CASA D`ARTISTA: LA CASA DI DILVO LOTTI A SAN MINIATO
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CASA D`ARTISTA: LA CASA DI DILVO LOTTI A SAN MINIATO
Università degli studi di Firenze Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Storia e tutela dei beni artistici Tesi di Laurea in Museologia CASA D’ARTISTA: LA CASA DI DILVO LOTTI A SAN MINIATO Relatore: Prof.ssa Cristina De Benedictis Correlatore: Prof.ssa Roberta Roani Candidato: Giulia Leporatti Anno Accademico 2007/2008 Premessa “Un uomo percorre il mondo intero in cerca di ciò che gli serve e torna a casa per trovarlo” (George Moore). Dilvo Lotti ha scoperto le sue doti artistiche alla scuola complementare di San Miniato, la sua città natale; qui rientrava tutti i giorni dopo le importanti lezioni di Parigi e Chiappelli all’Istituto d’Arte di Porta Romana; qui ha sempre fatto ritorno dopo i viaggi in Spagna e le importanti mostre all’estero; qui ha deciso di vivere e lavorare nella sua casa-torre, con Giuseppina sempre a fianco. Di Dilvo Lotti si è parlato tanto, della sua arte sono stati analizzati tutti gli aspetti ma uno studio più approfondito della sua casa può sicuramente aiutarci a capire ancora meglio questo pittore sanminiatese. Vedere in che modo un uomo, in questo caso un artista, ha modellato il suo spazio abitativo, ci aiuta a comprenderne più a fondo la personalità poiché la casa costituisce l’immagine di ciò che egli pensa e ama. Molto spesso sono le piccole scelte che ci parlano delle esperienze e dei gusti di chi la abita e sono anche, purtroppo, le prime ad essere cancellate con la musealizzazione della dimora. Non è facile al giorno d’oggi trovare una casa di un artista ancora vivente così animata di ricordi come quella di Dilvo; essa costituisce un vero e proprio reperto di storia contemporanea che raccoglie episodi, documenti, aneddoti del secolo passato e di quello che stiamo vivendo. Genuina, autentica, accogliente, la casa-torre di via Maioli apre le sue porte a chi ha voglia di conoscere Dilvo e Giuseppina, di capire perché questo artista di grande potenzialità ha scelto di vivere nel suo paese di provincia, fuori dalla mondanità dei salotti metropolitani. Tutti i dubbi vengono chiariti, tutte le 1 domande trovano risposta nella voce di Dilvo che serenamente racconta di come ha ascoltato il suo temperamento, di come ha capito quale fosse la strada da percorrere vivendo a stretto contatto con la sua terra, con la sua gente. Come la scoperta di un grande museo che non può esaurirsi con una sola visita, entrare in casa Lotti può diventare ogni volta un’esperienza nuova e affascinante, dalla quale vengono alla luce dettagli sempre più nascosti e interessanti. La straordinaria semplicità di Dilvo, la sua capacità di mettere chiunque a proprio agio in qualsiasi conversazione, forse riesce a spiegarci perché molte personalità importanti del Novecento siano passate proprio tra le mura della sua casa, affascinate dalla sua grande cultura nascosta dietro ad una spontanea umiltà. La casa-torre, teatro di incontri, di conversazioni brillanti, ma soprattutto luogo di lavoro quotidiano, porta con sé le tracce di mezzo secolo di esperienze: ogni singolo oggetto si lega ad un nome, ogni tela, manifesto o xilografia ricorda un fatto che in questo modo non verrà mai cancellato. 2 Capitolo I Dilvo Lotti: vita e opere 1.1 Firenze e gli anni di Porta Romana «Sono nato il 27 giugno del 1914 a S. Miniato. Disegno e dipingo perché non posso fare né il corridore ciclista, né l’impiegato comunale, e tanto meno il bel ragazzo per vocazione […] Fin da quando ho capito cosa si poteva fare disegnando o dipingendo, mi sono interessato dell’Arte chiamata dai saggi “comica”, del grottesco» 1. Così comincia l’autobiografia scritta in occasione della mostra tenutasi nel 1941 alla Galleria di Roma. A questa data Dilvo Lotti si collocava già tra i giovani artisti più interessanti del panorama italiano. Il suo percorso artistico inizia negli anni ’20 del Novecento quando, ancora studente della scuola complementare, viene notato per il tratto spigliato di certi suoi disegni. Mario Salvini, all’epoca Direttore dell’Istituto d’arte di Firenze, si trovò a San Miniato in veste di Ispettore Ministeriale. In Memoria di Porta Romana Lotti racconta: «Il prof. De Rose mi presentò all’Ispettore Salvini, (l’uomo del destino), come uno scolaro con delle idee e capacità grafiche, naturali, fuori dal comune […] Era doveroso mandarmi a Firenze all’Istituto d’Arte, questa la proposta del prof. De Rose» 2. Lotti si iscrive al Regio Istituto d’Arte di Firenze nel 1928, ammesso al secondo anno del corso inferiore perché proveniente dalla scuola complementare. Frequenta poi altri tre anni del corso superiore che gli valgono il titolo di Maestro d’Arte, seguiti da due anni di Magistero dove si specializza in Arti grafiche con una tesi su Honoré Daumier. A proposito di questa, Lotti nell’autobiografia del 1941 scrive: «Credo alla serietà e alla grandezza di quelle opere considerate buffe, che riescono ad andare al di là 3 della risata immediata, ma che arrivando in profondità raggiungono la grande Arte, vedi Charlot, Goya, Daumier e i nostri poveri Etruschi» 3. L’Istituto d’Arte di Firenze si era trasferito nel 1923 dalla sede di piazza Santa Croce nelle ex scuderie reali di Palazzo Pitti, nei pressi di Porta Romana. Sono anni di intensi dibattiti sull’insegnamento artistico in Italia, ricordiamo infatti la riforma Gentile del 1923 che prevedeva una riorganizzazione delle scuole d’Arte, quindi compreso l’Istituto Fiorentino. Dell’inaugurazione della nuova scuola il quotidiano “La Nazione” del 12 dicembre 1924 scrive: «Questa Scuola in sostanza si prefigge di realizzare un vecchio sogno di educatori e riformatori: riportare in onore una pura tradizione italiana; restaurare la Bottega d'Arte come la intendevano i grandi Maestri del Rinascimento fiorentino; studio, lavoro, scuola e laboratorio, dove i giovani possono lavorare a fianco dei maestri e delle opere di questi» 4. L’Istituto d’Arte di Porta Romana si presentava dunque in quegli anni come una scuola-laboratorio dove, con insegnanti-artisti quali Gianni Vagnetti, Libero Andreotti, Pietro Parigi, Francesco Chiappelli e tanti altri, per gli studenti era possibile raggiungere una formazione artistica completa. Riguardo l’impostazione degli studi Lotti dirà: «All’Istituto d’Arte venivano avviati i giovani delle famiglie artigiane, per favorirne la crescita del mestiere, completando il loro bagaglio culturale, la personalità con le materie di studio […] I votati alla prestigiosa e infida via dell’Arte andavano all’Accademia di Belle Arti in piazza San Marco» 5. Importante anche la presenza di Ugo Ojetti quale presidente della scuola, nonché direttore della rivista “Dedalo” e del quotidiano “Corriere della Sera”. Firenze è la città delle riviste letterarie, dei celebri caffè dove si incontrano scrittori e artisti. Dopo “La Voce”(1908-1916) e l’esperienza futurista di “Lacerba”(1913-1915), nell’autunno del 1925 nasceva la rivista 4 “Solaria” dai propositi di Alberto Carocci e Giovanni Colacicchi, in un clima di scambi di interessi e conoscenze, volti alla riproposta dell’arte del Rinascimento filtrata dalla grande tradizione europea 6. In questa luce consideriamo l’approccio avvenuto nel 1926 fra la rivista e gli artisti del Novecento toscano grazie alla personalità di Raffaello Franchi, attivo intermediario tra letterati e artisti; questi ultimi erano soliti incontrarsi al caffè Le Giubbe Rosse o nello studio del pittore Gianni Vagnetti (dal 1930 titolare della Cattedra Disegno e Figura presso l’Istituto d’Arte di Porta Romana) in piazza Donatello. Il ruolo svolto da “Solaria” nel breve periodo di attività della rivista (l’ultimo numero esce nel 1936) arrivò a coinvolgere anche altre sfere di ricerca e di espressione: dall’attenzione per le contemporanee manifestazioni musicali, alla valorizzazione dell’arte del disegno, dell’incisione, dell’illustrazione come espressioni degne di valore autonomo. In questo clima nasceva a Firenze la consuetudine delle riviste di ospitare appunto piccoli disegni, bozzetti, xilografie in tavole fuori testo o inseriti tra brani di critica o di poesia. Questa attitudine era già stata sperimentata dal 1924 nelle pagine del “Selvaggio”, manifestando dunque un rinnovato interesse verso la grafica, nella ricercata intesa con la pagina stampata 7 (interesse che verrà incrementato dalla direzione fiorentina di Mino Maccari, esperto xilografo e incisore). Fra le principali iniziative del “Selvaggio” nel suo periodo fiorentino, ricordiamo la nascita nel febbraio 1927 della Galleria del Selvaggio, nella quale esponevano tutti gli artisti che collaboravano al giornale e dove furono ospitati anche artisti di rilievo internazionale quali Ensor, Kubin, Kokoschka e altri. Nell’agosto 1929 si schierava a Firenze una nuova rivista, “Il Frontespizio”, nel suo volto polemico e aggressivo, secondo la tradizione dei periodici fiorentini di tendenza, ma che, a differenza delle esperienze precedenti, si faceva promotrice di un univoco ideale di vita, di arte, di poesia, nell’alveo della cultura cattolica 8. 5 I fondatori del giornale erano tra i nomi emergenti in ambito toscano ma con esperienze diverse alle spalle: fra questi Giovanni Papini, il quale, dopo il periodo futurista, si era convertito alla fede cattolica. Al suo fianco Ardengo Soffici, apprezzato come artista ma anche come filtro di cultura francese e promotore culturale. “Il Frontespizio” riprendeva dal “Selvaggio”, oltre ai motivi rurali e all’impostazione dei temi, anche la centralità espressiva della grafica e il tono satirico e dispregiativo. Tra i più assidui protagonisti della rivista troviamo Pietro Parigi, le cui xilografie suscitarono spesso accese polemiche con “L’Osservatore Romano” per l’aspra caratterizzazione dei personaggi ma soprattutto per l’impietosa crudezza della rappresentazione 9. In Memoria di Porta Romana Lotti lo definirà «il mio Istituto nell’Istituto», a sottolineare l’importanza che lo xilografo ebbe nella sua formazione artistica. La prima prova impegnativa per Lotti all’Istituto d’Arte, fu la realizzazione di sei litografie per illustrare il poema La presa di San Miniato di Ippolito Neri, un’opera eroicomica che racconta la leggendaria presa della città con le capre, da parte delle truppe empolesi; il tratto e il piglio ironico del giovane Lotti, genera figure in sintonia col testo, uomini e animali che hanno del grottesco, del goliardico. Del Lotti in quegli anni scrive Marco Moretti: «[…] già agli esordi, su primi anni Trenta, il segno grafico del ragazzo tendeva alla chiosa del grottesco. Ci volle l’intervento di Chiappelli e di Parigi per incanalare quel torrentello tumultuoso verso un più ordinato percorso» 10 . Percorso che tentano di segnare affidandogli nel 1933 la realizzazione di alcune tavole per il Vangelo di San Matteo, volume stampato in poche copie, interamente realizzato dagli allievi dell’Istituto, compreso il lavoro tipografico e di rilegatura. Per il Vangelo Lotti eseguì tre xilografie poste al frontespizio e alla fine del volume, e sedici litografie, 6 una per ogni apertura di capitolo (con queste litografie partecipa nello stesso anno alla Triennale di Milano). La tessitura del parametro grafico è qui certamente più morbida, con delicati effetti di passaggio chiaroscurale nelle litografie 11. Sullo sfondo di piazze e scorci sanminiatesi, sono allo stesso tempo raffigurati personaggi in costume con altri che indossano abiti moderni, come nel caso del nonno che in questa occasione offre il proprio aspetto per la scena del “miracolo” 12 . Nel 1932 Lotti aveva partecipato alla Mostra degli Avanguardisti a Siena, presentando opere quali Il Principe Azzurro e I tre spacconi, riscuotendo un notevole successo: qui venne premiato con la medaglia d’argento di S.A.R. il Principe di Piemonte. Nel 1933, l’anno del Vangelo, venne organizzata a San Miniato la “Prima Mostra dei pittori sanminiatesi”. A questo proposito si trova scritto in un articolo non firmato sul giornale “Il Telegrafo”: «Interessanti per mole e per numero sono i lavori di Dilvo Lotti, giovane attivo, studioso, intelligente. […] Ha il tormento del colore; in ogni sua tela riversa con impeto tutta la tavolozza, riuscendo talvolta ad ottenere effetti insperati, sì da poterlo fin d’ora dichiarare tendente verso il divisionismo» 13. Nello stesso anno Dilvo partecipa con dieci opere a una mostra degli Avanguardisti toscani allestita nella sala d’arte del quotidiano “La Nazione” a Firenze. L’impegno e lo studio lo portano a gratificazioni come l’assegnazione da parte del Regio Istituto d’Arte di Porta Romana, di una borsa di studio ministeriale di tremila lire annue ed il viaggio d’istruzione riservato agli allievi migliori. Conseguito il titolo di Maestro d’Arte nel 1933, Lotti si iscrive al corso di specializzazione in Arti grafiche con i professori Francesco Chiappelli e Pietro Parigi. Di loro scriverà: «Debbo a Pietro Parigi ed a Francesco Chiappelli (i buoni 7 Maestri che mi educarono nel fervore della Sezione di Arti Grafiche), se riuscii ad intravedere assai presto quella strada che sarebbe stata la mia» 14. Negli anni 1934 e 1935 realizza delle incisioni su lastra: Gli assassini politici, Le sanzioni, Don Chisciotte in biblioteca per citarne alcune, mentre risalgono al 1935 le serie dei Pugilatori e delle Corse ciclistiche. In queste opere l’animazione e l’affollamento visivo della scena si ripropongono come una costante, anche quando la forma incisoria diviene in un certo senso più “disegnata” e l’immagine assume una tipica deformazione ottica, un allungamento strutturale delle figure, degli oggetti e dell’ambiente. L’artista illustra situazioni desunte dalla cronaca sportiva, dalle situazioni quotidiane, dalla politica italiana, sviluppando un realismo a carattere espressionista e a connotazione ironica di cui aveva già dato prova nella Presa 15 . Un’altra opera rilevante di questo periodo è il dipinto del Cristo deriso eseguito nel 1935. Si tratta di un soggetto che Lotti riproporrà più volte nella sua carriera artistica, quasi sentisse la necessità di attualizzare l’episodio ora con diversa tonalità di colore, ora secondo gli ultimi accadimenti di cronaca. In quella metà degli anni Trenta Dilvo attraversa una fase di ricerca pittorica che lo vede accostare colori spesso contrastanti, su figure dai volti e lineamenti forzati, di ambiente espressionista 16. I dipinti e le incisioni che realizza in questo periodo sono caratterizzati dalla visione di una realtà pervasa da un clima che sa ora di favola, ora di rito, enunciando il suo mondo poetico nel quale confluiscono la grande tradizione pittorica toscana e la ricerca contemporanea 17. Nel 1935, poco dopo aver discusso la tesi, gli viene affidata la decorazione di una parete nella chiesa di San Giovanni Battista a Cigoli, Santuario della Madonna dei Bambini: Lotti realizza le scene del “grande miracolo” avvenuto il 21 luglio 1451, sulla parete alla destra dell’edicola che custodisce la scultura lignea della Madonna. Non esegue un affresco ma una tempera, utilizzando le terre 8 dell’affresco, fissando poi la pittura con un prodotto americano. In questo ciclo Dilvo realizza una poetica Maestà dove la Vergine col Bambino sono collocati in un paesaggio tipicamente toscano, con schiere di cipressi sulle colline e rondini che sbattono le ali insieme agli angeli intorno al trono 18. 