu data a lui per primo la facoltà di sapere e di vedere nella mente che cosa volesse fare? Parimenti, non poteva uno solo costringer molti e vincerli e domarli, sì che acconsentissero a imparare i nomi delle cose. Né in alcun modo è facile insegnare a sordi e persuaderli di ciò che bisogna fare; difatti non lo sopporterebbero, né in alcun modo tollererebbero che inauditi suoni di voce più volte assordassero le loro http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (16 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI omnis uti videatur in imbrem vertier aether atque ita praecipitans ad diluviem revocare; tantus discidio nubis ventique procella mittitur, ardenti sonitus cum provolat ictu. Est etiam cum vis extrinsecus incita venti incidit in validam maturo culmine nubem; quam cum perscidit, extemplo cadit igneus ille vertex, quem patrio vocitamus nomine fulmen. hoc fit idem in partis alias, quo cumque tulit vis. Fit quoque ut inter dum venti vis missa sine igni igniscat tamen in spatio longoque meatu, dum venit amittens in cursu corpora quaedam grandia, quae nequeunt pariter penetrare per auras, atque alia ex ipso conradens aeëre portat parvola, quae faciunt ignem commixta volando; non alia longe ratione ac plumbea saepe fervida fit glans in cursu, cum multa rigoris corpora dimittens ignem concepit in auris. orecchie invano. Infine, che c'è di tanto sorprendente in questo, se il genere umano, che aveva voce e lingua vigorose, secondo le diverse impressioni designava le cose con suoni diversi? Quando le greggi prive di parola, quando perfino le stirpi delle fiere son solite formare voci dissimili e varie, secondo che sentano timore o dolore o cresca in esse la gioia. E infatti è possibile conoscer questo in base a fatti palesi. Quando le larghe morbide labbra dei cani molossi incominciano a fremere irritate, scoprendo i duri denti, tirate indietro per la rabbia, minacciano con suono molto diverso da quando poi latrano ed empiono tutti i luoghi delle loro voci. Ma, quando prendono a lambire con la lingua carezzevolmente i cuccioli o li sballottano con le zampe e, minacciando di morderli, senza stringere i denti fingono di volerli divorare teneramente, li vezzeggiano col mugolìo in modo molto diverso da quando lasciati soli in casa abbaiano, o quando http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (17 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI Fit quoque ut ipsius plagae vis excitet ignem, frigida cum venti pepulit vis missa sine igni, ni mirum quia, cum vehementi perculit ictu, confluere ex ipso possunt elementa vaporis et simul ex illa quae tum res excipit ictum; ut, lapidem ferro cum caedimus, evolat ignis, nec, quod frigida vis ferrist, hoc setius illi semina concurrunt calidi fulgoris ad ictum. sic igitur quoque res accendi fulmine debet, opportuna fuit si forte et idonea flammis. nec temere omnino plane vis frigida venti esse potest, ea quae tanta vi missa supernest, quin, prius in cursu si non accenditur igni, at tepefacta tamen veniat commixta calore. Mobilitas autem fit fulminis et gravis ictus et celeri ferme percurrunt fulmina lapsu, nubibus ipsa quod omnino prius incita se vis colligit et magnum conamen sumit eundi, inde ubi non potuit nubes capere uggiolando scansano col corpo schiacciato a terra le percosse. E ancora, non si vede che parimenti differisce il nitrito, quando un polledro nel fiore dell'età infuria fra le cavalle, colpito dagli sproni di amore alato, e con le froge dilatate freme movendo all'assalto, e quando, in altri casi, nitrisce con membra tremanti? Infine, le specie degli alati e i vari uccelli, gli sparvieri e le aquile marine e gli smerghi che cercano il nutrimento e la vita nei salati flutti del mare, in un tempo diverso gettano gridi di gran lunga diversi da quando contendono per il cibo e le prede fanno resistenza. E alcuni mutano col mutare del tempo i rauchi canti, come le longeve stirpi delle cornacchie e le frotte dei corvi, di cui si dice che a volte invochino l'acqua e la pioggia, altre volte chiamino i venti e le brezze. Dunque, se sensi diversi costringono gli animali, benché siano privi di parola, a emettere voci diverse, quanto è più naturale che gli uomini allora abbian potuto designare cose dissimili con suoni differenti fra loro! http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (18 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI inpetis auctum, Perché a tale proposito non ti exprimitur vis atque ideo volat ponga per caso, tacito, questa impete miro, domanda, fu il fulmine che portò ut validis quae de tormentis missa giù in terra ai mortali il fuoco feruntur. dapprincipio; di là si diffonde ogni Adde quod e parvis et levibus ardore di fiamme. est elementis, Molte cose infatti vediamo nec facilest tali naturae obsistere accendersi penetrate dai semi quicquam; delle fiamme inter enim fugit ac penetrat per celesti, quando un colpo dal cielo rara viarum, ha dato ad esse il suo calore. non igitur multis offensibus in E d'altronde, quando un albero remorando ramoso, battuto dai venti, haesitat, hanc ob rem celeri volat vacillando fluttua e si getta sui impete labens. rami di un altro albero, Deinde, quod omnino natura si sprigiona il fuoco, cavato fuori pondera deorsum dal possente attrito, omnia nituntur, cum plagast prorompe talora il fervido ardore addita vero, della fiamma, mobilitas duplicatur et impetus ille mentre tra loro i rami e i tronchi si gravescit, sfregano a vicenda. ut vehementius et citius quae E l'una e l'altra di queste cause cumque morantur può aver dato ai mortali il fuoco. obvia discutiat plagis itinerque Poi il sole insegnò loro a cuocere il sequatur. cibo e ad ammollirlo Denique quod longo venit col calore della fiamma, poiché impete, sumere debet vedevano molte cose maturare mobilitatem etiam atque etiam, vinte dalle sferzate dei raggi e quae crescit eundo dalla calura per i campi. et validas auget viris et roborat E di giorno in giorno sempre più a ictum; mutare il cibo e la vita nam facit ut quae sint illius semina anteriore con nuove scoperte e col cumque fuoco insegnavano loro e regione locum quasi in unum quelli che eccellevano per ingegno cuncta ferantur, e vigore d'animo. omnia coniciens in eum volventia I re incominciarono a fondare città http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (19 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI cursum. Forsitan ex ipso veniens trahat aeëre quaedam corpora, quae plagis incendunt mobilitatem. incolumisque venit per res atque integra transit multa, foraminibus liquidus quia transviat ignis. multaque perfringit, cum corpora fulminis ipsa corporibus rerum inciderunt, qua texta tenentur. dissoluit porro facile aes aurumque repente conferve facit, e parvis quia facta minute corporibus vis est et levibus ex elementis, quae facile insinuantur et insinuata repente dissoluont nodos omnis et vincla relaxant. Autumnoque magis stellis fulgentibus alta concutitur caeli domus undique totaque tellus, et cum tempora se veris florentia pandunt. frigore enim desunt ignes ventique calore deficiunt neque sunt tam denso corpore nubes. interutrasque igitur cum caeli tempora constant, tum variae causae concurrunt fulminis omnes. e a costruire rocche, per trovarvi essi stessi difesa e rifugio, e divisero il bestiame e i campi, e li donarono secondo la bellezza e la forza e l'ingegno di ciascuno; perché la bellezza ebbe molto valore e la forza gran pregio. Più tardi fu scoperta la ricchezza e fu trovato l'oro, che facilmente tolse onore sia ai belli che ai forti; al séguito del più ricco difatti gli uomini per lo più s'accodano, quantunque siano e forti e dotati di bei corpi. Ma, se si vuol governare la vita secondo la verità, ricchezza grande è per l'uomo il vivere parcamente con animo sereno; giacché del poco non c'è mai penuria. Ma gli uomini vollero essere illustri e potenti, perché su fondamento stabile perdurasse la loro fortuna e opulenti potessero condurre una placida vita; invano, perché, lottando per ascendere al vertice degli onori, si fecero pieno di insidie il cammino, e, quand'anche vi giungano, dal vertice l'invidia, come un fulmine, colpendoli talvolta li precipita con disprezzo nel Tartaro tetro; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (20 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI nam fretus ipse anni permiscet frigus [ad] aestum. quorum utrumque opus est fabricanda ad fulmina nubi, ut discordia [sit] rerum magnoque tumultu ignibus et ventis furibundus fluctuet aeër. perché per l'invidia, come per il fulmine, per lo più ardono i vertici e tutte le cose che si elevano al disopra di altre; sì che è molto meglio obbedire quieto che aspirare al potere supremo e al possesso di regni. Lascia dunque che invano spossati sudino sangue, ut discordia [sit] rerum magnoque lottando per l'angusto cammino tumultu dell'ambizione; ignibus et ventis furibundus giacché il loro sapere dipende fluctuet aeër. dalla bocca altrui, e mirano alle prima caloris enim pars est cose postrema rigoris; seguendo ciò che hanno udito dire tempus id est vernum; quare piuttosto che i propri sensi, pugnare necessest né ciò è ora, né sarà in avvenire dissimilis [res] inter se turbareque più di quanto fu per l'innanzi. mixtas. Dunque, uccisi i re, giacevano et calor extremus primo cum abbattuti frigore mixtus l'antica maestà dei troni e gli volvitur, autumni quod fertur scettri superbi; nomine tempus, e lo splendido ornamento della hic quoque confligunt hiemes testa regale, insanguinato, aestatibus acres. sotto i piedi del volgo piangeva il propterea [freta] sunt haec anni grande onore; nominitanda, con ardore infatti si calpesta ciò nec mirumst, in eo si tempore che troppo fu prima temuto. plurima fiunt Così le cose eran ridotte a estrema fulmina tempestasque cietur confusione e turbamento, turbida caelo, mentre ognuno cercava per sé il ancipiti quoniam bello turbatur potere e la sovranità. utrimque, Poi una parte di essi insegnò a hinc flammis, illinc ventis creare magistrati umoreque mixto. e fondò il diritto, perché volessero Hoc est igniferi naturam http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (21 of 75) [07/08/2003 21.46.54] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI fulminis ipsam perspicere et qua vi faciat rem quamque videre, non Tyrrhena retro volventem carmina frustra indicia occultae divum perquirere mentis, unde volans ignis pervenerit aut in utram se verterit hinc partim, quo pacto per loca saepta insinuarit, et hinc dominatus ut extulerit se, quidve nocere queat de caelo fulminis ictus. quod si Iuppiter atque alii fulgentia divi terrifico quatiunt sonitu caelestia templa et iaciunt ignem quo cuiquest cumque voluntas, cur quibus incautum scelus aversabile cumquest non faciunt icti flammas ut fulguris halent pectore perfixo, documen mortalibus acre, et potius nulla sibi turpi conscius in re volvitur in flammis innoxius inque peditur turbine caelesti subito correptus et igni? cur etiam loca sola petunt frustraque laborant? an tum bracchia consuescunt osservare le leggi. Infatti il genere umano, spossato dal vivere una vita di violenza, languiva per le inimicizie; perciò tanto più spontaneamente si sottomise da sé stesso alle leggi e alla stretta giustizia. Poiché ognuno, difatti, nell'ira s'apprestava a vendetta più crudele di quella che ora concedono le giuste leggi, per questo agli uomini venne a tedio il vivere una vita di violenza. Da allora il timore delle pene guasta i doni della vita. Giacché violenza e ingiustizia irretiscono ognuno e per lo più ricadono su colui da cui nacquero, né trascorrere una vita placida e pacata è facile per chi vìola coi propri atti i comuni patti di pace. Infatti, benché sfugga alla stirpe divina e all'umana, tuttavia non può esser sicuro che il misfatto resterà sempre occulto; e invero si dice che molti, spesso parlando nel sonno o delirando per malattia, si tradirono e manifestarono colpe ‹a lungo› celate. Ora, quale causa abbia diffuso per le grandi nazioni la potenza degli dèi e abbia riempito le città di altari http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (22 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI firmantque lacertos? e abbia fatto istituire solenni riti, in terraque patris cur telum quei riti perpetiuntur che oggi fioriscono in grandi optundi? cur ipse sinit neque occasioni e in grandi sedi, parcit in hostis? donde ancor oggi è piantato denique cur numquam caelo iacit dentro i mortali l'orrore undique puro che innalza nuovi templi di dèi su Iuppiter in terras fulmen tutta la terra sonitusque profundit? e costringe a frequentarli nei an simul ac nubes successere, ipse giorni festivi, in eas tum non è tanto difficile spiegare con descendit, prope ut hinc teli parole. determinet ictus? E difatti già allora le stirpi dei in mare qua porro mittit ratione? mortali vedevano quid undas nelle menti durante la veglia arguit et liquidam molem eccellenti immagini di dèi, camposque natantis? e queste in sogno apparivano di praeterea si vult caveamus ancor più mirabile corporatura. fulminis ictum, A queste, dunque, attribuivano il cur dubitat facere ut possimus senso perché pareva cernere missum? che movessero le membra e si nec opinantis autem volt proferissero parole superbe, opprimere igni, confacenti allo splendido aspetto e cur tonat ex illa parte, ut vitare alle forze imponenti. queamus, E attribuivano loro vita eterna, cur tenebras ante et fremitus et perché sempre la loro immagine murmura concit? si rinnovava e la forma rimaneva et simul in multas partis qui inalterata credere possis e, d'altronde, soprattutto perché mittere? an hoc ausis numquam pensavano che esseri dotati di contendere factum, forze ut fierent ictus uno sub tempore così grandi non potessero plures? facilmente esser vinti da alcuna at saepest numero factum fierique forza. necessest, E