1.2 Dalla rassegna fiorentina del Sindacato Artisti al premio Panerai «Quel 1935 – scrive Lotti - fu un anno magico per me: il murale di Cigoli; l’elogio in catalogo di Mario Tinti per le opere esposte all’Interprovinciale Fiorentina; la licenza del sesto anno dall’Istituto, ottenuta a pieni voti» 19. La mostra, che si tenne nel Parterre di Piazza San Gallo, era piena di giovani pittori dalle fisionomie incerte. Lotti, che aveva 21 anni, attirò l’attenzione di Mario Tinti, il quale fornì lume percettivo anche agli altri commissari. Il giudizio è citato da Vittoria Corti che riporta il testo dei verbali di quella esposizione: «l’unica voce originale, capace di inserirsi nel quadro dell’espressionismo europeo» 20. È questa forse la prima occasione in cui Lotti si presenta con una fisionomia artistica pienamente delineata. Il regolamento prevedeva un massimo di tre opere per ogni partecipante; Parigi e Chiappelli consigliarono a Dilvo di inviarne nove, lasciando la scelta delle tre da esporre alla commissione. I commissari le esposero tutte. Tra queste ricordiamo Le seggiole, Autoritratto e Cristo Deriso. Nel frattempo i suoi disegni cominciano a comparire su quotidiani e riviste: la “Gazzetta del popolo” in data 4 maggio 1935 pubblica l’acquaforte Io sono un evaso e il 18 maggio dello stesso anno il disegno Nuotatore. Nell’aprile del 1936 anche “Il Frontespizio”, il giornale al quale aveva collaborato assiduamente Pietro Parigi, pubblica un disegno di Lotti, precisamente Il ritratto della sorella. 9 Lotti, appena terminati gli studi, si stava inserendo nel panorama culturale fiorentino. In città gli artisti gravitavano intorno allo storico caffè Le Giubbe Rosse, il mercoledì sera si riunivano al ristorante L’Antico Fattore, locale che dette il nome all’omonimo premio istituito dallo scultore Libero Andreotti (insegnante all’Istituto d’Arte di Porta Romana): vincitori celebri Eugenio Montale nel 1931 e Salvatore Quasimodo nel 1932. Altro ristorante famoso in quegli anni era Giovacchino in Borgo Albizi che organizzava le “cene dei Visacci”. Da queste cene, momento di incontro tra artisti e scrittori, nacque la pubblicazione “Almanacco dei Visacci” edita da Vallecchi. Fu proprio in occasione di una festa in onore di Giovanni Papini ai “Visacci”, che l’insegnante Gianni Vagnetti incaricò Lotti ed altri allievi da poco diplomatisi, di fornire delle immagini ludiche per l’”Almanacco dei Visacci”: nel numero del 1938 (la pubblicazione usciva annualmente) è riprodotta una litografia di Dilvo Lotti. Tra le tante iniziative dell’Istituto d’Arte di Porta Romana, c’era l’invito rivolto ai diplomati più eccellenti a partecipare all’esposizione che si teneva negli ambienti della scuola; l’opera da presentare doveva avere un soggetto storico. Lotti realizza una grande tela dal titolo La morte di Francesco Ferrucci. L’opera verrà esposta anche al Premio Gaetano Bianchi. Successivamente Lotti, non convinto della composizione del quadro, sentiti i giudizi di Chiappelli e Parigi, decide di tagliare la tela in due parti, inviandole al concorso Ussi del 1940 con i titoli Nello studio e Il ritorno di Tobiolo. Alla fine del 1939, dopo essersi iscritto ai premi Panerai, Martelloni, Ussi e Hollander, Dilvo parte per Milano, dove ottiene un posto come disegnatore dei personaggi di Walt Disney. Rimase nella metropoli soltanto cinque giorni. Nell’autobiografia del 1941 scrive: «Dovevo disegnare Topolino fino alla nausea. 10 Dopo cinque giorni di permanenza in quella metropoli, rasserenato dalla prova che il mio temperamento aveva fallito, tornai in Toscana» 21. Pochi giorni dopo gli fu assegnato il Premio Panerai con l’opera Natura morta con bambino. Questo importante concorso si svolgeva a cadenza quinquennale (così come i premi Martelloni, Ussi e Hollander), i concorrenti non dovevano aver superato il trentesimo anno di età e il quadro vincitore sarebbe rimasto di proprietà della Reale Accademia delle Arti del Disegno. Ardengo Soffici, che presiedeva la giuria del premio, ci racconta i dettagli della vicenda nella Presentazione per la mostra di Lotti alla Galleria di Roma del 1941. Soffici scrive: «percorrendo con i miei colleghi le Sale della Mostra, io ero passato, con essi, davanti a certi dipinti di questo Artista, ricevendone un’impressione assai forte, ma non gradevole. La crudità del colore, certa spettralità di bianchi e di neri, certa acidità di gialli, di verdi, di rossi, certa brutalità del disegno, della composizione, dei volumi, avevano ferito i nostri occhi e urtato il nostro spirito. Andavamo cercando tra le Opere degli altri quella che ci paresse degna dei nostri voti. Non era facile trovarla, come troppo spesso avviene in simili casi. Io portavo intanto con me( e più di un collega mi dava prova di far lo stesso) quell’impressione sgradevole; ma già meno sgradevole: mista anzi a un interesse di rivedere quei dipinti» 22. La vincita del Premio Panerai e la partecipazione agli altri concorsi, costituiscono per Dilvo un importante affermazione che gli varrà l’amicizia e la considerazione di Ardengo Soffici, testimoniata anche dalle numerose lettere pubblicate a cura di Marco Moretti 23. Risale ancora al 1939 un'altra importante rassegna culturale; tre giovani amici, Dilvo Lotti, Giuseppe Gazzini e Dante Giampieri organizzano la “Prima Mostra d’Arte Città di San Miniato”. L’esposizione si svolgeva nelle aule dell’Istituto 11 magistrale Carducci di Santa Chiara, presentando opere di molti artisti, tra i quali comparivano maestri di fama nazionale come Francesco Chiappelli, Pietro Parigi, Romano Romanelli, Ottone Rosai e Gianni Vagnetti. 1.3 La mostra alla Galleria di Roma e gli anni della guerra Nei primi anni Quaranta nonostante i continui richiami alle armi che lo portano prima ad Asti, poi a Gabecce, ed ancora a Roma, impegni che sicuramente ne limitano l’attività pittorica, Lotti collabora al “Meridiano di Roma” e tiene un intenso epistolario con Soffici. Nel mese di marzo del 1941 espone insieme al pittore tedesco Bruno Marquardt alla Galleria di Roma, uno dei luoghi espositivi più ambiti dagli artisti emergenti del panorama italiano. Tutte le opere in mostra furono vendute, tra le quali Le Bambine, L’uva nera, Deposizione in città e Cestino con frutta, acquistate dalla stessa Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Nei mesi di giugno e luglio Lotti partecipa alla terza edizione del Premio Cremona, istituito per promuovere un’arte che affiancasse il regime, con i temi dettati ogni volta dallo stesso Mussolini. Sul tema della Gioventù Italiana del Littorio Dilvo realizza un’opera di notevoli dimensioni, una sequenza quasi da pellicola cinematografica, da sinistra verso destra, dal bambino sulle ginocchia della madre al giovane militare, studioso, lavoratore e sportivo, il tutto inserito in un paesaggio straordinario 24 . Lotti non vince il premio ma molti critici e importanti giornalisti chiedevano un riconoscimento per la sua opera. Tra questi Ugo Ojetti scrive: «a Cremona non sono riuscito a farle dare un premio. Ma lo meritava. Quello che c’è di un poco astruso, angoloso e gotico nella sua grafia pittorica, è per taluni un ostacolo alla piana, se non piena, ammirazione» 25. Anche questo dipinto venne acquistato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di 12 Roma. Nel clima artistico di quegli anni, caratterizzato dal recupero della tradizione nazionale promosso anche dal regime, dal riferimento a modelli trecenteschi e rinascimentali di cui si era fatto portavoce il gruppo Novecento, la pittura di Lotti appare spigolosa, quasi deforme, il colore stridente e molto materico, lasciando tuttavia evidenti le tracce della tradizione toscana. Nella primavera del 1942 si tiene a Roma nel Palazzo delle Esposizioni, la “Prima mostra degli artisti in armi”, alla quale Dilvo lavora anche come curatore. Successivamente riceve la comunicazione della nomina per “chiara fama” alla Scuola d’Arte di Velletri. Nel giugno dello stesso anno la Biennale di Venezia, alla quale Lotti aveva partecipato già nel 1940, gli dedica un’esposizione di 15 quadri. È questa un’occasione importante per il giovane pittore, le cui opere possono ora essere studiate con maggiore attenzione, attenzione peraltro testimoniata dalle numerose recensioni che compaiono nei giornali dell’epoca. Ancora nel 1942 Lotti partecipa al Premio Bergamo con l’opera Figure tra gli alberi. Tra le esposizioni di rilievo in quegli anni, da ricordare la “IV Quadriennale di Roma” del 1943, concorso al quale partecipavano artisti importanti quali Morandi, Guttuso, De Pisis, Casorati, De Chirico e molti altri; Dilvo espone il quadro Le tentazioni. Il 1943 è un anno importante per Lotti, non solo professionalmente; a luglio infatti sposa Giuseppina Gazzarrini nella chiesa dei Santi Michele e Stefano a San Miniato. Testimoni di nozze furono Pietro Parigi e Francesco Chiappelli. Intanto il fronte che attraversa l’Italia distrugge le cose e le coscienze di chi vive questi anni difficili della guerra. Lotti, che aveva già manifestato attenzione ai temi dettati dalla cronaca, non può rimanere indifferente ai fatti che lui stesso, da soldato, vive in prima persona. Appartengono a questo periodo opere come le Case Pelli-Cini distrutte dalla guerra (1946-1947), la Processione degli scalzi 13 coronati (1947), con le figure che si muovono su uno sfondo di edifici distrutti dai bombardamenti, e ancora Deposizione in città (1945), con le presenze femminili che circondano Cristo, riferimento alle donne che in quei giorni piangevano i mariti e figli morti in guerra. Firenze, nonostante le difficoltà causate dai combattimenti, continua a svolgere il suo ruolo di città votata all’arte. Nel novembre del 1942 nasceva, grazie anche all’interessamento di Ottone Rosai, la galleria “Il Fiore”, ritrovo di artisti e intellettuali e promotrice di importanti mostre 26 . Atro luogo importante durante gli anni della guerra è la galleria “Il Cenacolo”, dove Lotti tiene una mostra personale nel 1944. Tra i quadri esposti in questa sede compariva Soldato che dorme, realizzato durante il periodo militare a Gabicce; Dilvo infatti non ha mai smesso di dipingere, nemmeno durante i tragici anni della guerra. 1.4 Il dopoguerra: la penna e il teatro Uno dei primi impegni di Lotti al termine del conflitto è l’illustrazione del “diario spirituale” Amore e desolazione dello scrittore Nicola Lisi. Nel 1947 Dilvo lascia per un attimo il pennello per esprimersi attraverso la pagina scritta, scrivendo il romanzo autobiografico La morte del paese, rimasto inedito fino al 2002. Lotti descrive la vita di Pens (che voleva dire “città morta”, “città per vecchi”, “città per pensionati” ed era, in realtà, in tutto e per tutto la sua San Miniato 27) e dei suoi abitanti. Il tema autobiografico è ripreso anche nel testo La giornata di Giovanni Papini a San Miniato, il racconto di una visita che lo scrittore gli fece nel 1947, e che sembrava non arrivasse mai. In quegli anni si concretizza un’altra passione di Lotti: il teatro. Nel 1947 fonda insieme a Don Nello Micheletti, Giuseppe Gazzini e Gianni Lotti, l’Istituto del Dramma Popolare. 14 Di quel progetto racconta: «Rientrati in ambiente, in una città distrutta al 60 % dalle mine tedesche […] noi andavamo maturando un progetto di partecipazione popolare, rivolto all’arricchimento della cultura della speranza, comunicata con il linguaggio drammatico di un Teatro nuovamente Sacro» 28. Nel luglio 1947 andò in scena in piazza del Duomo a San Miniato la prima rappresentazione del Dramma Popolare: La maschera e la grazia di Henri Ghéon, prima rappresentazione in Italia dedicata al martire cristiano Genesio, patrono di San Miniato. Il ruolo svolto da Dilvo Lotti per il nuovo Istituto è da paragonarsi a quello di direttore artistico. Anche la scelta del testo di Ghéon è frutto dei contatti di Dilvo con l’ambiente fiorentino, in particolare con Giovanni Papini che gli inviò l’opera. Molti personaggi illustri assistettero a questa prima rappresentazione; tra questi il filosofo, ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, Jacques Maritain. Dilvo, che realizzava personalmente i manifesti e il materiale pubblicitario stampato dall’Istituto del Dramma, contribuì alla diffusione nelle tipografie sanminiatesi, di un particolare gusto dell’impaginazione, con l’inserimento di xilografie e incisioni, secondo la tradizione delle riviste fiorentine. I cartelloni del teatro di San Miniato realizzati da Lotti e da Pietro Parigi sono divenuti col tempo immagini di un unico racconto, dove gli avvenimenti narrati nelle pagine dei testi teatrali, vengono resi in simbologie, dove i contrasti dei bianchi e dei neri rappresentano i conflitti e le tensioni della nostra epoca 29. 1.5 La maturazione artistica Per quanto riguarda l’attività strettamente artistica di Dilvo Lotti, gli anni Quaranta si chiudono con due importanti mostre milanesi: nel 1948 viene invitato alla “XIX Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea” presso la Villa Reale e nel 15 1949 partecipa ad una Mostra collettiva alla Galleria Barbaroux. Di quest’ultima ce ne parla Giovanni Papini nella prefazione al catalogo; lo scrittore avverte un cambiamento nella pittura di Lotti e scrive: «Dilvo Lotti cominciò come artista tumultuario e visionario. Oggi si avvicina al pieno e lucido dominio delle sue virtù pittoriche e spirituali e già dimostra, nelle ultime opere, che il suo estro giovanile si sta affermando in una sicurezza virilmente conquistata» 30. Evoluzione pittorica che coincide dunque con un’evoluzione interiore. Nel 1955 Dilvo si trova ad esporre all’Accademia delle Arti del Disegno, una serie di opere che ripercorrono il suo cammino artistico; si va dai lavori degli anni Trenta come La Paura del 1936 e Il ritorno di Tobiolo del 1939, per passare poi ad opere dell’immediato dopoguerra come la Processione degli scalzi coronati e I Penitenti entrambe del 1946. Il lavoro che infine rappresenta il passaggio da una pittura densa, corposa, dai forti contrasti, a una pittura dove il colore è più fluido e brillante, è la tela del Gesù Divino Lavoratore del 1954. Questa fase caratterizza gli anni Cinquanta, periodo in cui Lotti lavora per varie committenze; chiese, Istituti di credito, privati. Dilvo nel 1940 aveva dipinto ad affresco San Giovanni Bosco e storie dei suoi miracoli nella casa Braschi a San Miniato, andato perduto nel corso del conflitto mondiale. Nel 1955, ancora una volta nella sua città, è chiamato a realizzare una grande parete nella Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio, con il tema del Buon governo. Un anno dopo esegue l’ Ultima Cena presso il Refettorio del Seminario Vescovile, per la quale concepisce una disposizione innovativa per quanto riguarda gli apostoli, non più seduti al tavolo, ma adagiati su una specie di divano circolare. Molti altri lavori ad affresco e graffito gli vengono commissionati in questi anni nella sua San Miniato, dove Lotti svolge anche l’attività di insegnante nella scuola media. 16 Gli anni Sessanta si aprono con un’importante mostra personale alla St. Martin’s Gallery di Londra dove, nel luglio del 1962, espone opere come La cattedrale di Westminister, Fiori notturni a Piccadilly Circus e Dalla Piazza di Trafalgar, che testimoniano una libertà di esecuzione dovuta anche alla decisione di dipingere all’aperto 31. Un dato che caratterizza l’attività di Lotti fin dagli esordi, è la volontà di registrare, di documentare con il proprio lavoro la vita contemporanea; ecco che nei suoi dipinti si possono vedere i grandi avvenimenti della storia, ma anche più semplicemente le gioie e i dolori della sua città. La Croce per Martin Luther King dipinta nel 1968, è un’opera che testimonia il punto di vista dell’artista su un fatto importante della la sua epoca: eseguita sul modello delle croci sagomate trecentesche, è dipinta ad olio con inserti di collage. La Croce è dipinta anche sul retro con storie della vita di Martin Luther King e qui è trascritta una poesia a lui dedicata da Evtusenko. Con questa opera, oggi esposta sull’altare dell’Oratorio dei Santi Sebastiano e Rocco, Dilvo fu premiato alla VIII Biennale Nazionale di Arte Sacra Contemporanea. 1.6 Dagli anni Ottanta ad oggi La pittura di Dilvo Lotti negli anni Ottanta e Novanta si arricchisce di stimoli ricavati dai numerosi viaggi in Spagna, Francia, Inghilterra e Marocco. L’artista però non manca mai di dipingere la sua San Miniato, ritraendola negli anni da tutti i punti di vista e in tutte le stagioni, un po’ come faceva Cézanne con la montagna di Sainte-Victoire. L’attenzione per ciò che lo circonda compare ancora una volta in un’opera del 1984, Le déjeuner in piazza San Marco. Prendendo a modello Le déjeuner che Manet dipinse nel 1863, conduce una sorta di attualizzazione dei contenuti 32 ; il quadro ha come soggetto «il nostro vivere 17 permissivo negli spazi storici, violentati dai carnevali, buoni per tutte le stagioni, pic-nic con le bottiglie di plastica, nell’indiscriminato usa e getta» 33. Altre composizioni sono nate in seguito a riflessioni sui grandi fatti, come La nube di Chernobyl (1988) o Lo Tsunami (2005). Dilvo Lotti nella sua carriera ha praticato anche l’arte della ceramica, della terracotta e della scultura. Ceramiche dai soggetti più vari di un’ironia alla Daumier, ma anche temi sacri: molte possiamo vederle passeggiando tra le vie di San Miniato dove Madonne con il Bambino e Santi punteggiano i portoni d’ingresso delle abitazioni. Nel campo della scultura Lotti propone degli assemblaggi tridimensionali di legni sagomati dipinti che ricostruiscono una figura, o addirittura una scena, che pare in continuo movimento. Tra queste opere ricordiamo La ballerina di flamenco degli anni ’60 e Raffaella Carrà del 1985. Molti personaggi illustri del XX secolo hanno scritto di Dilvo Lotti: da Sinclair Lewis a Ardengo Soffici, da Giovanni Colacicchi a Orio Vergani, da Giovanni Papini a Luigi Testaferrata e tanti altri ancora. Nonostante l’estrazione culturale profondamente diversa di questi autori, la valutazione critica della sua opera resta sostanzialmente la stessa. Nelle sue opere sono state notate consonanze con Goya, Kokoshka, El Greco, Van Gogh ed Ensor, per un certo spirito espressionistico presente soprattutto nelle composizioni di figure 34. Dilvo Lotti però è anche quel pittore che «si mostra legato alla sua genealogia toscana, a quei pittori che, maggiori a lui di età e di esperienza, operano in Toscana con spiriti moderni» 35 . Ecco che attraverso Soffici, Lotti risale alla pittura di Cézanne, e come lui dipingerà più volte lo stesso soggetto, in questo caso non più la montagna di Sainte-Victoire cara all’artista francese, ma la sua San Miniato. 18 La fortuna di questo artista risiede nella sua pittura fatta di contrasti, di colori stridenti, di forti chiaroscuri, che all’inizio della sua carriera hanno colpito importanti osservatori quali Mario Tinti e Ardengo Soffici. Le sue composizioni avevano la forza di impressionare lo spettatore, talvolta in maniera sgradevole, lasciandogli però il desiderio di tornare a guardarle 36. I giudizi positivi dei critici e la vincita di diversi premi, gli hanno permesso di farsi conoscere in tutta Italia e all’estero. L’aver intrattenuto rapporti con personalità importanti del mondo artistico, gli ha concesso di rimanere nella sua casa sanminiatese senza perdere mai i contatti col panorama culturale nazionale. Questo attaccamento alla sua città natale deriva da una profonda consapevolezza del proprio temperamento. Così Lotti in un’intervista del 1970 dice: «Da giovane credo di aver capito con anni di anticipo alcuni fatti pittorici verificatosi in seguito, ma sentii mio dovere convogliare le mie esperienze e la mia tecnica verso la precisazione del mio mondo. Perciò seguo tutto e vedo tutto, ma resto fedele a me stesso, a costo di apparire fuori tempo» 37. 19 Note 1 D. LOTTI, Autobiografia 1941, in Dilvo Lotti. Pitture, sculture, incisioni dal 1930 al 1980, catalogo della mostra (Cerreto Guidi, Villa Medicea, ottobre 1980), San Miniato, Tipografia Palagini, 1980, p. 1 2 D. LOTTI, Memoria di Porta Romana, Accademia degli Euteleti, Pisa, ETS, 2004, p. 17 3 D. LOTTI, 1980, p. 1 4 Storia dell’Istituto d’Arte di Firenze (1869-1989), a cura di VITTORIO CAPPELLI e SIMONETTA SOLDANI, Olschki, 1994 5 D. LOTTI, 2004, p. 28 6 M. PRATESI, G. UZZANI, L’arte italiana del Novecento. La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991, p. 129 7 M. PRATESI, G. UZZANI, 1991, p. 145 8 M. PRATESI, G. UZZANI, 1991, p. 169 9 M. PRATESI, G. UZZANI, 1991, p. 173 10 M. MORETTI, Tra confronto e invenzione, in Dilvo Lotti. Mostra antologica, 1931-1991, catalogo della mostra (Firenze, Accademia delle Arti del Disegno, 26 ottobre-15 novembre 1991), San Miniato, Tipografia Palagini, 1991, p 11 11 N. MICIELI, L’amor sacro e l’umor profano: Dilvo Lotti incisore, in Dilvo Lotti. Opera grafica 1931-1998, catalogo della mostra (Santa Croce sull’Arno, Villa Pacchiani, 10 aprile – 9 maggio 1999), a cura di N. MICIELI, Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, 1999, p. 3 12 L. MACCHI, Dilvo Lotti: l’itinerario artistico di un maestro della pittura, in Dilvo Lotti. Un maestro della pittura, monografia a cura di L. MACCHI, Pisa, Pacini Editore S.p.A., 2007, p. 20 13 “Il Telegrafo”, giovedì 5 ottobre 1933, Accademia degli Euteleti, fondo Galli-Angelini 14 D. LOTTI, 1980, p. 1 15 N. MICIELI, 1999, p. 4 16 L. MACCHI, L’impegno di un artista nella vita del suo tempo, in Dilvo Lotti, l’arte e la fede a cura di L. MACCHI, Pisa, ETS, 2008, p. 19 17 L. MACCHI, 2007, p. 21 20 18 L. MACCHI, 2008, p. 18 19 D. LOTTI, 2004, p. 12 20 V. CORTI, Dilvo Lotti, pittore di natura e di cuore, San Miniato, Covero, 1997, p. 18 21 D. LOTTI, 1980, p. 2 22 A. SOFFICI, Presentazione alla XLII Mostra alla Galleria di Roma, in Dilvo Lotti. Pitture, sculture, incisioni dal 1930 al 1980, catalogo della mostra (Cerreto Guidi, Villa Medicea, ottobre 1980), San Miniato, Tipografia Palagini, 1980, p. 10 23 A. SOFFICI, Ardengo Soffici a Dilvo Lotti: lettere inedite, 1940-1963, a cura di M. MORETTI, Prato, Pentalinea, 2002 24 L. MACCHI, 2007, p. 35 25 Lettera di Ugo Ojetti, 12 luglio 1941, in Dilvo Lotti. Pitture, sculture, incisioni dal 1930 al 1980, catalogo della mostra (Cerreto Guidi, Villa Medicea, ottobre 1980), San Miniato, Tipografia Palagini, 1980, p. 13 26 M. PRATESI, G. UZZANI , 1991, p. 254 27 L. TESTAFERRATA, Scrivere dipingendo, dipingere scrivendo. Dilvo Lotti scrittore, in Dilvo Lotti. Un maestro della pittura, monografia a cura di L. MACCHI, Pisa, Pacini Editore S.p.A., 2007, p. 58 28 D. LOTTI, La sacralità del teatro, in «Annali della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon», III, Città del Vaticano, 2003, p. 161 29 L. MACCHI, 2007, p. 45 30 G. PAPINI, Prefazione al catalogo per la mostra collettiva da Barbaroux - Milano, 1949, in Dilvo Lotti. Pitture, sculture, incisioni dal 1930 al 1980, catalogo della mostra (Cerreto Guidi, Villa Medicea, ottobre 1980), San Miniato, Tipografia Palagini, 1980, p. 16 31 L. MACCHI, 2007, p. 48 32 L. MACCHI, 2007 , p. 53 33 D. LOTTI, Mostra Antologica 1934-1991, catalogo della mostra (Firenze, Accademia delle Arti del Disegno, 26 ottobre – 15 novembre 1991), San Miniato, Tipografia Palagini, 1991 34 A. DEL MASSA, Sala d’Arte de “La Nazione”, Introduzione alla seconda mostra - La Nazione, 24 febbraio 1940 in Dilvo Lotti. Pitture, 21 sculture, incisioni dal 1930 al 1980, catalogo della mostra (Cerreto Guidi, Villa Medicea, ottobre 1980), San Miniato, Tipografia Palagini, 1980, p. 8 35 V. GUZZI, “Primato”, 15 aprile 1941 –“ Corriere delle Arti” in Dilvo Lotti. Un maestro della pittura, monografia a cura di L. MACCHI, Pisa, Pacini Editore S.p.A., 2007, p. 253 36 A. SOFFICI, 1980, p. 10 37 S. GHIBERTI, Ama l’arte e una città – “Gente”, 24 agosto 1970, in Dilvo Lotti. Pitture, sculture, incisioni dal 1930 al 1980, catalogo della mostra (Cerreto Guidi, Villa Medicea, ottobre 1980), San Miniato, Tipografia Palagini, 1980, p. 37 22 Capitolo II La casa di San Miniato «Sono nato a San Miniato e vi abito ancora, non mi è grato desiderio il lasciare queste quattro case» 1. Dilvo Lotti scrive queste parole nel 1941, all’età di ventisette anni. Fin da giovane, infatti, questo artista dichiara il suo attaccamento verso la città natale, che si concretizza con le numerose iniziative alle quali ha dato il suo contributo, nell’ambito delle attività culturali locali: ricordiamo l’Istituto del Dramma Popolare, la mostra dedicata al Cigoli, la realizzazione del Museo Diocesano e molto altro ancora. In un periodo di artisti che lavorano un giorno e dedicano gli altri sei a farsi pubblicità, la tranquilla fedeltà di Lotti alla sua città e alla sua arte è rara quanto esemplare 2. A San Miniato sono stati dipinti i quadri giovanili degli anni Trenta, dopo gli studi e gli incontri fiorentini; lì sono stati dipinti i paesaggi toscani, con la leggerezza delle colombe sui tetti assolati o la violenza dei rossi e dei marroni autunnali sui fianchi delle colline; lì sono state dipinte le tele spagnole, dopo i viaggi e il contatto diretto con la vita delle strade e delle piazze. A San Miniato Lotti ritrova tutto 3. Si racchiude in questa dichiarazione la poetica di Dilvo: «Io ho due motivi che ritengo importanti: i soggetti religiosi e la città e il paesaggio sanminiatesi. Nei primi credo di aver espresso il dramma dell’umanità con caratteristiche derivatemi dall’ambiente in cui vivo, cioè dallo spirito medievale che sento e respiro; nel secondo penso di esprimere quella gioia che, nonostante tutto, è in me e che vedo riflessa nei colori della nostra terra» 4. Tutto questo Dilvo Lotti fa passando gran parte del giorno nella sua antica casa dominata dalla Rocca di Federigo, e dalle cui finestre si ammira quella Toscana segreta di cui egli ha ereditato lo spirito 5. 