pensavano che per sorte molto ut pluere in multis regionibus et eccellessero, cadere imbris, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (23 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI fulmina sic uno fieri sub tempore perché il timore della morte non ne tormentava alcuno, multa. postremo cur sancta deum delubra e insieme perché in sogno li vedevano compiere molte suasque discutit infesto praeclaras fulmine e mirabili azioni senza risentirne essi stessi alcuna fatica. sedes Scorgevano inoltre i fenomeni et bene facta deum frangit celesti e le varie stagioni simulacra suisque demit imaginibus violento volnere dell'anno rotare secondo un ordine costante, honorem? né potevano conoscere per quali altaque cur plerumque petit loca cause questo avvenisse. plurimaque eius Dunque avevano per sé via montibus in summis vestigia d'uscita l'assegnare ogni cosa cernimus ignis? Quod super est, facilest ex his agli dèi e supporre che al cenno di quelli ogni cosa obbedisse. cognoscere rebus, E nel cielo collocarono le sedi e le presteras Graii quos ab re regioni degli dèi, nominitarunt, in mare qua missi veniant ratione perché nel cielo si vedono girare la notte e la luna, superne. la luna, il giorno e la notte, e le nam fit ut inter dum tam quam severe stelle della notte, demissa columna in mare de caelo descendat, quam e le faci del cielo che vagano di notte, e le fiamme volanti, freta circum le nubi, il sole, le piogge, la neve, i fervescunt graviter spirantibus venti, i fulmini, la grandine, incita flabris, e i rapidi fremiti e i grandi et quae cumque in eo tum sint minacciosi fragori. deprensa tumultu O infelice genere umano, quando navigia in summum veniant agli dèi vexata periclum. hoc fit ubi inter dum non quit vis attribuì tali azioni ed aggiunse ire acerbe! incita venti rumpere quam coepit nubem, sed Che gemiti allora a sé stessi, che piaghe a noi, deprimit, ut sit che lacrime cagionarono ai nostri in mare de caelo tam quam discendenti! demissa columna, Né è punto vera pietà farsi spesso http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (24 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI paulatim, quasi quid pugno bracchique superne coniectu trudatur et extendatur in undas; quam cum discidit, hinc prorumpitur in mare venti vis et fervorem mirum concinnat in undis; versabundus enim turbo descendit et illam deducit pariter lento cum corpore nubem; quam simul ac gravidam detrusit ad aequora ponti, ille in aquam subito totum se inmittit et omne excitat ingenti sonitu mare fervere cogens. Fit quoque ut involvat venti se nubibus ipse vertex conradens ex aeëre semina nubis et quasi demissum caelo prestera imitetur; hic ubi se in terras demisit dissoluitque, turbinis immanem vim provomit atque procellae. sed quia fit raro omnino montisque necessest officere in terris, apparet crebrius idem prospectu maris in magno caeloque patenti. Nubila concrescunt, ubi corpora multa volando hoc super in caeli spatio coiere vedere nell'atto di volgersi velato a un sasso e accostarsi a tutti gli altari, né gettarsi a terra prosternato e protendere le palme innanzi ai templi degli dèi, né cospargere gli altari con molto sangue di quadrupedi, né intrecciar voti a voti, ma piuttosto il poter contemplare ogni cosa con mente tranquilla. Difatti, quando leviamo lo sguardo alle celesti plaghe del vasto mondo, lassù, e all'etere trapunto di stelle fulgenti, e il pensiero si volge ai corsi del sole e della luna, allora, contro i petti oppressi da altri mali comincia a ergere il capo ridesto anche quell'angoscioso pensiero, che non ci sia per caso su di noi un immenso potere di dèi, che con vario movimento volga gli astri splendenti. Ignorando le cause, infatti, la mente è assillata dal dubbio se mai ci sia stata un'origine primigenia del mondo e, insieme, se ci sia un termine fino al quale le mura del mondo possano sopportare questo travaglio di moto affannoso, oppure, dotate di eterna esistenza dal volere divino, possano, volando per un tratto http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (25 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI repente asperiora, modis quae possint indupedita exiguis tamen inter se compressa teneri. haec faciunt primum parvas consistere nubes; inde ea comprendunt inter se conque gregantur et coniungendo crescunt ventisque feruntur usque adeo donec tempestas saeva coortast. Fit quoque uti montis vicina cacumina caelo quam sint quoque magis, tanto magis edita fument adsidue fulvae nubis caligine crassa propterea quia, cum consistunt nubila primum, ante videre oculi quam possint tenvia, venti portantes cogunt ad summa cacumina montis; hic demum fit uti turba maiore coorta et condensa queant apparere et simul ipso vertice de montis videantur surgere in aethram. nam loca declarat sursum ventosa patere res ipsa et sensus, montis cum ascendimus altos. Praeterea permulta mari ininterrotto di tempo, disprezzare le possenti forze di un'età immensa. Oltre a ciò, a chi non si stringe il cuore per timore degli dèi, a chi non si raggricciano le membra per paura, quando sotto l'orribile colpo del fulmine la terra arsa trema tutta e fragori percorrono il vasto cielo? Non tremano popoli e genti, e i re superbi non contraggono le membra percossi dal timore degli dèi, immaginando che per qualche azione turpe o parola superba sia giunto il penoso tempo di pagare il fio? E, quando l'enorme forza del vento che imperversa per il mare spazza via su per l'onde il comandante d'una flotta insieme con le possenti legioni e gli elefanti, non cerca egli con voti la pace degli dèi, non invoca pregando pavido il placarsi dei venti e brezze favorevoli, ma invano, giacché spesso, afferrato da turbine violento, vien tuttavia trasportato nelle secche della morte? A tal punto una forza nascosta schiaccia le cose umane e sembra calpestare e avere a scherno http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (26 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI quoque tollere toto corpora naturam declarant litore vestis suspensae, cum concipiunt umoris adhaesum. quo magis ad nubis augendas multa videntur posse quoque e salso consurgere momine ponti; nam ratio consanguineast umoribus omnis. Praeterea fluviis ex omnibus et simul ipsa surgere de terra nebulas aestumque videmus, quae vel ut halitus hinc ita sursum expressa feruntur suffunduntque sua caelum caligine et altas sufficiunt nubis paulatim conveniundo; urget enim quoque signiferi super aetheris aestus et quasi densendo subtexit caerula nimbis. Fit quoque ut hunc veniant in caelum extrinsecus illa corpora quae faciunt nubis nimbosque volantis; innumerabilem enim numerum summamque profundi esse infinitam docui, quantaque volarent corpora mobilitate ostendi quamque repente immemorabile [per] spatium transire solerent. gli splendidi fasci e le scuri spietate. Infine, quando sotto i piedi la terra tutta vacilla e scosse cadono le città o minacciano di cadere, che meraviglia se le stirpi mortali disprezzano sé stesse e ammettono nel mondo vasti poteri e mirabili forze di dèi che governino tutte le cose? Quanto al resto, il rame e l'oro e il ferro e, insieme ad essi, il peso dell'argento e il potere del piombo furono scoperti quando il fuoco avvampante aveva arso immense selve su grandi monti, o per un fulmine piombato dal cielo, o perché gli uomini, guerreggiando tra loro nelle selve, avevano scagliato il fuoco tra i nemici per atterrirli, o perché, allettati dalla bontà del terreno, volevano aprire pingui campi e a pascoli ridurre le campagne, o far massacro di belve e arricchirsi di preda. Difatti il cacciare con la fossa e col fuoco sorse prima che il cingere il bosco con reti e lo scovare la selvaggina coi cani. Comunque sia, quale che fosse la causa per cui l'ardore delle fiamme aveva divorato con http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (27 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI haut igitur mirumst, si parvo tempore saepe tam magnis ventis tempestas atque tenebrae coperiant maria ac terras inpensa superne, undique quandoquidem per caulas aetheris omnis et quasi per magni circum spiracula mundi exitus introitusque elementis redditus extat. Nunc age, quo pacto pluvius concrescat in altis nubibus umor et in terras demissus ut imber decidat, expediam. primum iam semina aquai multa simul vincam consurgere nubibus ipsis omnibus ex rebus pariterque ita crescere utrumque et nubis et aquam, quae cumque in nubibus extat, ut pariter nobis corpus cum sanguine crescit, sudor item atque umor qui cumque est denique membris. concipiunt etiam multum quoque saepe marinum umorem, vel uti pendentia vellera lanae, cum supera magnum mare venti nubila portant. consimili ratione ex omnibus amnibus umor orrendo fragore le selve dalle profonde radici e aveva cotto a fondo col fuoco la terra, colavano dalle vene bollenti confluendo nelle cavità della terra rivoli d'argento e d'oro e anche di rame e di piombo. E quando gli uomini li vedevano poi rappresi risplendere sul suolo di lucido colore, li raccoglievano, avvinti dalla nitida e levigata bellezza, e vedevano che erano foggiati in forma simile a quella che aveva l'impronta dell'incavo di ognuno. Allora in essi entrava il pensiero che questi, liquefatti al calore, potessero colando plasmarsi in qualsiasi forma e aspetto di oggetti, e che martellandoli si potesse forgiarli in punte di pugnali quanto mai si volesse acute e sottili, sì da procurarsi armi e poter tagliare selve ed asciare il legname e piallare e levigare travi ed anche trapanare e trafiggere e perforare. E dapprima s'apprestavano a far queste cose con l'argento e l'oro non meno che con la forza violenta del possente rame, ma invano, poiché la tempra di http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (28 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI tollitur in nubis. quo cum bene semina aquarum multa modis multis convenere undique adaucta, confertae nubes umorem mittere certant dupliciter; nam vis venti contrudit et ipsa copia nimborum turba maiore coacta urget et e supero premit ac facit effluere imbris. praeterea cum rarescunt quoque nubila ventis aut dissolvuntur solis super icta calore, mittunt umorem pluvium stillantque, quasi igni cera super calido tabescens multa liquescat. sed vehemens imber fit, ubi vehementer utraque nubila vi cumulata premuntur et impete venti. at retinere diu pluviae longumque morari consuerunt, ubi multa cientur semina aquarum atque aliis aliae nubes nimbique rigantes insuper atque omni vulgo de parte feruntur, terraque cum fumans umorem tota redhalat. hic ubi sol radiis tempestatem inter opacam adversa fulsit nimborum aspargine quelli vinta cedeva, né potevano sopportare ugualmente il duro sforzo. Difatti ‹il rame› era più pregiato e l'oro era trascurato per l'inutilità, perché si smussava con la punta rintuzzata. Ora è trascurato il rame, l'oro è asceso al più alto onore. Così il volgere del tempo tramuta le stagioni delle cose: ciò che era in pregio, diventa alfine di nessun valore; quindi subentra un'altra cosa ed esce ‹dal› disprezzo e sempre più, di giorno in giorno, è desiderata, e una volta scoperta fiorisce di lodi e gode tra i mortali di mirabile onore. Ora in qual modo sia stata scoperta la natura del ferro, ti è facile conoscere da te stesso, o Memmio. Armi furono in antico le mani, le unghie e i denti e i sassi, e inoltre i rami spezzati nelle selve, poi fiamme e fuoco, da quando se n'ebbe la prima conoscenza. In séguito fu scoperta la forza del ferro e del bronzo. E l'uso del bronzo fu conosciuto prima di quello del ferro, in quanto la sua natura è più malleabile e di più esso abbonda. Col bronzo lavoravano il terreno, e http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (29 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI contra, tum color in nigris existit nubibus arqui. Cetera quae sursum crescunt sursumque creantur, et quae concrescunt in nubibus, omnia, prorsum omnia, nix venti grando gelidaeque pruinae et vis magna geli, magnum duramen aquarum, et mora quae fluvios passim refrenat aventis, perfacilest tamen haec reperire animoque videre, omnia quo pacto fiant quareve creentur, cum bene cognoris elementis reddita quae sint. Nunc age, quae ratio terrai motibus extet percipe. et in primis terram fac ut esse rearis supter item ut supera ventosis undique plenam speluncis multosque lacus multasque lucunas in gremio gerere et rupes deruptaque saxa; multaque sub tergo terrai flumina tecta volvere vi fluctus summersos [cae]ca putandumst; undique enim similem esse sui res postulat ipsa. his igitur rebus subiunctis col bronzo agitavano flutti di guerra e spargevano ferite devastatrici e depredavano greggi e campi. Infatti tutto quel ch'era nudo e inerme cedeva facilmente a quelli ch'erano armati. Poi a poco a poco si fece strada la spada di ferro e divenne obbrobriosa la foggia della falce di bronzo, e col ferro incominciarono a solcare il suolo della terra e furono uguagliati i cimenti della guerra dall'esito incerto. E montare armato sui fianchi del cavallo e guidarlo col morso e combattere con la destra, è uso più antico che tentare i rischi della guerra su un carro a due cavalli. E due cavalli si usò aggiogare prima che quattro e prima che salire armati sui carri muniti di falci. Poi ai bovi lucani dal corpo turrito, spaventosi, con la proboscide serpentina, i Punici insegnarono a sopportare in guerra le ferite e a scompigliare le grandi schiere di Marte. Così la triste discordia produsse, l'una dopo l'altra, cose fatte per incutere orrore alle genti umane in armi, e di giorno in giorno fece crescere i terrori della guerra. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (30 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI suppositisque terra superne tremit magnis concussa ruinis, subter ubi ingentis speluncas subruit aetas; quippe cadunt toti montes magnoque repente concussu late disserpunt inde tremores. et merito, quoniam plaustris concussa tremescunt tecta viam propter non magno pondere tota, nec minus exultant, si quidvis cumque viai ferratos utrimque rotarum succutit orbes. Fit quoque, ubi in magnas aquae vastasque lucunas gleba vetustate e terra provolvitur ingens, ut iactetur aquae fluctu quoque terra vacillans; ut vas inter [aquas] non quit constare, nisi umor destitit in dubio fluctu iactarier intus. Praeterea ventus cum per loca subcava terrae collectus parte ex una procumbit et urget obnixus magnis speluncas viribus altas, incumbit tellus quo venti prona premit vis. tum supera terram quae sunt extructa domorum Sperimentarono anche tori nelle imprese di guerra e tentarono d'avventare contro i nemici cinghiali feroci. E alcuni lanciarono innanzi a sé vigorosi leoni con domatori armati e spietati maestri, che potessero guidarli e tenerli in catene, ma invano, perché, caldi della confusa strage, inferociti, i leoni scompigliavano le torme senza alcuna distinzione, squassando dappertutto le criniere terrificanti, né i cavalieri potevano placare i petti dei cavalli spauriti al ruggito, né rivolgerli coi freni contro i nemici. Le leonesse slanciavano d'un balzo, da ogni lato, i corpi concitati, e s'avventavano ai volti di quelli che andavano incontro ad esse, e strappavano giù quelli che sorprendevano da tergo e, avvinghiandosi intorno, li gettavano a terra vinti dalle ferite, attaccate a loro con i morsi poderosi e gli artigli adunchi. E i tori sbalzavan via gli uomini della propria schiera e con le zampe li schiacciavano, e ai cavalli fianchi e ventri trafiggevano di sotto http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (31 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI ad caelumque magis quanto sunt con le corna, e sconvolgevano il terreno con impeto minaccioso. edita quaeque, inclinata minent in eandem prodita E i cinghiali con le zanne poderose massacravano gli alleati, partem protractaeque trabes inpendent ire cospargendo furibondi col proprio sangue i dardi in loro infranti, paratae. [cospargendo col proprio sangue i et metuunt magni naturam dardi infranti nei propri corpi] credere mundi exitiale aliquod tempus clademque e atterravano cavalieri e fanti in confusa rovina. manere, I cavalli infatti cercavano di cum videant tantam terrarum schivare le feroci zannate incumbere molem! gettandosi quod nisi respirent venti, [vis] di traverso, o impennandosi nulla refrenet percotevano l'aria con gli zoccoli, res neque ab exitio possit ma invano, ché si potevano reprehendere euntis; nunc quia respirant alternis inque vedere coi garretti troncati crollare e coprire il terreno con gravescunt pesante caduta. et quasi collecti redeunt Se alcune belve prima gli uomini ceduntque repulsi, credevano abbastanza domate saepius hanc ob rem minitatur e addomesticate, nel fervere della terra ruinas mischia le vedevano infiammarsi quam facit; inclinatur enim per le ferite, il clamore, la fuga, il retroque recellit et recipit prolapsa suas in pondere terrore, il tumulto, né potevano ricondurne indietro sedes. hac igitur ratione vacillant omnia alcuna parte; infatti tutte le varie specie delle tecta, summa magis mediis, media imis, fiere fuggivano qua e là; come ora i bovi lucani, malamente ima perhilum. colpiti dal ferro, sovente Est haec eiusdem quoque fuggono qua e là, dopo aver fatto magni causa tremoris. ventus ubi atque animae subito vis stragi di amici. Se avvenne che facessero questo. maxima quaedam Ma a stento posso indurmi aut extrinsecus aut ipsa tellure a credere che non abbiano potuto coorta presentire e vedere con la mente, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (32 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI in loca se cava terrai coniecit ibique speluncas inter magnas fremit ante tumultu versabunda portatur, post incita cum vis exagitata foras erumpitur et simul altam diffindens terram magnum concinnat hiatum. in Syria Sidone quod accidit et fuit Aegi in Peloponneso, quas exitus hic animai disturbat urbes et terrae motus obortus. multaque praeterea ceciderunt moenia magnis motibus in terris et multae per mare pessum subsedere suis pariter cum civibus urbes. quod nisi prorumpit, tamen impetus ipse animai et fera vis venti per crebra foramina terrae dispertitur ut horror et incutit inde tremorem; frigus uti nostros penitus cum venit in artus, concutit invitos cogens tremere atque movere. ancipiti trepidant igitur terrore per urbis, tecta superne timent, metuunt inferne cavernas terrai ne dissoluat natura repente, prima che avvenisse, l'atroce male che li avrebbe colpiti tutti; e meglio potresti asserire che ciò sia avvenuto entro l'universo, nei vari mondi in varia maniera creati, anziché su una qualunque determinata ed unica terra. Ma vollero far questo, non tanto per la speranza di vincere, quanto per dar motivo di pianto ai nemici, e perire essi stessi, giacché non confidavano nel numero ed erano privi di armi. La veste intrecciata precedette l'abito tessuto. Il tessuto viene dopo il ferro, perché col ferro s'appresta il telaio, né in altro modo si posson produrre strumenti così levigati, spole e fusi, navette e rulli sonori. E a lavorare la lana la natura costrinse gli uomini prima che la stirpe delle donne (giacché molto eccelle nell'arte e molto più industriosa è in genere la stirpe virile), finché i severi contadini fecero di ciò una colpa, sì che quelli vollero lasciarne la cura a mani femminili e sopportare essi stessi ugualmente dura fatica e indurire in duro lavoro le membra e le mani. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (33 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI neu distracta suum late dispandat Ma esempio per la semina e origine dell'innesto hiatum idque suis confusa velit complere fu dapprima la stessa natura creatrice delle cose, ruinis. perché le bacche e le ghiande proinde licet quamvis caelum cadute dagli alberi facevano terramque reantur incorrupta fore aeternae mandata a piè di questi pullulare nella giusta stagione sciami di polloni; saluti: et tamen inter dum praesens vis di là venne anche l'idea di inserire germogli nei rami ipsa pericli subdit et hunc stimulum quadam e di piantare nella terra novelli virgulti per i campi. de parte timoris, ne pedibus raptim tellus subtracta Poi tentavano altre e altre colture del caro campicello feratur in barathrum rerumque sequatur e vedevano che i frutti selvatici si ammansivano nel terreno prodita summa per effetto di premurosa funditus et fiat mundi confusa attenzione e amorevole cura. ruina. E ogni giorno di più costringevano *** le selve a ritrarsi Principio mare mirantur non in su, sopra i monti, e a far posto reddere maius naturam, quo sit tantus decursus in basso alle colture, per aver prati, stagni, ruscelli, aquarum, messi e floridi vigneti omnia quo veniant ex omni sui colli e nelle pianure, e perché flumina parte. adde vagos imbris tempestatesque la cerula zona degli ulivi col suo risalto potesse volantes, correre in mezzo, omnia quae maria ac terras sparsa per poggi e convalli e sparguntque rigantque; adde suos fontis; tamen ad maris pianure; come ora vedi per varia bellezza risaltare tutta la omnia summam campagna, guttai vix instar erunt unius che gli uomini ornano piantandovi adaugmen; in mezzo quo minus est mirum mare non dolci frutteti e cingono piantando augescere magnum. Praeterea magnam sol partem intorno alberi feraci. Ma l'imitare con la bocca le http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (34 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI detrahit aestu. limpide voci degli uccelli quippe videmus enim vestis umore fu molto prima che gli uomini madentis fossero capaci di praticare exsiccare suis radiis ardentibus il canto di versi armoniosi e solem; dilettare gli orecchi. at pelage multa et late substrata E i sibili dello zefiro per le cavità videmus. delle canne dapprima proinde licet quamvis ex uno insegnarono ai campagnoli a quoque loco sol soffiare entro cave zampogne. umoris parvam delibet ab aequore Poi a poco a poco appresero i dolci partem, lamenti largiter in tanto spatio tamen che effonde il flauto toccato dalle auferet undis. dita dei sonatori, Tum porro venti quoque scoperto fra remoti boschi e selve magnam tollere partem e pascoli, umoris possunt verrentes nei solinghi luoghi dei pastori e aequora, ventis negli ozi divini. una nocte vias quoniam persaepe [Così gradatamente il tempo rivela videmus ogni cosa, siccari mollisque luti concrescere e la ragione la innalza alle plaghe crustas. della luce.] Praeterea docui multum quoque Questi suoni carezzavano loro gli tollere nubes animi e davano diletto, umorem magno conceptum ex quando erano sazi di cibo; allora aequore ponti infatti tutto è caro al cuore. et passim toto terrarum spargere Spesso, dunque, familiarmente in orbi, distesi sull'erba morbida, cum pluit in terris et venti nubila presso un ruscello, sotto i rami di portant. un albero alto, Postremo quoniam raro cum con tenui mezzi davano giocondità corpore tellus ai corpi, est et coniunctast oras maris soprattutto quando il tempo undique cingens, arrideva e la stagione debet, ut in mare de terris venit dipingeva di fiori le erbe umor aquai, verdeggianti. in terras itidem manare ex Allora solevano esserci gli scherzi, aequore salso; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (35 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI allora i conversari, allora i dolci percolatur enim virus retroque scoppi di gaiezza; allora infatti la remanat musa agreste era in rigoglio; materies umoris et ad caput allora una libera allegria li amnibus omnis spingeva a ornare il capo confluit, inde super terras redit e le spalle con corone intrecciate agmine dulci qua via secta semel liquido pede di fiori e di foglie, e ad avanzare in danza senza detulit undas. Nunc ratio quae sit, per fauces ritmo, duramente movendo le membra, e a battere con duro montis ut Aetnae piede la madre terra; expirent ignes inter dum turbine di lì nascevano risa e dolci scoppi tanto, di gaiezza, perché allora expediam; neque enim mediocri tutte queste cose, più nuove e clade coorta meravigliose, erano pregiate. flammae tempestas Siculum E se vegliavano, di qui avevano dominata per agros finitimis ad se convertit gentibus sollievo per il sonno perduto: far passare la voce per molti toni e ora, fumida cum caeli scintillare omnia modulare il canto, e correre col labbro incurvato su templa per le canne del flauto; cernentes pavida complebant donde venne questa usanza che pectora cura, anche ora conservano le scolte, quid moliretur rerum natura e hanno imparato a osservare i novarum. Hisce tibi in rebus latest alteque tipi dei ritmi, ma intanto non colgono affatto un frutto di videndum dolcezza maggiore di quello et longe cunctas in partis che coglieva la stirpe silvestre dei dispiciendum, figli della terra. ut reminiscaris summam rerum Difatti ciò che è a disposizione, se esse profundam non abbiamo conosciuto prima et videas caelum summai totius qualche cosa di più dolce, ci piace unum sopra tutto e sembra prevalere, quam sit parvula pars et quam ma per lo più una scoperta multesima constet nec tota pars, homo terrai quota posteriore lo annienta e muta il nostro sentire riguardo a totius unus. ogni cosa passata. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (36 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI quod bene propositum si plane contueare ac videas plane, mirari multa relinquas. numquis enim nostrum miratur, siquis in artus accepit calido febrim fervore coortam aut alium quemvis morbi per membra dolorem? opturgescit enim subito pes, arripit acer saepe dolor dentes, oculos invadit in ipsos, existit sacer ignis et urit corpore serpens quam cumque arripuit partem repitque per artus, ni mirum quia sunt multarum semina rerum et satis haec tellus morbi caelumque mali fert, unde queat vis immensi procrescere morbi. sic igitur toti caelo terraeque putandumst ex infinito satis omnia suppeditare, unde repente queat tellus concussa moveri perque mare ac terras rapidus percurrere turbo, ignis abundare Aetnaeus, flammescere caelum; id quoque enim fit et ardescunt caelestia templa et tempestates pluviae graviore Così nacque l'avversione per le ghiande, così furono abbandonati quei giacigli cosparsi di erbe e guarniti di fronde. Cadde anche nel disprezzo la veste di pelle ferina; che, quando fu scoperta, suscitò, io credo, tale invidia da cagionare insidie e morte a chi la indossò per primo; e tuttavia, lacerata da coloro che se la strappavan di mano, fra molto sangue fu distrutta senza poter giovare. Allora, dunque, le pelli, ora l'oro e la porpora tormentano con affannosi desideri la vita degli uomini e l'affaticano in guerra; e perciò, come credo, la colpa maggiore sta in noi. Infatti, nudi, senza pelli, i figli della terra erano martoriati dal freddo; ma a noi non nuoce affatto l'esser privi d'una veste di porpora e adorna d'oro e di grandi figure, purché abbiamo una veste plebea che possa proteggerci. Dunque il genere umano a vuoto e invano si travaglia sempre e consuma ‹in› affanni inutili la vita, certo perché non conosce quale sia il limite del possesso e generalmente fino a qual punto cresca il vero piacere. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (37 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI E questo a poco a poco ha coortu sospinto la vita in alto mare sunt, ubi forte ita se tetulerunt e ha suscitato dal profondo grandi semina aquarum. tempeste di guerra. 