23 La casa in via Maioli al numero 22, era stata affittata nel 1927 alla famiglia di Giuseppina Gazzarrini, moglie di Lotti. I due coniugi, infatti, hanno vissuto per circa dieci anni al numero 20 della stessa via, nell’abitazione della famiglia di Dilvo, insieme alla madre, da tutti chiamata affettuosamente Mamma Giulia. Quando nel 1953 la casa fu messa in vendita, Dilvo e Giuseppina decisero finalmente di acquistarla. Al momento della vendita quella che in origine doveva essere una casa-torre si presentava ridotta in altezza, sviluppandosi essenzialmente su due piani abitabili, una soffitta e una cantina. L’edificio si trova in un punto strategico dell’antico borgo, all’angolo tra via Maioli e il vicolo del Bellorino. Questo vicolo, come molti altri che risalivano i versanti della collina per raggiungere il paese, era una strada di «servizio», grazie alla quale venivano trasportati direttamente nella via principale vivande e vari prodotti di consumo. La casa quindi si trovava in un posto obbligato per chi si immetteva in via Maioli dal vicolo carbonaio e qui, probabilmente, veniva richiesto anche il pagamento di un dazio 6. Lotti apportò subito i primi cambiamenti all’edificio: presentò alla Sovrintendenza il disegno di ampliamento del pianterreno per ricavare una nuova stanza da adibire a studio. Il progetto fu approvato perché, nonostante l’alterazione dei volumi in pianta, i lavori si sarebbero concentrati nel retro dell’abitazione, sul versante della collina, lasciando inalterato il valore estetico della casa. Il nuovo studio affacciato a sud riceveva però una luce eccessivamente mutevole, per cui fu necessario ricercare un ambiente più idoneo ad ospitare il laboratorio dell’artista, illuminato esclusivamente da settentrione. Da qui la decisione di riacquistare spazio in altezza rialzando l’ultimo piano e aprendo una grande finestra orientata a nord. 24 Durante i lavori, precisamente sul lato rivolto verso il vicolo, furono scoperti nella soffitta degli accenni di arco che in passato avevano probabilmente una funzione di sostegno, forse di un piano evidentemente più elevato (foto 1). Una tale scoperta ha permesso di ricostruire l’ ultimo piano in maniera abbastanza fedele all’originale. Gli ambienti della casa-torre non si esauriscono su questi tre livelli: l’edificio, infatti, presentava una cantina, in questo caso un vero e proprio sottostrada, perfettamente conservato. La costruzione della casa ha avuto inizio proprio in questo ambiente: in un primo momento veniva scavato il tufo e innalzato un muro in mattoni al quale poi se ne affiancava un altro parallelo; ne derivava quindi un’intercapedine che riempita di quella terra appena scavata, isolava l’abitazione dagli agenti termici. La cantina è impostata tutta sul motivo dell’arco, elemento costruttivo che permette di scaricare il peso dell’edificio in maniera ottimale, mantenendolo stabile al terreno. Dopo aver apportato questi cambiamenti strutturali alla casa, Lotti si concentrò sull’aspetto decorativo. Nel 1955 lavorò alla facciata con la tecnica del graffito e dell’affresco; una sorta di pellicola cinematografica composta da sequenze di nature morte, maschere e paesaggi, fa da cornice marcapiano tra i primi due livelli della casa ad intonaco giallo ocra, e l’ultimo piano a mattoni rossi (foto 2). Le due finestre del primo piano inquadrano una grande natura morta: uva, cocomero, fiori in una brocca, maschere e chitarra, il tutto sotto gli occhi di un giovane Bacco, in una composizione dinamica e vivace, dai caratteristici colori brillanti di Lotti. Sotto i davanzali delle stesse finestre, l’artista dipinge la tavolozza del pittore e alcune figure, angeli protettori della casa e di chi la abita. Le decorazioni della facciata non si limitano soltanto alla pittura: Dilvo Lotti, come sappiamo, ha praticato anche l’arte della ceramica e della scultura in generale. Da qui l’interesse di inserire i prodotti di queste arti nell’intonaco della 25 facciata, negli stipiti del portone e in altre zone della casa. Tra le terracotte alcune sono di Nello Bini, uno dei protagonisti dell’arte informale italiana versata in ceramica. In alto troviamo due sculture inserite nel muro a mattoni: una in pietra, l’altra in cemento dello scultore lucchese Renato Avanzirelli. Queste opere, come molte altre conservate dentro la casa, sono il frutto di scambi tra Lotti e altri artisti, spesso amici che si sono formati con lui all’Istituto d’Arte di Porta Romana (foto 3). Anche il lato ovest dell’edificio, quello che fiancheggia il vicolo del Bellorino, presenta un grande bassorilievo in terracotta su cui Lotti ha modellato le immagini della tavolozza, dei pennelli e due volti, probabilmente il suo e quello della moglie. Le decorazioni proseguono all’interno dell’abitazione. Il pianterreno presenta tre zone decorate a graffito ed affresco: il sovrapporta nell’ingresso, il soffitto a volta nel pianerottolo delle scale e la sala da pranzo. Questi lavori fanno parte di un programma di decorazione parietale che Lotti impostò appena trasferito nella casa-torre, e risalgono tutti agli anni Cinquanta. Il soggetto della lunetta sopra il portone d’ingresso è un’altra natura morta, dove compaiono ancora le maschere e il vaso di fiori: trattandosi di un muro esterno, i colori risultano alterati per le infiltrazioni di umido ma tutto sommato il disegno mantiene intatta la sua potenza espressiva. Dopo aver percorso il corridoio di ingresso, si salgono alcuni scalini fino al pianerottolo dal soffitto affrescato (foto 4-5): al centro quattro angeli sorreggono la tavolozza del pittore in un cielo azzurro brillante. Le due lunette ai lati della volta presentano due diversi temi, uno religioso, l’altro metafisico: da un lato troviamo uno scorcio sanminiatese con la figura di Cristo in primo piano insieme ai fedeli, fra i quali compaiono Lotti e la moglie; dall’altro viene affrontato il tema del Tempo, che si identifica nella sveglia appoggiata su un piano tra una brocca e 26 un mazzo di fiori; immancabile la figura di Giuseppina che emerge dal fondo, affiancata da un’etichetta che riporta la scritta “10 Luglio 1943 – 10 Luglio 1956”, rispettivamente le date del matrimonio e dell’affresco. L’altra area dove si concentrano le decorazioni parietali è la sala da pranzo, collage di materiali e tecniche diverse. Per quanto riguarda gli affreschi e i graffiti, le zone interessate sono la parete est e la fascia bassa della parete sud. La parete est è tagliata in due fasce orizzontali da una mensola su cui poggiano libri ed oggetti vari. La fascia superiore è ricoperta di graffiti (foto 6): una sorta di «trompe l’oeil» che finge ora una colonna corinzia, ora una cornice a dentelli, il tutto risolto con il disegno nero e le pennellate dei colori primari. Un finto quadro di gusto cubista affianca alcune ceramiche inserite nel muro: due angeli, opera dello scultore faentino Angelo Biancini, «volano» sopra le altre, tra cui una figura con il mantello rosso e arancio di Orlando Lensi ed un’ironica bottiglia realizzata in ceramica graffiata da Otello Pucci, accanto alla quale Dilvo ne ha disegnata una somigliante direttamente sul muro. Ciò non costituisce un episodio singolo poiché più di un soggetto raffigurato in ceramica si trova riprodotto sulla parete, talvolta anche in forma di disegno abbozzato. Potrebbe trattarsi di un espediente doppiamente utile: da una parte contestualizza le ceramiche, dall’altra offre un paragone tra le due arti, ricoprendo felicemente la parete di immagini e di rilievi. Purtroppo l’umidità ha rovinato gli affreschi al di sotto della mensola, per cui oggi questa fascia è occupata, oltre che dal termosifone, da tavole dipinte con gli stessi soggetti: una donna con i capelli rossi che tiene in mano un mazzo di fiori ed una lotta fra centauri dalle linee sinuose. Una curiosità: è stato possibile installare l’impianto di riscaldamento negli anni Cinquanta, grazie ad una cospicua vendita all’amico Salvatore Ferragamo, che 27 acquistò da Lotti una cartella di disegni «a scatola chiusa» durante una delle sue tante visite a San Miniato 7. La parete sud presenta nella fascia bassa un graffito che mostra l’immagine di uno scorcio di paese, con il sole e le montagne dalle forme stilizzate, risolti con delle forti pennellate di colori primari (foto 7). Questa parte si sta conservando molto bene perché il muro interessato riceve aria dal davanti e sul retro, dove si trovano le scale per scendere in cantina. Nella stanza non esiste una parete vuota: tra i tanti quadri di Lotti e non, spiccano alcune stampe originali giapponesi, regalo di un’amica di Tokyo conosciuta in Spagna. Molte sono le locandine di spettacoli teatrali, manifesti di mostre, stampe di ogni genere, attaccate una sopra l’altra, così come le cornici dei quadri che si toccano. È una scatola di ricordi di ogni tipo, di regali sempre esposti e mai chiusi in un cassetto. Gli arredi scompaiono sotto gli oggetti: il grande tavolo rettangolare al centro della stanza è coperto di libri, carte e soprammobili vari, come le ceramiche del fiorentino Marcello Fantoni, allievo con Lotti all’Istituto d’Arte di Porta Romana; un armadietto a quattro ante fa da piano espositivo ad un gruppo di ceramiche: sono alcune opere dell’artista, realizzate contemporaneamente a quelle richieste su commissione. Si è parlato del dono della creazione incessante che Dilvo Lotti possiede, di cui questo episodio ne è un esempio: l’artista lavora il doppio e realizza dei pezzi da conservare nella sua casa, dimostrando di possedere una straordinaria capacità di invenzione 8. Sull’armadietto opere dai soggetti e colori più vari, mascheroni ironici e personaggi strani, risultato di insoliti assemblaggi tra pezzi di ceramiche (foto 8); di questo materiale sono presenti anche numerosi piatti decorati per la maggior parte con immagini di volti femminili, appesi qui e in altri ambienti della casa. 28 La stanza ospita inoltre diversi autoritratti e immagini della moglie Giuseppina, da sempre figura fondamentale nella vita dell’artista. Dalla sala da pranzo è possibile accedere alla piccola cucina oppure alla cantina, tramite le scale che scendono dietro la parete sud. Il sottostrada si divide in due ambienti al chiuso e una loggia all’aperto che si affaccia sulla valle: è un luogo molto fresco, sommerso da colonne di libri, oggetti che Dilvo ama molto e che colleziona volentieri. Si trovano qui alcune sculture in legno, assemblaggi tridimensionali di legni sagomati e dipinti, nati con i preparativi delle figure per il Carnevale dei Bambini (foto 9). La mano dell’artista è evidente anche in questo zona più nascosta: scendendo le scale ci si imbatte in una parete punteggiata da elementi di ceramiche, terracotte e altri materiali letteralmente conficcati nel muro (foto 10). I vetri delle finestre affacciate a sud sono colorati e presentano particolari motivi geometrici (foto 11). In un muro laterale coperto dalla loggia, un graffito misto ad affresco resiste ancora al tempo: è una prova, una sorta di brutta copia, per un lavoro commissionato a Lotti dal cardinale Antonio Samorè, diplomatico del Vaticano inviato in Lituania. L’opera era destinata alla Casa della Gioventù di Bardi (PR), città natale del cardinale e doveva ricordare l’esperienza di Samorè in Lituania: l’immagine della nazione nella forma di una carta geografica si affianca ad alcune figure e soggetti religiosi 9 (foto 12). Dalla loggia è visibile anche il vicolo del Bellorino che risale il versante della collina, reso purtroppo impraticabile dai mancati lavori di manutenzione. Tornando al pianterreno rimane da vedere il nuovo spazio progettato da Lotti: lo studio. L’ingresso di esso è costituito da un disimpegno collocato pochi scalini sotto il pianerottolo affrescato. Qui Lotti ha raccolto quadri di piccola taglia, molti dei quali sono autoritratti o soggetti vari di pittori empolesi: Virgilio Carmignani, 29 Sineo Gemignani, Ghino Baragatti, Otello Cirri e Loris Fucini; di quest’ultimo è presente in casa anche l’ affresco di un volto in sala da pranzo (foto 13). Il disimpegno tradisce un'altra passione del nostro, quella di collezionare disegni e incisioni degli artisti amici. A questo proposito è d’obbligo citare la notevole collezione di ritratti di Pietro Parigi, circa trenta tra disegni e incisioni che molti pittori regalarono all’artista di Settimello, e che questi consegnò «in eredità» a Lotti: spicca per importanza e bellezza quello di Giovanni Costetti, l’unico infatti ad essere esposto, precisamente in una parete del primo piano (foto 14). Si accede finalmente allo studio, una stanza abbastanza ampia illuminata da tre finestre, due a sud e una a est. Anche qui regna un piacevole «horror vacui», segno distintivo di tutta la casa. La parete est è quasi interamente occupata da una libreria traboccante di volumi; altre ceramiche sono disposte sull’ultimo piano del mobile mentre in basso più di un quadro attende di essere appeso (foto 15-16). La stanza è poi arredata da altri mobili in legno, due scrivanie, tre vetrine, un cassettone ed altri comodini su cui sono appoggiati pennelli, tubetti e tutti gli attrezzi del mestiere. L’ ambiente è tornato «operativo» negli ultimi anni, da quando Dilvo non riesce più a salire quotidianamente le scale dell’ultimo piano che conducono al laboratorio. Ogni mattina l’artista si siede per un paio d’ore di fronte al cavalletto e dipinge. Le numerose tele appoggiate qua e là testimoniano l’instancabile attività del pittore, attualmente impegnato sul tema degli Inesistenti: abiti privi di persone che li vestono, si atteggiano come se fossero vivi accanto a manichini nudi 10. Il suo studio è dominato dai libri, fra cui si riconoscono anche pubblicazioni rare e preziose: se ne trovano ovunque, nelle vetrine, sui comò, negli armadietti e sulle scrivanie (foto 17). Alcune piccole collezioni, come quelle dei gufi e delle conchiglie, sono radunate nei pochi spazi liberi (foto 18). 30 Le locandine teatrali e i manifesti delle mostre hanno in alcuni punti una funzione di carta da parati, donando colore alle pareti della stanza altrimenti beige (foto 18). Si erge di fronte alla scrivania una particolare scultura in legno: si tratta di Raffaella Carrà, proposta tridimensionale del 1985, che con la sua notevole altezza costituisce forse il punto focale delle stanza. Lo studio è l’espressione della personalità di Lotti, delle sue passioni e delle sue attitudini. Qui ritroviamo tutto ciò che lo distingue: dal cavalletto del pittore alle maschere del teatro (regalo di Pietro Parigi), dai libri stipati dove capita, alle ceramiche dipinte, il tutto immerso in uno sfondo colorato di manifesti datati che ricostruiscono la storia del nostro artista. Dal pianerottolo affrescato si salgono le scale che conducono al primo piano: questo livello dispone di tre camere da letto, un bagno, un disimpegno e una grande terrazza. La camera matrimoniale, che si affaccia su via Maioli, presenta lo stesso tipo di soffitto della sala da pranzo, composto da travi in legno dipinte di bianco su uno sfondo color verde salvia. Dalle travi pendono come marionette numerose sagome in legno: uccelli di forme e colori diversi, figure simili a manichini ma anche Pinocchio, un pesce e uno specchio (foto 19-20). Sono i pochi pezzi salvati dai roghi di fine Carnevale: Lotti, infatti, ha dipinto per molti anni i carri del Carnevale dei Bambini, un’ occasione per lui di confrontarsi con la scultura in legno, dalla quale sono nate molte opere interessanti (come la già citata Raffaella Carrà e La ballerina di flamenco). I quadri che circondano la testata del letto sono per la maggior parte di soggetto religioso, come la Madonna della Macarena o il Sant’Antonio Abate accompagnato dal porcellino, suo attributo iconografico (foto 20). Molti sono i dettagli nei quali è riconoscibile la mano dell’artista, come i paralumi delle abatjour sui comodini, o la semplice genialità di Giuseppina che sfrutta i bracci dei lampadari a candelabro per riporre le sue 31 collane (foto 21). Come in ogni stanza della casa, anche qui i libri hanno trovato il loro posto, alcuni nei comodini, altri nelle mensole sopra la porta, altri ancora impilati sotto la finestra. Sopra l’armadio posizionato accanto al letto, si schierano alcune statuine in terracotta e ceramica come le teste fra cui è riconoscibile l’autoritratto di Dilvo. Sono appesi alle pareti diversi quadri, perlopiù di piccole e medie dimensioni: tra questi, quattro acqueforti di Francesco Chiappelli ricevute come dono di nozze e altre opere di Lotti, come il famoso ritratto di Giuseppina, immagine simbolo del manifesto di una mostra che compare in una parete al pianterreno. Molto importanti sono le due medaglie in bronzo, opera di Pietro Parigi, che Lotti ha ricevuto «in eredità» dal suo maestro: sono i ritratti dei genitori di Parigi realizzati con la tecnica dello stiacciato, un ricordo affettivo molto importante ed ulteriore testimonianza della stima di «Pietrino» (così veniva chiamato dagli amici) nei confronti del discepolo Lotti. Contribuiscono a vivacizzare i muri della camera i piatti in ceramica dipinta con volti femminili, che in alcuni casi ricordano la fisionomia di Giuseppina. Dall’altro lato del piano si trova quella che una volta era la camera di Mamma Giulia (foto 22). È un locale più piccolo rispetto alla camera matrimoniale, con due lettini, un armadio e un comò. Nella stanza si registra un altro interesse di Dilvo Lotti, quello per il genere caricaturale, in particolare per le opere di Honoré Daumier. Di quest’ultimo si trova incorniciato il manifesto di una mostra tenutasi nel 1999 alla Galleria nazionale del Grand Palais di Parigi. La locandina consiste nella famosa immagine di Don Chisciotte in sella a Ronzinante, forse la più famosa tra le tante riprodotte dall’artista francese. La pennellata sciolta, il colore libero dal disegno, le scarne silhouettes delle figure di questo dipinto datato 1870, hanno attirato l’interesse di Dilvo Lotti, portandolo a sviluppare più volte questo tema, una 32 variante del quale si può ammirare in quella stessa parete che ospita il manifesto di Daumier. È a tutti noto il rapporto di amicizia tra Dilvo Lotti e Pietro Parigi, nato quando Dilvo frequentava ancora l’Istituto d’Arte a Firenze. Tra i due sono intercorse varie collaborazioni, come quella nell’attività promozionale dell’Istituto del Dramma Popolare, per il quale Pietro Parigi realizzò molte locandine, oggi sparse un po’ per tutta casa. Scrive Lotti: «Mi sono trovato depositario di tutta, o quasi, l’opera di Pietro Parigi. […] Depositario forse perché lo scolaro di campagna, quale ero e sono di lui sino dagli anni ’30, ha avuto, immeritatamente anche in seguito, la sua familiare stima» 10 . Di questa importante “eredità” abbiamo già citato la collezione di ritratti e i ritratti in bronzo dei genitori. Con la fondazione del Museo Pietro Parigi presso la basilica di Santa Croce, molte xilografie sono state donate a padre Massimiliano Rosito. Tra quelle rimaste in casa, tre si trovano appunto nella camera di Mamma Giulia, esposte sopra le testate dei due letti: sono incisioni a carattere religioso, nelle quali compare sempre la figura di Cristo, come nel linoleum del 1981 L’indifferente. Una porta-finestra conduce nell’ampia terrazza che si estende complessivamente sul soffitto dello studio al pianterreno. Anche questo spazio aperto non è stato escluso dal tocco dell’artista: la balaustra bianca alterna una ringhiera semplice a delle spirali volutamente sbilenche (foto 23); sul muro esterno della casa troviamo nuovamente delle ceramiche conficcate nell’intonaco, un angelo, un pesce, un gallo e altri soggetti, alcuni di Otello Pucci, altri di Lotti. La camera ha accesso diretto al bagno attraverso una porta dipinta su entrambi i lati da un amico pittore di Dilvo: l’esterno presenta alcuni scorci sanminiatesi mentre sul lato interno rivolto verso i servizi igienici, è dipinta una simpatica scenetta: una corte di palazzi ospita tante figurine affacciate alla finestra, «ci si 33 sente osservati anche in bagno» 11 , dice Lotti ridendo (foto 24). Il bagno ha un’altra porta, oltre a quella appena citata, che si apre su una terza camera ricavata in un piccolo ambiente, passaggio obbligato per accedere alle scale dell’ultimo piano. La testata del letto è costituita da una singolare Crocifissione di Lotti: un misto di tecniche, dal supporto in legno, al collage di giornali sul fondo, ai personaggi in ceramica dipinta, riproduce perfettamente la concitazione della scena, arricchita inoltre da forti striciate di colore (foto 25). Le pareti di questo spazio sono l’immagine del primo Lotti, il giovane artista agli esordi nella sezione di Arti Grafiche: tra le incisioni troviamo tre immagini del nonno, che più volte si prestò a fare da modello per le composizioni del nipote, precisamente Nonno Natale e Gonghe del 1937, un ritratto a figura intera del 1933 e uno a mezzo busto del 1934; un’incisione della serie Corse con la staffetta del 1937; un particolare dell’opera Le Parche del 1937 ed altri due ritratti risalenti sempre a quel decennio (foto 26). Da notare un altro dettaglio: gli scuri della finestra dipinti con una fantasia di fiori e frutti dove predomina il colore verde. Un’altra rampa di scale conduce all’ultimo piano dell’edificio, dove si colloca il laboratorio dell’artista. Lungo le pareti che si estendono sopra ai corrimano, sono appesi alcuni quadri dai soggetti e tecniche diverse ed un grande stendardo in stoffa su cui è scritto “Te ed Io ‘51”: questa sorta di tarsia di stoffe colorate alla Depero è il risultato di una collaborazione tra Dilvo, che ha disegnato le sagome, e Giuseppina che le ha pazientemente tagliate e cucite (foto 27). Il laboratorio è un luogo suggestivo, non più sfruttato come un tempo, ma rimasto tale e quale a quando Lotti vi lavorava ancora. In ogni angolo si trovano tubetti, pennelli e spatole come fossero ancora oggetti d’uso quotidiano. Almeno tre cavalletti sorreggono delle tele finite, mentre altre già incorniciate sono 34 accatastate ai lati della stanza. I libri, oggetti onnipresenti all’interno della casa, occupano un intero armadietto situato in cima alle scale, proprio all’ingresso del laboratorio; sono poi disposti lungo la parete est attrezzata a libreria, e in ogni mobile contenuto nella stanza (foto 28). L’ambiente è strutturalmente costituito da muri color sabbia nei quali sono state ricavate delle «buchette» poco profonde che custodiscono libri; coi mattoni è stata realizzata una mensola che corre lungo la parete ovest, piano d’appoggio per pennelli, conchiglie, soprammobili e ancora libri (foto 29). Il soffitto rivestito in legno è solcato da massicce travi portanti alle cui estremità si trovano dei mensoloni scolpiti da Rolando Filidei, allievo con Lotti dell’Istituto di Porta Romana; sono rappresentate le Arti, la Madonna col Bambino e i ritratti di Dilvo, Giuseppina e Mamma Giulia, tutti recanti dedica incisa (foto 30-31). Lotti ha studiato con cura l’illuminazione del locale: oltre alla grande finestra orientata a nord, che sostanzialmente costituisce la motivazione dell’esistenza di questo ultimo piano, l’altra fonte di luce consiste in alcuni faretti direzionabili che illuminano l’ambiente di una luce soffusa. Se ogni stanza della casa è depositaria dei ricordi di Lotti, il laboratorio dell’ultimo piano è custode degli stimoli creativi del pittore e dei suoi «periodi», come il famoso “periodo spagnolo”. Già all’inizio della sua carriera fu notata in Lotti una certa somiglianza con i maestri spagnoli, in particolare con El Greco. Spinto da questa affermazione che vedeva d’accordo molti critici, Lotti visitò più volte la Spagna, alla ricerca dell’ambiente in cui si erano formati i pittori ai quali era stato paragonato. Dai suoi viaggi Dilvo tornava a San Miniato carico di taccuini pieni di schizzi e di stimoli, e nel suo laboratorio affinava le idee realizzando una grandissima quantità di quadri che connotano appunto il “periodo spagnolo”. La Spagna di Dilvo vive 35 nei ventagli colorati riprodotti sulle tele, nel manifesto della corrida di Madrid e in quello della rappresentazione teatrale di “Mariana Pineda”, opera di Garcìa Lorca che Lotti portò in scena a Pontedera alla fine degli anni Quaranta (foto 32). Perfino due piccoli tori soprammobili disposti sulla mensola a muro ci conducono a quel momento così produttivo nella carriera dell’artista sanminiatese. Molti oggetti contenuti nel laboratorio sono stati riprodotti nelle tele di Lotti; questo è accaduto alla bizzarra bottiglia traforata da un massiccio chiodo o alla surreale sagoma femminile acefala, che tiene in mano uno specchio su cui si riflette un volto; entrambi, ad esempio, si trovano dipinti insieme ai coniugi Lotti in un quadro al pianterreno (foto 33). La vocazione per la xilografia ritorna anche al terzo piano, attestata dal manifesto di una mostra dedicata a Lorenzo Viani xilografo, tenutasi a Viareggio nel maggio del 1976. Il laboratorio, però, non è attrezzato per svolgere questa pratica anche se Lotti in realtà non l’ha mai lasciata: «il rapporto con la xilografia e Pietro Parigi non l’ho mai abbandonato; congenialmente il frequentare le tipografie sanminiatesi Bongi, Gioncada, Palagini, ha significato la pratica quotidiana di questo mezzo incisorio» 12. Non mancano le sculture, come la figura femminile a tutto tondo e i bassorilievi di Rolando Filidei, oppure l’esotica statua totem originaria dell’Africa, ricevuta in regalo dal cognato ingegnere (foto 34). Dilvo e Giuseppina hanno arredato la loro casa di ricordi preziosi sul piano affettivo, senza seguire il criterio espositivo da museo con il pezzo migliore più in luce degli altri. La loro casa fedele alle tradizioni toscane, si apre anche agli influssi internazionali, accogliendo fra le sue mura sculture tribali e stampe orientali, affiancate da angeli e santi in terracotta refrattaria. La gentilissima ospitalità di Dilvo e Giuseppina, sempre pronti ad accogliere ospiti da tutto il mondo, arricchisce continuamente la casa di soprammobili, 36 biglietti, libri, fotografie e oggetti di ogni genere. Questo, però, non intralcia con il criterio di arredamento degli ambienti, che resiste al tempo per volontà dello stesso Lotti, disposto a fare soltanto dei minimi cambiamenti: «quando ho attaccato un quadro o posizionato un mobile, non lo cambio più. Dei cambiamenti minimi si possono anche fare, purché restino minimi» 13. Una tale volontà di preservare la casa da bruschi cambiamenti si manifesta, ad esempio, nella decisione di riprodurre su tavole di legno gli affreschi danneggiati nella sala da pranzo. Ci sono alcuni elementi della casa che svolgono in un certo senso una funzione di sfondo, costituendo una sorta di habitat ideale per tutti gli oggetti che essa contiene e che continuerà ad accogliere. 37 Note 1 D. LOTTI, Autobiografia 1941, in Dilvo Lotti. Pitture, sculture, incisioni dal 1930 al 1980, catalogo della mostra (Cerreto Guidi, Villa Medicea, ottobre 1980), San Miniato, Tipografia Palagini, 1980, p. 1 2 S. GHIBERTI, Ama l’arte e una città – “Gente”, 24 agosto 1970, 1980,p. 37 3 L. TESTAFERRATA, Il ritorno di Dilvo Lotti –“ La Nazione”, 1 settembre 1970, 1980, p. 38 4 S. GHIBERTI, 1980, p. 36 5 S. GHIBERTI, 1980, p. 37 6 D. LOTTI, San Miniato: vita di un’antica città, Genova, Sagep, 1980, p. 236 7 Intervista a Dilvo Lotti, 3 marzo 2009 8 L. MACCHI, Dilvo Lotti: un maestro dell’espressionismo europeo, catalogo mostra a cura di L. MACCHI, San Giuliano Terme, Felici, 2006, p. 27 9 Casa della Gioventù del cardinale Samorè, costruita nel 1955-58 su progetto di Leonardo del Bufalo, ha facciata a capanna e campanile a torre in cemento armato. All’interno la Via Crucis dipinta, due grandi dipinti nel coro e le pale da altare di lato allo stesso, sono opera di Dilvo Lotti (1960). 