'at nimis est ingens incendi Ma quelle scolte, il sole e la luna, turbidus ardor.' con la loro luce scilicet et fluvius qui visus percorrendo tutt'intorno la grande, maximus ei, rotante volta del cielo, qui non ante aliquem maiorem insegnarono agli uomini che le vidit, et ingens arbor homoque videtur et omnia stagioni ruotano e che la cosa si svolge secondo un costante de genere omni maxima quae vidit quisque, haec piano e un ordine costante. Già protetti da torri possenti ingentia fingit, passavano la vita cum tamen omnia cum caelo e divisa e distinta da confini era terraque marique nil sint ad summam summai totius coltivata la terra, e inoltre il mare fioriva di navi omnem. volanti con le vele, Nunc tamen illa modis quibus già per patti fissati avevano inritata repente ausiliari e alleati, quando i poeti flamma foras vastis Aetnae cominciarono a tramandare coi fornacibus efflet, expediam. primum totius subcava canti le gesta compiute; né molto prima furono scoperte le montis lettere dell'alfabeto. est natura fere silicum suffulta Perciò la nostra età non può cavernis. discernere quel che è avvenuto omnibus est porro in speluncis prima, ventus et aeër. ventus enim fit, ubi est agitando tranne che il ragionamento in qualche modo non le mostri le percitus aeër. tracce. hic ubi percaluit cale fecitque Navi e colture dei campi, mura, omnia circum leggi, saxa furens, qua contingit, armi, vie, vesti ‹e› le altre cose terramque et ab ollis excussit calidum flammis velocibus siffatte, i doni e anche le delizie della vita, ignem, tollit se ac rectis ita faucibus eicit tutte quante, canti, pitture e statue lavorate con http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (38 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI alte. arte, levigate, gradatamente fert itaque ardorem longe li insegnarono la pratica e, longeque favillam insieme, lo sperimentare differt et crassa volvit caligine della mente alacre agli uomini fumum avanzanti passo passo. extruditque simul mirando Così gradatamente il tempo rivela pondere saxa; ogni cosa ne dubites quin haec animai e la ragione la innalza alle plaghe turbida sit vis. della luce. praeterea magna ex parti mare Difatti con la mente vedevano montis ad eius chiarirsi una cosa dall'altra, radices frangit fluctus aestumque finché con le arti giunsero al resolvit. culmine più alto. ex hoc usque mari speluncae Ora spiegherò quale sia la ragione montis ad altas per cui attraverso le fauci perveniunt subter fauces. hac ire del monte Etna spirano a volte fatendumst fuochi con turbine *** tanto grande. E infatti, scoppiata et penetrare mari penitus res cogit con vasta rovina, aperto la tempesta di fiamme, atque efflare foras ideoque spadroneggiando per i campi dei extollere flammam Siculi, saxaque subiectare et arenae attirò su di sé gli sguardi delle tollere nimbos. genti vicine, in summo sunt vertice enim quando queste, al vedere tutte le crateres, ut ipsi regioni del cielo fumide nominitant, nos quod fauces mandare scintille, riempivano i perhibemus et ora. petti di pauroso affanno, Sunt aliquot quoque res domandandosi quali rivolgimenti quarum unam dicere causam macchinasse la natura. non satis est, verum pluris, unde In queste cose è necessario che tu una tamen sit; veda largo e a fondo corpus ut exanimum siquod procul e che scruti lontano in tutte le ipse iacere direzioni, conspicias hominis, fit ut omnis perché ti rammenti che la somma dicere causas delle cose è infinita conveniat leti, dicatur ut illius una; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (39 of 75) [07/08/2003 21.46.55] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI nam [ne]que eum ferro nec frigore e veda come dell'intera somma un solo cielo vincere possis sia una piccola parte e risulti una interiisse neque a morbo neque minima frazione, forte veneno, verum aliquid genere esse ex hoc né sia tanta parte quanta di tutta la terra è un uomo solo. quod contigit ei Se ti poni ciò bene davanti alla scimus. item in multis hoc rebus mente e chiaramente l'osservi dicere habemus. e lo vedi chiaramente, di molte Nilus in aestatem crescit cose cesserai di meravigliarti. campisque redundat Forse alcuno di noi, infatti, si unicus in terris, Aegypti totius meraviglia se qualcuno amnis. ha contratto nelle membra una is rigat Aegyptum medium per febbre insorta con calore saepe calorem, ardente o un'altra qualunque aut quia sunt aestate aquilones dolorosa malattia nel corpo? ostia contra, anni tempore eo, qui etesiae esse Si gonfia infatti d'improvviso un piede, un acuto dolore feruntur, sovente assale i denti, attacca et contra fluvium flantes persino gli occhi, remorantur et undas cogentes sursus replent coguntque il fuoco sacro scoppia e serpeggiando nel corpo brucia manere. ogni parte che ha assalita, e nam dubio procul haec adverso s'insinua attraverso le membra, flabra feruntur flumine, quae gelidis ab stellis axis certo perché esistono semi di molte cose, aguntur; ille ex aestifera parti venit amnis e questa terra e il cielo producono a sufficienza morbi e mali ab austro inter nigra virum percocto saecla perché ne possa crescere la violenza d'una malattia immensa. colore exoriens penitus media ab regione Così dunque si deve credere che all'intero cielo e alla terra diei. dall'infinito sia fornita ogni cosa a est quoque uti possit magnus sufficienza congestus harenae perché possa la terra d'un tratto fluctibus adversis oppilare ostia scossa agitarsi contra, e per il mare e le terre trascorrere http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (40 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI cum mare permotum ventis ruit intus harenam; quo fit uti pacto liber minus exitus amnis et proclivis item fiat minus impetus undis. fit quoque uti pluviae forsan magis ad caput ei tempore eo fiant, quo etesia flabra aquilonum nubila coniciunt in eas tunc omnia partis. scilicet, ad mediam regionem eiecta diei cum convenerunt, ibi ad altos denique montis contrusae nubes coguntur vique premuntur. forsitan Aethiopum penitus de montibus altis crescat, ubi in campos albas descendere ningues tabificis subigit radiis sol omnia lustrans. Nunc age, Averna tibi quae sint loca cumque lacusque, expediam, quali natura praedita constent. principio, quod Averna vocantur nomine, id ab re inpositumst, quia sunt avibus contraria cunctis, e regione ea quod loca cum venere volantes, remigii oblitae pennarum vela remittunt praecipitesque cadunt molli un travolgente turbine, traboccare il fuoco dell'Etna, fiammeggiare il cielo. Anche ciò infatti avviene, e s'accendono le regioni celesti, e tempeste di pioggia scoppiano con maggiore violenza, quando per caso si sono raccolti così i semi delle acque. "Ma troppo è enorme il tempestoso ardore di questo incendio". S'intende; e così è anche per il fiume che appare il più grande a colui che non ne ha visto prima uno più grande; così sembra enorme un albero o un uomo; e tutte le cose che in ogni genere ciascuno ha viste più grandi, se le immagina enormi, mentre tutte, insieme con il cielo e la terra e il mare, sono nulla rispetto all'intera somma della somma universale. Ma ora spiegherò in quali modi quella fiamma, suscitata d'un tratto, divampi fuori dalle vaste fornaci dell'Etna. In primo luogo, la natura di tutto il monte è cava di sotto, generalmente sostenuta da caverne di basalto. In tutte le spelonche, inoltre, ci sono vento ed aria. Giacché vento diventa l'aria quando è stimolata da agitazione. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (41 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI cervice profusae in terram, si forte ita fert natura locorum, aut in aquam, si forte lacus substratus Averni. is locus est Cumas aput, acri sulpure montis oppleti calidis ubi fumant fontibus aucti. est et Athenaeis in moenibus, arcis in ipso vertice, Palladis ad templum Tritonidis almae, quo numquam pennis appellunt corpora raucae cornices, non cum fumant altaria donis; usque adeo fugitant non iras Palladis acris pervigili causa, Graium ut cecinere poeëtae, sed natura loci opus efficit ipsa suapte. in Syria quoque fertur item locus esse videri, quadripedes quoque quo simul ac vestigia primum intulerint, graviter vis cogat concidere ipsa, manibus ut si sint divis mactata repente. omnia quae naturali ratione geruntur, et quibus e fiant causis apparet origo; ianua ne pote eis Orci regionibus Esso, quando si è molto scaldato e calde ha fatte, infuriando, tutte le rocce intorno, dove tocca, e la terra, e ne ha fatto prorompere un caldo fuoco con fiamme veloci, si leva e si lancia così, dritto per le fauci, in alto. E così sparge la vampa lontano, e lontano dissemina le faville, ed emette turbini di fumo con densa caligine, e insieme caccia fuori massi di mirabile peso; quindi non puoi dubitare che questa sia la burrascosa forza dell'aria. Inoltre, su gran parte delle radici di quel monte il mare infrange i flutti e ne riassorbe il ribollìo. Da questo mare spelonche s'inoltrano sotterra sino alle alte fauci del monte. Per questa via bisogna ammettere che passi * e lo stato delle cose lo costringe a penetrare a fondo dal mare aperto, e a soffiar fuori e così levare in alto la fiamma e lanciare massi e sollevare nembi di sabbia. Sull'estrema cima ci sono infatti crateri, come li chiamano là, mentre noi li diciamo fauci e bocche. Ci sono anche alcuni fatti per i http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (42 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI esse credatur, post hinc animas Acheruntis in oras ducere forte deos manis inferne reamur, naribus alipedes ut cervi saepe putantur ducere de latebris serpentia saecla ferarum. quod procul a vera quam sit ratione repulsum percipe; nam de re nunc ipsa dicere conor. Principio hoc dico, quod dixi saepe quoque ante, in terra cuiusque modi rerum esse figuras; multa, cibo quae sunt, vitalia multaque, morbos incutere et mortem quae possint adcelerare. et magis esse aliis alias animantibus aptas res ad vitai rationem ostendimus ante propter dissimilem naturam dissimilisque texturas inter sese primasque figuras. multa meant inimica per auris, multa per ipsas insinuant naris infesta atque aspera tactu, nec sunt multa parum tactu vitanda neque autem aspectu fugienda saporeque tristia quae sint. quali non basta dire una sola causa, ma bisogna dirne parecchie, di cui tuttavia una sola dev'essere la vera. Così, se per tua parte vedi un corpo esanime d'uomo giacere lontano, conviene che tu dica tutte le cause di morte perché sia detta quella che sola è per lui vera. Infatti non potresti provare che sia morto di spada, né di freddo, né di malattia, né, putacaso, di veleno; ma sappiamo che è qualcosa di tal genere ciò che gli è capitato. Similmente siamo in grado di dire questo per molte altre cose. Con l'avanzare dell'estate cresce, e inonda i campi, unico sulla terra, il Nilo, fiume di tutto l'Egitto. Esso suole irrigare l'Egitto nel pieno della calura, perché d'estate spirano contro le sue bocche gli aquiloni, che in quella stagione si dice siano venti etesii, e soffiando contro la corrente la trattengono e, respingendo le onde in su, colmano il letto e costringono il fiume a fermarsi. Infatti soffiano senza dubbio in senso opposto al corso del fiume queste folate, che giungono dalle gelide stelle del polo. Il fiume invece proviene dalla http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (43 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI Deinde videre licet quam multae sint homini res acriter infesto sensu spurcaeque gravisque; arboribus primum certis gravis umbra tributa usque adeo, capitis faciant ut saepe dolores, siquis eas subter iacuit prostratus in herbis. est etiam magnis Heliconis montibus arbos floris odore hominem taetro consueta necare. scilicet haec ideo terris ex omnia surgunt, multa modis multis multarum semina rerum quod permixta gerit tellus discretaque tradit. nocturnumque recens extinctum lumen ubi acri nidore offendit nares, consopit ibidem, concidere et spumas qui morbo mittere suevit. castoreoque gravi mulier sopita recumbit, et manibus nitidum teneris opus effluit ei, tempore eo si odoratast quo menstrua solvit. multaque praeterea languentia membra per artus solvunt atque animam labefactant sedibus intus. torrida zona dell'austro, e ha la sorgente fra nere stirpi d'uomini dal colore bruciato, nelle profondità della regione del mezzodì. È anche possibile che un grande cumulo di sabbia s'erga contro le bocche del fiume opponendosi alle onde, quando il mare sconvolto dai venti caccia la sabbia verso l'interno; così avviene che lo sbocco del fiume sia meno libero e similmente sia meno agevole l'impeto delle onde. Può essere anche, forse, che in quel tempo le piogge cadano più abbondanti verso la sua sorgente perché allora gli etesii soffi degli aquiloni cacciano tutte le nuvole in quei luoghi. Certo, quando le nuvole, spinte verso la regione del mezzodì, si sono radunate, là alfine, sbattute insieme contro gli alti monti, vengono addensate e violentemente premute. O forse il Nilo cresce dal profondo degli alti monti degli Etiopi, quando il sole che rischiara tutte le cose costringe le bianche nevi, coi raggi che le squagliano, a scendere nei piani. Ora, suvvia, ti spiegherò di quale natura siano dotati i luoghi e laghi Averni, quanti ve http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (44 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI denique si calidis etiam cunctere lavabris plenior et lueris, solio ferventis aquai quam facile in medio fit uti des saepe ruinas! carbonumque gravis vis atque odor insinuatur quam facile in cerebrum, nisi aqua praecepimus ante! at cum membra domans percepit fervida febris, tum fit odor vini plagae mactabilis instar. nonne vides etiam terra quoque sulpur in ipsa gignier et taetro concrescere odore bitumen, denique ubi argenti venas aurique secuntur, terrai penitus scrutantes abdita ferro, qualis expiret Scaptensula subter odores? quidve mali fit ut exalent aurata metalla! quas hominum reddunt facies qualisque colores! nonne vides audisve perire in tempore parvo quam soleant et quam vitai copia desit, quos