10 Intervista a Dilvo Lotti, 3 marzo 2009 11 D. LOTTI, Ragioni di una mostra e di una scelta, in Omaggio a Pietro Parigi, catalogo della mostra (Firenze, Galleria Santa Croce, 18 – 31 marzo 1967), Firenze, Edizioni d’Arte Santacroce, 1967, p. 15 12 Su Pietro Parigi esiste un’ampia bibliografia; fra tali contributi cfr. D. Lotti, Pietro Parigi incisore fiorentino (nota storico-critica di Anna Maria Manetti Piccinini), Firenze, Cassa di Risparmio di Firenze, Giunti, 1993; Lotti ripercorre la vita dell’artista di Settimello, dalle vicende personali ai successi lavorativi includendovi un’appendice delle opere più importanti dell’artista; ancora D. Lotti (a cura di) Pietro Parigi, un protagonista del XX secolo a Firenze, Accademia degli Euteleti, Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, 2001 13 Intervista a Dilvo Lotti, 16 marzo 2009 14 D. LOTTI, Biografia, in Dilvo Lotti. Opera grafica 1931-1998, catalogo della mostra (Santa Croce sull’Arno, Villa Pacchiani, 10 aprile – 9 maggio 1999), a cura di N. MICIELI, Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, 1999 38 15 Intervista a Dilvo Lotti, 3 marzo 2009 39 Capitolo III Conclusioni La casa di Dilvo Lotti a San Miniato è una casa d’artista non solo perché costituisce la dimora di un uomo che vive d’arte, ma soprattutto perché presenta delle caratteristiche generali riconducibili a questa tipologia di abitazione. Per un artista modellare la propria casa fu ed è ancora importante 1: lo fu nel passato quando essa esibiva le ambizioni di una categoria di elevarsi ad uno status sociale sempre più alto, ma lo è ancora oggi che l’individualità superiore dell’artista è ormai consolidata 2 . La casa d’artista, nella sua definizione architettonica, di decorazione e di arredo, si presenta come un sistema autoreferenziale, può essere «letta» in riferimento a ogni altra opera da lui prodotta, ma al tempo stesso si trova in una posizione privilegiata perché in essa l’artista è committente di se stesso 3. Se la casa d’artista dalla metà del Quattrocento appare concepita soprattutto per soddisfare certi meccanismi di autopromozione e per lasciare ai posteri un’immagine ufficiale e celebrativa del suo proprietario 4 , allo scoccare dell’ultimo decennio dell’Ottocento diviene essa stessa opera d’arte, oggetto offerto alla fruizione dell’intenditore consapevole 5. «Compenetrare arte e vita», l’ideale di tante case d’artista fra Otto e Novecento, vorrà dunque dire colorare la vita dei vestimenti dell’arte, non dismettere mai, né in bottega, né in casa, i panni ormai prestigiosi dell’artista 6. L’abitazione di Dilvo Lotti può essere analizzata in riferimento a certi filoni storico-artistici e confrontata con alcune dimore di pittori del passato per rintracciarne affinità e differenze . Sappiamo che nel 1955, appena comprata la casa, Lotti si concentrò come prima cosa sulla decorazione della facciata. Essa, paragonabile alla copertina di un libro, 40 anticipa quello che il visitatore troverà all’interno: la grande natura morta composta da frutti, vasi di fiori e maschere riflette l’eterogeneità degli oggetti che la casa custodisce, mentre la tavolozza graffita e quella modellata in terracotta rimandano all’atelier del pittore, configurandosi quasi come un’insegna di bottega che specifica l’identità di chi vi abita. La decorazione programmatica della propria abitazione era una prassi abbastanza comune tra i pittori del passato. Per quel che concerne la facciata nello specifico, Lotti avrebbe dunque dei corrispondenti illustri in Frans Floris, che pensò la facciata della propria casa di Anversa come una sorta di manifesto della pittura 7, o ancor meglio in Rubens, il quale proiettò i due ambienti di maggior prestigio del suo palazzo di Anversa, la collezione di sculture antiche e l’atelier del pittore, nella facciata rivolta sul giardino interno 8. La casa-torre di via Maioli non è certo un palazzo signorile e non ha mai avuto le pretese di diventarlo; i motivi che hanno spinto tanti pittori del passato ad «abbellire» le proprie dimore sono molteplici, alcuni dei quali forse ormai superati. Quello che ha spinto Dilvo Lotti a «firmare» la facciata della sua abitazione altrimenti confondibile tra i tanti prospetti medievali del centro storico, è riconducibile al linguaggio forte e immediato della sua arte 9, alla volontà di esprimere la sua fantasia inventiva plasmando tutto ciò che lo circonda, dunque l’ambiente che abita. Il programma decorativo concepito da Lotti non stona assolutamente con il carattere storico dell’edificio, tantomeno con il contesto in cui esso si trova, quello cioè di un borgo medievale alla quale peraltro Dilvo e Giuseppina sono profondamente legati. Nel caso della loro abitazione, infatti, non è possibile compierne un’analisi completa prescindendo dal legame di Dilvo con la sua città, per la quale si è calato nei panni dello storico locale scrivendo San 41 Miniato: vita di un’antica città 10, il libro che ne racconta la nascita e gli sviluppi nel susseguirsi delle epoche. Dilvo Lotti conosce e ama profondamente la sua terra; un tale senso campanilistico si traduce anche all’interno della casa, evocato dai tanti panorami sanminiatesi dipinti dall’artista o dalle locandine degli eventi culturali della città ai quali Lotti ha dato il suo contributo. Il nostro artista dunque ritrova nella casa-torre tutto ciò di cui ha bisogno: «ogni mattina, aperte le finestre, il cavalletto con la tela - vela da portarsi avanti è la felicità quotidiana da servirsi a tavola» 11, con la festosa e affettuosa assistenza di Giuseppina, compagna di vita e di esplorazione 12 . Consapevole di quale fosse e sarebbe sempre stato il suo mondo, Lotti si è impegnato nella definizione di uno spazio abitativo che potesse soddisfare le sue esigenze di artista, di cultore della letteratura ma anche più semplicemente di marito: ecco quindi la creazione dello studio al pianterreno prima, e di quello definitivo in soffitta poi, nella continua ricerca del perfetto ambiente lavorativo, con la volontà di restituire l’antico splendore alla casa-torre preservandone il valore storico. Lo studio, che con l’abitazione ha sempre intrecciato un rapporto simbionte così che si può legittimamente pensare che non ci fosse casa d’artista, a partire dagli inizi del Quattrocento, che non ne prevedesse uno 13, è il luogo dell’elaborazione culturale e lo sfondo di ogni prima sperimentazione artistica 14 . Per un artista contemporaneo questa affermazione si carica ancor più di significati: potendo elaborare liberamente l’opera, senza l’obbligo di attenersi ad un certo programma dettato su commissione, l’artista contemporaneo si circonda di ciò che può influenzarlo positivamente, allestisce nello studio il suo habitat ideale in maniera che quest’ultimo possa ispirarlo durante la realizzazione dei suoi lavori. 42 Come nell’atelier di Eugène Delacroix a Parigi anche nel laboratorio di Lotti regna una certa confusione, cavalletti e ripiani colmi di volumi e pennelli, quadri di ogni formato e soggetto appesi alle pareti, che trovano nella grande vetrata centrale il loro punto ordinatore 15 . Anche August Macke, nella sua dimora di Bonn, scelse l’ultimo dei tre piani per allestire il suo atelier nel quale dipingeva e incontrava gli amici più intimi: da questo luogo che vide nascere più di quattrocento opere passarono Max Ernst, Robert Delaunay, Guillaime Apollinaire e Franz Marc. La casa divenuta museo espone anche numerosi ritratti, schizzi e disegni che riproducono Elisabeth, moglie e musa ispiratrice del pittore, figura che accompagnò tutte le fasi dei suoi sviluppi stilistici 16. Dilvo Lotti lavora circondato da centinaia di opere, buona parte delle quali sono state realizzate da lui nel corso di una lunga ed operosa carriera; lungo le pareti dello studio sono esposti disegni, manifesti, xilografie, cui bisogna aggiungere diverse sculture, conchiglie (quelle che Pedretti chiama i “nichi” di Leonardo a San Miniato al Tedesco 17 ), fotografie e libri. Ma il requisito necessario, se non fondamentale, al dipingere quotidiano del nostro artista, è la presenza dell’amata Geppina (affettuoso nomignolo con il quale viene chiamata ormai da tutti la signora Lotti), musa ispiratrice e compagna di vita proprio come lo fu Elisabeth per August Macke. L’immagine di Geppina ricorre in tutte le stanze, riprodotta nelle acqueforti, negli acrilici e in ceramica; tutte le tecniche sperimentate dall’artista hanno omaggiato la sua figura; la casa stessa diviene il supporto per un’altra sua rappresentazione, l’affresco che la ritrae insieme alla sveglia, emblema del tempo. Il pianerottolo affrescato esprime quelli che Lotti descrive come i «motivi che ritengo per me importanti» 18, quindi i soggetti religiosi sullo sfondo della città di San Miniato, di fronte a Geppina, personalità femminile più influente nella vita 43 del pittore, riuniti sotto la tavolozza impressa sulla volta. Ciò che può essere considerato una sorta di manifesto «in piccolo» degli intenti artistici di Lotti, accoglie l’ospite in un punto nodale nella pianta dell’abitazione; da qui, infatti, si articolano gli ipotetici percorsi di visita agli ambienti della casa, si possono salire le scale oppure si prosegue dritto fino allo studio-salotto. Già da un’analisi superficiale dei locali, risultano immediatamente percepibili le corrispondenze tra il gusto con cui Lotti ha arredato, nel senso più ampio del termine, il suo spazio vitale, e il criterio con cui l’artista organizza lo spazio delle sue composizioni. L’affollamento delle suppellettili nelle stanze è paragonabile a certe sue nature morte o ad alcune tele nelle quali la figura umana viene affiancata ad oggetti bizzarri, il più delle volte realmente esistenti ed esposti in casa. L’edificio racchiude in sé gli stessi colori della tavolozza di Lotti; quella «certa spettralità di bianchi e di neri, certa acidità di gialli, di verdi, di rossi» 19, come li definì Ardengo Soffici negli anni Trenta, avvolgono l’ambiente in un’atmosfera surreale, tanto che si ha la sensazione di entrare in una delle sue tele. Il disordine-ordine che regna negli spazi della casa è qualcosa di puramente istintivo, è un criterio di arredamento che non segue alcuna logica di sfarzoso collezionismo o al contrario di pittoresca confusione delle dimore dei bohêmiens: è un volersi circondare di oggetti che, come piccoli tasselli, ricompongono la storia di una vita. Carlo Pedretti coglie in certe scelte del nostro una somiglianza con Oscar Kokoschka, che a Londra, negli anni Quaranta, riempiva le pareti e i soffitti della casa di chi a lungo l’ospitò, il Conte Seilern: «come Kokoschka, con il quale condivide l’ammirazione per Cèzanne, Dilvo Lotti ha animato la propria casa-torre a San Miniato al Tedesco con le testimonianze della sua lunga, fervida e ancora esuberante carriera» 20. 44 Durante il Novecento il concetto di casa-atelier subisce continue evoluzioni. L’interesse per la figura dell’artista si allarga fino a comprendere l’intero microcosmo in cui esso vive e opera 21 . Oltre a deposito di memorie la casa è intesa come teatro di eventi vitali, nella quale l’artista, accumulando segni e stabilendo nuove relazioni visive tra gli oggetti, contribuisce, nel generale collage di evocazioni, a suscitare un forte interesse e provocare stupore nel visitatore 22. Il processo di accumulazione e di esibizione coinvolge anche gli ambiti della vita domestica, quali le camere da letto o le sale da bagno, un tempo giudicati più riservati. Questa sorta di teatralizzazione degli spazi privati, è riscontrabile anche in casa Lotti: ne costituiscono un chiaro esempio la camera matrimoniale e il bagno, entrambi situati al primo piano, e numerosi piccoli dettagli nei quali si percepisce il tocco dell’artista. La camera dei due coniugi è l’ambiente dove si concentrano maggiormente le sagome tridimensionali lignee reduci dei corsi carnevaleschi: il particolare allestimento «aereo» che le vede protagoniste, simile alla messa in scena di un immobile spettacolo di marionette, regala alla stanza un aspetto giocoso, spontaneo, unico in tutta l’abitazione. Percorrere gli ambienti di casa significa immergerci in una caccia al tesoro per scoprire il particolare più stravagante e le inaspettate stranezze che contribuiscono a celebrare la personalità dell’artista: una trave asimmetrica dipinta di rosso cattura lo sguardo di chi scruta il soffitto chiaro della sala da pranzo, «poi lassù vedi - mi racconta Dilvo - c’era quel travicello che dava noia e volevamo nasconderlo, quindi s’è fatto rosso» 23 ; uscendo dal portone principale un divertente promemoria illustrato ci avvisa: “ricordati occhiali, portafoglio…”. Nel sobrio bagno di piastrelle bianche la fantasia dell’artista si concentra tutta sulla decorazione della porta, che con i suoi palazzi gremiti di piccoli voyeurs strappa un sorriso a chiunque si trovi a dover usufruire dei servizi igienici. 45 Un caso estremo di profanazione della dimensione intima è costituito dalla casa di Salvador Dalì a Portlligat, in Costa Brava: lo spettacolo irrazionale dell’individualismo eccessivo, guidato da un’intensa sensibilità surreale, suscita, oggi, a posteriori, una calorosa accoglienza: la percezione dell’ignoto reso con mezzi semplici stimola la meraviglia agli occhi del visitatore 24. La casa di Dalì è organizzata come un museo delle emozioni, le stesse che si provano nel visitarla. In questo somiglia, seppur con grosse differenze stilistiche, all’abitazione di Dilvo e Geppina, i quali hanno raccolto negli anni le singolari testimonianze delle loro esperienze e dei loro rapporti interpersonali; mobili e soprammobili finiscono con lo sciogliersi dai criteri estetici tradizionali, per assumere significati e valenze sentimentali 25 ; ogni singolo oggetto riesce a trovare la sua collocazione ideale, che sia esso un quadro di valore o un semplice souvenir. Nella casa di San Miniato Dilvo e Geppina hanno allestito la propria finestra sul mondo. I loro viaggi sono narrati sui muri e sugli arredi: manifesti e soprammobili che racchiudono i ricordi dei «pellegrinaggi» nella terra di El Greco, i riconoscimenti delle mostre in Germania e Inghilterra, e le stesse opere dell’ artista ricche di rimandi di questo tipo. Non tutto ciò che vediamo, però, appartiene direttamente alla memoria dei padroni di casa: le stanze custodiscono alcune suppellettili «esotiche», quali il totem africano del laboratorio o le stampe giapponesi in sala da pranzo, che Dilvo e Geppina hanno ricevuto in regalo da amici e parenti. La particolarità di certi doni è riconducibile all’interesse con cui l’artista si rivolge ad altre culture portatrici di un bagaglio di costumi e tecniche diverse dalle nostre. I regali che riceve, dunque, vengono tutti esposti per la gioia di chi, consegnandoli affettuosamente all’artista, riesce a ritagliarsi uno spiraglio di memoria in questa casa affollata di ricordi. Alcune collezioni, come quelle dei gufi e delle conchiglie, sono cresciute nel 46 tempo grazie ai doni delle tante persone che ogni giorno fanno visita a Dilvo e Geppina portando con sé un presente, quasi come fosse un ex-voto da relegare in questa sorta di tempio della memoria esposta. Il continuo accumularsi di oggetti, come ondate che lasciano sulla riva nuovi materiali e ne rimescolano i vecchi 26, farebbe pensare a ripetute trasformazioni nell’allestimento degli spazi; in realtà ciò non accade o avviene solo in parte. La casa si configura sì come un organismo vivo ma subisce soltanto cambiamenti minimi, come il leggero spostamento di un soprammobile per far posto ad un altro, o il posizionamento di un nuovo quadro in mezzo a quelli già appesi. Tendenzialmente i mutamenti riguardano l’incremento delle suppellettili, in una sorta di «stratificazione» di memorie, e quasi mai la loro rimozione o il rinnovamento degli arredi. Un paragone può essere fatto tra certi ambienti di casa Lotti e le abitazioni del XIX secolo, nelle quali la concentrazione di elementi di arredo, l’affollarsi del bric-à-brac e dei soprammobili si spiegava con l’ossessione di tenere tutto con sé, come per prepararsi a un lungo viaggio, o come gli antichi che portavano nella tomba gli oggetti e le memorie della vita quotidiana 27. Dilvo Lotti ha scelto San Miniato come luogo deputato all’invenzione artistica e al vivere quotidiano e nella sua casa-torre ha ricreato un ambiente fertile per l’immaginazione creativa. La casa costituisce una sorta di biglietto da visita dell’artista, poiché in essa vengono dichiarate le sue attitudini attraverso l’esposizione dei «prodotti» della sua arte: dagli acrilici e acquarelli, alle incisioni realizzate con varie tecniche, dalle ceramiche dipinte agli assemblaggi lignei, fino alle locandine che attestano la passione e l’impegno del nostro per il teatro. Il teatro per Lotti significa in primo luogo la nascita dell’Istituto del Dramma Popolare nel 1947 e, sempre in quegli anni, l’esperienza come regista dei tre spettacoli rappresentati a Pontedera. Il primo manifesto dell’Istituto è conservato 47 nello studio dell’ultimo piano: di piccolo formato, sul quale spiccano il nero dell’incisione e il rosso del titolo, annuncia lo spettacolo che si sarebbe svolto in piazza del Duomo, La Maschera e la Grazia di Henri Ghéon, per il quale Dilvo realizzò la scenografia e i costumi. Da questa prima rappresentazione ha avuto origine la Festa del Teatro, che ancora oggi si svolge nel mese di luglio nelle piazze della cittadina medievale, con la stessa volontà di intenti dei suoi padri fondatori, quella cioè di proporre un teatro di contenuti, che possa fornire allo spettatore spunti di riflessione sui valori ed i principi della fede. Testimoni della prima rappresentazione di La Maschera e la Grazia furono il filosofo francese Jacques Maritain e lo scrittore rumeno Vintilǎ Horia, che nel suo libro Diario di un contadino del Danubio, pubblicato nel 1966, riporta la testimonianza di quei giorni passati a San Miniato e della cena a casa del pittore Dilvo Lotti «che abitava una casa zeppa di stanze e di corridoi, dove i vini furono squisiti, i cibi abbondanti…» 28 . Il teatro costituisce un capitolo importante nella vita del nostro artista, un impegno di cui ne è testimone la casa stessa: all’ultimo piano, infatti, una parete ospita, oltre a quello già citato, il manifesto della rappresentazione teatrale “Mariana Pineda” di Garcìa Lorca. L’opera messa in scena a Pontedera, di cui Otello Cirri, artista e amico di Dilvo, ne era appena divenuto sindaco, lo vide questa volta alle prese con il lavoro di regia 29. Se esistono differenze per quanto concerne le mansioni che Lotti svolgeva nella promozione delle iniziative teatrali delle due cittadine, appartengono alla stessa tipologia esecutiva le immagini raffigurate nelle locandine di entrambe. Le xilografie degli spettacoli hanno costituito per Lotti un momento fondamentale di esercizio di questa arte incisoria. Lo studio dell’artista non può che notificare tali impegni senza tuttavia disporre di spazio e mezzi necessari allo svolgimento di tale pratica. In esso sono custoditi gli strumenti del Lotti pittore, pennelli, 48 spatole e colori, nello stato di apparente disordine in cui solitamente si trovano gli attrezzi del mestiere quando l’opera è ancora in via di sviluppo. Dico “apparente” poiché sono già alcuni anni che lo studio non è più «operativo» e che l’ambiente di lavoro del pittore è stato trasferito al pianterreno; questa perciò è probabilmente l’unica stanza della casa in cui si ha la sensazione di essere avvolti da un’aria di «vita fermata», in cui gli oggetti sono sottratti al tempo che fugge 30. Preservare questo locale da modificazioni e rinnovamenti risponde al desiderio di soddisfare il proprio bisogno di eternità, e di perpetuare l’immagine del suo studio-atelier come si presentava quando egli vi lavorava ancora 31. Una tale premura nei riguardi della conservazione integrale del laboratorio si spiega col significato che esso assume già agli inizi del Novecento, quando la casa non viene più intesa come un semplice alloggio casuale, ma diventa la casa-studio permanente che identifica un apprezzato artista; la presenza di uno studio personale dove egli crea, accumula, confronta, di cui è a tutti noto l’indirizzo, le curiosità, le stranezze e le frequentazioni, sostituisce per sempre i compiti che aveva svolto, per molto tempo, lo spazio della bottega 32. La volontà di mantenere «in vita» questo luogo ormai escluso dalla consuetudine del pittore, non è altrettanto riscontrabile nel sottostrada, altro ambiente poco sfruttato, che ha assunto ormai la forma di un suggestivo deposito libri, privato di alcun segno di utilizzo quotidiano. Questa scelta è giustificata dal ruolo che lo studio riveste quale elemento indicativo della casa d’artista, connotato da proteggere contro l’azione del tempo. Lo studio, dunque, diventa l’elemento caratterizzante dell’abitazione, il luogo di culto dell’artista, teatro e tempio dell’arte che egli ha plasmato col suo genio creativo, in maniera tale da poter soddisfare tutte le sue esigenze lavorative. 49 Qui Lotti ha concentrato tutti i suoi interessi, da quelli prettamente artistici, simbolicamente dichiarati dai mensoloni scolpiti di Filidei, a quelli per le lettere, che trovano riscontro nelle centinaia di libri raccolti con entusiasmo; la collezione si presenta come un attributo dell’artista, l’esibizione delle opere d’arte da lui stesso scelte a modello, a paragone o a diletto 33. Da notare il fatto che nello studio troviamo la massima concentrazione di autoritratti presente in casa, un mezzo per l’artista di marcare il suo spazio personale per eccellenza. Tutta la casa, di conseguenza anche lo studio, ci racconta che Dilvo Lotti è un artista poliedrico, un uomo che si pone al servizio della cultura in qualsiasi forma essa si presenti. Accostarsi alla scrittura significa per Lotti percorrere una strada diversa per esprimere quei temi a lui cari, primo fra tutti la città di San Miniato; così nel romanzo La morte del paese le impressioni autobiografiche vengono brillantemente camuffate da fantasie letterarie che si alternano a illustrazioni. Lotti continua tuttora a scrivere e illustrare libri e, in collaborazione con la Tipografia Palagini, realizza più edizioni de Il Guardiano del Bellorino. Detti memorabili noti e no, nelle quali l’attitudine dell’artista per il genere caricaturale si sprigiona in numerose e divertenti immagini. L’estro letterario di Lotti viene alimentato proprio dal suo vivere adiacente al fantomatico vicolo il cui «Guardiano, per suo diletto, trascriveva su carte di fortuna le curiosità ascoltate; tasselli di vita spicciola, scurrilità e sentenze» 34. Ancora una volta la casa gioca un ruolo importante nell’immaginario creativo dell’artista, fornendogli continuamente nuovi spunti da approfondire ed elaborare. Dilvo Lotti è allo stesso tempo artista e storico dell’arte, intenditore e amateur; curò nel 1959 la “Mostra del Cigoli e del suo ambiente” mentre nel 1966 fu ordinatore del Museo Diocesano d’Arte Sacra di San Miniato; colleziona con passione le opere degli artisti suoi amici ed espone orgogliosamente i frutti dei 50 suoi «scambi-merci», memori spesso di legami affettivi tra ex-compagni dell’Istituto d’Arte. Dice Dilvo: «c’è chi ha passione per le macchine, chi per le motociclette o la casa al mare; noi non abbiamo mai avuto desideri di questo genere ma ci è sempre interessato collezionare disegni, incisioni e libri» 35. Rivelando qualità da museologo, Lotti ha definito un programma ordinatore per le sue collezioni, che ha tenuto conto dei formati, dei soggetti e degli autori dei quadri. Nel disimpegno al pianterreno, uno spazio rettangolare piuttosto stretto ma con il soffitto alto, le ampie pareti bianche ospitano la collezione dei pittori toscani, in particolare empolesi: quadri di piccolo e medio formato, soprattutto autoritratti, genere a cui gli artisti del Novecento si sono dedicati con tecniche sperimentali e di scomposizione che ne hanno segnato l’assoluta eterogeneità, svelando momenti specifici del loro percorso esistenziale e creativo. La collezione di Lotti raccoglie dunque ciò che di più personale un artista possa realizzare e la casa, intesa come spazio privato nel quale egli si propone espressamente come osservatore di se stesso 36 , diventa quindi il contesto ideale per custodire tali opere come fossero fotografie di un album di pittura locale. La sala da pranzo rivela una tipologia di allestimento relativa all’esposizione di manufatti in terracotta o ceramica, rintracciabile anche in cantina e sui muri esterni dell’edificio: l’inserimento di queste nelle pareti, fissate come mattonelle o letteralmente conficcate nell’intonaco. In sala da pranzo, l’unica stanza affrescata della casa se si esclude il pianerottolo, le ceramiche offrono spunti creativi per il pittore che le riproduce nei graffiti, mentre nel sottostrada e in alcuni punti esterni dell’edificio, incastrate nell’intonaco, svolgono un ruolo decorativo unito alla dimostrazione di questo ulteriore interesse dell’artista. Le ceramiche di Lotti si affiancano a quelle di altri 51 maestri non per facilitare paragoni qualitativi ma per il semplice gusto collezionistico del nostro, che segue e stima le ricerche altrui. La densa concentrazione di quadri nelle pareti del pianterreno si attenua al primo piano, dove all’intimità del «reparto notte» l’artista risponde con i toni più pacati delle litografie e le atmosfere riflessive delle tele a carattere religioso. È su questo livello che l’artista racconta i suoi esordi nella sezione di Arti Grafiche di Porta Romana, profondamente connessi alle figure di Parigi e Chiappelli: le opere degli anni Trenta sono tutte esposte nella cameretta ricavata dal disimpegno, che non a caso costituisce il passaggio obbligato per salire al laboratorio. Le incisioni giovanili aprono così l’excursus temporale della carriera di Lotti, che prosegue sulle pareti dell’ultima rampa di scale per poi raggiungere l’apice nella soffitta-laboratorio. La funzionalità del primo piano trova un perfetto accordo con i quadri che esso espone, tra i quali spicca il Ritratto di Pietro Parigi, disegno di Giovanni Costetti del 1925, mentre la camera matrimoniale accoglie altri ricordi affettivi dell’artista, come le acqueforti dono di nozze di Francesco Chiappelli o il Ritratto della madre di Pietro Parigi. Sono queste opere importanti anche per valore «commerciale», quadri che un bramoso collezionista esibirebbe volentieri alla vista dei suoi ospiti, magari ponendoli più in luce rispetto agli altri; Dilvo Lotti, invece, non si fa vanto di simili possessioni ma gode dei regali dei suoi storici Maestri d’Arte in privato, relegandoli in ambienti più appartati dove solo lui e la sua Geppina possano apprezzarne le qualità e l’affetto con il quale sono stati donati. Il rapporto tra Dilvo e i suoi insegnanti, illustri testimoni di nozze, è un legame che l’artista ha affrontato con umiltà, ponendosi sempre come lo «scolaro di campagna» 37 debitore dei loro preziosi consigli; ciò chiarisce la scelta di documentare queste relazioni in maniera discreta all’interno della casa, come a 52 voler proteggere quegli affetti dalla curiosità dei visitatori. Lotti, da perfetto discepolo di Parigi, come è da sempre considerato, ha rispettato il temperamento del suo Maestro, l’artista “fuori legge” «di una modestia indisponente, che rasenta la scontrosità e l'indolenza» 38 . Pietrino non sognò mai di andare all'estero ad arricchire il suo segno, come aveva fatto Lorenzo Viani. Per essere un bravo e moderno Maestro d'Arte dei giovani fiorentini che seguivano i suoi corsi gli bastavano Giotto e i primitivi. Con questi condivideva la dote di un disegno solido e la necessità di chiaroscuri essenziali, entrambi elementi formali a lui connaturali per rappresentare il mondo reale e l'umanità che incontrava ogni giorno, senza abbandonarsi ad alcuna forzatura grottesca o imitazione di maniera, ma con una partecipazione sincera e umana 39 . Alcune somiglianze con le scelte di Parigi si ritrovano in Lotti, la cui vita, come scrive Chiappelli «trascorsa nella soavità di un paese toscano su un dolcissimo colle, si è