opere in tali cohibet vis magna necessis? hos igitur tellus omnis exaestuat aestus expiratque foras in apertum ne sono. Anzitutto, quanto al fatto che son chiamati Averni, questo nome fu imposto per l'effetto, perché sono nocivi a tutti gli uccelli: e infatti questi, quando a volo sono giunti diritti su quei luoghi, dimentichi del remeggio delle ali abbassano le vele e cadono a capofitto, lasciandosi andare col collo flaccido in terra, se per caso è tale la natura dei luoghi, o in acqua, se per caso disotto si stende un lago d'Averno. Un luogo siffatto è presso Cuma, ove fumano monti pieni d'acre zolfo, ricchi di calde sorgenti. Ce n'è uno anche fra le mura di Atene, proprio in cima alla rocca, presso il tempio di Pallade Tritonide, datrice di vita, dove le rauche cornacchie non spingono mai con le ali i loro corpi, nemmeno quando gli altari fumano di offerte: tanto tendono a fuggire, non per evitare le ire acerbe di Pallade provocate dal loro vigilare, come cantarono i poeti dei Greci, ma perché la natura stessa del luogo produce da sé l'effetto. Anche in Siria, si dice, similmente si può vedere un luogo, dove anche i quadrupedi, appena http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (45 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI promptaque caeli. Sic et Averna loca alitibus summittere debent mortiferam vim. de terra quae surgit in auras, ut spatium caeli quadam de parte venenet; quo simul ac primum pennis delata sit ales, impediatur ibi caeco correpta veneno, ut cadat e regione loci, qua derigit aestus. quo cum conruit, hic eadem vis illius aestus reliquias vitae membris ex omnibus aufert. quippe etenim primo quasi quendam conciet aestum; posterius fit uti. cum iam cecidere veneni in fontis ipsos, ibi sit quoque vita vomenda, propterea quod magna mali fit copia circum. Fit quoque ut inter dum vis haec atque aestus Averni aeëra, qui inter avis cumquest terramque locatus. discutiat, prope uti locus hic linquatur inanis. cuius ubi e regione loci venere volantis, claudicat extemplo pinnarum nisus inanis et conamen utrimque alarum vi mettono piede, son costretti dalla sua stessa forza a stramazzare pesantemente, come se d'un tratto fossero sacrificati ai Mani divini. Ma tutte queste cose si svolgono per legge naturale, e son chiare le cause da cui traggono origine; perciò non si deve credere che in quelle regioni possa esistere la porta di Orco, e non dobbiamo quindi pensare che per caso di là dietro gli dèi Mani tirino giù le anime alle rive acherontee, come spesso si suppone che gli alipedi cervi con le nari tirino fuori dalle tane le selvagge stirpi dei serpenti. Ma ascolta quanto questo si discosti lontano dalla verità, giacché ora tento di parlare della cosa in sé stessa. Anzitutto dico ciò che anche prima ho detto spesso, che nella terra ci sono elementi di ogni specie di cose; molti, che servono di cibo, vitali, e molti che possono provocare malattie e affrettare la morte. E prima ho mostrato che per esseri viventi diversi cose diverse sono più adatte ai bisogni della vita, perché dissimile è la natura e dissimili sono fra loro http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (46 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI proditur omne. hic ubi nixari nequeunt insistereque alis, scilicet in terram delabi pondere cogit natura, et vacuum prope iam per inane iacentes dispergunt animas per caulas corporis omnis. *** frigidior porro in puteis aestate fit umor, arescit quia terra calore et semina si qua forte vaporis habet proprie, dimittit in auras. quo magis est igitur tellus effeta calore, fit quoque frigidior qui in terrast abditus umor. frigore cum premitur porro omnis terra coitque et quasi concrescit, fit scilicet ut coeundo exprimat in puteos si quem gerit ipsa calorem. Esse apud Hammonis fanum fons luce diurna frigidus et calidus nocturno tempore fertur. hunc homines fontem nimis admirantur et acri sole putant subter terras fervescere partim, nox ubi terribili terras caligine texit. quod nimis a verast longe ratione gli intrecci e le forme degli elementi. Molte cose dannose passano attraverso le orecchie, molte rovinose e scabre a toccarsi s'insinuano per le stesse nari, né sono poche quelle che devono essere evitate dal tatto e fuggite dalla vista e che sono sgradevoli al gusto. Poi, si può vedere quante cose cagionino all'uomo un senso aspramente increscioso e siano nauseanti e perniciose. In primo luogo è propria di certi alberi un'ombra tanto perniciosa che sovente causano dolori al capo, se qualcuno si è coricato ai loro piedi, disteso nell'erba. C'è anche, sui grandi monti dell'Elicona, un albero che col ributtante odore del suo fiore suole uccidere un uomo. Senza dubbio tutte queste cose sorgono dal suolo per la ragione che molti semi di molte cose in molti modi frammisti contiene la terra e separati li distribuisce. E nottetempo una lampada spenta da poco, quando con l'acre puzzo offende le nari, in quel punto stesso assopisce chi per malattia è solito stramazzare ed emettere schiuma. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (47 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI remotum. quippe ubi sol nudum contractans corpus aquai non quierit calidum supera de reddere parte, cum superum lumen tanto fervore fruatur, qui queat hic supter tam crasso corpore terram perquoquere umorem et calido focilare vapore? praesertim cum vix possit per saepta domorum insinuare suum radiis ardentibus aestum. quae ratiost igitur? ni mirum terra magis quod rara tenet circum fontem quam cetera tellus multaque sunt ignis prope semina corpus aquai. hoc ubi roriferis terram nox obruit undis, extemplo penitus frigescit terra coitque. hac ratione fit ut, tam quam compressa manu sit, exprimat in fontem quae semina cumque habet ignis, quae calidum faciunt laticis tactum atque vaporem. inde ubi sol radiis terram dimovit obortus et rare fecit calido miscente vapore, rursus in antiquas redeunt E per il greve castoreo la donna giace assopita e dalle mani tenere le sfugge il nitido lavoro, se ne aspira l'odore nel tempo delle mestruazioni. E molte altre cose dissolvono alle giunture le membra illanguidite, e fanno vacillare l'anima nelle sue sedi. Infine, se a lungo indugi in un bagno caldo quando sei troppo satollo, quanto facilmente avviene che in mezzo alla vasca dell'acqua bollente sovente tu crolli! E i grevi vapori e l'odore dei carboni quanto facilmente s'insinuano nel cervello, se non li abbiamo prevenuti bevendo prima acqua! E quando ci ha invasi la febbre ardente che spossa le membra, allora l'odore del vino fa l'effetto di un colpo mortale. Non vedi anche dentro la terra stessa formarsi lo zolfo e rappigliarsi il bitume dall'odore nauseante, e ancora, dove gli uomini seguono vene d'argento e d'oro, frugando a fondo col ferro i recessi della terra, quali odori emani Scaptensula dal sottosuolo? E quali miasmi talora esalano le miniere d'oro! http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (48 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI primordia sedes Come riducono le facce degli ignis et in terram cedit calor omnis uomini e come i colori! aquai. Non vedi o non senti dire come frigidus hanc ob rem fit fons in sogliano morire luce diurna. in breve tempo e come manchino praeterea solis radiis iactatur di forza vitale quelli aquai che la grande potenza della umor et in lucem tremulo rarescit necessità costringe a tale fatica? ab aestu; La terra dunque esala tutte queste propterea fit uti quae semina esalazioni cumque habet ignis e le emana fuori all'aperto e nei dimittat; quasi saepe gelum, quod liberi spazi del cielo. continet in se, Così anche i luoghi Averni devono mittit et exsolvit glaciem mandar su un vapore nodosque relaxat. mortale per gli uccelli, che dalla Frigidus est etiam fons, supra terra si leva nell'aria, quem sita saepe sì che per un certo tratto avvelena stuppa iacit flammam concepto la distesa del cielo; protinus igni, e appena l'uccello vi è giunto taedaque consimili ratione accensa portato dalle ali, per undas viene impedito in quel punto, conlucet, quo cumque natans ghermito dall'occulto veleno, impellitur auris. sì che cade a piombo sul luogo per ni mirum quia sunt in aqua cui spira l'esalazione. permulta vaporis Quando vi è precipitato, lì la semina de terraque necessest stessa forza di quell'esalazione funditus ipsa rapisce da tutte le membra gli ignis corpora per totum ultimi resti di vita. consurgere fontem Infatti, dapprima provoca quasi et simul exspirare foras exireque una specie di vertigine; in auras, poi avviene che, quando ormai gli non ita multa tamen, calidus queat uccelli son caduti ut fieri fons; nelle fonti stesse del veleno, lì praeterea dispersa foras erumpere debbano anche vomitare la vita, cogit perché grande abbondanza di vis per aquam subito sursumque elementi malefici li attornia. ea conciliari. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (49 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI Avviene anche talora che questa quod genus endo marist Aradi forza e le esalazioni d'Averno fons, dulcis aquai scaccino l'aria, quanta se ne trova qui scatit et salsas circum se fra gli uccelli e il suolo, dimovet undas; et multis aliis praebet regionibus sì che in quel tratto resta un luogo quasi vuoto. aequor utilitatem opportunam sitientibus E, quando gli uccelli volando sono giunti dritti su quel luogo, nautis, quod dulcis inter salsas intervomit sùbito barcolla il sostegno delle penne reso vano undas. e tutto lo sforzo delle ali dall'un sic igitur per eum possunt lato e dall'altro è frustrato. erumpere fontem A quel punto, quando non possono et scatere illa foras; in stuppam poggiare e reggersi sulle ali, semina quae cum si capisce che la natura li costringa conveniunt aut in taedai corpore a cadere in terra per il peso adhaerent, e che essi, abbattendosi per lo ardescunt facile extemplo, quia spazio ormai quasi vuoto, multa quoque in se esalino le loro anime per tutti i semina habent ignis stuppae meati del corpo. taedaeque tenentes. Più fredda, inoltre, diventa l'acqua nonne vides etiam, nocturna ad nei pozzi d'estate, lumina linum perché la terra si fa porosa per il nuper ubi extinctum admoveas, calore e, se per caso accendier ante quam tetigit flammam, taedamque racchiude semi di caldo suoi propri, li sprigiona nell'aria. pari ratione? Quanto più, dunque, la terra è multaque praeterea prius ipso esausta per il calore, tacta vapore eminus ardescunt quam comminus tanto più fredda diventa l'acqua che è nascosta nella terra. imbuat ignis. hoc igitur fieri quoque in illo fonte Quando dal freddo poi tutta la terra è premuta, e si contrae putandumst. Quod super est, agere incipiam e si rappiglia, naturalmente avviene che nel contrarsi quo foedere fiat naturae, lapis hic ut ferrum ducere sprema nei pozzi ogni calore che ha in sé stessa. possit, Presso il tempio di Ammone, così http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (50 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI quem Magneta vocant patrio de nomine Grai, Magnetum quia sit patriis in finibus ortus. hunc homines lapidem mirantur; quippe catenam saepe ex anellis reddit pendentibus ex se. quinque etenim licet inter dum pluresque videre ordine demisso levibus iactarier auris, unus ubi ex uno dependet supter adhaerens ex alioque alius lapidis vim vinclaque noscit; usque adeo permananter vis pervalet eius. Hoc genus in rebus firmandumst multa prius quam ipsius rei rationem reddere possis, et nimium longis ambagibus est adeundum; quo magis attentas auris animumque reposco. Principio omnibus ab rebus, quas cumque videmus, perpetuo fluere ac mitti spargique necessest corpora quae feriant oculos visumque lacessant. perpetuoque fluunt certis ab rebus odores; frigus ut [a] fluviis, calor a sole, aestus ab undis aequoris, exesor moerorum, litora propter; dicono, si trova una fonte che è fredda nella luce del giorno e calda durante la notte. Di questa fonte gli uomini troppo si stupiscono, e alcuni credono che bolla per l'ardere violento del sole al disotto della terra, quando la notte ha ricoperto la terra di oscurità spaventosa. Ma questo è troppo remoto dalla verità. E difatti, se il sole, tastando il nudo corpo dell'acqua, non ha potuto renderlo caldo dalla parte di sopra, sebbene in cielo la sua luce goda di tanto ardore, come potrebbe esso da sotto la terra, che ha corpo tanto fitto, riscaldare l'acqua e di ardente calore farla satura? E questo quando a mala pena esso può per i muri delle case insinuare coi raggi ardenti le sue vampe. Qual è dunque la spiegazione? Senza dubbio è questa: la terra che sta intorno alla fonte si stende più rada che il restante suolo, e ci son molti semi di fuoco vicino al corpo dell'acqua. Perciò, quando la notte ha coperto la terra d'onde stillanti rugiada, sùbito nelle sue profondità si raffredda la terra e si contrae. Così avviene che essa, come se http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (51 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI nec varii cessant sonitus manare per auras; denique in os salsi venit umor saepe saporis, cum mare versamur propter, dilutaque contra cum tuimur misceri absinthia, tangit amaror. usque adeo omnibus ab rebus res quaeque fluenter fertur et in cunctas dimittitur undique partis nec mora nec requies interdatur ulla fluendi, perpetuo quoniam sentimus et omnia semper cernere odorari licet et sentire sonare. Nunc omnis repetam quam raro corpore sint res commemorare; quod in primo quoque carmine claret. quippe etenim, quamquam multas hoc pertinet ad res noscere, cum primis hanc ad rem protinus ipsam, qua de disserere adgredior, firmare necessest nil esse in promptu nisi mixtum corpus inani. principio fit ut in speluncis saxa superna sudent umore et guttis manantibus stillent. manat item nobis e toto corpore sudor, fosse compressa da una