concentrata in una solitudine coraggiosa, in un lavoro instancabile, in una difesa di se stesso diligente» 40; come Pietrino anche Dilvo «non ha guardato quello che si faceva intorno, per mettersi al passo o affratellarsi ad una chiesuola; è stato solo, talora terribilmente solo, nel suo paese nativo di San Miniato; solo al contatto dei cieli, dei campi, degli uomini che lui poi trasognava nelle sue tele» 41 . Nell’isolamento difeso contro tutti gli inviti ad abbandonare la campagna e a metter su studio nelle grandi città, Lotti continua il suo ragionamento di colori e di segni 42. Dilvo Lotti è un artista sui generis pertanto la sua arte non può essere sottoscritta ad alcuna avanguardia o corrente storico-artistica. Si è formato sulla scia di quegli artisti che nel propagandato «ritorno all’ordine» si sono riavvicinati a quella cultura cattolica dei padri toscani quali Giotto, Arnolfo e Masaccio; ma soprattutto ha guardato alle ricerche di Pietro Parigi, che in quegli anni sviluppava per il “Frontespizio” certe incisioni di ispirazione cattolica e popolare, prive di quel 53 garbo e quella compostezza che solitamente accompagna le immagini d’arte cristiana 43. Lotti, infatti, si è sempre confrontato con i soggetti sacri proiettandoli in un contesto contemporaneo, popolare; a questo proposito ricordiamo il Gesù Divino Lavoratore del 1954, o la Fuga in Egitto del 1960, dove la sacra Famiglia fugge in vespa. Possiamo quindi cercare nelle sue opere le somiglianze con i maestri spagnoli oppure fare i nomi di coloro che lo hanno aiutato nella ricerca del giusto mezzo per esprimere ciò che sentiva, ma non sarà mai abbastanza esaustivo per definire la fisionomia di questo nostro artista sanminiatese. Dal suo spiccato individualismo deriva una disposizione di ambienti e arredi nella sua casa che trova pochi riscontri nelle dimore d’artista di oggi e dell’epoca in cui si è avviata la sua carriera. Il suo non «affratellarsi ad una chiesuola» 44 , il disinteresse a volersi adeguare ad una corrente artistica definita, si traduce nel non aver seguito uno stile preciso nell’allestimento dello spazio abitativo e lavorativo, nel rifiuto di quei canoni che vogliono la casa d’artista un’entità perfettamente classificabile in corrispondenza con l’etichetta storico-artistica alla quale egli appartiene; la casa di San Miniato non si configura con l’atelier futurista in continuo mutamento, né con i principi architettonici del Movimento Moderno ordinatori delle dimore del Bauhaus; non è un classico palazzo signorile in cui l’artista «gareggia» con il collezionista, né una residenza di villeggiatura capriccio di chi è stanco della caotica città. Quello che potrebbe, da un certo punto di vista, svalutare casa Lotti, il fatto cioè di non essere «aggiornata» secondo i movimenti artistici e architettonici internazionali, è da considerare in realtà il suo punto di forza. Ecco perché diventa così importante scoprirla nel suo essere assolutamente fuori dal tempo e dalle classificazioni, lontana dalle metropoli delle avanguardie e dalle mode che da esse derivano, poiché è in questa casa che Dilvo Lotti sviluppa e 54 sperimenta in modo appartato la sua dirompente creatività, incarnando uno dei motivi che lo hanno fatto apprezzare dalla critica. 55 Note 1 S. SETTIS, Introduzione, in Case d’artista. Dal Rinascimento a oggi, a cura di E. HÜTTINGER, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, p. IX (ed. originale E. HÜTTINGER, Kunstlerhauser von der Renaissance bis zur Gegenwart, Zurich, Waser, 1985) 2 R. P. CIARDI, “Locus ingenio”: una casa per l’immagine, in Case di artisti in Toscana, a cura di R. P. CIARDI, Firenze, Banca Toscana, 1998, p. 10 3 S. SETTIS, 1992, p. IX 4 R. P. CIARDI, 1998, p. 10 5 R. P. CIARDI, 1998, p. 27 6 S. SETTIS, 1992, p. XX 7 S. SETTIS, 1992, p. XII 8 S. SETTIS, 1992, pp. XVII-XVIII 9 C. PEDRETTI, Pittura come musica, in Dilvo Lotti, l’arte e la fede a cura di L. MACCHI, Pisa, ETS, 2008, p. 14 10 D. LOTTI, San Miniato: vita di un’antica città, Genova, Sagep, 1980 11 D. LOTTI, Il lapis del falegname, in Dilvo Lotti, l’arte e la fede a cura di L. MACCHI, Pisa, ETS, 2008, p. 12 12 C. PEDRETTI, 2008, p. 13 13 R. P. CIARDI, 1998, p. 23 14 A. DE POLI, M. PICCINELLI, N. POGGI, Dalla casa-atelier al museo. La valorizzazione museografica dei luoghi dell’artista e del collezionista, Milano, Lybra, 2006, p. 51 15 A. DE POLI, M. PICCINELLI, N. POGGI, 2006, p. 41 16 A. DE POLI, M. PICCINELLI, N. POGGI, 2006, p. 46 17 Cfr. C. PEDRETTI, Pittura come musica, in Dilvo Lotti, l’arte e la fede a cura di L. MACCHI, Pisa, ETS, 2008, p. 14: «I “nichi” di Leonardo a San Miniato al Tedesco sono da lui raccolti e disposti con la vitalità di una natura morta» 18 S. GHIBERTI, Ama l’arte e una città – “Gente”, 24 agosto 1970, in Dilvo Lotti. Pitture, sculture, incisioni dal 1930 al 1980, catalogo della 56 mostra (Cerreto Guidi, Villa Medicea, ottobre 1980), San Miniato, Tipografia Palagini, 1980, p. 37 19 A. SOFFICI, Presentazione alla XLII Mostra alla Galleria di Roma, in Dilvo Lotti. Pitture, sculture, incisioni dal 1930 al 1980, catalogo della mostra (Cerreto Guidi, Villa Medicea, ottobre 1980), San Miniato, Tipografia Palagini, 1980, p. 10 20 C. PEDRETTI, 2008, p. 14 21 A. DE POLI, M. PICCINELLI, N. POGGI, 2006, p. 54 22 A. DE POLI, M. PICCINELLI, N. POGGI, 2006, p. 54 23 Intervista a Dilvo Lotti, 3 marzo 2009 24 A. DE POLI, M. PICCINELLI, N. POGGI, 2006, p. 55 25 A. MOTTOLA MOLFINO, Case-museo intoccabili: istruzioni per l’uso, in Case-museo ed allestimenti d’epoca: atti del Convegno di studi, Saluzzo, Biblioteca Civica, 13 - 14 settembre 1996, a cura di G. KANNES, Torino, Centro studi piemontesi, 2003, p. 31 26 A. MOTTOLA MOLFINO, 2003, p. 28 27 A. MOTTOLA MOLFINO, 2003, p. 31 28 L. MACCHI, Dilvo Lotti: un maestro dell’espressionismo europeo, catalogo mostra a cura di L. MACCHI, San Giuliano Terme, Felici, 2006, p. 23 29 L. MACCHI, 2006, p. 24 30 A. MOTTOLA MOLFINO, 2003, p. 27 31 A. MOTTOLA MOLFINO, 2003, p. 27 32 A. DE POLI, M. PICCINELLI, N. POGGI, 2006, p. 51 33 S. SETTIS, 1992, p. XIX 34 D. LOTTI, Il Guardiano del Bellorino. Detti memorabili, noti e no, San Miniato, Tipografia Palagini, 2000 35 Intervista a Dilvo Lotti, 3 marzo 2009 36 S. SETTIS, 1992, p. IX 37 D. LOTTI, Ragioni di una mostra e di una scelta, in Omaggio a Pietro Parigi, catalogo della mostra (Firenze, Galleria Santa Croce, 18 – 31 marzo 1967), Firenze, Edizioni d’Arte Santacroce, 1967, p. 15 57 38 P. BARGELLINI in Pietro Parigi artista fuori legge: da Settimello ai musei di Santa Croce, un eccezionale itinerario d’arte. Convegno a cento anni dalla nascita (Firenze, 1992), Firenze, Città di Vita, 1993 39 E. PELLAI in Grafica ed Ex Libris - Omaggio a Pietro Parigi a cura di P. C. BAROLA, G. CAVALLI, Casale Monferrato, Gruppo Arte Casale, 2007 40 F. CHIAPPELLI, Dilvo Lotti. Arte Mediterranea, Gennaio – Aprile 1943 in Dilvo Lotti. Pitture, sculture, incisioni dal 1930 al 1980, catalogo della mostra (Cerreto Guidi, Villa Medicea, ottobre 1980), San Miniato, Tipografia Palagini, 1980, p. 14 41 F. CHIAPPELLI, 1980, p. 14 42 L. TESTAFERRATA, Il ritorno di Dilvo Lotti –“ La Nazione”, 1 settembre 1970, in Dilvo Lotti. Pitture, sculture, incisioni dal 1930 al 1980, catalogo della mostra (Cerreto Guidi, Villa Medicea, ottobre 1980), San Miniato, Tipografia Palagini, 1980, p. 38 43 M. PRATESI, G. UZZANI, 1991, p. 173 44 F. CHIAPPELLI, 1980, p. 14 Bibliografia - “Il Telegrafo”, giovedì 5 ottobre 1933, Accademia degli Euteleti, fondo Galli-Angelini; -D. LOTTI, Ragioni di una mostra e di una scelta, in Omaggio a Pietro Parigi, catalogo della mostra (Firenze, Galleria Santa Croce, 18 – 31 marzo 1967), Firenze, Edizioni d’Arte Santacroce, 1967, pp. 15-17; -A. DEL MASSA, Dilvo Lotti. Pitture, sculture, incisioni dal 1930 al 1980, catalogo della mostra (Cerreto Guidi, Villa Medicea, ottobre 1980), San Miniato, Tipografia Palagini, 1980; 58 -D. LOTTI, San Miniato: vita di un’antica città, Genova, Sagep, 1980; -M. PRATESI-G. UZZANI, L’arte italiana del Novecento. La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991; -E. HÜTTINGER, Kunstlerhauser von der Renaissance bis zur Gegenwart, Zurich, Waser, 1985 (ed. it. Case d’artista. Dal Rinascimento a oggi, a cura di E. HÜTTINGER, Introduzione di S. SETTIS, Torino, Bollati Boringhieri, 1992); -P. BARGELLINI in Pietro Parigi artista fuori legge: da Settimello ai musei di Santa Croce, un eccezionale itinerario d’arte. Convegno a cento anni dalla nascita (Firenze, 1992), Firenze, Città di Vita, 1993, p. 52; Storia dell’Istituto d’Arte di Firenze (1869-1989), a cura di V. CAPPELLI-S. SOLDANI, Olschki, 1994; -V. CORTI, Dilvo Lotti, pittore di natura e di cuore, San Miniato, Covero, 1997 -Case di artisti in Toscana, a cura di R. P. CIARDI, Firenze, Banca Toscana, 1998; -N. MICIELI, L’amor sacro e l’umor profano: Dilvo Lotti incisore, in Dilvo Lotti. Opera grafica 1931-1998, catalogo della mostra (Santa Croce sull’Arno, Villa Pacchiani, 10 aprile – 9 maggio 1999), a cura di N. -MICIELI, Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, 1999, pp. 1-6; -D. LOTTI, Il Guardiano del Bellorino. Detti memorabili, noti e no, San Miniato, Tipografia Palagini, 2000; -A. SOFFICI, Ardengo Soffici a Dilvo Lotti: lettere inedite, 1940-1963, a cura di M. MORETTI, Prato, Pentalinea, 2002; -D. LOTTI, La sacralità del teatro, in «Annali della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon», III, Città del Vaticano, 2003, p. 161; -A. MOTTOLA MOLFINO, Case-museo intoccabili: istruzioni per l’uso, in Case-museo ed allestimenti d’epoca: atti del Convegno di studi, Saluzzo, Biblioteca Civica, 13 - 14 settembre 1996, a cura di G. KANNES, Torino, Centro studi piemontesi, 2003, pp. 27-31; -D. LOTTI, Memoria di Porta Romana, Accademia degli Euteleti, Pisa, ETS, 2004;-Dilvo Lotti: un maestro dell’espressionismo europeo, catalogo mostra a cura di L. MACCHI, San Giuliano Terme, Felici, 2006; A. DE POLI, M. PICCINELLI, N. POGGI, Dalla casa-atelier al museo. La valorizzazione museografica dei luoghi dell’artista e del collezionista, Milano, Lybra, 2006; -Dilvo Lotti. Un maestro della pittura, a cura di L. MACCHI, Pisa, Pacini Editore S.p.A., 2007; Grafica ed Ex Libris - Omaggio a Pietro Parigi, a cura di P. C. BAROLA, G. CAVALLI, Casale Monferrato, Gruppo Arte Casale, 2007; -Dilvo Lotti, l’arte e la fede, a cura di L. MACCHI, Pisa, ETS, 2008; 59 Ringraziamenti Un ringraziamento speciale va a Dilvo che con generosa ospitalità mi ha aperto le porte della sua affascinante casa, raccontandomi storie e aneddoti preziosi e regalandomi libri per la stesura di questa tesi; un grazie di cuore alla dolce Geppina, che come una nonna mi ha accolta con affetto e mi ha accompagnata nella scoperta degli ambienti di casa; grazie alla Prof.ssa Cristina De Benedictis che con estrema puntualità mi ha aiutata nel difficile compito delle correzioni; alla Prof.ssa Roberta Roani che in un fortunato viaggio in treno mi ha fornito utili consigli; un ringraziamento speciale a Nadia, senza la quale questa tesi non sarebbe potuta esistere; grazie alla mia paziente mamma per avermi ascoltata con attenzione ogni volta che scrivevo qualcosa di nuovo e per avermi aiutata nel perfezionamento del mio lessico; al mio fiducioso babbo che ha sempre creduto in me; grazie a Giulio per il sostegno, alla mia famiglia e a tutti gli amici che ci sono sempre stati. 60 Foto 1. Esterno di casa Lotti in via Maioli, 22. Dietro il cancello si intravede l’insegna del vicolo del Bellorino Foto 2. Cornice marcapiano a graffito e affresco Foto 3. La facciata presenta decorazioni a graffito e affresco, sculture e ceramiche Foto 4. Affreschi nel pianerottolo: volta con gli angeli e lunetta con Cristo Foto 5. Affresco lunetta pianerottolo: Giuseppina con la sveglia emblema del tempo Foto 6. Sala da pranzo: decorazioni a graffito, affresco, e ceramiche nella fascia alta della parete est Foto 7. Sala da pranzo: parete sud Foto 8. Sala da pranzo: ceramiche dipinte sopra l’armadietto Foto 9. Vista sulla vallata Foto 10. Sottostrada: assemblaggi lignei dipinti Foto 11. Sottostrada: elementi di ceramiche inseriti nel muro Foto 12. Sottostrada: vetrate colorate rivolte sulla loggia Foto 13. Loggia: prova per l’affresco di Bardi Foto 14. Disimpegno: opere dei pittori empolesi Foto 15. Ritratto di Pietro Parigi, Giovanni Costetti 1925 Foto 16. Studio al pianterreno: libreria e Raffaella Carrà, opera di Lotti del 1985 Foto 17. Scrivania nello studio al pianterreno Foto 18. Studio al pianterreno: tele e libri adagiati ovunque Foto 19. Studio al pianterreno: collezione gufi Foto 20-21. Camera matrimoniale: oggetti in legno appesi al soffitto Foto 22. Camera matrimoniale: bracci del candelabro come porta collane; sullo sfondo Ritratto di madre, Pietro Parigi 1910 Foto 23. Camera di Mamma Giulia: particolare di un mobile Foto 24. Terrazza sopra lo studio: ringhiera a spirale Foto 25. Porta del bagno decorata: palazzi gremiti di figurine Foto 26. Cameretta: come testata del letto è posizionata la Crocifissione, opera di Lotti degli anni ‘60 Foto 27. Cameretta: Opere degli anni Trenta Foto 28. Stendardo “Te ed Io ‘51” Foto 29. Studio: particolare dei cavalletti e delle tele finite Foto 30. Mobiletto colmo di libri all’ingresso dello studio Foto 31. Studio dell’ultimo piano: libreria Foto 32. Studio: particolare del mobiletto colmo di libri e delle tele adagiate su di esso Foto 33. Studio: particolare della mensola a muro Foto 34-35. Mensoloni di Filidei nello studio: particolare della Pittura e della Scultura Foto 36. Studio: manifesti del teatro e della corrida madrilena Foto 37. Studio: manifesto dello spettacolo teatrale “Mariana Pineda” tenutosi a Pontedera alla fine degli anni Quaranta Foto 38-39. Studio: particolare degli oggetti che si trovano riprodotti nelle tele di Lotti Foto 40. Studio: totem africano ricevuto in dono dal fratello ingegnere di Giuseppina Dilvo e Giuseppina Lotti