mano, sprema nella fonte tutti i semi di fuoco che racchiude, e questi fanno caldo il contatto dell'acqua e il suo vapore. Poi, quando il sole sorgendo ha disserrato coi raggi la terra e l'ha diradata mescendovi ardente calore, di nuovo ritornano nelle antiche sedi gli elementi del fuoco, e tutto il calore dell'acqua si ritrae nella terra. Per questo la fonte diventa fredda nella luce del giorno. Inoltre, l'acqua della fonte è battuta dai raggi del sole e, avanzando la luce, si fa rada per effetto della tremula vampa; per questo avviene che lasci andare tutti i semi di fuoco che racchiude; come spesso emette il gelo che contiene in sé, e scioglie il ghiaccio e ne allenta i nodi. C'è anche una fonte fredda, su cui spesso la stoppa tenuta sospesa prende fuoco d'un tratto e fiammeggia, e una fiaccola similmente s'accende sopra le onde e risplende, dovunque, mentre nuota, è sospinta dai venti. Indubbiamente perché ci sono nell'acqua moltissimi semi di fuoco, e dalle profondità della terra stessa corpi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (52 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI crescit barba pilique per omnia membra, per artus. diditur in venas cibus omnis, auget alitque corporis extremas quoque partis unguiculosque. frigus item transire per aes calidumque vaporem sentimus, sentimus item transire per aurum atque per argentum, cum pocula plena tenemus. denique per dissaepta domorum saxea voces pervolitant, permanat odor frigusque vaposque ignis, qui ferri quoque vim penetrare sueëvit, denique qua circum caeli lorica coeërcet, morbida visque simul, cum extrinsecus insinuatur; et tempestate in terra caeloque coorta in caelum terrasque remotae iure facessunt; quandoquidem nihil est nisi raro corpore nexum. Huc accedit uti non omnia, quae iaciuntur corpora cumque ab rebus, eodem praedita sensu atque eodem pacto rebus sint omnibus apta. principio terram sol excoquit et facit are, at glaciem dissolvit et altis di fuoco devono sorgere attraversando tutta la fonte e insieme spirar fuori ed uscire all'aperto, tuttavia non così numerosi che la fonte si possa scaldare. Inoltre, una forza li costringe a erompere fuori d'un tratto sparsi qua e là per l'acqua e ad aggregarsi in alto. Similmente, in mezzo al mare, presso Arado, c'è una fonte che scaturisce con acqua dolce e intorno a sé scosta le onde salate; e in molti altri luoghi il mare offre un ausilio opportuno ai naviganti assetati, perché fra le onde salate fa sgorgare acque dolci. Così, dunque, per quella fonte possono erompere e scaturire fuori i semi di fuoco; e quando vengono a unirsi nella stoppa o aderiscono al corpo della fiaccola, facilmente ardono sùbito, perché la stoppa e le fiaccole anch'esse hanno in sé e contengono molti semi di fuoco. Non vedi anche, quando avvicini a notturne lampade un lucignolo allora allora spento, come s'accenda prima di toccare la fiamma, e come con una fiaccola accada lo stesso? E molte cose inoltre, toccate dal http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (53 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI montibus altas extructas[que] nives radiis tabescere cogit; denique cera lique fit in eius posta vapore. ignis item liquidum facit aes aurumque resolvit, at coria et carnem trahit et conducit in unum. umor aquae porro ferrum condurat ab igni, at coria et carnem mollit durata calore. barbigeras oleaster eo iuvat usque capellas, effluat ambrosias quasi vero et nectare tinctus; qua nihil est homini quod amarius fronde ac[ida] extet. denique amaracinum fugitat sus et timet omne unguentum; nam saetigeris subus acre venenumst; quod nos inter dum tam quam recreare videtur. at contra nobis caenum taeterrima cum sit spurcities, eadem subus haec iucunda videtur, insatiabiliter toti ut volvantur ibidem. Hoc etiam super est, ipsa quam dicere de re adgredior, quod dicendum prius esse videtur. multa foramina cum variis sint solo calore, divampano a distanza, prima che il fuoco da presso le pervada. Questo, dunque, si deve pensare accada anche in quella fonte. Proseguendo, prenderò a dire per quale legge di natura accada che il ferro possa essere attirato da quella pietra che i Greci chiamano magnete dal nome della patria, perché ha origine nel patrio territorio dei Magneti. Questa pietra è per gli uomini oggetto di meraviglia, perché spesso forma una catena di anellini che pendon da essa. Cinque infatti, e più, è possibile talora vedere in fila discendente oscillare ai lievi soffi dell'aria, dove ognuno pende da un altro aderendo di sotto, e l'uno conosce dall'altro il potere avvincente della pietra: in modo tanto penetrante il suo potere si propaga. In cose di questo genere molti punti devono essere accertati prima che tu possa spiegare la cosa stessa, e con lunghissimi giri ci si deve appressare; perciò più attente le orecchie e la mente richiedo. Anzitutto da tutte le cose, quante ne vediamo, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (54 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI reddita rebus, continuamente devono fluire ed dissimili inter se natura praedita essere emessi e diffusi debent corpi che feriscano gli occhi e esse et habere suam naturam provochino il vedere. quaeque viasque. E continuamente fluiscono da quippe etenim varii sensus certe cose gli odori; animantibus insunt, come il fresco ‹dai› fiumi, il calore quorum quisque suam proprie rem dal sole, dalle onde percipit in se; del mare l'esalazione che corrode i nam penetrare alio sonitus alioque muri presso le spiagge. saporem Né cessano vari suoni di trasvolare cernimus e sucis, alio nidoris per l'aria. odores. Ancora, spesso entra in bocca [scilicet id fieri cogit natura viarum umidità di sapore salmastro, multimodis varians, ut paulo quando camminiamo lungo il ostendimus ante.] mare; e, d'altra parte, praeterea manare aliud per saxa quando guardiamo mescere infusi videtur, d'assenzio, ci punge l'amaro. atque aliud lignis, aliud transire Tanto è vero che da tutte le cose per aurum, emanazioni d'ogni specie argentoque foras aliud vitroque fluendo si distaccano e da ogni meare; parte si diffondono in tutte nam fluere hac species, illac calor le direzioni, né sosta, né requie è ire videtur, mai dato frapporre al fluire, atque aliis aliud citius transmittere poiché di continuo i nostri sensi ne eadem. sono impressionati, e sempre scilicet id fieri cogit natura viarum possiamo vedere ogni cosa, multimodis varians, ut paulo percepirne l'odore e sentirne il ostendimus ante, suono. propter dissimilem naturam Ora tornerò a ricordare come tutte textaque rerum. le cose abbiano corpo Qua propter, bene ubi haec poroso; ciò che anche al principio confirmata atque locata del mio canto appare chiaro. omnia constiterint nobis praeposta E in verità, benché il conoscere parata, questo sia importante quod super est, facile hinc ratio per molte cose, in primo luogo per reddetur et omnis http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (55 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI causa pate fiet, quae ferri pelliciat vim. Principio fluere e lapide hoc permulta necessest semina sive aestum, qui discutit aeëra plagis, inter qui lapidem ferrumque est cumque locatus. hoc ubi inanitur spatium multusque vace fit in medio locus, extemplo primordia ferri in vacuum prolapsa cadunt coniuncta, fit utque anulus ipse sequatur eatque ita corpore toto. nec res ulla magis primoribus ex elementis indupedita suis arte conexa cohaeret quam validi ferri natura et frigidus horror. quo minus est mirum, quod dicitur esse alienum, corpora si nequeunt e ferro plura coorta in vacuum ferri, quin anulus ipse sequatur; quod facit et sequitur, donec pervenit ad ipsum iam lapidem caecisque in eo compagibus haesit. hoc fit idem cunctas in partis; unde vace fit cumque locus, sive e transverso sive superne, questa cosa stessa, di cui m'appresto a discorrere, è necessario senz'altro accertare che nulla è percepibile che non sia materia mista col vuoto. Anzitutto, avviene che nelle spelonche le rocce di sopra trasudino umidità e stillino gocce trapelanti. Similmente da tutto il nostro corpo traspira il sudore, crescono la barba e i peli per tutte le membra, per gli arti. Il cibo si spande in tutte le vene, accresce e alimenta anche le estreme parti del corpo e le unghie. Così sentiamo il freddo e l'ardente calore passare attraverso il bronzo, così li sentiamo passare attraverso l'oro e attraverso l'argento, quando teniamo nelle mani coppe piene. Ancora, le voci attraversano a volo le pareti di pietra delle case, passano per esse l'odore e il freddo e il calore del fuoco, che suole penetrare anche il robusto ferro. Ancora, dove la corazza del cielo cinge dintorno * e insieme la forza della malattia, quando s'insinua dall'esterno; e le tempeste sorte dalla terra e dal cielo, naturalmente, quando si sono allontanate, si http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (56 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI corpora continuo in vacuum vicina feruntur; quippe agitantur enim plagis aliunde nec ipsa sponte sua sursum possunt consurgere in auras. huc accedit item, quare queat id magis esse, haec quoque res adiumento motuque iuvatur, quod, simul a fronte est anelli rarior aeër factus inanitusque locus magis ac vacuatus, continuo fit uti qui post est cumque locatus aeër a tergo quasi provehat atque propellat. semper enim circum positus res verberat aeër; sed tali fit uti propellat tempore ferrum, parte quod ex una spatium vacat et capit in se. hic, tibi quem memoro, per crebra foramina ferri parvas ad partis subtiliter insinuatus trudit et inpellit, quasi navem velaque ventus. denique res omnes debent in corpore habere aeëra, quandoquidem raro sunt corpore et aeër omnibus est rebus circum datus adpositusque. hic igitur, penitus qui in ferrost ritirano nel cielo e nella terra; giacché non c'è composto che non abbia poroso il corpo. A ciò s'aggiunge che i corpi che sono comunque emessi dalle cose, non hanno tutti il medesimo effetto, né nel medesimo modo sono adatti a tutte le cose. Anzitutto, il sole brucia e dissecca la terra, ma scioglie il ghiaccio e sopra gli alti monti coi raggi fa che si squaglino le nevi accumulate in alti mucchi. Ancora, la cera si liquefà, se viene esposta al suo calore. Similmente il fuoco rende liquido il bronzo e fonde l'oro, ma contrae e restringe il cuoio e la carne. Inoltre, l'acqua indurisce il ferro uscito dal fuoco, ma ammorbidisce il cuoio e la carne induriti dal calore. Alle barbute caprette piace tanto l'oleastro, come se proprio spirasse ambrosia e fosse impregnato di nettare; mentre per l'uomo non c'è nulla che sia più amaro di questa fronda. Ancora, il maiale fugge la maggiorana e teme ogni unguento: difatti per i setolosi maiali sono violenti veleni, mentre pare che a noi talora quasi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (57 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI rinnovino la vita. abditus aeër, Ma all'opposto, mentre per noi il sollicito motu semper iactatur fango è ripugnantissimo eoque verberat anellum dubio procul et lordume, questo stesso sembra gradevole ai maiali, ciet intus, sì che insaziabilmente da capo a scilicet illo eodem fertur, quo piedi si voltolano lì dentro. praecipitavit Un'altra cosa ancora rimane, che iam semel et partem in vacuam pare da dirsi conamina sumpsit. Fit quoque ut a lapide hoc ferri prima che io prenda a dire del fatto in questione. natura recedat Poiché le varie cose sono dotate di inter dum, fugere atque sequi molti pori, consueta vicissim. exultare etiam Samothracia ferrea questi devono possedere nature dissimili fra loro vidi et ramenta simul ferri furere intus ed avere ciascuno una propria forma e propri condotti. ahenis in scaphiis, lapis hic Magnes cum Difatti negli esseri viventi ci sono vari sensi, ognuno dei quali subditus esset; usque adeo fugere a saxo gestire accoglie in sé il proprio oggetto in un modo suo proprio. videtur. Invero vediamo che in una parte aere interposito discordia tanta penetrano i suoni e in un'altra creatur il sapore dei succhi, in un'altra gli propterea quia ni mirum prius odori esalanti dai cibi cucinati. aestus ubi aeris Inoltre si vede che una cosa praecepit ferrique vias possedit attraversa le pietre apertas, e un'altra il legno, un'altra passa posterior lapidis venit aestus et per l'oro omnia plena e un'altra esce per i meati invenit in ferro neque habet qua dell'argento e del vetro. tranet ut ante; cogitur offensare igitur pulsareque Si vede infatti fluire di qua l'immagine, di là passare il calore, fluctu ferrea texta suo; quo pacto respuit e una cosa più celermente delle altre traversare lo stesso luogo. ab se atque per aes agitat, sine eo quod È chiaro che ciò avviene per effetto della natura dei condotti, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (58 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI saepe resorbet. che, come ho mostrato poc'anzi, Illud in his rebus mirari mitte, varia in molti modi, quod aestus a causa della dissimile natura e non valet e lapide hoc alias struttura delle cose. impellere item res. Dunque, quando questi principi, pondere enim fretae partim stant, ben confermati e stabiliti, quod genus aurum; ci staranno tutti davanti alla at partim raro quia sunt cum mente, pronti, corpore, ut aestus per il resto facilmente da essi sarà pervolet intactus, nequeunt tratta la spiegazione inpellier usquam, e così sarà palesata intera la lignea materies in quo genere esse causa che attira la forza del ferro. videtur. Anzitutto, da questa pietra devono interutrasque igitur ferri natura fluire moltissimi semi locata o una corrente, che con gli urti aeris ubi accepit quaedam disperde corpuscula, tum fit, tutta l'aria che è posta fra la pietra inpellant ut eo Magnesia flumine e il ferro. saxa. Quando questo spazio si svuota ed nec tamen haec ita sunt aliarum in mezzo si sgombra rerum aliena, un'ampia zona, sùbito gli atomi ut mihi multa parum genere ex del ferro hoc suppeditentur, corrono in avanti e cadono nel quae memorare queam inter se vuoto, congiunti, e avviene singlariter apta. che l'anello stesso li segua ed saxa vides primum sola colescere avanzi così con tutto il corpo. calce. Né c'è alcuna cosa che sia più glutine materies taurino iungitur intrecciata una, nei suoi primi elementi e per ut vitio venae tabularum saepius stretta coesione più compatta hiscant che la natura del robusto ferro e la quam laxare queant compages sua fredda ruvidezza. taurea vincla. Perciò non fa meraviglia † ...... † vitigeni latices aquai fontibus se i corpi, che in gran numero audent sono insieme usciti dal ferro, misceri, cum pix nequeat gravis et non possono correre nel vuoto leve olivom. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (59 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI purpureusque colos conchyli iungitur uno corpore cum lanae, dirimi qui non queat usquam, non si Neptuni fluctu renovare operam des, non mare si totum velit eluere omnibus undis. denique res auro non aurum copulat una, aerique [aes] plumbo fit uti iungatur ab albo? cetera iam quam multa licet reperire! quid ergo? nec tibi tam longis opus est ambagibus usquam nec me tam multam hic operam consumere par est, sed breviter paucis praestat comprendere multa. quorum ita texturae ceciderunt mutua contra, ut cava conveniant plenis haec illius illa huiusque inter se, iunctura haec optima constat. est etiam, quasi ut anellis hamisque plicata inter se quaedam possint coplata teneri; quod magis in lapide hoc fieri ferroque videtur. Nunc ratio quae sit morbis aut unde repente mortiferam possit cladem conflare coorta senza che l'anello stesso li segua; e questo esso fa, e li segue, finché raggiunge alfine la pietra stessa e aderisce ad essa con legami invisibili. La stessa cosa avviene in tutte le direzioni: da qualunque lato lo spazio si vuoti, sia di traverso sia di sopra, sùbito i corpi vicini si precipitano nel vuoto; giacché li muovono gli urti dal lato opposto, né essi possono da sé, spontaneamente, levarsi in alto, nell'aria. Inoltre vi s'aggiunge, perché ciò possa meglio avvenire, anche un'altra cosa, che aiuta, e il moto ne è avvantaggiato: appena di fronte all'anello l'aria è diventata più rada e il luogo è più libero e vuoto, sùbito avviene che tutta l'aria che è posta dietro l'anello quasi lo cacci da tergo e lo spinga innanzi. Sempre infatti l'aria sferza le cose che circonda; ma in tale circostanza avviene che spinga il ferro innanzi, perché da un solo lato lo spazio è vuoto e lo accoglie in sé. Quest'aria di cui parlo, per i fitti pori del ferro sottilmente insinuandosi fino alle parti minute, lo batte e lo spinge, come vento http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (60 of 75) [07/08/2003 21.46.56] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI morbida vis hominum generi pecudumque catervis, expediam, primum multarum semina rerum esse supra docui quae sint vitalia nobis, et contra quae sint morbo mortique necessest multa volare; ea cum casu sunt forte coorta et perturbarunt caelum, fit morbidus aeër. atque ea vis omnis morborum pestilitasque aut extrinsecus ut nubes nebulaeque superne per caelum veniunt aut ipsa saepe coorta de terra surgunt, ubi putorem umida nactast intempestivis pluviisque et solibus icta. nonne vides etiam caeli novitate et aquarum temptari procul a patria qui cumque domoque adveniunt ideo quia longe discrepitant res? nam quid Brittannis caelum differre putamus, et quod in Aegypto est, qua mundi claudicat axis, quidve quod in Ponto est differre et Gadibus atque usque ad nigra virum percocto saecla colore? quae cum quattuor inter se che spinga nave e vele. Infine, tutte le cose devono nel corpo racchiudere aria, perché sono di corpo poroso, e l'aria a tutte le cose sta intorno ed accosto. Quest'aria, dunque, che addentro sta nascosta nel ferro, sempre è agitata da moto senza tregua, e così sferza, senza dubbio, l'anellino e lo spinge dall'interno; e questo certo va nella stessa direzione in cui già una volta s'è precipitato e nella zona vuota verso cui ha preso lo slancio. Avviene pure che da questa pietra talvolta la natura del ferro si discosti, usando fuggirla e seguirla a vicenda. Ho visto inoltre saltar su ferrei anelli di Samotracia ed insieme infuriare limatura di ferro dentro bacini di bronzo, sotto cui era stata messa questa pietra di Magnesia: tanto il ferro appare smanioso di fuggir via dalla pietra. Se il bronzo è interposto, si crea una discordia tanto grande perché, evidentemente, quando l'emanazione del bronzo ha prima raggiunto e occupato gli aperti condotti del ferro, l'emanazione della pietra arriva http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (61 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI diversa videmus quattuor a ventis et caeli partibus esse, tum color et facies hominum distare videntur largiter et morbi generatim saecla tenere. est elephas morbus qui propter flumina Nili gignitur Aegypto in media neque praeterea usquam. Atthide temptantur gressus oculique in Achaeis finibus. inde aliis alius locus est inimicus partibus ac membris; varius concinnat id aeër. proinde ubi se caelum, quod nobis forte alienum, commovet atque aeër inimicus serpere coepit, ut nebula ac nubes paulatim repit et omne qua graditur conturbat et immutare coactat, fit quoque ut, in nostrum cum venit denique caelum, corrumpat reddatque sui simile atque alienum. haec igitur subito clades nova pestilitasque aut in aquas cadit aut fruges persidit in ipsas aut alios hominum pastus pecudumque cibatus, aut etiam suspensa manet vis seconda, e tutto trova pieno nel ferro, e non ha luogo per cui possa passare come prima; è quindi costretta a urtare e battere con la sua onda gl'intrecci del ferro; così respinge da sé e agita attraverso il bronzo quel che, senza questo, di solito attira. A questo proposito, cessa di stupirti di ciò: che la corrente di questa pietra non ha la forza di muover parimenti altre cose. Giacché alcune stan ferme in virtù del proprio peso: tale è l'oro; altre invece, poiché hanno corpo poroso, sì che la corrente vi passa a volo intatta, non possono esser spinte in alcun luogo: di questa specie è evidentemente la materia del legno. La natura del ferro, dunque, è intermedia e, quando ha accolto in sé certi corpuscoli di bronzo, allora avviene che le pietre di Magnesia la muovano con la loro corrente. Né tuttavia questi fenomeni son tanto estranei ad altre cose che solo ben poche cose di questa specie io trovi tali da poterle menzionare come connesse esclusivamente fra loro. In primo luogo, vedi che le pietre si legano soltanto con la calce. Dalla colla di toro il legname è http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (62 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI aeëre in ipso et, cum spirantes mixtas hinc ducimus auras, illa quoque in corpus pariter sorbere necessest. consimili ratione venit bubus quoque saepe pestilitas et iam pigris balantibus aegror. nec refert utrum nos in loca deveniamus nobis adversa et caeli mutemus amictum, an caelum nobis ultro natura corumptum deferat aut aliquid quo non consuevimus uti, quod nos adventu possit temptare recenti. Haec ratio quondam morborum et mortifer aestus finibus in Cecropis funestos reddidit agros vastavitque vias, exhausit civibus urbem. nam penitus veniens Aegypti finibus ortus, aeëra permensus multum camposque natantis, incubuit tandem populo Pandionis omni. inde catervatim morbo mortique dabantur. principio caput incensum fervore gerebant et duplicis oculos suffusa luce rubentes. congiunto insieme in tal modo che spesso le venature delle tavole si schiantano per un difetto prima che i legami della colla taurina possano allentare la stretta. Il succo nato dalla vite è pronto a mischiarsi con fonti d'acqua, mentre non possono far questo la greve pece e l'olio lieve. E il purpureo colore della conchiglia si congiunge insieme col corpo della lana, sì che non può esser diviso in alcun modo, neppure se col flutto di Nettuno t'adopri a ripristinarla, neppure se l'intero mare voglia detergerla con tutte le onde. Infine, non è una sola la cosa che unisce l'oro all'oro, e non è vero che al bronzo ‹il bronzo› è unito solo dallo stagno? Quanti altri casi ancora potremmo trovare! Ma a che pro? Né tu hai alcun bisogno di tanto lunghe ambagi, né a me conviene spendere qui tanta fatica, ma è meglio brevemente abbracciare molte cose con poche parole: quei corpi i cui intrecci son capitati in reciproco riscontro, sì che i vuoti di questo corrispondono ai pieni di quello, e i vuoti di quello ai pieni di questo, fanno l'unione migliore. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (63 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI sudabant etiam fauces intrinsecus atrae sanguine et ulceribus vocis via saepta coibat atque animi interpres manabat lingua cruore debilitata malis, motu gravis, aspera tactu. inde ubi per fauces pectus complerat et ipsum morbida vis in cor maestum confluxerat aegris, omnia tum vero vitai claustra lababant. spiritus ore foras taetrum volvebat odorem, rancida quo perolent proiecta cadavera ritu. atque animi prorsum [tum] vires totius, omne languebat corpus leti iam limine in ipso. intolerabilibusque malis erat anxius angor adsidue comes et gemitu commixta querella, singultusque frequens noctem per saepe diemque corripere adsidue nervos et membra coactans dissoluebat eos, defessos ante, fatigans. nec nimio cuiquam posses ardore tueri corporis in summo summam fervescere partem, Accade pure che certi corpi possano tenersi congiunti fra loro come se fossero intrecciati per mezzo di anellini e di uncini: tale appare piuttosto il caso di questa pietra e del ferro. Ora spiegherò quale sia la causa delle malattie e donde la forza maligna possa sorgere d'un tratto e arrecare esiziale strage alla stirpe degli uomini e alle torme degli animali. Anzitutto, sopra ho insegnato che esistono semi di molte cose che per noi sono vitali, e per contro è necessario che ne volino molti altri che causano malattia e morte. Quand'essi per casuale incontro si son raccolti e han perturbato il cielo, l'aria si fa malsana. E tutta quella forza di malattie e la pestilenza, o vengono dall'esterno, attraversando nell'alto il cielo come le nuvole e le nebbie, o spesso si raccolgono e sorgono dalla terra stessa, quando essa, pregna di umidità, è diventata putrida sotto i colpi di piogge e di soli eccessivi. Non vedi pure che dalla novità del cielo e delle acque sono provati quanti giungono in un luogo lontano dalla patria e dalla casa, perché grande è la http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (64 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI sed potius tepidum manibus proponere tactum et simul ulceribus quasi inustis omne rubere corpus, ut est per membra sacer dum diditur ignis. intima pars hominum vero flagrabat ad ossa, flagrabat stomacho flamma ut fornacibus intus. nil adeo posses cuiquam leve tenveque membris vertere in utilitatem, at ventum et frigora semper. in fluvios partim gelidos ardentia morbo membra dabant nudum iacientes corpus in undas. multi praecipites nymphis putealibus alte inciderunt ipso venientes ore patente: insedabiliter sitis arida corpora mersans aequabat multum parvis umoribus imbrem. nec requies erat ulla mali: defessa iacebant corpora. mussabat tacito medicina timore, quippe patentia cum totiens ardentia morbis lumina versarent oculorum expertia somno. multaque praeterea mortis tum signa dabantur: perturbata animi mens in maerore discrepanza delle cose? Infatti, che differenza pensiamo ci sia fra il clima dei Britanni e quello che c'è in Egitto, dove l'asse del mondo s'abbassa? O che differenza fra il clima che c'è nel Ponto e quello che va da Cadice fino alle nere stirpi d'uomini dal colore bruciato? E come vediamo che questi quattro climi dalle parti dei quattro venti e delle regioni del cielo son diversi fra loro, così si vede che il colore e la faccia degli uomini differiscono largamente e le malattie s'attaccano ai viventi secondo le razze. C'è l'elefantiasi, che nasce presso il corso del Nilo, nel cuore dell'Egitto, e in nessun altro luogo. Nell'Attica sono colpiti i piedi, e nel territorio acheo gli occhi. Altri luoghi poi sono nemici ad altre parti e membra: di ciò è causa il variare dell'aria. Perciò quando una zona di cielo, che per caso ci sia avversa, si mette in agitazione e un'aria malefica comincia a spargersi, come una nebbia e una nuvola a poco a poco s'insinua e, dovunque s'avanzi, tutto perturba e forza a trasformarsi; http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (65 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI avviene pure che, quando arriva metuque, triste supercilium, furiosus voltus alfine al nostro cielo, lo corrompa e lo renda a sé simile et acer, e a noi avverso. sollicitae porro plenaeque E così, sùbito questa nuova specie sonoribus aures, creber spiritus aut ingens raroque di rovina e di pestilenza o si abbatte sulle acque o penetra coortus, persino nelle messi sudorisque madens per collum o in altri cibi degli uomini e nelle splendidus umor, pasture del bestiame, tenvia sputa minuta, croci o anche rimane sospesa nell'aria contacta colore stessa la sua forza, salsaque per fauces rauca vix e, quando respirando ne edita tussi. immettiamo in noi gli aliti in manibus vero nervi trahere et contaminati, tremere artus a pedibusque minutatim succedere dobbiamo insieme assorbire nel corpo quegli elementi maligni. frigus non dubitabat. item ad supremum In simile modo la pestilenza raggiunge spesso anche i buoi, denique tempus e la malattia si estende ai tardi conpressae nares, nasi primoris greggi belanti. acumen tenve, cavati oculi, cava tempora, Né importa se noi stessi andiamo in luoghi a noi avversi frigida pellis duraque in ore, iacens rictu, frons e passiamo sotto il mantello di un altro cielo, tenta manebat. nec nimio rigida post artus morte o la natura spontaneamente porta a noi un cielo corrotto iacebant. o qualcosa con cui non siamo octavoque fere candenti lumine avvezzi ad aver contatto, solis che può colpirci con l'arrivare aut etiam nona reddebant improvviso. lampade vitam. Tale causa di malattie e mortifera quorum siquis, ut est, vitarat emanazione, un tempo, funera leti, ulceribus taetris et nigra proluvie nel paese di Cecrope, rese funerei i campi alvi e spopolò le strade, svuotò di posterius tamen hunc tabes cittadini la città. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (66 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI letumque manebat, aut etiam multus capitis cum saepe dolore corruptus sanguis expletis naribus ibat. huc hominis totae vires corpusque fluebat. profluvium porro qui taetri sanguinis acre exierat, tamen in nervos huic morbus et artus ibat et in partis genitalis corporis ipsas. et graviter partim metuentes limina leti vivebant ferro privati parte virili, et manibus sine non nulli pedibusque manebant in vita tamen et perdebant lumina partim. usque adeo mortis metus iis incesserat acer. atque etiam quosdam cepere oblivia rerum cunctarum, neque se possent cognoscere ut ipsi. multaque humi cum inhumata iacerent corpora supra corporibus, tamen alituum genus atque ferarum aut procul absiliebat, ut acrem exiret odorem, aut, ubi gustarat, languebat morte propinqua. nec tamen omnino temere illis solibus ulla comparebat avis, nec tristia saecla Venendo infatti dal fondo della terra d'Egitto, ove era nato, dopo aver percorso molta aria e distese fluttuanti, piombò alfine su tutto il popolo di Pandione. Allora, a torme eran preda della malattia e della morte. Dapprima avevano il capo in fiamme per il calore e soffusi di un luccichìo rossastro ambedue gli occhi. La gola, inoltre, nell'interno nera, sudava sangue, e occluso dalle ulcere il passaggio della voce si serrava, e l'interprete dell'animo, la lingua, stillava gocce di sangue, infiacchita dal male, pesante al movimento, scabra al tatto. Poi, quando attraverso la gola la forza della malattia aveva invaso il petto ed era affluita fin dentro il cuore afflitto dei malati, allora davvero vacillavano tutte le barriere della vita. Il fiato che usciva dalla bocca spargeva un puzzo ributtante, simile al fetore che mandano i putridi cadaveri abbandonati. Poi le forze dell'animo intero ‹e› tutto il corpo languivano, già sul limitare stesso della morte. E agli intollerabili mali erano http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (67 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI ferarum exibant silvis. languebant pleraque morbo et moriebantur. cum primis fida canum vis strata viis animam ponebat in omnibus aegre; extorquebat enim vitam vis morbida membris. incomitata rapi certabant funera vasta nec ratio remedii communis certa dabatur; nam quod ali dederat vitalis aeëris auras volvere in ore licere et caeli templa tueri, hoc aliis erat exitio letumque parabat. Illud in his rebus miserandum magnopere unum aerumnabile erat, quod ubi se quisque videbat implicitum morbo, morti damnatus ut esset, deficiens animo maesto cum corde iacebat, funera respectans animam amittebat ibidem. quippe etenim nullo cessabant tempore apisci ex aliis alios avidi contagia morbi, lanigeras tam quam pecudes et bucera saecla, idque vel in primis cumulabat funere funus assidui compagni un'ansiosa angoscia e un lamentarsi commisto con sospiri. E un singhiozzo frequente, che spesso li costringeva notte e giorno a contrarre assiduamente i nervi e le membra, li struggeva aggiungendo travaglio a quello che già prima li aveva spossati. Né avresti notato che per troppo ardore in alcuno bruciasse alla superficie del corpo la parte più esterna, ma questa piuttosto offriva alle mani un tiepido contatto, e insieme tutto il corpo era rosso d'ulcere quasi impresse a fuoco, come accade quando per le membra si diffonde il fuoco sacro. Ma la parte più interna in quegli uomini ardeva fino alle ossa, nello stomaco ardeva una fiamma, come dentro fornaci. Sicché non c'era cosa, benché lieve e tenue, con cui potessi giovare alle membra di alcuno, ma vento e frescura cercavano sempre. Alcuni immergevano nei gelidi fiumi le membra ardenti per la malattia, gettando dentro le onde il corpo nudo. Molti caddero a capofitto nelle acque di pozzi profondi, mentre accorrevano protendendo la bocca spalancata. http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (68 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI nam qui cumque suos fugitabant visere ad aegros, vitai nimium cupidos mortisque timentis poenibat paulo post turpi morte malaque, desertos, opis expertis, incuria mactans. qui fuerant autem praesto, contagibus ibant atque labore, pudor quem tum cogebat obire blandaque lassorum vox mixta voce querellae. optimus hoc leti genus ergo quisque subibat. Praeterea iam pastor et armentarius omnis et robustus item curvi moderator aratri languebat, penitusque casa contrusa iacebant corpora paupertate et morbo dedita morti. exanimis pueris super exanimata parentum corpora non numquam posses retroque videre matribus et patribus natos super edere vitam. nec minimam partem ex agris maeror is in urbem confluxit, languens quem contulit agricolarum copia conveniens ex omni morbida parte. omnia conplebant loca tectaque La sete che li riardeva inestinguibilmente e faceva immergere i corpi, rendeva pari a poche gocce molta acqua. E il male non dava requie: i corpi giacevano stremati. La medicina balbettava in un muto sgomento, mentre quelli tante volte rotavano gli occhi spalancati, ardenti per la malattia, privi di sonno. E molti altri segni di morte si manifestavano allora: la mente sconvolta, immersa nella tristezza e nel timore, le ciglia aggrondate, il viso stravolto e truce, le orecchie, inoltre, tormentate e piene di ronzii, il respiro frequente o grosso e tratto a lunghi intervalli, e stille di sudore lustre lungo il madido collo, sottili sputi minuti, cosparsi di color di croco e salsi, a stento cavati attraverso le fauci da una rauca tosse. Non cessavano, poi, di contrarsi i nervi nelle mani e di tremare gli arti, e di montare su dai piedi a poco a poco il freddo. Così, quando alfine si appressava il momento supremo, erano affilate le narici, http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (69 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI assottigliata e acuta la punta quo magis aestu, del naso, incavati gli occhi, cave le confertos ita acervatim mors tempie, gelida e dura accumulabat. la pelle nel volto, cascante la multa siti prostrata viam per bocca aperta; la fronte rimaneva proque voluta corpora silanos ad aquarum strata tesa. E non molto dopo le membra iacebant giacevano irrigidite dalla morte. interclusa anima nimia ab E generalmente quando raggiava il dulcedine aquarum, sole dell'ottavo giorno, multaque per populi passim loca o anche sotto la luce del nono, prompta viasque languida semanimo cum corpore esalavano la vita. E se taluno d'essi, come accade, membra videres era sfuggito a morte e funerali, horrida paedore et pannis per ulcere orrende e nero flusso di cooperta perire, corporis inluvie, pelli super ossibus ventre più tardi tuttavia lo attendevano una, consunzione e morte; ulceribus taetris prope iam o anche molto sangue corrotto, sordeque sepulta. spesso con dolore di testa, omnia denique sancta deum gli colava dalle narici intasate: qui delubra replerat affluivano corporibus mors exanimis tutte le forze dell'uomo e la onerataque passim sostanza del suo corpo. cuncta cadaveribus caelestum Se poi qualcuno era scampato al templa manebant, terribile profluvio di sangue hospitibus loca quae complerant ributtante, ciò nonostante la aedituentes. nec iam religio divom nec numina malattia gli penetrava nei nervi e negli arti e fin dentro gli organi magni pendebantur enim: praesens dolor genitali. E alcuni, gravemente temendo il exsuperabat. nec mos ille sepulturae remanebat limitare della morte, vivevano dopo essersi mutilati del in urbe, membro virile col ferro; quo prius hic populus semper e taluni, pur senza mani e senza consuerat humari; perturbatus enim totus trepidabat piedi, rimanevano tuttavia in vita, come altri http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (70 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI et unus quisque suum pro re [cognatum] maestus humabat. multaque [res] subita et paupertas horrida suasit; namque suos consanguineos aliena rogorum insuper extructa ingenti clamore locabant subdebantque faces, multo cum sanguine saepe rixantes, potius quam corpora desererentur, inque aliis alium populum sepelire suorum certantes; lacrimis lassi luctuque redibant; inde bonam partem in lectum maerore dabantur; nec poterat quisquam reperiri, quem neque morbus nec mors nec luctus temptaret tempore tali. perdevano gli occhi: tanto si era impadronito di loro un acuto timore della morte. E inoltre un oblio di tutte le cose invase certuni, sicché non potevano riconoscere neppure sé stessi. E benché sulla terra giacessero insepolti mucchi di corpi su corpi, tuttavia gli uccelli e le fiere o fuggivano balzando lontano, per evitare l'acre puzzo, oppure, se li assaggiavano, languivano per morte imminente. E d'altronde in quei giorni non era affatto facile che qualche uccello comparisse, e le stirpi delle fiere, abbattute, non uscivano dalle selve. La maggior parte languiva per la malattia e moriva. Soprattutto la fedele forza dei cani, stesa per tutte le strade, spirava penosamente; ché la forza della malattia strappava la vita dalle membra. Funerali senza corteo, desolati, gareggiavano nell'esser affrettati. Né c'era specie di rimedio che valesse sicuramente per tutti; infatti ciò che ad uno aveva dato la possibilità di continuare a respirare i vitali aliti dell'aria e a contemplare gli spazi http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (71 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI del cielo, ad altri era esiziale e cagionava la morte. Una cosa, in tali frangenti, era miseranda, e molto, sopra ogni altra, penosa: ognuno, quando si vedeva assalito dalla malattia, come se fosse condannato a morte, perdendosi d'animo giaceva col cuore addolorato e, rivolto a visioni funeree, esalava l'anima in quel punto stesso. E infatti il contagio dell'avida malattia non cessava in alcun momento d'attaccarsi dagli uni agli altri, come se fossero lanute pecore e torme di cornuti bovi. E questo soprattutto accumulava morti su morti. Giacché tutti quelli che evitavano di visitare i congiunti malati, mentre troppo bramavano la vita e temevano la morte, li puniva poco dopo con morte turpe e trista, derelitti, privi di soccorso, la micidiale mancanza di cure. Ma quelli che davano aiuto, se ne andavano per il contagio e la fatica, cui allora li costringevano a sobbarcarsi il senso dell'onore e la carezzevole voce dei languenti con mista una voce di pianto. Questo genere di morte http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (72 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI affrontavano, dunque, tutti i migliori * e l'uno sugli altri, gareggiando nel seppellire la folla dei congiunti; tornavano spossati dal pianto e dal cordoglio; poi, in gran parte s'abbandonavano sui letti per l'angoscia. Né si poteva trovare alcuno che la malattia o la morte o il lutto non colpissero in tale frangente. Inoltre languiva ormai ogni pastore e custode di armenti e insieme il robusto guidatore dell'aratro ricurvo; e ammucchiati in fondo ai tuguri giacevano i corpi che povertà e malattia avevano dati in balìa della morte. Su esanimi fanciulli corpi inanimati di genitori avresti potuto talora vedere, e viceversa figli esalare la vita su madri e padri. E in non minima parte dai campi quell'afflizione confluì nella città: la portò la languente folla dei campagnoli, che colpita dalla malattia conveniva da ogni parte. Riempivano tutti i luoghi e le case: tanto più, quindi, nell'arsura così ammassati la http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (73 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI morte a caterve li accatastava. Molti corpi prostrati dalla sete per via e stramazzati presso le fontane giacevano distesi, col respiro strozzato dal troppo deliziarsi d'acqua; e in gran numero avresti potuto vedere, per i luoghi aperti al popolo, qua e là, e per le vie, membra languide nel corpo mezzo morto, orride per lo squallore e coperte di stracci, perire nella sozzura del corpo, con sulle ossa la sola pelle, ormai quasi sepolta sotto ulcere spaventose e lordura. Tutti i santuari degli dèi la morte aveva infine riempiti di corpi esanimi; e tutti i templi dei celesti rimanevano ingombri di cadaveri dovunque, perché i custodi avevano gremito di ospiti quei luoghi. E infatti ormai né la religione, né la maestà degli dèi contavano molto: il dolore presente aveva il sopravvento. Né si serbava nella città quel rito di sepoltura con cui prima quel popolo sempre aveva usato farsi inumare; infatti, sconvolto, era tutto preso dal panico; e ognuno, mesto, inumava il proprio morto ‹composto› secondo la http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (74 of 75) [07/08/2003 21.46.57] Splash - Cultura - Latino - Lucrezio - De Rerum Natura - Liber VI circostanza. E a molti orrori li indussero ‹gli eventi› repentini e la povertà. Così con grande clamore ponevano i propri consanguinei sopra roghi eretti per altri, e di sotto accostavano le fiaccole, spesso rissando con molto sangue piuttosto che lasciare i corpi in abbandono. (Ll) http://www.splash.it/cultura/latino/lucrezio/de_rerum_natura/6.htm (75 of 75) [07/08/2003 21.46.57]